Prodotti da forno imp

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Prodotti da forno imp
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Unione Europea
Obiettivo 2 - FESR
Ministero dell’Economia
e delle Finanze
Lo studio è stato ideato
e coordinato dal Servizio
Trasferimento Tecnologico
di AREA Science Park
ed è finanziato con il
contributo del Fondo
Europeo per lo Sviluppo
Regionale.
Regione Autonoma
Friuli Venezia Giulia
Coordinamento scientifico:
Lanfranco Conte
Dipartimento di Scienze degli Alimenti - Università degli Studi di Udine
Maria Cristina Nicoli
Dipartimento di Scienze degli Alimenti - Università degli Studi di Udine
Hanno collaborato alla redazione del volume:
Monica Anese
Dipartimento di Scienze degli Alimenti - Università
Renzo Bortolomeazzi
Dipartimento di Scienze degli Alimenti - Università
Sonia Calligaris
Dipartimento di Scienze degli Alimenti - Università
Lara Manzocco
Dipartimento di Scienze degli Alimenti - Università
Maria Parpinel
Centro di Riferimento Oncologico - Aviano (PN)
Paola Pittia
Dipartimento di Scienze degli Alimenti - Università
degli Studi di Udine
degli Studi di Udine
degli Studi di Udine
degli Studi di Udine
degli Studi di Udine
Copyright © 2003 by
Consorzio per l’AREA di ricerca scientifica e tecnologica di Trieste
AREA Science Park
Padriciano, 99 - 34012 Trieste
prima edizione: Dicembre 2003
I marchi citati nella presente pubblicazione sono di proprietà dei rispettivi titolari
progetto grafico: Mariangela Paludo
stampato presso la Tipografia Filacorda Udine
autori
Coordinamento scientifico:
Lanfranco Conte, Maria Cristina Nicoli
Impiego di oli
e grassi nella
formulazione
dei prodotti
da forno
numero
a cura di
l’argomento
Autori vari
21
AREA Science Park
per la diffusione dell’innovazione
AREA Science Park è uno dei principali parchi scientifici multisettoriali d’Europa.
Suo obiettivo principale è favorire lo sviluppo del territorio regionale
grazie alla creazione di un legame stabile tra il mondo della ricerca
e il sistema imprenditoriale, attraverso iniziative che promuovono e
facilitano la diffusione dell’innovazione tecnologica.
In particolare nella zona Obiettivo 2 del Friuli-Venezia Giulia AREA
ha attivato “Progetto Novimpresa”, un’iniziativa cofinanziata da
Unione Europea, Stato e Regione che offre alle imprese del territorio
numerosi servizi a sostegno dello sviluppo tecnologico e della loro
competitività.
Dall’attività a fianco delle imprese sono stati evidenziati alcuni temi
di particolare interesse per gruppi di imprese o settori produttivi. In
questa collana vengono pubblicati i risultati degli approfondimenti e
degli studi.
4
AREA Science Park - Progetto Novimpresa
Padriciano, 99 - 34012 Trieste
tel. 040.375.5275 - fax 040.226698
e-mail: [email protected]
http://www.area.trieste.it - http://novimpresa.area.trieste.it
Presentazione
Fortemente attenta alle esigenze manifestate dalle imprese del territorio regionale, AREA Science Park presenta un nuovo volume all’interno della propria collana dedicata all’innovazione ed alle nuove
tecnologie per le imprese.
Nell’ottica di un potenziamento costante delle proprie azioni volte
ad accrescere le competitività delle imprese regionali e ritenendo
prioritario il soddisfacimento tempestivo e puntuale delle esigenze
d’innovazione, questo volume è stato pensato per rispondere alla
“domanda di sapere” proveniente dalle industrie alimentari impegnate nella preparazione di prodotti da forno.
Cogliendo le opportunità offerte dai servizi di trasferimento tecnologico di AREA sul territorio, alcuni operatori del settore ci hanno
manifestato, infatti, un forte interesse all’approfondimento delle tematiche che sono sviluppate in questa pubblicazione.
In collaborazione con il Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Udine, è stata realizzata un’analisi approfondita ed
aggiornata sul tema, raccolta in un agile volume di indicazioni “pronte all’uso”, direttamente fruibili all’interno delle realtà aziendali.
Con questa nuova iniziativa AREA intende aprire un ulteriore canale
di comunicazione fra la ricerca e le imprese a sostegno della diffusione dell’innovazione, per collegare sempre più strettamente ed efficacemente il sistema che produce sapere e conoscenza con le dinamiche
di sviluppo e le vocazioni espresse dal territorio.
prof.ssa Maria Cristina Pedicchio
Presidente Consorzio
per l’AREA di ricerca scientifica
e tecnologica di Trieste
5
Indice
Parte 1 - Le sostanze grasse alimentari
p.
9
p.
9
p.
p.
p.
9
10
11
1.2 Aspetti normativi (L. S. Conte)
Principali fonti di grassi ed oli vegetali naturali
differenti da quelli di oliva e loro caratteristiche
Oli ottenuti dalle olive e loro caratteristiche
Grassi di origine animale
p.
16
p.
p.
p.
16
28
32
1.3 Controlli analitici (L. S. Conte)
p.
40
1.4 Stabilità e modalità di magazzinaggio
(R. Bortolomeazzi)
Rancidità idrolitica
Rancidità ossidativa
Prevenzione dell’ossidazione
Antiossidanti
Un approccio pratico
p.
p.
p.
p.
p.
p.
49
49
50
52
54
57
p.
59
p.
p.
59
59
1.1 Caratteristiche chimiche e chimico-fisiche
(L. S. Conte)
Definizione, caratteristiche generali, proprietà
chimico-fisiche delle sostanze grasse alimentari
Distribuzione e funzione dei lipidi in natura
Gli acidi grassi
Parte 2 - Le sostanze grasse nei prodotti da forno
2.1 Le funzioni tecnologiche dei grassi
(M. Anese, L. Manzocco)
Introduzione
7
I meccanismi d’azione dei grassi nei prodotti da forno
Funzioni tecnologiche dei grassi nei prodotti da forno
Criteri di scelta dei grassi per la preparazione
di prodotti da forno
2.2 Interazioni tra grassi e altri ingredienti in fase di
formulazione e cottura (M. C. Nicoli)
Introduzione
Ingredienti ed additivi ad azione antiossidante
Antiossidanti formati in fase di cottura
2.3 Modalità di confezionamento e conservazione
dei prodotti da forno (P. Pittia, S. Calligaris)
Introduzione
Requisiti dei materiali di confezionamento
Ruolo della composizione dell’atmosfera
all’interno delle confezioni
Temperatura di conservazione
2.4 I sostituti dei grassi (M. C. Nicoli)
Introduzione
Polisaccaridi
Proteine
Lipidi modificati
Analoghi dei grassi
Alcune considerazioni sull’impiego dei sostituti dei grassi
8
Parte 3 - Lipidi e nutrizione
p.
p.
61
65
p.
67
p.
p.
p.
p.
71
71
72
74
p.
p.
p.
76
76
78
p.
p.
80
81
p.
p.
p.
p.
p.
p.
p.
85
85
86
89
89
90
91
p.
95
3.1 Aspetti nutrizionali di oli e grassi (M. Parpinel)
Introduzione
I lipidi nell’organismo
Lipidi alimentari e patologie
Modificazioni dei grassi causate dai trattamenti termici
e aspetti nutrizionali
p. 95
p. 95
p. 101
p. 103
Bibliografia
p. 107
p. 105
Parte 1
Le sostanze grasse alimentari
1.1 Caratteristiche chimiche e chimico-fisiche
Definizione, caratteristiche generali, proprietà chimicofisiche delle sostanze grasse alimentari
Le sostanze grasse vengono chiamate “lipidi”. Con questo termine,
viene indicata una classe di sostanze alquanto eterogenea, tanto che
una classificazione univoca probabilmente non esiste ed i diversi autori
includono o escludono da questa classe alcuni gruppi di sostanze.
Alcuni oli e grassi alimentari
9
Caratteristica comune dei lipidi è la loro generale idrofobicità, dovuta
alla polarità nulla o scarsa delle loro molecole, principalmente costituite
da carbonio ed idrogeno, ed in misura molto minore di ossigeno,
essi risultano di conseguenza solubili in solventi apolari o di limitata
polarità, quali idrocarburi lineari e loro miscele (n-pentano, n-esano,
n-eptano, etere di petrolio ecc.), idrocarburi ramificati (isoottano),
idrocarburi aromatici (benzene, cilene, ecc.), etere etilico, acetato di etile,
ecc. Tra i solventi non polari va annoverata anche l’anidride carbonica in
fase liquida, utilizzata nella estrazione con fluidi supercritici.
Limitata è invece la solubilità in solventi polari quali acqua ed alcoli,
almeno per i lipidi che non presentino gruppi polari, come è invece il
caso di catene con uno o più sostituenti polari (tipo –OH) o di molecole
che contengano gruppi fosforici.
Distribuzione e funzione dei lipidi in natura
In natura i lipidi assolvono a diversi compiti, in relazione anche alla
differenza di struttura chimica.
Essi rappresentano una importante fonte di energia, anche sotto forma
di grasso di deposito. Tramite β-ossidazione degli acidi grassi, infatti,
da un grammo di grasso si ricavano 9 kcal. Gli acidi grassi, inoltre,
come costituenti dei triacilgliceroli entrano nella composizione delle
membrane cellulari così come i fosfolipidi ed il colesterolo.
Gli esteri degli acidi grassi con funzioni alcoliche di molecole differenti
dal glicerolo, quali ad esempio alcoli alifatici a lunga catena, alcoli terpenici o steroli, costituiscono le strutture di rivestimento degli organismi viventi: della superficie delle foglie, dei frutti e dei fusti, nel regno
vegetale (Tabella 1.1), della pelle e dei peli nel regno animale.
Tabella 1.1 - Composizione percentuale delle cere di alcune piante
10
COMPOSTO
Idrocarburi
Cere (Esteri)
Aldeidi
Chetoni
Alcoli secondari
Alcoli primari
Acidi
Uva
(foglia)
Rapa
(foglia)
Mela
(frutto)
Rosa
(fiore)
2
6
6
60
8
33
16
3
20
8
12
8
20
18
2
3
20
6
20
58
11
9
4
5
Pisello Canna da zucchero
(foglia)
(fusto)
40-50
5-10
5
7
20
6
2-8
6
50
5-25
3-8
Gli acidi grassi
Gli acidi grassi sono i componenti maggioritari dei lipidi. La loro
struttura molecolare è essenzialmente riconducibile ad una catena di
atomi di carbonio (denominata catena alifatica), in genere lineare, con
un gruppo carbossilico (-COOH) ad una estremità.
Gli acidi grassi possono essere classificati secondo differenti criteri.
Qui si seguirà quello della presenza di uno o più doppi legami, o della
loro assenza.
Possiamo quindi distinguere gli acidi grassi in acidi grassi saturi,
ovvero privi di doppi legami, monoinsaturi (con un doppio legame),
polinsaturi (con due o più doppi legami).
L’attribuzione della qualifica di “grassi” dovrebbe a rigore comprendere
solo gli acidi grassi a lunga catena, ma viene in genere ricompresa in
questa definizione anche una serie di acidi a corta e media lunghezza
di catena carboniosa, in considerazione del fatto che essi si trovano in
natura associati ad acidi di dimensioni maggiori.
La nomenclatura degli acidi grassi fa riferimento ad una denominazione cosiddetta “comune” che è quella più antica e nella quale il nome
dell’acido grasso deriva dalla fonte naturale dalla quale fu isolato per
la prima volta, o nella quale è, o era ritenuto predominante. Ad esempio, l’acido oleico deve il suo nome al fatto di essere l’acido grasso
predominante nell’olio di oliva, l’acido palmitico nel grasso di palma
e gli acidi linoleico e linolenico nell’olio di lino. Accanto a questa vi è
la denominazione scientifica, relativamente più recente, che attribuisce i nomi in rispetto delle regole stabilite dalla IUPAC (International
Union Pure and Applied Chemistry), ovvero in base al numero di atomi
di carbonio ed alla presenza e numero di eventuali insaturazioni. Nella
pratica comune, infine, si utilizza un’indicazione stenografica che sintetizza la lunghezza di catena (determinata dal numero di atomi di
carbonio) ed il numero di insaturazioni: in questo caso, ad esempio,
l’acido oleico che è costituito da 18 atomi di carbonio e possiede una
sola insaturazione viene indicato come C18:1. Talvolta questa notazione abbreviata indica anche la posizione del doppio legame e, in tal caso, l’acido oleico viene indicato come C18:1 Δ9 poiché l’insaturazione è
presente sul carbonio 9.
Gli acidi grassi saturi
Nella Tabella 1.2 sono elencati i principali acidi grassi saturi. Come si
vede, essi non sono presenti solo nei grassi di origine animale, ma anche in
11
quelli di origine vegetale: l’acido palmitico, ad esempio, è maggiormente
rappresentato nel grasso di palma rispetto ai grassi animali.
Dai valori del punto di fusione dei vari acidi grassi saturi riportati in
tabella si può evincere come essi possano influenzare notevolmente le
proprietà fisiche di un alimento: elevate concentrazioni di acidi saturi
a 16 e/o 18 atomi di carbonio conferiranno concretezza al grasso (è il
caso dei grassi di palma e dei grassi di animali terrestri). Al contrario,
più elevata sarà la concentrazione di acidi grassi con lunghezza di
catena intorno a 12 o 14 atomi di carbonio, più il grasso assumerà
caratteristiche di fluidità.
Denominazione
IUPAC
Notazione
abbreviata
Punto di
fusione (°C)
Butirrico
Butanoico
C4:0
- 4,5
Caprinico
Esanoico
C6:0
-2
Grasso del latte, olio di cocco, di palmisti
Caprilico
Ottanoico
C8:0
16,5
Grasso del latte, olio di cocco, di palmisti
10
Caprico
Decanoico
C10:0
31,5
Grasso del latte, olio di cocco, di salmisti,
semi di olmo (50% degli acidi grassi)
12
Laurico
Dodecanoico C12:0
44
Semi di Lauraceae, oli di cocco e di
palmisti (40-50%)
14
Miristico Tetradecanoico C14:0
58
Presente in tutti gli oli e grassi vegetali
ed animali, latte (8-12%), cocco e palmisti
(15-30%), Miristicaceae (Noce moscata)
70-80%
16
Palmitico
Esadecanoico C16:0
63
Presente in tutti gli oli e grassi animali e
vegetali, sego e strutto (25-30%), palma
(30-50%), cacao (25%)
18
Stearico
Ottadecanoico C18:0
71,2
Presente in tutti gli oli e grassi animali e
vegetali, sego (20%), strutto (10%), cacao
(35%), oli vegetali (1-5%)
20
Arachico
Eicosanoico
C20:0
77
Presente in tutti gli oli e grassi animali
in quantità limitate, solo nell’olio di
arachide 1-2%
22
Beenico
Docosanoico C22:0
80
Presente in tutti gli oli e grassi animali
in quantità limitate, solo nell’olio di
arachide 1-2%, presente nell’olio di
Brassicaceae
Numero di
Atomi di
Carbonio
Denominazione
comune
Tabella 1.2 - I principali acidi grassi saturi
4
6
8
12
24
Lignocerico Tetracosanoico C24:0
Fonti in natura
Grasso del latte
Presente in tutti gli oli e grassi animali
in quantità limitate, solo nell’olio di
arachide 1-2%
Gli acidi grassi insaturi
In natura, gli acidi grassi monoinsaturi più comuni sono l’acido
palmitoleico (C16:1), ubiquitario e presente in piccole quantità in
tutti gli oli vegetali e l’acido oleico (C18:1Δ9), presente in tutti gli oli
vegetali ed i grassi animali in quantità variabile (Tabella 1.3). L’acido
oleico è l’acido grasso predominante negli oli di oliva. Il suo contenuto
varia tra il 59% e quasi l’80% in relazione ad una serie di fattori, quali
cultivar, ambiente di coltivazione, condizioni climatiche e grado di
maturazione delle olive. Si registrano normalmente contenuti minori
per i prodotti di climi caldi.
L’acido oleico, per il suo ridotto livello di insaturazione, rende gli
oli che ne sono ricchi più stabili nei confronti della ossidazione, cosa
estremamente importante nei processi tecnologici che implichino
l’uso del calore. L’acido oleico, inoltre, viene normalmente ritenuto
estremamente desiderabile nella dieta (si veda in proposito il capitolo
3.1). Probabilmente, in base a queste considerazioni, il miglioramento
genetico delle piante oleaginose ha puntato all’incremento del suo
contenuto, riducendo nel contempo il contenuto di acido linoleico
(C18:2).
L’altro acido grasso monoinsaturo maggiormente rappresentato
nel regno vegetale è l’acido erucico (C22:1Δ13), caratteristico degli
oli di Brassicaceae (Colza, Ravizzone, Crambe abyssinica), in cui può
rappresentare sino al 50 % degli acidi grassi.
Negli anni ’70, una serie di osservazioni ipotizzò che la causa di alcune
patologie a carico del muscolo cardiaco e di altri organi, legate ad
accumulo di lipidi, era da attribuirsi all’acido erucico, presente negli
oli di colza allora molto diffusi e consumati.
Il miglioramento genetico provvide allora a bloccare la reazione
di allungamento della catena carboniosa. Si ottennero così semi di
colza che contengono un olio in cui il contenuto di acido erucico è
estremamente ridotto o addirittura nullo. Furono i canadesi per primi
ad ottenere una cultivar priva di acido erucico denominata “Cambra”
(CANadian BRAssica), cui in seguito se ne aggiunsero molte altre.
Gli acidi grassi monoinsaturi possono andare incontro ad ulteriori
reazioni di deidrogenazione, con formazione di acidi grassi polinsaturi
(polienoici).
13
14
Numero di Atomi
di Carbonio
Denominazione
comune
Denominazione
IUPAC
Notazione
abbreviata
Tabella 1.3 - Principali acidi grassi monoinsaturi e loro distribuzione in natura
10
Caproleico
cis-9-decanoico
C10:1
Latte
14
Miristoleico
cis-9tetradecenoico
C14:1
Latte
16
Palmitoleico
cis – 6 esadecenoico
C16:1
Tutti i grassi animali e vegetali
18
Petroselinico
cis – 6ottadecenoico
C18:1Δ6
Latte
18
Oleico
cis – 9ottadecenoico
C18:1Δ9
Tutti gli oli ed i grassi, olio
di oliva (59-83%), oli di semi
(40-70%)
18
Elaidinico
trans – 9ottadecenoico
C18:1Δ9
Latte, oli e grassi raffinati,
margarine
18
Vaccenico
trans- 11ottadecenoico
C18:1Δ11
Latte
18
Vaccenico
Cis-11ottadecenoico
C18:1Δ11
Olio di pesce
20
Gadoleico
cis-9-eicosenoico
C20:1Δ9
Olio di pesce
20
Gondoico
cis-11eicosenoico
C20:1Δ11
Olio di pesce
22
Cetoleico
cis-11docosenoico
C22:1Δ11
Olio di Pesce
24
Selacoleico
cis-13tetracosenocio
C24: 1Δ13
Cerebrosidi
26
Ximenico
cis-17esacosenoico
C26:1 Δ17
Ximenia americana
26
Lumechico
cis-21esacosenoico
C22: 1Δ21
Fonti in natura
Nella Tabella 1.4 sono elencati alcuni tra i più comuni acidi grassi polienoici.
In alcuni casi, essi, a parità di lunghezza della catena e di numero di
insaturazioni, possono differenziarsi per la reciproca posizione dei doppi
legami. Ad esempio, si possono avere due acidi grassi a 18 atomi di carbonio
con tre insaturazioni, rispettivamente posizionate in 9, 12, 15 o in 6, 9,12. Nel
primo esempio, la posizione dei primi due doppi legami è la stessa dell’acido
linoleico (C18:2) e si parla quindi di serie dell’acido linoleico. Numerando i
carboni a partire dal gruppo metile (-CH3), che si trova al termine della catena
alifatica, nel primo caso si incontra il primo doppio legame in corrispondenza
del carbonio 6, mentre, nel secondo caso, in corrispondenza del carbonio 3.
La posizione si indica con la lettera “n” oppure con la lettera “ω” e si parlerà
quindi di acidi grassi n-6 (ω-6) o n-3 (ω-3).
Gli acidi grassi ω-3 sono più antichi e sono tipici del regno acquatico,
trovandosi ampiamente rappresentati negli organismi marini, alghe
e pesci, mentre altre fonti sono alquanto poco diffuse. Al contrario,
gli acidi grassi ω-6 sono più recenti e sono diffusi in tutto il regno
vegetale.
Gli acidi grassi polinsaturi ω-3 sono particolarmente importanti nella
dieta e sono considerati fattori vitamino simili in quanto il nostro
organismo non è in grado di sintetizzarli ed è costretto ad introdurli
con la dieta (si veda in proposito il capitolo 3.1). L’importanza degli
acidi grassi ω-3 è di tale rilevanza che oggi sono sempre più numerosi
gli alimenti che vengono arricchiti con questi composti, tra cui anche i
prodotti da forno.
I doppi legami degli acidi grassi polinsaturi possono presentarsi isolati
o coniugati (ovvero in posizione adiacente); in natura, in genere, essi
sono isolati, in quanto la coniugazione dei doppi legami avviene in
seguito a trattamenti tecnologici quali, ad esempio, la decolorazione
delle sostanze grasse.
Oggi si dà una certa importanza all’opportunità della presenza nella
dieta di acidi grassi con doppi legami coniugati, in relazione alle loro
considerevoli attività biologiche (effetti anticancerogeni, modulazione della
funzionalità immunitaria, effetti antidiabete, antiobesità, anti trombotica
ed antiaterosclerotica). Una delle poche fonti naturali è rappresentata dal
grasso del latte in cui è presente un acido linoleico a doppi legami coniugati
(CLA). Gli acidi grassi a doppi legami coniugati (CLA) sono sintetizzati nel
rumine dei bovini (da cui la denominazione di acido rumenico), tramite
isomerizzazione biologica (B. fibrisolvens). L’attività biologica dei CLA
sembra essere associata ad una riduzione dell’assorbimento dei lipidi ad
opera della lipoproteina lipasi dipendente.
15
18
Linolenico
18
γ-Linolenico
18
Morotico
Linoleico
Cis,cis-9,12octadecadienoico
Cis,cis,cis-9,12,15octadecatrienoico
Cis,cis,cis,6-9,12,octadecatrienoico
C18:2
Cis,cis,cis,4-8,12,15octadecatetraenoico
C18:4
20
Arachidonico
Cis,cis-13,16docosadienoico
Cis,cis,cis,cis5,8,12,15eicosatetraenoico
20
25
C18:3
C18:3
C20:1
20
20
Notazione
abbreviata
Denominazione
IUPAC
18
Denominazione
comune
Numero di Atomi
di Carbonio
Tabella 1.4 - Principali acidi grassi polinsaturi e loro distribuzione in natura
Nisinico
Cis,cis,cis,cis4,8,12,15eicosapentenoico
26
Fonti in natura
Oli vegetali, in particolare oli
di semi (girasole, mais ecc)
Oli vegetali, in particolare oli
di semi (soia, colza ecc)
Oli di pesce, olio di semi di
Borrago officinalis, olio di semi
di Oenotera biennis
Oli di pesce
C20:4
Oli vegetali, in particolare oli
di semi (soia, colza ecc)
Oli di pesce, olio di semi di
colza
Oli di pesce
C20:5
Oli di pesce
C26:4
Oli di pesce
C26:5
Oli di pesce
C20:2
1.2 Aspetti normativi
Principali fonti di grassi ed oli vegetali naturali
differenti da quelli di oliva e loro caratteristiche
16
Se le caratteristiche degli oli ottenuti dalle olive sono fissate da
norme legislative della UE o della Repubblica Italiana, per tutti gli
altri oli si fa riferimento alla norma del Codex Alimentarius, a livello
internazionale, e alle tabelle Norma Grassi e Derivati (NGD), che sono
ampiamente armonizzate alla norma Codex, a livello nazionale.
In accordo con lo standard del Codex Alimentarius (versione 2003,
meeting di Londra), le denominazioni degli oli e dei grassi vegetali
sono le seguenti:
• olio di arachide (peanut oil, groundnut oil) deriva dai semi di
Arachis hypogaea L.;
• olio di babassu deriva dalle mandorle del frutto di diverse varietà
della palma Orbignya spp.;
• olio di cocco deriva dalle mandorle della noce di cocco (Cocos nucifera L.);
• olio di cotone deriva dai semi di varie specie cltiate di Gossypium
spp.;
• olio di vinaccioli deriva dai semi dell’uva (Vitis vinifera L.);
• olio di mas (corn oil) deriva dal geme della cariosside del mais
(embrione di Zea mays L.);
• olio di senape deriva dai semi di Sinapis alba L. o di Brassica hirta,
Moench, Brassica juncea (L.), Brassica nigra (L.) Koch;
• olio di palmisti (Palm kernel oil) deriva dal tegumento del frutto
della palma da olio (Elaeis guineensis);
• olio di palma deriva dalla polpa del mesocarpo del frutto della
palma da olio (Elaeis guineensis);
• oleina di palma che è la frazione liquida derivata dal frazionamento dell’olio di palma;
• stearina di palma che è la frazione solida derivata dal frazionamento dell’olio di palma;
• superoleina di palma che è la frazione liquida derivata dall’olio
di palma (descritta sopra) ottenuta tramite un procedimento che
consente di ottenere un prodotto con numero di iodio maggiore o
eguale a 60;
• olio di colza prodotto dai semi di Brassica napus L., Brassica campestris L., Brassica juncea L. e Brassica tournefortii Gouan species;
• olio di colza a basso contenuto di acido erucico prodotto dai semi
oleosi di varietà a basso contenuto di acido erucico di Brassica napus L., Brassica campestris L. e Brassica juncea L., commercialmente
chiamato anche “Canola”;
• olio di cartamo estratto dai semi di Carthamus tinctorious L.;
• olio di cartamo ad alto contenuto di acido oleico è estratto dai semi di Carthamus tinctorious L. geneticamente modificati per avere
un elevato contenuto di acido oleico;
• olio di sesamo estratto dai semi di Sesamum indicum L.;
• olio di soia estratto dai semi di soia (Glycine max (L.) Merr.);
17
• olio di girasole estratto dagli acheni di Helianthus annuus L.;
• olio di girasole ad alto contenuto di acido oleico, estratto dagli
acheni di varietà di Helianthus annuus geneticamente modificato;
• olio di girasole, a medio contenuto di acido oleico, estratto dagli
acheni di varietà di Helianthus annuus geneticamente modificato;
Altre definizioni:
• oli vegetali eduli: sono alimenti composti principalmente da trigliceridi degli acidi grassi ottenuti da fonti vegetali; possono contenere piccole quantità di altri lipidi come fosfatidi o costituenti
dell’insaponificabile ed acidi grassi liberi naturalmente presenti
nell’olio o grasso;
• oli vergini: sono ottenuti, senza alterare la natura dell’olio, mediante processi meccanici, come pressione o torsione ed eventualmente applicazione del calore. Possono essere purificati mediante
lavaggio con acqua, sedimentazione, filtrazione e centrifugazione;
• oli di pressione a freddo: sono ottenuti, senza alterare l’olio, mediante processi meccanici, quali pressione o torsione, senza applicazione di calore. Possono essere purificati mediante lavaggio con
acqua, sedimentazione, filtrazione e centrifugazione.
18
Le caratteristiche compositive sono distinte in caratteristiche di purezza (genuinità) e caratteristiche di qualità. Il Codex Alimentarius
elenca in una sezione a parte parametri relativi alla presenza di sostanze “indesiderabili”. Le prime sono proprie dell’origine botanica
dell’olio o grasso, mentre le seconde attestano l’idoneità del prodotto
in relazione alla conservazione delle caratteristiche nutrizionali dello
stesso che possono essere diminuite ad esempio da problemi di irrancidimento (si veda in proposito il capitolo 1.4). La terza lista, ovvero
quella delle sostanze indesiderabili, identifica le sostanze che possono rappresentare un rischio per la salute del consumatore ed indica
i limiti per ognuna di esse. Essendo la norma Codex un riferimento,
essa va intesa come raccolta di linee guida, non a carattere cogente
e quindi i singoli paesi aderenti al Codex possono imporre limiti più
severi qualora ravvisino pericoli per la salute dei cittadini.
Nelle Tabelle 1.5, 1.6, 1.7 e 1.8 sono riportate le caratteristiche
compositive dei principali oli e grassi vegetali.
Gli oli ed i grassi possono essere utilizzati tal quali o necessitare di
operazioni di raffinazione, al fine di eliminare caratteristiche che li
rendono non adatti all’impiego diretto.
La raffinazione viene condotta secondo lo schema della figura 1.1.
Naturalmente, gli step indicati non devono necessariamente essere
eseguiti tutti. Per esempio, può essere necessaria la sola neutralizzazione
o la sola deodorazione. La sequenza indicata può venire variata nel
caso in cui si applichi una deacidificazione per distillazione: in questo
caso, il primo step diviene la decolorazione in quanto alle condizioni
adottate per la distillazione degli acidi grassi, i pigmenti subirebbero
modificazioni irreversibili che non consentirebbe alle terre decoloranti
di adsorbirli efficientemente. Per la decolorazione, infatti, si utilizzano
terre attive o attivate per lavaggio con acidi.
In Italia, essendo ancora in vigore una legge del 1960, gli oli di semi
devono essere raffinati. In pratica non esiste un “obbligo” alla raffinazione,
tuttavia la legislazione vigente prevede che essi debbano rientrare in
caratteristiche colorimetriche tali da non poterne evitare la decolorazione.
Questa circostanza fa spesso affermare che non sia legalmente ammesso
produrre olio di semi di pressione; in realtà non è vero, è invece corretto
dire che non si può produrre olio di semi con caratteristiche colorimeriche
non adeguate alla legislazione nazionale. Ne consegue che gli oli di semi
di pressione, che eccedono tali limiti, non possono venire commercializzati
come tali. E’ tuttavia vero anche che, se un olio di semi di pressione viene
prodotto in un Paese della Unione Europea ed è colà a norma della legge
nazionale, per il principio della libera circolazione delle merci, esso può
circolare ed essere venduto in Italia.
Figura 1.1 – Schema della raffinazione degli oli vegetali
Fosfatidi e
lipoproteine


Acidi Grassi

Degommazione

Neutralizzazione
Acidi Grassi
Distillati

Deodorazione

Decolorazione
Olio Raffinato

Demargarinazione

Cere

Olio Grezzo
Terre
 Decoloranti


Linea dell’olio
 Linea dei sottoprodotti
19
Tabella 1.5 - Composizione percentuale degli acidi grassi dei principali oli e grassi differenti dall’oliva
Ac. Grasso
Arachide
Babassu
Cocco
Cotone
Vinaccioli
C6:0
C8:0
C10:0
C12:0
C14:0
C16:0
C16:1
C17:0
C17:1
C18:0
C18:1
C18:2
C18:3
C20:0
C20:1
C20:2
C22:0
C22:1
C22:2
C24:0
C24:1
ND
ND
ND
ND – 0,1
ND – 0,1
8,0 – 14,0
ND – 0,2
ND – 0,1
ND – 0,1
1,0 – 4,5
35,0 – 69,0
12,0 – 43,0
ND – 0,3
1,0 – 2,0
0,7 – 1,7
ND
1,5 – 4,5
ND – 0,3
ND
0,5 – 2,5
ND - 0,3
ND
2,6 – 7,3
1,2 – 7,6
40,0 – 55,0
11,0 - 27,0
5,2 – 11,0
ND
ND
ND
1,8 – 7,4
9,0 – 20,0
1,4 – 6,6
ND
ND
ND
ND
ND
ND
ND
ND
ND
ND
4,6 – 10,0
5,0 – 8,0
45,1 – 53,2
16,8 – 21,0
7,5 – 10,2
ND
ND
ND
2,0 – 4,0
5,0 – 10,0
1,0 – 2,5
ND – 0,2
ND – 0,2
ND – 0,2
ND
ND
ND
ND
ND
ND
ND
ND
ND
ND – 0,2
0,6 – 1,0
21,4 – 26,4
ND – 1,2
ND – 0,1
ND – 0,1
2,1 – 3,3
14,7 – 21,7
46,7 – 58,2
ND – 0,4
0,2 – 0,5
ND – 0,1
ND – 0,1
ND – 0,6
ND – 0,3
ND – 0,1
ND – 0,1
ND
ND
ND
ND
ND
ND – 0,3
5,5 –11,0
ND – 1,2
ND – 0,2
ND – 0,1
3,0 – 6,5
12,8 – 28,0
58,0 – 78,0
ND – 1,0
ND – 1,0
ND – 0,3
ND
ND – 0,5
ND – 0,3
ND
ND – 0,4
ND
Superoleina
di palma
Colza
Colza a
basso erucico
Cartamo
Cartamo
alto oleico
ND
ND
ND
0,1 – 0,5
0,5 – 1,5
30,0 – 39,0
ND – 0,5
ND – 0,1
ND
2,8 – 4,5
43,0 – 49,5
10,5 – 15,0
0,2 – 1,0
ND – 0,4
ND – 0,2
ND
ND – 0,2
ND
ND
ND
ND
ND
ND
ND
ND
ND –0,2
1,5 – 6,0
ND – 3,0
ND – 0,1
ND – 0,1
0,5 – 3,1
8,0 – 60,0
11,0 – 23,0
5,0 – 13,0
ND – 0,3
3,0 – 15,0
ND - 1,0
ND – 0,2
> 2,0 – 60,0
ND – 2,0
ND – 2,0
ND –0,4
ND
ND
ND
ND
ND – 0,2
2,5 – 7,0
ND – 0,6
ND – 0,3
ND – 0,3
0,8 – 3,0
51,0 – 70,0
15,0 – 30,0
5,0 – 14,0
0,2 – 1,2
0,1 – 4,3
ND – 0,1
ND – 0,6
ND – 2,0
ND – 0,1
ND – 0,3
ND – 0,2
ND
ND
ND
ND
ND – 0,2
5,3 – 8,0
ND – 0,2
ND – 0,1
ND – 0,1
1,9 – 2,9
8,4 – 21,3
67,8 – 83,2
ND – 0,1
0,2 – 0,4
0,1 –0,3
ND
ND – 1,0
ND – 1,8
ND
ND – 0,2
ND – 0,2
ND
ND
ND
ND – 0,2
ND – 0,2
3,6 – 6,0
ND – 0,2
ND – 0,1
ND – 0,1
1,5 – 2,4
70,0 – 83,7
9,0 – 19,9
ND – 1,2
0,3 – 0,6
0,1 – 0,5
ND
ND – 0,4
ND – 0,3
ND
ND –0,3
ND
Ac. Grasso
C6:0
C8:0
C10:0
C12:0
C14:0
C16:0
C16:1
C17:0
C17:1
C18:0
C18:1
C18:2
C18:3
C20:0
C20:1
C20:2
C22:0
C22:1
C22:2
C24:0
C24:1
20
ND = Non dosabile definito come < 0,05 %
(Fonte Codex Alimentarius, London meeting, 2003, February)
Mais
Senape
Palma
Palmisti
Oleina di Palma Stearina di Palma
ND
ND
ND
ND – 0,3
ND – 0,3
8,6 – 16,5
ND – 0,5
ND – 0,1
ND – 0,1
ND – 3,3
20,0 – 42,2
34,0 – 65,6
ND – 2,0
0,3 – 1,0
0,2 – 0,6
ND – 0,1
ND – 0,5
ND – 0,3
ND
ND – 0,5
ND
ND
ND
ND
ND
ND – 1,0
0,5 – 4,5
ND – 0,5
ND
ND
0,5 – 2,0
8,0 – 23,0
10,0 – 24,0
6,0 – 18,0
ND – 1,5
5,0 – 13,0
ND – 1,0
0,2 – 2,5
22,0 – 50,0
ND – 1,0
ND – 0,5
0,5 – 2,5
ND
ND
ND
ND – 0,5
0,5 – 2,0
39,3 - 47,5
ND – 0,6
ND – 0,2
ND
3,5 – 6,0
36,0 – 44,0
9,0 – 12,0
ND – 0,5
ND – 1,0
ND – 0,4
ND
ND – 0,2
ND
ND
ND
ND
ND – 0,8
2,4 – 6,2
2,6 – 5,0
45,0 – 55,0
14,0 – 18,0
6,5 – 10,0
ND – 0,2
ND
ND
1,0 – 3,0
12,0 – 19,0
1,0 – 3,5
ND – 0,2
ND – 0,2
ND – 0,2
ND
ND – 0,2
ND
ND
ND
ND
ND
ND
ND
0,1 – 0,5
0,5 – 1,5
38,0 – 43,5
ND – 0,6
ND – 0,2
ND – 0,1
3,5 – 5,0
39,8 – 46,0
10,0 – 13,5
ND – 0,6
ND – 0,6
ND – 0,4
ND
ND – 0,2
ND
ND
ND
ND
Sesamo
Soia
Girasole
Girasole
alto oleico
Girasole
medio oleico
ND
ND
ND
ND
ND – 0,1
7,9 – 12,0
0,1 – 0,2
ND – 0,2
ND – 0,1
4,8 – 6,7
35,9 – 43,0
39,1 – 47,9
0,3 – 0,5
0,3 – 0,7
ND – 0,3
ND
ND – 1,1
ND
ND
ND – 0,3
ND
ND
ND
ND
ND – 0,1
ND – 0,2
8,0 – 13,5
ND – 0,2
ND – 0,1
ND – 0,1
2,0 –5,4
17,0 – 30,0
48,0 – 59,0
4,5 – 11,0
0,1 – 0,6
ND – 0,5
ND – 0,1
ND – 0,7
ND – 0,3
ND
ND – 0,5
ND
ND
ND
ND
ND – 0,1
ND – 0,2
5,0 – 7,6
ND – 0,3
ND – 0,2
ND – 0,1
2,7 –6,5
14,0 – 39,4
48,3 – 74,0
ND – 0,3
0,1 – 0,5
ND – 0,3
ND
0,3 – 1,5
ND – 0,3
ND – 0,3
ND – 0,5
ND
ND
ND
ND
ND
ND – 0,1
2,6 – 5,0
ND – 0,1
ND – 0,1
ND – 0,1
2,9 – 6,2
75,0 – 90,7
2,1 – 17,0
ND – 0,3
0,2 – 0,5
0,1 – 0,5
ND
0,5 – 1,6
ND – 0,3
ND
ND – 0,5
ND
ND
ND
ND
ND
ND – 0,1
4,0 – 5,5
ND – 0,05
ND – 0,01
ND – 0,06
2,1 – 5,0
43,1 – 71,8
18,7 – 45,3
ND – 0,5
0,2 – 0,4
0,2 – 0,3
ND
0,6 – 1,1
ND
ND – 0,09
0,3 – 0,4
ND
ND
ND
ND
0,1 – 0’,5
1,0 – 2,0
48,0 – 74,0
ND – 0,2
ND – 0,2
ND – 0,1
3,9 – 6,0
15,5 – 36,0
3,0 – 10,0
ND – 0,5
ND – 1,0
ND – 0,4
ND
ND – 0,2
ND
ND
ND
ND
21
Tabella 1.6 - Caratteristiche chimico – fisiche degli oli e grassi differenti dall’oliva
Arachide
Babassu
Cocco
Cotone
0,912 – 0,920
X = 20°C
0,914 – 0,917
X = 25°C
0,908 – 0,921
X = 40°C
0,918 – 0,926
X = 20°C
1,460 – 1,465
1,448 – 1,451
1,448 – 1,450
1,458 – 1,466
Indice di saponificazione
(mg KOH/g olio)
187 – 196
245 – 256
248 – 265
189 – 198
Indice di Iodo
86 – 107
10 – 18
6,3 – 10,6
100 – 123
Insaponificabile (g/kg)
≤ 10
≤ 12
Densità relativa
(X°C/acqua a 20°c)
Densità apparente
(g/l)
Indice di rifrazione
(ND 40°C)
Stearina
di palma
≤ 15
Superoleina
di Palma
Colza
Colza baso
erucico
Cartamo
Densità relativa 0,881 – 0,891
(X°C/acqua a 20°c) X = 60°C
0,900 – 0,925
X = 40°C
0,910 – 0,920
X = 20°C
0,914 – 0,920
X = 20°C
0,922 – 0,927
X = 20°C
Densità
apparente (g/l)
0,897 – 0,920
1,465 – 1,469
1,465 – 1,467
1,467 – 1,470
180 – 205
168 – 181
182 – 193
186 – 198
≤ 48
≥ 60
94 – 120
105 – 126
136 – 148
≤9
≤ 13
≤ 20
≤ 20
≤ 15
0,881 – 0,885
a 60°C
Indice di rifrazione 1,447 – 1,452 1,463. 1,465
(ND 40°C)
a 60°C
Indice di
saponificazione
(mg KOH/g olio) 193 – 205
Indice di Iodo
Insaponificabile
(g/kg)
(Fonte Codex Alimentarius, London meeting, 2003, February)
22
≤ 15
Vinaccioli
Mais
Senape
Palma
Palmisti
Oleina di Palma
0,920 – 0,926
X = 20°C
0,917 – 0,925
X = 20°C
0,910 – 0,921
X = 20°C
0,891 – 0,899
X = 50°C
0,899 – 0,914
X = 40°C
0,899 – 0,920
X = 40°C
0,889 – 0,895
(50°C)
0,896 – 0,898
(40°C)
1,467 – 1,477
1,465 – 1,468
1,461 – 1,469
1,454 – 1,456
(50°C)
1,448 – 1,452
1,458 – 1,460
188 – 194
187 – 195
168 – 184
190 – 209
230 – 254
194 – 202
128 – 150
103 – 135
92 – 125
50 – 55
14 – 21
≥ 56
≤ 20
≤ 28
≤ 15
≤ 12
≤ 10
≤ 13
Cartamo alto
oleico
Sesamo
Soia
Girasole
0,913 – 0,919
X = 20°C
0,915-0,924
X = 20°C
0,919 – 0,925
X = 20°C
0,918-0,923
X = 20°C
0,909 – 0,915
X = 25°C
0,914 – 0,916
X = 20°C
1,466 – 1,470
a 25°C
1,465-1,469
1,466-1,470
1,461-1,468
1,467-1,471
a 25°C
1,461 – 1,471
a 25°C
186 – 194
186-195
189-195
188-194
182-194
190-191
80 – 100
104-120
124-139
118 – 141
78 – 90
94-122
≤ 10
≤ 20
≤ 15
≤ 15
≤ 15
≤ 15
Girasole alto Girasole medio
oleico
oleico
0,912 – 0,914
a 20°C
23
Tabella 1.7 - Composizione percentuale degli steroli degli oli e grassi differenti dall’oliva
Arachide
Babassu
Cocco
Cotone
Colesterolo
ND-3,8
1,2-1,7
ND-3,0
0,7-2,3
Brassicasterolo
ND-0,2
ND-0,3
ND-0,3
0,1-0,3
Campesterolo
12,0-19,8
17,7-18,7
6,0-11,2
6,4-14,5
Stigmasterolo
5,4-13,2
8,7-9,2
11,4-15,6
2,1-6,8
β-sitosterolo
47,4-69,0
48,2-53,9
32,6-50,7
76,0-87,1
Δ-5 avenasterolo
5,0-18,8
16,9-20,4
20,0-40,7
1,8-7,3
Δ-7 stigmastenolo
ND-5,1
ND
ND-3,0
ND-1,4
Δ-7 avenasterolo
ND-5,5
0,4-1,0
ND-3,0
0,8-3,3
Altri
ND-1,4
ND
ND-3,6
ND-1,5
900-2000
500-800
400-1200
2700-6400
Palma
Superoleina
Colza basso
erucico
Cartamo
Cartamo alto
oleico
2,0-3,5
ND-1,3
ND-0,7
ND-0,5
Brassicasterolo
ND
5,0- 13,0
ND-0,4
ND-2,2
Campesterolo
22,0-26,0
24,7-38,6
9,2-13,3
8,9-19,9
Stigmasterolo
18,2-20,0
0,2-1,0
4,5-9,6
2,9-8,9
β-sitosterolo
55,0-70,0
45,1-57,9
40,2-50,6
40,1-66,9
Δ-5 avenasterolo
0-1,0
2,5-6,6
9,8-4,8
0,2-8,9
Δ-7 stigmastenolo
0,-0,3
ND-1,3
13,7-24,6
3,4-16,4
Δ-7 avenasterolo
0-0,3
ND-0,8
2,2-6,3
ND-8,3
Altri
0-0,2
ND-4,2
0,5-6,4
4,4-11,9
300-600
4500-11300
2100-4600
2000-4100
Steroli Totali (mg/kg)
Colesterolo
Steroli Totali (mg/kg)
24
ND = Non Dosabile
(Fonte Codex Alimentarius, London meeting, 2003, February)
Vinaccioli
Mais
Palma
Oleina di Palma
Palmisti
Stearina di Palma
ND-0,5
0,2-0,6
2,6-6,7
2,6-6,7
0,6-3,7
2,5-5,0
ND-0,2
ND-0,2
ND
ND
ND-0,8
ND
7,5-14,0
16,0-24,1
18,7-27,5
12,5-39,0
8,4-12,7
15,0-26,0
7,5-12,0
4,3-8,0
8,5-13,9
7,0-18,9
12,0-16,6
9,0-15,0
64,0-70,0
54,8-66,6
50,2-62,1
45,0-71,0
62,6-73,1
50,0-60,0
1,0-3,5
1,5-8,2
ND-2,8
ND-3,0
1,4-9,0
ND-3,0
0,5-3,5
0,2-4,2
0,2-2,4
ND-3,0
ND-2,1
ND-3,0
0,5-1,5
0,3-2,7
ND-5,1
ND-6,0
ND-1,4
ND-3,0
ND-5,1
ND-2,4
ND
ND-10,4
ND-2,7
ND-5,0
2000-7000
7000-22000
300-700
270-800
700-1400
250-500
Sesamo
Soia
Girasole
Girasole alto
oleico
Girasole medio
oleico
0,1-0,5
0,2-1,4
ND-0,7
ND-0,5
0,1-0,2
0,1-0,2
ND-0,3
ND-0,2
ND-0,3
ND-0,1
10,1-20,0
15,8-24,2
6,5-13,0
5,0-13,0
9,1-9,6
3,4-12,0
14,9-19,1
6,0-13,0
4,5-13,0
9,0-9,3
57,7-61,9
47,0-60,0
50,0-70,0
42,0-70,0
56,0-58,0
6,2-7,8
1,5-3,7
ND-6,9
1,5-6,9
4,8-5,3
0,5-7,6
1,4-5,2
6,5-24,0
6,5-24,0
7,7-7,9
1,2-5,6
1,0-4,6
3,0-7,5
ND-9,0
4,3-4,4
0,7-9,2
ND-1,8
ND-5,3
3,5-9,5
5,4-5,8
4500-19000
1800-4500
2400-5000
1700-5200
25
Tabella 1.8 - Composizione dei tocoferoli e dei tocotrienoli degli oli e grassi differenti dall’oliva
Arachide
Babassu
Cocco
Cotone
α-tocoferolo
49-373
ND
ND-17
136-674
β-tocoferolo
Nd-41
ND
ND-11
ND-29
γ-tocoferolo
88-389
ND
ND-14
138-746
δ-tocoferolo
ND-22
ND
ND
ND-21
α-tocotrienolo
ND
25-46
ND-44
ND
γ-tocotrienolo
ND
32-80
ND-1
ND
δ-tocotrienolo
ND
9-10
ND
ND
170-1300
60-130
ND-50
380-1200
Palma
superoleina
Colza
Basso erucico
Cartamo
Cartamo
alto oleico
α-tocoferolo
130-240
100-386
234-660
234-660
β-tocoferolo
ND-40
ND-140
ND-17
ND-13
γ-tocoferolo
ND-40
189-753
ND-12
ND-44
δ-tocoferolo
ND-30
ND-22
ND
ND-6
α-tocotrienolo
170-300
ND
ND
ND
γ-tocotrienolo
230-420
ND
ND-12
ND-10
δ-tocotrienolo
60-120
ND
ND
ND
400-1400
430-2680
240-670
250-700
Totali
Totali
ND = Non Dosabile
26
(Fonte Codex Alimentarius, London meeting, 2003, February)
Vinaccioli
Mais
Palma
Palmisti
Oleina
di Palma
Stearina
di Palma
16-38
23-573
4-193
ND-44
30-280
ND-100
ND-89
ND-356
ND-234
ND-248
ND-250
ND-50
ND-73
268-2468
ND-526
ND-257
ND-100
ND-50
ND-4
23-75
ND-123
ND
ND-100
ND-50
18-107
ND-239
4-336
ND
50-500
20-150
115-205
ND-450
14-710
ND-60
20-700
10-500
ND-3,2
ND-20
ND-377
ND
40-120
5-150
240-410
330-3720
150-1500
ND-260
300-1800
100-700
Sesamo
Soia
Girasole
Girasole
alto oleico
Girasole
medio oleico
ND-3,3
9-352
403-935
400-1090
488-668
ND
ND-36
ND-45
10-35
19-52
521-983
89-2307
ND-34
3-30
2-19
4-21
154-932
ND-7
ND-17
ND-2
ND
ND-69
ND
ND
ND
ND-20
ND-103
ND
ND
ND
ND
ND
ND
ND
ND
330-1010
600-3370
440-1520
450-1120
509-741
27
Oli ottenuti dalle olive e loro caratteristiche
Nel caso degli oli ottenuti dalla lavorazione delle olive, la valutazione
dei parametri di purezza (genuinità) e di qualità ha portato inizialmente
alla definizione di ben 9 categorie di prodotto, secondo quanto previsto
dal Regolamento CEE 166/66 e ribadito nel 1991 dal Regolamento CEE
2568/91. Le 9 categorie sono elencate nella Tabella 1.9.
Tabella 1.9 - Categorie degli oli ottenuti dalla lavorazione delle olive
1
Olio extra vergine di oliva Direttamente commestibile
2
Olio di oliva vergine
Direttamente commestibile
Olio di oliva vergine
corrente
Olio di oliva commestibile, non
commercializzabile al dettaglio
(ABOLITO DALL’ 1/11/2003)
Olio di oliva lampante
Destinato alla raffinazione
Olio di oliva raffinato
Non commercializzabile al
dettaglio
Olio di oliva
Miscela di olio raffinato ed
olio vergine (o extra vergine)
diverso dal lampante
Olio di sansa di oliva
grezzo
Olio estratto con solvente,
tal quale, non direttamente
commestibile
Olio di sansa di oliva
raffinato
Olio derivante dal sansa grezzo,
sottoposto a raffinazione
Olio di sansa d’oliva
Miscela di olio di sansa raffinato
e di olio vergine diverso dal
lampante
3
Oli di oliva vergini, estratti
con mezzi meccanici
4
5
Oli raffinati, ottenuti da oli
vergini
6
7
8
9
Oli estratti con solventi
dalle sanse di oliva
28
In seguito (Reg. CEE 1513/2001) è stata eliminata la categoria “vergine
corrente” e quindi oggi le categorie sono 8.
“Cuore” del Reg. 2568 è una tabella chiamata “Allegato I” che riporta
una nutrita serie di caratteristiche ed i limiti per ciascuna di esse. A
livello di Unione Europea, i limiti e relativi metodi per verificarli
sono stabiliti mediante l’emanazione di Regolamenti e di Direttive: la
fondamentale differenza è che un Regolamento vale come legge in ogni
Paese membro dell’Unione, mentre una Direttiva per essere operativa
deve essere recepita dalla legislazione del Paese membro. In linea di
massima per quanto riguarda l’olio di oliva, si tratta di Regolamenti.
Nella storia della legislazione in materia di oli ottenuti dalla
lavorazione delle olive, in particolare per quanto riguarda le
caratteristiche compositive ed i relativi metodi di analisi utilizzati per
verificarle, c’è una data di partenza, a livello comunitario, ovvero il
30 settembre 1966, quando sulla Gazzetta Ufficiale venne pubblicato
il primo regolamento relativo all’attuazione di un’organizzazione
comune dei mercati nel settore dei grassi, denominato 136/66. Vale la
pena ricordare come all’epoca si parlasse di “Europa a 6”, della quale
non facevano parte né Grecia né Spagna e si può dunque dire che
l’unico paese produttore di olio da olive fosse l’Italia.
Nel 136/66, rimasto come regolamento base sino al 1998 per tutto ciò
che riguarda le sostanze grasse e dunque anche per gli oli ottenuti
dalla lavorazione delle olive, gli oli erano definiti in base all’acidità
libera ed alle caratteristiche organolettiche, definite “assolutamente
irreprensibili” per un olio extra vergine e via via meno “irreprensibili”,
sino a parlare apertamente di difetti per gli altri oli.
Una seconda data storica per il controllo di qualità degli oli ottenuti
dalla lavorazione delle olive è il 5 settembre 1991, quando la Comunità
emanava un regolamento (2568/91) relativo alle caratteristiche degli
oli ottenuti dalla lavorazione delle olive ed ai metodi di analisi
utilizzabili per verificarle. Anche se in seguito una serie di altri
regolamenti è intervenuta con differenti modifiche, il documento base
rimane questo.
Tutto ciò vale, naturalmente, all’interno del territorio dell’Unione
Europea, ma l’olivo è sempre stata una pianta mediterranea ed altri
Paesi che si affacciano sul mare Mediterraneo sono produttori di olio di
oliva ed esportatori verso i Paesi UE. Inoltre, poiché vi sono altri Paesi
quali Stati Uniti d’America, Canada, Australia che sono importatori,
esiste l’esigenza di avere regole comuni anche su questo scenario più
ampio. Queste regole sono stabilite dal Consiglio Oleicolo Internazionale
(COI) che ha sede a Madrid e cui aderiscono moltissimi Paesi, sia
produttori/esportatori che importatori. Il COI che è una emanazione
dell’ONU stabilisce una Norma Commerciale, per molti versi simile al
Regolamento CEE, che ha valore nei rapporti con in Paesi non UE.
La Norma Commerciale del COI viene rivista ed emendata se
necessario almeno una volta all’anno, in occasione delle Sessioni
Plenarie.
29
Se i parametri sono per lo più i medesimi, non così è per alcuni
limiti che sono differenti tra CEE e COI, cioè non sono, come si dice,
“armonizzati”. Ciò è in ampia misura legato al fatto che, abbracciando
il COI un bacino di produzione più vasto della UE (che essenzialmente
è limitato a Portogallo, Spagna, Italia e Grecia), deve tenere in
considerazione composizioni del prodotto che risentono della presenza
di condizioni climatiche e di varietà di olivo alquanto differenti da
quelle della parte settentrionale del bacino Mediterraneo. Infine, come
per tutti i prodotti alimentari, esiste un organismo a livello mondiale,
emanazione della FAO/OMS, denominato “Codex Alimentarius”,
che per quanto riguarda le sostanze grasse e non solo l’olio di oliva,
si riunisce ogni tre anni a Londra. Al Codex Alimentarius aderiscono
più di 200 Paesi.
Le norme del Codex Alimentarius nel 2003 dovrebbero diventare
norme di riferimento nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio (World Trade Organisation, WTO).
Nella Tabella 1.10 sono riportati i parametri previsti per l’olio extra
vergine di oliva da CEE, COI e Codex e vengono evidenziati i
parametri non armonizzati.
Tabella 1.10 - Parametri di composizione dell’olio extravergine di oliva stabiliti da tre differenti
fonti normative.
CEE 2568/91 CEE 1513/2001
30
Acidità (% acido oleico)
Numero di Perossidi
(meq O2/kg olio)
K270
ΔK
C14:0 (%)
C16:0 (%)
C16:1 (%)
C17:0 (%)
C17:1 (%)
C18:0 (%)
C18:1 (%)
C18:2 (%)
C18:3 (%)
C20:0 (%)
C20:1 (%)
C22:0 (%)
COI
CODEX
≤ 1,0
≤ 0,8
≤ 1,0
≤ 1,0
≤ 20
≤ 0,20
≤ 0,01
≤ 0,05
≤ 0,9
≤ 0,6
≤ 0,4
≤ 0,2
≤ 20
≤ 0,20
≤ 0,01
≤ 0,05
≤ 0,9
≤ 0,6
≤ 0,4
≤ 0,2
≤ 20
≤ 0,25
≤ 0,01
≤ 0,05
7,5 - 20,0
0,3 - 3,5
≤ 0,3
≤ 0,3
0,5 - 5,0
55,0 - 83,0
3,5 - 21,0
≤ 0,9
≤ 0,6
≤ 0,4
≤ 0,2
≤ 20
≤ 0,25
≤ 0,01
0,0 - 0,1
7,5 – 20,0
0,3 - 3,5
≤ 0,5
≤ 0,6
0,5 - 5,0
55,0 – 83,0
3,5 – 21,0
≤ 1,5
≤ 0,8
≤ 0,2
CEE 2568/91 CEE 1513/2001
C24:0 (%)
COI
CODEX
-
-
≤ 0,2
≤ 1,0
Colesterolo (%)
≤ 0,5
≤ 0,5
≤ 0,5
≤ 0,5
Brassicasterolo (%)
≤ 0,1
≤ 0,1
≤ 0,1
≤ 0,1
Campesterolo (%)
≤ 4,0
≤ 4,0
≤ 4,0
≤ 4,0
Stigmasterolo (%)
< CAMPE
< CAMPE
< CAMPE
< CAMPE
≤ 0,5
≤ 0,5
≤ 0,5
Δ - 7 –stigmastenolo (%)
Betasitosterolo +
Δ-5-avenaster +
Δ 5,23-stigmastadienolo +
clerosterolo + sitostanolo +
Δ5,24-stigmastadienolo (%)
≥93,0
≥93,0
≥ 93,0
≥ 93,0
Steroli totali (ppm)
≥ 1000
≥ 1000
≥ 1000
≥ 1000
Cere (ppm)
≤ 250
≤ 250
≤ 350
≤ 300
Acidi grassi saturi
in posizione 2
del trigliceride (%)
≤ 1,3
≤ 1,3
≤ 1,5
≤ 1,5
Eritrodiolo + uvaolo (%)
≤ 4,5
≤ 4,5
≤ 4,5
≤ 4,5
≤ 0,4
ECN 42 (HPLC - teorico)
≤ 0.2-
≤ 0.2-
≤ 0,2
Stigmastadieni (ppm)
≤ 0,15
≤ 0,15
≤ 0,10
R1
-
-
> 15
C18:1 T(%)
≤ 0,05
≤ 0,05
≤ 0,05
C18:2 + C18:3 T(%)
≤ 0,05
≤ 0,05
≤ 0,05
Acqua + sostanze volatili
(% m/m)
-
-
≤ 0,2
≤ 0,2
Punto di Fiamma
-
-
-
≥ 120°C
Ferro (ppm)
-
-
≤ 3,0
≤ 5,0
Rame (ppm)
-
-
≤ 0,1
≤ 0,4
Piombo (ppm)
-
-
-
≤ 0,1
Arsenico (ppm)
-
-
-
≤ 0,1
Solventi alogenati (ppm)
(ognuno)
≤ 0,10
≤ 0,10
≤ 0,1
≤ 0,1
Solventi alogenati (ppm)
(somma)
≤ 0,20
≤ 0,20
≤ 0,2
≤ 0,2
Numero di saponificazione
-
-
-
184 - 196
Numero di iodio
-
-
-
75 - 94
Insaponificabile (g/kg)
-
-
-
15
Indice di Bellier
-
-
-
≤ 17
Alcoli alifatici (ppm)
-
-
-
≤ 300
nD 20°C
-
-
-
1,4677 - 1,4705
31
Grassi di origine animale
I grassi di origine animale che interessano il settore dei prodotti da
forno sono essenzialmente due: il burro e lo strutto.
Il Burro
Il burro è costituito dalla materia grassa del latte, ottenuta mediante un
processo denominato di scrematura, ovvero di separazione della parte
grassa detta “crema”, seguita da un processo chiamato “inversione
delle fasi”, in cui dalla crema si giunge al burro vero e proprio.
In pratica, partendo dal latte, si realizza una progressiva concentrazione
della frazione grassa, con diminuzione proporzionale del non grasso
(residuo magro) e del contenuto di acqua, come si evince dalla Figura 1.2.
Figura 1.2 - Evoluzione del contenuto di acqua, grasso e residuo magro da latte a burro
Latte intero
Latte scremato
Crema
Crema
Crema
Burro
0
20
Acqua
40
Grasso
60
80
100
Residuo Magro
32
La prima fase (la scrematura) avviene anche spontaneamente nel latte
lasciato a sé in quanto il grasso, emulsionato nella matrice acquosa
sotto forma di globuli, tende lentamente ad affiorare a causa della
differenza di peso specifico. L’affioramento di per sé è un processo
teoricamente molto lento. Tuttavia, poiché la velocità dipende dalle
dimensioni dei globuli e queste aumentano a causa della coalescenza,
ovvero del fenomeno che porta più globuli di dimensioni ridotte a
riunirsi in globuli di maggior diametro, essa aumenta via via che il
processo prosegue. L’affioramento spontaneo rimane comunque un
processo abbastanza lento, durante il quale, peraltro, hanno luogo
importanti modificazioni, note come “maturazione della crema”, tra
le quali particolare importanza ha la fermentazione del citrato con
sviluppo di diacetile, sostanza responsabile del classico aroma del
burro.
La necessità di lavorare ingenti quantitativi di latte ha portato a cercare
mezzi per rendere più veloce la separazione della fase lipidica dal
latte. Sempre tenendo in considerazione la differenza di peso specifico
e di densità, si è quindi applicata la tecnologia della centrifugazione e
quindi, oggi, si producono creme di centrifugazione. Poiché il processo
è troppo veloce per consentire contemporaneamente la maturazione
della crema, quest’ultima necessita poi di un periodo di maturazione.
Le principali differenze tra una crema di centrifuga ed una di
affioramenbto sono riportate nella Tabella 1.11.
Tabella 1.11 - Comparazione tra la composizione della crema di affioramento e di centrifuga
H2O
Grasso
Estratto Secco
Affioramento
Centrifuga
71 %
22 %
7%
61 %
34 %
5%
La crema, tuttavia, non è ancora burro in quanto in essa la struttura
fisica del grasso è ancora quella del latte, ovvero è ancora una
emulsione di grasso in acqua, sia pure con un ridotto contenuto di
acqua; essa quindi non è un prodotto di per sé stabile dal punto di vista
microbiologico e a tal fine va sottoposta a trattamenti di risanamento
e stabilizzazione.
Il passaggio da crema a burro avviene durante la cosiddetta “inversione
delle fasi” in cui l’emulsione grasso in acqua viene destabilizzata per
azione meccanica in modo da realizzare la fuoriuscita del grasso dai
globuli, con conseguente ulteriore separazione di acqua (il “latticello”).
Si ottiene infine un’emulsione di acqua in grasso.
Il burro risulta stabile in quanto presenta un ridotto tenore di acqua
e l’acqua rimasta è microdispersa in particelle di dimensioni tali
da non essere compatibili con lo sviluppo microbico. A norma di
legge il burro deve contenere non meno dell’82% di materia grassa
e non più del 16% di acqua. Il burro, seppur stabile nei confronti
dello sviluppo microbico, va conservato in regime di refrigerazione
33
34
per evitare lo sviluppo dei processi ossidativi. Infatti, se da un lato
la sua composizione in acidi grassi risultando ricca di acidi grassi
saturi rendendolo meno suscettibile di ossidazione rispetto agli oli
vegetali, dall’altro lato esso è totalmente privo di sostanze ad azione
antiossidante ed espone all’aria una superficie particolarmente estesa
(si veda capitolo 1.1 e 1.4). Va ricordato che un difetto tipico del burro
è il cosiddetto “difetto di luce”, dovuto a fenomeni di irrancidimento
causati dall’esposizione alla luce.
Le caratteristiche di genuinità e qualità del burro sono normate dal
Reg. (CE) 213/2001 che prevede, tra l’altro, anche la realizzazione di
un saggio organolettico. Le caratteristiche di base che vengono valutate
sono: aspetto, consistenza e gusto, valutate su una scala da 0 a 5, con
un valore minimo di 4 per garantire l’accettabilità del prodotto. Nella
Tabella 1.12 sono riportati i difetti del burro previsti dal Reg. 213.
Un prodotto particolare è il cosiddetto “burro concentrato” o “anidro”,
che deriva dalla necessità della UE di realizzare lo smaltimento a
prezzo ridotto del burro d’intervento. A tal fine, il burro conferito,
prima di essere destinato al consumo, viene concentrato sino ad un
tenore elevatissimo di grasso (99,8%) e contestualmente addizionato di
“rivelatori” che permettono di verificarne la corretta utilizzazione finale
ed assicurare la parità di trattamento di tutti gli operatori partecipanti.
I rivelatori utilizzati sono steroli (stigmasterolo), vanillina, trigliceride
dell’acido enantico o un estere dell’acido carotenico.
Il burro concentrato riveste particolare interesse per il settore dei
prodotti da forno in quanto esso, così come la corrispondente crema
è esplicitamente destinato alla fabbricazione di prodotti di pasticceria
e gelati, oltre che ad altri prodotti alimentari (Reg. CE 2571/97, GUCE
L350 del 20.12.1997).
Tabella 1.12 - Nomenclatura dei difetti del burro
Aspetto
1. Acquoso, goccioline
d’acqua evidenti
2. Colore non
uniforme, due
colori
3. Striata
4. Screziato,
marezzato
5. Chiazzato
6. Separazione d’olio
7. Colore eccessivo
8. Poroso
9. Granuloso
10. Materiale
estraneo
11. Muffa
12. Sale non disciolto
Consistenza
14. Corta, fragile, friabile
15. Pastosa, untuosa, molle
16. Appiccicosa
17. Dura
18. Molle
Gusto
20. Mancanza
d’aroma,insipido
21. Impuro (1)
22. Gusto estraneo
23. Stantio
24. Sapore di formaggio, di
formaggio acido
25. Acido
26. Sapore di lievito
27. a) Sapore di cotto
b) Sapore di bruciato
28. Sapore di muffa
29. Rancido
30. Oleoso, di pesce
31. Sapore di sego
32. a) Sapore di ossidato
b) Sapore metallico
33. Sapore di foraggio
34. Acre, amaro
35. Eccessivamente salato
36. Ammuffito, marcio
37. Sapore di malto
38. Sapore di prodotti
chimici
Lo strutto
Lo strutto è ottenuto dal tessuto adiposo del maiale che viene separato
dalle altre parti mediante colatura a caldo. Allo scopo, i tessuti adiposi,
che contengono il grasso, vengono riscaldati in acqua, in genere sotto
35
pressione, e successivamente raffreddati: in questo modo si ottiene la
rottura delle cellule del tessuto adiposo e la fuoriuscita del grasso. La
fase liquida che si ottiene è grasso e la fase solida è costituita da un
residuo proteico. Le due fasi vengono separate per centrifugazione o
per pressione. Con questo procedimento si ottiene il cosiddetto strutto
Extra, che non richiede una successiva raffinazione, mentre la frazione
sottoposta a raffinazione viene denominata strutto di I e II qualità.
Lo strutto Extra si presenta come un grasso di colore bianco, la
cui composizione in acidi grassi è caratterizzata da una elevata
concentrazione di acido palmitico (24%) ed acido stearico (13 %),
accanto alla caratteristica presenza di tracce di acidi grassi ramificati.
Una peculiarità della composizione dello strutto è la presenza
in posizione 2 del trigliceride di elevate concentrazioni di acido
palmitico, contrariamente a quanto accade nel caso di oli e grassi
vegetali. Nonostante l’elevata concentrazione di acidi grassi saturi, lo
strutto è relativamente esposto ad ossidazione a causa della assenza di
antiossidanti.
I grassi modificati
Le necessità tecnologiche unite talvolta alla non costante reperibilità
sul mercato dei grassi, alle loro non costanti caratteristiche chimicofisiche, nonchè a considerazioni di natura economica, hanno
orientato la ricerca del settore agro alimentare verso la possibilità
di modificare grassi esistenti in natura in modo da renderli più
“adatti” alle esigenze della produzione di alimenti. Sono nati così
i “grassi modificati” che sono ottenuti da sostanze grasse naturali
intervenendo per via chimica o chimico-fisica in modo da modificare
talune loro caratteristiche. Tra questi si annoverano le margarine.
Le margarine
36
La margarina fu “inventata“ nel 1866, quando il Direttorio
francese bandì un concorso per la ricerca di una sostanza grassa
alimentare, alternativa al burro, che potesse soddisfare le necessità
di approvvigionamento dell’esercito. Tre anni dopo, Mège Mouries
brevettò una emulsione di latte scremato e di grassi animali che
denominò “margarina” e che presentava soddisfacenti proprietà
sensoriali e di stabilità. La formulazione di Mege Mouries è
schematizzata nella Figura 1.3. Nel 1871, il brevetto fu acquistato da
tale Jurgens che lo rivendette all’olandese Van Den Bergh.
Figura 1.3 - Procedimento Mege Mouries per la fabbricazione della margarina (1869)
Procedimento Mege Mouries
Grasso bovino
Lavaggio
Depurazione
Cristallizzazione
30 °C
Filtrazione
Pressatura
Fase liquida
Fase solida
Latte magro
Emulsionamento
Prodotto finito
37
38
E’ palese come la formulazione di Mege Mouries sia assolutamente
distante dal concetto che abbiamo oggi di “margarina”. A norma della
vigente legislazione, la margarina deve essere costituita da non meno
del 80-85% di fase grassa e non più di 16% di acqua. Sono ammesse le
formule vegetali monoseme oppure quelle ricche di polinsaturi, mentre
la formula per pasticceria prevede, ad esempio, la presenza di sego,
palma indurito, olio di semi indurito ed olio liquido. Vengono inoltre
utilizzati nella formulazione delle margarine componenti secondari
(per quantità, non certo per il ruolo svolto) quali lecitine, monogliceridi
(emulsionanti), acido sorbico (antimicrobico), aromi e coloranti.
La moderna fabbricazione delle margarine si è completamente
allontanata dalla formulazione del 1869 e la modifica delle
caratteristiche fisiche (reologiche) del prodotto è stata ottenuta con un
intervento drastico sulla composizione chimica.
Come ricordato nel capitolo 1.1, gli acidi grassi saturi risultano in
genere concreti alla temperatura ambiente, è quindi pensabile che
realizzando la “saturazione” dei doppi legami si possano ottenere
grassi concreti partendo da oli fluidi.
Il processo di fabbricazione realizza esattamente questo: la
“saturazione” dei doppi legami si ottiene inserendo nella molecola
degli acidi grassi ulteriori atomi di idrogeno. Il processo, noto come
“idrogenazione”, richiede un’elevata dose di energia. Per ridurre
l’energia necessaria, si impiegano dei “catalizzatori” che sono in grado
di fissare momentaneamente le molecole degli acidi grassi insaturi in
posizione tale da potere essere maggiormente suscettibili alla reazione
con idrogeno gassoso. La presenza di idrogeno gassoso fa intuire
come questa non sia assolutamente una “mild technology”, ma richieda
condizioni drastiche: si lavora sottopressione, ad elevate temperature
(150°C) ed in presenza di catalizzatori metallici.
In caso di insufficiente pressione parziale dell’idrogeno (in passato
dovuta a problemi di resistenza alla pressione dei reattori, oggi ad
eventuale riduzione dell’efficienza del catalizzatore), la reazione di
idrogenazione non si completava ed anzi regrediva, con conseguente
nuova formazione del doppio legame, ma anche con conseguente
sua isomerizzazione da configurazione cis (normalmente presente in
natura) a configurazione trans (assolutamente rara in natura).
Le margarine commercializzate sino alla fine degli anni ’70
presentavano contenuti di isomeri trans non trascurabili. Si pensi che
all’epoca la Food and Drug Administration ammetteva per le margarine,
cosiddette industriali, un limite di isomeri trans “non superiore al 50%
degli acidi grassi insaturi”!
In seguito a ricerche di carattere tossicologico e di fisiologia della
nutrizione si dimostrò la non idoneità di massicce introduzioni di
isomeri trans con la dieta (si veda capitolo 3.1). Nel frattempo, la
tecnologia di produzione dei catalizzatori ed il livello di sicurezza
degli impianti erano migliorati e si riuscì a ridurre sensibilmente il
contenuto di isomeri trans.
L’idrogenazione rimaneva comunque un approccio pesante e peraltro
difficilmente controllabile, rendendo non agevole la produzione di
grassi con un intervallo di punti di fusione e quindi di contenuto di
grasso solido adeguato alle esigenze di una industria alimentare in
continua evoluzione.
Venne allora introdotta l’interesterificazione, tecnologia che invece
di modificare la struttura chimica degli acidi grassi provvede a
ridistribuirli nei trigliceridi, eventualmente utilizzando più di una
fonte lipidica, ad esempio utilizzando olio di soia (altamente fluido a
temperatura ambiente) e grasso di palma (completamente concreto a
temperatura ambiente): la ridistribuzione degli acidi grassi delle due
sostanze grasse nei rispettivi trigliceridi porta ad una sostanza grassa
”nuova”, il cui livello di “concretezza” dipenderà dalla percentuale
relativa di acidi grassi saturi, quindi concreti, nei trigliceridi.
Con questa tecnologia, è stato possibile ottenere a temperatura
moderata ed in presenza di catalizzatori metallici “semplici” miscele
di trigliceridi con un intervallo di percentuale di grasso solido molto
ampio, tale da potere facilmente essere frazionato per cristallizzazione
e fornire frazioni utili alle differenti esigenze della moderna industria
alimentare (si pensi ai numerosi prodotti spalmabili o in tubetti). Un
altro approccio realizza la sintesi dei trigliceridi utilizzando enzimi
(lipasi) di origine fungina immobilizzati su membrane.
39
1.3 Controlli analitici
Sin qui, si sono citati molti parametri di composizione, riferibili
alla valutazione della purezza e della qualità degli oli e dei grassi,
vediamo ora di comprenderne il significato. Nella Tabella 1.13 sono
elencati i parametri previsti dalla CEE e per ognuno di essi è riassunto
il significato.
Innanzitutto, per produrre un olio di oliva, che sia extra vergine e di
buona, anzi ottima qualità, si deve partire da una materia prima di
eccellente qualità. La qualità delle olive può essere influenzata da molti
fattori quali ad esempio il clima, la piovosità, la siccità e gli attacchi di
parassiti, ma oltre a ciò, purtroppo anche l’uomo può in ampia misura
concorrere ad abbassarne la qualità, con pratiche non corrette.
La degradazione della struttura del frutto, ad esempio, può fare sì che
40
Gas-cromatografo dotato di campionatore automatico
gli enzimi in esso presenti, a causa della rottura delle cellule e delle
membrane cellulari, vengano a contatto con l’olio. Ciò non avviene nel
frutto integro poichè l’olio è contenuto nei “vacuoli”, piccoli serbatoi
isolati dalle regioni della cellula che contengono gli enzimi. Tra gli
enzimi presenti, vi è una categoria in grado di scindere la molecola del
trigliceride nei suoi componenti: si tratta delle lipasi, che producono
acidi grassi liberi. Le lipasi possono essere anche prodotte dalle larve
di un insetto che deposita le sue uova all’interno della drupa dell’olivo
(la mosca dell’olivo). Di qualsiasi origine siano, esse portano ad un
olio con un elevato contenuto di acidi grassi liberi che non influenzano
le caratteristiche organolettiche dell’olio perché, come si è già detto,
questi acidi a lunga catena di atomi di carbonio non sono in grado di
“attivare” i nostri recettori per il gusto acido, tuttavia testimoniano una
cattiva qualità delle olive di partenza. Inoltre, altri enzimi, “ossidasi”,
in grado di ossidare gli acidi grassi sono particolarmente attivi nei
confronti degli acidi grassi liberi.
Un olio di elevata acidità, quindi può derivare da olive che hanno subito
un forte attacco di mosca, così come da olive che si sono degradate, per
esempio in seguito ad un prolungato stoccaggio prima della molitura.
Inoltre, se lo stoccaggio è effettuato in condizioni critiche, come ad esempio
cumuli di frutti di spessore elevato, si possono instaurare fenomeni
fermentativi in grado di conferire all’olio sapori ed odori sgradevoli, noti
come “riscaldo” ed “avvinato”. Stoccaggio a parte, anche le olive raccolte da
terra, invece che staccate dall’albero, possono facilmente presentare livelli
di degradazione tali da innalzare l’acidità dell’olio estratto.
Un olio troppo acido rientra nella categoria degli oli “lampanti” che
cioè non sono adatti al consumo diretto ma devono essere raffinati. Il
limite previsto dalla normativa per l’acidità di un olio extra vergine
è stato mantenuto per molti anni pari a 1.0 % e recentemente è stato
abbassato a 0.8 % con l’intento di migliorare la qualità degli oli offerti
al consumatore. Oli di ottima qualità hanno in genere valori di acidità
inferiori o eguali a 0.5 - 0.6 %.
Le considerazioni fatte qui sono particolarmente dedicate agli oli
ottenuti dalle olive, ma per quanto riguarda le caratteristiche di
qualità, esse sono trasferibili anche alle altre sostanze grasse.
Un altro parametro di qualità molto importante è il cosiddetto “numero
di perossidi” che è in relazione allo stato d’ossidazione degli oli.
In realtà, è un parametro che ne dà una valutazione assolutamente
parziale, prendendo in considerazione solo i primi prodotti che si
formano durante la ossidazione. Tuttavia è per ora l’unico parametro
standardizzato, in quanto a seconda delle condizioni nelle quali la
41
42
reazione ha luogo, si possono formare prodotti di ossidazione differenti.
Il numero di perossidi esprime quindi un giudizio sullo stato di
conservazione dell’olio e non tanto della materia prima: un olio vecchio
o conservato male manifesta un valore elevato di numero di perossidi,
il cui limite è stato fissato pari a 20 milliequivalenti di ossigeno attivo
per kg di olio (meqO2/kg). E’ a dire il vero un limite piuttosto elevato
e sicuramente gli oli di ottima qualità si posizionano ben al di sotto
di questo valore. Un olio appena franto da olive integre ha valori di
numero di perossidi usualmente inferiori a 10 meqO2/kg.
I valori di assorbimento della luce ultravioletta, come si è detto, sono in
relazione alla presenza di doppi legami coniugati. Questi si formano in
genere nella fase di raffinazione in cui si eliminano i colori indesiderati.
Tuttavia, anche nella fase di irrancidimento si formano composti che
contengono doppi legami coniugati, in questo caso, i parametri di
estinzione specifica a 232 nm e 270 nm (K232 e K270) possono essere
posti in relazione alla freschezza dell’olio. Questo è un esempio di
parametro non armonizzato tra UE e COI: nel caso di K270, il limite
è stato armonizzato tra UE e COI ed è pari a 0,22, mentre per quanto
riguarda K232, il COI non lo prevede e quindi non fissa alcun limite.
Un valore elevato dell’assorbimento nell’ ultravioletto serve a mettere in
evidenza una eventuale commistione di olio vergine con olio raffinato,
in questo senso è quindi un parametro di purezza (genuinità). Tuttavia esso
potrebbe anche dipendere dalla presenza di prodotti di ossidazione: in
questo caso costituisce un parametro di qualità. Analiticamente, è possibile
discriminare tra i differenti motivi che hanno portato questo valore al di
fuori dei limiti previsti dalla legge.
La composizione degli acidi grassi viene determinata con una tecnica
analitica denominata gas cromatografia: in poche parole, essa consiste
nel liberare gli acidi grassi dai trigliceridi a cui sono legati, trasformarli
in modo da renderli volatili nelle condizioni adottate per l’analisi
ed iniettarli nel gas cromatografo. Qui essi vengono portati in fase
vapore e come tali transitano attraverso una colonna che contiene
una particolare sostanza (un polimero) che è in grado di interagire
in maniera differente con i differenti acidi grassi: gli acidi grassi che
interagiscono poco o niente con questa sostanza attraverseranno la
colonna più velocemente di quelli che invece interagiscono con essa e
quindi il risultato sarà che i differenti acidi grassi verranno separati gli
uni dagli altri, rendendone possibile il relativo dosaggio.
Dosarli è importante in quanto il contenuto relativo (percentuale)
degli acidi grassi è “codificato” dalla biochimica del vegetale da cui
l’olio è stato estratto e la biochimica delle singole piante dipende
dalla loro appartenenza a questa o a quella famiglia botanica. In
altre parole, gli acidi grassi consentono di risalire all’origine botanica
dell’olio e, dunque, discriminando tra un olio di oliva ed uno di semi,
costituiscono un parametro di purezza (genuinità). Nella Figura 1.4 è
riprodotto il tracciato che si ottiene mediante gas cromatografia dalla
analisi degli acidi grassi di un olio di oliva vergine: le dimensioni dei
picchi sono proporzionali alla concentrazione dei relativi acidi grassi.
I limiti posti dalla Unione Europea riguardano quegli acidi grassi che
si conservano “traccianti” della presenza di determinati oli. Negli oli
di semi, l’acido linolenico (C18:3) rappresenta circa l’ 8 % del totale
degli acidi grassi, mentre negli oli di oliva non è mai superiore allo 0,9
%, anche se negli ultimi anni, la comparsa sul mercato di oli di origine
marocchina ha posto il problema della esistenza di oli di sicura origine
con un contenuto di acido linolenico intorno all’ 1%.
Elevate quantità di acido eicosenoico (C20:1) e di acido beenico (C22:
0) sono anch’esse traccia della presenza di altri oli, quali soia e colza,
mentre se sono accompagnati da rilevanti quantità di acido lignocerico
(C24:0) allora attestano la presenza di olio di arachide.
La legislazione della Unione Europea non prevede limiti per il
contenuto di acido oleico in considerazione della variabilità di questo
dato. Infatti, pur essendo l’acido grasso predominante
della composizione in acidi grassi degli oli ottenuti dalle olive, esso
può oscillare da poco meno del 60 % a più del 70 % del totale degli acidi
grassi, dipendendo, tra l’altro, dalle condizioni ambientali nelle quali è
stato coltivato l’olivo. E’ noto che in genere oli di regioni caratterizzate
da un clima particolarmente caldo, come ad esempio il Nord Africa,
presentino livelli inferiori di acido oleico e superiori di acido linoleico
rispetto a quelli di regioni a clima più freddo.
Tabella 1.13 - Significato di alcuni parametri compositivi previsti dal Reg. CEE 2568/91
e successive modificazioni
Parametro Analitico
Limite CEE
Significato
Acidità (% acido oleico)
≤ 0,8
Numero di Perossidi
(meq O2/kg olio)
≤20
K232
≤ 2.40
Dipende dall’idrolisi dei trigliceridi: è
principalmente funzione dello stato di
conservazione della materia prima
E’ un indice correlato allo stato di ossidazione
dell’olio, dipende da cattiva conservazione dello
stesso
Rappresenta l’assorbimento dei dieni coniugati,
che possono essere presenti per raffinazione o
in seguito ad ossidazione dell’olio
(continua)
43
Tabella 1.13 - Significato di alcuni parametri compositivi previsti dal Reg. CEE 2568/91 e successive
modificazioni (segue)
Parametro Analitico
Limite CEE
Significato
K270
≤ 0,22
Rappresenta l’assorbimento dei trieni coniugati,
che possono essere presenti per raffinazione o
in seguito ad ossidazione dell’olio
ΔK
≤ 0,01
Rappresenta l’entità della assorbanza a 270 nm
rispetto alla curva di assorbanza nell’ UV, un
valore elevato indica presenza di oli raffinati
C14:0 (%)
≤ 0,05
Un valore elevato indica la presenza di oli di semi
C18:3 (%)
≤ 1,0
Un valore elevato indica la presenza di oli di
semi, in particolare soia o colza
C20:0 (%)
≤ 0,6
Un valore elevato indica la presenza di oli di
semi, in particolare soia, colza o arachide
C20:1 (%)
≤ 0,4
Un valore elevato indica la presenza di oli di
semi, in particolare soia o colza
C22:0 (%)
≤ 0,2
Un valore elevato indica la presenza di oli di
semi, in particolare colza o arachide
C24:0 (%)
≤ 0,2-
Un valore elevato indica la presenza di oli di
semi, in particolare arachide
Colesterolo (%)
≤ 0,5
Un valore elevato indica miscelazione con grassi
estranei (anche vegetali, es frazionato di palma)
Brassicasterolo (%)
≤ 0,1
Un valore elevato indica la presenza di oli di
semi, in particolare soia o colza
Campesterolo (%)
≤ 4,0
Un valore elevato indica la presenza di oli di
semi
Stigmasterolo (%)
< CAMPE
Negli oli di semi, campesterolo e stigmasterolo
sono spesso equivalenti
Δ - 7 –stigmastenolo (%)
≤ 0,5
Un valore elevato indica la presenza di olio di
girasole o di cartamo, anche ad alto oleico
Betasitosterolo +
≥ 93,0
Δ-5avenasterolo.+ Δ
5,23stigmastadienolo
+ clerosterolo
+ sitostanolo +
Δ5,24stigmastadienolo (%)
Un valore basso può indicare la miscelazione
con oli di semi
Steroli totali (ppm)
≥ 1000
Un valore basso può essere indice di
commistione con oli di semi “desterolati”
Eritrodiolo + uvaolo (%)
≤ 4,5
Un valore elevato può essere indice di
commistione con oli estratti con solvente
(sansa)
Cere (ppm)
≤ 250
Un valore elevato può essere indice di
commistione con oli estratti con solvente (sansa)
44
(continua)
Tabella 1.13 - Significato di alcuni parametri compositivi previsti dal Reg. CEE 2568/91 e successive
modificazioni (segue)
Parametro Analitico
Limite CEE
Acidi grassi saturi
≤ 1,3
in posizione 2 del
trigliceride(%)
ECN 42 (HPLC - teorico) ≤ 0.2Stigmastadieni (ppm)
≤ 0,15
C18:1 T(%)
≤ 0,05
C18:2 + C18:3 T(%)
≤ 0,05
Significato
Un valore elevato può indicare la presenza di oli
esterificati, nei quali i trigliceridi siano ottenuti
per sintesi chimica tra glicerina ed acidi grassi
Un valore elevato indica la presenza di oli
differenti dall’oliva, anche ad elevato contenuto
di acido oleico
Derivano da modificazioni degli steroli: un
valore elevato indica la presenza di oli raffinati,
eventualmente desterolati
I trans isomeri si formano in raffinazione: un
valore elevato indica la presenza di oli raffinati,
ev. desterolati
I trans isomeri si formano in raffinazione: un
valore elevato indica la presenza di oli raffinati,
ev. desterolati
Figura 1.4 - Analisi gas cromatografica con colonna capillare (SP 2340, 30 m) degli acidi grassi
(come esteri metilici) di un olio di oliva vergine. Identificazione dei picchi: 1 = ac. Palmitico
(C16:0), 2 = Ac. Palmitoleico (C16:1), 3 = ac. Stearico (C18:0); 4 = Ac. Oleico (C18:1); 5 = ac.
Linoleico (C18:2); 6 = Ac. Eicosanoico (C20:0); 7 = ac Linolenico (C18:3); 8 = Ac. Eicosenoico
(C20:1), 9 = ac. Beenico (C22:0)
45
46
Gli acidi grassi che contengono nella loro molecola uno o più doppi
legami, se sottoposti a processi tecnologici che prevedono trattamenti
in ambiente acido, come avviene nel corso della raffinazione degli oli,
possono sottostare a modificazioni note come isomerizzazioni cistrans. L’analisi gas cromatografica degli acidi grassi mette in evidenza
la presenza di questi isomeri trans; il limite stabilito è pari allo 0.05%
del totale degli acidi grassi. In realtà in un olio non sottoposto a
raffinazione non c’è alcun motivo che giustifichi la presenza di
isomeri trans, tuttavia non si è posto un limite pari a zero in quanto,
da un punto di vista analitico, si deve sempre tenere conto dell’errore
analitico.
Il limite di legge di 0.5 % previsto per il colesterolo ha la funzione
di porre in evidenza la presenza di oli vegetali che contengano,
accanto ai fitosteroli, tracce di una certa importanza di colesterolo,
nella fattispecie olio di palma o sue frazioni. Sfruttando le differenti
temperature di cristallizzazione, infatti, si riescono ad ottenere frazioni
di olio di palma ricche in acido oleico e quindi simili per composizione
agli acidi grassi all’olio di oliva anche se sono caratterizzate dalla
presenza di colesterolo.
Il campesterolo è in genere contenuto in quantità elevate negli oli di
semi: l’olio di colza ne contiene intorno al 30 %. Quindi un’aggiunta di
questo all’olio di oliva anche in ragione del 10% potrebbe facilmente
essere posta in evidenza. Negli oli di girasole, anche in quelli ottenuti da
ibridi ad elevato contenuto di acido oleico, il campesterolo rappresenta
intorno al 10% del totale degli steroli, così come nell’olio di soia.
Negli oli ottenuti dalle olive, il campesterolo è sempre inferiore al
valore di 4.0%, almeno per oli ottenuti da olive sane e raccolte a giusta
maturazione staccandole dall’albero: esistono oli con un contenuto
di campesterolo superiore al 4%, ma si tratta di oli estratti da olive
surmature o raccattate da terra anziché staccate dall’albero. In queste
condizioni, la fisiologia del frutto cambia, entrando in quella fase
denominata “post raccolta” in cui i normali processi biochimici
si modificano, avvenendo in realtà in una materia vivente che sta
morendo.
Lo sterolo predominante negli oli ottenuti dalle olive è il β-sitosterolo
per il quale la UE ha stabilito il limite come superiore o eguale al 93.0
% del totale degli steroli. Quando fu stabilito questo limite, tuttavia,
le tecniche analitiche disponibili non consentivano la completa
separazione di questo sterolo da alcuni altri. Per questo motivo, oggi il
limite del 93% è mantenuto, ma viene applicato alla somma di 6 steroli
tra i quali compare anche il β-sitosterolo. Valori inferiori al limite
vengono attribuiti a miscelazione con oli di semi, che contengono
quantità relative di β-sitosterolo inferiori al 93%, anche se per questo
sterolo valgono le considerazioni fatte sullo scostamento dal limite per
il campesterolo.
Dal residuo solido dell’estrazione dell’olio dalle olive viene estratto
l’olio residuo mediante solventi: in questo caso l’olio viene denominato
olio di sansa grezzo. Esso viene sottoposto a raffinazione e, miscelato
ad un olio vergine, viene commercializzato sotto la denominazione di
“olio di sansa di oliva”. L’olio estratto dalle sanse è caratterizzato dalla
presenza di componenti detti eritrodiolo ed uvaolo della cui origine
si è già detto. La somma di eritrodiolo e di uvaolo rispetto agli steroli
negli oli ottenuti dalle olive con mezzi meccanici (ovvero gli oli vergini
e gli oli di oliva) non è mai superiore al valore di 4.5%, mentre negli
oli ottenuti dalle sanse arriva al 30%; piccole quantità sono presenti
nell’olio di vinaccioli, in cui derivano sempre dalle bucce della bacca
dell’uva.
Analogamente, il contenuto di cere è in rapporto alla presenza di oli
estratti dalle sanse di oliva: in questi oli il contenuto di cere raggiunge
livelli più di 10 volte superiore a quello dei normali oli vergini. Le
cere sono quindi importanti dal punto di vista della definizione della
purezza, non della qualità del prodotto: un contenuto di cere entro
i limiti di legge attesta comunque che il prodotto appartiene, sulla
base di questo parametro, alla categoria degli oli vergini. Tuttavia, un
contenuto più o meno elevato, purchè entro i limiti, non fornisce al
consumatore nessun parametro utile per scegliere o meno un olio in
base alla qualità.
La disponibilità sul mercato di oli con composizione degli acidi grassi
praticamente identica a quella degli oli ottenuti dalle olive e privati
degli steroli ha indirizzato le analisi per la valutazione della genuinità
(purezza) verso la determinazione della composizione dei trigliceridi.
In questo caso in realtà si calcola quale sarebbe il contenuto teorico
di una particolare categoria di trigliceridi, globalmente indicati con il
termine di ECN 42 partendo dalla composizione degli acidi grassi e
poi si valuta quale sia lo scostamento tra questo dato teorico ed il dato
ottenuto sperimentalmente. Se il valore è superiore a 0.2 si deduce la
miscelazione con oli di differente origine, anche se la composizione
degli acidi grassi era in accordo con i limiti previsti per un olio di
oliva.
La validità del metodo e del relativo limite è basata sulle differenze dei
meccanismi biochimici che sono alla base della sintesi dei trigliceridi,
che sono differenti nel tessuto dei semi ed in quello dei frutti.
47
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Tra i parametri riportati per la prima volta nel Reg. 2568/91, compare
l’analisi sensoriale. In realtà, anche se la valutazione organolettica
degli oli vergini di oliva era già eseguita da esperti assaggiatori,
nel 1978, gli studi fondamentali di Olias ed altri in Spagna, e di
Montedoro, Camurati e Solinas, in Italia, gettarono le basi per un
approccio scientifico all’analisi sensoriale degli oli vergini di oliva.
Il COI adottò il metodo per la valutazione organolettica dell’olio
di oliva nel 1987 ed il medesimo metodo venne adottato dalla CEE
nel 1991. Il metodo fu denominato panel test ed era basato sulla
classificazione dei campioni, ottenuta in base ad una scala di 9 punti,
mediante un foglio di profilo standardizzato.
Il tipo di foglio di profilo utilizzato, anche se estremamente dettagliato,
costrinse la CEE ad introdurre un bonus pari a 1.5 punti, da ridurre di
0.5 punti all’anno nell’arco di tre anni in quanto un elevato numero di
campioni di oli di oliva sicuramente genuini e di qualità non venivano
riconosciuti tali da questo metodo.
Al termine dei tre anni, la CEE ha tuttavia dovuto mantenere un bonus
di 1 punto. Nel frattempo, il COI ha lavorato alacremente sul metodo
ed oggi è disponibile un nuovo metodo di valutazione organolettica.
Il nuovo metodo, ormai giunto alla quinta sperimentazione circolare
con un numero elevato di gruppi di assaggiatori (una ventina) ha
dimostrato ottime caratteristiche di affidabilità. A partire dal 2002, la
CEE ha sostituito il metodo sino ad oggi utilizzato con quello messo a
punto dal COI.
Nel caso del burro, i parametri che vengono valutati ai fini della
genuinità sono relativi alla verifica della presenza di grassi estranei,
quali sego e strutto.
Storicamente, la valutazione della purezza era affidata alla verifica
della conformità di alcuni rapporti caratteristici tra acidi grassi tipici
del burro, in particolare tra acido butirrico e somma tra acido caprinico
e acido caprilico, tra acido miristico ed acido laurico, tra acido laurico
ed acido caprico e tra acido oleico ed acido stearico. Questi parametri
sono oggi destituiti di validità in quanto la mutata alimentazione delle
bovine ha modificato i livello di acidi a diciotto atomi di carbonio nel
latte.
Un approccio più affidabile e che è stato inserito nel Reg. (CE) 213 /
2001 è risultato una particolare analisi dei trigliceridi che ha fissato
una serie nutrita di rapporti tali da consentire la messa in evidenza con
differenti oli e grassi.
1.4 Stabilità e modalità di magazzinaggio
L’irrancidimento di una sostanza grassa può essere definito come
la formazione di odori e sapori sgradevoli (off-flavours) che ne
compromettono la qualità sia dal punto di vista sensoriale che
nutrizionale. Questo fenomeno può avvenire sia a carico di un olio o
di un grasso tal quali, sia quando essi siano presenti come ingredienti
in un alimento complesso, quale un prodotto da forno. La formazione
di composti sgradevoli è legata a tutta una serie di reazioni chimiche
che avvengono nel grasso e, a seconda del tipo di reazioni coinvolte, si
distinguono due tipi di rancidità: idrolitica e ossidativa.
Rancidità idrolitica
Le sostanze grasse sono costituite per il 95-98 % da trigliceridi che sono
degli esteri degli acidi grassi con la glicerina. Nelle reazioni di idrolisi
si ha la rottura del legame estere con la conseguente liberazione di
acidi grassi liberi. Queste reazioni avvengono in presenza di acqua
e sono catalizzate da vari fattori quali: enzimi (lipasi), già presenti
nell’alimento o rilasciati da microorganismi; un ambiente acido o
basico. Sebbene la rancidità idrolitica sia importante per quanto
riguarda le caratteristiche sensoriali di un prodotto, non rappresenta
un problema dal punto di vista nutrizionale, in quanto i trigliceridi
vengono comunque idrolizzati nell’organismo umano prima
dell’assorbimento. In qualche caso una parziale idrolisi è addirittura
desiderata per lo sviluppo di aromi particolari. Lo sviluppo di offflavours in seguito a rancidità idrolitica è particolarmente importante
in quegli oli e grassi che contengono acidi grassi con una catena di
atomi di carbonio minore di 16 atomi di carbonio (acido palmitico).
Gli acidi grassi a lunga catena (acido palmitico, acido stearico, acido
oleico, acido linoleico, acido linolenico, ecc.) sono infatti praticamente
inodori.
Sostanze grasse con acidi grassi a corta catena sono il burro, il burro
anidro, l’olio di cocco e l’olio di palmisto. L’acido laurico caratterizzato
49
da una catena di 12 atomi di carbonio ha un aroma di tipo “saponoso”,
mentre gli acidi grassi con catena ancora più corta (acido butirrico,
capronico, caprilico e caprico) hanno il caratteristico odore di rancido.
Spesso questo tipo di rancidità crea maggiori problemi nei prodotti
finiti che contengono questi acidi grassi piuttosto che negli oli tal quali
in quanto durante la raffinazione ed in particolare con la deodorazione
la quasi totalità degli acidi grassi liberi viene rimossa. La prevenzione
della rancidità idrolitica nei prodotti che contengono grassi o oli con
acidi grassi a corta catena può essere effettuata mediante il controllo
della carica microbica, dell’umidità e l’inattivazione degli enzimi. La
presenza di enzimi idrolitici in qualche ingrediente o provenienti da
microrganismi può provocare irrancidimento idrolitico negli impasti
prima della cottura. Di qui la necessità di usare ingredienti di prima
qualità privi di attività enzimatica.
La formazione di acidi grassi liberi si ha anche durante la frittura a causa
dell’elevata temperatura e della presenza di acqua nell’alimento.
Rancidità ossidativa
50
Da un punto di vista generale, la rancidità ossidativa può essere
considerata come la conseguenza delle reazioni tra l’ossigeno
atmosferico e la sostanza grassa ed in particolare gli acidi grassi. I primi
prodotti relativamente stabili dell’ossidazione sono gli idroperossidi
degli acidi grassi. Questi composti sono di per sé inodori, ma possono
decomporsi facilmente dando origine a numerose molecole più piccole
(aldeidi, chetoni, alcoli, ossiacidi, idrocarburi, ecc) che sono le vere
responsabili dell’aroma di rancido. Queste molecole hanno inoltre una
soglia di percezione olfattiva molto bassa.
La formazione degli idroperossidi può avvenire attraverso più
meccanismi: autossidazione; fotossidazione; reazioni enzimatiche.
L’autossidazione è una reazione di tipo radicalico la cui fase di
iniziazione è catalizzata dalla presenza di ioni metallici, idroperossidi,
calore, radiazioni U.V. e di più alta energia. La fotossidazione avviene
con un meccanismo diverso in cui intervengono radiazioni luminose e
alcuni composti detti sensibilizzanti, quali ad esempio la clorofilla e la
mioglobina. Nel caso delle reazioni enzimatiche, la formazione degli
idroperossidi è invece catalizzata da enzimi (lipossigenasi). Questi
potrebbero, ad esempio, favorire l’innesco di reazioni di ossidazione
negli impasti refrigerati e surgelati.
Gli idroperossidi formati per fotossidazione e per via enzimatica
possono decomporsi in presenza di ioni metallici, formando specie
radicaliche che danno inizio alla reazione di autossidazione.
Le reazioni di ossidazione, oltre alla necessaria presenza dell’ossigeno,
sono quindi favorite dalla presenza di ioni metallici, radiazioni,
sostanze sensibilizzanti, idroperossidi ed enzimi. Nelle sostanze grasse
possono inoltre essere presenti composti con effetto antiossidante, i
quali sono in grado di svolgere un’azione protettiva nei confronti dei
fenomeni ossidativi.
Oltre ai fattori appena esposti, la velocità della reazione di ossidazione,
e quindi la maggiore o minore stabilità di una sostanza grassa,
dipendono dalla sua composizione trigliceridica e in particolare
dal tipo di acidi grassi più rappresentativi. A parità di tutte le altre
condizioni risulta determinante la composizione degli acidi grassi.
L’ossidazione avviene, infatti, a carico degli acidi grassi insaturi,
tra cui l’acido oleico, l’acido linoleico e l’acido linolenico sono i più
abbondanti negli oli e grassi di origine vegetale. Come precedentemente
evidenziato nel capitolo 1.1, questi acidi grassi sono caratterizzati da
un diverso grado di insaturazione (numero di doppi legami): l’acido
oleico presenta 1 doppio legame, l’acido linoleico 2 e l’acido linolenico 3.
Maggiore è il numero di doppi legami, più l’acido grasso viene ossidato
facilmente. Le velocità relative di reazione sono approssimativamente
1:10:25 rispettivamente per acido oleico, linoleico e linolenico. Queste
considerazioni possono essere utilizzate per stabilire delle velocità di
ossidazione relative di oli e grassi sulla base della loro composizione
acidica. Oli con una percentuale maggiore di acidi grassi polinsaturi
sono intrinsecamente meno stabili rispetto all’ossidazione (si veda
la Tabella 1.5). E’ da sottolineare, come già ricordato, che l’effettiva
stabilità dipende anche dall’eventuale presenza di composti con azione
antiossidante quali tocoferoli e polifenoli.
Le sostanze grasse possono essere sottoposte a dei processi di
idrogenazione e frazionamento che hanno lo scopo di modificare le
loro proprietà chimico-fisiche. Si possono così ottenere dei prodotti
con caratteristiche particolari, sia di consistenza che di grado di in
saturazione, i quali vengono utilizzati nella preparazione di margarine
(si veda a questo proposito anche il capitolo 1.2, pag. 36).
Mediante il processo di idrogenazione si ha una più o meno spinta
saturazione dei doppi legami degli acidi grassi, con l’ottenimento di
un prodotto con un ridotto grado di insaturazione. L’acido linolenico
con tre doppi legami può, ad esempio, essere ridotto ad acido linoleico
con due doppi legami e ad acido oleico con un solo doppio legame.
In maniera analoga possono essere ridotti l’acido linoleico, l’acido
51
oleico o anche gli acidi grassi con quattro e cinque doppi legami
caratteristici degli oli di pesce. I grassi idrogenati, avendo una
concentrazione di acidi grassi insaturi molto bassa, risultano quindi
più stabili all’ossidazione rispetto agli oli da cui sono stati ottenuti.
L’idrogenazione, oltre a modificare il numero di doppi legami, modifica
anche la loro configurazione (cis/trans) e la loro posizione nella catena
idrocarburica degli acidi grassi. Queste modificazioni della struttura
chimica degli acidi grassi comportano anche modificazioni delle
proprietà fisiche del grasso, quale ad esempio un aumento del punto
di fusione.
Il frazionamento è un processo fisico mediante il quale si separa l’olio
in diverse “frazioni” caratterizzate da una diversa composizione
degli acidi grassi e di conseguenza con diverse proprietà fisiche. Ad
esempio, dall’olio di palma si possono ottenere due frazioni principali:
una costituita in prevalenza da acidi grassi saturi (stearine) con punto
di fusione più elevato, 44-50 °C e una costituita in prevalenza da acidi
grassi monoinsaturi con punto di fusione più basso, circa 10 °C. La
separazione di una frazione solida nelle bottiglie di olio esposte al
freddo può essere considerata come un esempio di frazionamento
durante il quale si è avuta la separazione della parte dell’olio con
punto di fusione più alto. La frazione satura è solida a temperatura
ambiente e più resistente all’ossidazione e può trovare impiego nella
preparazione di margarine. Mediante questo processo si ottengono
quindi dei grassi “frazionati” con particolari caratteristiche chimicofisiche che li rendono adatti per impieghi specifici.
Prevenzione dell’ossidazione
52
Generalmente gli oli e i grassi escono dagli impianti di raffinazione con
concentrazioni estremamente ridotte di acidi grassi liberi, idroperossidi
e off-flavours. L’obbiettivo successivo è quello di mantenere queste
caratteristiche qualitative per tutto il periodo dello stoccaggio fino al
momento dell’uso.
Alla luce di quanto riportato sopra, si possono individuare quattro
fattori che contribuiscono al deterioramento ossidativo delle sostanze
grasse: ossigeno (aria), calore, luce e ioni metallici.
L’assenza dell’ossigeno bloccherebbe le reazioni di ossidazione, ma la
completa eliminazione dell’aria non è realizzabile in pratica. Anche lo
stoccaggio sotto atmosfera inerte non previene del tutto l’ossidazione
in quanto l’ossigeno già disciolto nell’olio è sufficiente per portare ad
irrancidimento ossidativo. Analogamente, nel caso di un prodotto
da forno, il confezionamento in atmosfera protettiva non consente
di rimuovere l’ossigeno intrappolato o disciolto nella matrice. Un
approccio più pratico è quello di minimizzare l’incorporazione di aria
nell’olio durante le varie procedure di manipolazione, evitando, ad
esempio, forti rimescolamenti durante i travasi all’aria. Conservare
sotto atmosfera inerte e/o riempire completamente i recipienti è
comunque vantaggioso. I recipienti devono inoltre essere tenuti sempre
ben chiusi in quanto le sostanze grasse possono venire facilmente
contaminate mediante assorbimento di odori sgradevoli dall’ambiente.
È quindi raccomandato evitare lo stoccaggio in ambienti in cui siano
presenti vernici o altre sostanze che rilasciano odori anomali.
Per quanto riguarda calore e luce, una maggiore stabilità si ottiene
evitando rialzi termici (stoccaggio al sole) e l’esposizione del prodotto
a fonti di luce sia solare che artificiale.
La presenza di ioni metallici, in particolare di rame e ferro, ha un effetto
negativo sulla stabilità delle sostanze grasse. Sotto questo aspetto
l’uso di contenitori di acciaio inox o di vetro risulta la scelta migliore.
L’acciaio e il vetro impediscono inoltre la diffusione dell’aria e del vapor
d’acqua. L’acciaio offre anche un’ottima protezione dalle radiazioni
luminose. Una buona protezione è offerta in questo senso anche dal
vetro scuro (ambrato). I materiali plastici come il polietilentereftalato
(PET) e il polietilene (PE) ad alta densità sono invece più o meno
permeabili all’aria, al vapor d’acqua e alle radiazioni.
In Tabella 1.14 sono riassunte le caratteristiche di alcuni materiali di
confezionamento.
Oltre ai fattori appena esposti, è buona pratica, per migliorare la stabilità di una sostanza grassa, l’uso di contenitori puliti e asciutti, evitando il mescolamento di un prodotto nuovo di buona qualità con i
residui di un prodotto in parte già deteriorato. Bastano infatti piccole
quantità di un prodotto deteriorato per rovinare un’elevata quantità
di prodotto buono. In Tabella 1.15 sono riassunti i fattori che favoriscono il deterioramento ossidativo e le eventuali azioni protettive.
53
Tabella 1.14 - Caratteristiche di alcuni materiali di confezionamento, in relazione a permeabilità
di umidità, ossigeno e trasmissione di radiazioni luminose
Materiale
O2a
H2Ob
Metallo
Vetro ambrato
Vetro chiaro
PET (polietilene tereftalato)
PVC (cloruro di polivinile)
HDPE (polietilene alta densità)
0
0
0
10
16
110
0
0
0
4
2,5
0,5
a
b
c
Lucec
UV
0
3%
31-44%
Visibile
3-65%
90%
ca 90%
ca 90%
57%
permeabilità dell’ossigeno = cm3/0,0254 mm/100 in2/atm/24 ore a 73°F, 50%RH.
permeabilità del vapore acqueo = gm/0,0254 mm /100 in2/atm/24 ore a 100°F, 90% RH.
la trasmissione della luce è la percentuale della luce che passa attraverso il materiale.
(tabella modificata da: Bailey’s, 1985).
Tabella 1.15 - Fattori che favoriscono l’irrancidimento ossidativo delle sostanze grasse e
possibili azioni di protezione
Fattori pro-ossidanti
Azioni protettive
Presenza di ossigeno
Evitare l’incorporazione di aria; uso di contenitori di vetro
o metallo; conservazione sotto gas inerte
Presenza di ioni metallici
Uso di contenitori di acciaio inox; vetro o eventualmente di
materie plastiche.
Radiazioni luminose e U.V.
Contenitori di metallo o vetro scuro.
Calore
Evitare rialzi termici; evitare lo stoccaggio al sole;
conservazione in luogo fresco.
Presenza di olio o grasso
rancido
Evitare mescolamento di olio vecchio (rancido) con
prodotto nuovo di buona qualità; usare recipienti e
attrezzature facilmente lavabili.
Antiossidanti
54
L’eliminazione o la riduzione dei fattori che favoriscono l’insorgere
dell’ossidazione delle sostanze grasse rappresenta solo uno dei
possibili modi per affrontare il problema. È possibile infatti l’uso
di sostanze denominate antiossidanti allo scopo di prolungare il
periodo di conservazione dei prodotti alimentari, proteggendoli dal
deterioramento provocato dall’ossidazione. Ritardare l’insorgere
dell’irrancidimento ossidativo significa aumentare la shelf-life del
prodotto, cioè renderlo accettabile per un periodo di tempo più
lungo. Esiste un gruppo di sostanze che possono essere usate come
antiossidanti nelle sostanze grasse e che rientrano nella categoria
degli additivi alimentari. Gli additivi alimentari sono regolamentati
per legge. La normativa stabilisce quali composti possono essere
utilizzati, in quali prodotti possono essere addizionati e le dosi
massime consentite. Alcune di queste sostanze sono prodotti di sintesi
quali ad esempio il butil-idrossi-toluene (BHT), il butil-idrossi-anisolo
(BHA), gli alchil-gallati, l’ascorbil-palmitato e l’ascorbil-stearato. Altri
antiossidnati, quali i tocoferoli, possono essere sia di origine sintetica
che ottenuti da fonti naturali. I tocoferoli, infatti, sono presenti
naturalmente in tutti gli oli vegetali.
Due aspetti devono essere sottolineati per quanto riguarda l’uso degli
antiossidanti nelle sostanze grasse:
1) un antiossidante, per svolgere la massima efficacia, deve essere
aggiunto all’olio o al grasso prima che il processo ossidativo sia
iniziato;
2) un antiossidante non migliora la qualità di un grasso o di un olio
scadente, non migliora la qualità di un grasso già ossidato, non
previene la rancidità idrolitica, non previene alterazioni di tipo
microbico. Si può quindi affermare che un antiossidante non è in
grado di migliorare le caratteristiche di un grasso di qualità scadente, ma consente solo di mantenere le caratteristiche di qualità
di un prodotto già buono all’origine.
Sia le restrizioni di tipo legislativo che le preoccupazioni dei consumatori nei riguardi degli additivi in genere hanno spinto gli interessi
della ricerca verso nuovi antiossidanti ottenuti da fonti naturali, quali ad esempio spezie e piante officinali. Molte specie vegetali sono
state studiate per la loro attività antiossidante, ma di queste solo gli
estratti di alcune piante sono disponibili ed utilizzati come antiossidanti nell’industria alimentare. In particolare sono disponibili estratti
di salvia, origano, rosmarino e miscele di tocoferoli naturali. Questi
estratti possono presentarsi sotto forma di polveri più o meno solubili in acqua o come estratti in olio vegetale e quindi solubili nei grassi
e negli oli. Possono essere usati in sistemi acquosi ed emulsionati,
nonché essere addizionati ad oli e grassi usati per prodotti cotti al
forno o fritti.
Tra i metodi utilizzati per valutare la stabilità all’ossidazione di una
55
sostanza grassa o l’efficienza di un antiossidante il Rancimat test
è, probabilmente, quello più usato. Questo metodo si basa su una
ossidazione accelerata mediante riscaldamento della sostanza grassa a
temperature di 100-120 °C e insufflazione di aria. Si usano quindi due
dei fattori, visti prima, che favoriscono l’ossidazione: calore e ossigeno.
Il Rancimat test prevede la valutazione nel tempo della variazione di
conducibilità di una certa quantità di acqua distillata attraverso la
quale gorgoglia l’aria che è precedentemente passata attraverso la
sostanza grassa. È possibile notare dapprima un periodo durante il
quale non vi sono significative variazioni di conducibilità, cui segue
un rapido incremento dovuto alla formazione di acidi volatili come
prodotti secondari di una ossidazione molto spinta. Il primo periodo,
misurato in ore, viene chiamato tempo di induzione e rappresenta
un indice della stabilità di una sostanza grassa. Maggiore il tempo di
induzione, maggiore sarà la stabilità ossidativa. Questo metodo può
essere applicato a un olio o un grasso tal quali o dopo aggiunta di un
antiossidante a varie concentrazioni in modo da valutarne l’effetto.
In figura 1.5 è rappresentato un tipico grafico ottenibile con questo
metodo, nonché la modalità di calcolo del tempo di induzione.
A titolo di esempio nel grafico di figura 1.6 è mostrata l’efficienza
antiossidante di estratti di rosmarino, origano e di ascorbilpalmitato
su campioni di olio di girasole sottoposti a Rancimat test a 100°C.
Come si può vedere dal grafico, alle concentrazioni più alte, due degli
antiossidanti naturali analizzati mostrano un’attività antiossidante
superiore a quella dell’antiossidante sintetico.
Figura 1.5 - Esempio di determinazione del tempo di induzione con il Rancimat test
Conducibilità
(µS/cm)
56
Tempo di induzione
Tempo (ore)
Figura 1.6 - Tempi di induzione al Rancimat test a 100 °C di olio di girasole addizionato con 0.2,
0.5, e 1 % (p/p) di Herbalox, Robertet, Origanox e ascorbil-palmitato
Tempo di induzione (h)
50
40
Herbalox
30
Origanox
20
Robertet
Ac. ascorbico
6-palmitato
10
0
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
Concentrazione (% p/p)
Un approccio pratico
A questo punto, come tradurre in pratica le numerose informazioni sin
qui fornite?
Da quanto detto risulta evidente come la principale causa di alterazione
delle sostanze grasso sia l’ossidazione lipidica. Ne consegue che è
necessario tenere sotto controllo la concentrazione dell’ossigeno, la
temperatura, la luce e la presenza di ioni metallici.
Le possibilità di limitare lo sviluppo dell’ossidazione dovranno quindi
tenere in considerazione i seguenti parametri:
1) in fase di stoccaggio delle sostanze grasse si dovrà porre particolare attenzione alla temperatura dell’ambiente: evitare la conservazione ad elevate temperature; più fresco è l’ambiente meglio è. Va
evitato quindi lo stoccaggio in prossimità di fonti di calore;
2) in fase di stoccaggio, evitare la conservazione del prodotto in recipienti con un elevato spazio di testa libero occupato da aria. In
pratica, evitare recipienti mezzi vuoti. L’ideale è conservare il prodotto in recipienti di capacità tale da essere completamente vuotati ad ogni utilizzo: ad esempio approvvigionarsi di confezioni di
capacità adeguata ad usi singoli, oppure frazionare il contenuto di
recipienti di capacità elevata in recipienti di capacità ridotta;
57
3) quanto detto nella seconda parte del punto 2) potrebbe essere
controproducente se i recipienti di dimensioni ridotte, in caso di
riutilizzo, non venissero accuratamente lavati ed asciugati prima
del nuovo riempimento;
4) evitare nella maniera più assoluta il “rabbocco” con olio nuovo di
un recipiente semivuoto da tempo: in questo caso l’olio già presente nel recipiente avrà di sicuro un elevato livello di ossidazione e l’aggiunta di olio fresco altro non farebbe che fornire nuovo
prodotto da ossidare;
58
5) a livello di acquisto, ricordarsi che le condizioni di utilizzo della
materia grassa sono particolarmente critiche: in fase di impasto
la superficie di esposizione all’aria è elevatissima, e il successivo trattamento termico può ridurre la stabilità del grasso. Se un
grasso viene quindi acquistato già parzialmente ossidato (numero
di perossidi elevato), la sua utilizzazione in cottura non potrà che
peggiorarne la qualità. Ne consegue che oli e grassi da utilizzare
a caldo dovranno preferibilmente avere un numero di perossidi il
più basso possibile.
Parte 2
Le sostanze grasse nei
prodotti da forno
2.1 Le funzioni tecnologiche dei grassi
Introduzione
Come noto, la produzione di prodotti da forno richiede frequentemente
l’impiego di quantità non trascurabili di sostanza grassa. La natura e
il contenuto dei lipidi nei prodotti da forno sono molto variabili a
Grissini in uscita dal forno di cottura (per gentile concessione di Oscar Industria Dolciaria Spa,
Stabilimento di Dignano, UD)
59
seconda della tipologia di prodotto e della formulazione. In generale,
i lipidi più utilizzati nella preparazione dei prodotti da forno sono
burro, strutto, oli vegetali idrogenati, margarine e olio di oliva. Alcune
caratteristiche rilevanti dal punto di vista tecnologico di questi grassi
sono riportate in tabella 2.1.
Il contenuto di lipidi può variare dal 5 al 15% per alcuni prodotti
sostitutivi del pane, quali fette biscottate, cracker, grissini, fino ad
arrivare al 20-30% nel caso di prodotti dolci, quali biscotti e torte.
Va a questo proposito ricordato che, proprio in virtù dell’elevato
contenuto di materia grassa, negli ultimi anni notevole impulso è
stato dato alla produzione di prodotti da forno alleggeriti o “light”,
nei quali tutto o, più spesso, una parte del contenuto lipidico è
sostituito con ingredienti a ridotto contenuto calorico (si veda a
questo proposito il capitolo 2.4).
60
Tabella 2.1 - Sostanze grasse più utilizzate nella preparazione dei prodotti da forno
Lipide
Caratteristiche principali
Burro
Profilo aromatico caratteristico; elevata lavorabilità
dell’impasto senza formazione di grumi; elevata
capacità di inglobare aria durante l’impastamento con
conseguente possibilità di ottenere prodotti lievitati
senza aggiunta di agenti lievitanti; parzialmente solido
alla temperatura di impastamento; elevata stabilità nei
confronti di reazioni ossidative
Strutto
Elevata lavorabilità analoga a quella del burro
Oli vegetali idrogenati
Elevata lavorabilità analoga a quella del burro; assenza
di colesterolo
Margarine (emulsioni di acqua in oli
idrogenati contenenti emulsionanti)
Come grassi idrogenati
Olio di oliva
Elevata lavorabilità dell’impasto senza formazione
di grumi; impiego consigliato nella preparazione
di prodotti da forno croccanti; valore nutrizionale
elevato; maggiore suscettibilità all’ossidazione rispetto
ai grassi solidi
I meccanismi d’azione dei grassi nei prodotti da forno
L’instaurarsi di interazioni chimiche e fisiche tra i lipidi e gli altri
ingredienti del prodotto, prevalentemente amido, glutine ed eventuali
altre proteine addizionate all’impasto, avviene già nelle prime fasi
di lavorazione. Questo evento, denominato “lipid binding” (legame
dei lipidi), ha inizio in seguito all’idratazione della farina, senza
necessariamente richiedere l’applicazione di forza lavoro. Il contenuto
minimo di umidità richiesto affinché questi legami inizino a formarsi
è di circa il 23%. Il fenomeno prosegue fino a quando l’impasto
raggiunge un tenore medio di umidità del 36-40%. La successiva
fase di impastamento manuale o meccanico favorisce ulteriormente
l’instaurarsi di questi legami.
Le funzioni tecnologiche dei grassi nei prodotti da forno devono
attribuirsi, tra l’altro, alla loro capacità di fungere da tensioattivi. In
particolare, i grassi in grado di esplicare queste particolari funzioni
sono i cosiddetti lipidi polari che presentano una struttura chimica
anfifilica, cioè costituita da gruppi idrofobici, in grado di legare
molecole non polari, e da gruppi idrofilici, capaci di instaurare legami
con l’acqua e con altre molecole polari (Figura 2.1).
Linea di produzione di grissini (per gentile concessione di Oscar Industria Dolciaria Spa,
Stabilimento di Dignano, UD)
61
Figura 2.1 - Rappresentazione schematica di un lipide polare
Gruppo carbossilico idrofilico
carico negativamente (polare)
Catena idrofobica (non polare)
Sostanze grasse quali burro, strutto, oli vegetali idrogenati e margarine
presentano maggiori proprietà tensioattive rispetto agli oli. Le proprietà tensioattive delle sostanze grasse si devono attribuire alla presenza
di acidi grassi a corta catena (fino a 6 atomi di carbonio) e/o di gruppi
fosforici (si veda a questo proposito il capitolo 1.1). Ed è proprio la
struttura anfifilica di queste molecole che potrebbe spiegare i meccanismi alla base della funzionalità tecnologica dei grassi nei prodotti da
forno. Attualmente le teorie più accreditate sono le seguenti:
• formazione di legami o complessi tra lipidi e altri costituenti dell’impasto, in particolare proteine e amido (amilosio);
• stabilizzazione della schiuma (ovvero della struttura liquido-gas)
nell’impasto;
• formazione di dispersioni acquose.
Formazione di complessi tra lipidi e altri costituenti dell’impasto
62
In base a questa ipotesi, i lipidi polari, grazie alla loro natura anfifilica, sarebbero in grado di creare un “ponte” tra le proteine del glutine
(gliadina e glutenina) o tra queste ultime e l’amido. In particolare, i
lipidi polari possono legarsi alle molecole della gliadina mediante
legami idrofilici e a quelle della glutenina attraverso legami idrofobici. In questo modo si forma il complesso gliadina-lipide-glutenina
che contribuisce alla formazione di una struttura stabile, capace di
trattenere i gas che si formano durante la fermentazione (Figura 2.2).
Analogamente, i lipidi polari possono legarsi idrofobicamente alla
glutenina e idrofilicamente all’amido (Figura 2.3). La struttura che si
forma sarebbe in grado di ritardare il processo di raffermamento.
Figura 2.2 - Rappresentazione schematica del complesso gliadina-lipide-glutenina
lipide
gliadina
gliadina
glutenina
Figura 2.3 - Rappresentazione schematica del complesso glutine-lipide-amido
lipide
glutine
amido
gas
63
Stabilizzazione della schiuma
Un altro meccanismo che potrebbe spiegare il ruolo funzionale dei
lipidi nei prodotti da forno può essere ricondotto alla loro capacità
di stabilizzare le schiume. L’impasto, infatti, può essere idealmente
considerato come una schiuma, ovvero una dispersione di gas in una
soluzione acquosa.
Secondo questa teoria i lipidi si allineerebbero a formare un monostrato
all’interfaccia tra la fase acquosa e la fase gassosa, stabilizzando il
sistema.
Formazione di dispersioni acquose
In base a questa teoria, i lipidi nell’impasto si organizzerebbero a
formare degli agglomerati, detti micelle, in grado di formare delle
dispersioni acquose stabili. Le micelle sono strutture ove i lipidi
sono orientati in modo che le parti polari siano all’esterno, cioè a
diretto contatto con il mezzo acquoso, mentre quelle idrofobiche
siano rivolte all’interno (Figura 2.4). Secondo questa teoria le micelle
verrebbero trattenute all’interno del reticolo glutinico sia mediante
intrappolamento fisico sia attraverso legami polari e/o ionici. La
presenza di micelle contribuirebbe alla formazione di un impasto
lievitato tenace e in grado di trattenere i gas.
64
Figura 2.4 - Rappresentazione schematica di una dispersione acquosa
Va osservato che gli emulsionanti (caratterizzati anch’essi da una
struttura anfifilica) possono svolgere funzioni analoghe a quelle dei
lipidi polari. Infatti, in taluni casi, essi possono sostituire parzialmente o totalmente i grassi.
Funzioni tecnologiche dei grassi nei prodotti da forno
Oli e grassi svolgono numerose e importanti funzioni tecnologiche
nei prodotti da forno, grazie all’instaurarsi di interazioni chimiche e
fisiche con gli altri ingredienti dell’impasto. Il risultato macroscopico
di tali interazioni è rappresentato dall’ottenimento di prodotti da forno
con le caratteristiche di texture e palatabilità desiderate.
Queste funzioni tecnologiche possono essere esplicate sia dai lipidi
endogeni, ovvero quelli naturalmente contenuti nelle farine, sia
da quelli addizionati in fase di formulazione. Benché la frazione
lipidica naturalmente presente nelle farine sia generalmente modesta
(ad esempio 2.5 - 3.3% nella farina di frumento), essa è in grado di
svolgere un ruolo non trascurabile nel condizionare la qualità del
prodotto finito, soprattutto nei casi in cui la concentrazione di grassi
aggiunti in fase di formulazione sia di piccola entità. Tali funzioni
sono esplicate dai lipidi liberi, ovvero quelli non legati chimicamente
alle strutture cellulari o ad altri componenti delle farine, quali ad
esempio l’amido.
Le principali funzioni tecnologiche dei grassi nei prodotti da forno
sono riassunte nella Tabella 2.2.
Tabella 2.2 - Principali funzioni tecnologiche dei grassi nei prodotti da forno
• Aerazione degli impasti
• Ritenzione dei gas nella maglia glutinica
• Azione plasticizzante
• Azione anti-raffermamento
• Miglioramento proprietà sensoriali
• Azione lubrificante
Areazione: è la capacità degli impasti di incorporare l’aria o i gas
prodotti durante la fermentazione. I gas occupano le cavità generate
durante la miscelazione dell’impasto. Il grado di intrappolamento dei
65
gas nell’impasto dipende dalla forza del glutine, a sua volta influenzata
dalla formazione dei complessi gliadina-lipide-glutenina.
Ritenzione dei gas: quanto maggiore è la ritenzione di gas nella maglia
glutinica tanto più elevati sono l’incremento di volume, la sofficità
o morbidezza dei prodotti da forno lievitati. Come già ricordato,
l’elevata ritenzione di gas di un impasto contenente lipidi è attribuita
alla loro natura anfifilica che consente loro di disporsi all’interfaccia
tra impasto e fase gassosa riducendo così la tensione superficiale. Va
inoltre osservato che, secondo altre teorie, un aumento della ritenzione dei gas per azione dei grassi è da attribuirsi anche alla loro capacità di aumentare la temperatura di gelatinizzazione dell’amido. Poiché
l’aumento di volume si arresta quando l’amido risulta gelatinizzato,
l’addizione di grassi consente di prolungare nel tempo il momento di
fine espansione dell’impasto. Conseguentemente, è possibile ottenere
prodotti da forno più lievitati.
Per ottenere un’aerazione e un aumento di volume ottimali è
fondamentale la scelta del grasso. Deve necessariamente trattarsi
di un grasso solido perché, come è già stato ricordato, questi grassi
presentano maggiori proprietà tensioattive rispetto a quelli liquidi. Ne
consegue che l’impiego degli oli non è consigliato qualora si vogliano
ottenere prodotti soffici e ad elevato volume a meno che non vengano
utilizzati in combinazione con emulsionanti.
I grassi, oltre che solidi, devono essere costituiti da cristalli di piccole
dimensioni (un’elevata superficie specifica del grasso infatti contribuisce
ad incrementare la quantità di gas inglobato) e presentare buone proprietà
plasticizzanti, indispensabili ai fini della miscelazione nell’impasto. Come
già accennato, i grassi che meglio assolvono questa funzione tecnologica
sono il burro, lo strutto e gli oli vegetali idrogenati.
Azione plasticizzante: è la proprietà che rende possibile la fase di miscelazione ed il mantenimento di una consistenza costante dell’impasto. Poiché
la concentrazione di lipidi nell’impasto è inversamente proporzionale al
contenuto di acqua, un opportuno dosaggio di questi composti consente
di modulare i valori di umidità relativa dei prodotti da forno.
66
Azione anti-raffermamento: la capacità dei grassi di ritardare il processo
di retrogradazione dell’amido, che è alla base del raffermamento dei
prodotti da forno, si deve attribuire alla formazione di complessi tra i
lipidi (o gli emulsionanti) e l’amilosio. Grazie alla sua configurazione
elicoidale, l’amilosio è in grado di intrappolare le catene alifatiche degli acidi grassi. La formazione del complesso è influenzata dalla lun-
ghezza e dal grado di insaturazione del lipide. I grassi saturi, a causa
della loro “concretezza”, sono meno adatti a svolgere questa funzione. Ne consegue che i lipidi con un maggiore grado di insaturazione
risultano più efficaci nel rallentare il fenomeno del raffermamento
(si veda il capitolo 1.1). I complessi lipide-amilosio sono insolubili
in acqua e tenuti insieme da interazioni idrofobiche. Il complesso insolubile, collocandosi alla superficie dei granuli di amido, ne rallenta
l’assorbimento di acqua, prevenendo di fatto la gelatinizzazione dell’amido. Poiché il processo di retrogradazione riguarda solo l’amido
gelatinizzato, ne consegue che la presenza di complessi lipide-amido
contribuisce a prevenire il raffermamento dei prodotto da forno.
Proprietà sensoriali: come già accennato, i grassi influenzano enormemente le proprietà sensoriali dei prodotti da forno. Gli attributi
sensoriali maggiormente influenzati dalla presenza di grassi nella
formulazione sono l’aroma, l’aspetto (oli spruzzati sulla superficie di
cracker dopo cottura conferiscono un aspetto traslucido apprezzato
dal consumatore) e caratteri a loro volta legati alle proprietà reologiche del prodotto, quali morbidezza (importante nel caso di torte,
merendine, ecc.) e croccantezza (biscotti, cracker, grissini, croissant,
ecc.). In altre parole, in quest’ultimo caso, la funzione tecnologica del
grasso è quella di “rompere” la struttura del glutine e di consentire
al prodotto di spezzarsi facilmente sotto l’azione dei denti (i biscotti
preparati senza l’aggiunta di grassi sono così duri da essere, talvolta,
immangiabili!).
Azione lubrificante: grazie a questa funzione è possibile evitare che il
prodotto si attacchi su teglie e piastre di cottura, nonché ridurre considerevolmente la formazione di sfridi durante le operazioni di taglio
e porzionamento condotte mediante affettatrici ad elevata velocità.
Un’eccessiva formazione di sfridi, infatti, comporta problemi igienici
e di pulizia degli impianti, oltre che una non soddisfacente presentazione e accettabilità del prodotto.
Criteri di scelta dei grassi per la preparazione di
prodotti da forno
I criteri in base ai quali è possibile scegliere i grassi per la preparazione
di prodotti da forno sono riassunti nella Tabella 2.3.
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Tabella 2.3 - Principali criteri di scelta dei grassi per la preparazione di prodotti da forno
• Ottenimento delle proprietà reologiche desiderate
• Conferimento di specifiche proprietà sensoriali
• Lavorabilità degli impasti
• Azione stabilizzante
• Esigenze dei consumatori
Al fine di soddisfare uno o più di questi attributi, è necessario scegliere,
di volta in volta, la tipologia di lipide più idonea e stabilire la quantità
ottimale da impiegarsi nella formulazione.
Proprietà reologiche e sensoriali: come già discusso nel paragrafo precedente, i grassi svolgono un ruolo importante nello sviluppo delle
proprietà reologiche e sensoriali dei prodotti. Attraverso l’incorporazione di grassi e/o oli è possibile ottenere, a seconda dei casi, prodotti ben lievitati e soffici oppure croccanti. I grassi inoltre influenzano
positivamente anche l’aroma e l’aspetto dei prodotti da forno.
Lavorabilità degli impasti: è funzione degli impianti utilizzati per l’impastamento e la formatura dei prodotti da forno. A seconda del macchinario impiegato, la miscela deve rispondere a determinati requisiti reologici. Ad esempio, nel caso in cui venga impiegato un miscelatore a pale,
una consistenza sufficientemente fluida dell’impasto, tale da consentirne
la movimentazione, è ottenuta attraverso dosaggi opportuni di grasso
(ed eventualmente emulsionanti), oltre che di zucchero e acqua, oppure
mediante l’impiego di grasso in grado di fondere parzialmente in fase di
impastamento. Al contrario, se il prodotto viene estruso, l’impasto deve
presentare una consistenza più elevata, tale da sostenere il proprio peso
contro la forza di gravità all’uscita dall’estrusore. Analogamente, la formatura di biscotti, torte, snack, ecc. attraverso la deposizione dell’impasto in stampi richiede miscele sufficientemente fluide. Nel caso in cui il
prodotto (ad esempio il biscotto) sia modellato su cilindri rotanti aventi
la superficie forgiata da cavità di foggia particolare o, una volta estruso,
venga tagliato nella forma desiderata da lame o coltelli, l’impasto deve
essere sufficientemente coeso da consentire una separazione netta dei
pezzi dagli sfridi. Questo requisito viene soddisfatto attraverso l’impiego di concentrazioni elevate di grassi solidi.
68
Azione stabilizzante: come noto, i principali fenomeni chimici e fisici connessi allo scadimento qualitativo dei prodotti da forno sono
rappresentati da ossidazione dei grassi, retrogradazione dell’amido
e modificazioni di consistenza legate a migrazione di umidità (si
vedano a questo proposito i capitoli 1.4 e 2.3). Benché, come verrà
descritto nel capitolo 2.3, le strategie atte a inibire o rallentare questi
cambiamenti siano molteplici, va comunque osservato che un’azione
stabilizzante può essere esplicata anche dal grasso, opportunamente
scelto e dosato, impiegato nella formulazione del prodotto da forno.
Come già discusso precedentemente, un contributo al rallentamento
dei processi ossidativi è dato dall’impiego di grassi saturi (burro,
margarina e oli vegetali idrogenati), meno suscettibili all’ossidazione
di quelli insaturi (oli). Inoltre, come già osservato, i grassi presentano
un’azione anti-raffermamento, grazie alla loro capacità di formare
complessi con l’amido.
Infine, grazie alla loro azione plasticizzante, i grassi possono essere
impiegati in sostituzione dell’acqua in prodotti da forno compositi
(quali, ad esempio, wafer o pasta frolla farciti con crema pasticcera) per
il controllo di fenomeni di migrazione di umidità da un componente
all’altro. Tali fenomeni, infatti, sono responsabili della perdita
delle caratteristiche di consistenza e croccantezza del prodotto. Ad
esempio, un’adeguata formulazione della crema che preveda elevate
concentrazioni di sostanza grassa in sostituzione totale o parziale
dell’acqua, consente di controllarne l’attività dell’acqua e di impedire
la migrazione di umidità verso la base amidacea.
Categoria di consumatori: un altro criterio di scelta dei grassi da impiegarsi nella formulazione di prodotti da forno è rappresentato dalla
categoria di consumatori a cui essi sono rivolti. In generale, si tratta
di prodotti da forno destinati a consumatori con particolari esigenze
nutrizionali. Ad esempio, per la preparazione di prodotti privi o a
ridotto contenuto di colesterolo, la scelta dovrà necessariamente ricadere su oli (in particolare olio di oliva), che però sono più suscettibili
a reazioni ossidative, o su grassi di origine vegetale (oli idrogenati o
margarine). Nel caso di prodotti da forno a ridotto contenuto calorico, la sostanza grassa potrà essere sostituita parzialmente o totalmente con composti sostitutivi (si veda il capitolo 2.4).
In taluni casi, nella produzione di prodotti da forno rispondenti
a specifici requisiti nutrizionali, ai grassi sono richieste specifiche
funzioni tecnologiche, anziché nutrizionali. E’ il caso dei prodotti
da forno per celiaci, nei quali la totale assenza di glutine porta
all’ottenimento di prodotti spesso aventi proprietà sensoriali (colore,
sapore, volume), reologiche (consistenza, morbidezza, croccantezza),
e funzionali inferiori rispetto ai prodotti tradizionali. La produzione
di prodotti da forno senza glutine viene effettuata attraverso la
69
modificazione delle formulazioni. In questi casi, la farina di frumento
(ma anche di orzo e segale, anche se questi cereali rivestono scarsa
importanza nella nostra dieta) viene sostituita con farine di cereali
non contenenti glutine (mais, riso, miglio), svariate tipologie di
amidi (mais, riso, patata, tapioca, cassava) o farine di semi oleaginosi
sgrassate (soia, arachidi). A causa dell’assenza di glutine, questi
prodotti sostituiscono la massa, ma non sono in grado di conferire
le caratteristiche tecnologiche della farina di frumento. Per questa
ragione, a farine ed amidi non convenzionali vengono addizionati
composti in grado di simulare le proprietà funzionali del glutine.
Oltre ad addensanti e gelificanti, sono spesso utilizzati lipidi polari
ed emulsionanti, in grado di favorire la formazione di legami tra
amido e glutenina e, dunque, l’aumento di volume dell’impasto e la
ritenzione dei gas.
Nella Tabella 2.4 vengono riassunte le principali caratteristiche
richieste ai lipidi in relazione alla tipologia di prodotto da forno.
Tabella 2.4 - Principali caratteristiche richieste ai grassi per la preparazione di prodotti da forno
con proprietà desiderate
Proprietà del prodotto da forno
Proprietà reologiche
Proprietà sensoriali
Stabilità nei confronti di:
70
Requisiti nutrizionali
Lipide
Elevato volume dell’impasto
Grasso solido contenete
cristalli di piccole dimensioni
Impasto fluido
Grasso in grado di fondere
parzialmente durante
l’impastamento
Impasto consistente
Elevate concentrazioni di
grasso solido
Morbidezza
Indispensabile l’uso di grassi
Croccantezza
Possibile l’impiego di oli
Reazioni di ossidazione
Grassi saturi
Raffermamento
Lipidi aventi un certo grado di
insaturazione
Migrazione di umidità
Sostanze grasse in
sostituzione parziale o totale
dell’acqua
Ridotto contenuto di
colesterolo
Grassi vegetali idrogenati
Margarine
Oli, eventualmente
in combinazione con
emulsionanti
Ridotto contenuto calorico
Sostituzione parziale dei
grassi con altri ingredienti
Assenza di glutine
Grassi in sostituzione della
farina di frumento
2.2 Interazioni tra grassi e altri ingredienti in
fase di formulazione e cottura
Introduzione
Come noto, i prodotti da forno sono costituiti da diversi ingredienti, in
proporzioni variabili a seconda della tipologia di prodotto. In generale,
oltre a farina e grassi, all’impasto possono essere addizionati anche sale,
zucchero, emulsionanti, composti con azione conservante e antiossidante.
E’ quindi ragionevole pensare che queste sostanze possano interagire tra
loro, sia attraverso reazioni chimiche che mediante interazioni di natura
Estratti di spezie commerciali con proprietà antiossidanti
71
fisica. Infatti, molte delle caratteristiche qualitative di un prodotto da forno,
nonché la sua stabilità, sono condizionate dalla natura e dall’entità di
questi molteplici eventi. In altre parole, fin dalle prime fasi di lavorazione,
il prodotto può essere considerato come un piccolo e dinamico laboratorio
ove avviene una innumerevole serie di eventi (biologici, chimici e fisici),
gran parte dei quali indispensabili per l’ottenimento delle caratteristiche
qualitative desiderate. Ad esempio, nella fase di formulazione e di
formazione dell’impasto, le interazioni che hanno luogo tra farina e grassi
influenzano positivamente la funzionalità tecnologica dell’impasto e/o la
stabilità del prodotto finito. Come già discusso nel capitolo 2.1, sono infatti
i complessi lipide-glutine e lipide-amido che consentono la formazione di
un impasto capace di trattenere i gas di fermentazione e di ritardare il
processo di raffermamento.
Va tuttavia rilevato che le conoscenze sulle dinamiche dei cambiamenti
che avvengono in fase di lavorazione dell’impasto e, successivamente,
durante la cottura, sono ancora poche e frammentarie. Questo
è dovuto principalmente all’enorme complessità delle reazioni
coinvolte e al gran numero di variabili in grado di condizionarle. Una
maggiore ed approfondita conoscenza di tutti questi eventi sarebbe
importantissima poiché consentirebbe di poter gestire in modo più
consapevole e mirato il processo produttivo.
La Tabella 2.5 riassume le principali interazioni, attualmente conosciute, tra i grassi e gli altri componenti dei prodotti da forno.
Tabella 2.5 - Principali interazioni tra grassi e altri componenti dei prodotti da forno
Interazione
Effetti
Lipide-amido
Rallentamento del processo di raffermamento
Lipide-glutine
Ritenzione dei gas
Lipide-antiossidanti
Rallentamento dell’ossidazione lipidica
Ingredienti ed additivi ad azione antiossidante
72
Un aspetto piuttosto complesso e ancora poco studiato riguarda l’influenza della composizione del formulato sulla stabilità della frazione
lipidica. In altre parole, sostanze intenzionalmente addizionate al
prodotto da forno o formate in fase di processo possono esercitare
un’azione “stabilizzante” nei confronti dei lipidi presenti. Ad esempio, è noto che l’aggiunta di antiossidanti in fase di formulazione
consente di rallentare le reazioni di ossidazione dei grassi (si veda
a questo proposito anche il capitolo 1.4). La pratica di addizionare
degli antiossidanti agli impasti è assai frequente e si rende necessaria
soprattutto qualora vengano utilizzati l’olio di oliva o altri lipidi con
un elevato grado di insaturazione. In anni recenti si è diffuso l’uso
di estratti di piante aromatiche (rosmarino, origano, salvia, ecc.) che,
oltre a possedere notevoli proprietà antiossidanti, sono generalmente
ben accettati dai consumatori proprio in virtù della loro origine naturale. Inizialmente questi prodotti presentavano notevoli limitazioni
di impiego per il loro intenso profilo aromatico e per la difficoltà di
standardizzare le loro proprietà antiossidanti. Trattandosi, infatti, di
sostanze di origine naturale, la capacità antiossidante di questi prodotti può essere condizionata da fattori pre e post raccolta oltre che dal
processo di estrazione applicato. Attualmente, nel caso dei derivati di
rosmarino, l’attività antiossidante viene riferita al contenuto di acido
carnosico. Oggi sono presenti sul mercato diverse tipologie di prodotti
ad azione antiossidante derivanti principalmente dal rosmarino ed
dall’origano. Essi differiscono per lo stato fisico (possono infatti essere
in forma liquida o polverulenta) e per la loro solubilità nei grassi o
in acqua. Inoltre, le nuove tipologie di estratti vengono sottoposte a
procedimenti tecnologici in grado di separare quasi completamente la
frazione aromatica, rendendo l’uso di questi prodotti decisamente più
versatile di qualche anno fa.
Va tuttavia rilevato che, a fronte dell’ampio campo di impiego di queste sostanze, soprattutto nei prodotti da forno, le modalità del loro
utilizzo sono spesso empiriche. Le indicazioni d’uso di questi estratti
sono, infatti, spesso incomplete o generiche poiché riferite alla loro
azione su un grasso di riferimento, senza tenere in considerazione
eventuali interazioni con la matrice alimentare a cui vengono addizionati. Tale circostanza è resa ancora più problematica se si considera il
fatto che l’addizione al prodotto di quantità eccessive di estratto può
avere un effetto pro-ossidante, ovvero può accelerare, anziché inibire,
i fenomeni di ossidazione. Inoltre, poche e frammentarie sono le informazioni relative alla stabilità di questi estratti in prodotto sottoposti ai
trattamenti prolungati di cottura o frittura.
73
Antiossidanti formati in fase di cottura
74
Meno nota e meno studiata è l’azione protettiva esplicata da
alcune sostanze che si formano nel prodotto da forno in seguito al
trattamento di cottura. Tali sostanze, che possiedono potenti proprietà
antiossidanti, si formano in seguito all’innesco di una reazione nota
con il nome di reazione di Maillard. Questa reazione si verifica in
tutti gli alimenti sottoposti a trattamenti termici che contengono
zuccheri riducenti (ad es. glucosio, fruttosio) e gruppi amminici di
proteine o amminoacidi. I prodotti di questa reazione sono molto
numerosi: si tratta sia di composti volatili che di sostanze ad elevato
peso molecolare (polimeri) caratterizzate da colorazioni brune. In altre
parole, è grazie al verificarsi di questa reazione che i prodotti da forno
presentano i caratteristici aroma di cotto e colore bruno. Alcuni dei
prodotti della reazione di Maillard sono caratterizzati dal possedere
spiccate proprietà antiossidanti. In generale, quanto maggiore è il
grado di imbrunimento del prodotto da forno tanto più elevate sono le
proprietà antiossidanti di queste molecole.
La formazione di questi composti sembra essere alla base della
elevata stabilità della frazione lipidica dei prodotti da forno. In virtù
del loro potere antiossidante, i prodotti della reazione di Maillard
sono in grado di interagire con i grassi. In questo modo, anche se
trattamenti termici, quali cottura, estrusione, essiccamento, possono
accelerare le reazioni di ossidazione dei lipidi (si veda il capitolo
1.4), e la degradazione, anche parziale, di alcuni antiossidanti
eventualmente addizionati all’impasto, l’ossidazione della sostanza
grassa viene rallentata o, in alcuni casi, prevenuta e la sua stabilità
aumentata. A titolo di esempio nella Figura 2.5 vengono riportati i
cambiamenti del numero di perossidi di olio di girasole presente in
un impasto durante una simulazione di un trattamento di cottura,
a confronto con un campione di olio di controllo sottoposto alla
medesima storia termica.
Figura 2.5 - Cambiamenti del numero di perossidi durante la cottura di un impasto contenente
olio di girasole e di olio di girasole (controllo) (modificato da Mastrocola et al., 2000)
numero di perossidi
(meqO2/kg olio)
60
Olio di controllo
50
40
30
20
Olio nell'impasto
10
0
0
50
100
150
200
250
tempo di cottura (min)
E’ possibile osservare come l’olio addizionato all’impasto presenti
una stabilità sorprendente se confrontata con quella del campione di
olio di controllo. Questo comportamento trova una spiegazione nella
formazione, nel corso della cottura, di molecole ad azione antiossidante come ben evidenziato nella Figura 2.6.
Figura 2.6 - Cambiamenti di colore e della capacità antiossidante durante la cottura di un
impasto contenente olio di girasole (modificato da Mastrocola et al., 2000)
Imbrunimento
Attività antiossidante
Tempo di cottura (min)
75
2.3 Modalità di confezionamento
e conservazione dei prodotti da forno
Introduzione
Lo scadimento qualitativo dei prodotti da forno può manifestarsi
in seguito a cambiamenti macroscopici di alcune caratteristiche
fisiche e chimiche. Nella tabella 2.6 vengono riportate le principali
modificazioni che possono avere luogo durante la conservazione di
tali prodotti e le possibili cause scatenanti.
Tabella 2.6 - Principali cause di scadimento qualitativo dei prodotti da forno durante la
conservazione
Proprietà
Consistenza
Modificazione
Rammollimento Indurimento
Stato di dispersione del
grasso
Colore
Affioramento, separazione
Odore e sapore
Valore nutrizionale
Comparsa di colorazioni
anomale Imbrunimento non
adeguato
Sviluppo di odori e sapori non
desiderati (es. rancido) Perdita
di aromi
Diminuzione della
concentrazione di nutrienti
Causa
Migrazione di umidità Sviluppo
microbico Retrogradazione
amido
Migrazione dei lipidi
Reazioni di ossidazione Sviluppo
microbico (muffe) Reazioni di
imbrunimento non-enzimatico
Autossidazione dei grassi
Ossidazione idrolitica dei grassi
Assorbimento/rilascio di aromi
Sviluppo microbico
Reazioni di ossidazione
Interazioni tra componenti
76
Come si può notare, l’ossidazione lipidica è solo uno dei fattori in
grado di influenzare la qualità dei prodotti da forno. Per prodotti a
breve shelf-life, infatti, le principali cause di scadimento qualitativo
sono da ricondursi prevalentemente ad alterazioni di natura
microbiologica o ad eventi fisici, quali ad esempio la migrazione
di umidità. L’irrancidimento della frazione lipidica diviene invece
spesso l’evento alterativo prevalente nei prodotti da forno con vita
commerciale medio-lunga. In questi casi, il controllo delle reazioni
ossidative nel prodotto finito implica l’utilizzo di strategie adeguate,
che riguardano, non solo la scelta più idonea della materia prima e
delle sue modalità di magazzinaggio, ma anche l’individuazione di
condizioni di processo, confezionamento e conservazione ottimali.
La velocità con cui un prodotto da forno può andare incontro a
fenomeni di irrancidimento nel corso della sua vita commerciale
dipende dalla natura del grasso impiegato e dall’eventuale utilizzo di
antiossidanti (si vedano a questo proposito i capitoli 1.4 e 2.2), oltre che
da una serie di variabili ambientali strettamente connesse alle modalità
di confezionamento e conservazione del prodotto. Ne consegue che
una scelta mirata delle condizioni ottimali di conservazione e/o
dei materiali di imballaggio e delle tecnologie di confezionamento
più appropriati può rappresentare uno strumento di fondamentale
importanza ai fini del miglioramento della stabilità e quindi della
shelf-life del prodotto.
Alcuni prodotti da forno dolci
77
Requisiti dei materiali di confezionamento
Nel settore dei prodotti da forno, i materiali di imballaggio più
utilizzati sono quelli che presentano una bassa permeabilità all’acqua
ed all’ossigeno, oltre che un’adeguata capacità barriera nei confronti
della luce ambientale e, in particolare, delle radiazioni ultraviolette
(UV). Nella tabella 2.7 sono riportate le principali caratteristiche
dei materiali e dei contenitori più frequentemente utilizzati per il
confezionamento dei prodotti da forno.
Tra tutti questi materiali, quelli che trovano maggiore applicazioni nei
prodotti da forno sono i materiali plastici. Essi si caratterizzano per
la loro elevata flessibilità e versatilità, che consentono la produzione
di contenitori di diverso formato (buste, vassoi, ecc.), dimensioni
(dalle porzioni monouso ai formati famiglia) e colore. Tra i polimeri
plastici, i più ampiamente utilizzati sono il polietilentereftalato (PET)
e il polipropilene (PP), sia normale che orientato (oPP), che presentano
una bassa permeabilità sia al vapor d’acqua che all’ossigeno. In taluni
casi, il PP viene impiegato in accoppiamento con altri materiali plastici
(es. copolimeri di polivinilcloruro -PVC- e polivinilidencloruro PVdC). In questo modo, il film ottenuto presenta una permeabilità a
78
Alcuni prodotti da forno salati
gas e vapori minore rispetto a quella del semplice PP e ciò lo rende
idoneo alla produzione di imballaggi per prodotti da forno altamente
sensibili alle variazioni di umidità.
Tabella 2.7 - Caratteristiche e campi di impiego dei principali materiali e dei contenitori
utilizzati per il confezionamento dei prodotti da forno
Materiali
Contenitori
Caratteristiche
materiale
Campi di impiego
Banda
stagnata
(latta)
Scatole
Impermeabilità a gas e
vapori
Protezione totale nei
confronti della luce
Solo per alcune
tipologie di prodotti (es.
tradizionali, di nicchia)
Spesso utilizzati come
contenitori secondari
(non direttamente a
contatto con il prodotto)
Carta,
cartone
Scatole
Buona permeabilità a
ossigeno e vapor d’acqua
Protezione totale nei
confronti della luce
Rigidità e buona
protezione del prodotto
contro urti e rotture
Basso impatto ambientale
ed elevata riciclabilità
Utilizzati per contenitori
secondari
Se usata a contatto con
il prodotto, la carta viene
trattata per renderla
impermeabile al grasso
(“greaseproof”)
Materiali
plastici
Buste, scatole, vassoi,
ecc.
Bassa permeabilità a
ossigeno e vapore acqueo
Limitata protezione (se
non colorati o metallizzati)
nei confronti della luce
Alto impatto ambientale e
bassa riciclabilità
Impiego molto diffuso
Per incrementare le
prestazioni, i singoli
materiali plastici possono
essere accoppiati o
coestrusi con altri
materiali plastici o
metallizzati
Alluminio
Da solo: fogli laminati
(spessore superiore a
30 mm)
Impermeabilità totale (se
Usato come laminato per
laminato) o parziale (se
imballaggi di prodotti di
deposto come vernice
confetteria e cioccolateria
metallizzata) a gas e vapori
In accoppiamento con
altri materiali plastici
(PE, PP) e carta o
cartoncini cerati
Elevata protezione nei
confronti della luce
Se accoppiato con altri
materiali, migliora le loro
specifiche prestazioni e le
funzionalità d’uso
PE: polietilene
PP: polipropilene
79
Ruolo della composizione dell’atmosfera all’interno
delle confezioni
Le atmosfere protettive
La reazione di ossidazione lipidica nei prodotti da forno può essere
controllata anche attraverso la scelta di tecnologie di confezionamento
in grado di abbassare la pressione parziale dell’ossigeno nell’atmosfera
a contatto con il prodotto. Di ampia diffusione in questa categoria di
prodotti è il confezionamento in atmosfera protettiva, che prevede
la sostituzione dell’atmosfera naturale all’interno dell’imballaggio
con una adeguata miscela di gas. Nel caso dei prodotti da forno,
generalmente sono adottate miscele costituite da anidride carbonica
(CO2) ed azoto (N2) in opportuni rapporti (in genere vengono
impiegate miscele costituita da 80% CO2 e 20% N2 oppure 100% CO2).
L’utilizzo di atmosfere protettive ha il duplice vantaggio di inibire
lo sviluppo microbico, grazie all’attività antimicrobica dell’anidride
carbonica, e di rallentare le reazioni ossidative, in virtù della riduzione
di ossigeno nello spazio di testa.
Una particolare atmosfera protettiva è anche quella che si genera
all’interno della confezione per effetto dell’utilizzo dell’etanolo,
nebulizzato sulla superficie di molti prodotti da forno (merendine,
prodotti lievitati) prima del confezionamento. Attualmente la
legislazione italiana ne consente l’utilizzo come conservante in pane
speciale preconfezionato fino ad una concentrazione massima del 2%
riferito alla sostanza secca del prodotto (D.M. n. 312 del 1998). Nel caso
di prodotti da forno dolciari l’etanolo è impiegato, in genere, come
agente veicolante di aromi e la sua presenza consente di svolgere sia
nel prodotto che, dopo sua evaporazione, nell’atmosfera circostante,
una funzione antifungina e antiraffermamento. Non sono altresì noti
effetti dell’etanolo sull’evoluzione dei processi di ossidazione lipidica.
Le atmosfere innovative: “l’active packaging”
80
Tecnologie di confezionamento di recente introduzione ed alternative
a quelle attualmente adottate sono quelle definite “attive” (active
packaging). Esse prevedono l’impiego di sostanze in grado di interagire
attivamente e costantemente con l’atmosfera interna alla confezione,
variandone la composizione. Inoltre, esse possono interagire
direttamente con il prodotto, rilasciando componenti in grado di
favorirne la stabilità e/o di contribuire al miglioramento delle sue
caratteristiche qualitative. Tra gli imballaggi attivi di maggiore
interesse per il settore dei prodotti da forno sono da ricordare i sistemi
in grado di assorbire l’ossigeno (“oxygen scavanger”), costituiti da
polveri di ferro o di composti a base di ferro. Gli assorbitori di ossigeno
possono essere sia inseriti in sacchetti e collocati nella confezione
prima della sua chiusura, sia inclusi preliminarmente nel materiale
da imballaggio. Essi sono in grado di assorbire per reazione chimica
sia l’ossigeno presente nello spazio di testa della confezione sia quello
che potrebbe permeare attraverso il materiale da imballaggio nel caso
in cui esso non presenti una elevata capacità barriera. Le condizioni
anaerobiche, controllate e mantenute dal sistema assorbitore, sono
in grado di rallentare significativamente l’evoluzione delle reazioni
ossidative, ma anche lo sviluppo microbico, favorendo in tal modo
un ulteriore prolungamento della vita commerciale del prodotto.
I maggiori svantaggi di questi sistemi “oxygen scavanger” sono
rappresentati dal loro costo elevato e dalla presenza, talora non
gradita da parte del consumatore, di un materiale estraneo, non
edibile, all’interno della confezione. La diffusione di queste soluzioni
di confezionamento è modesta sia Italia che in Europa, limitata anche
dalla carenza di una legislazione specifica che ne regolamenti e faciliti
l’impiego. Questi sistemi di confezionamento innovativi entrano in
contatto parzialmente o totalmente con il prodotto ed attualmente la
loro composizione è stata studiata verificando che i diversi componenti
non siano pericolosi o tossici oppure che siano già inseriti nelle liste
approvate degli additivi alimentari.
Temperatura di conservazione
La temperatura di conservazione rappresenta uno dei principali fattori
in grado di condizionare la velocità delle reazioni di ossidazione nei
prodotti da forno. Come per la maggior parte delle reazioni chimiche,
infatti, la velocità di sviluppo dell’ossidazione lipidica aumenta
all’aumentare della temperatura. Ne consegue che il controllo
delle temperature di conservazione può consentire di rallentare
efficacemente lo sviluppo di odori e sapori di rancido.
La maggior parte dei prodotti da forno, soprattutto quelli tradizionali
come pane, biscotti, grissini, ecc., viene conservata a temperatura
81
82
ambiente. L’utilizzo di temperature di refrigerazione non è strettamente
necessario, in quanto lo sviluppo di microrganismi patogeni e di
alterazione (essenzialmente muffe e lieviti) è inibito dai bassi valori
di attività dell’acqua caratteristici di questi prodotti. Inoltre, basse
temperature di conservazione potrebbero favorire l’evolvere di
fenomeni di raffermamento, in grado di modificare le caratteristiche
qualitative del prodotto, riducendone la vita commerciale. Sebbene
la temperatura di conservazione non sembri essere un fattore critico
per questi prodotti, la loro stabilità può diminuire drasticamente
se lo stoccaggio avviene in luoghi dove la temperatura aumenta in
maniera incontrollata. L’aumento di temperatura può essere dovuto,
per esempio, alla vicinanza di fonti di calore (radiatori, disposizione
in scaffali o vetrine esposti ai raggi luminosi). Tali condizioni
possono causare un aumento inatteso della velocità di ossidazione
e di formazione di odore e sapore di rancido prima della data di
scadenza riportata sulle confezioni. L’effetto di abusi o fluttuazioni
di temperatura durante la conservazione può essere più o meno
accentuato a seconda della quantità e della qualità della frazione
lipidica contenuta nel prodotto ed assume un’importanza maggiore
nei prodotti da forno con shelf-life media-lunga. Infatti, prodotti di
panetteria o pasticceria, che vengono consumati entro breve tempo
dalla preparazione, presentano in genere, rischi minori di sviluppare
odore e sapore di rancido.
Le innovazioni nel settore dei prodotti da forno hanno portato allo
sviluppo, negli ultimi anni, di una tipologia di prodotti a media
lunga shelf-life refrigerati o di congelati. Ne sono esempi il pane
precotto congelato, la cui conservazione a basse temperature consente
di superare la quotidianità dell’acquisto, ma anche alcuni prodotti
dolciari di vario genere contenenti anche altri ingredienti (creme,
frutta, noci, ecc.) pronti per il consumo dopo scongelamento e/o
rigenerazione. Non vanno dimenticati, inoltre, altri prodotti non cotti,
che presentano un alto contenuto di servizio come pasta frolla, pasta
sfoglia, basi per pizza pronte per l’uso, molti dei quali si caratterizzano
per un contenuto piuttosto elevato di grassi. In questi casi, l’impiego
di basse temperature di conservazione è fondamentale per la loro
conservazione in quanto rallenta lo sviluppo microbico e la comparsa
di odori e sapori associabili all’irrancidimento. Tuttavia, queste
condizioni non consentono di bloccare totalmente lo sviluppo delle
reazioni ossidative che, in taluni casi, possono risultare più rapide di
quanto atteso. Infatti, benché le reazioni di ossidazione siano accelerate
in presenza di alte temperature, refrigerazione e congelamento
non consentono di bloccarne lo sviluppo. Infatti, la temperatura
influenza non solo la velocità di reazione ma anche altre proprietà
fisiche e chimico-fisiche dell’alimento. Ad esempio, è noto che al
diminuire della temperatura, la solubilità dell’ossigeno aumenta. La
maggiore disponibilità di ossigeno nel sistema alimentare può causare
un’accelerazione delle reazioni ossidative. Inoltre, al diminuire della
temperatura possono avere luogo cambiamenti di fase dei costituenti
del sistema (acqua, lipidi, zuccheri), tali da influenzare in modo
complesso l’evolvere delle reazioni chimiche. In particolare, in seguito
a una diminuzione della temperatura, i grassi possono cristallizzare.
Questo cambiamento di fase può indurre un aumento inaspettato della
velocità di ossidazione, tale da vanificare l’effetto atteso conseguente
alla riduzione di temperatura.
A titolo di esempio nella tabella 2.8 viene riportato un confronto sulla
stabilità relativa di due oli molto impiegati nella produzione di prodotti
da forno: l’olio extravergine di oliva e l’olio di palma. Le temperature
di confronto sono state scelte al fine di contemplare condizioni di
congelamento (-30 e -18°C), di refrigerazione (4C°) oltre che condizioni
di abuso di temperatura (40°C). La stabilità degli oli è stata descritta
attraverso un’indicazione cromatica: la stabilità decresce passando da
colori più chiari a colori più scuri.
40°C (abuso
di temperatura)
25°C (temperatura
ambiente)
4°C (temperatura
di refrigerazione)
-18°C (temperatura
di conservazione dei
prodotti congelati)
-30°C (temperatura
di congelamento)
Tabella 2.8 - Stabilità relativa di olio extra vergine di oliva e olio di palma a temperature di
particolare interesse tecnologico.
Olio di palma
Olio extra vergine
di oliva
Legenda: la stabilità del prodotto diminuisce secondo la seguente scala:
>
>
>
>
83
Osservando la tabella appare evidente come, a parità di temperatura di conservazione, l’olio di palma risulti più stabile dell’olio extra
vergine di oliva in virtù della suo minore grado di insaturazione.
Tuttavia, per entrambi gli oli considerati, non sempre è possibile
evidenziare una chiara dipendenza tra stabilità e temperatura di
conservazione. Ad esempio, per l’olio di palma, tra 4 e 25°C non vi
sono sostanziali differenze in termini di stabilità. In altre parole, in
questo intervallo di temperatura, la velocità di ossidazione dell’olio
di palma non cambia. Un’analoga osservazione può essere fatta per
l’olio extravergine di oliva. Questo comportamento è dovuto al fatto
che in questo intervallo di temperatura entrambi gli oli tendono a
solidificare, trasformandosi in una miscela complessa di olio cristallizzato ed olio in fase liquida. Pertanto, in queste condizioni, la velocità di ossidazione non dipende più solo dalla temperatura ma anche
dal rapporto tra olio solidificato ed olio in forma liquida. Da queste
osservazioni emerge chiaramente che la pratica comune di ridurre la
temperatura di conservazione di un prodotto da forno non sempre si
traduce in un guadagno in termini di stabilità. La conseguenza pratica di ciò è che la previsione della vita commerciale dei prodotti da
forno, soprattutto quelli conservati in condizioni di refrigerazione o
congelamento, non è sempre agevole poiché i test accelerati di shelflife possono non dare risultati attendibili.
La tabella 2.9 riassume i principali fattori in grado di influenzare la
velocità di ossidazione lipidica nei prodotti da forno e gli interventi
applicabili per rallentarla.
84
Tabella 2.9 - Principali fattori in grado di influenzare lo sviluppo dell’ossidazione lipidica nei
prodotti da forno e possibili interventi applicabili per controllarne gli effetti
Fattori
Intervento
Luce
Conservazione al riparo dalla luce
Impiego di imballaggi opachi (carta, cartone, film plastici metallizzati o
accoppiati con film metallici)
Ossigeno
Uso di materiali a bassa permeabilità
Uso di atmosfere protettive
Utilizzo di assorbitori di ossigeno
Temperatura
Conservazione lontano da fonti di calore
Controllo delle temperature in fase di distribuzione e conservazione
2.4 I sostituti dei grassi
Introduzione
I sostituti dei grassi non sono certamente una novità degli ultimi
decenni. La sostituzione dei grassi nei prodotti da forno con acqua
o sciroppi e puree di frutta è antichissima. Tuttavia, se nel passato
l’alleggerimento era una pratica obbligata a causa della cronica
carenza di certi ingredienti, oggi il problema è opposto, cioè dovuto
a sovrabbondanza ed eccesso nei consumi. Tuttavia, oggi come allora,
la pratica dell’alleggerimento è un’operazione complessa con risultati
spesso poco soddisfacenti sotto il profilo della qualità del prodotto
finito. Le ragioni sono da ricondurre al ruolo chiave dei lipidi nel
prodotti da forno. La loro presenza infatti è indispensabile per conferire
al prodotto le peculiari caratteristiche sensoriali (aroma, flavour,
sofficità, volume, palatabilità, aspetto traslucido) e condizionarne la
vita commerciale (vedasi a questo proposito il capitolo 2.1).
Ne consegue che la semplice riduzione della frazione lipidica,
eventualmente bilanciata da un incremento del contenuto di acqua,
porta a dei risultati negativi sia sotto il profilo della qualità che della
stabilità del prodotto. Decisamente più percorribile appare la strategia
della sostituzione parziale o totale dei lipidi con sostanze in grado di
simularne le proprietà funzionali, ma aventi un minor apporto calorico.
Attualmente è disponibile una vasta gamma di sostanze con proprietà
funzionali assimilabili a quelle dei grassi. Le principali sono riassunte
nella Tabella 2.10.
Tabella 2.10 - Classi di sostanze potenzialmente utilizzabili in sostituzione dei grassi nei
prodotti da forno
Sostituti dei grassi
Polisaccaridi
Proteine
Lipidi modificati
Analoghi dei grassi
Esteri del saccarosio, polioli
85
In linea di principio si distinguono due classi di sostanze potenzialmente utilizzabili nei prodotti da forno: i sostituti e gli analoghi dei
grassi. I primi sono prevalentemente a base polisaccaridica e proteica.
Esistono, inoltre, sostituti dei grassi ottenuti a partire da lipidi chimicamente modificati al fine da apportare un tenore calorico inferiore
a quello dei lipidi tradizionali. La categoria dei cosiddetti fat analogs,
ovvero analoghi dei grassi, è invece costituita da prodotti di sintesi,
acalorici, con aspetto, consistenza e proprietà funzionali uguali a
quelle dei grassi. Gran parte dei lipidi modificati e degli analoghi
dei grassi può essere impiegata come ingredienti in prodotti destinati al mercato statunitense in quanto approvati dalla Food and Drug
Administration come GRAS (generally recognized as safe), ovvero come
ingredienti sicuri per l’alimentazione umana. Tuttavia, l’utilizzo di
queste sostanze per prodotti destinati al mercato europeo attualmente non è consentito.
Di seguito vengono riportate alcune informazioni sulle potenzialità di
impiego dei principali sostituti dei grassi utilizzabili nei prodotti da
forno. A tale proposito si è ritenuto utile non escludere dalla rassegna,
anche quelle classi di sostanze attualmente non ammesse dalla UE.
Polisaccaridi
86
Si tratta di una categoria di sostituti dei grassi molto ampia.
Storicamente, i primi sostituti dei grassi ad essere commercializzati
negli anni ’60 erano prodotti a base di cellulosa e destrine. I
polisaccaridi sono attualmente la categoria di prodotti maggiormente
utilizzati nella sostituzione dei grassi in un’ampia gamma di prodotti
alimentari, tra cui prodotti di pasticceria, caramelle, e come coating
per prodotti a base di cioccolato. Essi sono in grado di simulare
alcune proprietà funzionali dei grassi in virtù della loro capacità di
formare gel e soluzioni viscose stabili in un ampio intervallo di pH e
temperature. Condizione necessaria per poter utilizzare i polisaccaridi
come sostituti dei grassi è un contenuto di acqua sufficientemente
elevato. Ne consegue che i polisaccaridi non possono essere utilizzati
per “alleggerire” impasti a basso tenore di acqua, quali quelli utilizzati
per la produzione di biscotti e snack.
I polisaccaridi utilizzati come sostituti dei grassi sono di origine
vegetale, più raramente di origine animale (ad esempio le gelatine).
Alcuni prodotti, come la gomma xantano e il gellano sono ottenuti
per via fermentativa. Nella Tabella 2.11 vengono riportate le principali
classi di polisaccaridi che possono sostituire i lipidi.
Tabella 2.11 - Principali classi di polisaccaridi impiegati come sostituti dei grassi nei prodotti da
forno
Amidi, amidi modificati, maltodestrine
Pectine
Gomma arabica, Alginati, carragenani, agar-agar, gellani, gomma xantano, gelatine
Polidestrosio
Cellulose, emicellulose, cellulose modificate
Derivati di frutta
Fibra
L’impiego di amidi ed amidi modificati come sostituti dei grassi è molto diffuso. Gli amidi modificati presentano una maggiore affinità per
l’acqua rispetto agli amidi nativi. Essi vengono ottenuti sottoponendo
l’amido nativo a parziale idrolisi chimica o enzimatica. Questo procedimento consente in pratica di “rompere” la molecole dell’amido in
strutture più piccole. Gran parte dei sostituti dei grassi a base polisaccaridica attualmente in commercio sono costituiti da amidi modificati.
I diversi prodotti (Paselli SA2; N’Oil; C*Pur01906; C*Pur01907; Oatrim;
Maltrin; Nutrifat C; ecc.) possono differire per l’origine dell’amido
(patata, tapioca, avena, ecc.) e per grado di idrolisi. In linea generale,
questi prodotti si presentano in forma di polveri, anidre. Al fine di
garantire una omogenea dispersione di questi prodotti nell’impasto,
è consigliabile la miscelazione a secco degli altri ingredienti prima
dell’aggiunta dell’acqua. Concentrazioni pari al 20% rispetto all’acqua consentono di ottenere gel stabili in un ampio intervallo di pH.
La forza del gel dipende dal pH dell’impasto e dalla temperatura alla
quale viene idratato. I gel ottenuti sono in genere termoreversibili, ovvero fondono ad una temperatura intorno ai 50-70 °C formando una
soluzione altamente viscosa che gelifica quando la temperatura diminuisce. Recenti studi sembrano dimostrare che l’impiego di queste sostanze può garantire la sostituzione fino al 50% del grasso. Percentuali
di sostituzione superiori possono portare a conseguenze negative sotto
il profilo del volume e della densità del prodotto.
87
I derivati della cellulosa e le gomme sono polisaccaridi che non
vengono o vengono parzialmente metabolizzati dall’organismo
umano; essi pertanto risultano acalorici o ipocalorici. Queste sostanze,
da sole o in combinazione tra loro, sono in grado di formare gel o
soluzioni altamente viscose in grado di rendere stabili schiume e
sistemi emulsionati. La Figura 2.7 mostra un confronto della capacità
viscosante di alcuni polisaccaridi in soluzione acquosa.
Il polidestrosio è un prodotto ottenuto per polimerizzazione del
glucosio con sorbitolo e acido citrico. Può essere utilizzato nei prodotti
da forno in sostituzione dei grassi o degli zuccheri poiché possiede
proprietà “volumizzanti”, ovvero è in grado di conferire volume ai
prodotti nei quali viene aggiunto. E’ solubile in acqua e stabile al
calore. Tuttavia, molta cautela deve essere posta nell’uso di questa
sostanza poiché, ad alte dosi, può esplicare effetti lassativi.
Diversi formulati a base di frutta essiccata, quali mele fichi, prugne,
uva, vengono proposti per conferire consistenza, viscosità e dolcezza
ad impasti a ridotto tenore di lipidi. Proposti in forma di pasta o polveri
anidre, possono sostituire burro, margarina e oli nella formulazione di
pane, dolci lievitati e biscotti. L’utilizzo di questi prodotti è consentito
dalle normative UE
Interessante è l’uso recente dell’inulina. Si tratta di una fibra solubile in
acqua che coniuga l’attività viscosante a proprietà prebiotiche, ovvero
che favoriscono lo sviluppo della flora microbica intestinale.
Figura 2.7 - Viscosità di soluzioni acquose contenenti concentrazioni crescenti di fruttosio,
gomma xantano, maltidex (soluzione acquosa contenente 77 % maltitolo e 3 % sorbitolo,
Cerestar Italia) e maltodestria 6.5 D.E.
6
Maltodestrina 6.5 D.E.
Ln viscosità (Pas)
4
Maltidex
2
Gomma xantano
0
-2
-4
-6
-8
-30
-20
-10
0
10
20
30
40
50
60
88
Concentrazione (% p/p)
70
80
90
100
Proteine
Si tratta di prodotti a base di proteine ottenute da uova, latte, siero
di latte e vegetali. La particolarità di alcuni sostituti dei grassi a
base proteica è la “microparticolazione”, procedimento tecnologico
brevettato verso la fine degli anni ’90 che consente di formare aggregati
proteici di forma sferica, con diametro di circa 1 micron, in grado di
dare risposte sensoriali di cremosità, consistenza e “rotondità” simili a
quelle dei grassi. Questi prodotti hanno, tuttavia, le stesse limitazioni
dei sostituti dei grassi a base polisaccaridica. Infatti, per esplicare le
loro proprietà funzionali hanno necessariamente bisogno di cospicue
concentrazioni di acqua. Non si prestano pertanto ad essere utilizzati
in impasti a basso tenore di umidità.
Il primo prodotto “microparticolato” è stato Simplesse, prodotto
dalla NutraSweet Company, costituito da proteine del siero di latte.
Si presenta in forma di polvere facilmente idratabile. In sospensione
acquosa Simplesse conferisce struttura, cremosità, stabilità ad emulsioni
e schiume e favorisce una uniforme distribuzione dell’umidità
nell’impasto in un ampio intervallo di pH e temperature. Un grammo
di proteine microparticolate fornisce circa un terzo delle calorie di
una analoga quantità di grasso. Le proteine “microparticolate” sono
denaturate e dunque si prestano ad essere utilizzate anche in prodotti
destinati a trattamenti termici prolungati ed intensi quali cottura,
pastorizzazione e sterilizzazione. Questi prodotti vengono proposti in
sostituzione dei grassi in prodotti da forno, anche surgelati, impasti
read-to-use per dolci e torte refrigerati, creme e topping.
Le proteine “microparticolate” sono ritenute sicure (GRAS) e
consentire dalla UE.
Lipidi modificati
Si tratta di trigliceridi modificati, a basso tenore calorico, costituiti da
acidi grassi a corta e a lunga catena. Lo sviluppo di questi prodotti
prese origine dall’osservazione che gli acidi grassi a corta catena (con
meno di 6 atomi di carbonio) apportano una ridotta quantità di calorie,
mentre gli acidi grassi a lunga catena (con almeno 18 atomi di carbonio)
vengono scarsamente assorbiti dall’intestino. Questi sostituti dei
grassi sono stati sviluppati negli anni ’90 per superare le limitazioni di
impiego dei prodotti a base polisaccaridica e proteica che richiedono
necessariamente l’addizione di acqua per esplicare le loro funzioni di
89
sostituti dei grassi. I lipidi modificati, infatti, possono essere utilizzati
anche in prodotti con un ridotto tenore di umidità.
Un esempio di un prodotto con queste caratteristiche è la Caprenina,
prodotta da Procter and Gamble, che presenta caratteristiche funzionali
(struttura, palatabilità e punto di fusione) molto simili a quelle del
burro di cacao. Si tratta di un trigliceride costitutito da due acidi grassi
a media catena, l’acido caprilico (C8) e l’acido caprico (C10), ed un acido
grasso satura a lunga catena, l’acido beenico (C22:0). Gli acidi caprico
e caprilico derivano dal cocco mentre l’acido beenico viene ricavato
dalle nocciole e da oli di pesci marini. La combinazione di acidi grassi
a media catena con l’acido beenico, che viene solo parzialmente
metabolizzato dall’organismo umano, consente alla Caprenina di
fornire 5 kcal/grammo contro le circa 9 kcal/grammo di un grasso
tradizionale. La Caprenina è stata riconosciuta dalla FDA come GRAS,
ma non ne è consentito l’utilizzo in ambito europeo.
Un altro prodotto con caratteristiche simili è Salatrim, prodotto da Nabisco,
che è costituito da trigliceridi che contengono almeno un acido grasso a
corta catena (C2, C3 o C4 come acido acetico, proprionico e butirrico)
ed uno saturo a lunga catena (prevalentemente C18, acido stearico). A
seconda del tipo di acidi grassi a corta e lunga catena, della loro posizione
nel trigliceride e dei loro rapporti ponderali, questi lipidi modificati
possono presentare proprietà funzionali molto diverse che conferiscono
una elevata versatilità di impiego. Questi prodotti possono essere
utilizzati per la produzione di prodotti di pasticceria, creme, prodotti a
base di cioccolato, snack, biscotti e prodotti da forno alleggeriti.
Analoghi dei grassi
90
Si tratta di prodotti di sintesi, non metabolizzati dall’organismo umano
e dunque acalorici, che esplicano proprietà funzionali identiche a
quelle dei grassi (Olestra, Prolestra, Tacta e DDM). Olestra è forse il
prodotto più conosciuto: è costituito da un “cuore” di saccarosio a
cui sono legati 6-8 molecole di acidi grassi diversi (da C10 a C20). Le
molecole di questo olio sintetico sono inattaccabili dalle lipasi, enzimi
che consentono al nostro organismo l’assimilazione dei grassi. Olestra
ha le stesse caratteristiche sensoriali e funzionali di un olio tradizionale.
Approvato dalla FDA nel 1996, viene utilizzato come ingrediente (con
qualche limitazione) nella produzione di snack e cracker alleggeriti,
come olio di frittura o agente di distacco. L’uso di Olestra e degli altri
analoghi dei grassi non è consentito dalla UE.
Nella Tabella 2.12 è riportato un quadro riassuntivo di potenzialità
di impiego dei sostituti dei grassi per alcune tipologie di prodotti da
forno.
Tabella 2.12 - Potenzialità di impiego di sostituti e analoghi dei grassi in prodotti da forno
diversi
Prodotto
Polisaccaridi
Prodotti a base Gomme, amidi, amidi
di cereali (pane, modificati, fibre, inulina
cracker)
Sostituti ed analoghi
dei grassi
Proteine
Lipidi modificati
ed analoghi
dei grassi
Proteine
“microparticolate”
Emulsionanti
Caprenina
Salatrim
Olestra
Prodotti di
pasticceria e
dolciumi
Amidi, amidi modificati,
Proteine
gomme, cellulosa, inulina, “microparticolate”
polidestrosio
Emulsionanti
Caprenina
Salatrim
Olestra
Prodotti da
forno e torte
lievitate
Amidi, amidi modificati,
Proteine
gomme, cellulosa, inulina, “microparticolate”; miscele
polidestrosio
di proteine; concentrati
proteici del siero di latte
Emulsionanti
Caprenina
Salatrim
Olestra
Pizze
refrigerate e
congelate
Amidi, amidi modificati,
Proteine
gomme, cellulosa, inulina, “microparticolate”;
polidestrosio
concentrati proteici del
siero di latte
Emulsionanti
Caprenina
Salatrim
Olestra
Snacks
(sfogliatelle,
biscotti salati,
popcorn)
Amidi, amidi modificati,
maltosio, cellulose,
gomme
Caprenina
Salatrim
Olestra
Alcune considerazioni sull’impiego dei sostituti
dei grassi
Come è già stato ricordato, l’alleggerimento della frazione lipidica di
un prodotto da forno rappresenta un problema tecnologico complesso
di non semplice e rapida soluzione.
E’ pratica diffusa quella di compensare la riduzione della frazione
lipidica con un aumento della quantità di acqua addizionata
91
92
all’impasto. Tuttavia questa operazione presenta diversi inconvenienti,
quali ad esempio modificazioni della consistenza e del volume oltre
che un aumento della suscettibilità del prodotto ad andare incontro ad
alterazioni di natura microbiologica. L’incremento della percentuale di
acqua nella formulazione può anche accelerare fenomeni di migrazione
dell’umidità tra gli strati più umidi e quelli più “secchi”. E’ questo il
caso dei prodotti da forno con glassature o caratterizzati da farciture a
basso tenore di acqua libera. Inoltre, molti prodotti da forno alleggeriti
presentano ottime caratteristiche qualitative appena preparati,
ma tendono a raffermare rapidamente durante la conservazione.
Frequente è anche il problema della “lavorabilità” degli impasti
così ottenuti, spesso molto diversi per caratteristiche reologiche (ad
esempio viscosità, elasticità, ecc.) da quelli convenzionali.
In linea di principio, non esiste un sostituto dei grassi ideale né è possibile
pensare a strategie di alleggerimento preconfezionate, adattabili a
tutte le tipologie di prodotti da forno. Spesso i tentativi compiuti per
alleggerire una formulazione portano a dei risultati insoddisfacenti
sotto il profilo della qualità e della stabilità del prodotto finito. Questo
dipende generalmente dal fatto che l’ingrediente prescelto non è
in grado di riprodurre adeguatamente tutte le proprietà funzionali
esplicate dal grasso nel prodotto (si veda a questo proposito il capitolo
2.1). Ne consegue che spesso è preferibile utilizzare combinazioni di
ingredienti diversi che, nel loro insieme, sono in grado di compensare
meglio gli effetti negativi derivanti dalla mancanza di lipidi. Molti dei
prodotti attualmente commercializzati come sostituti dei grassi sono
infatti miscele di ingredienti con proprietà funzionali diverse. Alcuni
studi recenti hanno analizzato il comportamento, come sostituti dei
grassi, di combinazioni di polisaccaridi idrosolubili e fibre. I risultati
sembrano indicare che la presenza dei polisaccaridi idrosolubili sia
indispensabile per garantire una adeguata shelf-life del prodotto.
Queste molecole infatti, in virtù della loro affinità per l’acqua,
agirebbero come regolatori dell’umidità, prevenendo fenomeni di
migrazione dell’acqua e disidratazione superficiale. Le fibre insolubili
invece consentirebbero di limitare gli effetti negativi di una eccessiva
concentrazione di polisaccaridi solubili che portano alla formazione di
impasti spesso eccessivamente “gommosi”.
Nei prodotti da forno ad umidità piuttosto elevata vengono spesso
impiegati con successo emulsionanti e gomme in combinazione con
sostituti dei grassi di natura polisaccaridica. Le Tabelle 2.13 e 2.14
riportano due esempi di possibili formulazioni di prodotti da forno
basate sulla combinazione di questi ingredienti/additivi.
Tabella 2.13 - Formulazione di una focaccia ai frutti di bosco (Khan, 1993)
Ingrediente
Farina
Latte magro
Zucchero
Acqua
Uova intere
Frutti di bosco
Maltodestrine
Oli vegetali idrogenati
Amido pregelatinizzato
Agenti lievitanti
Emulsionanti
Sale
Gomma xantano
Vaniglia
Aromi
Concentrazione (%)
23.3
18.0
16.3
15.4
9.92
6.19
3.62
2.5
2.0
1.4
0.5
0.4
0.2
0.2
0.07
Tabella 2.14 - Formulazione di una torta al cioccolato a ridotto contenuto di lipidi (Khan, 1993)
Ingrediente
Acqua
Farina
Uova intere
Oli vegetali idrogenati
Fruttosio
Polidestrosio
Cacao
Amido di frumento
Latte magro in polvere
Agenti lievitanti
Amido modificato
Sale
Cellulosa
Concentrazione (%)
43.01
19.03
9.51
7.23
4.76
4.76
4.28
2.85
0.95
2.66
0.38
0.38
0.20
Va notato che molti prodotti commerciali a ridotto tenore lipidico
presentano un contenuto zuccherino maggiore di quello dei prodotti
tradizionali con conseguente minima riduzione dell’apporto calorico.
E’ stata inoltre valutata l’efficacia di diversi emulsionanti in
combinazione con maltodestrine a basso D.E. (destrosio equivalenti)
93
94
nel ridurre parzialmente o totalmente gli oli vegetali idrogenati in una
torta al cioccolato. In linea generale, tra gli emulsionanti analizzati,
gli esteri del saccarosio consentono di ottenere torte con maggior
volume rispetto a quelle prodotto impiegando monogliceridi, succinil
monogliceridi, sorbitano monostearato e polisorbato 60. Inoltre,
anche la metodologia di incorporazione degli ingredienti svolge
un ruolo determinante. Al fine di ottenere prodotti con maggior
volume, è infatti consigliabile miscelare gli emulsionanti idratati e le
maltodestrine secche.
Da questi esempi appare quindi evidente che una corretta strategia
di alleggerimento deve necessariamente prevedere un “approccio di
sistema”. Non è infatti sufficiente procedere soltanto alla sostituzione
dei grassi nella formulazione. Spesso infatti si rende necessario
riformulare integralmente il prodotto, modificando quindi i rapporti
ponderali anche degli altri ingredienti, oltre che modificare le
condizioni di processo (tempi e temperature di cottura, ecc.). Ad
esempio, la velocità di penetrazione del calore in un impasto arricchito
di polisaccaridi e con minor tenore in grassi è generalmente più alta.
Ne consegue che i tempi di cottura saranno più brevi rispetto a quelli
convenzionali.
In conclusione, è oggi possibile preparare prodotti da forno a
basso tenore lipidico utilizzando gli ingredienti disponibili sul
mercato, ma vi sono molte limitazioni e problematiche che devono
necessariamente essere considerate. Quando si mette a punto una
nuova formulazione è necessario conoscere la “funzionalità” dei
vari ingredienti, selezionando quelli più idonei e combinandoli per
ottenere le caratteristiche qualitative desiderate. E’, infatti, frequente
che prodotti di questo tipo vengano ottenuti utilizzando tre o quattro
ingredienti tra sostituti ed analoghi dei grassi. Va comunque rilevato
che maggiore il numero degli ingredienti utilizzati, maggiore il rischio
di insorgenza di “effetti indesiderati” in fase di formulazione, processo
e conservazione.
Parte 3
Lipidi e nutrizione
3.1 Aspetti nutrizionali di oli e grassi
Introduzione
I lipidi, oltre a rappresentare la principale fonte di riserva energetica
degli organismi terrestri e marini, costituiscono le membrane
biologiche e svolgono importanti funzioni bioregolatrici. I lipidi,
come i carboidrati, sono formati da carbonio, idrogeno e ossigeno ma,
rispetto ai carboidrati, sono una fonte concentrata di energia (9 kcal,
corrispondenti a 37 kJ, per grammo). Analogamente agli altri principi
nutritivi anche i lipidi devono rappresentare, in quantità adeguata,
una parte essenziale della dieta quotidiana di un individuo. I lipidi,
infatti, hanno funzioni biologiche molto differenziate:
• sono un’importante riserva/fonte energetica
• sono componenti fondamentali delle membrane cellulari in tutti i
tessuti
• sono precursori di sostanze regolatrici del sistema cardiovascolare,
della coagulazione del sangue, della funzione renale, del sistema
immunitario
• fungono da trasportatori delle vitamine liposolubili e degli steroli
presenti nella frazione insaponificabile dei lipidi totali.
L’importanza nutrizionale dei lipidi alimentari si esprime attraverso
l’apporto quantitativo e qualitativo di acidi grassi e di componenti
minori presenti nella frazione insaponificabile. Sono classificati come
“lipidi di deposito”, costituiti principalmente dai trigliceridi, e “lipidi
95
96
cellulari”. Questi ultimi comprendono fosfolipidi, glicolipidi e steroli,
tra cui il colesterolo, nonché le vitamine liposolubili (vitamina A, D, K
e E). Dal punto di vista nutrizionale risulta determinante il rapporto
tra acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi assunti con la dieta. Infatti le caratteristiche chimiche degli acidi grassi, quali il grado
di insaturazione, la posizione delle insaturazioni, la lunghezza della
catena carboniosa e l’isomeria geometrica, influenzano e condizionano le proprietà fisiche, nutrizionali, e biologiche dei lipidi. Il nostro
organismo trasforma gli acidi grassi che compongono i trigliceridi in
energia ma li utilizza anche come “mattoni” per sintetizzare i trigliceridi che servono per le altre funzioni dell’organismo (dai grassi di
deposito alla componente lipofila delle membrane cellulari).
Tutti gli acidi grassi svolgono funzione energetica, ma non solo. Gli
acidi grassi saturi hanno prevalentemente un ruolo energetico mentre,
tra gli acidi grassi monoinsaturi, l’acido oleico, oltre ed essere quello
maggiormente digeribile dall’organismo umano, svolge un’importante
azione nella formazione delle HDL (lipoproteine ad alta densità). Gli
acidi grassi polinsaturi invece, accanto alla funzione energetica, svolgono
importanti ruoli strutturali e metabolici quali ad esempio la prevenzione
dei dismetabolismi lipidici e l’aterosclerosi. Tuttavia, proprio per la
presenza di doppi legami, queste molecole possono facilmente andare
incontro a fenomeni di ossidazione. Pertanto, l’assunzione di alimenti
ricchi in antiossidanti naturali è una condizione indispensabile per
contrastare la fisiologica ossidazione, in vivo, di queste sostanze.
Nell’organismo, gli acidi grassi insaturi fungono da precursori di molecole
più complesse, in particolare degli acidi grassi ω-9, o serie dell’acido oleico
e derivati, degli acidi grassi ω-6, o serie dell’acido linoleico e derivati, e
degli acidi grassi ω-3, o serie dell’acido linolenico e derivati.
Particolare importanza rivestono gli acidi grassi essenziali (AGE),
cioè l’acido linoleico (C18:2) e l’acido linolenico (C18:3). Sono definiti
essenziali perché l’organismo umano non è in grado di sintetizzarli e
devono pertanto venire assunti con la dieta. Sono molto importanti
sotto il profilo nutrizionale in quanto svolgono molteplici funzioni:
• costituiscono i fosfolipidi, componenti essenziali della struttura
delle membrane;
• sono i precursori delle prostaglandine, dei leucotrieni e dei trombossani, sostanze ormone-simili che agiscono da mediatori chimici e da regolatori a livello molecolare;
• regolano i lipidi ematici, in particolare il colesterolo, svolgendo
così un’azione preventiva nei confronti dell’aterosclerosi.
Tra i cosiddetti componenti “minori” dei grassi alimentari spiccano
le vitamine liposolubili. Si tratta di sostanze presenti in quantità diverse in relazione all’origine, vegetale o animale, dell’alimento che le
contiene. Mentre la vitamina D si trova principalmente nei prodotti
di origine animale, i precursori della vitamina A e le vitamine E e K
sono presenti principalmente nei prodotti di origine vegetale. Nella
Tabella 3.1 sono riportate le principali caratteristiche nutrizionali e
le altre fonti alimentari della pro-vitamina A e delle vitamine E e K,
presenti nei grassi di origine vegetale.
I grassi alimentari rappresentano una delle principali fonti di vitamine liposolubili nella dieta. A titolo di esempio nella Tabella 3.2 vengono riportati i contenuti di caroteni, vitamina E, e vitamina K1 nei
principali grassi di origine vegetale.
Tabella 3.2 - Contenuto di caroteni, vitamina E e vitamina K1 nei principali oli e grassi di origine
vegetale (aggiornamento BDA98, dati non pubblicati)
Alimento
Burro di arachidi
Burro di cacao
Margarina panetto (vegetale)
Margarina spalmabile vegetale
Olio di cocco
Olio di colza
Olio di germe di grano
Olio di mandorle dolci
Olio di oliva
Olio di oliva extravergine
Olio di palma
Olio di riso
Olio di semi di arachidi
Olio di semi di girasole
Olio di semi di mais
Olio di semi vari
Olio di sesamo
Olio di soia
Olio di vinacciolo
Caroteni
(µg/100g)
Vitamina E
(mg/100g)
Vitamina K1
(µg/100g)
0
0 (1)
4.99
1.8 (1)
0.7 (1)
24.7 (1)
(3)
(3)
(3)
(3)
(3)
(3)
tracce
tracce
tracce
0
18
216
tracce
0
0
tracce
tracce
0.70
22.20
136.70
45.80
18.50
21.42
33.10
32.30
15.20
49.20
34.50
0.5 (1)
122 (1)
(3)
(3)
(3)
tracce
tracce
tracce
4.09
18.50
18.90
13.6 (1)
197.6 (1)
280 (2)
7 (1)
60.2 (1)
8.0 (1)
24.7 (1)
0.7 (1)
5.4 (1)
1.9 (1)
(1) USDA Nutrient database for Standard Reference (2003)
(2) Souci-Fachmann-Kraut,Online Database Food Composition and Nutrition (2003)
(3) variabile in relazione ai tipi di grassi utilizzati nella formulazione
97
98
α,β,γ e δ tocoferolo α,β e Azione antiossidante
γ tocotrienolo
nei confronti dei lipidi
K1 = fillochinone
K2 = prenilmenachinone
K3 = menechinone
VITAMINA E
VITAMINA K
* LARN 1996
Carotenoidi con attività
vitaminica = provitamine
(attività biologica variabile,
di solito si considera pari
ad 1/6 di quella della vit
A preformata: α,β, γ e δ
carotene
PRO-VITAMINA A
Azione antiemorragica
Costituente principale
della rodopsina,
promuove la sintesi
delle glicoproteine
ed il mantenimento
degli epiteli, regola
il metabolismo
del calcio e svolge
azione antiossidante,
particolarmente
protettiva verso il
cancro
Principali composti
Vitamine
Funzioni
principali
Altre fonti
alimentari, oltre
ai grassi vegetali
50-70μg
8 mg
Xeroftalmia,
ipercheratosi,
perdita appetito,
anemia, aumento
della sensibilità
alle malattie
infettive, alcuni
tumori
Sindromi
da carenza
Flora intestinale,
ortaggi
Emorragie
Verdura a foglia
Fragilità degli
larga, semi oleosi,
eritrociti, anemia
fegato, uova, latticini emolitica,
accumulo di
perossidi nei
tessuti
700μg (uomini) Verdure a foglia
600μg (donne) larga, di colore
verde scuro, frutta
e verdura di colore
rosso o giallo
acceso
Fabbisogno
giornaliero
(adulti) *
Tabella 3.1 - Principali vitamine liposolubili presenti nei grassi di origine vegetale
Astenia, cefalea,
vertigini,
nausea, vomito,
desquamazione
della cute e
delle mucose.
In gravidanza
effetto
teratogeno per
il feto
Sindromi
da eccesso
I grassi alimentari nella dieta italiana
Le principali fonti di lipidi nella dieta degli italiani sono i latticini, la
carne, e soprattutto i condimenti. Inoltre, una quota importante di lipidi
proviene dai prodotti da forno. Secondo un recente studio, relativo
alla valutazione dei livelli di assunzione di lipidi e acidi grassi trans
da parte della popolazione europea (TRANSFAIR Study), è emerso
(Tabella 3.3) che, nel caso della popolazione italiana, la maggioranza
dei lipidi assunti con la dieta (51% sui lipidi totali) deriva da oli e
grassi utilizzati come ingredienti o condimenti. Tale quota è costituita
sia da grassi di origine animale che vegetale ed è così ripartita: 30.8%
di acidi grassi saturi, 65.9% di acidi grassi monoinsaturi, 74.6% di acidi
grassi polinsaturi e 18.7% di acidi grassi trans. Dai prodotti da forno
vengono assunte percentuali pari a 12.1% di acidi grassi saturi, 8.2% di
acidi grassi monoinsaturi, 11.2% di acidi grassi polinsaturi e 15.5% di
acidi grassi trans.
Tabella 3.3 - Contributo, espresso come percentuale, di alcuni gruppi di alimenti all’ingestione
di lipidi totali e di acidi grassi in Italia. Diete relative all’intero territorio nazionale ed all’area
geografica di Nord-Est (modificato da Pizzoferrato et al, 1999)
Dieta
Contributo % sui
lipidi della dieta
Contributo % sugli acidi grassi della dieta
Saturi
Monoinsaturi
Polinsaturi Trans
cis
cis
(tot)
Nazionale
Latte e derivati
Carne e salumi
Oli e grassi
Prodotti da forno
Altri alimenti
19.7
13.3
51.8
10.8
4.4
37.3
15.3
30.8
12.1
4.5
10.1
12.5
65.9
8.2
3.4
3.0
6.8
74.6
11.2
4.4
49.3
13.6
18.7
15.5
3.0
Totale
100
100
100.1
100
100.1
Nord Orientale
Latte e derivati
Carne e salumi
Oli e grassi
Prodotti da forno
Altri alimenti
20.6
14.0
49.8
11.7
4.0
35.9
14.7
32.9
12.7
3.8
12.3
15.4
58.1
10.6
3.7
2.6
6.4
78.1
9.7
3.3
42.7
11.9
26.7
16.3
2.4
Totale
100.1
100
100.1
100.1
100
Lo studio in oggetto ha evidenziato inoltre (Tabella 3.4) che, a livello
nazionale, il contributo calorico dei lipidi è pari al 31.4% del totale
99
dell’energia assunta quotidianamente con la dieta (32 % nelle regioni del
Nord-Est), che corrisponde a 94.4g/capite/die (100.9 g/capite/die per
il Nord-Est). Tale quota di lipidi totali è così frazionata: 10.6 % di acidi
grassi saturi (11.8 % al Nord-Est), 13.2 % di acidi grassi monoinsaturi,
di cui 10.6 % di acido oleico (11.5 % e 9.1 %, rispettivamente, per il
Nord-Est), 6.0 % di acidi grassi polinsaturi (5.1 % per il Nord-Est) e 0.5
% di acidi grassi trans (0.6 % per il Nord-Est).
Tabella 3.4 - Stima dell’ingestione di lipidi totali ed acidi grassi in Italia. Diete riferite all’intero
territorio nazionale ed all’area geografiche di Nord-Est (modificata da Pizzoferrato et al, 1999)
Tipo di dieta
Lipidi tot
Saturi
Monoinsaturi
cis
Polinsaturi
cis
Trans
(tot)
Nazionale
g/capite/die
% Energia tot
96.4
31.4
32.5
10.6
40.6
13.2
15.5
5.1
1.6
0.5
Nord Orientale
g/capite/die
% Energia tot
100.9
32.0
37.1
11.8
36.5
11.5
18.9
6.0
1.9
0.6
Sulla base di questi dati è possibile fare un confronto tra le quantità
medie di lipidi totali ed acidi grassi assunti con la dieta e quelle
raccomandate dai LARN (Livelli di Assunzione Raccomandati di
Energia e Nutrienti) per la popolazione italiana (LARN, 1996). I LARN
infatti stabiliscono che l’apporto lipidico corretto è da considerarsi il
seguente:
•
35-40 % dell’energia totale fino al secondo anno di vita,
•
30 % fino all’adolescenza
•
25 % nell’età adulta.
100
Nel dettaglio, e riferendosi alla sola popolazione adulta, la quota di
acidi grassi saturi non dovrebbe superare il 10 % delle calorie totali,
mentre la rimanente quota dovrebbe essere coperta dai mono e dai
polinsaturi: per questi ultimi, la quota complessiva di AGE non deve
superare il 4-6% delle calorie totali della dieta e deve essere accompagnata da quote significative di tocoferoli o altri antiossidanti. Infine,
sempre secondo i LARN, la quota di acidi grassi trans non dovrebbe
superare i 5g/die.
Osservando la tabella 3.4 appare evidente che l’energia derivante
dall’assunzione di lipidi nella dieta (31-32 %) è superiore a quella
raccomandata dai LARN per la popolazione adulta (25 %). Inoltre esiste
ancora uno squilibrio tra acidi grassi saturi ed acidi grassi polinsaturi.
Fortunatamente, bassa e lontana dal limite posto dai LARN (5 g/die) è
invece la quantità di acidi grassi trans, indice di un uso non eccessivo
di grassi idrogenati o di alimenti che li contengono. Come è noto gli
acidi trans possono essere naturalmente contenuti nel burro o formarsi
in seguito ai processi di idrogenazione dei grassi vegetali.
Pertanto, per coprire correttamente i fabbisogni nutrizionali di lipidi,
si consiglia che i 2/3 della quota lipidica sia di origine vegetale, mentre
il rimanente (1/3) di origine animale. Tale suddivisione è giustificata
dal fatto che, come noto, gli acidi grassi saturi prevalgono nel mondo
animale e gli insaturi si trovano prevalentemente nel regno vegetale.
Vanno però ricordate alcune importanti eccezioni, come i grassi
provenienti da animali marini, prevalentemente composti da acidi
grassi polinsaturi, e i grassi estratti da piante di origine tropicale,
come il cocco ed il palma, prevalentemente composti da acidi grassi
saturi.
Inoltre, un’eccessiva assunzione di AGE può provocare danni di tipo
metabolico e funzionale. Questo spiega la necessità di un’adeguata
assunzione di tocoferoli e di altri antiossidanti al fine di contrastarne
i loro effetti indesiderati. Per questo motivo i LARN stimano un
fabbisogno complessivo di tocoferolo, sulla base del rapporto
tocoferolo/acidi grassi polinsaturi, pari a 0.4. Pertanto, l’apporto di
tocoferolo, per la popolazione adulta, non deve essere comunque
inferiore a 3 mg/die per le donne e a 4 mg/die per i maschi.
I lipidi nell’organismo
I lipidi di origine alimentare giungono nell’organismo sotto forme
diverse e solitamente si trovano in alimenti complessi. Ad eccezione
degli oli infatti, tutte le altre fonti lipidiche contengono, in percentuali
variabili, anche gli altri macronutrienti (proteine e carboidrati) che
rendono la digestione di queste molecole, di per sé già più complessa
delle altre, più lunga.
I grassi, una volta ingeriti, vengono ridotti in forma di piccole
goccioline grazie all’azione emulsionante dei sali biliari. In questo
modo essi possono essere attaccati dagli enzimi prodotti dal pancreas,
101
la lipasi pancreatica (scompone i grassi in acidi grassi e glicerolo) e la
colesteroloesterasi (rilascia il colesterolo libero). Per essere assorbiti
i grassi devono formare specifiche strutture: gli acidi grassi liberi
vengono trasportati dalle albumine, gli altri (trigliceridi, fosfolipidi
e colesterolo) formano le lipoproteine plasmatiche che, attraverso il
dotto toracico, entrano nella circolazione sanguigna.
Esistono quattro diversi tipi di lipoproteine:
1) Chilomicroni: sono le lipoproteine meno dense (80-90% trigliceridi, 10-15% fosfolipidi e colesterolo esterificato, 1-2% proteine).
Esse trasportano i lipidi alimentari ai tessuti, dove vengono scisse
da un enzima specifico con conseguente formazione di acidi grassi e colesterolo.
2) VLDL o lipoproteine a bassissima densità (50-79% trigliceridi, 12%
colesterolo esterificato, 7-1% proteine): vengono sintetizzate dal
fegato e servono per trasportare i trigliceridi dal fegato al tessuto
adiposo.
3) LDL o lipoproteine a bassa densità (20-30% fosfolipidi, 40% colesterolo, 25% proteine): trasportano il colesterolo nei tessuti. Esse
tuttavia possono depositare il colesterolo sulle pareti delle arterie,
risultando così aterogene.
4) HDL o lipoproteine ad alta densità: presentano un’alta percentuale di proteine (20% fosfolipidi, 20% colesterolo, 40-50% proteine,
tracce di trigliceridi), che le rende idonee a raccogliere il colesterolo presente in eccesso nei tessuti periferici, e convogliarlo al
fegato dove viene eliminato. Rappresentano una forma di difesa
dell’organismo nei confronti dell’aterosclerosi.
102
La digestione dei grassi termina a livello epatico, dove vengono
eliminati gli eccessi di colesterolo e si ha l’utilizzo degli acidi grassi
che arrivano in forma libera se a catena corta o legati a chilomicroni
se a lunga catena. A livello epatico, inoltre, si ha anche la sintesi di
trigliceridi, fosfolipidi e colesterolo da composti non lipidici, che vengono successivamente inviati in circolo attraverso le lipoproteine. A
livello cellulare infine avviene la biosintesi di acidi grassi e molecole
complesse. Va notato che il colesterolo viene sintetizzato non solo nel
fegato, ma anche nelle gonadi, nella corteccia surrenale e nel reticolo
endoplasmatico cellulare. La regolazione del metabolismo lipidico dipende da vari fattori e principalmente dalla composizione della dieta,
dalla secrezione ormonale e dalla produzione di enzimi.
Lipidi alimentari e patologie
Obesità e soprappeso
Numerosi studi epidemiologici condotti sia sugli animali che
sull’uomo hanno evidenziato che esiste un’associazione diretta tra
sovrappeso, obesità e numerose patologie (WHO, 2003). Secondo
questi studi l’eziologia nutrizionale dell’obesità è da ricercare non
solo nell’eccessiva assunzione di calorie ma anche nelle caratteristiche
qualitative della dieta. Infatti, a parità di calorie assunte, le diete
iperlipidiche contribuirebbero in maniera maggiore all’obesità rispetto
a quelle iperglucidiche.
Sviluppo fisico e cerebrale
Esiste un’ampia documentazione sperimentale, epidemiologica e
clinica sui danni nello sviluppo cerebrale e psichico in caso di carenza
di acidi grassi polinsaturi. Tali condizioni peraltro rare nel mondo
occidentale ed in Italia, sono ancora frequenti nei Paesi in via di
sviluppo. Queste patologie da carenza sono facilmente evitabili con
l’allattamento al seno, con l’uso delle più comuni formule sostitutive
del latte materno (ad esempio latte in polvere umanizzato) e con la
dieta usualmente suggerita in fase di svezzamento.
Malattie cardiovascolari
Nel corso degli ultimi 40 anni lo studio delle relazioni tra grassi
alimentari e salute, e più specificatamente tra grassi alimentari
e patologie, è stato focalizzato prevalentemente al problema
dell’arterioclerosi, delle malattie cardiovascolari e della cardiopatia
coronaria. Le relazioni tra grassi e accidenti cerebrovascolari (ictus)
sono meno chiare e consistenti ma, entro certi limiti, le conclusioni
sono simili.
Tra i principali fattori di rischio per le malattie cardiovascolari
troviamo la presenza di elevate quantità di LDL e di basse quantità
di HDL contemporaneamente a livelli elevati di trigliceridi ematici.
La maggior parte degli studi che sono stati compiuti finora hanno
103
evidenziato che i livelli di LDL possono essere significativamente
aumentati dalla presenza nella dieta di acidi grassi saturi e trans,
mentre possono essere diminuiti dalla presenza di acidi grassi mono e
polinsaturi. Il livello delle HDL, invece, può essere abbassato dalla sola
presenza di acidi grassi trans, che sono anche in grado di aumentare i
livelli di trigliceridemia a digiuno. Gli acidi grassi saturi, in particolare
gli acidi grassi laurico, miristico e palmitico, agiscono in modo tale da
favorire l’accumulo di placche ateromatose, divenendo di fatto uno dei
principali fattori di rischio per l’aterosclerosi.
Per quanto riguarda il ruolo degli acidi grassi monoinsaturi sulle
lipoproteine, esso sembra neutrale o al più in grado di aumentare
i livelli di HDL, con azione ipocolesterolemizzante. Infatti, le
popolazioni che usano olio di oliva come grasso di base della loro
alimentazione sembrano essere protette dalla cardiopatia coronaria. E’
stato dimostrato che gli acidi grassi polinsaturi, ed in particolare l’acido
linoleico, svolgono un ruolo ipocolesterolemizzante, favoriscono il
rallentamento della progressione dell’arteriosclerosi e giocano un
ruolo protettivo per il muscolo cardiaco contro l’ischemia. Gli acidi
grassi polinsaturi però possono essere dannosi se assunti in dosi
elevate ed in presenza di scarse quantità di sostanze antiossidante,
poiché in questo modo si favorisce la formazione di perossidi e la
produzione di radicali liberi.
Tumori
104
Diversi studi internazionali hanno mostrato una stretta relazione tra
energia (o introito calorico) ed alcuni tumori (ad esempio tumore alla
mammella e tumori dell’apparato digerente), mentre i vari gradi di
sovrappeso e la vera e propria obesità sono, per sé, associati ai tumori
del corpo dell’utero, della prostata, e della mammella. Per questo
motivo lo studio delle relazioni tra i tumori ed i componenti alimentari
in grado di fornire energia all’organismo sono costantemente
oggetto di studio e di attenzione da parte della comunità scientifica
internazionale (WHO, 2003).
L’osservazione che diete ipercaloriche possono favorire la comparsa di
alcune patologie tumorali non consente tuttavia di accusare, tout court,
i grassi, di avere effetti cancerogeni. E’ infatti molto difficile valutare gli
effetti sulla salute di singole classi di nutrienti isolandoli dall’influenza
di altre variabili, legate non solo alla complessità di composizione degli
alimenti, ma anche ai diversi stili di vita. Questo consente di spiegare
come studi epidemiologici condotti in paesi diversi portino spesso a
risultati controversi. Infatti, gli studi condotti nel Nord America hanno
evidenziato un ruolo negativo dei lipidi nei confronti delle patologie
tumorali, mentre analoghi studi condotti in Grecia, Spagna ed Italia
hanno indicato un certo ruolo protettivo, ma solo quando i lipidi sono
di origine vegetale (ad esempio nel caso del tumore della mammella e
del colon retto). Questi risultati apparentemente contrastanti possono
essere messi in relazione ad un consumo qualitativamente diverso dei
grassi. Infatti, nel caso dei paesi dell’area mediterranea, la principale
fonte di lipidi nella dieta è costituita dall’olio di oliva, utilizzato
prevalentemente come condimento, al quale risulta associato un
consumo relativamente elevato di vegetali. Al contrario, nei Paesi
Nord europei ed in nord America si consumano maggiormente i grassi
saturi, sia di origine animale che vegetale. In altre parole, la dieta del
Sud Europa risulta caratterizzata da elevati consumi di grassi che
contengono significative quantità di acidi grassi monoinsaturi, più
digeribili, meno ossidabili, e soprattutto ricchi di sostanze antiossidanti
come ad esempio la vitamina E e i composti fenolici.
Modificazioni dei grassi causate dai trattamenti termici
e aspetti nutrizionali
Come è già stato ampiamente ricordato, l’ossidazione dei grassi è
un fenomeno frequente che costituisce spesso la principale causa di
alterazione di molti alimenti tra cui i prodotti da forno. Le reazioni
di ossidazione infatti possono essere accelerate da trattamenti termici
quali cottura, frittura, tostatura, pastorizzazione e sterilizzazione.
Perfino alle temperature di congelamento il fenomeno dell’ossidazione
lipidica procede a velocità non trascurabili, costituendo spesso la
causa di scadimento qualitativo dei prodotti da forno surgelati.
Oltre a conferire al prodotto caratteristiche sensoriali indesiderate, le
reazioni di ossidazione causano un peggioramento complessivo della
qualità nutrizionale dell’alimento. Questo è dovuto alla riduzione
del contenuto di sostanze “utili” (vitamine, acidi grassi essenziali)
ed alla comparsa di sostanze più propriamente tossiche, dai perossidi
agli idroperossidi fino a sostanze complesse che si formano nelle fasi
finali dei processi di ossidazione. Gli effetti tossici di queste sostanze
possono interessare l’apparato cardiocircolatorio, l’apparato digerente,
105
106
il fegato ed il rene, dove si accumulano. Allo stato attuale degli studi,
la presenza di sostanze ad azione cancerogena direttamente formate
dalla degradazione termo-ossidativa dei grassi non è stata ancora
adeguatamente quantificata. Non è quindi possibile una valutazione
ampia della loro assunzione nell’ambito di studi epidemiologici sulla
popolazione mentre, al contrario, la presenza di sostanze ad elevata
azione antiossidante e anti-mutagena nell’olio di oliva, soprattutto
se extravergine, si è dimostrata in grado di diminuire la quantità di
ammine eterocicliche, sostanze ad azione mutagena e cancerogena,
prodotte durante i trattamenti di frittura di alimenti a base di carne.
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