parco archeologico e museo guida breve area megalitica

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parco archeologico e museo guida breve area megalitica
Raffaella Poggiani Keller
Philippe Curdy
Angela Maria Ferroni
Lucia Sarti
area megalitica
parco archeologico
e museo
guida breve
il Parco archeologico e il Museo
· Stile di transizione: stele con pendaglio a doppia spirale
· Secondo stile, detto anche evoluto: stele 31
approfondimento
Caratteri petrografici delle stele
› Vita e morte delle stele
› I rituali
› Stele in allineamento
approfondimento
La stele 30
› Perché un museo
› Il sito e l’area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans
› La storia delle ricerche 1969-2015
› Il progetto
› Il sito
11
l’Aratura
› La prima attività umana : l’aratura
› Una datazione problematica
approfondimenti
Aratri e arature del vicino Oriente
Le arature preistoriche in Europa
La ritualità dell’aratura nella storia
› Le arature del sito
17
37
› La trasformazione sepolcrale dell’area
› La Tomba II
› I reperti
· I reperti ceramici
· I reperti in pietra, metallo e materia dura animale
› I reperti ossei umani
approfondimento
Tafonomia
› Le Tombe II SudEst e III, in connessione con la Tomba II
› Le stele riutilizzate
· Tomba II SudEst e corridoio d’accesso della Tomba II
· Tomba III
approfondimenti
Le analisi antropologiche: gli studi in corso
I manufatti in pietra scheggiata
› La Tomba I
· I reperti
· Le stele riutilizzate nella Tomba I
› Le Tombe dell’area Sud
i Pozzi
› I pozzi: funzione, contenuto, riuso e cronologia
· Un esempio: il pozzo C
· La cronologia C14 dei pozzi
· Dopo i pozzi
approfondimento
Il paesaggio agricolo al tempo dei pozzi
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gli Allineamenti
› Gli allineamenti come elementi del sito di culto e cerimoniale
› L’allineamento dei pali
· Significato e natura dei pali
· La cronologia C14 dei pali
approfondimento
Le specie arboree dei pali
› Dalla scultura lignea alla scultura in pietra:
gli allineamenti di stele
· Antenati o dei?
· Le stele tra Oriente e Occidente
› La tipologia dei monoliti
· Primo stile, detto anche arcaico: stele 13
le Tombe
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le Prospettive
› Il museo che verrà
60
Riferimenti bibliografici
61
Glossario
indice
4
Il parco archeologico e il museo
che troverà poi nel museo illustrazione delle
vicende millenarie del sito, in relazione
costante tra scavo e sezioni museali.
Nella presentazione dell’Area si è privilegiata
la fase megalitica con le tombe monumentali
del III millennio a.C. che riutilizzano le
stele abbattute, sostituite sullo scavo con
repliche, per consentire la visione ravvicinata
di quelle originali nel percorso museale. Il
luogo di culto e cerimoniale perpetua, e
rinnova, la sua suggestione grazie alla scelta
di un’illuminazione artificiale che oltre a
riproporre la sequenza temporale dal giorno
alla notte, possa evocare il collegamento dei
monumenti antichi con i fenomeni celesti.
Nel museo si presenta la sequenza d’uso
dell’area, per illustrare poi le singole fasi
in ordine cronologico, ferma restando
la parziale sovrapposizione di alcune di
esse nell’ambito dell’articolato complesso
santuariale di Smc, risultato di progressive
trasformazioni strutturali e ideologiche.
Lo sviluppo espositivo è organizzato in modo
da agevolare il continuo, mutuo rapporto
tra le strutture dell’area archeologica e i
relativi reperti. Si è anche deciso di esporre le
stele erette, senza sostegni esterni, nella loro
scultorea monumentalità e di riproporre, in
un’apposita sala ricavata ad hoc nell’iniziale
progetto del museo, gli originali allineamenti
non più apprezzabili sull’area.
I metodi e gli strumenti di comunicazione
utilizzati vogliono essere immediati e il più
possibile accessibili, con un uso equilibrato
di apparati divulgativi tradizionali e di
tecnologie innovative, che diano conto
dei numerosi studi sul sito archeologico,
realizzati contestualmente al procedere del
progetto museale e di prossima edizione nel
volume scientifico dedicato al sito. (CS)
Perché
un museo
Il ritrovamento del sito di Saint-Martinde-Corléans (Smc) nel 1969 evidenziò la
necessità di scavi preliminari alla costruzione
degli edifici: un problema di tutela che si
ripete di frequente nelle aree urbane.
L’Amministrazione regionale intervenne
tempestivamente per proteggere e valorizzare
le evidenze, realizzando in seguito un museo
per conservare i monumenti pertinenti a una
grande area di culto e lasciati nella loro sede
originaria di rinvenimento.
Lo spazio espositivo, che si estende su
18.000 mq, protegge l’area archeologica
salvaguardando monumenti e reperti e nello
stesso tempo li propone all’interno di un
percorso informativo ed educativo.
L’allestimento museale è previsto in due
momenti. Quello attuale (2016) è relativo
alle fasi più antiche di occupazione del sito
legate al megalitismo, dal Neolitico (ultimi
secoli del V millennio a.C.) alla prima età
del Bronzo (primi secoli del II millennio
a.C.). Un secondo momento riguarderà la
frequentazione dell’area nelle età del Bronzo
e del Ferro, in età romana e nel Medioevo.
(GdG, AF, FMa, LR, GZ)
Nell’ideare il progetto scientifico di
allestimento si è voluta mettere al centro
dell’attenzione l’area archeologica dalla
quale muove il percorso espositivo in un
rapporto costante, immersivo, col visitatore,
4
5
6
4
1
Veduta parziale
dell’Area Nord:
in primo piano
la Tomba 1 (1),
un allineamento
di stele (2)
e fori di palo (3),
il muro dell’età del
Bronzo (4) e la grande
Tomba ii con la
piattaforma triangolare
(5). La Tomba iii (6)
è visibile alle spalle
della precedente.
3
2
Il sito e l’area megalitica
di saint-martin-de-corléans
L’indagine archeologica è stata condotta
su un’area di circa 10.000 mq, che non
coincide con quella occupata nella preistoria.
Infatti le strutture si estendono anche
sotto gli edifici circostanti.
La storia del sito, iniziata alla fine del
V millennio a.C., è articolata e ricca di
evidenze: strutture scavate nel terreno
(solchi regolari e grandi fosse) e strutture
in elevato (allineamenti di pali lignei, di
menhir, di stele e monumenti funerari).
Testimonianze così diverse, che si
alternano con continuità per lungo
tempo, sono in relazione tra loro, seguono
orientamenti spaziali ripetuti e hanno
significati rituali. La ritualità non riguarda
i singoli monumenti ma l’intera area
megalitica preistorica.
Le necropoli di età romana e la chiesa
dedicata a Saint-Martin conservano nel
tempo la memoria della sacralità del luogo.
La visita dell’ampia porzione Nord
del complesso archeologico, oggi diviso
dalla strada in due aree (quella Sud
non ancora visitabile), fa apprezzare
l’eccezionalità del sito. (GP, LS)
5
la Storia delle ricerche:
1969 - 2015
La Tomba ii costituita da dolmen su piattaforma triangolare.
L’estesa area monumentale, ubicata
su un terrazzo della Dora Baltea in
corrispondenza di un’ansa del fiume, sorge
in un punto nodale delle comunicazioni a
lunga distanza lungo le quali si snodano e
trasmettono conoscenze e innovazioni tra
Sud e Nord delle Alpi.
Rispetto ad altri complessi portati alla
luce nei secoli scorsi, Smc ha il vantaggio
di essere stato scavato su vasta estensione
in modo unitario e sistematico, con
metodologie moderne e con un’analisi di
dettaglio. Perciò esso si pone come sito
di eccellenza, indagato con un intervento
esemplare a livello europeo, nell’ambito
dei grandi complessi megalitici, non
solo per l’imponenza, l’estensione areale
e cronologica dei resti, ma anche per
risultati scientifici raggiunti.
Con la sua valorizzazione nel Parco e
Museo dedicatigli se ne può apprezzare
appieno lo sviluppo spaziale, la sequenza
delle fasi di trasformazione, i reperti
provenienti dalla frequentazione dell’Area
e dalle Tombe, dalle imponenti stele agli
elementi dei corredi sepolcrali. (RPK)
6
Giugno 1969 Nell’area prospiciente l’abside
della chiesa di Smc, lo sbancamento per la
costruzione di una serie di edifici abitativi,
mise in luce particolari elementi litici
che si dimostrarono subito di interesse
archeologico. Il riconoscimento della parte
sommitale di una stele decorata e, in seguito,
dei montanti di un dolmen da parte degli
archeologi della Soprintendenza regionale Rosanna Mollo e Franco Mezzena- portò alla
sospensione dei lavori edili e all’inizio delle
ricerche sul campo.
strutture tombali.
1969 - 1971 Il Ministero della Pubblica
Istruzione, all’epoca competente in materia
di beni culturali, procedette alla notifica
del sito il 5 agosto 1969, riconoscendone il
particolare interesse scientifico.
Tra 1970 e 1971 la Regione autonoma Valle
d’Aosta acquistò il terreno per tutelare le
emergenze e permettere che lo scavo si
svolgesse in estensione, nel rispetto delle
tecniche di ricerca più avanzate per l’epoca.
2001 – 2015 Indagini sul campo mirate
a specifici approfondimenti hanno avuto
luogo nel corso degli anni più recenti,
in parallelo alla costruzione degli edifici
destinati alla musealizzazione del sito.
Nel 2007 ha avuto inizio il progetto di
allestimento del Parco e Museo e si è
avviato un articolato piano di indagini
specialistiche - geologiche, paleobotaniche,
antropologiche, radiometriche e sulle
varie classi di reperti - su indicazione
del Comitato Scientifico incaricato
dall’Amministrazione regionale di
proporre, di concerto con gli uffici
competenti, le linee guida e le tematiche
del percorso espositivo e di fornire le
consulenze pluridisciplinari per l’edizione
scientifica delle ricerche.
(GdG, GZ, AF, LR, FMa, RPK)
1975 - 1989. Per oltre vent’anni si
susseguirono campagne di scavo annuali
alle quali parteciparono, sotto la guida di F.
Mezzena, decine e decine di appassionati
cultori della materia, di studenti di
archeologia, di archeologi, di cui molti
oggi sono affermati ricercatori, studiosi,
cattedratici. Lo scavo di Smc costituì dunque
per anni una importante scuola di formazione
per gli archeologi italiani (e non solo).
1974 Nell’area a Sud del tratto di via
Smc antistante il sito archeologico, lo
sbancamento per la costruzione di un
edificio commerciale portò alla luce altre
strutture megalitiche, associabili a quelle
presenti nell’area a Nord. Anche questo
terreno divenne proprietà regionale; lo scavo
sistematico portò al rinvenimento di cinque
7
di culto che, com'è la regola, doveva ripetersi
sistematicamente nel tempo con le stesse modalità,
risulta chiaro che, a prescindere dai suoi momenti
iniziali, nell’area megalitica manifestazioni
e rituali riferibili a fasi diverse hanno potuto
coesistere e celebrarsi contemporaneamente e
forse, talora, in relazione tra loro. In altre parole,
ogni fase strutturale, sviluppatasi entro un certo
suo specifico arco cronologico, non è cessata
per lasciare il posto a quella successiva, ma è
continuata più o meno a lungo mentre quella
successiva veniva ad introdursi”.
La sequenza delle fasi strutturali:
› aratura
› scavo e utilizzo dei pozzi
› allineamenti di pali, di stele e menhir
› tombe
basata sulla lettura dei rapporti stratigrafici,
è stata cronologicamente precisata in
questi ultimi anni. Ciò risolve un’incertezza
interpretativa sugli interventi iniziali
nell’area di culto.
A Smc la definizione stessa di “area
megalitica viene ad allargarsi, ad assumere
un significato assai più estensivo e complesso,
in stretta correlazione cioè con l’effettiva
complessità ed articolazione del mondo
religioso che nell’area megalitica è venuto a
manifestarsi ed esteriorizzarsi tramite tracce
durature”. (CS)
Il sito
Il progetto
Disegno preparatorio di M. Venegoni
per il progetto preliminare di allestimento.
Il progetto di musealizzazione dell’area
megalitica di Smc prevede una profonda
riorganizzazione del contesto urbano
interessato dal nuovo edificio.
Le necessità di tutela e conservazione
hanno determinato la costruzione di una
struttura, concepita come elemento di
protezione delle evidenze e come luogo di
fruizione (progetto arch. V. Valletti). Essa
è dotata di un grande tetto, accessibile
dalla strada che fiancheggia l’edificio, che
funge da copertura dall’intero contesto
storico-monumentale. Tale intervento
architettonico ha permesso di creare - come
valore aggiunto - uno spazio all’aperto
sociale e collettivo, destinato a diventare
una grande piazza che integra l’edificio
- parco, giardino e spazio pubblico - nel
quartiere e nel contesto urbano.
(GdG, LR, GZ)
L’area archeologica è stata chiusa in una
struttura di copertura che crea uno spazio
senza relazioni con l’ambiente circostante.
La scelta di non evocare ricostruzioni
scenografiche del paesaggio ha privilegiato
un sistema di illuminazione, studiato
espressamente per il sito, nel quale le luci
mutano gradatamente e nelle diverse ore
del giorno si creano sfumature e atmosfere
che avvolgono i monumenti, suggerendo lo
scorrere del tempo. Suggestione, evocazione
ed emozione accompagnano così il visitatore
lungo l’intero complesso monumentale.
Il percorso, lungo il tratto perimetrale della
zona scavata, prevede affacci diretti e conduce
all’ingresso del museo, allestito per dialogare
ininterrottamente con l’area archeologica.
Il rapporto tra area archeologica e percorso
espositivo museale porta il visitatore
a dedicare attenzione agli apparati
didattici, ponendoli in relazione diretta
con i monumenti e le altre evidenze che
coglie affacciandosi dalla balconata, per
poi concentrarsi sui reperti e sulle stele.
(MV)
8
Il sito ha in comune con tutti i grandi
centri di culto e cerimoniali dell’antichità
una lunghissima durata, scandita da una
sequenza di frequentazioni eccezionalmente
conservatesi grazie allo spesso deposito.
In oltre 4 metri di stratigrafia sono stati
sigillati nel tempo i resti archeologici, dal
primo impianto alla fine del V millennio
a.C. fino all’antica età del Bronzo (primi
secoli del II millennio) con successive
riprese, in discontinuità, nell’età del Bronzo
(campi arati), nell’età del Ferro (tumulo e
sepolture), in età romana (resti insediativi,
strada e necropoli) fino al Medioevo, quando
sul luogo di culto e funerario pagano fu
costruita la chiesa di Smc.
“Nel deposito stratigrafico è testimoniata, con
presenze più o meno rilevanti, un’evoluzione
storica che, partendo da momenti finali del
Neolitico, comprende tutto l’Eneolitico (strato
2a, b, c) ed attraversa quindi le successive età
del Bronzo (3a, b, c), del Ferro (strati 4, 5) e
Romana (strati 6 e 7), per giungere infine al
Medioevo ed all’Età moderna (strato 8)”.
Nell’ambito degli strati 1 e 2 “è stato possibile
mettere in evidenza una concatenazione di cinque
fasi strutturali principali, che compaiono via
via, in momenti cronologicamente successivi, ad
accrescere ed ad articolare sempre più l’importanza
culturale e la consistenza monumentale del sito.
Considerando che ciascuna delle fasi strutturali
rappresenta una ben determinata manifestazione
Testo in corsivo da Mezzena 1997.
***
Dai dolmen alla città, des dolmens à la ville, Aosta 1992;
Mezzena 1981, 1997, 1998; Mollo Mezzena 1997;
Zidda 1997, 1998; Heyd, Harrison 2007;
Framarin, Mezzena, Taccaliti 2007;
Poggiani Keller 2011.
9
L’aratura
LA PRIMA ATTIVITÀ UMANA:
L’ARATURA
Nella sezione
stratigrafica
sono evidenti
i solchi triangolari
delle arature.
orientato NordEst/SudOvest. Il medesimo
orientamento si osserva anche nella
maggior parte degli interventi antropici
successivi (l’allineamento dei pali e delle
stele, l’orientamento di alcune tombe).
L’aratura fu realizzata prima dello scavo
e dell’utilizzo dei pozzi, datati agli ultimi
secoli del V millennio a.C. Quindi questa
pratica innovativa si deve datare, sulla
base della stratigrafia e delle datazioni
radiometriche, ad un periodo precedente,
anteriore - non sappiamo di quanto - alla
fase di scavo dei pozzi.
Questo primo intervento umano nel sito
può corrispondere a una semplice attività
agricola, ma secondo il parere di chi ha
scavato, l’aratura, che rappresenta la fase
più antica dell’area cultuale, va interpretata
come azione rituale. (CS)
Nell’area megalitica il primo intervento
umano documentato è l’incisione del
terreno con solchi di una probabile
aratura visibili nell’ampia zona indagata
a NordOvest. Al momento sono in corso
prove di archeologia sperimentale e non
è possibile definire se tali solchi derivino
dall’uso di un aratro a trazione animale o
umana.
I solchi sono stati aperti in un terreno
sabbioso-limoso bruno rossastro e
intaccano anche lo strato sottostante a
ghiaino di colore grigio (strato 1), che si è
concrezionato nel tempo.
Essi sono regolari, incisi profondamente
(circa 20 cm) e a profilo triangolare,
e formano delle linee parallele il cui
andamento è condizionato dalla
morfologia del luogo, un modesto rilievo
10
11
Una datazione problematica
Cartina con distribuzione delle
testimonianze dirette e indirette
delle pratiche di dissodamento del
terreno nel vicino Oriente.
Segni epigrafici indicanti l’aratro.
L’aratro seminatore in un
rilievo in basalto del re assiro
Esarhaddon, del VII sec. a.C.
(© The Trustees of the British
Museum).
Approfondimento
Aratri e arature
nel Vicino Oriente
Lo scavo dell'aratura.
Per quanto generalmente noto, la
pratica dell’aratura a trazione animale è
considerata una innovazione dell’età del
Rame con inizio intorno alla metà del IV
millennio a.C. Pertanto la datazione della
prima aratura del sito di Smc verso la fine
del V millennio a.C. rappresenta un dato
del tutto rivoluzionario per chi studia
la preistoria in quanto trova rarissimi
elementi di confronto, anche in ragione
del fatto che solo negli scavi moderni,
che si avvalgono di una affinata tecnica
di indagine di alto dettaglio, è possibile
rilevare tracce tanto labili.
Seppure rari, e talora discussi, non
mancano tuttavia attestazioni di solchi, per
dissodamento o preparazione della superficie,
molto antichi, risalenti alla seconda metà
del V millennio a.C. ed effettuati prima o in
connessione con l’impianto di strutture. Si
tratta sia di tracce sul terreno sia di strumenti:
è il caso dei monumenti funerari di Sarnowo
nella Polonia centrale o dell’area di culto
funerario con tumulo del Neolitico-Cultura
dei Vasi a Bocca Quadrata del Canton di
Trescore Balneario presso Bergamo e del
lungo bastone con terminazione a uncino
rinvenuto nello scavo dell’insediamento
palafitticolo di Egolzwil 3 in Svizzera, datato
alla seconda metà del V millennio a.C.,
interpretato come un lungo aratro
a trazione umana. (CS)
12
Nel Vicino Oriente il dissodamento del
terreno fu praticato almeno dal IV millennio
a.C. Allo stato attuale non esistono
testimonianze certe delle tecniche agricole
nel millennio precedente, ma se ne può
ipotizzare l’esistenza considerando il quadro
complessivo dello sviluppo, molto evoluto,
delle tecniche agricole. Comunque a partire
dal IV millennio a.C. le testimonianze dirette,
ossia tracce sul terreno e resti di strumenti,
restano scarse, mentre alla fine del IV
aumentano le fonti indirette, in particolare
l’epigrafia e l’iconografia.
I documenti epigrafici più antichi, sumeri,
risalenti alla fine del IV millennio a.C.,
contengono il segno che indica l’“aratro”.
Nelle fasi più antiche il segno cuneiforme
per “aratro/arare” mantiene un’esatta
verosimiglianza con l’oggetto rappresentato,
mentre con l’evolversi del sistema di scrittura
tale verosimiglianza si perde. Nelle evidenze
iconografiche sono soprattutto i sigilli e il rilievo
scultoreo ad offrire le maggiori indicazioni.
Un’importante innovazione mesopotamica fu
quella del cosiddetto “aratro seminatore”, che
compare nel III millennio a.C.: veniva guidato
per mezzo di un’impugnatura a due manici,
mentre una sorta di imbuto consentiva di
versare la semina. (LB, SA)
***
Moorey P.R.S. 1994, Ancient Mesopotamian Materials and
Industries. The Archaeological Evidence, Oxford; Salonen A.
1968, Agricoltura mesopotamica, Helsinki; Zaccagnini C.
1978, Le tecniche e le scienze, in Moscati S. (a cura di), L’alba
della Civiltà, Torino, pp. 293-421; Anatolien vor 12000 Jahren.
Die ältesten Monumente der Menschheit, Catalogo mostra,
Karlsruhe-Stuttgart 2007.
13
Approfondimento
Approfondimento
Le arature preistoriche
in Europa
La ritualità
dell’aratura nella
storia
La conservazione di tracce archeologiche della
lavorazione del terreno è un evento molto
raro e non sempre è possibile riconoscere
se il solco sia stato prodotto da un aratro,
piuttosto che da un altro strumento (zappa?).
È quindi difficile datare con sicurezza la
comparsa dell’aratro. Il più antico aratro
finora ritrovato è quello in legno di Walle, in
Frisonia orientale, datato intorno alla metà
del III millennio a.C.; va però considerata la
difficoltà di conservazione del legno che si
mantiene solo in particolari condizioni. Dalle
tracce rinvenute in contesti stratigrafici risulta
che questi strumenti erano utilizzati almeno a
partire dalla prima metà del IV millennio a.C.,
al passaggio tra Neolitico ed età del Rame.
Anche se non si può escludere la trazione
umana, l’uso dell’aratro è associato
alla diffusione della trazione animale e
dell’aggiogamento dei bovini. Questa pratica
è documentata da un particolare tipo di
fonti archeologiche: le incisioni rupestri,
in particolare quelle sui massi della Valle
Camonica (Italia) e di Monte Bego (Francia),
o su monumenti megalitici come il dolmen di
Züschen (Germania). In questi documenti la
presenza dell’aratro è spesso associata a quella
della ruota. (VL)
Arature rituali sono note anche in epoche
storiche più recenti. Infatti l’Italia antica
conosce civiltà essenzialmente agricole che
attribuiscono una fondamentale importanza
all’aratro, non solo per il suo ruolo
nell’agricoltura, ma anche per il significato
culturale e rituale che ne deriva.
Incidere il suolo ha un valore profondo per il
suo legame con la fertilità, con l’origine dei
mezzi di sussistenza e della vita.
Col rito dell’aratura sono fondate le colonie
romane, secondo il modello mitico della
fondazione di Roma descritto da Varrone che
lo ritiene di origine etrusca. Il perimetro della
città viene delimitato dal solco di un aratro
tirato da un toro e da una vacca (quest’ultima
all’interno della futura area urbana); l’aratro
viene sollevato in corrispondenza delle porte,
inclinato per gettare le zolle all’interno,
prefigurando così la fossa e le mura di difesa
del nuovo insediamento.
Le mura erano sanctae, protette cioè da
sanzioni applicate a chi le oltrepassava, così
come nel mito Remo fu ucciso da Romolo per
averne scavalcato il solco. (PL)
***
Sherratt A. 1983, The secondary exploitation of animals
in the Old Word, World Archaeology, 15/1, pp. 90-104;
Raetzel-Fabian D. (ed.) 2000, Jungsteinzeit in Nordhessen
(Vor- und Frühgeschichte im Hessischen Landesmuseum in Kassel),
Staatlichen Kunstsammlungen; Petrequin P., Arbogast R.
M., Petrequin A. M., van Willigen S., Bailly M. (eds) 2006,
Premiers chariots, premiers araires. La diffusion de la traction
animale en Europe pendant les IVe et IIIe millénaires avant notre ère,
CRA - Monographies, 29, CNRS Editions, Paris.
L’aratro ligneo di Walle (da Tegtmeier 1993).
Le incisioni sul dolmen di Züschen (da Raetzel-Fabian 2000).
14
Aratore di Arezzo, bronzetto votivo
(Roma - Museo di Villa Giulia, III sec. a. C.).
Fregio marmoreo raffigurante la fondazione di Aquileia
(Museo Nazionale di Aquileia, I sec. a.C.).
15
I pozzi
Le arature
del sito
I pozzi: Funzione, contenuto,
riuso e cronologia
superiore a 1,80 metri e una profondità che
può arrivare in qualche caso quasi a 2 metri
(pozzo O). Altre 4 fosse (pozzi A, F, I, S)
hanno dimensioni minori con diametro fra 1
e 1,50 metri. Anch’esse contengono diversi
livelli di riempimento. Sono attestate anche
fosse e fossette più piccole, talvolta disposte
vicino alle grandi strutture e probabilmente
in relazione con esse. (GP)
Nel sito di Smc non c’è una sola aratura
ma un sistema di solchi di aratura,
non omogenei per forma, profondità e
orientamento (soprattutto paralleli, talora
convergenti, raramente incrociati). Questa
variabilità fa ipotizzare che essi potrebbero
risalire a momenti diversi, forse ad
occasioni rituali periodicamente ripetute.
I solchi non sembrano collegati
all’agricoltura: in genere ogni incisione
pare un’azione unica, non manomessa da
incisioni successive.
Le arature sono state riconosciute anche
sotto alcuni monumenti funerari, quindi ad
essi precedenti.
La loro cronologia è compresa tra la fine
del V e il IV millennio a.C.
(fine Neolitico-età del Rame).
Infine, una serie di solchi per lavori
agricoli, con impronte anche a griglia, è
documentata ad una quota più alta nelle
età del Bronzo (strato 3) e del Ferro
(strato 4). (LS,GP)
I 15 pozzi scavati sono raggruppati
in direzione NordEst-SudOvest, la
stessa mantenuta successivamente sia
dall’allineamento dei pali sia da uno degli
allineamenti delle stele.
Tutti risultavano colmati da un riempimento
a più strati contenente reperti rari ma
significativi: semi, anche di cereali,
resti carpologici e grandi macine
per la molitura dei cereali, spesso associati
a scaglie litiche e a ciottoli.
Questo tipo di struttura, presente
soprattutto negli insediamenti con usi
funzionali (silos, fosse di scarico, pozzi per
la captazione dell’acqua), per i materiali
contenuti, la posizione e l’allineamento
è interpretato da F. Mezzena come
espressione di pratiche rituali reiterate nel
tempo e connesse a culti agricoli praticati
per favorire la produzione di cereali.
Alcuni pozzi sono sigillati da un focolare
acceso alla sommità del riempimento. (RPK)
Il pozzo G.
Un serie di grandi fosse, o pozzi come li
definisce F. Mezzena, sono stati scavati
nell’area Nord del sito, interessata in
precedenza da un esteso intervento
di aratura, non più visibile all'atto di
escavazione dei pozzi. Si tratta di fosse dalla
forma cilindrica o subcilindrica talora con
restringimenti, che variano in larghezza,
profondità e contenuto. Cinque (pozzi
C, D, G, O, P) hanno un diametro pari o
La prima aratura tagliata dal pozzo C.
Le arature agricole: dell'età del Bronzo
a destra e dell'età del Ferro a sinistra.
16
17
La cronologia C14 dei pozzi
La maggior parte dei pozzi conteneva
resti lignei e qualche residuo vegetale
carbonizzati, in particolare cereali.
Campioni di materiale organico sono stati
prelevati da dieci strutture per essere datati
col metodo del radiocarbonio.
Le datazioni ottenute negli anni Settanta
del secolo scorso sono state recentemente
integrate con una serie di altre date più
precise, ottenute con strumentazioni
adeguate. Le datazioni collocano l’uso delle
strutture tra 4300 e 3950 a.C. Quelle più
puntuali sono state ottenute da semi di
cereali raccolti nel pozzo P e nel pozzo I: il
primo è stato datato tra 4040 e 3950 a.C.
e questa precisione della data è assai rara
nel metodo radiocarbonico.
Il riempimento dei pozzi, quindi, si è
accumulato in un tempo relativamente
breve, probabilmente nel corso di alcune
generazioni. (PhC)
nella pagina a fianco:
Alcuni dei pozzi disposti con andamento
NordEst-SudOvest.
Il pozzo C all’atto della scoperta.
Dopo i Pozzi
Le datazioni radiocarboniche indicano che
trascorrono circa mille anni tra l’ultimo
utilizzo dei pozzi (inizio IV millennio a.C.)
e la fase successiva identificata nell’area
dall’innalzamento di pali rituali (inizio metà del III millennio a.C.).
Questa lacuna cronologica nella successione
stratigrafica potrebbe essere solo apparente:
la fase degli allineamenti di pali e stele e
la successiva necropoli megalitica sono
caratterizzate da livelli di sedimentazione
di spessore assai ridotto, cosa che
farebbe ipotizzare una regolare attività di
manutenzione del piano di calpestio.
Se da un lato la conservazione delle tracce
del passato e il loro rinvenimento sono
legate spesso alla casualità, dall’altro
le vestigia che hanno avuto e hanno
mantenuto nel tempo un certo valore e
ampia memoria hanno maggiori possibilità
di essere preservate, divenendo così un
luogo della memoria. (AMF)
Il pozzo C in fase di scavo.
Un esempio: il pozzo C
Collocato tra i pozzi B ed E e profondo circa
1 metro, il pozzo C, è a pianta subcircolare
con diametro di ca. 90 cm e fossa cilindrica
a pareti leggermente svasate verso l’alto
e fondo concavo. Nella fase finale risulta
colmato con terreno carbonioso e poi con
un riporto di terreno sterile. A questo
momento appartiene la deposizione, in un
infossamento accessorio, di un macinello in
pietra, che costituisce l’unico manufatto della
fase finale d’uso e disattivazione del pozzo.
Al di sotto è presente uno strato di oltre 30
cm con lenti carboniose che sigilla i resti di
un focolare acceso in una fossetta concava.
Di questa prima fase d’uso del pozzo
non rimangono reperti.
Le datazioni radiometriche rimandano alla
seconda metà del V millennio.
(FMe, RPK)
18
***
Mezzena 1997
19
Gli allineamenti
Approfondimento
Il paesaggio
agricolo al tempo
dei pozzi
GLI ALLINEAMENTI
COME ELEMENTI DEL SITO
DI CULTO E CERIMONIALE
I frutti e i semi fossili (resti carpologici)
nei riempimenti dei pozzi di Smc hanno
fornito informazioni per la ricostruzione del
paesaggio agrario tra V e IV millennio a.C.
Sono stati identificati 920 resti carpologici
carbonizzati. I più comuni sono semi di
leguminose attribuibili a vecce o cicerchie
(Vicia/Lathyrus); a queste si accompagna anche
il pisello (cf. Pisum sativum) documentato
da un solo seme. La coltivazione dei cereali è
testimoniata dal ritrovamento di cariossidi di
farricello (Triticum monococcum), di farricello o
farro (T. monococcum/dicoccum), di frumento
(Triticum sp.). Sorprendente è l’abbondanza
di frutti di poligono convolvolo (Fallopia
convolvulus), infestante nelle colture o negli
ambienti ruderali (aperti). Produce piccoli
frutti raccolti per scopi alimentari
(produzione di farina
o preparazione di zuppe).
Dai pozzi provengono
anche frammenti
di carbone di quercia
e di raro pino.
(RPe, RP, CR)
***
Castelletti L., Castiglioni E., Rottoli M. 2001, L’agricoltura
dell’Italia settentrionale dal Neolitico al Medioevo, in Failla O.,
Forni G. (eds), Le piante coltivate e la loro storia. Dalle origini
al transgenico in Lombardia nel centenario della riscoperta della
genetica di Mendel, pp. 33-84; Behre K.-E. 2008, Collected seeds
and fruits from herbs as prehistoric food, Vegetation History and
Archaeobotany, 17(1), pp. 65-74; Rottoli M., Castiglioni E.
2009, Prehistory of plant growing and collecting in northern Italy,
based on seed remains from the early Neolithic to the Chalcolithic
(c. 5600–2100 cal B.C.), Vegetation History and Archaeobotany,
18, pp. 91-103; Zohary D., M. Hopf, Weiss E. 2012,
Domestication of Plants in the Old World. The origin and spread
of domesticated plants in south-west Asia, Europe and the
Mediterranean Basin, Oxford University Press, p. 243.
Frutti e semi fossili identificati
nei pozzi di Saint-Martin:
› 1- cf. Solanum nigrum; 2- Polygonum
lapathifolium; 3- Arenaria serpyllifolia;
4- Nepeta catharia; 5- Thymelea passerina.
La lunghezza della barra corrisponde
ad 1 mm, salvo diversa indicazione.
Tra la fine del IV e gli inizi del II millennio
a.C. l’orizzonte visivo del sito è marcato
da elementi in elevato collocati in
allineamento orientato.
Una sequenza di pali lignei, non più
conservati, è individuabile grazie ai resti
carbonizzati di larice e pino silvestre
rinvenuti nelle buche di alloggiamento.
Lastre litiche abbattute e le loro fosse
di impianto hanno fatto riconoscere
allineamenti di stele antropomorfe e
menhir, relativi ad un santuario preistorico.
Questi monumenti, disposti secondo assi
ortogonali incrociati e in relazione con
l’allineamento dei pali, davano luogo ad
una scenografia che, oltre al valore religioso
e astronomico-astrologico, attribuiva un
carattere distintivo a quel territorio, sia
come segnacolo sia come limite.
Successivamente l’area è trasformata
da santuario in necropoli, con tombe
in relazione spaziale diretta con gli
allineamenti di pali e stele. Le tombe
ne conservano la memoria cultuale e,
elevate su un leggero rilievo, dominano il
paesaggio. (FMe, GZ)
Diagrammi percentuali dei reperti carpologici
rinvenuti nei pozzi studiati.
L'allineamento dei pali nell’area Nord.
(foto e elaborazione RPe, RP, CR).
20
21
L’allineamento
dei pali
Dapprima l’area di Smc vede avviare la
costruzione di un allineamento di pali:
questa pratica trova confronti con le fasi
iniziali di altri siti di culto e cerimoniali
europei caratterizzati da un’architettura
di legno (allineamenti e circoli di pali,
singoli pali ritti come segnacoli) e terra
(cordonature di perimetrazione dei siti
associate a fossati).
Allineamenti di pali sono presenti sia
nell’area Nord sia nell’area Sud.
Nel settore NordEst del sito è documentato,
posteriormente alla fase di aratura,
l’innalzamento di 24 pali, disposti NordEstSudOvest. I fori, ravvicinati e talora
contigui, sono subcilindrici, di diametro
e profondità variabili. Quelli di maggiori
dimensioni contengono pietre di rincalzo
per un miglior sostegno del palo.
L’allineamento di pali viene messo in relazione
a pratiche rituali e non funzionali. Ad esse
potrebbe collegarsi la deposizione di crani di
bovide sul fondo della fossa di impianto.
Le datazioni di resti lignei rinvenuti nei
fori collocano la maggior parte dei pali
nella prima metà del III millennio a.C.
Si ipotizza che l’innalzamento dei pali sia
stata un’azione a volte reiterata nel tempo,
pur conservando sempre l’allineamento
originale. La sua durata in parte coincide
con quella degli allineamenti delle stele.
(LS, GP)
verisimilmente esposte al fuoco per
favorirne la conservazione.
I pali forse suggerivano il percorso rituale,
con la stessa funzione delle quasi coeve
stele di pietra che corrono parallele ed
ortogonali a quelli.
Il rito di impianto, testimoniato dai
frammenti di crani di bovide deposti nei
fori di alloggiamento, fa pensare a semplici
pali rituali, lisci oppure decorati con
materiali diversi, che diventano elementi
simbolici oggi non decifrabili. Tuttavia
la raffigurazione antropomorfa delle
stele potrebbe far ipotizzare che anche i
pali lignei fossero scolpiti per raffigurare
personaggi di rilievo o mitici. (AMF)
La cronologia C14 dei pali
Resti lignei conservati nel terreno di
riempimento delle fosse di impianto dei
pali sono stati sistematicamente prelevati
per ottenere datazioni radiocarboniche.
Sono stati utilizzati 44 campioni.
Le date ottenute negli anni Settanta
del secolo scorso, poco precise e talora
inutilizzabili, sono state integrate con una
nuove serie di risultati: l’allineamento
dei pali è stato realizzato gradualmente
nel tempo. Questa serie di avvenimenti si
data alla prima metà del III millennio a.C.
(PhC)
I fori di palo n. 23 e 24 in corso di scavo.
nella pagina a fianco:
Frammento di corno di bovide rinvenuto all’interno
del foro di palo n. 17.
Foro di palo n. 17.
Significato e natura dei pali
L’allineamento di pali attraversava l’area
interessata dall’aratura. I fori di impianto
quasi sovrapposti e l’alternarsi di essenze
legnose differenti nello stesso foro indicano
che alcuni pali furono sostituiti nel corso
del tempo con tronchi della stessa o di altra
specie legnosa. I frammenti carbonizzati
di larice e pino mostrano poi che le
estremità interrate dei tronchi venivano
22
23
Approfondimento
I carboni attribuibili a legni di piccolo
diametro (rami) sono molto rari (2 carboni)
e probabilmente rimandano ad altre attività
svoltesi prima dell’erezione dei pali, ad esempio
alla deposizione di ceneri di crani di bue o a
fasi di sostituzione degli elementi lignei.
È probabile che durante questa fase il larice
sia stato specificatamente selezionato;
la lunga durata del suo legno e i fusti
slanciati da cui si potevano ottenere pali di
ottima qualità, possono essere due valide
motivazioni per il suo impiego. (LC)
Le specie arboree
dei pali
I carboni di legna analizzati, rinvenuti nelle
fosse di impianto dei pali, rimandano quasi
esclusivamente a larghi fusti di larice (Larix
decidua, 70 carboni) cui si aggiungono
sporadici carboni di pino (Pinus sylvestris/
mugo, 8 carboni). In tre buche di palo pino
e larice si rinvengono associati.
Fotografie al microscopio elettronico
SEM di carboni di larice (Larix
decidua): a- sezione trasversale;
b- sezione tangenziale; c- sezione
radiale (foto Agostino Rizzi CNR IDPA, Laboratorio di Microscopia
Elettronica e Microanalisi).
Distribuzione planimetrica del dato
antracologico (elaborazione LC, CR
su base cartografica RAVA, Archivi
Struttura Patrimonio archeologico).
24
Dalla scultura lignea alla scultura
in pietra: gli allineamenti di stele
antropomorfe e nove tra menhir e lastre
con foro. (FMe, GZ)
L’allineamento di pali lignei NordEstSudOvest ha marcato il territorio con
l’uso di una materia di facile reperibilità e
lavorabilità. Non conosciamo né la forma né
l’idea ispiratrice di tali strutture, tuttavia per
confronti di tipo etnologico e con rimandi a
fonti letterarie antiche (saga dell’eroe sumero
Gilgamesh, 2.500–2.000 a.C.) si è ipotizzato
che esse potessero rappresentare figure
ancestrali, in una sorta di santuario.
Altri allineamenti paralleli e ortogonali si
affiancano a quello ligneo e ne modificano
l’impatto visivo ed emotivo. Il materiale
usato per il nuovo impianto è la pietra,
di più complessa lavorazione ma più
durevole e solenne. Questa innovazione
non è solo strutturale ma concettuale: la
sacralità del sito si manifesta così nella
rappresentazione della figura umana
espressa nelle stele antropomorfe.
Quando ancora si innalzavano o
sostituivano alcuni dei pali in allineamento,
si diede avvio alla costruzione di solidi e
duraturi allineamenti con monumenti di
pietra disposti lungo due assi ortogonali
NordEst/SudOvest e NordOvest/SudEst.
Dagli scavi condotti nell’area megalitica
di Smc provengono oltre quaranta stele
Antenati o Dei?
Rinvenute abbattute volontariamente,
riutilizzate o in pochissimi casi ancora
erette, le stele antropomorfe sono la prima
manifestazione del megalitismo nel sito
di Smc, opere magistrali della statuaria
preistorica.
La figura umana è resa in maniera
sintetica, riconoscibile dalla sagoma stessa
del monumento. Il genere maschile o
femminile nelle stele di Aosta di stile
cosiddetto evoluto è indicato non dagli
attributi del sesso ma dall’abbigliamento e
dagli strumenti connessi.
Non è possibile identificare i personaggi
rappresentati: immagini di persone viventi,
i notabili delle società locali, o immagini di
defunti, di antenati, di eroi?
Nel caso di Smc, l’allineamento originario
fa presumere che le stele, disposte in
sequenze e associate secondo rapporti
prestabiliti, possano raffigurare personaggi
divinizzati, identificabili per specifici
attributi e ornamenti, riuniti in una sorta di
pantheon. (FMe, GZ)
25
la Tipologia
dei monoliti
Le stele tra oriente e occidente.
Cartina di distribuzione delle stele e dei massi incisi in Italia centro-settentrionale e in Europa.
Stele e massi-menhir istoriati con raffigurazioni naturalistiche e
simboliche costituiscono uno degli aspetti più interessanti della
preistoria europea, tra la fine del Neolitico e l’età del Rame (IV e III
millennio a.C.), fino alle soglie dell’età del Bronzo, con ritrovamenti
diffusi dalle coste atlantiche fino all’area caucasica.
Nella penisola italiana il fenomeno è documentato in poche
aree circoscritte: nell’arco alpino lungo la Dora Baltea nell’Area
megalitica di Saint-Martin-de-Corléans e a Tina di Vestigné
(Torino), in Valtellina e Valle Camonica in Lombardia, in TrentinoAlto Adige. Stele sono note anche in Toscana (Lunigiana), in Puglia
(Castelluccio dei Sauri e Bovino) e in Sardegna.
***
Cartina da Mezzena 1998, con aggiornamenti, e,
per l’Italia settentrionale, da Poggiani Keller R. 2009,
La Valle delle incisioni, Brescia.
26
I monoliti si ordinano in tre classi:
Menhir: monoliti di forma allungata
parallelepipedo-prismatica o lastriforme, di
differenti dimensioni, sommariamente sbozzati.
Lastre con foro: lastre monolitiche
poligonali non decorate, caratterizzate da
un foro passante e da profilo e superficie
talora regolarizzati.
Stele antropomorfe: lastre a profilo
generalmente trapezoidale, con
raffigurazione umana riconoscibile nella
sagoma frontale. Per caratteri stilistici e
tecniche di esecuzione le stele si dividono
in due gruppi: il primo ha tratti distintivi
antropomorfi essenziali (I stile), il secondo
è invece arricchito dalla raffigurazione più
dettagliata di alcune parti del corpo (testa,
volto, spalle, braccia, mani), di abiti, di
ornamenti e di armi (II stile).
Lo scavo ha restituito inoltre lastre di
pietra sbozzata e lavorata con sola funzione
statica, come i montanti delle tombe.
(FMe, GZ) L’iconografia ed i caratteri
stilistici consentono una classificazione
delle stele antropomorfe di Smc in tre stili
che si descrivono attraverso l’illustrazione di
tre monumenti.
La tipologia del menhir è rappresentata dal monolite n. 3.
Il blocco di pietra a forma di parallelepipedo allungato, non
presenta particolari tracce di lavorazione. Ignota la sua funzione,
generalmente data come segnacolo.
La lastra con foro 26, a profilo poligonale, ha come elemento
caratterizzante un foro passante oblungo, di difficile interpretazione
(elaborazioni Ad Hoc 3D Solutions).
La stele 5.
27
rendere
fondo nero
uniforme.
rendere
fondo nero
uniforme.
Primo stile, detto anche “arcaico”: stele 13
Realizzata su lastra di roccia scistosa
a grana grossa, ha forma trapezoidale
allungata rastremata verso il basso, con
piccola testa e ampie spalle insellate.
La superficie, regolarizzata da scalpellature,
presenta incisioni lineari poco profonde,
raffiguranti una bandoliera e una sorta
di gonnellino a frange.
28
Stile di “transizione”:
rettangolare, con spalle diritte e piccola
protuberanza nella zona della testa. Le
parti rilevate evidenziano caratterizzazioni
antropomorfe (braccia angolate tendenti
verso il basso, mani), attributi e ornamenti
(pendaglio a doppia spirale, cintura,
pugnale, bandoliere incrociate?).
stele con pendaglio a doppia spirale
Il tratto distintivo rispetto al tipo arcaico è
dato dalla lavorazione a leggero altorilievo,
con conseguente abbassamento delle
superfici di campitura. Il profilo della lastra,
di roccia scistosa a grana grossa, è di forma
29
Approfondimento
figurazioni presuppone un disegno
preparatorio che ripartisce gli spazi
nell’area decorata secondo precise unità
di misura (multipli di circa cm 2,5 – il
pollice?- e di circa cm 30/31 – il piede?),
così che le rappresentazioni delle parti
corporee (testa, sopracciglia, naso; braccia
piegate ad angolo retto, mani), degli abiti,
degli ornamenti (collane, cinture) e degli
attributi (arco, frecce, accetta, pugnale)
sono minuziosamente stilizzate in forme
geometriche. (GZ, FMe)
Secondo stile, detto anche “evoluto”: stele 31
La sagoma, più larga rispetto ai tipi
precedenti, è caratterizzata da una testa
ampia e semicircolare, a “cappello di
gendarme”, e spalle ridotte, desinenti
ad angolo. La decorazione diventa
leggerissima e sfrutta il contrasto tra le
superfici lisce e le zone abbassate dallo
scalpello, rese chiare e brillanti per le
sfaccettature delle componenti cristalline
della pietra, di preferenza roccia scistosa
e marmo bardiglio. La costruzione delle
Caratteri petrografici
delle stele
"evoluto"). In questo caso essi si sono spinti
fino a 10 km di distanza per cavare le lastre
di marmo grigio di Villeneuve, che verranno
poi utilizzate anche dai Romani per rivestire
i monumenti di Augusta Prætoria.
Alcune delle stele dello stile detto "evoluto"
potrebbero provenire da affioramenti
presenti nei pressi di Morgex, a circa
30 km di distanza. Tali giacimenti
appartengono alla stessa unità geologica
da cui sono state cavate le stele del
Petit-Chasseur di Sion, in Svizzera, a
sottolineare le analogie tra i due siti. (SDL)
Le stele sono costituite in prevalenza
da rocce calcaree più o meno scistose
(calcescisti, marmi), ampiamente diffuse
nella conca di Aosta. Sono inoltre
rappresentati micascisti, pietre verdi, gneiss
e quarziti: questa varietà riflette la vasta
gamma di rocce delle unità geologiche
presenti a monte di Aosta. A questi
giacimenti hanno attinto gli antichi scultori
scegliendo le grandi lastre trasportate dai
ghiacciai o cavandole direttamente dagli
affioramenti che presentavano le migliori
caratteristiche (stele dello stile detto
La stele con pendaglio, scolpita in uno gneiss a grana grossa.
La stele 3, scolpita in marmo chiaro con venature grigio scure
corrispondente molto probabilmente al “bardiglio” di Villeneuve.
La stele 30, una grande lastra di calcescisto con patina giallastra
(“pietra di Morgex”), sfruttata dall’artista per realizzare l’effetto di
chiaro-scuro che ne caratterizza il disegno.
rendere
fondo nero
uniforme.
Localizzazione delle aree di provenienza delle stele di Smc.
30
***
De Leo S. 2007, Studio petrografico delle stele dell’area megalitica
di Saint-Martin-de-Corléans-Aosta, BEPA-Bulletin d’études
prehistoriques et archeologiques alpines, XVIII, Aosta, pp.
33-40; Sartori M., Burri M., Fierz -Dayer E., Curdy F. 2007,
Caractérisation pétrographique des elements de construction
de la nécropole di Petit-Chasseur et d’autres sites néolitiques de
la région de Sion, BEPA-Bulletin d’études prehistoriques et
archeologiques alpines, vol. XVIII, Aosta, pp 19-32.
31
vita e morte delle stele
I rituali
Gli allineamenti e il posizionamento dei
monoliti in fosse di impianto testimoniano
la funzione primaria delle stele come
simulacri destinati alla venerazione.
Nel momento in cui il sito di culto diviene
anche area funeraria, molte stele vengono
abbattute, sia estraendole intere dal
terreno, sia tagliandole accuratamente
alla base e facendole cadere con la faccia
decorata verso terra.
Su molte stele, interventi successivi al loro
uso primario ne esauriscono la funzione
originaria. Sono presenti casi di abbattimento
e di abbandono in posto, di manipolazione,
di dislocamento e di riutilizzo.
Gli interventi leggibili sui singoli
elementi sono:
A) scheggiatura delle spalle e della testa con
asportazione delle parti antropomorfe;
B) frattura del piede;
C) frammentazione in porzioni grandi e
minute;
D) scheggiature e fratture sui bordi per una
nuova sagomatura.
Nei casi A e C si può supporre che
l’intervento sia volutamente iconoclastico,
destinato a distruggere il simbolo.
Nel caso delle nuove sagomature (D),
le stele diventano materia prima per la
costruzione di tombe e piattaforme, pur
mantenendo forse un valore particolare
rispetto alle altre lastre.
Spesso la lettura degli interventi
intenzionali è difficoltosa per la
compresenza di fratture naturali.
È difficile datare con precisione la sequenza
dei gesti, forse reiterati nel tempo, salvo per
il riutilizzo nei monumenti funerari. (OF)
Numerose stele vengono progressivamente
reimpiegate, intere o in frammenti in
diverse tombe. Nelle tombe I e III si
riutilizzano solo stele integre o in grandi
frammenti.
Il reimpiego delle stele antropomorfe nelle
costruzioni tombali appare ricorrente e
sistematico e si deve interpretare come un
fatto evolutivo, un elemento di continuità
nella storia del sito. (FMe)
Le stele 17 e 18 abbattute.
Stele 4 Sud. Schema della fratturazione, numerazione dei frammenti
(1-33) e localizzazione delle fratture. Le frecce indicano le tracce più
probabili di percussione. A fianco, la porzione centrale della stele.
Stele 45. Ricostruzione della scheggiatura della testa mediante
piccoli distacchi verticali unidirezionali.
Stele 4. Spalle e testa asportate tramite scheggiatura.
(elaborazione OF).
32
33
Approfondimento
stele in allineamento
La porzione di allineamento NordEstSudOvest, rinvenuto a partire dall’angolo
meridionale della piattaforma della
Tomba II, fa parte di una sequenza
monumentale di ben più vasto sviluppo.
Essa è esemplificativa dell’assetto dei
monumenti nel momento della loro
funzione primaria, come elementi
scultorei connotativi del santuario.
Le tre stele 30, 29 e 38, così come la 37
sono state infisse nel terreno in semplici
fosse e fissate, come tutti i monoliti,
con pietre di rincalzo.
La faccia decorata era orientata
ad Est-SudEst, presumibilmente rivolta
verso chi percorreva l’area.
La visione frontale dell’insieme doveva
risultare di forte impatto, soprattutto
laddove le stele raggiungevano altezze
di circa tre metri e le decorazioni
accentuavano l’effetto scenografico.
Mentre le stele 38 e 30 furono
volontariamente abbattute, con la faccia
decorata rivolta in basso, la stele 29 fu
rinvenuta ancora eretta, seppure con la
parte sommitale spezzata e mancante.
(FMe, GZ)
Il tratto di allineamento delle stele 43 e 30 durante lo scavo.
La stele 29 in fase di scavo, 1973.
***
De Marinis 1996; Mezzena 1981, 1997, 1998; Zidda 1997, 1998.
la stele 30
Rinvenuta nella sua collocazione originaria,
nell’allineamento NordEst-SudOvest,
spezzata al piede ed abbattuta con la
faccia principale contro terra, la grande
stele antropomorfa rappresenta l’esempio
canonico dello stile “evoluto” della scuola
artistica peculiare di Aosta-Sion. La
lavorazione a lievissimo altorilievo sfrutta
magistralmente l’effetto coloristico creato
dalla contrapposizione tra la superficie
risparmiata, a patina naturale più scura, e
quella scalpellata, più chiara.
Ha ampia testa a “cappello di gendarme” con
volto a schema a “T” che sintetizza le arcate
sopraccigliari e il naso, mentre sono assenti
occhi e bocca. Le braccia scendono parallele
sui lati, piegandosi ad angolo retto all’altezza
dello stomaco, con le mani affrontate.
Il torso della figura è coperto da un vestito
(forse una corazza), decorato con un motivo a
scacchiera, che ricorre anche nell’alta cintura.
Quattro ordini di collari partono dagli estremi
delle sopracciglia. Al di sotto dell’ultimo
collare è posto un probabile pendaglio.
La presenza di armi qualifica il personaggio
come maschile: un’ascia piatta immanicata
sta obliqua a fianco del braccio destro
accanto a un arco con due frecce; appesi alla
cintura compaiono una borsa semicircolare
(elemento presente anche sulla stele 8 di
Sion) e due pugnali con fodero.
Sulla sommità del capo si rileva una
decorazione precedente le figurazioni descritte,
forse la parte rimasta, dopo la scalpellatura del
volto a “T”, di un pugnale appeso. (GZ, FMe)
rendere
fondo nero
uniforme.
35
Le tombe
LA TRASFORMAZIONE SEPOLCRALE
DELL’AREA
In un momento pieno della storia del sito si
assiste ad un nuovo uso simbolico dell’area
con la costruzione di monumenti funerari
megalitici e di piattaforme che integrano
e/o modificano in modo sostanziale gli
allineamenti di pali e di stele, con azioni
ripetute in successione continua.
Questa fase a valenza funeraria si sviluppa
nell’area di culto e cerimoniale rispettando
assetti e rituali precedenti: le tombe
sono costruite lungo gli allineamenti dei
pali e delle stele e riutilizzano queste
ultime nella costruzione. La sequenza
stratigrafica, la tipologia dei reperti e le
datazioni radiometriche ci mostrano che,
mentre compaiono i primi monumenti
funerari (ad esempio, la Tomba VII
collocata nell’area Sud), si continuano,
pare, a innalzare pali e stele.
Le costruzioni tombali, alcune delle quali
sono iniziate nella prima metà del III
millennio a.C., si susseguono per alcuni
secoli durante il periodo della Cultura del
Vaso campaniforme (2500-2200 a.C.) e
l’uso dei monumenti perdura fino ai primi
secoli del II millennio a.C. (Bronzo Antico).
Le architetture sono diversificate: cista
litica, allée couverte, dolmen su piattaforma,
tomba a lastre con struttura circolare con
muro perimetrale.
Anche il rituale di trattamento dei defunti
non è omogeneo, in linea con la tradizione
36
funeraria dell’età del Rame che, a seconda
degli areali geografici e culturali, alterna
sepolture singole e plurime, inumazione
e scarnificazione/cremazione dei defunti:
anche a Smc osserviamo cremazione e
inumazione, in genere collettiva, primaria
(ossa in connessione anatomica) e
secondaria (ossa non in connessione).
Talora è presente il corredo. (LS, GP)
Seguendo il percorso museale, si illustra
dapprima il complesso di tombe dell’Area
Nord con particolare riguardo alla
monumentale Tomba ii, mentre all’Area
Sud, non ancora visitabile, si dedica un
breve commento sulle strutture e sui
corredi tombali, esposti alla fine dell’attuale
percorso espositivo.
37
La tomba ii
L’imponente monumento è situato nell’area
Nord, sull’allineamento di stele NordEstSudOvest. È costituito da un dolmen
(2,50 x 2,20 m) che si erge su una grande
piattaforma triangolare (lunghezza m 15).
Sul lato SudEst si appoggia una struttura
semicircolare delimitata da pietre e
pavimentata con lastre che coprono un
livello di quarziti bianche (lunghezza m 3),
circondata da 6 pali.
I montanti del dolmen sono costituiti da
grandi lastre ancora erette tranne quella
SudOvest tolta quando la tomba era ancora
in uso. La copertura è stata rinvenuta
frammentata già in antico. Nel montante
NordEst è ricavato un oblò aperto su un
corridoio d’ingresso costruito reimpiegando
stele, così come attestato in altre parti della
struttura.
Un particolare rito è documentato: due
bicchieri campaniformi intenzionalmente
frammentati sono stati deposti nella
camera funeraria e nei due pozzetti sulla
piattaforma.
Salvo per alcune significative preesistenze,
ancora in corso di studio, la tomba è
stata in uso dalla metà del III millennio
a.C. (fase campaniforme) ai primi secoli
del II millennio a.C. (Bronzo Antico)
per sepolture collettive accompagnate da
corredo e/o elementi d’offerta.
(GP, LS)
Vista dall’alto della zona SudEst della Tomba II in corso di scavo.
Si vedono le “antenne”, il montante SudEst, il semicerchio
esterno ed i fori di palo.
L'imponente struttura della Tomba II vista da SudEst.
In primo piano si osserva la Tomba III.
Tomba II: il dromos, corridoio di accesso alla tomba.
38
39
I reperti in pietra, metallo
e materia dura animale
I reperti
Alla Tomba II appartengono sepolture
risalenti a diverse fasi di uso della struttura.
I corredi delle sepolture più antiche (età
del Rame) comprendono ornamenti in
pietra (perline in steatite e cloritoscisto), in
osso (bottoni con perforazione a V, bottoni
a capocchia) e in conchiglia (pendenti a
lunula). Tutti questi materiali, di tradizione
eneolitica rimandano alla Cultura del Vaso
Campaniforme, come anche le semilune
in selce. Sono presenti alcuni oggetti in
rame (lesine e perle in lamina arrotolata),
documentati nelle tradizioni funerarie del
III millennio a.C.
Anche un bracciale da arciere in arenaria
richiama più decisamente la tradizione della
Cultura del Vaso campaniforme.
I corredi delle sepolture più recenti
rimandano a produzioni della fase iniziale
dell’Antica età del Bronzo: uno spillone
con capocchia a disco (dal piano 6), due
spilloni ricurvi con testa a forma di remo,
un pendaglio a semiluna con capi a
doppia spirale e ricca decorazione a sbalzo
(dal piano 16). Si tratta di manufatti ben
diffusi in Europa centrale e rari in Italia
settentrionale. (MB)
I reperti ceramici
Dalla Tomba II provengono frammenti
ceramici di vasi campaniformi, forse
ritualmente frantumati. Nei pozzetti sulla
piattaforma della tomba e sul piano della
camera sepolcrale sono stati rinvenuti
alcuni bicchieri dalla forma alta e slanciata,
decorati con una cordicella sottile secondo
uno stile (All Over Corded) ritenuto tra i più
antichi. La forma del recipiente rimanda
più all’Europa centro-occidentale che
all’Italia settentrionale.
Altri frammenti, decorati ad impressioni a
pettine, sono presenti attorno all’atrio della
Tomba II. Si tratta forse di deposizioni più
tarde, come quelle trovate nella struttura
semicircolare coperta da frammenti di
quarzite bianca.
Nel corridoio d’ingresso della tomba è stato
messo in luce un boccale con ansa a gomito
e appendice a bottone, forma caratteristica
della Cultura di Polada, uno dei gruppi
culturali più rappresentativi del Bronzo
Antico dell’Italia settentrionale. Boccali
simili sono noti in siti lombardi datati alla
fine del III millennio a.C. (MB)
Parapolsi per arciere in pietra dalla Tomba II.
L’oggetto fa parte del cosiddetto “set campaniforme” e sottolinea
l’importanza dell’arco nell’armamentario dell’epoca e il suo valore
di prestigio e forse di status sociale.
Uno dei due spilloni con testa a remo decorata
da puntini a sbalzo in rame/bronzo con gambo ricurvo
rinvenuti nella Tomba II, piano 16 e lo stesso in corso di scavo.
Questa tipologia di spilloni, dall’area di maggior presenza
corrispondente alla media/alta valle del Danubio, all’area
del Bodensee e all’alta valle del Reno, si diffonde in Svizzera
e in Francia orientale ed è giunta in Valle d’Aosta probabilmente
attraverso l’alta valle del Rodano (Vallese).
Bicchiere campaniforme decorato a cordicella
rinvenuto in un pozzetto della Tomba II.
Boccaletto campaniforme decorato a pettine,
dal corridoio d’ingresso della Tomba II.
40
Pendaglio a semiluna con estremità a doppia spirale in lamina di
rame dalla Tomba II, piano 16.
Questo tipo di pendaglio è diffuso in un’ampia zona a Nord
e a Sud delle Alpi corrispondente alla Germania meridionale,
alla Svizzera e all’Italia settentrionale.
41
I reperti ossei
umani
Il dolmen II è una tomba con sepolture
multiple in cui sono stati deposti in
momenti diversi almeno 39 individui,
soprattutto uomini adulti. Sono presenti
anche donne e bambini, alcuni di età
perinatale. La prevalenza di individui
maschi adulti è forse connessa a una sorta
di selezione intenzionale.
L’analisi antropologica è stata complessa
poiché pochi scheletri hanno mantenuto la
connessione anatomica e la maggior parte delle
ossa sono state dislocate e mescolate già in
antico. Il rito di inumazione è preponderante
ma, soprattutto nei piani inferiori della tomba,
è attestata anche la cremazione.
Lo studio antropologico evidenzia la
presenza di individui abituati a muoversi su
terreni accidentati (lo suggeriscono le forti
inserzioni muscolari). Pertanto non erano
rari gli incidenti, che provocarono fratture
all’avambraccio (2 casi), alle caviglie e ai
piedi (3 casi).
Le altre malattie, limitate ad artrosi, a
pochi casi di carie dentaria e pochi altri
indicatori di patologie del cavo orale,
indicano uno stato di salute generalmente
buono. L’usura anomala dei denti anteriori
rilevata in alcuni adulti sembra riflettere
il loro utilizzo in attività non alimentari,
come frantumazione di gusci, masticazione
di pelli o di altri materiali duri e anche
preparazione di attrezzi.
Cranio trapanato: individuo di sesso maschile di età superiore
ai 50 anni sopravvissuto all’intervento (elaborazioni SM, A-LAB).
nella pagina a fianco:
Cranio trapanato: individuo di sesso maschile di età compresa
fra i 45 e i 55 anni sopravvissuto ad entrambi gli interventi
(elaborazioni SM, A-LAB).
Tomba II - Piano 9 con individui in connessione anatomica:
si sono mantenute le connessioni fra gli arti e le ossa sono state
rinvenute nella loro posizione originaria.
Tomba II - Piano 16-17 con individui non in connessione
anatomica: si sono perse le connessioni fra le ossa, che si presentano
disarticolate e non si trovano più nella loro posizione originaria.
È degno di nota il rinvenimento di tre
crani sottoposti a trapanazione, doppia
in uno di essi. Questo intervento era
talvolta praticato, spesso con successo,
in alcune popolazioni preistoriche, come
tentativo di cura di patologie sia fisiche che
psichiche. Gli interventi erano effettuati
con la tecnica del raschiamento, cioè
di progressiva erosione dell’osso lungo
una traccia ellissoidale per mezzo di uno
strumento appuntito. Due individui su tre,
tra i quali quello che subì due trapanazioni,
sopravvissero a lungo all’intervento.
(SM, GP, A-LAB)
42
43
Approfondimento
Tafonomia
La tafonomia ricostruisce le modificazioni
subite dal defunto dal momento della
deposizione a quello del ritrovamento.
La complessità del contesto funerario di
Smc ha richiesto l’uso delle tecnologie
informatiche per l’analisi di dettaglio della
vasta documentazione (fotografie, disegni
e diari di scavo) per ricostruire le azioni
umane e naturali che hanno modificato le
condizioni originarie dei resti ossei. Con
il sistema informativo geografico (GIS)
è stato possibile visualizzare su distinte
piante tematiche la distribuzione dei
reperti in rapporto alle loro caratteristiche
antropologiche (sesso, età, etc. ), spaziali e
rituali.
Si possono riconoscere tre momenti
principali di utilizzo della tomba:
- inserimento degli inumati attraverso l’oblò
e progressivo spostamento dei resti ossei
dalla loro posizione originaria;
- interruzione dell’uso della tomba;
- asportazione del montante SudOvest; gli
individui non sono più inseriti attraverso
l’oblò e subiscono dislocazioni più limitate.
(SM, GP)
documentazione di scavo:
foto, piante, diario di scavo, database antropologico
A
gis
B
Le tombe II SudEst e III,
in connessione con la Tomba II
La Tomba II SudEst è costruita sulla struttura
circolare della piattaforma del dolmen II,
addossata al montante SudEst e alle altre
due lastre posteriori dello stesso dolmen
(denominate “antenne”). Nella struttura sono
riutilizzati frammenti di stele decorate.
Il vano contiene i resti di almeno 7
individui, in prevalenza adulti di sesso
maschile. I rituali di inumazione (5
individui) e di cremazione avvenuta
all’esterno (2 individui) si alternano nelle
diverse fasi di uso della struttura. Alcune
ossa presentano tracce di contatto col
fuoco avvenuto dopo la decomposizione.
Uno degli individui, forse tra le deposizioni
più antiche della tomba, era sepolto con un
pugnale e uno spillone in bronzo o in rame.
Sono prodotti che rimandano all’Antica
età del Bronzo, in particolare a contesti
lombardi della Cultura di Polada.
(LS, GP, SM, MB)
C
Particolare del pugnaletto in bronzo, corredo
dell’individuo del Piano 2 della Tomba II SudEst
e lo stesso in corso di scavo.
La lama di pugnale è triangolare corta a base semplice,
con tre ribattini per trattenere l’immanicatura,
che era di materiale organico, non conservatosi.
Il pugnale è simile a quello rinvenuto nella Tomba n. 3
della necropoli di Sion Petit - Chasseur, in Svizzera.
Elaborazioni GIS per visualizzare
le ossa del piano 16 in base a:
A. sesso (maschi e femmine):
B. lateralità (destro e sinistro)
C. rapporto con gli strati sottostanti
(elaborazione GP, SM)
44
Le stele
riutilizzate
Tomba II SudEst e corridoio
d’accesso della Tomba II
Nella Tomba II SudEst, il montante
meridionale era sostenuto, oltre che da
grossi ciottoli, da quattro stele antropomorfe
di stile evoluto. Spezzate volontariamente
in grandi frammenti, di cui solo una parte
fu utilizzata nella tomba, erano state
reimpiegate impilate una sull’altra, disposte a
formare una sorta di muro.
Le stele (31, 33, 34, 35 e 45) sono tutte di
dimensioni piccole, circa cm 150.
Nel dolmen T II, sul lato NordEst, di fronte
all’apertura circolare di ingresso fu costruito
un corridoio d’accesso che reimpiega tre
stele antropomorfe spezzate e sagomate.
Di una è ben visibile la decorazione, di stile
evoluto, costituita dalle braccia piegate
ad angolo con le mani affrontate, da un
abbigliamento con stoffa a scacchiera sulla
quale si intravvede un probabile arco.
(GZ, FMe)
Il pugnale in metallo è un elemento molto
importante tanto nell’età del Rame quanto
nel Bronzo Antico, sia come elemento
di prestigio che come strumento rituale,
mentre lo spillone era un elemento
tradizionale per il vestiario.
L’impianto e l’uso della tomba risalgono
all’Antica età del Bronzo.
(LS, GP, SM, MB)
Tomba II SudEst: struttura generale.
Le stele 34 e 35 riutilizzate nella Tomba II SudEst. La stele 34, di cui si
conserva solo la parte sommitale, dalla testa con volto a T con collare a
due giri, alle braccia piegate ad angolo, e la stele 35, composta da vari
frammenti, ma priva di parte della zona basale, con testa a cappello di
gendarme, spalla sinistra angolata e due giri di collari.
Le stele 31 e 33 riutilizzate nella Tomba II SudEst.
46
47
utilizzata tra 2500 e 1900 a. C. nella Cultura
del Vaso campaniforme e all’inizio dell’età
del Bronzo. Concorrono a questa datazione
i corredi funerari comprendenti materiali
in pietra, ceramica (un boccale tipico della
Cultura del Vaso Campaniforme, decorato a
pettine), osso e conchiglia.
L’industria litica scheggiata a semilune
è tipica, anche se non esclusiva, dei
contesti campaniformi. I bottoni in osso a
perforazione a V sono diffusi in gran parte
dell’Europa centro-occidentale tra la fine
dell’età del Rame e il Bronzo Antico, come
i pendenti in conchiglia, ben documentati,
tra l’altro anche nei dolmen di Sion PetitChasseur, in Svizzera. (GP, MB, SM)
Tomba III
Sopra la piattaforma della Tomba II fu
costruita la Tomba III a cista rettangolare
(interno m 2 x 1) con montanti formati
in parte da stele reimpiegate rinforzate
all’esterno da lastre e ciottoli. Per il
montante N-E fu riutilizzata la stele
raffigurante un personaggio che indossa un
pendaglio a doppia spirale sostenuto da un
nastro a V, un alto cinturone a linee verticali
parallele e, più in basso, un pugnale a lama
triangolare e pomolo semilunato.
Il vano tombale era stato suddiviso in 3 settori
(A,B e C) tramite piccole lastre di pietra.
I reperti ossei, appartenenti ad almeno 4
individui, di cui 3 inumati (una donna e un
uomo adulti e un bambino) e 1 cremato,
sono concentrati in quello centrale (B),
anche se ossa sparse sono presenti nel resto
della camera funeraria, a volte associate ad
elementi di corredo.
Il rituale della cremazione, probabilmente
coevo a quello dell’inumazione, avvenne
in una pira in un luogo esterno alla tomba,
Tomba III: il piano interno diviso nei 3 settori A-B-C.
nella pagina a fianco:
Diffusione del fenomeno campaniforme in Europa. Il vaso-tipo
raffigurato proviene da Santa Cristina di Fiesse (BS).
Il corredo della Tomba III: boccaletto e pendagli in conchiglia e osso.
48
Approfondimento
Approfondimento
Le analisi
antropologiche:
gli studi in corso
I manufatti in pietra
scheggiata
Le tombe di Saint Martin contengono
resti di almeno 66 individui, sia adulti,
principalmente di sesso maschile, che
bambini, inumati e cremati. Le ripetute
azioni umane (successive deposizioni di
corpi, profanazioni) e i fenomeni naturali
(allagamenti, azioni di animali, infiltrazioni
successive di terra) hanno determinato
quasi sempre la perdita dei legami fra le
ossa dei diversi inumati, la loro dispersione
e la loro frammentazione.
Il quadro biologico mostra una popolazione
abbastanza omogenea nelle forme craniche,
caratterizzate da morfologie corte e larghe,
tipiche delle popolazioni campaniformi
dell’Europa settentrionale. (SM , A-LAB)
nutrizionale neppure tra i sessi. Ciò indica
che tutti avevano accesso alle medesime
risorse alimentari.
Il confronto con altri contesti dell’età del
Rame dell’Italia settentrionale evidenzia
delle differenze alimentari: la diversità
territoriale e ambientale può aver influito
in relazione alle scelte delle risorse utilizzate
nella dieta e al loro adattamento a sfruttare
al meglio l’ambiente.
(GS, CML, OR)
La morfologia dentale
Lo studio della morfologia dentale degli
inumati di Saint-Martin indica che
la popolazione valdostana si ricollega
strettamente alle comunità della Cultura del
Vaso campaniforme d’area occidentale. In
particolare essi possiedono forti affinità con
gli individui provenienti dall’area megalitica
del Petit-Chasseur a Sion, in Svizzera.
Questa similarità su base antropologica dei
due contesti archeologici, spesso definiti
gemelli, conferma le affinità culturali che
già in passato sono state messe in evidenza
su base archeologica e l’omogeneità su
larga scala delle comunità dell’età del Rame
stanziate sui due versanti delle Alpi. (JD)
***
Germanà F. & Fornaciari G. 1992, Trapanazioni, craniotomie
e traumi cranici in Italia dalla Preistoria all’Età moderna, Pisa;
Buikstra J.E., Ubelaker D.H. 1994, Standards for Data Collection
from Human Skeletal Remains, Arkansas Archeological Survey
Research Series, 44; White T.D. 2000. Human Osteology, Academic
Press, London; Mallegni F, Lippi B. 2009, Non omnis moriar,
Cisu, Roma.
La paleodieta
Le abitudini alimentari della popolazione
eneolitica di Smc sono state ricostruite
analizzando 45 individui. I risultati
isotopici indicano una dieta essenzialmente
carnivora, con apporto di prodotti d’acqua
dolce e piante tipiche dei climi temperati.
Tutti gli individui analizzati, inumati
nelle diverse strutture funerarie, risultano
omogenei nel tipo di alimentazione. Non
sono state riscontrate differenze a livello
***
Desideri J. 2011, When Beakers Met Bell Beakers: An analysis of
dental remains, Oxford, Archaeopress, BAR, International series,
S2292, Oxford.
50
Numerosi manufatti in pietra scheggiata
sono stati rinvenuti sia all’interno che
all’esterno delle tombe. Si tratta di strumenti
specializzati, talora riferibili ai corredi dei
defunti, e di numerosi scarti di lavorazione.
Sono ottenuti da materie prime locali
(quarzo ialino e quarzo) e da rocce
non presenti nella regione, provenienti
soprattutto dall’area prealpina della
Lombardia occidentale (selce e diaspro) e
dalla Francia meridionale (selce).
La gran parte degli strumenti specializzati è
costituita da “semilune”, piccoli strumenti
(15-25 mm circa) che venivano inseriti in
aste lignee per realizzare armi da lancio.
Questo utilizzo è documentato dalle tracce
di usura. Sono ottenute da selci e diaspri.
Le semilune sono tipiche della Cultura
del Vaso campaniforme; in alcuni contesti
dell’area prealpina questo strumento è già
diffuso nella precedente età del Rame.
Dalla Tomba II proviene l’unica cuspide di
freccia, realizzata in quarzo ialino.
(DLV, NM, SB)
Strumenti in pietra scheggiata provenienti dalle Tombe (nn. 1-18)
e dagli strati esterni alle strutture funerarie (nn. 19-26): semilune
(nn. 1-3, 5-7, 8, 10-22), cuspide a ritocco foliato (n. 4), troncatura
(n. 9), punta a dorso (n. 23), grattatoi (nn. 24-26) (grand. nat.,
disegni L. Baglioni).
Industria in pietra scheggiata. Le materie prime: manufatti in
selce (nn. 1-3 e 5) e diaspro (n. 4) dell’area prealpina meridionale,
manufatti in selce del Midi francese (nn. 6-9),manufatti in quarzo
ialino (nn. 10-12) e quarzo (nn. 13-14) di provenienza locale (nn.
1-4, 6, 10, 10 dalla Tomba II, n. 7 dalla Tomba III, nn. 8-9 dalla
Tomba VII, nn. 5, 11-13 dallo strato 2°, n. 14 dallo strato 3-2)
(grand. nat., foto L. Baglioni).
***
Mezzena 1997; Lo Vetro D. 2008, The Bell Beaker lithics of
Monte Covolo: tradition and innovation, in Baioni M. et Al (a
cura di), Bell Beaker in everyday life, Proceedings 10th Meeting
“Archéologie et Gobelets” (Florence-Siena- Villanuova sul Clisi,
May 12-15, 2006), Millenni, 6, Museo Fiorentino di Preistoria
«P. Graziosi», Firenze, pp. 183-192.
51
LA tomba i
La tomba è localizzata nell’area centroorientale e interseca l’allineamento di stele
NordOvest-SudEst. È una cista rettangolare
(interno m 2 x 0,80; esterno m 3 x 1,20),
coperta da una grande lastra con coppelle
incise. I montanti della struttura sono
stele reimpiegate, intere per i lati lunghi
e frammentarie per i lati corti, rinforzate
all’esterno da lastre e ciottoli; il fondo
è dato da una grande lastra con foro,
anch’essa riutilizzata.
La Tomba è stata utilizzata in più momenti,
col rito della cremazione (2 individui) e
dell’inumazione (5 individui). Sul piano di
deposizione più antico, nel lato occidentale,
le ossa cremate sono state protette con
piccole lastre. In altre zone della tomba e
nei livelli più recenti di deposizione i resti
umani hanno subìto vari spostamenti.
La tomba I, utilizzata tra 2300 e 1900
a. C., è riferibile alla Cultura del Vaso
campaniforme e all’inizio dell’età del
Bronzo. (GP, SM, LS)
I reperti
Da questa tomba provengono pochi reperti
(corredo, offerta?).
Oltre alle semilune in selce, restano alcuni
manufatti ceramici: un boccale a corpo
globoso e ansa a gomito fa parte della
cosiddetta ceramica che accompagna il
classico Vaso campaniforme, anche se in
questo caso non è decorato e l’impasto
è più grossolano. Si tratta di una forma
databile alla tarda età del Rame che prelude
al successivo Bronzo Antico (Cultura di
Polada). (MB)
Le stele riutilizzate nella Tomba I
Per questa grande tomba a cista sono
state riusate stele antropomorfe di I stile
(cosiddetto arcaico), intere nei lati lunghi,
frammentate e adattate nei lati brevi: la
stele 11 (altezza m 2,38) come montante
SudEst, la stele 13 (altezza m 2,38)
come montante NordOvest. Il fondo
è costituito dal monolite 14, con un foro
circolare nella zona mediana.
Sulla stele 12 (altezza m 2,38), utilizzata
come copertura della tomba, compaiono
oltre cento coppelle, isolate o a
coppie, probabilmente eseguite dopo il
collocamento della lastra.
(FMe, GZ)
La stele 12 utilizzata come copertura della Tomba I.
L’associazione tra coppelle e lastre di copertura in tombe megalitiche
è documentata dall’area caucasica all’Irlanda. Una lastra con
coppelle era utilizzata anche per la copertura di una tomba tardo
neolitica ad Effraz, in Valle d’Aosta.
Vista prospettica del Tomba I già scavata al suo interno.
La fotografia è ripresa da SudOvest.
Il piano basale della Tomba I con lastra con foro.
Boccale con ansa angolata dalla Tomba I.
53
Le tombe dell’area Sud
Nell’area Sud si collocano alcune delle
tombe più antiche dell’area megalitica
(ad esempio la Tomba VII costruita in
un momento dell’età del Rame precampaniforme), mentre altre strutture
funerarie appaiono coeve (età del Rame
e del Bronzo antico) a quelle presenti
nell’area Nord. Un foro di palo, risalente al
Bronzo Finale, all’esterno della Tomba IV,
documenta uno degli interventi più recenti
nell’area funeraria.
Le tombe dell’area Sud si differenziano
da quelle a Nord per alcuni significativi
elementi:
- la distribuzione che non le vede collocate,
se non in parte (le Tombe V, VI e VII),
lungo un preciso allineamento, ma poste
all’interno di una leggera depressione
connotata da modesti rilievi morfologici
costituiti da accumuli fluvio-glaciali;
- la tipologia delle strutture tombali che si
distinguono per la particolarità di alcune
forme, come l’imponente Tomba circolare
IV, isolata su un leggero rilievo morfologico e
con fossa funeraria (m 3,00 x 1,30) rivestita
e pavimentata da lastre, e la Tomba VII con
struttura allungata a corridoio coperto da
grandi lastre (allée couverte);
- la comparsa di rituali particolari, come
la deposizione di resti ossei animali nelle
sepolture e di un cranio di bovide sopra la
lastra di copertura della Tomba IV;
- la cronologia. Lo studio in corso rivela
che il nucleo più antico di tombe di SaintMartin si colloca proprio in quest’area,
sebbene non manchino significativi, ma
circoscritti, elementi coevi anche nell’area
Nord. (CS)
Le Tombe V-VI e VII.
nella pagina a fianco:
Tomba IV. Struttura generale: fossa centrale, struttura
subcircolare, foro di palo.
54
55
La Tomba V, un piccolo dolmen
(m 2,00 x 1,50) costruito con lastre e
con due stele riutilizzate per il montante
SudEst e la soglia d’ingresso, poggia su una
piattaforma semicircolare formata da lastre,
pietre e stele. Davanti all’ingresso si trovano
alcune stele abbattute.
L’impianto è stato utilizzato dalla fase
della Cultura del Vaso campaniforme
sino all’Antica età del Bronzo e tra le stele
riutilizzate sono prevalenti quelle di II stile
con iconografie originali.
In questa sepoltura collettiva, utilizzata
in più fasi, sono stati riconosciuti 4 adulti
(2 femmine e 2 maschi) e un individuo
giovane. L’individuo rinvenuto nel piano
di deposizione più recente è l’unico in
connessione anatomica mentre quelli dei
piani inferiori sono disarticolati.
Nei piani basali sono state rinvenute ossa
combuste e tracce di piccoli fuochi.
Il corredo è composto da piccoli frammenti
di Vaso campaniforme, qualche utensile in
osso e un bracciale d’arciere (brassard), un
oggetto diffuso a livello europeo nella tarda
età del Rame con l’espansione della Cultura
del Vaso campaniforme e in varie aree
rimasto in uso fino al Bronzo Antico.
Tomba VII, il pozzetto rituale.
La struttura della Tomba VII.
individui adulti di sesso maschile. Il contesto
funerario è stato notevolmente rimaneggiato
e alcune ossa sono state probabilmente
dislocate all’esterno della tomba.
Sono identificabili due zone rituali
separate da un montante. In una parte
è rilevata un’ampia area di terreno che
presenta tracce di carboni e alterazione da
contatto col fuoco. In questa zona si apre
un pozzetto con reperti ossei. Nell’altra,
l’azione del fuoco ha riguardato solo una
piccola selezione di ossa poste su due grosse
lastre e ancora in corso di studio.
La Tomba VII sembra essere una delle
più antiche strutture funerarie dell’area:
costruita in un momento dell’età del Rame
pre-campaniforme, è stata utilizzata sino
all’Antica età del Bronzo.
Le tombe VI, VII e V, tutte disposte sull’asse
dell’allineamento NordEst-SudOvest delle
stele dell’area Nord, presentano oltre a
strutture variate, rituali funerari misti.
La Tomba VI, una cista litica (m 1,20
x 0,70) eretta sopra il suolo della quale
si conservano soltanto tre grandi lastre
di perimetro, era priva di resti umani.
Frammenti di ceramica campaniforme
decorata, rinvenuta come offerta o corredo,
ne consente l’attribuzione culturale ad una
fase avanzata dell’età del Rame.
La Tomba VII, con struttura a corridoio
misurante m 4,35 x 2,10 e rinvenuta
priva di copertura, aveva l’ingresso sul lato
SudEst, come la vicina Tomba V. Usata
come sepoltura collettiva per inumati e
per incinerati, conserva i resti di almeno 2
56
Mandibola di un individuo di età avanzata proveniente dai
piani inferiori della Tomba V: è evidente l’accentuata usura
dentaria e la presenza di un ascesso sul lato destro.
Il piano superiore della Tomba V. Individuo in connessione
anatomica lungo il montante NordOvest: le ossa non
si sono più spostate dalla loro posizione originaria e la
decomposizione è avvenuta senza la terra (spazio vuoto).
Le prospettive
IL MUSEO CHE VERRÀ
rendere
fondo nero
uniforme.
Infine gli scavi 2006-2007 hanno messo
parzialmente in luce nella zona più
meridionale dell’Area Sud la “Tomba” VIII
che deve essere ancora indagata e della quale
pertanto non è ancora definibile l’effettiva
tipologia costruttiva. Dal terreno emergono
infatti una serie di lastre inclinate, alcune
in travertino, che sembrano delimitare una
pianta rettangolare orientata NordOvestSudEst. Nel suo insieme può ricordare,
soprattutto per la sequenza di lastre
adiacenti, l’architettura della Tomba VII.
(FMe, GP, GZ, LS, MB, SM)
nella pagina a fianco:
La sala delle stele (rendering preparatorio di M. Venegoni
per il progetto esecutivo di allestimento).
La stele 3 Sud, a differenza delle altre della stessa tomba,
fu rinvenuta abbattuta all’ingresso della Tomba V,
con la faccia decorata rivolta verso terra.
Realizzata in bardiglio e alta metri 1,92, è un esempio del II stile,
cosiddetto "evoluto". La testa è curva “a cappello di gendarme”, il
volto ha schema a T, le spalle sono insellate, le braccia ad angolo
retto terminano con le mani accostate all’altezza del ventre.
Nella parte superiore della figura sei fasce circolari concentriche sono
campite a triangoli pendenti. Sotto gli avambracci la veste scende
sui fianchi in una doppia serie di losanghe. Al collo una collana
a nove fili, scanditi da separatori, ha al centro un ornamento a V
raddoppiata. La cintura, anch’essa a nove fili sostenuti da separatori,
ha una placca centrale. Per l’assenza di attributi, in particolare di
armi, il personaggio sembra femminile, tuttavia la cintura è simile a
quella di stele maschili dell’Alto Adige.
***
Sangmeister E. 1964, Die schmalen “Armschutzplatten”, Studien
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et Sociétés du Bronze ancien en Europe, Paris 1996, pp. 251-268;
Mezzena 1981,1997,1998; Zidda 1997, 1998; Baioni 2007;
Mollo Mezzena 1997; Ruggiero 2007.
58
L’esposizione museale presentata nel
2016 ha focalizzato l’attenzione sull’area
megalitica preistorica, senza tuttavia
esaurirne le vicende millenarie. Manca
infatti la straordinaria Sezione dedicata
agli allineamenti delle statue - stele che
verranno proposti in dimensioni reali
e con i reperti originali nel salone a
Piano terra adiacente al lato occidentale
dell’attuale esposizione.
Ma ci attende molto altro ancora: la Sezione
dedicata al megalitismo alpino, che prende
origine dal tumulo protostorico ubicato
nell’area Ovest di Smc, ed i resti sepolcrali
dell’età del Ferro rinvenuti nell’area, il tutto
visto nel quadro più generale della Preistoria
e Protostoria della Valle d’Aosta cui sarà
riservata un’intera Sezione (dai bivacchi
mesolitici del Mont Fallère all'insediamento
d’alta quota di Tantané della fine
dell’età del Ferro, ormai in piena fase
di romanizzazione della Valle). Collegato
all’area megalitica di Smc e alle vicende,
cultuali, funerarie e artistiche, dell’età
del Rame - di cui anche le recenti scoperte
nell’area del nuovo Ospedale sottolineano
qui la straordinaria presenza - troverà
spazio nel complesso museale un polo
di ricerca scientifica, il Centro di
Documentazione sul Megalitismo alpino.
Infine, sarà allestita la ricca Sezione
sull’età romana e altomedioevale del
sito, che al pari del settore dedicato alla
preistoria, si affaccerà in un rapporto
diretto, visivo e tematico, ai resti in
situ conservati lungo il lato occidentale
del complesso museale (l’edificio d’età
romana, la necropoli, la chiesa). (RPK)
59
Riferimenti bibliografici
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pre-protostorico della Valle d’Aosta, in In cima alle stelle,
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Italiano di Preistoria e Protostoria La Valle d’Aosta
nel quadro della Preistoria e Protostoria dell’arco alpino
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d’Aosta nel quadro della Preistoria e Protostoria dell’arco
alpino centro-occidentale, Firenze,
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Poggiani Keller R. (in collaborazione con Mezzena
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Petit Chasseur (Sion, Valais), 3-4, Horizon supérieur
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L’archéologie aux sources du Rhône – 1941-2011,
Musée d’Histoire du Valais, Paris.
Datazioni). La correzione si basa sul metodo della
dendrocronologia (vedi: Dendrocronologia) ed è
applicabile con sicurezza a campioni databili sino a
circa 12.000 anni fa. Le date più antiche di questa,
da utilizzare con riserva, si calcolano mediante
prove multiple e modelli statistici. Le differenze
che si riscontrano tra le date radiometriche e
quelle calibrate dipendono dalle fluttuazioni delle
radiazioni cosmiche, dalle conseguenze dei test
nucleari e dell’uso su larga scala di combustibili
fossili, dalle variazioni geomagnetiche.
Glossario
a cura di Fabio Martini
Allée couverte: letteralmente “corridoio coperto”,
indica un particolare monumento funerario
megalitico di forma allungata a corridoio, costruito
con grandi lastre verticali (montanti) che reggono
lastre di copertura. L’ambiente può essere suddiviso
in più spazi con altre lastre. Questi monumenti,
che raggiungono anche dimensioni notevoli,
compaiono in Europa nel Neolitico e si diffondono
sino all’età del Bronzo (vedi Dolmen, Menhir,
Megalitismo).
Campaniforme (Cultura del Vaso
campaniforme): si sviluppa nella seconda metà
del III millennio a.C. e il suo nome deriva da un
caratteristico vaso a forma di campana rovesciata,
che ha avuto un’ampia diffusione in Europa
sino alle coste settentrionali dell’Africa. Il suo
cosmopolitismo ha portato all’adozione su largo
raggio di produzioni (ceramiche, metallurgiche,
litiche), pratiche rituali e talora impianti funerari
che connotano una specifica identità culturale. Il
vaso (o bicchiere) campaniforme, sempre a profilo
sinuoso, è caratterizzato soprattutto da un impasto
fine e depurato e da una decorazione ottenuta
con tecniche diverse (a cordicella, a pettine, a
incisione), disposta a fasce orizzontali
o a metope, più semplice nella fase iniziale e via
via più complessa e articolata È stato ipotizzato
che il vaso fosse collegato all’uso di bevande
alcoliche durante cerimonie funerarie . Esso è
spesso associato ad altri elementi, il bracciale da
arciere (brassard), particolari punte di freccia,
uno specifico pugnale in rame, bottoni in osso
con perforazioni a V, oggetti di ornamento come
pendenti in osso a forma di semiluna; insieme
costituiscono il cosiddetto “set campaniforme”.
Il Campaniforme segna il passaggio tra l’ Eneolitico
(o Neolitico finale in alcune aree europee)
e l’inizio dell’età del Bronzo.
Analisi pollinica: studio paleobotanico finalizzato
alla ricostruzione dell’ambiente del passato
attraverso l’estrazione e l’identificazione dei
pollini fossili che si sono conservati nel terreno. Il
conteggio e la restituzione quantitativa dei pollini
individuati (diagramma pollinico) permette di
definire l’incidenza delle varie piante nel contesto
vegetazionale del sito archeologico indagato. Il
confronto tra più diagrammi pollinici di una stesso
sito o di una medesima area in una sequenza
cronologica permettono di valutare i cambiamenti
climatici e ambientali (vedi anche Paleobotanica,
Antracologia).
Antracologia (xylo-antracologia): studio
paleobotanico dei resti di legno carbonizzati. Le
singole specie vegetali sono riconosciute attraverso
l’osservazione al microscopio sulla base delle
loro caratteristiche anatomiche, che differiscono
da specie a specie. Questo studio specialistico
applicato in archeologia contribuisce alla
ricostruzione dell’ambiente naturale, delle risorse
territoriali e dell’impiego fatto delle specie legnose
da parte dell’Uomo (vedi anche Paleobotanica,
Analisi pollinica).
Archeozoologia: disciplina che studia i resti degli
animali presenti nei siti archeologici.
Carbonio 14 (C14): metodo di datazione assoluta
di materiali di origine organica, messo a punto
tra il 1945 e il 1955 dal chimico W. Libby. In un
organismo vivente il livello di Carbonio 14 (isotopo
instabile dell’atomo di carbonio) si mantiene
Calibrazione: procedura di correzione in anni
solari delle datazioni radiocarboniche ottenute
col metodo del Carbonio 14 (vedi: Carbonio 14,
60
61
pari a quello presente nell’atmosfera. Dopo la
morte dell’organismo, il carbonio 14 comincia
a decadere trasformandosi in azoto 14, con un
progressivo decadimento che avviene ogni 5.730
anni circa. Ne deriva che, misurando con apposite
strumentazioni di laboratorio una misura del livello
di carbonio relativo ad un campione archeologico,
è possibile calcolare il tempo trascorso dalla morte
dell’organismo. La data viene indicata con la sigla
BP (before present, da oggi)
sorreggono una copertura di lastre orizzontali.
La struttura è finalizzata ad ottenere uno spazio
chiuso (camera) nel quale deporre i defunti. Si
diffondono in tutta Europa, ma anche al di fuori
del nostro continente, tra la fine del V e tutto il III
millennio a.C. Insieme ai menhir e ai cromlech i
dolmen rappresentano il fenomeno preistorico del
megalitismo (vedi: Megalitismo).
Cista litica: tipologia di struttura funeraria che
consiste in uno piccolo spazio-contenitore chiuso,
costruito con lastre di pietra, nel quale deporre i
resti del defunto.
Età del Bronzo: fase recente della preistoria, che
segue l’età del Rame, tradizionalmente indicata
con l’insorgenza della lavorazione del bronzo
(lega ottenuta con rame e stagno). In questa
fase, l’evoluzione delle tecniche produttive e le
nuove strategie insediative sono la conseguenza
di un nuovo assetto socio-economico, nel quale
emergono e si sviluppano, tra 2.300 e 900 anni
a.C. circa, differenziazioni sociali, attribuzioni
del potere, insediamenti umani organizzati che
porteranno ai primi centri protourbani. Anche
gli aspetti ideologici e simbolici riflettono
questi cambiamenti. L’età del Bronzo è
convenzionalmente suddivisa in più fasi: Antica
(2.300-1.700 a.C), Media (1.700-1.350 a.C),
Recente (1.350-1200 a.C.), Finale (1.200- 900
a.C.). All’età del Bronzo segue l’età del Ferro che
segna il passaggio alle civiltà munite di scrittura.
Eneolitico: vedi Età del rame
Cremazione (o incinerazione): specifica pratica
funeraria, finalizzata a distruggere il cadavere
mediante l’esposizione al fuoco. Tale pratica non
riduce del tutto il corpo in cenere ma restano
frammenti minuti di ossa che, in certi contesti
culturali, sono conservati in urne o tombe.
Cronologia radiometrica: vedi Carbonio 14.
Dendrocronologia: metodo di datazione assoluta
che si basa sul conteggio e sull’analisi del numero,
dello spessore e della densità degli anelli annuali di
crescita di alberi secolari o millenari.
Età del Rame: fase della preistoria che segue il
Neolitico, indicata anche con i termini Eneolitico
e Calcolitico (dal greco khalkos: rame) per
sottolineare la comparsa dei prima manufatti in
rame. In verità le prime esperienze metallurgiche
risalgono al Neolitico finale. La definizione
dell’età del Rame, tuttavia, non si basa sulla sola
presenza del rame nei contesti produttivi, ma
anche su aspetti sociali, economici e ideologici che
indicano una trasformazione rispetto al passato. Si
sviluppano le tecniche agricole con l’introduzione
dell’aratro e del carro, viene incrementato
l’allevamento dei bovini utilizzati anche come forza
lavoro, si incrementano la filatura e la tessitura.
L’aspetto funerario è particolarmente importante,
differenziato regionalmente, sia per il significato
DNA antico: con il termine DNA antico
(aDNA=ancient DNA) vengono indicati i residui di
materiale genetico che si possono estrarre da reperti
biologici come ossa, denti, tessuti mummificati,
materiali vegetali, animali impagliati, preparati
istologici, coproliti, manufatti, ecc. L’analisi del
DNA estratto da reperti antichi permette di
ricostruire l’evoluzione molecolare e di definire
l’identità dei singoli individui e le relazioni
biologiche tra gruppi umani estinti; su più larga
scala è possibile ricostruire flussi migratori di
popolazioni e di studiare la loro evoluzione.
Dolmen: particolare tipo di tomba preistorica,
detta megalitica, in quanto costruita con grandi
rocce piatte messe di taglio (montanti) che
62
Neolitico: fase della preistoria che segue il
Paleolitico e il Mesolitico, epoche dei popoli
cacciatori-raccoglitori. Il Neolitico porta
a maturazione una serie di processi che si
identificano nella nascita di un sistema economico
produttivo (agricoltura e allevamento), correlato
a nuove strategie insediative, artigianali, sociali e,
necessariamente, ideologiche e simboliche.
che viene assegnato alle aree funerarie e cerimoniali
sia per le implicazioni sociali. Si ritiene infatti che il
ruolo e la memoria riservati ai defunti
e agli antenati fungesse da coesione e da elemento
identitario della comunità. L’introduzione della
metallurgia e il possesso di bestiame hanno portato
alle prime concentrazioni di beni e,
di conseguenza, a forme di competizione tra
comunità. In Italia l’età del Rame è collocata tra
3700 e 2200 anni a.C. circa.
Paleobotanica: vedi Analisi pollinica,
Antracologia.
Iconologia: mutuato dalla storiografia
artistica moderna, il termine indica lo studio e
l’interpretazione delle immagini sulla base del loro
possibile significato nel contesto sociale, religioso,
ideologico nel quale sono inserite. Concerne,
quindi, soprattutto il contenuto di una figurazione
piuttosto che la sua valenza estetica.
Sepoltura primaria: indica la pratica funeraria di
conservare il defunto in uno spazio a lui dedicato,
singolo o collettivo, senza spostarlo in seguito.
La sepoltura primaria ad inumazione prevede la
deposizione in terra, in una camera funeraria, in un
contenitore; con la cremazione primaria diretta il
corpo bruciato viene lasciato sul posto (in terra o
all’interno del monumento funebre) e non rimosso.
Industria litica: insieme di manufatti in pietra
che costituiscono una particolare produzione nelle
varie epoche della preistoria.
Sepoltura secondaria: pratica funeraria che
prevede lo spostamento del cadavere (o parti di
esso) e, dopo la decomposizione delle parti molli,
il suo ricollocamento in fosse, camere funerarie,
urne o altro contenitore (pratica della riduzione).
La sepoltura secondaria può essere singola
o collettiva.
Megalitismo: particolare architettura preistorica
che si identifica con monumenti eretti con blocchi
di pietra di dimensioni più o meno grandi. Le
pietre possono essere grossolanamente sagomate e
talora sono decorate con incisioni.
La tipologia dei monumenti megalitici è varia:
menhir; cromlech, dolmen, tombe a corridoio
(allée couverte) che introducono a una camera
funeraria, tombe a galleria. Si diffondono
dal Neolitico all’età del Bronzo.
Menhir: il termine menhir (men e hir “lunga
pietra” in lingua bretone) indica singole grandi
rocce (monoliti) poste in verticale, collegate nella
preistoria a pratiche e spazi rituali e/o cerimoniali.
La forma e le dimensioni sono varie. Sono stati
eretti sia singolarmente, sia a gruppi,
sia in allineamenti. Questo particolare monumento
viene introdotto durante il Neolitico in Europa,
ma la sua diffusione riguarda anche l’Africa e
l’Asia. Insieme ai dolmen e ai cromlech, i menhir
rappresentano il fenomeno preistorico del
megalitismo (vedi: Megalitismo).
63
Presidente Regione
autonoma Valle d’Aosta
Augusto Rollandin
Assessore all’Istruzione e Cultura
Emily Rini
Soprintendente per i beni
e le attività culturali
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Gruppo coordinamento
scientifico-amministrativo
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Alessia Favre
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ricerche, studi e musealizzazione
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Massimo Venegoni
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Elaborazione immagini
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Stampa
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CML
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CR
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Ambientali, Laboratorio di Palinologia e Paleoecologia, Milano)
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Raffaella Poggiani Keller, Lucia Sarti)
DLV Domenico Lo Vetro (Università degli Studi di Firenze)
EB
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EP
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FM Fabio Martini (Cattedra di Paletnologia - Università degli Studi di Firenze)
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FMe
Franco Mezzena, direttore dello scavo (già RAVA)
GdG
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GP
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GS
Gabriele Scorrano (Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)
GZ
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LB
Lucia Botarelli (collaboratore Museo e Istituto Fiorentino di Preistoria)
LC
Lorenzo Castellano (New York University, Institute for the Study
of the Ancient World-ISAW, New York)
LR
Luca Raiteri (RAVA)
LS
Lucia Sarti (Cattedra di Preistoria e Protostoria
Università degli Studi di Siena)
JD
Jocelyne Desideri (Université de Genève, Suisse)
MB
Marco Baioni (Museo Archeologico della Valle Sabbia, Gavardo-BS;
Museo Civico “Platina”, Piadena-CR)
MV
Massimo Venegoni, architetto progettista
NMNiccolò Mazzucco (collaboratore Museo e Istituto Fiorentino di Preistoria)
OF
Omar Filippi (collaboratore Museo e Istituto Fiorentino di Preistoria)
OR
Olga Rickards (Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)
PhC
Philippe Curdy (Musée d’Histoire du Valais, Sion, Suisse)
PL Paolo Liverani (Università degli Studi di Firenze)
RPRoberta Pini (CNR – IDPA Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali,
Laboratorio di Palinologia e Paleoecologia, Milano)
RPeRenata Perego (University of Basel, Integrative Prehistory
and Archaeological Science IPNA/IPAS, Basel)
RPKRaffaella Poggiani Keller (già Soprintendenza per i Beni Archeologici
della Lombardia- MiBACT)
SA
Stefano Anastasio ( Soprintendenza Archeologia della Toscana)
SB
Stefano Bertola (collaboratore Museo e Istituto Fiorentino di Preistoria)
SDL
Stefano De Leo, geologo
SM
Simona Marongiu (Anthropozoologica L.A.B; collaboratore
Università degli Studi di Siena)
VL
Valentina Leonini (Soprintendenza Archeologia della Toscana)
Referenze fotografiche
Regione autonoma Valle d’Aosta, Assessorato Istruzione e Cultura, Soprintendenza
beni e attività culturali, Archivi Struttura Patrimonio archeologico
Fotografie scavo: Franco Mezzena
Documentazione grafica e fotografica reperti: Paolo Rondini
Fotografie stele: Paolo Manusardi (p. 27), L'Image (pp. 28-29),
Diego Cesare (pp. 30-35)
Documento pubblicato da 12vda.it,
quotidiano on line della Valle d'Aosta.