la scienza è democratica?

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la scienza è democratica?
SOCIETÀ
la scienza è democratica?
R
mocrazia. Sia, infine, per la necessità di
costruire una società democratica della
conoscenza. Insomma ha una valenza culturale e sociale enorme.
sui vaccini non si vota
Burioni e altri serissimi ricercatori sostengono che la «scienza non è democratica»
perché le verità scientifiche, per quanto
contingenti, non si votano a maggioranza.
Che esistono delle competenze specifiche
e sono queste e solo queste ad avere diritto di parola. Mentre in democrazia vale il
principio «una testa un voto»: tutti hanno
diritto di parola. È questo che rende la
scienza «non democratica».
Le argomentazioni sembrano dotate di una
forza intrinseca: l’autoevidenza. Tutti votiamo per questo o quel partito, ma non
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Pietro
Greco
oberto Burioni è un medico, professore di microbiologia e virologia all’università San Raffaele di
Milano, che sta facendo uno straordinario lavoro nel denunciare
le post-verità (una volta si chiamavano bufale) intorno ai vaccini e ad altri argomenti di tipo medico. La sua pagina Facebook è molto seguita. Cosicché
molti sono rimasti colpiti da una frase lapidaria postata lo scorso 31 dicembre: «La
scienza non è democratica».
L’affermazione di Roberto Burioni ha ricevuto numerosi consensi, anche e soprattutto in ambito scientifico, da parte di persone rigorose che mal sopportano le post-verità. Ma è davvero così? Davvero scienza e
democrazia sono irreparabilmente diverse?
La risposta a queste domande è molto importante sia per la scienza sia per la de-
SOCIETÀ
tutti possono parlare con competenza di
fisica delle alte energie, di chimica organica o di vaccini. La relatività generale
continuerebbe a essere «vera» anche se la
maggioranza della popolazione mondiale
in un ipotetico referendum la dichiarasse
«falsa». La scienza è, dunque, davvero non
democratica per definizione?
Niente affatto. Le differenze insanabili
appaiono solo se diamo definizioni riduttive, quasi caricaturali, e della scienza e
della democrazia. Mentre si assottigliano
e quasi scompaiono se indaghiamo entrambe con un minimo di profondità.
la «Repubblica della Scienza»
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Prendiamo la scienza. Molti dimenticano
che essa non è una dimensione dello spirito,
ma un’attività sociale. A fare scienza è una
comunità (un insieme di comunità) dedita
– scriveva John Ziman, fisico e attento analista della sociologia della scienza – a raggiungere un consenso razionale di opinione
sul più vasto campo di argomenti possibili.
L’aggettivo razionale fa riferimento ai due
paradigmi epistemologici, ovvero al modo
con cui lo scienziato produce nuova conoscenza: le «certe dimostrazioni» e le «sensate esperienze». Ma non bastano le correlazioni tra solide teorie e fatti empirici. Per
fare scienza occorre un consenso d’opinione. Un consenso che è appunto, democratico. La relatività generale non diventa la nuova teoria della gravità quando Einstein la formula, sul finire del 1915. E neppure quando
Arthur Eddington, con una «sensata esperienza», dimostra nel 1919 che è la teoria
che spiega meglio i fatti noti. La relatività
generale diventa la nuova scienza della gravità quando la comunità dei fisici raggiunge un consenso razionale di opinione sulla
sua validità in un processo che ha un alto
contenuto di democrazia.
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In questo caso la «comunità dei fisici» è
abbastanza indefinita. Non esiste infatti un
albo dei fisici a cui ci si può iscrivere. Guglielmo Marconi ha vinto il Nobel per la
fisica pur non avendo una laurea in fisica.
Esiste nella pratica una comunità di chi
svolge la ricerca fisica in maniera professionale. Ma, in teoria, alla comunità dei
fisici appartengono tutti coloro che sono
in grado di intervenire in maniera razionale nelle discussioni intorno alle «certe
dimostrazioni» e ne accettano come dirimente la verifica empirica.
Ma, al di là dei ragionamenti astratti, ci sono
i valori che regolano la vita della comunità
scientifica (delle comunità scientifiche). Li
ha riassunti tempo fa un grande sociologo
americano, Robert Merton, in un acronimo:
Cudos. Dove C sta per comunitarismo (tutto deve essere comunicato a tutti); U per
universalismo (tutti possono partecipare alla
scienza a prescindere dal sesso, dal luogo di
origine, dalla religione o dalle idee politiche);
D sta per disinteresse personale; O per originalità e S sta per scetticismo sistematico
(nella scienza non vale l’ipse dixit, tutto deve
essere vagliato criticamente). Almeno quattro su cinque di questi valori sono profondamente democratici. Il quinto, l’originalità, non è una necessità della democrazia, ma
neppure è un valore antidemocratico.
La costituzione della scienza è, dunque,
democratica. Non a caso quando si fa riferimento alla nascita della scienza moderna, nel Seicento, si parla di «repubblica» e
non di «regno» della scienza. La «Repubblica della Scienza» è un’istituzione sociale
intrinsecamente democratica. La scienza
così come la conosciamo non esisterebbe
senza questo suo carattere democratico.
in cerca di un consenso razionale
Ma ora puntiamo lo sguardo sulla demo-
patologie e bufale
È vero, molti fatti sembrano dire il contrario. Talvolta è successo che un governo
o un parlamento abbiano votato o la magistratura abbia agito in contrasto con
l’evidenza scientifica: si pensi al caso Sta-
mina o, facendo un passo indietro, al caso
Di Bella. Più in generale, pensiamo all’utilizzo che molti fanno delle rete: lanciando, senza competenza alcuna, strali o ingiurie o addirittura minacce a scienziati
che hanno denunciato il caso Stamina o si
battono per consentire ancora una controllata sperimentazione animale. Ma in questi casi non parliamo di democrazia. Parliamo di patologie della democrazia.
Succede anche in ambito scientifico. Molti scienziati contravvengono alle norme
mertoniane. Intere comunità possono raggiungere un consenso razionale di opinione su questioni sbagliate. Pensiamo ai fisici tedeschi che hanno seguito due premi
Nobel, Philipp Lenard e Johannes Stark,
nella denuncia di una presunta «fisica giudaica» rappresentata da Albert Einstein in
contrapposizione a una pura «fisica tedesca». Oppure pensiamo ancora agli scienziati italiani che nel 1938 hanno sottoscritto il Manifesto della Razza in aperto contrasto con ogni evidenza scientifica. Anche in questi casi non parliamo di scienza, ma di patologie della scienza.
Torniamo dunque al caso iniziale. Al professor Burioni che giustamente denuncia le
post-verità (le bufale) di chi si oppone ai vaccini con un tambureggiante e sistematico
intervento su ogni mezzo di comunicazione
di massa, ma soprattutto in rete. Non siamo
di fronte a una democrazia anti-scientifica.
Siamo di fronte a una patologia anti-scientifica della democrazia. Una patologia seria.
Che, tuttavia, può essere vinta non affermando la non democraticità della scienza, ma al
contrario ribadendo la sua profonda democraticità. Il suo metodo di costruzione di un
consenso razionale di opinione. Che può essere raggiunto solo per convinzione e non
per contrapposizione.
Pietro Greco
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crazia. Se la osserviamo potremmo definirla come una comunità (una nazione,
per esempio) dedita costituzionalmente a
raggiungere un consenso razionale di opinione intorno alla sua stessa esistenza.
Dove il costituzionalmente ha anche un
significato letterale, di scritto nella Costituzione. Anche la democrazia si fonda su
«certe dimostrazioni» (il diritto) e su «sensate esperienze» (i fatti che accadono).
Nessuna democrazia stabilisce né regole
a casaccio né regole che cambiano con
l’umore di un singolo. Questo accade nelle dittature, che per l’appunto, sono la negazione della democrazia.
Anche la democrazia si fonda su valori
come la trasparenza, la lotta a ogni discriminazione, il rifiuto dell’ipse dixit. Anche
in democrazia si dice di un politico che è
uno statista se il suo unico interesse non è
quello personale, ma generale. Anche la
democrazia, infine, riconosce il valore della competenza. E non solo perché uno dei
tre poteri dello stato, quello giudiziario, è
affidato a persone che sanno di diritto. Ma
anche e soprattutto perché negli altri poteri dello stato, quello legislativo e quello
esecutivo, la competenza è un valore. Chi
fa le leggi e chi gestisce il governo deve
trovare la migliore correlazione tra teorie
e fatti, raggiungendo un consenso razionale d’opinione.
Ne possiamo concludere, dunque, non
solo che la scienza è democratica, ma anche che la democrazia è tale se ha un approccio scientifico.