Ruolo ed Incidenza Delle complicanze Ostetriche Materno

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Ruolo ed Incidenza Delle complicanze Ostetriche Materno
UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE
FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Dipartimento di Scienze Cliniche Specialistiche ed Odontostomatologiche
Sezione di Scienze della Salute della Donna
SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA – XIV° Ciclo
Curriculum Scienze Biologiche e Cliniche Specialistiche
Prematurità severa: Ruolo ed Incidenza
Delle complicanze Ostetriche Materno-Fetali
nell’Outcome Neonatale
Tutor:
Dr. Stefano R. Giannubilo
Dottoranda:
Dott.ssa Giovanna I. Battistoni
ANNO ACCADEMICO 2015-2016
1
a Virginia…
2
Sommario
1.
INTRODUZIONE ......................................................................................................................................................... 4
1.1
Classificazione del grado di prematurità .................................................................................................. 5
1.2
Sopravvivenza e Morbilità Neonatale ........................................................................................................ 6
1.3
Patologie ischemiche e infiammatorie placentari ................................................................................. 7
2.
MATERIALI E METODI .......................................................................................................................................... 11
3.
RISULTATI..................................................................................................................................................................... 13
4.
DISCUSSIONE .......................................................................................................................................................... 21
5.
TRASPORTO IN UTERO E TRASPORTO NEONATALE...................................................................... 23
5.1
Trasporto in Utero............................................................................................................................................ 25
5.2
Trasporto Neonatale ....................................................................................................................................... 28
6.
CONCLUSIONI .......................................................................................................................................................... 31
7.
BIBLIOGRAFIA .......................................................................................................................................................... 32
Indice delle Tabelle
Tabella 1.3-1 Characteristics of the population included in the study ......................................................... 13
Tabella 1.3-2. Incidence of neonatal outcome in function of obstetric complication............................... 15
Tabella 1.3-3. Analysis of neonatal outcome in function of ischemic ( IPD) Vs inflammatory (ID)
placental diseases ............................................................................................................................................................. 16
Tabella 1.3-4 Neonatal outcome in IPD Vs ID ( neonates born by caesarean section, stratified for
birthweight). .......................................................................................................................................................................... 18
Tabella 1.3-5 Indicazioni e controindicazioni al trasporto .................................................................................. 27
Indice delle Figure
Figura 1.3-1. Neonatal survival..................................................................................................................................... 15
Figura 1.3-2. Neonatal survival related to placental disease group .............................................................. 20
Figura 1.3-3. Incidence of broncodisplasia related placental disease group ............................................. 21
Figura 1.3-4 How step by step ...................................................................................................................................... 26
3
1. INTRODUZIONE
Negli ultimi anni le nascite pretermine sono in continuo aumento: secondo gli ultimi
dati dell’ OMS, attualmente un bambino su dieci nasce prematuro. L’ 1% dei neonati
viene alla luce al di sotto della 32esima settimana ed addirittura lo 0,50% al di sotto
della 28esima settimana di gestazione. La prematurità è un evento fortemente
traumatico che interrompe bruscamente un complesso processo naturale di
maturazione fisica e psicologica sia della madre che del feto. Tale caratteristico
aumento della prematurità deve essere posto in relazione con molteplici fattori:
gravidanza a rischio ( gemellarità, anomalie anatomiche dell’ utero, iposviluppo
fetale), patologie in corso di gravidanza ( Ipertensione gestazionale, preclampsia e
sue complicanze, infezioni, diabete mellito), età della gestante (> 20 anni o <38
anni), stili di vita inadeguati ( alcolismo, tabagismo, uso di stupefacenti, stress
materno), procreazione medicalmente assistita, cause placentari ( distacco di
placenta normalmente inserita, placenta previa).
Il predetto trend epidemiologico riguarda anche l’ Italia dove ogni anno circa 40 mila
neonati nascono prima delle 37° settimane di gestazione. Di essi circa il 2% nasce
ad un’ età di gestazione inferiore alle 32 settimane. Grazie allo sviluppo di tecniche di
Terapia Intensiva Neonatale, rispetto al passato, negli ultimi venti anni si è assistito
ad un enorme miglioramento della sopravvivenza: la mortalità neonatale dei
pretermine si attesta intorno al 10% e la quota principale è rappresentata dai neonati
con età gestazionale inferiore alle 30 settimane.
Il neonato prematuro, non è in grado di sopravvivere autonomamente, e viene
assistito da personale medico altamente specializzato per la realizzazione di un
approccio globale che vede la molteplicità dei problemi che gravitano intorno alla sua
nascita e alle precoci e tardive complicanze che potrebbe mostrare. Si è da tempo
affermato il concetto di Developmental Care, insieme di interventi il cui obiettivo
primario è quello di ridurre lo stress del neonato pretermine durante il necessario
periodo di degenza in terapia intensiva
neonatale: i progressi ottenuti in ambito
Neonatologico hanno permesso ai professionisti della salute di esplorare la sfera
4
evolutiva del neonato prematuro scoprendo che il suo sviluppo è legato all’ ambiente
in cui è accolto. Gli strumenti di cui questa innovativa terapia si avvale sono
numerosi e spaziano dall’ integrazione dei genitori nelle cure, alla cura posturale,
manipolazione (handling), contenimento, nutrizione, controllo dell’ ambiente ( luce,
temperatura, rumore).
E’ fondamentale ribadire come i pretermine non rappresentino soggetti passivi, come
si pensava alcuni anni fa, ma essi possono contribuire in modo significativo al proprio
sviluppo. Su tale assunto si fonda una delle pratiche di Care maggiormente
impiegate a livello internazionale, il metodo NICAP ( Newborn Individualized
Developmental Care and Assessment Program) il quale, partendo da un’
osservazione sistematica dei comportamenti spontanei del neonato, mira ad offrirgli
un’ assistenza adeguata ai bisogni che ha in quel momento. Questo programma di
assistenza e cura individualizzata per lo sviluppo del neonato si sta affermando come
una delle pratiche più innovative per promuovere lo sviluppo ed il benessere dei
piccoli nati prematuri, partendo dal riconoscimento dei segnali che i predetti inviano e
mira a creare un ambiente tranquillo e contenitivo, il più simile possibile all’ ambiente
uterino.
1.1
Classificazione del grado di prematurità
Ogni neonato può essere classificato in base a due parametri fondamentali: l’ età
gestazionale ed il peso alla nascita.
L’ età gestazionale è espressa in settimane complete di gravidanza calcolate a
partire dal primo giorno dell’ ultima mestruazione ed in base ad essa un neonato è
considerato:

A termine se nasce fra 37 e 42 settimane;

Pretermine se nasce prima delle 37 settimane

Post-termine se nasce dopo la 42 esima settimana.
Secondo la WHO ci sono sotto-categorie di nati pretermine:

Extremely preterm ( < 28 weeks)

Very preterm ( 28 to 32 weeks)
5

Moderate to late preterm ( 32 to < 37 weeks).
In base al peso alla nascita un neonato viene definito:

Di basso peso (LBW: Low Birth Weight) se il peso è inferiore a 1500 gr;

Di peso estremamente basso ( VLBW: Very Low Birth Weight) se il peso è
inferiore a 1500 gr;

Di peso estremamente basso ( ELBW: extremely Low Birth Weight) se il peso è
inferiore a 1000 gr
Considerando congiuntamente i due criteri classificatori sopra descritti un neonato
viene definito:

AGA ( Appropriate for Gestational Age) il cui peso alla nascita è appropriato all’
epoca gestazionale compreso tra il 10° ed il 90° pc;

SGA ( Small for Gestational Age) il cui peso è basso per l’ età gestazionale ed
inferiore al 10° pc;

LGA ( Large for Gestational Age) con peso maggiore al 90° pc.
1.2
Sopravvivenza e Morbilità Neonatale
La prematurità è una delle cause principali di morbilità e mortalità neonatale ed una
condizione determinante nello sviluppo neurologico dell’infanzia e delle malattie nell’
età adulta. La precoce epoca gestazionale e il peso alla nascita sono stati stimati
essere parametri primari predittivi di outcome neonatale. Il counselling effettuato ai
genitori è tuttora basato su queste due variabili sebbene la prematurità abbia una
eziologia multifattoriale che non può essere banalmente generalizzata in pochi e
esigui fattori. I successi raggiunti nel ridurre la mortalità e la morbilità nei neonati con
prematurità severa, non sono purtroppo parimenti accompagnati da una evoluzione
della prevenzione primaria del parto pretermine che resta ad oggi argomento di
ricerca con ampio margine di miglioramento. Il parto pretermine include un così vario
ventaglio di situazioni cliniche che risulta riduttivo una classificazione delle possibili
cause responsabili, mentre è più corretto definire il parto pretermine come una
sindrome determinata dalla temporanea attivazione patologica di uno o più di questi
6
elementi: le contrazioni uterine, le modificazioni della cervice uterina e l’ attivazione
dell’ interfaccia amniocoriale con la liberazione di sostanze quali le prostaglandine.
Oltre l’ incidenza del parto pretermine spontaneo che si aggira da oltre 30 anni
attorno al 5-10%, non dobbiamo tralasciare
tutte quelle condizioni mediche
patologiche che insorte in gravidanza possono condurre all’espletamento di un parto
pretermine. Queste ultime rivestono circa il 35-40% dei parti prematuri, per cui è
intuitivo che un counselling basato esclusivamente sul peso fetale alla nascita e sull’
epoca gestazionale può non risultare esauriente e specifico. Lo scopo del nostro
studio è quello di valutare gli elementi predittivi di morbilità e mortalità neonatale,
sottolineando in modo particolare come la patologia materna placentare,sia essa
ischemica o infiammatoria possa rivestire un ruolo importante e decisivo.
1.3
Patologie ischemiche e infiammatorie placentari
Il danno feto-neonatale cerebrale ed extracerebrale riconosce come principali entità
le lesioni infartuali ( da anossia) ed emorragiche, la riduzione dei tassi di ossigeno nei
tessuti interessati, che può realizzarsi per stati di ipossia o di ischemia; bisogna
ricordare inoltre che negli ultimi anni è stato indicato, con sempre maggior forza il
ruolo, nelle lesioni soprattutto emorragiche del SNC, di citochine pro-infiammatorie
sviluppatesi in condizioni di infezioni/infiammazioni materno-fetali.
La placenta può contribuire in molti modi alla realizzazione di queste condizioni. Può
essere sede di infezioni che pur estendendosi all’ interno del sacco amniotico
liberano in questo comparto citochine infiammatorie capaci di sviluppare un danno
ossidativo nel feto. Può essere sede di perdite parenchimali capaci di produrre stati
di ipossia cronica o acuta nel feto. Inoltre la placenta umana è caratterizzata dalla
presenza al suo interno di due sistemi circolatori ematici, uno fetale ed uno materno.
Questi due distretti possono essere sede di patologie ostruttive od emorragiche
capaci di ridurre in modo più o meno grave, persistente e repentino, gli scambi
gassosi tra madre e feto, la quota ematica di sangue circolante nel distretto
intrafetale e di influenzare i valori pressori nel circolo fetale. Le principali patologie
della placenta coinvolte nel danno fetale sono di seguito trattate e suddivise sulla
base di criteri distrettuali ma non bisogna dimenticare che nella realtà biologica esiste
una continuità di rapporti fisiopatologici tra placenta, cuore ed encefalo fetale.
7
Le complicanze ostetriche materno-fetali si ascrivono all’ interno di quadri placentari
caratteristici che
solo
un’ analisi anatomopatologica
può determinare. La
classificazione in patologie ischemiche placentari ed infiammatorie nasce non solo
dal meccanismo fisiopatologico che determina poi la condizione clinica di
preclampsia, IUGR, HELLP syndrome, abruptio placentae , rottura prematura delle
membrane e parto pretermine ma da una valutazione macro e microscopica del
piatto placentare che giustifica la causa-effetto delle patologie stesse.
Le alterazioni infettive, flogistiche del piatto amnio coriale sono state ampiamente
correlate con il danno al SNC del feto e l’ ultima classificazione di questa entità
proposta dall’ AFIP-ARP ( Armed Forces Institute of Pathology American Registry of
Pathology) ha riconosciuto il rapporto tra infezione dell’ interfaccia materno fetale e
trombosi dei vasi coriali indicando il quadro istologico di “ corionamniosite acuta con
risposta infiammatoria fetale grave e trombosi dei villi coriali”. Per la prima volta il
sistema vascolare fetale coriale e del cordone ombelicale non viene visto solamente
come una via di reclutamento di cellule infiammatorie fetali nel luogo dell’ infezione
ma anche come una possibile sede di lesione (trombotica) da danno endoteliale
derivato dallo stato flogistico. Inoltre si riconosce che l’ infezione può danneggiare il
feto non solo per l’ ingresso diretto dei batteri all’ interno del sacco amniotico ma
anche solo per la diffusione in esso e nel torrente circolatorio fetale di citochine proinfiammatorie e che il danno fetale può instaurarsi anche a membrane integre e in
presenza di madre ipo-asintomatica in fase di travaglio.
Le alterazioni del circolo materno della placenta sono rappresentate dalle arterie
utero-placentari, dalle vene tributarie e dallo spazio intervillare. Le arterie uteroplacentari sono il prodotto delle modificazioni che coinvolgono le arterie spiraliformi
uterine nella sede di impianto placentare. Nella sede di impianto della placenta, le
pareti delle arterie spirali perdono la componente muscolo-elastica che viene
sostituita da materiale fibrinoide. Il lume si dilata marcatamente, la pressione all’
interno del vaso diviene di tipo venoso e la portata ematica aumenta nettamente. Il
sangue materno entra così all’ interno della placenta copioso e con una pressione
minima ( 5 mm di mercurio), fluendo con un moto lento e laminare lungo le pareti dei
villi coriali. Questo ottimizza gli scambi di gas e sostanze metaboliche tra madre e
8
feto. Una volta fluito tra i villi, il sangue materno rientra nelle vene tributarie materne
ritornando nel circolo sistemico di quest’ ultima. Sia lo spazio intervillare materno
nella placenta che ampi tratti terminali delle arterie uterine placentari non sono
rivestiti da endotelio ma da trofoblasto. Inoltre il trofoblasto colonizza anche le pareti
delle arterie spirali contribuendo a farle diventare arterie utero placentari. Il comparto
vascolare materno della placenta può essere sede di varie lesioni capaci di diminuire,
arrestare o modificare le caratteristiche emodinamiche del flusso ematico materno
nello spazio intervillare.
Il difettivo flusso di sangue materno nello spazio intervillare produce modificazioni
della maturazione e ramificazione cotiledonaria ed alterazioni nella struttura dei villi
coriali che, benché non evidenti all’ esame macroscopico della placenta, coinvolgono
il più delle volte estese aree parenchimali, producendo sensibili alterazioni croniche
nell’ ossigenazione e nella nutrizione fetale. Queste alterazioni microscopiche diffuse
possono avere un impatto funzionale molto più esteso di quello conseguente alla
necrosi di un intero ma singolo cotiledone fetale, conseguenza di una trombosi della
arteria utero placentare tributaria ( infarto placentare).
I quadri anatomo patologici che più frequentemente vengono riscontrati nell’ analisi di
placente di feti le cui madri hanno sviluppato ipertensione gestazionale, preclampsia,
eclampsia, HELLP syndrome o che hanno presentato restrizione di crescita fetale
intrauterina riguardano il difettivo adattamento delle arterie spirali alla gravidanza a
tal punto da determinare lesioni gravi e precoci all’ interfaccia materno-fetale che
esitano in aborto; se il danno è risultato invece meno esteso e più limitato può non
interferire con la prosecuzione della gravidanza ma determinare condizioni favorenti
la difettiva crescita fetale e/o condizioni di ipossia cronica.
L’ aterosi acuta è invece un processo vasculitico caratterizzato da necrosi della
parete arteriosa, difettiva colonizzazione da parte del trofoblasto delle arterie spirali,
presenza di infiltrato infiammatorio cronico e macrofagi nella parete vascolare. Si
presenta frequentemente in arterie spirali con difettiva modificazione nel corso della
gravidanza. Non è dovuta a processi flogistico infettivi della decidua o del miometrio.
Questa lesione si riscontra in circa metà delle pazienti gravide affette da pre-
9
eclampsia, ma anche in donne gravide con trombofilia, sclerodermia, patologie
autoimmuni o di feti IUGR con o senza ipertensione arteriosa materna.
La vascolopatia ipertrofica deciduale è una entità più rara delle precedenti,
caratterizzata dalla permanenza nel letto vascolare placentare di una o più arterie
spirali iperspiralizzate con parete ipertrofica. E’ stata rilevata in donne preeclamptiche e diabetiche con feti IUGR caratterizzati da danno cerebrale ischemico.
Infine la condizione di abruptio placentae, ovvero l’ improvviso e prematuro distacco
emorragico della placenta è anch’ esso associato a quadri anatomopatologici
placentari caratteristici. Il distacco di placenta determina l’ immediato arresto degli
scambi materno-fetali; si sostiene che questo termine possa essere utilizzato anche
quando il distacco interessi i 2/3 della placenta. Tuttavia non bisogna utilizzare come
sinonimi i termini di abruptio placentae ed ematoma retro placentare poiché in essi si
sottendono condizioni anatomo-cliniche estremamente differenti. Poiché il distacco di
placenta determina una condizione di immediata e drammatica sofferenza fetale che
esita o nell’ espletamento di un parto immediato o nel decesso del feto, la placenta
può non presentare modificazioni di rilievo
e persino la raccolta ematica retro
placentare può avere ancora le caratteristiche del coagulo e non del trombo aderente
alla parete placentare.
Le conseguenze sul feto ( e sugli esiti neonatali della gravidanza) di queste patologie
variano molto, sulla base dell’ estensione del coagulo ematico che si forma ed in
ragione del tempo che intercorre tra l’ emorragia e il parto/decesso del feto. In primo
luogo nella zona in cui è presente il coagulo ematico il flusso di sangue materno nello
spazio intervillare si arresta e questa area rimane esclusa dagli scambi maternofetali. Se il feto sopravvive all’ evento acuto, la progressiva organizzazione del
coagulo ematico produce anche la compressione dei villi sovrastanti, con aumento
delle resistenze emodinamiche nei vasi ematici in essi contenuti. I villi divengono
edematosi e in essi si possono sviluppare emorragie stromali, fattori che peggiorano
ulteriormente la funzionalità dei villi stessi e l’ emodinamica nel circolo fetale
placentare. Il danno, nato all’ interno del comparto vascolare materno, si estende
quindi al comparto vascolare fetale, associando alla riduzione degli scambi maternofetali modificazioni della resistenza vascolare endoplacentare contro cui deve
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lavorare il cuore fetale. Questo pone le basi per l’ associazione delle alterazioni della
funzione cardiaca, alterazioni ipossiche della sostanza grigia e di quella bianca del
SNC ed eventuali danni ipossici ad altri distretti ( renale e surrenale), le cui
manifestazioni differiscono in funzione della gravità della lesione emorragica
placentare. Sebbene le emorragie dovute a lesioni del comparto vascolare materno
siano evidenziabili ecograficamente l’ indagine anatomo-patologica è ancora oggi
fondamentale per la ricostruzione epicritica degli eventi patologici, poiché può
mettere in evidenza all’ interno dell’ area emorragica zone di diversa età,
differenziando lesioni uniche ed acute da altre con carattere progressivo nel tempo.
Questa valutazione risulta particolarmente importante quando bisogna correlare,
dopo averne definito il timing di comparsa, lesioni del SNC con lesioni placentari, per
giudicare il loro rapporto di causa effetto.
2. MATERIALI E METODI
Lo studio retrospettivo è stato condotto presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica
dell’ Ospedale Salesi di Ancona, selezionando un gruppo di 320 neonati nel periodo
Luglio 2003- Dicembre 2008, nati da gravidanze singole in un’ epoca compresa tra
22+0 e 31+6 settimane di gestazione e successivamente ricoverati presso l’ Unità di
Terapia Intensiva dell’ Ospedale Salesi di Ancona.
L’ epoca gestazionale veniva stabilita in base all’ ultima mestruazione riferita dalla
paziente e confermata visionando un esame ecografico eseguito durante il primo
trimestre di gravidanza. I criteri di esclusione dello studio tenevano conto dei neonati
frutto di una interruzione di gravidanza, delle gravidanze senza
una datazione
precisa e coerente con l’ esame ecografico, i neonati le cui madri presentavano
patologie pre-gravidiche.
Le
complicanze
neonatali
analizzate
sono
state:
la
morte
neonatale,
la
broncodisplasia (BDP) definita come la necessità di ossigeno a 36 settimane, l’
emorragia intraventricolare di 3°-4° (IVH) in accordo con la classificazione secondo
Papillo (grado 3: emorragia intraventricolare con distensione ventricolare; grado 4:
emorragia subaracnoidea), la leucomalacia periventricolare (LPV) definita come la
presenza di cisti nel parenchima periventricolare documentate eco graficamente o
11
mediante TAC cerebrale, la retinopatia del prematuro di grado 3-4 (ROP)
diagnosticata grazie ad un esame oculistico ( grado 3: proliferazione di neovasi al
bordo della cresta; grado 4: distacco di retina trattivo localizzato alla zona periferica) ,
l’ enterocolite necrotizzante ( NEC) diagnosticata mediante il riscontro di distensione
addominale e/o vomito o ristagno di bile e/o sangue nelle feci e radiografico (
pneumatosi intestinale e/o perforazione intestinale e/o peritonite), la sepsi precoce
che intercorre entro le 72 ore con emocolture positive, la pervietà del dotto arterioso
(PDA) con diagnosi ecografica di dotto arterioso pervio emodinamicamente
significativo. Infine le condizioni ostetriche patologiche responsabili di parto
prematuro incluse nel nostro studio sono: la preclampsia severa (SP), l’ eclampsia, la
HELLP syndrome, la restrizione di crescita fetale (IUGR), la rottura prematura delle
membrane ( pPROM), il parto pretermine (PP), l’ emorragia antepartum da distacco
di placenta (EA).
Si definisce preclampsia il riscontro di una pressione arteriosa > 140/90 mmHg in
due rilevazioni successive a distanza di 6 ore associate ad una proteinuria >0,3 g/24
ore che compare dopo le 20 settimane di gestazione in pazienti precedentemente
normotese e senza proteinuria. Si definisce preclampsia severa una condizione
ipertensiva caratterizzata da una pressione ateriosa sistolica > 160 mmHg e/o
diastolica > 110 mmHg in due rilevazioni successive eseguite a distanza di 6 ore, a
riposo , o una proteinuria >5 g/24 h e/o restrizione di crescita fetale intrauterina. L’
eclampsia prevede la comparsa di convulsioni sino al coma in una paziente gravida
con segni e sintomi di preclampsia.
I criteri per la diagnosi di HELLP includono: l’ emolisi ( anomalie dello striscio
periferico, bilirubina totale > 1,2 mg/dl, LDH >600 U/L) , enzimi epatici alterati
(AST/ALT
>70
U/L),
trombocitopenia
(
conta
piastrinica
<100.000/mm3).
La restrizione di crescita intrauterina (IUGR) viene definita come una riduzione della
crescita della circonferenza addominale fetale ( >40° pc ) o un valore di CA pari o <
5° percentile, risultato di un approfondito esame ecografico.
Per rottura premature delle membrane amniocoriali ( pPROM) si intende una rottura
12
delle membrane prima dell’ inizio del travaglio (periodo latente > 1 ora) e prima delle
37 settimane di gestazione. La diagnosi è effettuata mediante l’ esame ostetrico
manuale
ed
una
valutazione
della
quantità
di
liquido
amniotico
(AFI).
L’ analisi statistica è stata effettuata mediante il paragone delle percentuali
utilizzando il chi-quadrato ed il test di Fisher. La significatività statistica calcolata con
la t di Student e l’ ANOVA test; la stima del rischio calcolando l’ OR e l’ intervallo di
Confidenza.
3. RISULTATI
Prendendo in considerazione le patologie materne intercorrenti in gravidanza causa
di prematurità neonatale severa, dall’ analisi dei dati abbiamo ottenuto 7 diversi
gruppi, come mostrato in Tabella 1.3-1
Tabella 1.3-1 Characteristics of the population included in the study
Variabiles
PE
Eclampsia
HELLP
PP
EA
p
Gestational age (s.g.)
73
29
±2.04
4
28.5
±1.91
14
28.4
±1.60
24
29.5
±1.64
49
28.4
±2.03
115
28.7
±2.71
41
28.6
±2.06
/
Cesarean section(%)
100
100
100
100
80
44
98
/
0
3
50
7
0
4
25
22
/
1
16
50
43
8
8
29
24
/
2
81
0
43
88
88
42
52
/
n.d.
0
1000
±222
7
961
±258
4
1019
±305
0
1167
±331
4
1132
±444
2
1270
±343
/
Weight at birth (gr)
0
984
±320
Inborn (%)
95
25
86
96
94
69
76
Alive and hospitalized
Steroid profilaxis (%)
IUGR
pPROM
n.s.
0,002
/
I nati da madri affette da eclampsia risultano soltanto in numero di 4; questi ultimi
sono stati inseriti a scopo descrittivo. La media dell’ epoca gestazionale alla nascita
in ciascun gruppo di patologia non è risultato essere statisticamente significativo.
Tutte le pazienti affette da preclampsia,eclampsia, HELLP syndrome sono state
sottoposte a taglio cesareo, come la maggior parte di coloro che hanno avuto un
13
distacco di placenta e una pPROM (rispettivamente 98% e 80%), al contrario di
quelle pazienti che hanno presentato un parto pretermine e che solo nel 44% dei casi
sono state sottoposte ad un taglio cesareo.
La percentuale di pazienti che sono state profilassate con un ciclo completo di
corticosteroidi per l’ induzione della maturità polmonare fetale, riflettono la gravità e l’
urgenza della condizione ostetrica: nessuna delle pazienti affette da eclampsia ha
terminato il ciclo di profilassi mentre nel 43% delle pazienti affette da HELLP
syndrome, nel 42% di quelle affette da parto prematuro e nel 52% di quelle con un
sospetto o conclamato distacco di placenta sono state effettuate le due dosi
complete di corticosteroidi. Le pazienti che non sono riuscite ad eseguire la profilassi
sono state rispettivamente il 7% di quelle affette da HELLP syndrome, il 25% di
quelle affette da parto prematuro e il 22% di coloro in cui era stato diagnosticato un
distacco di placenta. Il peso medio dei neonati alla nascita è risultato essere
statisticamente significativo tra i gruppi (p= 0,002), diversamente dall’ epoca
gestazionale media, seppur le aspettative cliniche ipotizzavano un peso medio
neonatale statisticamente più basso in alcuni gruppi di patologie come la
preclampsia, l’ eclampsia, la HELLP syndrome e la restrizione di crescita intrauterina.
Inoltre alcune patologie materne proprio per la loro gravità e rapidità di evoluzione
hanno limitato la percentuale di nascite nel Nostro Centro di Terzo Livello: il parto
pretermine, il distacco di placenta e l’ eclampsia non permettono la stabilizzazione
delle condizioni materne ed un trasferimento “ in utero” del feto dagli Ospedali
periferici, proprio per il loro carattere d’ urgenza e la tempestiva necessità di
intervenire.
L’ analisi dei dati ha poi considerato la prevalenza delle complicanze neonatali in
relazione alle varie patologie ostetriche causa di parto pretermine. Il progresso
ostetrico
ed
il
miglioramento
in
campo
assistenziale
Neonatologico,
indipendentemente dalle cause materne che possano avere indotto il parto
prematuro, hanno raggiunto ottimi livelli assicurando una sopravvivenza neonatale di
circa l’ 80% (
Figura 1.3-1).L’ incidenza delle complicanze neonatali riscontrate è elencata nella
Tabella 1.3-2.
14
Figura 1.3-1. Neonatal survival
Obstetric diseases: death/survival
100,0
90,0
80,0
70,0
60,0
% 50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
86,3
85,7
91,7
100,0
14,3
8,3
0,0
IUGR
HELLP
eclampsia
87,8
alive
died
13,7
preeclampsia
82,6
93,9
17,4
6,1
MPP
PROM
12,2
hemorrage
Obstetric diseases
Tabella 1.3-2. Incidence of neonatal outcome in function of obstetric complication
BPD %
PDA %
ROP %
NEC %
IVH %
Sepsi %
LPV %
Obstetric Complications
Preeclampsia (n=73)
17,8
1,4
0
0
9,6
4,1
1,4
25
0
0
25
0
0
25
HELLP (n=14)
28,6
0
0
14,3
7,1
7,1
0
IUGR (n=24)
16,7
0
0
0
4,2
4,2
8,3
pPROM (n=49)
20,4
0
0
0
2
6,1
0
PP (n=115)
14,8
1,7
2,6
6,1
14,8
8,7
5,2
Hemorrage (n=41)
17,1
0
2,4
4,9
9,8
7,3
9,8
Eclampsia (n=5)
15
Per un’ analisi più settoriale dei dati e per una interpretazione fisiopatologica di questi
in relazione alle complicanze neonatali riscontrate, abbiamo suddiviso le condizioni
patologiche materne responsabili di parto prematuro in due gruppi. Questi ultimi sono
stati stabiliti in base all’ eziologia placentare presunta,e anatomopatologicamente
dimostrata che abbia determinato poi il dato clinico rispettivo.
In tal senso si riconoscono le patologie ischemiche placentari e le patologie
infiammatorie placentari . Tale dicotomia supportata secondariamente anche da un’
esame istologico ha permesso di ottenere un gruppo definito come IPD: 156 casi
(Ischemic Placental Diseases) comprendente la preclampsia/ l’ eclampsia/la HELLP
syndrome/ lo IUGR e il distacco di placenta. Tale eterogeneo gruppo di patologie è
caratterizzato da una espressione clinica risultante dall’ ipoperfusione placentare e
da una ipossia cronica con ischemia placentare. L’ altro gruppo definito come ID: 164
casi (Inflammatory Diseases) giustifica il dato clinico di parto precipitoso a la
condizione di pPROM, il più delle volte ad eziologia infettiva o idiopatica). La Tabella
1.3-3 analizza le condizioni patologiche materne suddivise come prima descritto in
Patologie Ischemiche Placentari e Infiammatorie in funzione delle complicanze a
breve termine neonatali dovute alla prematurità severa.
Tabella 1.3-3. Analysis of neonatal outcome in function of ischemic ( IPD) Vs
inflammatory (ID) placental diseases
Neonatal Outcome
IPD
ID
(n=156)
(n=164)
X2
OR
I.C.
PDA
0,60%
1,20%
<0.05
0,52
0.31 - 0.84
ROP
0,60%
1,80%
<0.05
0,35
0.21 - 0.56
NEC
3,20%
4,30%
Ns
0,74
0.68 - 1.03
IVH
8,30%
11%
<0.05
0,74
0.59 - 0.98
SEPSI
5,10%
7,90%
<0.05
0,63
0.48 - 0.85
LPV
5,10%
3,70%
<0.05
1,42
1.10 - 1.92
BPD
18,60% 16,50%
Ns
1,16
0.86 - 1.46
DIED
12,20%
Ns
0,85
0.66 - 1.32
14%
16
Dai dati si evince che le Patologie Infiammatorie Placentari presentano una incidenza
doppia di PDA ( patent ductus arteriosus) Vs le Patologie Ischemiche Placentari
(1,2% Vs 0,6%) ed un rischio triplo di sviluppare ROP ( retinopathy of Prematurity)
pari all’ 1,8% Vs 0,6%. Inoltre è possibile riscontrare una più alta frequenza di NEC (
enterocolite necrotizzante)( 4,3% Vs 3,2%), di Emorragia intraventricolare (11% Vs
8,3%), di sepsi (7,9% Vs 5,1%) e di morte neonatale (14% Vs 12,2 %).
Le Patologie Ischemiche Placentari, secondo l’ analisi dei dati, predispongono invece
ad un più alto rischio di sviluppare leucomalacia periventricolare rispetto alle
Patologie Infiammatorie Placentari (5,1% Vs 3,7%) e bronco displasia ( BDP) (18,6%
Vs 16,5%). I neonati, il cui parto severamente pretermine è stato causato da
Patologie Infiammatorie Placentari, hanno un rischio significativamente più elevato di
presentare complicanze quali PDA ( OR 0,52, IC 0,31-0,84), ROP ( OR 0,63, IC
0,21-0,56), IVH ( OR ,74, IC 0,59-0,98) e sepsi (OR 0,63, IC 0,48-0,85) se comparati
ai nati da Patologie Ischemiche Placentari, mentre i neonati appartenenti a quest’
ultimo gruppo di Patologie Ostetriche hanno una evidenza significativamente
maggiore di Leucomalacia Periventricolare (LPV) ( OR 1,42, IC 1,1-1,92).
Successivamente abbiamo reso i due gruppi di patologie ostetriche quanto più
paragonabili, escludendo i fattori confondenti che potevano inficiare i risultati statistici
(Tabella 1.3-4).
17
Tabella 1.3-4 Neonatal outcome in IPD Vs ID ( neonates born by caesarean section,
stratified for birthweight).
G.A.
Birthw. (gr.)
<
1500g
ISC (n= 155)
INF ( n=89)
p
28,9±1,96 (22-32)
1085±338 (4052090)
28,7±1,82 (22-32)
1302±363 (6202435)
NS
<0.001
Neonatal
out.
N
DIED
18
13,3
7
10,4
NS
PDA
ROP
1
1
0,7
0,7
1
0
1,5
0
<0.05
NS
NEC
5
3,7
1
1,5
<0.05
IVH
10
7,4
1
1.05
<0.05
LPV
7
5,2
2
3
<0.05
SEPSI
7
5,2
6
9
<0.05
28
1
0
0
0
3
1
20,8
5
0
0
0
15
5
13
0
0
0
0
0
0
19,4
0
0
0
0
0
0
NS
NS
NS
NS
NS
NS
NS
1
1
5
5
1
0
4,5
0
NS
NS
BPD
≥1500g DECESSO
PDA
ROP
NEC
IVH
LPV
SEPSI
BPD
%
N
%
X2
OR
IC
0,781,32 1,64
0,360,49 0,89
ND
1,842,54 2,90
3.854.21 4.73
1,131,78 2,42
0,280,56 0,75
0,641,09 1,88
ND
ND
ND
ND
ND
ND
0,591,11 1,63
ND
L’ epoca gestazionale non ha mostrato differenze statisticamente significative (28.9
Vs 28.7 sg) nei due sottogruppi mentre è stato necessario escludere quei neonati
nati da parto vaginale. La nostra popolazione, originariamente costituita da 320
neonati nati vivi, è stata ridotta a 244 nati vivi da parto cesareo, distribuiti come
segue: 155 nati severamente prematuri a causa di Patologie Ischemiche Placentari e
i restanti 89 nati a causa di Patologie Infiammatorie Placentari. Il peso alla nascita è
risultato essere statisticamente significativo e minore rispettivamente nei neonati le
18
cui madri hanno sviluppato Patologie Ischemiche Placentari in gravidanza (1085 ±
338 g -405-2090) rispetto a coloro nati da Patologie Infiammatorie (1302 ± 363 g –
620 -2435) (p <0.001).
Classificando successivamente i neonati in base al loro peso alla nascita e
considerando come cut-off i 1500 gr, abbiamo dettagliatamente analizzato le
complicanze che essi manifestavano in relazione al loro peso alla nascita maggiore o
minore ai 1500 gr ( Very Low Birth-Weight < 1500 gr-Vs Low Birth-Weight ≥1500 gr ).
L’ incidenza di NEC, LPV e IVH sono risultati essere statisticamente significativi in
maggior misura nei neonati affetti da Patologie Ischemiche Placentari ( p< 0,005).
Tale dato risulta contraddittorio se relazionato al risultato riscontrato in Tabella 1.3-3,
mentre l’ IVH è stata la complicanza più frequentemente riscontrata nei neonati di
gravidanze complicate da Patologie Infiammatorie Placentari.
Nel dettaglio, considerando l’ incidenza di IVH in relazione all’ epoca gestazionale,
notiamo come i neonati le cui madri erano affette da Patologie Infiammatorie
Placentari siano nati da parto vaginale in un’ epoca gestazionale pari a 24.6 g (+ / 1.66) con un range compreso tra le 22 +0-27 +0. Tale popolazione rappresenta
proprio per la precocissima epoca gestazionale di nascita un fattore confondente
notevole nell’ analisi dei dati, che giustificherebbe anche la maggiore incidenza di
emorragia intraventricolare, caratteristica della prematurità estrema.
Di seguito l’ incidenza di sepsi risulterebbe caratterizzare in maniera preponderante i
neonati con severa prematurità, nati da madri con Patologie Infiammatorie Placentari
(p<0,005). Abbiamo poi calcolato l’ OR per ogni outcome neonatale, valutando il
rischio nei due diversi gruppi di patologie placentari. I risultati mostrano che i neonati
< 1500 gr, affetti da Patologie Ischemiche Placentari, avevano un rischio
significativamente maggiore di sviluppare NEC (OR: 2.54; IC :1,84-2, 90), IVH (OR:
4.21, IC 3.85-4.73), LPV (OR: 1.78; IC :1,13-2, 42 ), BDP (OR: 1.09; IC :0,64-1, 88)
e morte neonatale (OR: 1.32; IC :0,78-1, 64). Contrariamente i neonati nati da
Patologie Infiammatorie < 1500 gr avevano un rischio statisticamente significativo di
sviluppare PDA (OR: 0.49; IC :0,36-0, 89) e sepsi (OR: 0.56, IC :0,28-0, 75). L’ OR
non ha rilevato risultati interessanti per la categoria di neonati ≥ 1500 gr. La sola
19
complicanza riscontrata nei neonati di tale categoria di peso nati da Patologie
Ischemiche Placentari è stata la sepsi (OR: 1.11; IC :0,59-1, 63).
Figura 1.3-2. Neonatal survival related to placental disease group
Survival
100%
90%
80%
Discharged alive
70%
60%
sopr isch
50%
sopr infiam
40%
Log. (sopr isch)
30%
Log. (sopr infiam)
20%
10%
0%
23
24
25
26
27
28
29
30
31
Gestational age
La rappresentazione grafica degli outcome neonatali ( BDP, LPV e IVH III e IV grado)
e della sopravvivenza, stratificata per l’ epoca gestazionale in ciascun gruppo di
Patologie Placentari ( Ischemiche Vs Infiammatorie), mostra differenze di piccola
entità. Per quanto riguarda l’ analisi della sopravvivenza neonatale, le curve di
regressione logaritmica mostrano che prima delle 29 settimane di gestazione i nati
da Patologie Ischemiche hanno una più bassa percentuale di sopravvivenza rispetto
ai nati da Patologie Infiammatorie Placentari; dopo le 29 settimane di gestazione, le
curve non mostrano una differenza significativa tra le due popolazioni di patologie
sopra descritte ( Figura 1.3-2).
Per la Broncodisplasia (BDP) le curve di regressione logaritmica mostrano invece
una riduzione dell’ incidenza della complicanza con l’ aumentare dell’ epoca
gestazionale alla nascita; tale riduzione è minore nei nati prematuri da Patologie
Ischemiche Vs quelle Infiammatorie ( Figura 1.3-3).
20
Figura 1.3-3. Incidence of broncodisplasia related placental disease group
BPD
40%
incidenza sui nati vivi
35%
30%
25%
bpd isch
bpd infiam
20%
Log. (bpd isch)
15%
Log. (bpd infiam)
10%
5%
0%
25
26
27
28
29
30
31
s.g. alla nascita
4. DISCUSSIONE
Il parto pretermine è uno degli argomenti Ostetrici più controversi e discussi, proprio
per la complessità eziologica che la patologia sottende e la classificazione degli
elementi che possono determinarlo. Questi ultimi appaiono estremamente eterogenei
sia nel caratterizzare i diversi quadri clinici, sia negli effetti che provocano a breve e
lungo termine nei neonati causando una nascita prematura. In particolare i progressi
delle Unità di Terapia Intensiva Neonatale negli ultimi 10 anni hanno permesso di
ottenere eccellenti risultati in termini di mortalità e morbilità neonatale; si è cercato di
integrare nuovi elementi predittivi di outcome neonatale e di valutare maggiormente
la stima del peso fetale, fino ad ora postposto al dato dell’ epoca gestazionale.
L’ importanza della stima del peso fetale, deve essere sottolineato, poiché
congiuntamente all’ epoca gestazionale rappresentano i due fattori determinanti nella
valutazione delle complicanze in termini di morbilità e mortalità in un
neonato
21
prematuro e nella scelta ostetrica del timing del parto in presenza di condizioni
patologiche indifferibili. L’ obiettivo finale è quello di effettuare un counselling con
genitori del nascituro ottimale e di prospettare in modo realistico le possibilità di
sopravvivenza e le complicanze che ciascun pretermine potrebbe presentare nel
breve e lungo termine. Il cut-off di peso fetale statisticamente significativo per
raggiungere un buon outcome neonatale è stimato essere 1500 gr; in relazione a tale
dato, l’epoca gestazionale non viene considerata così come i feti SGA e i prematuri
divisi in due categorie Low Birth Weight (LBW) se compresi tra 1500 gr e 2500 gr e
Very Low Birth Weight ( VLBW) se < 1500 gr.
La stima del peso fetale non può prescindere però dall’ epoca gestazionale ed è per
questo che entrambi gli elementi risultano parimenti significativi nella valutazione
delle complicanze di un neonato pretermine. Diversi studi riportano una percentuale
di sopravvivenza nei pretermine (< 32 sg) che varia dal 7,9% al 24,7% in relazione
allo Stato Europeo considerato, all’ epoca gestazionale e ad un numero
statisticamente significativo di dimessi fra i nati dopo le 28 sg. Relativamente alle
complicanze neonatali, la letteratura riporta una prevalenza di IVH di III e IV grado,
tra 10 diverse nazioni Europee, che varia dal 2,6% al 10% mentre la prevalenza di
BDP oscilla tra il 10,5% e il 21,5%. Lo studio di coorte sopra citato considera una
popolazione di neonati che può essere comparata con la nostra popolazione studio
sia in termini di peso alla nascita che di epoca gestazionale. Altri studi , descrivono la
mortalità e la morbilità nei neonati pretermine (< 32 sg) considerando il peso alla
nascita: per i VLBW (<1500 gr) la NEC varia da un 3 ad un 7 %, la bronco displasia
da un 17% ad un 22%, la sepsi neonatale da un 19% ad un 22% ed infine l’ IVH da
un 12% ad un 29%. Rispetto agli studi precedenti, l’ elemento innovativo del nostro
studio è l’ introduzione delle complicanze materno-fetali in gravidanza e il loro peso
nel determinare l’ outcome neonatale nei neonati severamente pretermine. Le
complicanze materno-fetali devono essere considerate parimenti all’ epoca
gestazionale e al peso stimato fetale per ottenere un rischio fetale personalizzato ed
un più realistico outcome neonatale.
Tali elementi vanno considerati allo scopo di: effettuare un counselling con i genitori
quanto più dettagliato e personalizzato per il nascituro, volto alla determinazione
delle percentuali di sviluppare complicanze a breve e lungo termine, stabilire il timing
22
corretto del parto soppesando i rischi di una prematurità e quelli di complicanze
materne che potrebbero inficiare la gravidanza stessa. Il compito ed il lavoro dei
Neonatologi e degli Ostetrici è sinergico è complementare, tanto più standardizzato e
riproducibile possibile per assicurare una eccellente cura e assistenza Neonatale
nonostante le differenze etiche, morali, culturali dei Paesi, le pratiche diagnostiche e
le più o meno avanzate tecnologie.
5. TRASPORTO IN UTERO E TRASPORTO NEONATALE
La modalità di espletamento del parto , è importante tanto quanto il luogo in cui il
parto viene espletato. Considerando che in caso di prematurità la prognosi dipende
dalla qualità dell’ assistenza neonatale sin dai primi attimi di vita, si dovrà fare in
modo che il parto avvenga in un Centro di alta specializzazione o perlomeno in una
struttura che sia adeguatamente attrezzata dal punto di vista strumentale e il cui
personale medico, neonatologico e parasanitario abbia una vasta esperienza di
rianimazione neonatale. Se la donna è già seguita in una struttura di questo tipo,
ovviamente il problema non si pone; se la donna si trova, invece, ricoverata presso
una qualunque altra struttura, i sanitari dovranno attivare tutte le modalità per fare in
modo che il neonato riceva le migliori cure possibili
Fino agli anni ‘60 si partoriva quasi sempre in casa, con una elevatissima mortalità e
solo a partire dagli anni '70 i pediatri hanno cominciato a occuparsi dei neonati. In
quegli anni uscivano i primi studi che dimostravano come un accesso ben
programmato a livelli appropriati di cura ostetrica e neonatale si associ ad una
riduzione della mortalità perinatale. Nel 1976 uscì un primo documento della March
of Dimes che concettualizzava le regole di un sistema integrato per una cura
perinatale organizzata a livello territoriale (Toward improving the outcome of
pregnancy)(March of Dimes, 2010). Questo documento analizzava i criteri per
stratificare le necessità di cura materna e neonatale in tre livelli di complessità e
raccomandava l’invio di pazienti ad alto rischio in centri con competenze mediche di
livello elevato e risorse strumentali adeguate per affrontare questa maggiore
complessità di cura. Successivamente uscivano i primi lavori che dimostravano che
l’implementazione di un’organizzazione di questo tipo, con sistemi di trasporto
23
materno e neonatale per condizioni ad alto rischio, portava a migliorare gli esiti
neonatali (Paneth N, 1982; Gortmaker S, 1985).
Sulla base di queste osservazioni in Italia alla fine degli anni '70 nascevano le terapie
intensive neonatali, e cosi la figura del neonatologo, un po' pediatra ed un po'
rianimatore. Soltanto negli anni '90 però si è cominciato a trasportare, in modo
organizzato, i neonati da un ospedale a un altro,dando vita a quel concetto di
centralizzazione delle cure, così attuale ed in costante sviluppo. Nonostante i primi
studi individuassero la necessità di un sistema che organizzasse i livelli di cura sia
per la madre che per il neonato, tuttavia il focus dell’attenzione negli ultimi decenni è
stato messo principalmente nell’individuazione dei livelli di cura neonatali.
Nel 2012 l’ACOG (American College of Obstetricians and Gynecologists) e l’AAP
(American Academy of Pediatrics) hanno delineato i requisiti dei diversi livelli di
assistenza nelle Guidelines for Perinatal Care, concludendo che è necessario
individuare precocemente le gravidanze ad alto rischio e organizzare i livelli di cura.
Questo argomento è stato anche ripreso in un recentissimo documento di consenso
ACOG/SMFM (2015), ponendo il problema di identificare i requisiti per i livelli di cura
ostetrici. Questo tipo di organizzazione richiede che il sistema garantisca anche
l’organizzazione del trasporto materno e neonatale, in un contesto di sicurezza e
chiare regole. Il trasporto che può e deve anche essere bidirezionale con il back
transport in caso di ritorno ad un livello di rischio inferiore.
La SIMP ha deciso di affrontare questo argomento considerandolo con un approccio
perinatale, dove benessere materno e neonatale rappresentano un continuum reale,
con un approccio veramente multidisciplinare. Il team ostetrico e neonatale devono
rappresentare un unico gruppo dove i saperi sono comuni e le regole del trasporto
materno e del trasporto neonatale garantiti in tutte le regioni, indipendentemente dal
luogo di nascita, al fine di contribuire al processo per una nuova organizzazione
italiana, con una migliore distribuzione delle risorse, per migliorare gli esiti perinatali
di mamma e bambino.
24
5.1
Trasporto in Utero
La territorializzazione del sistema di cure materno-fetali è uno dei principali fattori
che hanno contribuito al significativo miglioramento degli outcome perinatali
avvenuto negli ultimi decenni. Curare nel modo migliore e più efficace una madre e/o
un neonato significa garantire l’accesso ad un livello adeguato di cura. Punti cardine
in tale processo sono la razionalizzazione della rete dei punti nascita e la
concordanza per coerenza e complessità tra le Unità Operative ostetrico
ginecologiche e le Unità Operative Neonatologiche/Pediatriche.
Nel processo di territorializzazione sono quindi necessari l’attivazione, o il
completamento e messa a regime ove già presente, del Sistema di Trasporto
Assistito Materno (STAM) e del Sistema di Trasporto Neonatale di Emergenza
(STEN). A differenza del sistema STEN, istituto all’inizio degli anni ‘90 e a diffusione
maggiormente capillare, il sistema STAM è presente sul territorio lombardo come
progetto pilota coinvolgente tre province (Lecco, Monza e Milano) a partire dal 2011.
La concordanza, garantita quindi attraverso i sistemi STAM e STEN, tra la
presenza/assenza di patologie severe della gravidanza e/o perinatali ed il luogo di
cura garantisce sia un’elevata sicurezza della paziente che un’ottimizzazione delle
risorse, valorizzando e rispettando le peculiarità dei differenti livelli assistenziali dei
punti nascita. Più precisamente, il Servizio di Trasporto Assistito Materno (STAM) è
realizzato sulla base di un collegamento funzionale tra strutture invianti (definite
all’interno del sistema di trasporto SPOKE UNIT) e le strutture che accettano perché
in grado di trattare adeguatamente i casi più severi di patologia – materne e fetali –
della gravidanza (parallelamente definite HUB UNIT), collegate in rete tra loro e con
le reti regionali dell'emergenza-urgenza sanitari territoriale (Servizio 118).
La comunicazione tra le varie unità del sistema è resa efficace, sicura e rapida grazie
a due applicazioni web create ad hoc (NeoTS-TM Web e EUOL) e alla disponibilità di
una linea telefonica dedicata (
Figura 1.3-).
25
Figura 1.3-4 How step by step
Indicazione sine qua non al trasporto è che i benefici attesi derivanti dall’accesso ad
un adeguato livello di cura siano maggiori rispetto ai rischi connessi al trasporto
stesso (ACOG, Guidelines for Perinatal care, 2002). Insieme alla profilassi RDS, il
trasporto in utero è l’unico intervento dimostratosi efficace nel ridurre la mortalità
perinatale nei nati pretermine. Considerando la morbilità, il trasporto in utero ha un
effetto statisticamente significato in termini di riduzione di emorragia intraventricolare
severa (aOR 2.2), sindrome da distress respiratorio (aOR 4.8) e infezioni nosocomiali
(aOR 2.5), come descritto da Chien Ly nel 2001. Gli outcomes dei neonati ricoverati
in TIN e trasferiti in utero sono, inoltre, maggiormente favorevoli rispetto ai neonati
trasferiti dopo il parto, soprattutto ad epoche gestazionali inferiori alla trentesima
settimana gestazionale. Da qui la necessità di privilegiare, tra le due possibilità, se
effettuabile in sicurezza, il trasporto in utero (Chien LY, 2001). Similmente, i nati ad
epoche gestazionali estremamente basse (minori di 26 settimane) in strutture non
adeguate, definiti ‘outborn’, hanno un rischio aumentato di sviluppare complicanze
26
neonatali maggiori e sequele neurocognitive rispetto agli ‘inborn’, probabilmente a
causa di una rianimazione sub-ottimale e/o una difficoltà di accesso alle cure
specialistiche (Lui K, 2006). Per garantire la sicurezza del trasporto, il sistema
fornisce, attraverso l’applicazione web NeoTS, protocolli riguardanti le indicazioni, le
controindicazioni, il materiale, le figure professionali e la gestione della paziente
durante il trasporto (Tabella 1.3-5).
Tabella 1.3-5 Indicazioni e controindicazioni al trasporto
Indicazioni Ostetriche
Indicazioni Fetali
-Minaccia di parto prematuro ad - Iposviluppo severo
epoche minori di 31+6 settimane -Patologie malformative
gestazionali e/o per peso fetale o disfunzionali fetali
stimato
inferiore
a
1500
gr somatiche
o
(corrispondente a circa il 50% dei cardiovascolari
con
trasporti materni assistiti)
necessità di assistenza
- la pre-eclampsia insorgente tra 23+6 neonatale intensiva a
e 31+6 settimane non gestibile nel qualunque
epoca
di
centro
spoke
(corrispondente gestazione;
all’11%), la sindrome HELLP
- infezioni
- l’emorragia antepartum, placenta
previa centrale o placenta accreta
diagnosticata in epoca < 31+6
settimane, sintomatica che necessiti
di ricovero per alto rischio di parto
- patologie materne complesse con
danno funzionale o di organo che
richiedano
competenze
plurispecialistiche, o con possibilità di
parto
prima
di
31+6
sg
(corrispondente al 30%)
- la sepsi materna senza MOF
(multiorgan failure) né CTG patologico
- trauma, indisponibilità di posti letto
Controindicazioni
-Parametri
vitali/
condizione
clinica
instabile materna e/o
fetale.
- travaglio avanzato
- malposizioni fetali in
presenza
di
membrane rotte
- ematomi placentari
- mancato consenso
della paziente
Nell’ottimizzare l’allocazione delle risorse, e per consentire anche un miglior rapporto
con le pazienti ed il loro contesto di provenienza, misure chiave sono il back tran
sport neonatale, che permette di liberare posti letto per nuovi pazienti acuti, e,
parallelamente, la possibilità di una gestione ultra-specialistica ambulatoriale della
paziente con gravidanza ad alto rischio, sia in regime di post-ricovero che come
prima forma di accoglienza. La condivisione di protocolli tra spoke ed hub unit
all’interno della rete favorisce un’omogeneizzazione dei livelli di cura, aumentando
trasversalmente la sicurezza ed il benessere delle/dei pazienti (sia in merito alla
scelta di effettuare il trasporto che durante il trasferimento stesso al centro di
27
riferimento dove, infine, le possibilità di gestione sono adeguate alla complessità
delle/dei pazienti). L’organizzazione semplice e ripetibile alla base dei sistemi di
trasporto sinora descritti garantisce inoltre una esportabilità della stessa, rendendo
quindi maggiormente efficienti i processi di istituzione e di ottimizzazione dei sistemi
STAM/STEN nelle diverse realtà territoriali italiane. In altri stati questa esperienza è
attiva già da tempo; dati francesi di Grenoble, pubblicati già nel 2003 (Menthonnez
E), mostravano come l’organizzazione del trasporto in utero aveva portato in un
triennio a raddoppiare il numero dei trasporti materni, aumento quasi interamente
dovuto a situazioni con possibilità di parto prematuro, anche in casi di altissima
prematurità, ponendo la necessità di creare regole precise per il trasporto materno e
le sue eventuali controindicazioni.
5.2
Trasporto Neonatale
La centralizzazione delle gravidanze a rischio mira ad assicurare che l’evento nascita
avvenga nella struttura ospedaliera più adeguata alle esigenze cliniche di madre e
neonato; malgrado lo sforzo della rete ostetrica, è stimato tuttavia che circa l’1-2%
delle emergenze neonatali (ITN = neonati trasferiti / nati vivi x 100) non possa essere
previsto, anche in regioni in cui il trasporto in utero è organizzato adeguatamente
(Agostino R,1999). Può accadere perciò che un neonato venga alla luce in un
ospedale che non possiede le attrezzature e le competenze per poterlo assistere
adeguatamente in una situazione di emergenza, come per esempio l’asfissia al
parto.
Il Servizio di Trasporto d’Emergenza Neonatale (STEN) rappresenta in questi casi un
importante ed indispensabile anello della rete organizzativa Ostetrico Neonatologica,
che ormai da decenni è adottato da tutte le nazioni e società evolute dal punto di
vista sanitario. L’Italia sotto questo aspetto si colloca a metà strada non avendo
ancora coperto tutto il territorio nazionale, al contrario di quanto è avvenuto per il
trasporto in emergenza dell’adulto (servizio 118): alcune regioni con un impegno
economico ed organizzativo rilevante hanno istituito uno STEN, altre non ancora.
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L’attività STEN rappresenta un momento di estrema intensità, clinico-assistenziale
ed emotiva, sia per il personale assistenziale del team di trasporto che per i medici
del centro che ne richiede l’intervento, oltrechè – naturalmente- per la famiglia il cui
neonato viene trasferito. La latenza che intercorre tra attivazione dello STEN e arrivo
del team di trasporto presso l’ospedale richiedente impone infatti che le prime cure
debbano essere prestate dal personale dell’ospedale ove è avvenuto il parto. Il
neonatologo che si forma per affrontare il trasporto neonatale deve inoltre sviluppare
conoscenze molto particolari, legate non solo alle condizioni del neonato ma anche
alle condizioni del trasporto.
Vi sono diverse problematiche che vanno affrontate, in primis la stabilità
emodinamica, cioè dei flussi ematici dei grandi vasi e del cervello stesso, stabilità
che è fortemente insidiata dall’accelerazione durante la partenza ed il viaggio in
elicottero; questa possibilità è particolarmente elevata in particolare per i neonati
pretermine più piccolini, a maggior rischio di emorragia cerebrale intraventricolare nei
primi momenti di vita. E’ importante anche la ricerca della posizione ideale da
trasporto del piccolo paziente, longitudinalmente o trasversalmente, lungo la
direzione del viaggio stesso. Le linee guida su questi argomenti sono americane e
derivano principalmente da manuali sul trasporto aereo (Guidelines for Air & Ground
Transport, 2007; Blumen IJ, 1999; Federal Aviation regulations; Ferreira J, 2005;
AMPA Air Medical Physician Association).
La parola ricerca, in questo settore particolare della medicina perinatale, merita una
considerazione particolare. La medicina moderna non può prescindere in alcun modo
dall'applicazione della ricerca. L'esperienza del trasporto neonatale va condivisa ed è
necessario quindi il confronto delle diverse esperienze professionali, dei molti che
lavorano in attrezzatissimi ospedali pediatrici, ove è presente anche l'ECMO (Extra
Corporeal Membrane Oxygenation), peraltro possibile anche nel trasporto.
Queste esperienze sono vere e proprie "ricerche" della soluzione di urgenti problemi
clinici, problemi spesso inaspettati, e non sempre facilmente confrontabili perché così
diversi nelle diverse aree geografiche (più o meno popolate), diverse negli ambienti,
nei mezzi a disposizione, e nelle culture professionali. Il mestiere del medico che
trasporta un neonato richiede alte competenze ed esperienza consolidata perché
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molte sono le insidie che si possono presentare. Si deve essere in grado di far tutto,
spesso in solitudine, spesso dovendo risolvere un inaspettato problema, senza poter
prescindere da quella capacità di improvvisazione, che nella cultura anglosassone
viene brillantemente definita come "thinking out of box".
Oltre all’aspetto tecnico, chi si occupa di trasporto di neonati ad alto rischio deve
imparare ad essere diplomatico e disponibile, specie con i colleghi che si vanno ad
aiutare nei posti più disparati, in quanto non si può avere una equipe di neonatologirianimatori in ogni luogo ove nasca un bambino. Importantissima è anche la
comunicazione con i genitori, che devono essere aiutati ad affrontare spesso una
situazione completamente inaspettata. Va sottolineata la necessità di meglio
organizzare la formazione dei neonatologi dediti al trasporto del neonato critico, con
l'auspicio di standardizzare il "training" dei neonatologi in Europa, e soprattutto in
Italia, spesso lasciata alla buona volontà localistica delle diverse scuole di
specializzazione di pediatria.
Oltre al neonatologo è necessaria anche la formazione del personale infermieristico
che deve essere in grado di svolgere bene, con sicurezza, il gesto umano e
professionale del trasporto di un neonato critico, così vulnerabile, spesso intubato,
ventilato artificialmente, posizionando in lui diversi cateteri nei vasi venosi ed
arteriosi. L'imprescindibile necessità assistenziale di centralizzazione delle cure
renderà infatti questa attività sempre più importante. Bisogna però sottolineare che
l'espressione professionale nel trasposto neonatale è ad alto rischio: solo i
neonatologi più esperti sono in grado di operare in questo campo. Le difficoltà
tecniche maggiori si riscontrano nel gestire la ventilazione meccanica in aereo ed in
elicottero oltre che in ambulanza, sempre nell'ottica di salvaguardare le funzioni vitali,
cercando di proteggere l'organo più importante del neonato che è il cervello.
Le evidenze scientifiche dimostrano che la centralizzazione dei parti ad alto rischio in
strutture di eccellenza è di grande beneficio per gli esiti neonatali, e quando ciò non è
possibile l'efficienza del trasporto neonatale rappresenta una necessità che va
organizzata con personale e strutture adeguatamente formate.
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La necessità di organizzare una rete di trasferimenti e di trasporti in utero del feto e/
o del neonato sarà sempre più necessaria e inderogabile verso quegli ospedali con
caratteristiche perinatali di eccellenza, dotati di una adeguata terapia materno-fetale
e delle terapie intensive e chirurgiche di settore (neurochirurgia, cardiochirurgia,
chirurgia pediatrica ecc). Tutto ciò non può prescindere dal lavorare in rete dei
professionisti e delle aziende sanitarie territoriali per assicurare da una parte la
sempre maggiore attenzione all’umanizzazione del parto fisiologico ma con
l’attenzione alla centralizzazione delle gravidanze e dei neonati con patologie in
strutture con prestazioni sempre più appropriate e sicure a tutti i livelli.
6. CONCLUSIONI
Il parto pretermine ha tutt’ oggi un impatto di notevole importanza in campo Ostetrico,
sia in termini di gestione, assistenza ma anche di degenza e costi a fronte di una
condizione clinica che, descritta come sindrome del parto pretermine, presenta
ancora notevoli margini di miglioramento in quanto i meccanismi fisiopatologici che la
determinano non sono chiari né semplificabili con banali classificazioni.
Gli esiti fetali e neonatali a breve e lungo termine della prematurità hanno visto in
campo Neonatologico una netta riduzione, sia per il miglioramento dell’ assistenza
Ostetrica mediante indagini ematochimiche, ecografiche volte alla stima del peso
fetale ed al riconoscimento di quadri patologici in cui il pronto intervento ha potuto
evitare una cronicizzazione o una precipitazione del quadro clinico,
sia per l’
attuazione di strategie che tutelano la nascita del feto in Strutture Nosocomiali
adeguate alla loro estrema prematurità.
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