Mario Trapletti - Scriviamo Insieme

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Mario Trapletti - Scriviamo Insieme
MARIO TRAPLETTI
SE IL CIELO E’ DEI VIOLENTI
Dedicato a Flanner O’Connor
Non ne ho colpa, io: ero solo una bambina di sei anni, io. Sono stati quelli della Pathè
News a metter su quella trovata. Loro e mio cugino Bailey: dicevano che avremmo
fatto un sacco di soldi. Ci volevo proprio io: una bambina così piccola, nessuno
pensava che poteva imbrogliare. Mi hanno messo lì con un pollo di nonna Emmeline
e ci hanno filmati che camminavamo insieme. Poi hanno proiettato il filmato al
contrario, in una stanza buia, e hanno fatto un'altra ripresa.
Il risultato lo proiettavano nei paesi delle campagne, durante le sagre contadine: la
gente semplice ci cascava perché c'ero io, una sorridente bambina di sei anni.
Sono diventata famosa ma la vergogna mi ha fatto crescere schiva e scontrosa. Il
pollo invece è morto quasi subito, travolto da una misteriosa auto pirata: un mito
stroncato sulla cresta dell'onda, come James Dean.
Quando a papà diagnosticarono la malattia, il lupus, pensai: ancora un animale. Non
volevo fare battute: era il '37, che ne sapevo, io? avevo solo undici anni, io.
Ho cominciato a scrivere mentre papà moriva: piccoli racconti, artigli per aggrapparsi
alla vita. Facevo marciare la realtà al contrario: i vecchi tornavano giovani; i cattivi,
buoni; i malati, sani; i diavoli, angeli; l'uomo, scimmia; la scimmia, Dio. Le ho
distrutte tutte, quelle pagine: mi sembrava di riproporre l'inganno del pollo.
Ho studiato sodo, mentre la vita aveva già iniziato il conto alla rovescia: da che
numero, non lo sapevo, ma sapevo che stavolta non c'era inganno come con il pollo.
Non volevo essere ricordata come ammaestratrice di polli a ritroso. Così mi iscrissi
allo Iowa Writers' Workshop: volevo imparare a scrivere e scrivere di questa vita
grottesca, raccontare lo scandalo del male che testimonia l'esistenza di Dio,
dell'umanità simile a certi fiumi sotterranei, che a tratti riaffiorano per poi ripiombare
nell'abisso dell'ignoranza.
Nel 1951 tali Marvin Minsky e Dean Edmonds costruivano lo SNARC (Stochastic
Neural-Analog Reinforcement Computer): la prima learning machine basata su "reti
neurali". Simulava un topo che "imparava" a uscire da un labirinto. Nello stesso anno
a me diagnosticavano che non ero stata capace di uscire dal labirinto del lupus.
Mi dissero, i medici-stregoni: il count-down toccherà lo zero entro cinque anni.
Milleottocentoventisei giorni da trascorrere nel braccio della morte. Giorno più
giorno meno.
Mi dedicai all'allevamento dei pavoni. I miei biografi (balordi fra i balordi) scrissero
che ero un'amante dei volatili. Già: pavoni, anatre, galline... bipedi con le ali, ma per
lo più inabili al volo. Balzi, saltelli, sbattere d'ali: come gli uomini. Legati alla terra,
incapaci di vincere la gravità, di sottrarsi al loro destino.
Se non con la fantasia. Magari scrivendo.
Scaddero i cinque anni del conto alla rovescia, ma non mi fermai: fossi io o il mio
fantasma, continuai a girare il Paese, a tenere conferenze, a scrivere.
A vivere.
La cattiveria spietata dei miei racconti incuteva timore al lupus, che mi ronzava
intorno, ma senza decidersi ad azzannarmi mortalmente. Perché i lupi si fanno audaci
solo in branco.
Sette anni... nove... undici dopo la condanna a morte.
Non mi sposai: "Non sapevo con chi / e chi ne avrei generato." No, lo sapevo.
Condannata a morte, sì, ma nella vita volli fare ciò che non mi riusciva nella scrittura:
spezzai le catene.
Non la diedi vinta al lupus: dopo ben tredici anni morii per complicazioni dovute
all'emergenza di un tumore.
Gli ho dedicato, ironicamente, "La saggezza nel sangue".
Scrissi anche "Il cielo è dei violenti". Capite perché amai gli uccelli che non volano?