Ottobre `11 a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini

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Ottobre `11 a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini
Ottobre '11
a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini
Numero Ottobre '11
Numero Ottobre '11
EDITORIALE
Come probabilmente già saprete, e come accennavamo in questo spazio un paio di mesi fa,
da quest'anno il MEI – Meeting degli Indipendenti lascia la tradizionale sede di Faenza (RA)
per trasferirsi a Bari, dove troverà accoglienza all'interno del Medimex, la Fiera delle
Musiche del Mediterraneo in programma nel capoluogo pugliese dal 24 al 27 novembre.
Mutato il contesto, una delle costanti della kermesse rimane il Premio “Fuori dal Mucchio”,
che sarà appannaggio di quello che a giudizio del nostro staff e di alcuni addetti ai lavori
ospiti verrà considerato come il migliore debutto discografico sulla lunga distanza – sono
quindi esclusi dai giochi sia EP che demo e CD-R – pubblicato tra il settembre 2010 e
l'agosto 2011.
Ecco l'elenco completo delle nomination:
Stefano Amen, “Berlino, New York, Città del Messico” (Contro-New Model Label)

Anuseye, “Anuseye” (Interbang)

Bancale, “Frontiera” (Ribéss-Fumaio-Palustre)

Be Forest, “Cold” (We Were Never Being Boring Collective)

Buzz Aldrin, “Buzz Aldrin” (Unhip-Ghost)

I Cani, “Il sorprendente album d'esordio...” (42)

Carlot-ta, “Make Me A Picture Of The Sun” (Anna The Granny)

The Casanovas, “Hot Star” (Ice For Everyone)

Dead Cat In A Bag, “Lost Bags” (Viceversa)
Denise, “Dodo, Do!” (Al-Kemi)

Dimartino, “Cara maestra abbiamo perso” (Pippola)

Elio P(e)tri, “Non è morto nessuno” (Matteite)

Esmen, “Tutto è bene quel che finisce” (Green Fog)

The Hacienda, “Picking Pennies Off The Floor” (Black Candy)

Iosonouncane, “La macarena su Roma” (Trovarobato)

The Jacqueries, “Excitement” (42)

Jang Senato, “Lui ama me, lei ama te” (Pippola)

Lola And The Lovers, “Pissed Off” (Spacelab)

ManzOni, “ManzOni” (Garrincha)

Nel Dubbio, “Ossidrile” (Garrincha)

Ofeliadorme, “All Harm Ends Here” (Ofd Park)

Saint In A Row, “Saint In A Row” (Foolica)

Sbizza e la Microrchestra, “Tinamo” (autoprodotto)

Smart Cops, “Per proteggere e servire” (La Tempesta)

Tsuna, “Rightful Size Of Fears” (Tsuna)
Il nome del vincitore – che andrà ad affiancarsi nell'albo d'oro a quelli di Santa Sangre, Lalli
, Baustelle, Giardini di Mirò, Valentina Dorme, es, Methel & Lord, Offlaga Disco Pax,
Tellaro, MiceCars, Le Luci della Centrale Elettrica, Samuel Katarro e Simona Gretchen
– sarà annunciato sul sito del Mucchio tra un mese circa, mentre la premiazione, come
ricordavamo in apertura, avverrà a fine novembre al Medimex, nell'ambito della cerimonia di
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consegna del PIMI, il Premio Italiano Musica Indipendente.
In bocca al lupo a tutti i partecipanti, allora, buon lavoro ai giurati e a tutti voi come sempre
buona lettura e buoni ascolti.
Aurelio Pasini
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ES
La musica sghemba degli es non dava più notizie di sé dal 2003, anno di uscita dell'ispirato
e promettente “The mistercervello LP”. Otto anni dopo, interpelliamo la band trevigiana su
motivazioni, ispirazioni, prospettive e contenuti di un nuovo lavoro all'altezza delle
aspettative, “Tutti contro tutti... portiere volante”.
Prima di tutto, bentornati.
Grazie!
Domanda davvero inevitabile, visto che il vostro disco precedente risale al 2003: è
facile immaginare i motivi del vostro lungo letargo discografico (lavori, famiglie e via
dicendo), ma vorremmo sapere piuttosto che cosa vi ha spinto a rientrare in studio...
Diciamo che siamo usciti e rientrati in studio più volte, durante questo periodo. Dopo
“Mistercervello” ci siamo esibiti in trio per un po’ di tempo. Nel 2005 è entrato in formazione
Damiano Cavallin (già coi Party Keller) alla chitarra ed è grazie a lui che abbiamo
cominciato, nel 2007, le registrazioni di “Tutti contro tutti portiere volante”, facendo tutto in
casa e arrivando fino alla soglia del mixaggio. Poi ci siamo fermati, per i motivi che hai già
ben elencato tu. Siamo stati “ibernati” finché Dischi Soviet Studio non ha mandato
Francesco “Franz” Fabiano a salvarci: è stato subito amore e in qualche mese abbiamo
terminato il disco. L’entusiasmo è stato la base portante del nostro rientro: l’entusiastica
collaborazione di etichette (Fosbury e Dischi Soviet) aggiunta all’entusiastico inserimento di
due nuovi elementi in formazione (Tina e Zaffa, quest’ultimo in generoso prestito dai
Norman).
Il titolo che avete scelto è ambivalente, un'idea di confronto e scontro mitigata da una
dimensione di gioco. Mi sembra in sintonia con il carattere del gruppo, tratti di
asprezza musicale mitigate dalla volontà di giocare, ma ha un significato particolare
nello specifico?
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E’ una allegoria, o una perifrasi, del motto “si fa quel che si vuole fare, finché ci si diverte a
farlo”, che ci accompagna dall’inizio della nostra storia e che in sé sviluppa il concetto di
entusiasmo di cui sopra. Il tutto spolverato con un po’ di infantile nostalgia da campetto fuori
casa. La dimensione giocosa ci attira sempre molto, è una parte importante della vita
dell’uomo. L’alternanza di ironia e malinconia tiene lontana la depressione, almeno secondo
noi.
Passiamo alla musica. Vi piace sempre divagare e aprire parentesi nei brani, ma mi
sembra che le canzoni degli es siano diventate più compatte e solide, più rapprese,
asciutte, le chitarre più elettriche e distorte. I riferimenti sembrano essere gli stessi di
sempre, e sempre eclettici, ma l'ottica è un po' cambiata, in questo senso: riprendete
a modo vostro i riferimenti anni Novanta che vi hanno formato, ma non in un'ottica
nostalgica, c'è anzi una freschezza che sembra voler dire, "riprendiamo quelle
suggestioni e mostriamo a tutti che quella energia non si è esaurita, può avere ancora
una forza oggi". E' una impressione corretta?
Accidenti, hai descritto la nostra musica molto meglio di come potremmo farlo noi! Diciamo
che cerchiamo di non voltare le spalle al passato, ma nemmeno di fossilizzarci su questo.
D’altro canto sarebbe piuttosto noioso riproporre suoni modaioli solo per fare i finti giovani!
Noi facciamo musica, mescoliamo gli elementi seguendo il nostro umore. Stavolta abbiamo
provato a fare canzoni più complete e meno bizzarre, alzare il volume dei distorsori, ma ci
sono anche molte più chitarre acustiche. Questo non vuol dire che il prossimo disco (tra altri
sette anni?) non sarà più elettronico e cantato a cappella. E’ questa la parte divertente del
non essere Ramazzotti, no?
Si è spesso identificata la vostra musica con l'aggettivo naif, vi sentite in qualche
modo ancora legati ad una dimensione del genere, nonostante l'abuso in ogni campo
dell'aggettivo?
La definizione pop-rock naif l’abbiamo proposta noi ai tempi del primo CD autoprodotto. Ai
tempi era adatta, ed è piaciuta molto. Più che “fare” canzoni pop-rock naif, es “è” pop-rock
naif. E’ la filosofia dell’essere naif: diciamo che componiamo in modo naif per poi sviluppare
e tagliuzzare le nostre creazioni fino al risultato finale. Noi restiamo comunque naif. Siamo
affezionati a quel termine. Le canzoni a volte assumono tagli lievemente più complicati, più
divertenti.
Come vi sentite ad essere rientrati nell'alveo della scena italiana (dalla quale alcuni di
voi non sono mai stati fuori in realtà, per via della gestione di Fosbury ad esempio)?
O, meglio, come vi sembra a distanza di anni la cosiddetta scena indie, in salute o
meno? Che cosa è cambiato? Una canzone come "L'articolo the davanti al nome di
band" mi sembra una ironica riflessione su vizi, manie e riti della stessa, mettendosi
in gioco in prima persona.
Sì, L’articolo the... è un buffetto affettuoso sulla guancia delle indie-rock star, ma anche su
quella dei giornalisti di settore (perdonaci) e in generale su una “scena” che fa e disfa le
proprie icone seguendo le mode con una velocità assurda. Dopo il risveglio dall’ibernazione
abbiamo notato un declino di tutto quello che sta “intorno” alla scena: l’attacco delle tribute
band, per dirne una, somiglia alle guerre dei cloni di lucasiana memoria. C’è meno
entusiasmo (ancora questa parola), c’è meno spazio (Silvestrin, dove sei?). Questo per
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quanto riguarda i media tradizionali. Poi c’è la rete, che però va a velocità tripla rispetto al
normale, e non è facile adattarsi. Anche per questo è difficile dire se la scena sia in salute.
Dovremmo ascoltare 35 band al giorno, solo sfogliando le pagine di Facebook, per poter fare
un quadro generale. Senz’altro è una scena con sbocchi internazionali molto maggiori e
molto più credibili. Guarda cosa sta combinando Fare Soldi! Quindi, forse, non c’è nessun
declino, abbiamo usato un termine errato. E’ una trasformazione, un cambiamento. La
velocità e la molteplicità dell’ascolto non vanno d’accordo con l’antica arte del CD audio. E la
nuova scena dovrà riformarsi intorno alle nuove forme di fruizione. Come e in che tempi, non
lo sappiamo; siamo appena tornati...
Alessandro Besselva Averame
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RAEIN
I Raein sono un gruppo vero e puro come pochi ne sono rimasti dalle nostre parti. Abbiamo
approfittato dell’uscita della raccolta “Ah, As If” e dello struggente “Sulla linea d’orrizzonte tra
questa mia vita e quella di tutti” per fare due chiacchiere con Giuseppe Coluccelli, chitarra e
voce del gruppo più DIY che abbiamo in Italia. Ne è nata un’accesa e interessantissima
discussione.
È trascorso molto tempo dalla vostra ultima uscita discografica, ed il silenzio è stato
interrotto dalla raccolta “Ah, As If”. Su cosa è ricaduta la scelta di una compilation di
B-Sides e come è nata la collaborazione con Alessandro Baronciani per la copertina?
La compilation ha raccolto pezzi contenuti in split e 7" registrati e stampati durante il 2004,
esauriti e mai più ristampati (split con Daitro, split con Funeral Diner, split con Phoenix
Bodies per esempio, ma anche delle compilation). Hanno fatto parte di un'unica sessione di
registrazione, poi divisa si, ma è stata vissuta come un disco unico. Quindi di conseguenza
l'idea di raccogliere il tutto in un'unica forma. Alessandro è un amico, e lo è da molti anni,
non eravamo ancora riusciti a fare qualcosa assieme, questa a noi è risultata un'ottima
occasione per colmare.
“Sulla linea d’orizzonte...” trasmette un urgenza emotiva e comunicativa molto forte.
Com’è nato il disco e quanto di personale ci è finito dentro?
Alcuni pezzi erano fermi da parecchio tempo. Alcuni registrati e lasciati a fermentare sul
computer per almeno un paio d'anni. Qualcosa era stato scritto per altri gruppi e provato
anche altrove (Havah, Venezia, Neil On Impression). A dicembre Alessio, che era stato in
Danimarca, è rientrato, e a gennaio ci siamo detti che era il caso di far diventare questo
2011 intenso. Abbiamo raccolto le parti, i pezzi che erano fermi e gli abbiamo dato forma
assieme a quello di nuovo che usciva durante le prove. Quei mesi sono stati molto faticosi,
tragici per molti di noi, c'è stata un grossa spinta nervosa che ha reso fattibile il disco, e che
lo ha reso così com'è. Molto nervosismo, ripetiamolo. Quindi si, molto "di personale" è finito
nel disco, chiaro che non poteva andare diversamente, chiaro che altrimenti non ci sarebbe
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stato nessun disco.
Siete legati ad un estetica ed un credo DIY molto forte. Non vi è mai balenato in testa
di “accasarvi” con qualche etichetta (anche molto piccola)?
Tutti i dischi precedenti sono stati stampati e distribuiti da una qualche etichetta (Ape Must
Not Kill Ape, Red Cars Go Faster, Oto, Pure Pain Sugar, Bullwhip, Sons Of Vesta, Life Of
Hate, Init, React With Protest, Release The Bats, ecc.) quasi tutte estere. Abbiamo sempre
avuto qualcuno che si occupava delle uscite, tutte modeste, tutte persone amiche. Questa
volta è stato diverso, ci è "balenato in testa" l'idea di autoprodurlo. Come gruppo siamo in un
momento in cui possiamo e riusciamo ad occuparci personalmente di tutto, non c'è bisogno
di qualcuno che lo faccia al posto nostro. Sia per quanto riguarda i concerti, all'estero o in
Italia, sia per la stampa di dischi, sia per il merchandising. Èun bel tragitto, parti con quel
satellite che è la label, per poi arrivare a non sentirne e ad averne più bisogno.
A proposito di estero: il vostro successo fuori confine è dovuto dal fatto che in Italia,
un genere come il vostro, non ha mai preso veramente piede. Si sta creando una certa
sensibilità ed orecchio qui nei nostri confini verso un genere a cui non siamo mai stati
molto avvezzi?
Il "successo" fuori confine non è dovuto dal fatto che in Italia un genere come il nostro non
ha mai preso piede. Ad ogni modo l'Italia sembra esser rimasta più colpita questa volta si,
almeno a giudicare dalle mail che ci arrivano. Siamo stati in tour quest'estate, ma in Europa
e all'est, la prima data italiana con quest'ultimo disco fra le mani avverrà sabato 17
settembre all'ultimo “Anti MTV Day” di Bologna. In autunno saremo spesso in giro, anche in
Italia, vedremo un po’. È normale che la sensibilità sia diversa. La storia è diversa. Ed è
anche ragionevole parlare di "sensibilità diversa" e non di sensibilità di merda o altro. La
verità è che a me personalmente va bene così, non cambierei niente. Mi piace quello che
vedo? Per molti versi si, cioè ne sono allucinato. Questo è piacevole. Cosa vuol dire i nostri
concerti vanno bene all'estero? perché in Italia vanno male? Le due cose non sono
collegate. Comunque, in Italia o all'estero i nostri concerti sono piuttosto simili. Soprattutto
per quanto riguarda l'Europa. In America, in Giappone e in Asia, in Australia, l'affluenza
cambia , ma cambiano anche i numeri. Il genere è di nicchia qui come altrove. Non c'è da
fare nessuna guerra alla sensibilità degli italiani, probabilmente più ai musicisti italiani.
Parli anche tu di sensibilità diversa, ma riporti che comunque come affluenza e
seguito non c'è molta differenza tra qui e fuori confine. Più che altro sarebbe da capire
quanto e perché la colpa sia specialmente dei musicisti, a prescindere dal genere. Da
noi spesso si nota un grande difetto, quello di porre barriere fisse ai generi sia da
parte del pubblico che ascolta, sia dai musicisti che dagli addetti ed "esperti" della
stampa. Qual è il punto di vista di un musicista che vive in prima persona questa
situazione?
Ho detto che in Europa le cose si assomigliano per quanto riguarda i nostri concerti. Non
voglio addentrarmi in argomento critica perché tra l'altro non credo di avere un'opinione
decente a riguardo: non compro un giornale di musica da almeno cinque anni, e raramente
leggo webzine. Sono un gran fan del passaparola. Parlavo dei musicisti perché la proposta è
scadente e le idee che circolano nel giro pure, saranno legate le due cose. L'aspetto ludico
assieme all'impegno, o dell'impegno, sembra l'utopia, sembra un'offesa. E mi è già passata
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la voglia di parlarne. La sensibilità non ha nome e la specializzazione sia nel vostro "mondo"
che nel nostro dovrebbe essere terreno labile.
Anche voi avete scelto la sacra via del download gratuito. Che riscontro avete in
termini di diffusione e pubblico ai concerti? Avete in previsione di pubblicarne il
formato fisico?
Il disco è uscito in vinile in contemporanea con la messa on line del download, ed è stato
già ristampato; i download (www.raein.eu) sono stati tanti e tutti in breve tempo, ci sono
state molte recensioni, molte. Molte attenzioni, a nostra insaputa praticamente. E tutte
immediate, tutte spontanee.
Contatti: www.raein.eu
Luca Minutolo
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THE LEGENDARY KID COMBO
Come sempre il ritorno del quintetto dei The Legendary Kid Combo - da gennaio sestetto in
virtù dell’aggiunta di un fisarmonicista – rappresenta per l'ensemble un salto di qualità.
Hanno la leggenda del rock'n’roll nell’approccio e nel cuore e trasformano anche tre cover
incluse in questo terzo album "Caravansaray" grazie a uno stile personale: impolverato ma
reso attuale dagli slanci decisi e da arrangiamenti più moderni. Ne parliamo con Cristiano
Battaggi, chitarra elettrica e voce.
Alla luce di questo terzo album, siete soddisfatti ancora oggi del genere che avevate
deciso d'intraprendere e curare all'inizio, come idea musicale di gruppo o ogni tanto
pensate ad altre strade musicalmente possibili per voi?
Sin dal primo album siamo soddisfatti del genere scelto. Abbiamo ricercato delle sonorità
decisamente diverse e particolari rispetto ai dischi precedenti e ne siamo assolutamente
appagati, perché suona come un viaggio, una crociera che tocca la Turchia, l'est europeo e
la Sicilia ma sempre con un occhio di riguardo verso il western. Diamine, mica facile!
Cosa deve avere una vostra canzone perché voi la possiate sentire vostra o fare
vostra nel caso delle cover?
Le canzoni non le facciamo nostre, sono loro che ci si sottomettono, fanno tutto da sole, si
adattano a noi, si contorcono, si rilassano e soprattutto si divertono.
Cosa vi ha uniti in questi anni come gruppo, come create la vostra sinergia?
Siamo una banda di amici, sei persone che vogliono divertirsi prima di tutto e divertirsi
facendo musica, quindi sul palco tanto come in studio si crea un atmosfera stupenda, fatta di
intesa al cento percento, e la musica fluisce ed esplode. Sai siamo sei persone con idee e
teste diverse, ma quando si sale sul palco si creano una magia e un energia stupefacente.
La vostra prima canzone insieme qual è stata e cosa raccontava?
Bella domanda, la prima canzone non me la ricordo, mi ricordo però benissimo il primo
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concerto. Eravamo a Cuneo al Nuvolari, e avevamo fatto pochissime prove per quello che
era il tour di preparazione e di rodaggio per il nostro primo album "Booze, Bucks Death &
Chicks" e quindi abbiamo improvvisato metà scaletta, facendo uno spettacolo di un’ora e
mezza. La gente era in delirio e le recensioni sulle riviste e sui quotidiani parlavano del
nostro live, appunto improvvisato per metà, come di uno spettacolo strepitoso e organizzato
e studiato a puntiglio. Ne abbiamo dedotto che forse era inutile perdere tempo a provare e
riprovare se alla fine bastava essere spontanei.
Dove e come è stato composto "Caravansaray"?
La prima parte è stata composta dopo un viaggio a Istanbul, in studio, assieme al produttore
Brando, mentre i brani mancanti li abbiamo composti sul furgone durante un tour europeo. E
ritorna quindi il concetto del ‘viaggio’ nel disco.
Voi siete come un fiume in piena o un tornado e le cover inserite nell'album stanno
così in questa ondata che quasi non si riconoscono. Come vi approcciate alle canzoni
altrui?
Allo stesso modo con cui ci approcciamo alle nostre, quindi non le consideriamo altrui.
Semplicemente ci chiediamo come le avremmo eseguite noi con il nostro stile e così eccole
servite.
Quanto e in che modo è stato importante il super ospite Brando per la buona riuscita
del disco?
Beh è stato molto importante e non è stato un ospite, diciamo che lui stesso ci ha proposto
di fare un disco e che avrebbe voluto esserne il nostro produttore artistico. Il suo apporto è
stato fondamentale, sia come “motivatore” che come arrangiatore. Ha fatto davvero un
ottimo lavoro.
A cosa vi ha portato il vostro live molto coinvolgente? Quali soddisfazioni vi ha
procurato?
Noi siamo una band prettamente live e non facciamo concerti ma “spettacoli” e non siamo
musicisti ma “attorucoli” e “saltimbanchi”. Quindi la parte live è di primaria importanza per noi
perché è la nostra vita e il nostro ossigeno.
Se doveste fare la colonna sonora di un film chi desiderereste vi scegliesse tra Aki
Kaurismaki, Emir Kusturica o Quentin Tarantino e perché?
Senza dubbi e decisamente Kusturica, perché siamo innanzitutto degli zingari e perché le
sue colonne sonore hanno sempre un energia pazzesca, pur usando strumenti tradizionali,
ed è impossibile non ballare e non muoversi, proprio come nel matrimonio cinematografico
di "Gatto nero, gatto bianco".
Come è stato registrato il disco e da chi?
E' stato registrato da Max Marini all'Electric Sound con il supporto costante di Orazio
“Brando” Grillo. Il metodo è stato il solito nostro, molto live e poco lavoro di post produzione.
Tu in particolare ti sei occupato della grafica. Ci racconti le dinamiche che partono
dagli uomini eleganti della copertina, sorridenti e fieri in primo piano, continuano
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verso gli alterati intorno a loro, per arrivare ai corpi con la testa di elefante sul retro?
Era molto importante per me far capire già dalla copertina il contenuto del disco: quindi
lasciare passare il messaggio del “carrozzone di freak”. Lucy ed io in primo piano, siamo un
po' come i padroni del carrozzone e portiamo in giro i nostri freak, ma come si vede dal retro
in verità anche quelli che sembrano normali sono degli uomini elefante mascherati da
“normali”.
Come avete ottenuto la produzione del disco e come verrà poi distribuito?
Questo purtroppo è un tasto dolente, perché è uscito, in anteprima, in Giappone, prodotto e
distribuito dalla Art Union Group sul territorio nipponico, poi il singolo split 7" con le
Kamikaze Queens verrà distribuito dalla Cargo su territorio europeo, mentre per la nostra
povera Italia abbiamo dovuto fare tutto noi, quindi autoprodurcelo.
Dove vi piacerebbe andare a suonare per fare ascoltare al meglio la vostra musica?
Ma diciamo che abbiamo calcato diversi palchi "importanti" dall' Heineken Jamin Festival a
Sanremo, quindi andremmo avanti così volentieri.
Come vi manca rispetto al passato, dal punto di vista compositivo? O siete rimasti
intatti senza lasciare niente indietro?
No, il metodo è rimasto lo stesso, magari è diminuito un po' il tempo che possiamo dedicare
alla composizione, ma le dinamiche sono le stesse di sempre.
Per avere il disco cosa bisogna fare?
Il disco è disponibile in download in tutti i music store, oppure il CD fisico in digipack, lo
potete trovare sugli stessi music store e ancora meglio ai nostri concerti.
Contatti: www.kidcombo.com
Francesca Ognibene
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THE LONGJ
I The LongJ da Catania battono le strade live dal 2006, e finalmente è arrivato il momento
del loro debutto su disco: "Raggio Katarana", appena uscito per Edwood Records.A
registrarlo ci pensa il figlio di Agostino e Giovanna degli Uzeda, ovvero Sasha Tilotta, ormai
affermato musicista (Three Second Kiss, Theramin) e sound engineer producer nel suo
Dreams Factory Analogicstudio. Adolfo Macrì (chitarra e voce già nei 100%) e Marco Riccioli
(batteria e voce già negli Spriggan) si sono “annusati” per diversi anni prima di dar vita a
questa collaborazione alquanto proficua. Un suono leggermente post rock ma soprattutto
noise rock cantato da entrambi, come un proseguo dei loro stili già conosciuti ed apprezzati
per le band precedenti. Ne parliamo con Marco.
Due amici musicisti - già negli Spriggen e nei 100% - in che modo si reinventano un
gruppo e sviluppano energia e passione?
Crediamo che la risposta sia già nella domanda, in quanto energia e passione esplodono
dalle nostre pance, sfogando poi nella nostra musica e trovando quiete, pace e odioso
amore.
Cosa pensate come musicisti siciliani del meraviglioso subbuglio cultural-musicale
de "L'Arsenale", federazione, messa su da Cesare Basile?
Non conosciamo gli intenti dell’Arsenale, ma ci sembra meraviglioso riunire in un unico
subbuglio tutti gli artisti con più o meno visibilità e dargli l’opportunità di potersi esprimere ed
esibirsi nei vari meeting che organizzano.
Cosa ha innescato l'inizio di "Raggio Katarana"? Qual è stato il primo momento in cui
vi siete sentiti i nuovi di zecca: The Longj?
Nel momento in cui in una jam session con componenti di altre band, ci siamo accorti che
non riuscivano a starci dietro e così abbiamo anche scoperto, la nostra perfetta alchimia.
Componete i pezzi facendovi influenzare l'uno dall'altro o partite principalmente da
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influenze esterne?
Suoniamo così come dialoghiamo, in sostanza arrivando in sala prove continuiamo le nostre
conversazioni iniziate in auto.
Vuoi raccontarci della Edwood Records con cui tu stesso hai fatto uscire il disco?
Quali sono gli intenti dell'etichetta?
La Edwood Records nasce nel maggio 2001. L'etichetta è stata creata dagli Spriggan per
raccogliere e valorizzare il fermento continuo e le sperimentazioni artistiche presenti nella
provincia catanese. Senza precludersi di collaborare tra band ed artisti locali, mirando
soprattutto a riportare la musica in una dimensione dell’arte primordiale ed introspettiva,
dove tensione emotiva, passionalità creativa e originalità personale sono le linee guida. Gli
intenti sono di riuscire a consolidare il filo conduttore che già esiste in questo momento tra
numerose band della provincia, essendo libera espressione e punto di riferimento
organizzativo e di interscambio.
Dove e come avete registrato il disco?
Il disco è registrato in presa diretta, nel dicembre 2008 nello studio itinerante di Sacha
Tilotta (batteria - Three Second Kiss) al Dreams Factory Analogicstudio. Mentre il mastering
è stato curato nel 2009 da Bob Weston (basso - Shellac) per Chicago Mastering Service.
Inoltre questo 2011 hanno collaborato Marco Garofalo e Alexandra Ieni del
Laboratoriocreativo.org per la produzione del video di “Jimi Stevie Ray” e per la grafica del
disco: prodotto con il supporto della Edwood records.
Potendo disegnarla o dipingerla metaforicamente, come pensereste all'atmosfera
ideale per questo disco?
Un insieme di colori come corpi che si accarezzano si sfiorano, si toccano, si afferrano e
infine come naturale conseguenza si amano.
Ci sono state incursioni di altri musicisti nelle tracce del vostro esordio?
Certamente. Carlo al basso per “Pastorius”, Cristoforo al sax e alla chitarra per “Cocaine” e
infine Nicola all’armonica per “Focalisit”. Tutti contributi preziosi di nostri cari amici che
hanno completato il disco.
Cos'è il Raggio Katarana? E perchè The LongJ?
Il Raggio Katarana lo puoi trovare alla conclusione di un tramonto, ad una esplosione
dell’Etna o in un manga giapponese. Invece per il nostro nome: The LongJ, non abbiamo
grandi spiegazioni da dare.
Sareste disposti a fare un po' di spazio a un'altra chitarra per un approccio più pieno
e corposo o non sacrifichereste mai la vostra essenzialità scarna del duo?
Avere un altro elemento nella nostra band non darebbe un approccio più pieno e corposo,
poiché il tutto è niente e il niente è vuoto, non inteso con il nero che è ‘l'assenza’ di colori,
ma come nell’unione di tutti i colori ottenendo il bianco che è un colore con alta luminosità e
senza tinta. Più precisamente contiene tutti i colori dello spettro elettromagnetico ed è
chiamato anche colore acromatico.
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Per avere il disco cosa bisogna fare? E come è stato distribuito?
Per adesso il disco si può avere soltanto scrivendo a [email protected] per
chiedere delucidazione sul come acquistarlo, perché la distribuzione è ancora da definire,
anche se abbiamo varie idee. Oggi comunque i dischi li vendi solo nei live.
Prossimi concerti e prossima tappa per il gruppo?
Faremo di spalla agli Uzeda alla festa provinciale della Federazione di Sinistra: “Catania
s’incazza è diventa vulcano” in fase di programmazione da Electratribe promotion.
Contatti: www.edwoodrecords.altervista.org
Francesca Ognibene
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ANCHER
Verdelegno
Manzanilla
Tre anni fa gli Ancher, appena ventenni, registravano un CD autoprodotto che prometteva
molto più di quanto riuscisse ad offrire. I segnali erano incoraggianti, anche se l'ampio raggio
di riferimenti dichiarato dava vita, di fatto, ad una gradevole seppur non originalissima forma
di canzone imbastardita con il post rock. Tre anni dopo il gruppo veronese si è accasato
presso Manzanilla, ha ideato un bellissimo quanto essenziale packaging di legno apribile (il
titolo dell'album è, d'altra parte, “Verdelegno”) ma soprattutto è riuscito finalmente ad
esprimere con un linguaggio originale (e una ricerca sui suoni adeguata alla bisogna, le voci
in particolare) le belle intenzioni manifestate all'epoca. Questo album, il primo con i crismi
dell'ufficialità, si muove etereo in territori fiabeschi da primo progressive (ci viene in mente al
volo un paragone con i Kleinkief dell'ultimo disco, in tal senso) ma con un senso della
misura che si manifesta, più che attraverso i flauti (splendido comunque il loro ingresso in
“Vieni su”), attraverso una sensibilità folk e una leggerezza che in “Toracebrace” lambisce le
follie più eteree del tropicalismo e allo stesso tempo fa venire in mente gli Animal Collective,
quelli da falò intorno al fuoco. Un bel disco pop (“Ho prugne nella testa” è una canzone di
antica regalità), d'altri tempi (nel senso che funziona a prescindere dal contesto temporale),
terso, ispirato, apparentemente fragile ma in fondo piuttosto robusto, proprio come il legno
che lo incornicia.
Contatti: www.ancher.it
Alessandro Besselva Averame
Pagina 16
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Numero Ottobre '11
ATARI
Can Eating Hot Stars Make Me Sick?
Suonivisioni
Nato nel 2006, il duo partenopeo guidato da Riccardo Abbruzzese e Alfredo Maddaluno non
necessita di presentazioni per chi segue con attenzione il panorama indipendente italiano. Il
debutto “Sexy Games For Happy Families” (2008) e il premio come Rivelazione Indie Pop
nello stesso anno gettarono semi che, a distanza di tre anni e con un nuovo album in uscita,
sembrano aver attecchito a meraviglia. “Can Eating Hot Stars Make Me Sick?” è un disco
suggestivo, ma scanzonato che ha tra i suoi numerosi pregi quello di bruciare fin dal
principio i già sottili fili che legavano il progetto alla musica 8-bit (peraltro, avendola suonata
occasionalmente e azzardiamo, pretestuosamente). La materia in cui si muovono ed
eccellono gli Atari è un pop elettronico, un po’ vintage, un po’ francese (sulle orme di Mellow
e One-Two, per citarne un paio) , sornione e ruffiano ma mai facile o eccessivamente
derivativo, specie nelle linee melodiche, le quali – maledette! – hanno la tendenza a tornare
in mente anche dopo svariate ore, magari mentre si ascolta Steve Reich, tanto per darsi un
tono. “If My Brain Was A Program”, primo singolo estratto, riassume egregiamente (a partire
dall’artwork del 7’’) i quarantacinque minuti di cui si compone “Can Eating Hot Stars...” ma
meritano rilievo anche brani dalle sonorità più ricercate (tra i tanti, “Becomes A Whale”, falso
finale e una rimonta che meriterebbe più spazio e “Black Ink”, che sintetizza e impreziosisce
il lavoro di The User o Mitsabishi). Da ascoltare fino a farne indigestione; altro che mangiare
stelle.
Contatti: www.myspace.com/atariboys
Giovanni Linke
Pagina 17
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Numero Ottobre '11
CADABRA
Past To Present
Revenge
Diamo i numeri: tre demo tra il 1998 e il 2000; una manciata di album, EP e DVD
autoprodotti; un disco ufficiale (“Wave/Action”) per l’etichetta Fonoarte nel 2009. Oggi per i
Cadabra è tempo di fare i conti con la propria storia pubblicando per la Revenge Records
l’antologico “Past To Present”. Il trio capitanato da Sebiano Cuscito (voce, chitarra,
elettronica) e completato da Vincenzo Romano al basso e Francesco Radicci alla batteria
fonda il proprio stile sulla scia dei movimenti new wave e dark degli anni 80, con una
maggiore enfasi su quest’ultimo. Se dieci anni fa li si sarebbe potuti accusare di cavalcare la
moda effimera del revival, ora si tratta di riconoscere in loro una passione che non accenna
a diminuire. “Past To Present” incorpora in scaletta i due mini “Blood And Blades” (2003) e
“Love Boulevard” (2006), a cui si aggiunge una selezione di brani da “Wave/Action” e
l’inedito “Heart”. Se per i fan dei Cadabra la carne da mordere è ridotta all’osso, per i neofiti
c’è di che esultare, specie se si tratta di amanti del genere. In ciò, purtroppo, risiede anche il
difetto di questa operazione e forse del progetto in sé: a chi può piacere “Past To Present”
se non ai nostalgici del rossetto sbavato, agli orfani del market di Kensington, a quei
beautiful loser che ancora insistono a scrivere con una biro “L*O*V*E” e “H*A*T*E” sulle
proprie nocche? Domanda retorica. Certa musica ha in sé il gene della nicchia; i Cadabra
eccellono, in tale nicchia. Rimane l’intima speranza che dopo aver fatto il punto della
situazione, abbiano la voglia e il coraggio di andare a capo. E poi avanti.
Contatti: www.myspace.com/cadabraband
Giovanni Linke
Pagina 18
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Numero Ottobre '11
CITY FINAL
How We Danced
Five To Midnight
“How We Danced”, album di esordio dei capitolini City Final (in precedenza noti come
Passione Nera), è il classico disco che in qualche maniera trascende le varie influenze in
esso riconoscibili, a volte parecchio evidenti ma mai presenti in maniera opprimente, o
replicate in modo calligrafico. Già, perché tra queste dieci tracce si percepiscono lo spleen
smithsiano così come i luoghi oscuri dei Joy Division, una certa tristezza tipica della scena
indie inglese degli anni 80 così come una bruma mitteleuropea che tanto piace Oltreoceano
(ai National, per dire), la raffinatezza dei Tindersticks e soluzioni tipicamente neo-folk, i Wall
Of Voodoo e i Calexico meno solari. Tanti riferimenti, certo, che però si muovono tutti in
maniera armonica verso un'unica direzione, quella di un sound notturno e romantico, intenso
e di gran classe, in cui la pulizia dell'esecuzione e degli arrangiamenti non va mai a discapito
della sincerità e dell'intensità emotiva del tutto. Insomma, si potrebbe parlare di pop noir, o
più semplicemente di canzone d'autore, non fosse che quest'ultima definizione si è usi
riservarla a chi canta in italiano; al di là delle descrizioni, però, quello del quartetto è un
mondo ricco di fascino e di sfumature cromatiche che merita di essere visitato, soprattutto se
si è in uno stato d'animo incline alla riflessione e alla malinconia. In quel caso, farsi
metaforicamente prendere per mano e lasciarsi guidare dalla voce baritonale di Andrea L.P.
Pirro diviene un piacere, così come lo è incontrare lungo la via ospiti di vaglia come Liam
McKahey dei Cousteau/Moreau e Nicola Manzan. Una (ri)partenza più che buona.
Contatti: www.cityfinal.net
Aurelio Pasini
Pagina 19
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Numero Ottobre '11
EMILY PLAYS
I Had A Heart That Loved You So Much
Dischi Soviet Studio
Parte ben sin dal titolo, “I Had A Heart That Loved You So Much”, primo album per gli Emily
Plays dopo gli EP “Shortsighted” del 2008 e il recente “The Fall & Rise Of Graeme Obree”,
distribuito soltanto on line dalla lungimirante 42 Records. L’avventura nasce come progetto
personale della frontwoman Sara Poma (voce e chitarra acustica), via via raggiunta da
Giacomo Tota (chitarra elettrica), Marco Albano (tastiere), Davide Impellizzeri (batteria) e
Simone Fratti (basso), ovvero i componenti attuali archiviata una serie non indifferente di
cambi di line-up. Seppur contraddistinte da un’evocativa morbidezza, suggerita sin dal
suggestivo, misterioso scatto di copertina, le dieci canzoni in programma - discorso a parte
per la conclusiva “Lost Property”, cover dei Divine Comedy - si insinuano con il trascorrere
degli ascolti, in un ideale incrocio tra indie-pop e shoegaze, Elliott Smith e Blonde Redhead.
C’è tra l’altro da dire che la band di Pavia si inserisce all’interno di una scena locale al
momento fervida e collaborativa, come stanno a dimostrare i vari flirt artistici con i
concittadini News For Lulu e le registrazioni affidate al fido Gianmaria Aprile degli Ultraviolet
Makes Me Sick (la masterizzazione, invece, è avvenuta per mano di Roger Seibel in
Arizona). Avrete senz’altro ascoltato molto di simile, ma il risultato specifico suona sopra la
media delle affini proposte nostrane. Un apprezzabile inizio, quindi, per proseguire a passo
spedito, con sempre maggiore convinzione.
Contatti: www.myspace.come/emilyplays
Elena Raugei
Pagina 20
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Numero Ottobre '11
EX.WAVE
Plagiarism
Bollettino/Sony
Fare incontrare la musica cosiddetta colta con l'elettronica per dare vita a una forma di pop
altra. Questa, in estrema sintesi, l'ambizione degli Ex.Wave, duo formato da Luca D'Alberto
e Lorenzo Materazzo (musicisti dal solidissimo background classico) giunto con “Plagiarism”
al traguardo dell'opera seconda. Opera che, anzitutto, si caratterizza per una lunghezza
eccessiva (sessantasei interminabili minuti), in quanto non supportata da materiale
all'altezza. Da una parte vi sono gli intermezzi strumentali più classicheggianti, tra partiture
pianistiche dallo spessore molto relativo e scolastici arrangiamenti per archi; dall'altra si
trovano le canzoni propriamente dette, in cui è la componente sintetica a prevalere, in
qualche modo collocabili dalle parti di un'electro-wave ritmata e dai toni cupi priva di reali
slanci melodici o sperimentali (ambito in cui si collocano le prescindibili riletture di “My Body
Is A Cage” degli Arcade Fire e “Poker Face” di Lady Gaga, i cui autori peraltro non sono
accreditati nel booklet). Insomma, da qualsiasi parte lo si guardi, il disco – con la parziale e
unica eccezione di una “Ex. 5” avvolgente e inquietante – fallisce clamorosamente
nell'intento di creare qualcosa di nuovo, finendo per risultare una giustapposizione soltanto
superficiale di mondi che, minuto dopo minuto, sembrano anche più lontani di quel che sono
realmente. Vista la distribuzione major e l'imponente macchina promozionale che ha alle
spalle, non ci sembra peregrino prevedere una buona esposizione e un discreto successo
per un'operazione che, artisticamente parlando, ci risulta difficile immaginare in contesti che
non siano il sottofondo di qualche cocktail bar trendy o, al limite, la programmazione dei
newtork radiofonici generalisti di grana più grossa. Per poi venire dimenticata, si spera, il più
in fretta possibile.
Contatti: www.exwave.com
Aurelio Pasini
Pagina 21
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Numero Ottobre '11
FILIPPO ANDREANI
Scritti con Pablo
Lucente-Many/Venus
A un anno dall’esordio ambizioso con il concept “La storia sbagliata”, Filippo Andreani,
affiancato da Simone Spreafico dei Mercanti di Liquore, torna con album di canzoni. Storie,
racconti che nascondono il loro cuore nascosto. Una donna che non si rassegna alla
vedovanza (è la vedova Pinelli); un poeta genovese che se n’è andato nella routine di chi è
alle prese con il quotidiano “brevissimo tutto da fare” (è Bruno Lauzi); un uomo ha amato
due donne che adesso se lo contendono pubblicamente (è Yonni Barrios, il minatore cileno
rimasto intrappolato per giorni sottoterra). E così via. Andreani ha questa capacità di
sguardo, di entrare nelle storie di tutti e uscirne con reperti segreti, dettagli universali. Senza
alzare la voce, senza risultare mai troppo esplicito. Tra tanti emuli di Fabrizio De André, che
si limitano a un calco privo di anima e fantasia, Andreani mostra di avere, in linea di
massima, digerito la lezione del grande genovese, riproponendo − certo − una
serie di stilemi e atteggiamenti che ci riportano in un certo mood. Ma rivisti alla luce di una
propria poetica. De André (che talvolta è comunque ancora troppo presente...); ma anche
Paolo Conte, Leonard Cohen, Gianmaria Testa, Ivano Fossati. Una secca classicità,
ottenuta con opera di sottrazione, lascia le canzoni a se stesse, alla propria espressività.
Certo non nude, ma con addosso giusto i vestiti che servono, mai niente di più. “Quasi
soltanto mia” si permette l’accompagnamento di una semplice chitarra, eppure la scrittura e
la resa interpretativa di Andreani sono già autorevoli abbastanza da sostenerne il peso. La
delicatezza melodica di “L’assenza”; lo pseudo-fado andino di “La pena di amare”; la
narrazione toccante sulla diversità di “Anna e la primavera”; un senso di religiosità diffusa
problematica e macerata − sono solo alcuni degli appunti migliori negli “scritti” del
cantautore comasco. A chiudere, una cover cullante di Pierangelo Bertoli, “Alete e al
ragasol”.
Da non perdere di vista.
Contatti: www.myspace.com/filippoandreani
Gianluca Veltri

Pagina 22
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Numero Ottobre '11
FRANCESCO FERRAZZO
Goccia dopo goccia
autoprodotto
Nasce a Verbania, sulle sponde del Lago Maggiore, in Piemonte, Francesco Ferrazzo. E
dalla calma di quella immensa distesa d'acqua forse ha preso la sua capacità di essere
“liquido” nelle modalità intime e avvolgenti delle note delle sue composizioni. Cantautore
classe 1976 ha avuto un percorso, che, passo dopo passo, in andatura decisa, l'ha portato,
dopo anni di gestazione e riflessione artistica, dalla sua la partecipazione e classificazione in
numerose competizioni sonore, a dare alla luce “Goccia dopo goccia”, album d'esordio, che
dopo tre anni, si presenta ora in tutta la sua carica lirica. Testi che guardano dentro e fuori
all'essere umano, primo fra tutti Ferrazzo, con la capacità di parlare e incontrare anche gli
altri, in una riflessione personale, che non tralascia di rivolgersi alla vita reale, in uno
sguardo critico del e sul mondo, nelle sue meccaniche di prevaricazione in un tempo non più
gentile nei confronti del prossimo tuo. Sulle note del suo pianoforte, accompagnato da
orchestrazioni, percussioni e miscelazioni elettroniche, una sana e mai stucchevole
componente pop melodica che primeggia su tutto, richiamando alla memoria Fossati, Sting,
Peter Gabriel, come già si suggerisce a ragione andando a leggere in giro per la rete, arriva
dritto al cuore con testi come “(...) a sognar le ali, goccia dopo goccia, uomini in cerca di
identità e di felicità, uomini in fila un'eternità per l'eternità, uomini senza un'identità di libertà,
goccia dopo goccia (...)”, tra i versi incisivi della title track dell'album. E ancora con “(...)non
parlarne a nessuno, e non lo farò, o forse lo racconterò solo a me stesso, ma stai tranquilla,
che non mi crederò (...), dalla sensibile e toccante “Tranne che a te”. Per sette tracce da
ascoltare e riascoltare, nei loro trenta minuti di durata, aprendo le ali.
Contatti: www.francescoferrazzo.com
Giacomo d'Alelio
Pagina 23
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Numero Ottobre '11
FRANKSPARA
Il dottor Crepapelle e l'albero che cammina
Reincanto
Terzo capitolo discografico – secondo su etichetta Reincanto - per Frankspara, ragione
sociale collettiva applicata a quella che è sostanzialmente l'opera di un cantautore,
Francesco Viani. Costui ha scelto di affidare le proprie poetiche riflessioni sull'esistenza al
suddetto pseudonimo, un escamotage che gli consente di esprimersi con quel pizzico di
distacco teatrale che permette di non inciampare nella retorica del “che ne penso io delle
sorti del mondo”, offrendo allo stesso tempo una dinamica “di gruppo” alle composizioni, le
quali si muovono nel raggio d'azione di un cantautorato melodico apprezzabilmente eclettico,
innamorato delle parole senza arrivare al punto di far passare in secondo piano le musiche,
ricorrendo ad una strumentazione piuttosto variegata e inserendo la spina dell'elettricità
quando occorre (ad esempio in “Per un eroe minore”). Qualcosa che lo avvicina, pur
mantenendolo in una dimensione lontana da velleità mainstream, a personaggi come
Daniele Silvestri o Pino Marino. Ottimo il gusto sfoggiato negli arrangiamenti e la varietà
degli stessi, ci permettiamo però di dire che latitano ancora un po' i brani memorabili, quelli
in grado di far decollare il tutto. Si tratta comunque di un lavoro interessante, artigianato
cantautorale di buon livello con ampi margini di crescita.
Contatti: www.frankspara.co.uk
Alessandro Besselva Averame
Pagina 24
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Numero Ottobre '11
GENTLESS3
I've Buried Your Shoes Down By The Garden
Wild Love-L’Arsenale
Qualche anno fa, arrivavano dischi dark-slow-core un po’ ogni settimana. Era la moda del
momento. Poi più niente. Come se non fosse mai esistito. Bello invece ascoltare ogni tanto
qualcuno che, a parte gli Hollowblue, s’intende, rischia così tanto come i Gentless3. Anche
perché questo “I’ve Buried Your Shoes Down By The Garden” è un esordio: uno di quelli che
potrebbero far parlare molto se fossimo in un mondo un attimo più giusto. Questo perché
laddove la musica non presenti niente di assolutamente stupefacente o sorprendente (sai
quello che compri. Un po’ di Nick Cave, un po’ di 16 Horsepower), è la qualità della scrittura
a fare la differenza. Noi critici siamo sempre alle prese con gente che impacchetta bene i
dischi ma non sa scrivere un pezzo che sia uno. Qui invece – per la cronaca, sette canzoni
per mezz’ora – la band sembra lavorare per sottrazione e sviluppo di un dettaglio per
costruire un mondo notturno e di frontiera che riflette perfettamente l’immaginario di
riferimento. Su tutte, segnaliamo “Peggy and the Houses” e la conclusiva “Evidence”.
Meritano di essere conosciuti e ascoltati. Me li vedo a fare sonorizzazioni di vecchi film
americani. Il suono della batteria sembra scavare un canyon nei timpani, se lo ascolti in
cuffia.
Contatti: www.gentless3.com
Hamilton Santià
Pagina 25
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Numero Ottobre '11
GREY LAGOON
Valentine Days
autoprodotto
Sulla strada per Canterbury non è improbabile imbattersi in stravaganti creature, folletti
burloni su teiere volanti o macchine soffici, scaturite da menti visionarie a cavallo tra i ’60 e i
‘70. Uno scenario solitamente rispettato negli ambienti progressive, che tuttavia spesso
prediligono seriosi e ridondanti abiti da cerimonia e poco amano ridere di sé. Forse per
questo non c’è stato un vero proselitismo canterburyano, salvo sporadiche derive. Scoprire
dunque oggi un gruppo underground italiano come i Grey Lagoon, che riesuma
esplicitamente quei folletti e quelle teiere volanti, sulle ali di atmosfere jazzy-prog velate di
surrealismo e malinconica psichedelia, è già faccenda curiosa ed allettante. Se poi i nostri si
prendono la briga di invitare alla realizzazione del loro secondo cd “Valentine Days” persino
quel mattacchione di Daevid Allen e il belga Niels Van Hoorn (flauto e sax, qualcuno lo
ricorderà con i Legendary Pink Dots ma il suo curriculum è vastissimo, a partire dagli anni
60), allora ogni dubbio può dirsi entusiasticamente fugato: le terre grigio-rosa hanno davvero
trovato approdo sin sulle colline intorno a Roma. Gli alieni nostrani sono i fratelli Fabrizio e
Massimo Calcabrina (batteria e tastiere), Roberto Cruciani (basso), Angelo Cascarano
(chitarre e voce), seguaci di un sound più affine alle melodie dei Caravan che a certe
imprevedibili digressioni stile primi Gong o alle propaggini più estreme del jazz-rock dei Soft
Machine. Ci pensa lo stesso sgargiante Gandalf-Allen, con la space-guitar e il suo vociare
dallo spazio, ad apportare la sua carismatica dose di follia in ben tre brani, con particolare
rilievo in “The Alien's "Question”. Il resto funziona, avvolgente, a tratti ipnotico, trattenendo il
fiato fra le malie puntellate di piano elettrico di “Jigsaw Pieces” o lasciandosi sospingere
nella ciondolante danza mediorientale di “Iceskating in Dubai” (titolo adeguatamente
surreale). Le sferzate di flauto, sax e Hammond giocano carte vincenti in una dimensione
prog-psych sostenuta efficacemente dal fraseggio chitarristico. Poi cala il sipario con il
toccante rifacimento di “Memories”, risalente addirittura ai seminali Wilde Flowers di quasi
mezzo secolo fa (splendida scelta!), a suggellare la dedica del disco a Hugh Hopper. E non
poteva essere diversamente.
Contatti: www.greylagoon.com
Loris Furlan
Pagina 26
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Numero Ottobre '11
IVAN SEGRETO
Chiaro
autoprodotto/Family Affair
Un passato major alle spalle con dischi come “Porta Vagnu”, “Fidate Correnti” e “Ampia”,
una comparsata a Sanremo giovani, collaborazioni con Franco Battiato, Paolo Fresu, e
Giovanni Sollima, una nomination al Premio Tenco e un Premio Ciampi vinto nel 2007:
questo il curriculum di Ivan Segreto. Un musicista perennemente in bilico tra jazz, canzone
d'autore e melodia, capace di ritagliarsi un proprio spazio e di suonare autorevole in ogni
contesto. “Chiaro” rappresenta un po' una ripartenza per il musicista palermitano, un
allontanarsi consapevole dai giri ufficiali (è la prima autoproduzione) e dal songwriting
elegante ma facilmente catalogabile del passato in favore di musica evocativa ed eterea. Da
un lato atmosfere nordiche di ispirazione Sigur Rós / Björk, dall'altro una melodia
ricercatissima che gioca con gli spazi, gli stili, le desinenze. In un ampliare a dismisura la
tavolozza dei colori che strizza l'occhio a Jeff Buckley (“Ristoro”), aggiorna il dialetto d'autore
tra jazz e pop (“Binirici”), affianca crossover e melodia (“Giovani Ali”), crea ambienti liquidi e
dilatati (la title-track). Cambia e di molto la prospettiva, insomma, in una ricerca timbrica
riuscita in cui la voce diventa valore aggiunto, stratificazione ulteriore e non soltanto
narrazione. Per un'opera che arricchisce a dismisura il peso specifico di ogni brano
sacrificando un po' di quella immediatezza che aveva reso episodi come “Traspare” standard
immediati.
Contatti: http://www.myspace.com/ivansegreto
Fabrizio Zampighi
Pagina 27
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Numero Ottobre '11
L’AMO
Di primavera in primavera
Fallodischi
Dei L’Amo ne parlammo qualche mese addietro in “Dal basso”, definendoli dei partenopei
che si divertono a giocare con le spigolosità della new wave, smussandole con una iniezione
di pop limata da testi ironici. Possiamo dire che nell’esordio “Di primavera in primavera” la
cifra stilistica espressa nell’EP omonimo rimane intatta ed immutata, se non che oltre la forte
dose d’ironia pungente e sarcastica (“Dura la vita del superdotato” e “Sulla svirilizzazione di
Quagliarella” sono titoli che non necessitano di ulteriori delucidazioni), vi è una spiccata vena
intimista rimasta inedita prima, ed uscita fuori in tutta la sua coinvolgente carica emotiva
nelle dodici tracce che compongono questo esordio folgorante. Come nelle staffilate di
feedback e tastiere di “Eziologicamente”, o la trascinante cavalcata punk sghemba di “Mario
Orsini va in città”, puntellata da una nenia sgangherata, o nel riff ipnotico e vagamente
arabesco di “è il nascere che non ci voleva”, che si contorce su se stesso fino ad esplodere
e acquietarsi, in una piccola montagna russa di emozioni costruita sulle storte fondamenta di
una ritmica veloce e fragile. Assolutamente detentori del dono della sintesi, i L’Amo riescono
a condensare nella media di un minuto e mezzo a canzone un concetto di ossessione e
ripetitività - si sonora che lirica - che ne delineano un tratto obliquo pregnante ed
assolutamente d’impatto immediato. Dodici canzoni per poco più di venti minuti, un pugno di
sensazioni, luoghi e volti sferrati in pancia e quel senso di stordimento che rimane dopo
l’aver assistito a qualcosa di troppo veloce per prendere coscienza di cosa sia accaduto
realmente. Piuttosto che L’Amo, una fiocina che trafigge in maniera secca e veloce.
Contatti: http://fallodischi.blogspot.com
Luca Minutolo
Pagina 28
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Numero Ottobre '11
LAPINGRA
Salamastra
Imago Sound
Lapingra è il giocattolo personale dei molisani Paolo Testa e Angela Tomassone, uniti dalla
“passione per la casa di Barbie, il dolce forno e le micromachines”. Un giocattolo pop che
starebbe bene sia nelle mani di Björk sia in quelle dei produttori della Walt Disney, per loro
stessa ammissione. Da una parte, infatti, c’è l’amore per sognanti sonorità elettroniche
accostate all’occasione a orchestrazioni che procedono con trombe, sax e violini, dall’altra
c’è l’irriverenza nello sfruttare peluche e tastierine della Chicco come veri e propri strumenti.
“Salamastra”, esordio sulla lunga distanza a seguire gli EP “La Pingra” del 2007 e “Farewell
gallinella” del 2008, attesta così la concretezza di un progetto a tratti indubbiamente brillante,
sebbene vi siano alcune stucchevolezze da tenere sotto controllo. Pensate a un frullatore
eccentrico che mescola Stereolab, Múm e CocoRosie, posizionato nella stessa
cucina dove connazionali come ...A Toys Orchestra, Petrina, Le-Li o Honeybird & The
Birdies stanno premurosamente ai fornelli, mentre i piatti sono serviti da uno staff fra
Trovarobato e Morr Music. “Run Atreyu Run” zampetta tra inglese - la lingua usata in netta
prevalenza - e interventi in italiano, “This Is Not A Test” si fa quasi ballabile, “One Day”
ingloba jazzismi rivisti in ottica trip-hop, “Whop!” è marcetta sbronza, “Allie & Dog” richiama
Beatrice Antolini e “Solo un disegno circolare” Il Genio. Disorientati? Se sì, alla fine della
fiera, sarebbe un ottimo segnale di questi tempi.
Contatti: www.myspace.con/lapingra
Elena Raugei
Pagina 29
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Numero Ottobre '11
LAVA LAVA LOVE
A Bunch Of Love Songs And Zombies
The Prisoner/Audioglobe
L'uscita di questo album a nome Lava Lava Love coincide con l'annuncio dello scioglimento
dei Canadians, dai quali provengono Massimo Fiorio e Vittorio Pozzato (rispettivamente
bassista e tastierista della band veronese), e ci preme sottolinearlo non tanto per ricamare
sul concetto di “passaggio di testimone” o di “rinascita dalle ceneri di” (considerazioni che ci
possono pure stare, per certi versi), quanto per osservare che quello stesso approccio, con
un piede nelle evoluzioni indie degli ultimi quindici anni e uno in un passato più lontano fatto
in gran parte di melodie Sixties e impeto melodico quasi beatlesiano (“Your Lite”, ad
esempio), viene riproposto anche qui con ottimi risultati. Ad accompagnare i due, la voce di
Florencia Di Stefano - la quale si ritaglia un ruolo da protagonista nella bella “Nothing
Special”, quasi una rievocazione del folk revival britannico dove la bruma autunnale si
dissolve in mattinate assolate - e, ad arricchire l'impianto elettroacustico dell'ensemble, il
banjo di Luca Valentini. Ci si muove anche qui tra i Grandaddy e il decennio del sunshine
pop, con qualche innesto di gusto britannico e un aroma folk più pronunciato, ma se pure il
campo di gioco non subisce troppe variazioni la qualità è, ancora una volta, decisamente
alta.
Contatti: http://lavalavalove.bandcamp.com
Alessandro Besselva Averame
Pagina 30
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Numero Ottobre '11
LE MASCHERE DI CLARA
Anamorfosi
Black Widow
Le Maschere di Clara si formano con l’intento di sposare studi di musica classica e passione
per il rock elettrico più avanguardistico. Un intento di certo nobile, eppure potenzialmente
generatore di numerosissimi rischi alla prova dei fatti. Dopo aver suonato per varie
formazioni cameristiche, Lorenzo Masotto (pianoforte e alla bisogna basso) Laura Masotto
(violino) e Bruce Turri (batteria) si approcciano ai loro strumenti in ottica accademica e al
contempo violentano gli amplificatori con brutalità, mentre tutti e tre si alternano alla voce per
testi altrettanto aggressivi, in italiano. Alla luce dell’intento di cui sopra, non deve poi
sorprendere la partecipazione di Bologna Violenta, ovvero Nicola Manzan, nelle cupissime
“Acheronte” e “Piombo”. Molto bene “23.23” (dall’EP che li vide esordire per la Jestrai),
divertente una “Habanera” con tanto di citazione colta. Le influenze dichiarate sono in tal
caso particolarmente significative: Zu, Mike Patton, Kyuss, John Zorn, John Cage, Back,
Stockhausen... Noi a momenti pensiamo anche a altre proposte italiane come Il Teatro degli
Orrori, Bachi da Pietra e soprattutto gli esordienti Karl Marx Was A Broker, vicini sul piano
attitudinale oltre che stilistico. In certi episodi il canto genera qualche lieve riserva, ma nel
complesso “Anamorfosi” convince appieno sia nell’imprinting concettuale sia in trame
strumentali davvero potenti, se non travolgenti. A dispetto della sigla sociale, ripresa
dall’inquietante foto di copertina, questi tre ci mettono la faccia.
Contatti: www.lemascherediclara.com
Elena Raugei
Pagina 31
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Numero Ottobre '11
LE PISTOLE ALLA TEMPIA
Le Pistole alla Tempia
Lactobacillus/CD Baby
Scelto un nome capace di descrivere al meglio la sensazione che provano i ragazzi di oggi
che, dopo anni di studi, si ritrovano a non avere la possibilità di progettare il proprio futuro, il
quintetto veronese Le Pistole alla Tempia dà alle stampe il primo (omonimo) lavoro. Nati
dalle ceneri dei Le Sifflet Public, sulla carta si presentano come una band a metà strada tra
Lucio Battisti e Il Teatro degli Orrori; su CD, invece, di Lucio Battisti non si trovano tracce,
mentre l'inizio è degno discendente della band di Capovilla. Prodotto artisticamente da Max
Carinelli (Pan del Diavolo e membro dei Je Ne T’Aime Plus), “Le Pistole alla Tempia” è stato
registrato presso lo Studio Sotto il Mare da Luca Tacconi (dove hanno lavorato anche gli
ormai sciolti Canadians e l'ultimo N.A.N.O.), e mixato alle Officine Meccaniche di Mauro
Pagani con Antonio Cupertino (Verdena, Calibro 35). Nelle otto tracce del disco si toccano
argomenti non facili come il suicidio (“Non esisti”), l’eutanasia (“Finalmente”), il fanatismo
religioso (“L’infedele”) e la capacità di scegliere sempre gli amori sbagliati (“Lascia stare le
parole”). È una prova d’esordio nella quale, oltre a trovare una debole eco dei Marlene Kuntz
(“Non esisti” e “L’ultima pietà”), si nota il tentativo di voler coniugare un rock duro con dei
messaggi che possano arrivare a scuotere le coscienze. E, tutto sommato, è un disco che
funziona; l’importante, adesso, è che quelle pistole non si rivelino caricate a salve.
Contatti: www.myspace.com/lepistoleallatempia
Marco Annicchiarico
Pagina 32
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Numero Ottobre '11
LUMINAL
Io non credo
Action Directe/Audioglobe
Grazie a Wikipedia e ad una approssimativa infarinatura di cultura e società possiamo
garantire che Luminal è, tra le altre cose, un brutto romanzo di Isabella Santacroce, un film
di Andrea Vecchiato che non abbiamo visto, il titolo del secondo album di Tenedle e il nome
di un gruppo romano. Scriviamo di questi, più che altro perché parlare della Santacroce
sarebbe come sparare sulla croce rossa. I Luminal (la cui formazione, al netto di innesti e
collaborazioni, si compone di Alessandra Perna, il consorte Carlo Martinelli e Alessandro
Commisso) suonano un rock spigoloso che, fedele alla linea del precedente “Canzoni di
tattica e disciplina” (2009), rimane in equilibrio tra post-punk e clangore new wave anche nel
nuovo “Io non credo”. L’album contiene nove tracce e una generosa valanga di parole
rabbiose, messianiche e davvero ben infiocchettate. Viene quasi voglia di trascriverle su una
sovversiva Smemoranda. Fortunatamente basta ascoltare questo disco dalla giusta distanza
per prendere meno sul serio i toni (e la discutibile dizione) e potere finalmente apprezzare le
partiture, quelle sì, seriamente godibili. Anzi, belle come poche volte capita di trovare in un
disco simile. Da segnalare “Si può vivere”, impreziosito da un fraseggio pianistico che ne
accentua l’andatura; nella conclusiva “Tutti gridano è finita” si ripete la magia, rinnovata in
“Niente di speciale” grazie agli interventi di Nicola Manzan al violino. Non sembra essere un
caso che proprio i brani più ricchi a livello compositivo siano anche i più validi e freschi.
Probabilmente anche i Luminal, quando prendono le distanze dall’essere i Luminal, sanno
sorprendersi. Un disco strumentale ce li farebbe adorare.
Contatti: www.luminalband.it
Giovanni Linke
Pagina 33
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Numero Ottobre '11
M+A
Things. Yes
Monotreme
Se andiamo a scovare i dati anagrafici del gruppo in questione, scopriamo subito che gli
M+A sono due ragazzi forlivesi dall’età imbarazzante: Michele Ducci, 19 anni e Alessandro
Degli Angioli, 22 anni. Se inseriamo il CD nel lettore, o i file scaricati di soppiatto dalla pagina
Soundcloud del giovanissimo duo, lo sconcerto cresce ancora di più: giovani, belli e con le
mani in pasta nell’elettronica più soave e melodica, che strizza l’occhio verso le inflessioni
dance-pop dei Röyksopp, ma fatte proprie in uno stile assolutamente personale e
riconoscibile. Un'estetica tanto scarna quanto enigmatica, che accompagna il contenuto del
disco, inverosimilmente straripante di suoni, beat liquidi che si fanno ora densi, ora più lievi e
stratificati, melodie lievi di stampo immediato, guidate da voci eteree, ma che vanno ad unirsi
all’amalgama sonora che il duo forlivese plasma con (mal)sana ingenuità da veterani,
incollando tagliuzzi e campionature di un immaginifico collage fanciullesco. Forse una troppa
ridondanza ed eccessivo autocompiacimento rallentano quello che dovrebbe sfociare in un
flusso continuo di beat scanditi da veloci battiti pulsanti che trascinano dolcemente verso
mete incontemplabili, laddove le eccessive orchestrazioni di fiati e carillon sono il risultato di
un bambino sovraeccitato di fronte al tavolo dei bottoncini. Considerando “Things. Yes”
come disco d’esordio “ufficiale” (seguito di un disco autoprodotto 2 anni fa, e qui riproposto
solo in parte o arricchito di lievi ma fondamentali sfumature), il duo esce tutto sommato a
testa dritta di fronte all’ardua prova del confronto internazionale, comparendo sulla vetrina
della londinese Monotreme Records, già produttrice di dischi di 65daysofstatic e This Will
Destroy You, differenti per genere, ma non per approccio alla materia musicale denso,
stratificato e di una cura maniacale. Tutte caratteristiche che per due ragazzi così giovani e
pieni di buoni propositi possono solamente portare a una crescita costruttiva ed ottime
speranze future, in modo da poter inarcare il collo di quei 30° in più che ora mancano.
Contatti: www.ma-official.com
Luca Minutolo
Pagina 34
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Numero Ottobre '11
MARCELLO CAPRA
Fili del tempo
InSinergia/Electromantic Music
In qualche modo il titolo dell’album ci svela il suo contenuto: infatti, dopo aver scelto una
strada artistica slegata dal suo passato, forse per la prima volta dopo lo scioglimento dei
Procession (due dischi all’attivo), avvenuto a metà degli anni 70, il chitarrista piemontese
Marcello Capra è tornato a annodarsi alla stagione del pop italiano che gli aveva regalato le
prime vere soddisfazioni. Successivamente Marcello ha scelto la strada dei suoni acustici,
immolandosi alla Ovation Legend, qui sacrificata, riporta la biografia, a favore di una Great
Owl. E, come dicevamo, muta anche parzialmente l’indirizzo stilistico: a fargli compagnia
troviamo il tastierista Beppe Crovella (Arti & Mestieri), che dispiega Mellotron e organo
Hammond e la cantante Silvana Aliotta (dei Circus 2000, altro nome storico del prog
nazionale), che infondono quel senso di piacevole nostalgia nell’iniziale “Dreaming Of
Tinder” e “Procession”, rilettura di una mini suite della band citata. Ma il chitarrista ha una
veduta ampia e così ascoltiamo l’omaggio a Piazzolla in “Astor”, mentre appare fuori luogo la
rilettura di “I’m So Glad”, portata in superficie dalla versione dei Cream. L’ascolto generale è
piacevole, ma avrei preferito una maggiore coesione stilistica: forse era davvero l’occasione,
anche unica a ben vedere, per intrecciare i fili del tempo con il non ingombrante passato.
Contatti: www.marcellocapra.com
Gianni Della Cioppa
Pagina 35
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Numero Ottobre '11
MOTEL 20099
Mono
Tomobiki/Venus
Rock'n'roll nel profondo, la musica dei Motel 20099 non ha tuttavia alcun timore di
sconfinare nelle forme più robuste ed espanse del genere, assumendo a tratti forme quasi
hard-psichedeliche sulle quali fa scivolare un melodismo rock di chiara matrice italica (e
discendenza anni 90, da Afterhours ai Ministri passando per i Verdena se capite quello che
intendo). Tra i brani, “Federicoaldrovandi” è una presa di posizione encomiabile ma forse un
po' troppo retorica nel testo (difficile d'altra parte trattare un tema così delicato, e la scelta
merita comunque un plauso), mentre la bella “Quattro passi”, una breve ballata accigliata dai
grandi spazi e dalle luminose aperture tastieristiche, ospita la voce di Umberto Palazzo, una
scelta che offre al brano l'autorevolezza espressiva che merita. Sì, perché quello che ci pare
un po' troppo adagiarsi sul versante del già sentito è la voce, che non è al di sotto dello
standard espresso nei brani quanto, piuttosto, un po' troppo standardizzata, priva di
sbavature, troppo pulita e lineare. Poi però c'è “Mentimi”, un ponte suggestivo lanciato dal
“bitt” italiano di quarant'anni fa in direzione dei Queens Of The Stone Age, che rimette a
posto le cose. Un album onesto, a tratti piuttosto solido.
Contatti: www.tomobiki.it
Alessandro Besselva Averame
Pagina 36
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Numero Ottobre '11
MUSTEENO
Ipnosi collettiva
Relief/Audioglobe
Per chi è addentro alle faccende di rap italico, fa quasi sorridere che solo nel 2011
Musteeno sia arrivato all'album d'esordio: è infatti ancora dalla fine degli anni 90 che Andrea
Gorni, questo il suo nome all'anagrafe, ha iniziato a bazzicare jam, a farsi conoscere al
microfono, ad infilarsi in concerti e quant'altro; per altro, lo ha sempre fatto dando l'idea di
avere un talento sopra la media, lingua sciolta, pensieri veloci, facilità di rima. E talora anche
qualche concetto per nulla banale, merce non comunissima nell'hip hop. Era quindi con
aspettative più che discrete che aspettavamo finalmente una sua creatura discografica e,
probabilmente proprio per questo, dobbiamo ammettere che “Ipnosi collettiva” è una mezza
delusione. Partiamo prima dalle cose positive: Musteeno, al momento di assemblare la
batteria dei produttori delle strumentali (capitanata da Nightskinny e con nomi di qualità tipo
Shablo, Herrera ed Esa) ha avuto il grande merito di non andare ad inseguire il suono del
momento, quello grasso, crasso e – diciamocela tutta – orrendamente sputtanato e
sputtanante che strizza l'occhio alla dance commerciale. Qua invece scorre il funk scuro che
andava per la maggiore nei primi anni dello scorso decennio. Non è qui svolto al livello
migliore, ma sarebbe stato un livello più che sufficiente se Musteeno avesse, come nelle sue
possibilità, sciorinato un rap di altissimo livello sia formale che contenutistico. Non accade,
invece. Apprezzabile che non si perda in eccessi di virtuosismo metrico ma sia attento ad
essere solido (anche se magari...), deludente però nello sciorinare rime su rime – sono
veramente tante e serrate – senza però mai un concetto o un'immagine che colpisca
davvero. Insomma, non un brutto lavoro ma, onestamente, “uno dei tanti”. E da Musteeno ci
aspettavamo di più, assai di più, a maggior ragione dopo tanta attesa per un album
d'esordio.
Contatti: www.reliefrecordseu.com
Damir Ivic
Pagina 37
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Numero Ottobre '11
NEVROSHOKINGIOCHI
L’imperfetto storico
Onlyfuckingnoise
Quintetto pasciuto nelle provincie maceratesi, i Nevroshockingiochi, gruppo dal nome quasi
impronunciabile, sono fautori di un disco alquanto tracimante di suoni ed umori. Un
calderone indistinto in cui confluiscono noise, industrial e electro-punk intonse di un aria
sinistra e malata da cui straborda una scelta che pesca ingredienti da ogni dove, senza però
acquisire una personalità propria. Molta carne al fuoco, se non troppa in questo caso, in cui
da un momento all’altro le cavalcate noise (“AtaviTV”) rallentano vertiginosamente in una
palude in cui si accartocciano su se stessi singulti sludge, voci nevrotiche a cui si
avvicendano sperimentalismi noise senza capo né coda (“San Sebastiano”). Oppure le
danze tribali di “Sig. Primogiorno” che rimbalzano su percussioni ataviche su cui si stagliano
feedback e urla crust, mentre una voce ossessiva ripete un mantra come se fosse uno
scioglilingua primordiale, risultando più come un esperimento dei Bachi da Pietra uscito male
piuttosto che come una pura pulsione alla sperimentazione. A poco servono le citazioni colte
di “Il matto e la morte” riprese da “Mistero buffo” di Dario Fo a tentar di risalire la china
attraverso un reading tentennante, cadenzato da uno strumentale di cigolii ferrosi ed intrecci
di basso e batteria, o l’innocua furia hardcore futuristica di “Il mio più bel risveglio”.
Sicuramente imprevedibili i Nevroshockingiochi, ma capire dove porta tutto questo
susseguirsi di cambi stilistici e continuo affastellarsi di inserti pescati a caso è affare assai
difficile da comprendere. Nel caso di “Imperfetto storico”, da nessuna parte.
Contatti: http://www.myspace.com/nevroshockingiochi
Luca Minutolo
Pagina 38
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Numero Ottobre '11
NEWS FOR LULU
They Know
Urtovox/Audioglobe
A cinque anni di distanza dall’esordio “Ten Little White Monsters”, tornano i News For Lulu.
Nel frattempo, sono avvenute parecchie cose per il quintetto di Pavia: Umberto Provenzani e
Andrea Girelli hanno collaborato con gli Ultraviolet Makes Me Sick, Nicola Crivelli ha lavorato
con i Green Like July ed Emanuele Gatti è stato occupato con il progetto solistico Morning
Telefilm. Rregistrato/mixato da Bruno Germano (Settlefish, My Awesome Mixtape, Disco
Drive) e masterizzato a Chicago da Carl Saff, “They Know” suona bene e sfodera dodici
tracce in inglese che legano indie-pop e post-rock con evidente gusto negli arrangiamenti (si
senta la complessa, ricca “Some Refused), arricchiti da Simone Fratti dei concittadini Emily
Plays al contrabbasso e da un’intera sezione di fiati. Le atmosfere sono perlopiù avvolgenti,
ma non mancano apprezzabili accelerate elettriche, da “Delivery Girl” in poi, e cartucce
immediatamente orecchiabili, come “My Home Is My Head”. Non c’è niente di
particolarmente originale, ok, anche perché certi sentieri stilistici, a partire dai più visibili ...A
Toys Orchestra, sono ormai percorsi in massa, ma qua ci sono sonorità dal respiro
internazionale, bravura nel gestire gli ingredienti e senso della misura nel giustapporli. Forse
sin troppo senso della misura se il lavoro si fa apprezzare nell’insieme, senza episodi che si
elevano palesemente sugli altri. Ma la compattezza è in fondo un’ulteriore dimostrazione di
maturità, padronanza dei propri mezzi.
Contatti: www.newsforlulu.com
Elena Raugei
Pagina 39
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Numero Ottobre '11
OBAKE
Untitled
RareNoise/Cargo-Goodfellas
La RareNoise di Eraldo Bernocchi comincia a caratterizzarsi sempre di più come
etichetta-che-non-sbaglia-un-colpo. Certo, non è che ad ogni uscita stravolgi il globo
terracqueo con opere di abbacinante genialità ed originalità, ma quando dimostri di saper
tenere alta la barra sia della qualità che della personalità, beh, hai vinto. Nel progetto Obake
infatti non ci sono sorprese o formule inedite, ma l'unione di menti pensanti
Bernocchi/Pupillo/Fornasari/Pandi ha dato vita ad un disco di, uhm, doom-grind-sludge
davvero consistente e con molti ma molti momenti fragranti, da andare a recuperare in una
cupa oscurità ammantata di noise, oscurità interrotta, occasionalmente, da brevi e
felicemente pericolose aperture ambient. Si respira infatti tensione, attraverso le dieci tracce
del disco, e i suggestivi momenti in cui si può (apparentemente) prendere il fiato non fanno
che rendere ancora più preziosa questa sensazione. Per Pupillo un'ottima uscita libera dagli
Zu o dagli Ardecore, per Bernocchi l'ennesima dimostrazione di forza creativa, per Fornasari
alla voce “growlata” e agli effetti e per Balazs Pandi alla batteria un'occasione per divertirsi a
fondo senza restare imprigionati in cliché. Insomma, un progetto di casa nostra che non ha
nulla da invidiare a Bohren & Der Club Of Gore, gruppo di culto in Germania e non solo.
Disco da avere, decisamente.
Contatti: www.rarenoiserecords.com
Damir Ivic
Pagina 40
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Numero Ottobre '11
RADIOFIERA
Atinpùri
Psicolabel/Self
Ha molti motivi per essere memorabile il nuovo capitolo musicale della band che canta
rigorosamente in dialetto trevigiano (data la provenienza DOC dei componenti del gruppo)
con puntatine in italiano, dei Radiofiera, sulla breccia e palchi fin dal 1992. In primo luogo il
titolo, “Atinpùri”, citazione dichiarata dello scrittore Luigi Meneghello e del suo mai
dimenticato “Libera nos a malo”, contenendo così la volontà di parlare di quegli atti impuri
che in questa nostra Italia, a partire da quel Nordest, che sembra così lontano nella mente di
alcuni, si ramificano proprio in atti e reticenze, dichiarando la condizione di tanta nostra
patria. Sesto album di inediti, come del resto sesto il comandamento che si cita nel titolo,
“Non commettere atti impuri”, ha avuto per questa nuova nascita (secondo motivo di
memorabilità) un padrino d'eccellenza come Giorgio Canali che ha rispolverato per questo la
sua vecchia etichetta Psicolabel in un'autoproduzione che così vuole far ripartire un nuovo
canale di comunicazione e di visibilità per progetti di più difficile “vendibilità” nel territorio
delle major. E questo è il terzo motivo...Ma se ne potrebbero trovare altrettanti nell'ascolto
delle diece tracce di “Atinpùri”, dense di emozioni, e di cavalcate nella musica che va dal folk
al rock, condite di elettronica. “Musicalmente Radiofiera mi fanno sentire a casa, mi piace
quell'atmosfera tra il rock e il folk, tipica di tanti songwriter americani che ascolto sempre
volentieri, Young, Springsten, Lanegan...”, dice Giorgio Canali nel comunicato stampa,
continuando che dal lato produttivo “abbiamo cercato di esasperare il lato elettrico della
banda, chitarre, bassi e batterie fortemente immerse nei suoni saturi del rock più sgarrato,
più simile, per fare un esempio facilmente comprensibile, al Neil Young degli album con i
Crazy Horse che a quello di 'Harvest'”. Parole non potevano essere più esatte nel descrive
quello che si aprirà al primo ascolto dell'album, che proprio con le chitarre, e i cori corrosi di
“Bianco su bianco”, procedono con impatto e affondo deciso nei cuori e nelle orecchie/menti,
andando con ballad dal sapore di viaggio, per tornare a casa, finalmente consapevoli di
quegli atti impuri da cui essere mondati. Amen.
Contatti: www.radiofiera.it
Giacomo d'Alelio
Pagina 41
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Numero Ottobre '11
RENATO CANTINI
Neverwhere
EvenEightsRecords
Ogni tanto girano delle piccole gemme lucenti e nessuno se le vede, nessuno se le piglia.
Mea culpa da fare in prima persona: questo disco il sottoscritto avrebbe potuto e dovuto
sentirlo ancora qualche mese fa poi, sopraffatto dal logorio della vita moderna e dalla
petulanza di certi uffici stampa più o meno professionali pronti a tambureggiarti altri ascolti,
ha finito col dimenticarlo nella pila del “questo lo sento dopo, prima le urgenze”. Malissimo.
Perché “Neverwhere” è un LP davvero delizioso. Lo è fin dall'artwork di copertina, ma il
meglio inizia con l'ascolto. Certo, bisogna masticare o essere disposti un po' a masticare del
jazz, per entrare nella giusta lunghezza d'onda: le successioni armoniche e melodiche sono
infatti quelle (mutuate da Miles Davis nei momenti migliori, da certa fusion più elegante in
quelli meno incisivi), ma gli arrangiamenti pagano molto tributo al post rock più rarefatto degli
anni 90 oppure ai connubi fra jazz ed elettronica postulati da un certo giro di musicisti
scandinavi (vedi le uscite sulla Jazzland di Bugge Wesseltoft). Serie di nomi e riferimenti a
parte, l'ascolto di questo lavoro è veramente una “cure for pain”: rilassa, immalinconisce il
giusto, inquieta quando serve, accarezza sempre. Cantini si muove con insoliti gusto ed
eleganza, sobbarcandosi tra l'altro più di uno strumento, e non perde mai l'equilibrio e la
misura. Album davvero notevole. Lo diciamo con feroce ritardo, colpa nostra. Ma l'importante
è dirlo.
Contatti: www.eveneightsrecords.com
Damir Ivic
Pagina 42
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Numero Ottobre '11
ROSSOANTICO
Rossoantico
Vivodimusica
Appartengono alla grande famiglia della canzone orchestrale d’antan i Rossoantico, anche
se definiscono il loro genere “terapeutico e di facile ascolto”. Una grande band(a), che vanta
in organico professionisti e servitori dello Stato prestati o ceduti alla musica, tra i quali il
cantante e compositore Antonio Pascuzzo (avvocato), Mario Dovinola (magistrato),
Pasquale Mosca (carabiniere). Nonché tutti gli strumenti a fiato possibili, suonati e arrangiati
da Pericle Odierna.
I Rossoantico, nome di un famoso liquore mitico e d’epoca, sono di stanza a Roma, anche
se il loro deus ex machina Antonio Pascuzzo, già produttore di Mannarino e direttore
artistico del locale romano The Place, è di origine calabrese.
L’esordio, benedetto dall’approdo in finale nella categoria “Opera prima” al Tenco, è un
debutto ricco, dodici episodi ben congegnati, suonati in maniera eccellente. “Zitto zitto”,
tambureggiante sequela klezmer di allitterazioni e iterazioni, è dedicata a Stefano Cucchi
(“Muto muto/ come il frastuono di un sopruso”). Ironia, quell’arietta di melodie e ritmi e
accompagnamenti che si usavano tra le due guerre del secolo scorso (“Chitarra ferita”, con
piccolo aiuto di Simone Cristicchi), spruzzate bandistiche (“Gioia”). Ma non solo. “Figlio del
mare” dà conto di un’attitudine più cantautorale, diciamo alla Bertoli o alla Bubola;
“Girotondo” è raccolta, un amarcord soffuso, rinchiusa sul pianoforte di Mario Dovinola;
“Spacco la roccia” una canzone di lavoro, con la partecipazione del Coro dei minatori di
Santa Fiora. Ma la vena prevalente, che resta di più, è quella di “Gillette” e “La portiera di
Silvio Pellico”. Buscaglione, Caputo, Capossela, Voltarelli. E l’”Orchestra Allegra” va. Com’è
andata in TV a “Parla con me” di qualche mese fa: la squadra traboccava, in undici, sul
palco della Dandini. E se a volte il messaggio è troppo privo di allusività, esibito e
didascalico, come in “Uomo d’onore”, la filastrocca di “Morte del tamarro” è irresistibile: “Chi
bello tamarro chi passa mo’/ si futta e si ha mangiato ‘u tamarro unn’è preoccupato”.
Contatti: www.myspace.com/302730851
Gianluca Veltri
Pagina 43
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Numero Ottobre '11
SIMONE VIGNOLA
Going To The Next Level
King
Classe 1987, Simone Vignola è un bassista irpino dalle doti non comuni. Doti che nel 2008
gli sono valse l'Euro Bass Day come “Miglior bassista d’Europa under 35”. Dopo l'esperienza
con il gruppo degli Inseedia, Vignola intraprende con l’album “Going To The Next Level”,
pubblicato dalla label giapponese King Records, la carriera solista. Eclettismo, senso del
groove, sfrontatezza (che può sfociare in presunzione), virtuosismo. La dote che Vignola
reca nel suo bagaglio. Sceglie di prodursi da sé, il giovane funambolo, suonando tutti gli
strumenti in quella che sembra una prova di forza. Un modo muscolare e entusiasta di
misurarsi col mondo, con un disco che punta a un respiro internazionale. Canta in inglese,
Vignola, ma soprattutto suona il suo basso, riverberandolo con un uso aggressivo del
looping. Funk, ovviamente, nelle corde del bassista campano. E rock, pop-soul, fusion,
qualche spruzzata house. Il link che può venire in mente, a tratti e alla lontana, è con lo Sting
più tardo e radiofonico. L’energia non manca. Ma le canzoni non sono memorabili, a onta di
una maestria e di una fantasia strumentale degne di esser messe al servizio di migliori
risultati. Restano begli armonici disseminati qua e là (“I Just Dont Wanna Miss You”, “Still
Life”, “Routine”), diversi fraseggi pregevoli, qualche slappata. Meglio della media generale
del disco, “Time is Flying Again” e la title track strumentale che chiude la scaletta, composta
da tredici tracce.
Contatti: www.simonevignola.com
Gianluca Veltri
Pagina 44
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Numero Ottobre '11
THE LEGENDARY KID COMBO
Caravansaray
autoprodotto
Dopo l'esordio del 2007 "Booze, Bucks, Death & Chicks", i The Legendar Kid Combo hanno
segnato i punti cardine della loro musica: rockabilly, country, folk-punk, esplosione, colore,
velocità e grande divertimento, secondo una logica che si manifesta al meglio durante i
concerti. "Caravansaray" è il terzo album del quintetto diventato sestetto con l'aggiunta di un
fisarmonicista dall'inizio di questo 2011 e non delude le aspettative di chi cercava il loro
sapore gitano ed instancabile. Un disco che tira dritto e trasporta nella sua frenesia
danzereccia anche le canzoni di altri artisti che i ragazzi trasformano alla loro maniera e
sono: "Paradise City" dei Guns N' Roses, "Fight For Your Rights" dei Beastie Boys e "My
Medicine" di Snoop Dogg. Ascoltando il disco, "Mustapha" è un cicchetto di whisky bevuto
d'un fiato: quel che c'è dentro è fatto di ingredienti ben precisi a cui diamo nome e cognome.
"Hangman" è una cavalcata di chitarre e voci rockabilly, "Run To Me" è una danza di gruppo
con girotordi, inchini e scambi di braccia per ballare. "Mentirosa" s'impossessa della forza
sanguinolenta e sensuale della lingua spagnola, creando un diversivo dagli altri brani cantati
in inglese. Non nascondiamo che li preferiamo sempre e comunque dal vivo, del resto anche
loro puntano tutto sul live, per esprimersi sul palco in mezzo alla gente che li guarda e
festeggia con loro la musica e la vita. Il disco era uscito inizialmente in Giappone per la
U-Pop invece in Italia è stato autoprodotto. Segno dei nostri tristi tempi? Sì.
Contatti: www.kidcombo.com
Francesca Ognibene

Pagina 45
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Numero Ottobre '11
THE LONGJ
Raggio Katarana
Edwood
Raggio Katarana” è lo sfavillante esordio fondamentalmente noise/post-rock per il duo dei
LongJ di Catania. Adolfo Macrì, chitarra e voce (già nei 100%) e Marco Riccioli, batteria e
voce (già negli Spriggan), si erano conosciuti per i rispettivi gruppi ma poi si sono incontrati
sul serio, ritrovandosi frequentatori delle stesse arterie musicali. Due veri e propri binari
paralleli che alla fine si sono incrociati e le loro simmetrie, sono cresciute insieme e diventate
frutto di una corposa propensione rock noise che ci stupisce dall’inizio alla fine. Il disco è
stato registrato in presa diretta da Sasha Tilotta (Three Second Kiss, Theramin) per
accogliere al meglio la loro essenza. Non poteva essere altrimenti. La comunicativa dei due
corpi musicali si regge su basi solide: passione, orecchio e intraprendenza creativa. Il disco
da un lato sembra l'intro per l’ascolto della pacatezza del letto di un fiume, ma un oceano di
beltà rumorosa è invece in ibernazione, infatti poi esplode e ci piace il loro intento di essere:
intensi, scarni, ruvidi, primitivi. "Raggio Katarana" ha tutte le carte in regola per costruire
un’impalcatura su cui costruire un palazzo all'interno del quale far vivere le proprie emozioni
di rabbia che è il primo sentimento sopraggiunto alle orecchie, ma dietro i passi sgambettanti
delle melodie dell'ultimo pezzo c'è il premio finale perché come in tutte le tempeste che si
rispettino arriverà il sereno: un nitido noise che volteggerà.
Contatti: www.myspace.com/thelongj
Francesca Ognibene
Pagina 46
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Numero Ottobre '11
THE REST SIDE
The Rough Core Of Things

TaRock-Black Nutria/Audioglobe
Roba Black Nutria. Un marchio di garanzia. Sai già come suona: bello tirato, chitarre
cazzute, rullante mitragliato, ritmo pressante. Insomma, musica che non lascia indifferente.
E questo è già un bel passo da non dimenticarsi. “The Rough Core Of Things”, del trio di
Barletta The Rest Side è una bella iniezione di energia: un gruppo che fa la sua cosa, cerca
di farla al meglio provando a dare un senso a una missione impossibile del contemporaneo:
farsi ricordare. Ci provano con questa miscela di stoner melodico venato di sensibilità indie
(prendete la progressione strutturale di “Proud And Race”), di rock’n’roll aspro dove la
visceralità sembra aver prevalso sulla testa e cosi via. Un tipo di approccio che in Italia sta
godendo di un buon momento creativo dopo l’exploit dei Bud Spencer Blues Explosion. Non
importa, in questo caso, collegare le dieci canzoni del disco a dieci momenti particolari per
far capire quanto non ci sia niente di nuovo o di particolarmente speciale (sarà, ma da
queste parti una band che cerca di replicare, in soldoni, i Cave In, va benissimo anche solo
per l’impegno che ci mette. In una società di simulacri, i believersavranno sempre una
marcia in più) perché, a conti fatti, il discorso dei The Rest Side è diverso. C’è una voglia di
“spaccare” che fa intendere come la registrazione sia un processo “mediato”. Che solo il live,
alla fine, sia la dimensione adatta. Dove le sensazioni possono essere toccate al di là di ogni
discorso. Se il disco deve essere una sorta di scusa per andare in concerto e sfoderare la
propria vera natura, mi sembra che ne valga la pena.
Contatti: www.myspace.com/therestside
Hamilton Santià
Pagina 47
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Numero Ottobre '11
THEE PIATCIONS
Senseless>Sense
I Blame The Parents
Non vi tedierò con il tipico discorso che suona come “anche a Domodossola sono arrivati i
Jesus and Mary Chain”, ma di certo sono sorpreso di come un gruppo come i Piatcions
possa suonare così preciso e credibile pur venendo da un posto tutto sommato periferico.
Non so se il gruppo suona guardandosi i piedi, ma di sicuro lo shoegaze scorre forte in
questo “Senseless>Sense”, del resto con un incipit come “Red Van” il paragone a certi muri
del suono viene automatico. Loro ci tengono a precisare che non è un mero revival, ed io vi
posso confermare che non di esercizio di stile trattasi, in nove brani si possono ascoltare
influenze più recenti, flirt pop à la Raveonettes, melodie accattivanti (“As Seen Through The
Telescope”) e cavalcate psichedeliche davvero molto Seventies. La produzione,
appannaggio di James Aparicio (in precedenza dietro al banco per Spiritualized e Liars)
riesce a mio parere a combinare l’aspetto più accessibile di questo genere senza snaturare il
suono denso che piace agli estimatori. Dopo un ascolto notturno in cuffia, proprio sul
crescendo che conclude “Stargazer”, e l’intero lavoro, mi è apparso l’arcangelo Gabriele (o
era Kevin Shields?) che mi indicava la Valdossola. Credo sia chiaro ormai che i Piatcions
sono in missione per conto di Dio, e “Senseless>Sense” è un ottimo viatico.
Contatti: www.piatcions.org
Giorgio Sala
Pagina 48
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Numero Ottobre '11
TUBAX
Il mondo stava finendo
Mega Sound
Ci vuole del bel coraggio per - è quello che fanno i bolognesi Tubax - sintetizzare un ibrido
tra funk, progressive ed elettronica, cercando di non lasciarsi sfuggire di mano le trame
d'insieme e senza sembrare troppo fastidiosamente sovraccarichi di input, claustrofobici nel
saturare gli spazi. Ci vuole anche una preparazione tecnica di un certo livello per riuscirci, a
dirla tutta, e il quartetto di certo non ne è sprovvisto. Se ogni tanto la tentazione di risolvere il
tutto in lunghe jam prende il sopravvento (una strada praticata non senza creare momenti
suggestivi), il più delle volte i brani sono movimentati e articolati, sviluppano le idee in
maniera interessante e non del tutto prevedibile. È un ascolto impegnativo in più di una
occasione, nonostante (o forse proprio a causa di) un persistente groove dalle coloriture
scintillanti, ma si tratta senza dubbio di un progetto originale, meritevole di trovare un
pubblico più ampio. Nei momenti migliori è come ascoltare i Trans Am che scoprono
l'esistenza dei Weather Report e di Sly And The Family Stone, nei peggiori è come assistere
ad un ordinario sfoggio di virtù strumentali, il lato positivo è che la bilancia punta il più delle
volte alla prima ipotesi.
Contatti: www.myspace.com/tubaxsound
Alessandro Besselva Averame
Pagina 49
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Numero Ottobre '11
VERILY SO
Verily So
Inconsapevole
Una suadente e “sporca” grazia folk: contagiosa ed affascinante. Questa è la “verità” che
emerge chiaramente dal debutto omonimo dei Verily So, band proveniente dalla provincia
livornese con alle spalle un demo di circa un anno fa che già faceva intuire buone cose. Con
l'aggiunta del bassista Luca Dalpiaz al nucleo originale composto da Simone Stefanini e
Marialaura Specchia, il trio è andato ben oltre le più rosee aspettative. Senza strafare: è
questo il valore aggiunto dell'album. Sono la naturalezza e la semplicità di fondo e la giusta
misura nel dosare, tra quiete e crescendo elettrici, chitarre, basso e batteria a impreziosire,
paradossalmente, il risultato finale. È proprio l'equilibrio strutturale a permettere alle
suggestive melodie vocali – rigorosamente in inglese – ora di scavare in profondità ora di
solcare il cielo ora di adagiarsi serene sul tappeto sonoro, così da dar vita a dieci canzoni
organiche ma mai troppo simili a se stesse. Eterogeneità che si rafforza anche per il fatto
che sono due le voci che si rincorrono e si scambiano: quella evocativa e duttile di
Marialaura e quella più ruvida di Simone. I riferimenti sono molti e di primissimo livello (Low,
L'Altra, Jesus And Mary Chain, il Frank Black di “Fast Man Raider Man”, Patti Smith, etc),
ma i tre riescono a confonderli così bene grazie soprattutto a una scrittura impeccabile e
personalizzata, di chiara matrice folk tradizionale ma incline a “sporcizie” noise, wave, surf,
condite immancabilmente da una malinconia fascinosa. Tutto ciò sempre distante anni luce
da inutili sovrastrutture, dighe o filtri. Non si registrano né cadute di tono né momenti di
stanca: ogni traccia potrebbe essere un potenziale singolo ben congegnato. Una band da
seguire con attenzione. Come i Verily So, anche noi non stiamo esagerando.
Contatti: www.myspace.com/verilysomusic
Andrea Provinciali
Pagina 50
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Numero Ottobre '11
VINCENZO FASANO
Il sangue
Eclectic Circus/Venus
Un disco cantautorale aspro e vagamente deragliante come la voce del suo autore che, in
qualche occasione, ci fa venire in mente un Bugo sorpreso a sconfinare nel territorio di
Capossela, qualcosa di classico, arcaico, e desolatamente “nel presente” allo stesso tempo:
le canzoni dell'esordiente Vincenzo Fasano si muovono nella terra di mezzo che sta tra
quella canzone d'autore che sa un po' di fumo e alcool e un più moderno flusso di coscienza
che respira la stessa aria di fenomeni come Le Luci Della Centrale Elettrica, con risultati che,
se pure non sorprendono del tutto, denotano una certa personalità. A impreziosire le trame
di un album registrato con la consueta inventiva di artigiano da Manuele Fusaroli al Natural
Head Quarter di Ferrara ci sono i contributi sparsi di Riccardo Sinigallia, Dino Fumaretto e
Gionata Mirai del Teatro Degli Orrori, ma il risultato complessivo, tra tanghi malinconici e un
po' scassati (“Paillettes”) ed esistenziali invettive velenose (“Il farmaco etico”, il momento
migliore probabilmente) è, a livello di mood e di intensità performativa, piuttosto coeso e
compatto. È un esordio, e come tale va considerato: qualcosa, probabilmente, va ancora
messo a fuoco, il materiale umano e poetico su cui lavorare di lima, in ogni caso, c'è di
sicuro.
Contatti: www.vincenzofasano.com
Alessandro Besselva Averame
Pagina 51
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Numero Ottobre '11
VOTE FOR SAKI
Brucio
Storie di Note-Black Nutria
La Black Nutria continua la sua opera di resistenza culturale pubblicando dischi rock senza
compromessi, marci, sporchi e cattivi di chi fondamentalmente se ne frega di tutto e tutti. Ma
questa volta fa un buco nell’acqua. “Brucio” dei Vote For Saki è un lavoro assolutamente
scadente. Non che manchino impegno e perizia tecnica (soprattutto da parte del chitarrista e
cantante Riccardo Carestia), ma sembra che le canzoni del disco, fondandosi su un blues
retorico, retrogrado e nostalgico, prendano un sacco di direzioni – ora verso il pop
all’Italiana, ora verso l’indie, ora verso lo stoner – per non andare, stringi stringi, da nessuna
parte. Sembra di ascoltare gli Zen Circus alle prese col manierismo, i Marta sui Tubi senza
velleità autoriali, Daniele Silvestri che si improvvisa interprete di Muddy Waters (qui
coverizzato con “Can’t Be Satisfied (Quando vedo nero)”), gli Anubi senza autoironia, i Bud
Spencer Blues Explosion incapaci di “spaccare”, gli Styles che non ce l’hanno fatta ad
andare su MTV e così via. Insomma, non c’è nessun motivo al mondo per ascoltare i Vote
For Saki. Certo, non fanno male a nessuno e probabilmente le buone recensioni che al
giorno d’oggi non si negano a nessuno regaleranno un po’ di conforto, ma quando passi il
tempo cercando di capire quanto tempo manca alla fine del disco vuol dire che le cose non
vanno proprio.
Contatti: www.voteforsaki.com
Hamilton Santià
Pagina 52
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Numero Ottobre '11
WHEELS OF FIRE
Hollywood Rocks
Avenue Of Allies
Non possiamo certo parlare di una novità per questo esordio dei Wheels Of Fire, uscito
circa un anno fa, ma è solo ora che finalmente l’album viene distribuito e promozionato a
dovere sul territorio italiano. Sì, perché nel caotico mondo discografico di questi anni dieci è
possibile che una band italiana esca per una label tedesca e quindi il suo CD sia di fatto
introvabile in patria. Con le Ruote di Fuoco siamo nei territori dell’hard rock melodico di
matrice anni 80, un’epoca che qui da noi, come nel resto del mondo, trova ancora consensi
tra un pubblico di nicchia, non necessariamente di nostalgici. Le undici canzoni (dodici
nell’edizione giapponese) sono legate a doppia mandata a quei nomi che hanno illuminato la
stagione gloriosa del genere, quindi Bon Jovi e Ratt e tutta la miriade di band da culto, che
ogni appassionato saprebbe snocciolarvi senza respirare. Dietro al progetto Wheels Of Fire
c’è Michele Luppi, che ha prodotto e co-scritto tutto il materiale con il cantante e tastierista
Davide Barbieri; il risultato della loro collaborazione vive di pregi (melodie ariose e grande
emotività) e difetti (limiti compositivi) tipici del genere, ma nel mazzo il quartetto, che
tecnicamente si destreggia bene, pesca tre gemme come l’intensa ballata “I Can’t Live
Without You” e i refrain di “The Reason” e “Everywhere I Go”. I fan apprezzeranno senza
riserve.
Contatti: www.wheels-of-fire.com
Gianni Della Cioppa
Pagina 53
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Numero Ottobre '11
WORKING VIBES
Italia solo andata
Arroyo/Venus
Quattro album in quasi dieci anni non sono pochi, rappresentano un bel segno di
perseveranza ed impegno, soprattutto quando si sa che non sarà certo un disco a farti
cambiare la vita rendendoti ricco: nei Working Vibes infatti non c'è modo di sentire bieco
opportunismo, il tentativo ansioso/ansiogeno di imbroccare “quel” singolo o “quella” ricetta
che ti permettano di sfondare. Al tempo stesso il loro reggae e raggamuffin non è
staticamente abbarbicato sui cliché del genere: ci provano ad infilare altre suggestioni – pop
o cantautorali che siano – e non sono moltissimi i loro colleghi di genere a farlo. Il risultato è
che la loro musica, e su questo “Italia solo andata” più ancora che in passato, scorre facile
all'ascolto, non arrivando mai ad annoiare. Certo, chi cerca idee spiazzanti, soluzioni originali
e coraggio creativo qua non troverà proprio nulla per i propri denti, meglio dirlo chiaro prima
di creare false illusioni. Però per intrattenere intrattiene, questo disco, senza mai essere
troppo piatto o paraculo. C'è addirittura una cover di Piero Ciampi (“Te lo faccio vedere chi
sono io”), che gira già da un po' di tempo – con tanto di riconoscimento al Premio dedicato al
cantautore livornese – ma il momento migliore è “Le scelte che fai”, semplice ma molto
incisiva e significativa nel testo. Nel mixaggio c'è di mezzo pure il santone Dennis Bovell, già
loro collaboratore: magari il suo tocco non dà un contributo superultrafantascientifico come
qualità, ma tutto l'album anche nei suoni scorre forte e chiaro.
Contatti: www.myspace.com/workingvibes
Damir Ivic
Pagina 54
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Numero Ottobre '11
CHERRY LIPS
Baricentro, San Martino Buon Albergo (VR), 23 settembre 2011
Sono passati tre anni dalla pubblicazione dell’album di esordio delle Cherry Lips, spesi tra
tanti concerti, una meritata ascesa e una pausa dovuta anche al cambio di line-up: al posto
della batterista Serena è arrivato Mattia, unico maschietto della formazione. Questa sera si
ripresentano ai fan per presentare il secondo album. Il locale è pieno, ma c’è un’atmosfera
diversa rispetto ai frizzanti esordi: la band ha acquisito la consapevolezza che con il rock
non si campa e quindi con ironia, ma anche una buona dose di tristezza, la leader Stefy
racconta di un disco “cazzuto” concepito per rispondere ad un mercato discografico
collassato. L’inizio è subito sparato con le chitarre di Elisa e Stefy che costringono la voce di
quest’ultima a ruggire, mentre la bassista Elisa lavora certosina e potente a reggere il passo
del batterista. I nuovi brani “Go Home” e “Sick And Spiteful” ben si integrano con quelli noti,
come “Right Now” e una “Mean Hot And Nasty” sparata a mille all’ora con la sorpresa
dell’ospitata di Serena alla batteria. I fan applaudono e c’è anche un momento tipicamente
rock’n’roll, Stefy cade dal palco ed Elisa esplode nel microfono un clamoroso “Possiamo
dirlo noi donne? Vaffanculo ai tacchi delle scarpe...”. Nel frattempo le Cherry Lips avevano
piazzato una “Helter Skelter” di casa Beatles, “Dead Or Alive?” e “The Race Is On” di prima
categoria, e brani nuovi, “Spit It Out”, “My Satellite” e “Apathy” sulla scia dei Foo Fighters. I
bis sono affidati a “Lick It Up” dei Kiss e alla rilettura quasi punk del loro classico “Mean Hot
And Nasty”, degna chiusura, tra applausi e botti, di un concerto che ci riconsegna una delle
classic rock band, più interessanti del panorama italiano degli ultimi anni. Stanno per
trasferirsi in Inghilterra, staremo a vedere se succederà qualcosa.
Gianni Della Cioppa
Pagina 55
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Numero Ottobre '11
GOLDALINE MY DEAR
I Goldaline My Dear sono metà Girless & The Orphan (Girless/Tommaso Gavioli, quello
“senza ragazza”, per la precisione), e metà Shelly Johnson Broke My Heart, ovvero Davide
Ramilli. Si presentano con un EP composto da quattro canzoni, un pugno polveroso di
ballate folk dal sapore melanconico (dove il “mela” sta per melenso). Sì, perché in queste
quattro scarne canzoni folk di sole chitarre e voce, puntellate qua e là da piccoli inserti di
chitarra elettrica e batterie che s’insinuano di soppiatto, si respira un aria di abbandono e
solitudine universale. Forse una pura espiazione verso le proprie sofferenze amorose,
sintomo e reazione ormai classica in tutta la tradizione rock, che i due ripercorrono
seguendone le orme e misurando il passo nell’impronta molto più grande del proprio piede.
Un progetto collaterale senza precise attese future, ma per ora godiamoci questa piccola
raccolta di ballate che rivangano nel ventre molle dei ricordi senza particolari pretese di
sorta. Poi, potrete tornare ad intrecciarvi le sinapsi con il nuovo disco degli Hella , ma ogni
tanto tornare alle radici fa sempre bene, per assaporarne il gusto amarognolo che rimane
incastrato tra le guance.
Contatti: www.stoprecords.it
Luca Minutolo
MARCELLO E IL MIO AMICO TOMMASO
Marcello e il Mio Amico Tommaso si chiamano Marcello e Tommaso come banalmente
avrete già ipotizzato. E talvolta la banalità è la risposta più ovvia. Marcello suona la chitarra
in una giovane band tutta entusiasmo e belle speranze di nome The Jacqueries, Tommaso
invece è violoncellista del Teatro dell’Opera di Roma. Banalità presto sfatata, perché oltre ai
due Tommaso e Marcello, al gruppo si uniscono Gianlorenzo, oboista sempre per il Teatro
dell’Opera di Roma e Margherita, seduta comodamente dietro le pelli.
Si presentano con un EP (“Chounette”) gratuito composto da cinque canzoni e una sana
vena pop/folk puzzolente di fiori di campo appena colti dai fratelli Davies, ed un raffinato
gusto per la melodia-camomilla d’oltremanica, che rafforzano ed alimentano a suon di
piccole orchestrazioni l’amore incondizionato che i romani Jacqueries nutrono nei confronti
dei maestri del genere.
Anche qui non troviamo particolari pretese o significati nascosti di fondo, solo una sana
voglia di melodia che ci trascina per pochi attimi verso una spensieratezza cullata tra le
rassicuranti braccia del folk-pop più accomodante e garbato, su cui band come Belle And
Sebastian hanno costruito la propria fortuna.
Contatti:
http://42records.bandcamp.com/album/marcello-e-il-mio-amico-tommaso-chounette
Pagina 56
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Numero Ottobre '11
Luca Minutolo
MARY IN JUNE
I Mary In June sono quattro baldi giovani provenienti da Roma, che esordiscono con un EP,
“Ferirsi”, dal titolo pressoché esplicativo e programmatico. Estremamente intimi ed introversi,
i Mary In June espiano i propri patemi d’animo e di coscienza in sei tracce dense di passione
e sofferenza. Perché anche se tutto ruota intorno all’Io più nascosto e abissale di ogni
individuo - ben rappresentato dalla metafora della profondità di “In fondo al mare” - la loro
proposta brancola nel rock più introspettivo che si fa fragoroso o più sommesso a seconda
delle tormentate emozioni che muovono questo piccolo esordio, seguendo comunque dei
canoni piuttosto consoni e comuni al genere, coadiuvati da un cantato declamatorio che
spesso e volentieri si concede alle braccia sicure e confortevoli della melodia di facile
impatto, ma comunque infarcita di testi dal lirismo alto e ricercato.
Insomma, un dolce approdo per cuori tormentati ed anime ansimanti, sicuramente fustigate
a dovere dalla malinconia che straborda da questo EP, che sa benissimo individuare i nervi
scoperti e percuoterli a dovere. Ascoltate il ritornello disperato di “In fondo al mare” e poi
vedrete se non rimarrà in testa per almeno due o tre giorni, e nemmeno se andrete a
“nuotare in fondo al mare” riuscirete a liberarvene.
Contatti: http://maryinjune.bandcamp.com
Luca Minutolo
THE SURICATES
Quanto è stato detto fino ad oggi in campo post-rock? Ma soprattutto, quanto è labile, sottile
e fragile il confine che lo divide dalla semplice musica strumentale? I The Suricates,
quintetto partorito dalla silente provincia teatina, si ritrova intrappolato in una nebulosa
informe che si muove all’interno delle loro creazioni, e che in alcuni casi riesce a superare e
rompere le mere barriere del genere. La qualità del loro EP d’esordio non di certo aiuta a
scovarne queste sottili sfumature, ma sotto la coltre inestricabile di ronzii, canali invertiti e
tutte le difficoltà che portano all’udito ogni registrazione “fatta in casa” che si rispetti, di spunti
e piccole spore da far germinare ce ne sono. A partire dalla voce, così duttile, malata e
sincopata da cambi stilistici vertiginosi, ma non ancora addomesticata a dovere, come un
John De Leo lasciato a piede libero di esibirsi in gorgheggi e sussurri soavi, per poi
implodere in urla belluine e singulti spezzati, intento a giocare con manopole e registratori
per bambini. Oppure dalle intuizioni ed intrecci chitarristici che, arrampicandosi l’uno
sull’altro, finiscono per troppa foga ed eccitazione febbrile ad annullarsi a vicenda.
È tutto molto acerbo in questo EP d’esordio, ma la sostanza sotto le imperfezioni e gli sbagli
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Numero Ottobre '11
tecnici si riesce ad “intrascoltare”. Speriamo solamente che questa nebulosa si trasformi in
stella, e non imploda in un buco nero. Noi intanto continuiamo a rimirar questo cielo di
cartapesta puntellato d’astri.
Contatti: http://www.myspace.com/suricatesband
Luca Minutolo
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