psicoterapia psicoanalitica - Appuntiunito

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psicoterapia psicoanalitica - Appuntiunito
PSICOTERAPIA PSICOANALITICA
Nancy McWilliams
I. CHE COSA DEFINISCE UNA TERAPIA PSICOANALITICA?
Le Terapie Psicoanalitiche derivano direttamente dalle concezioni di Freud e dalle modifiche portate
dai suoi seguaci. Secondo Blagys e Hilsenroth (2000) le caratteristiche distintive sono:
- focus su affetti ed espressione delle emozioni;
- esplorazione delle resistenze dei pazienti;
- identificazione di schemi ripetitivi nel corso di vita;
- enfasi sulle esperienze del passato;
- focus sulle esperienze interpersonali;
- attenzione alla relazione terapeutica;
- esplorazione di desideri, sogni e fantasie (dinamiche intrapsichiche).
Rispetto ai suoi Riferimenti Storici la Psicoanalisi si è sviluppata, negli anni '20, negli Stati Uniti
cercando di stabilire un processo tecnico-metodologico standardizzato che rispondesse alle critiche
sulla pratica medica emerse dal Rapporto Flexner (1910), il quale accusava i medici di seguire
standard inconsistenti.
Questo Processo di Medicalizzazione della Psicoanalisi, fortemente criticato dallo stesso Freud che la
descriveva più come un'arte, ha creato numerosi problemi:
- Isolamento della Psicoanalisi dagli Istituti Universitari;
- Soddisfazione del Bisogno Economico e di Autoriconoscimento dei Medici;
- Mancanza di Studi sugli Esiti delle Terapie Psicoanalitiche;
- Utilizzo della Psicoanalisi per Giustificare Norme Sociali Conservatrici;
- Utilizzo di Procedure e Regole Standard per Tutti i Pazienti.
La presenza sempre maggiore di terapie che si rivolgessero a patologie più gravi (ad es. psicosi,
borderline, abuso di sostanze...) ha poi permesso di scindere la Psicoanalisi Classica, basata sulle
concezioni di Freud e sulla Nevrosi di Transfert), dalle Psicoterapie Psicoanalitiche (o
Psicodinamiche) che, con un setting diverso (generalmente posizione vis-a-vis e 2/3 sedute
settimanali) permettesse di alleviare i sintomi di tali patologie. Questa distinzione non deve però
essere considerata in modo netto ma come un continuum tra terapie espressive e supportive.
E' poi grazie alla Psicoanalisi Relazionare, basata sulle teorie di Ferenczi, Klein, Winnicott e Sullivan,
che si è poi sviluppato un atteggiamento più consapevole degli analisti rispetto al proprio
controtransfert e a ciò che entrambi i soggetti in gioco (analista e paziente) portano all'interno della
terapia.
McWilliams, nel riassumere il suo training formativo analitico, sottolinea come sia importante
continuare a considerare la Psicoanalisi un'arte ma come l'essere aperti ad altri approcci (ad es.
cognitivo-comportamentale, sistemico...) permetta di mettere in continua discussione il proprio
dogmatismo a favore di una rielaborazione personale delle tecniche, che devono comunque non
risultare mai standard ma adattabili ad ogni singolo paziente.
II. LA SENSIBILITA' PSICOANALITICA
Considerando la Sensibilità Psicoanalitica bisogna analizzare una Gestalt (intesa come un tutto di
cui non si possono scindere le singole parti) formata da vari elementi:
1. Curiosità e Meraviglia: il lavoro analitico, basato sulla necessità di accedere all'inconscio del
paziente, deve rivelarsi recettivo verso tutto quello che si presenta (sogni, comunicazioni verbali e
non...) e curioso verso i significati che questo assume per il paziente. La meraviglia riguarda invece un
tipo di concezione più generale ed universale rispetto all'attuale scienza specializzata, che permette di
sovvertire la logica e di accedere direttamente alle concezioni profonde dell'analista e del paziente;
2. Complessità: si basa su due concettualizzazioni proprie di Freud. La prima è la
Sovradeterminazione, secondo cui le problematiche e tendenze psicologiche hanno più di una causa
(etiologia complessa), mentre la seconda è la Funzione Multipla, che analizza le diverse funzioni
inconsce di una data tendenza psicologica. I soggetti vanno quindi visti nella loro complessità e vanno
aiutati a comprendere i diversi aspetti di se stessi;
3. Identificazione ed Empatia: come definito da Bollas secondo cui "per trovare il paziente,
dobbiamo cercarlo dentro di noi", le terapie psicoanalitiche prevedono che l'analista si identifichi con le
tendenze (anche quelle più psicotiche o distruttive) del paziente e che li aiuti a gestirle con empatia;
4. Soggettività e Sintonizzazione Affettiva: il lavoro degli psicoanalisti è fortemente basato sulla
soggettività, intesa come risposta soggettiva i vissuti portati dal paziente, e sulla sintonizzazione
emotiva, che riguarda la capacità di provare in se le emozioni dell'altro. Nonostante il tentativo di
mantenere un atteggiamento freddo e distaccato, la psicoanalisi ha sottolineato nel suo sviluppo il
ruolo di tali risposte personali sia nella comprensione del paziente che nelle possibilità che essa offre
rispetto al processo terapeutico e di cura;
5. Attaccamento: i concetti di Bowlby e Mahler relativi alle Modalità di Attaccamento hanno influito
sulla psicoanalisi portando alla necessità di valutare le modalità di relazione analista-paziente,
lavorando su come essa si evolve dall'utilizzo di schemi arcaici infantili all'esperienza di una nuova
relazione basata sull'amore. Questo rende la relazione in se, e non solo l'interpretazione, strumento
fondamentale per promuovere la cura e la consapevolezza dei pazienti;
6. Fede: intesa come fiducia viscerale in un processo, nonostante momenti inevitabili di difficoltà e di
dubbio, è il concetto cardine delle terapie psicoanalitiche. In questo senso ogni terapia non è
determinabile a priori ma paziente e terapeuta devono avere fede nel fatto che essa permetterà lo
sviluppo di una serie di elementi di maturazione affettiva, emotiva e cognitiva che permetterà
l'approssimarsi alla verità singola di ogni soggetto.
III. PREPARAZIONE DEL TERAPEUTA
I terapeuti giovani ed inesperti spesso vivono con preoccupazione i loro primi contatti con i pazienti.
Bisogna comunque spesso ricordare che per essere terapeuti non necessariamente bisogna essere
un esempio di salute psico-fisica, anzi alcune difficoltà incontrate nella vita possono aiutare verso
questa professione, ed inoltre l'entusiasmo proprio dei primi anni tende a compensare la mancanza di
esperienza.
Nonostante sia impossibile essere preparati a ciascun paziente, visto la complessità e l'unicità di ogni
relazione terapeutica, bisogna considerare alcune Considerazioni Introduttive:
- Sul Commettere Errori: è inevitabile che un nuovo terapeuta commetta errori. Ciò può risultare anche
utile in quanto permette di migliorare la propria tecnica ed apprendere dall'esperienza cosa è più o
meno giusto fare con un dato paziente. Considerando che comunque non esistono regole
universalmente valide per trattare i pazienti, rimane comunque necessario seguire le indicazioni
deontologiche e nella maggior parte dei casi i consigli dei supervisori. Le ferite narcisistiche subite dai
terapeuti, fastidiose quanto funzionali, gli consentiranno un domani di agire in modi migliori;
- Sull'Essere Se Stessi: bisogna essere capaci di non "indossare una maschera" ed utilizzare se stessi
come fondamentale strumento terapeutico, senza però cedere i propri consigli e le proprie
informazioni al paziente, in quanto questo si rivela un modello amicale non funzionale alla terapia;
- Su Come Ottenere il Massimo dalla Supervisione: bisogna essere in grado di utilizzare il miglior
modo per ottenere consigli e corrette interpretazioni da parte del supervisore. Sicuramente il rapporto
terapeuta-supervisore deve essere sincero e proficuo, e bisogna essere in grado di mettere in
discussione i propri punti di vista. Il ruolo della supervisione, al di la delle competenze legali secondo
cui il supervisore è responsabile legalmente delle azioni del supervisionato, è quello di riflettere sul
percorso terapeutico in atto e di giungere ad una migliore gestione di ciò che va fatto. Varie
problematiche si possono riscontrare in supervisioni eccessivamente teoriche o in supervisioni
incentrate sulla cura del terapeuta (e non sul caso portato), ma in questi casi il giovane analista deve
essere in grado di gestire tali situazioni per far capire al supervisore le difficoltà che incontra in tali
atteggiamenti (è quindi inutile e controproducente un atteggiamento passivo di accondiscendenza).
Gli argomenti trattati precedentemente portano all'indiscutibile necessità di una Terapia per il
Terapeuta che permette una crescente consapevolezza dei propri enactment inconsci e delle proprie
identificazioni-proiezioni relative al paziente, elementi necessari in una terapia non fondata sul
semplice padroneggiamento di competenze e tecniche. Se è già comunque stato dimostrato che la
terapia personale non può far giungere, come si auspicava Freud, alla neutralità e oggettività, essa è
comunque il miglior strumento per giungere ad un ascolto maturo ed empatico. Secondo
Fromm-Reichmann (1950) l'Utilità dell'Analisi Personale risiede in quattro aspetti:
- ridurre la probabilità di acting out e promuovere la riflessione delle risposte controtransferali;
- migliorare la vita extraprofessionale del terapeuta, in modo che essa nei crei bisogni che hanno
impatto sulle terapie;
- creare una realistica autostima, così da saper gestire anche comunicazioni ostili e svalutanti senza
attivare modalità difensive;
- familiarizzare con le proprie dinamiche rende possibile riconoscere processi analoghi negli altri.
Secondo McWilliams essa è necessaria inoltre per sperimentare se stessi nel ruolo di paziente e,
attraverso questo, comprendere il funzionamento pratico della terapia stessa (elemento esperienziale
che nessun manuale può sostituire).
Permette inoltre al futuro terapeuta di comprendere la funzionalità della terapia, che gli consentirà di
"aver fede" in essa anche nei momenti difficili, e di migliorare la propria gestione emotivo-affettiva.
Vista la sua preparazione clinico-teorica McWilliams consiglia un'analisi da 3/4 sedute settimanali per
almeno 2 anni. E' comunque vero che diverse scuole di specializzazione prevedono espressamente
tempi e modi in cui la terapia personale deve essere svolta.
Infine, rispetto ad Altre Indicazioni Fondamentali per la Pratica, risultano necessarie una buona
conoscenza in vari ambiti storico, culturali e letterari (come già teorizzato da Freud), conoscenze
sociali e culturali rilevanti, aver avuto differenti esperienze di vita (sopratutto con persone molto
diverse da se) ed una riflessività e curiosità innate relative all'essere umano e alle sue difficoltà.
IV. PREPARARE IL CLIENTE
La ricerca empirica ha più volte sottolineato l'importanza di quello che Freud definiva Transfert
Positivo Irreprensibile (per distinguerlo da quelli idealizzanti o negativi), inteso come positiva
collaborazione tra paziente e clinico, per una buona riuscita della terapia.
Greenson (1967) e Zetzel (1956) hanno coniato i termini di Alleanza Terapeutica e Alleanza di Lavoro
per sottolineare questi aspetti di collaborazione.
L'errore più comune per i terapeuti alle prime armi è quello di dar per scontato che i pazienti
conoscano l'andamento della terapia e comprendano quindi subito i loro interventi.
Dato che questo non è vero e che "iniziare a fare terapia" direttamente senza un'adeguata
preparazione del cliente può portare ad incomprensioni (alcune domande di approfondimento del
terapeuta possono essere vissute dal cliente come richieste di conferma da parte del terapeuta
stesso), sono necessari alcuni accorgimenti per Preparare il Cliente:
1. Creare un Clima di Sicurezza: bisogna all'inizio soddisfare i bisogni di sicurezza dei pazienti
(Sullivan, 1953) che riguardano principalmente:
- Sicurezza Fisica: è fondamentale, sopratutto nei casi in cui tale sicurezza è messa a rischio, fornire
ai pazienti una serie di strumenti e di accordi che permettano al terapeuta e al cliente stesso di
tutelarsi dai rischi relativi alla sicurezza fisica. Nel caso di depressi o bipolari McWilliams consiglia di
discutere con il paziente stesso una lista di numeri da poter chiamare in caso di bisogno. Essa può
rappresentare una sorta di "oggetto transizionale" sostitutivo del terapeuta. Nel caso di pazienti
borderline, in cui le condotte suicide sono spesso volte ad ottenere l'attenzione, bisogna invece
lavorare sul significato che queste anno, esplicitando al paziente che spesso sono risposte a
sentimenti di abbandono. Poco utili risultano i Patti per la Sicurezza in quanto spesso sono stipulati in
modo non sincero dal paziente.
Fondamentale è anche la sicurezza fisica del terapeuta. In questo senso bisogna vagliare
attentamente la storia clinica del paziente prima di prenderlo in cura e successivamente, nel momento
in cui si è oggettivamente preoccupati per la propria incolumità, predisporre le condizioni per lavorare
in sicurezza, in quanto è proprio tale senso di sicurezza che permetterà una migliore gestione del
trattamento;
- Sicurezza Emotiva: per questo è fondamentale permettere al cliente di verbalizzare le proprie
preoccupazioni rispetto all'analista, come lo stesso terapeuta deve comunicare al paziente che alcuni
elementi potranno non andare bene nella loro relazione terapeutica e che queste cose andranno
affrontate. Necessaria è anche la negoziazione di alcuni aspetti della terapia (onorario, numero di
sedute, telefonate, cancellazione delle sedute...) che però non deve mai scontrarsi con la libertà
propria del terapeuta (ad es. essere chiamati a qualunque ora tra una seduta e l'altra). Bisognerà poi
analizzare i motivi di tali richieste.
Anche le richieste iniziali e particolarmente personali fatte dai pazienti devono essere indagate nel loro
significato.
2. Informare il Paziente sul Processo Terapeutico: ciascun terapeuta sviluppa un proprio modo,
generalmente basato su storielle o analogie, per spiegare ai pazienti i vari elementi del processo
terapeutico. Alcuni elementi che bisogna considerare sono:
- Consenso Informato: può essere utile far firmare ai pazienti una serie di regole in cui si spiega come
si svolge la terapia psicoanalitica. Questo può tutelare i terapeuti da future cause portate da accuse
spesso vendicative da parte dei pazienti;
- Affrontare i Primi Ostacoli ad una Piena Partecipazione al Trattamento: bisogna rivelarsi in grado di
gestire le resistenze del paziente alla terapia, aiutandolo a ragionare sui motivi che le inducono (siano
essi personali, sociali o culturali) e cercando di rassicurarli nelle possibilità che offre un'alleanza di
lavoro in terapia. A volte può risultare utile, sopratutto per pazienti di differenti culture, educare il
paziente a questo tipo di collaborazione, che egli può non conoscere;
- Promuovere un Linguaggio Spontaneo, Sincero ed Emotivamente Espressivo: è necessario
verbalizzare al paziente la necessità che il rapporto si basi su una comunicazione sincera e
spontanea, e come tale tipo di comunicazione permetta di connettere gli elementi cognitivi e
problematici al livello emotivo, il quale è più di difficile verbalizzazione. Risulta inoltre utile far
esprimere al paziente come stanno andando le cose in terapia in quanto questa responsabilizzazione,
unita ad un significato di interesse, permette di scoprire cose non prevedibili;
- Raccomandare l'Uso del Lettino: nonostante all'inizio i pazienti possano risultare diffidenti, la
posizione sul lettino facilità per il terapeuta l'Attenzione Liberamente Fluttuante teorizzata da Freud e
permettere al cliente di entrare di più in contatto con il transfert, senza concentrarsi necessariamente
sul contatto visivo (e sul significato che esso ha) con il terapeuta;
- Introdurre il Lavoro con il Transfert: è fondamentale che il terapeuta spieghi, nel momento in cui
sorge, l'esistenza del transfert e come esso si frutto di proiezioni del paziente nei confronti del
terapeuta. Bisogna inoltre far comprendere come questo processo, che il paziente può vivere come
frustrante, sia particolarmente utile in quanto permette di "rivivere" le situazioni problematiche passate
in un setting protetto, potendo così analizzarle e trovare modalità differenti di gestione.
V. I CONFINI: IL SETTING
Considerando che sin dall'inizio Freud ha fornito dei consigli generali che egli aveva ricavato dalla sua
pratica clinica, consigli che però non erano vere e proprie regole generali ma solo indicazioni utili per
la terapia, bisogna analizzare alcuni Elementi Generali sul Terapeuta e su i Suoi Confini, intesi in
questo senso relativi al Setting in cui lavora.
Fondamentale è stabilire con il paziente un Insieme di Regole Chiare e Coerenti che, basandosi sulla
storia del cliente stesso, permettano di rispondere ai bisogni inconsci (disponibilità/rigidità). Già nelle
prime sedute il paziente sottoporrà al terapeuta un "test" in cui valuta la sua capacità di rispondere
diversamente alle problematiche esposte rispetto agli altri soggetti presenti nella sua vita. Nonostante
la stessa McWilliams sostenga che spesso sono le deviazioni dal setting quelle che permettono un
avanzamento nel percorso terapeutico, esse devono essere abilmente dosate e risultare quindi solo
come eccezione al setting standard costruito tra cliente e terapeuta. Bisogna inoltre comprendere che
spesso le richieste di deviazione dal setting stabilito dei pazienti, sopratutto se nelle prime sedute,
possono riguardare un desiderio sadico e di controllo nei confronti del terapeuta. Bisogna quindi
essere in grado di gestire la propria identificazione con il paziente (spesso è difficile visto le
caratteristiche depressive proprie dei terapeuti) e comprendere cosa è giusto fare per tale progetto.
Rispetto ai Confini Particolari bisogna considerare principalmente:
- Privacy e Riservatezza: risulta importante tutelare la riservatezza del cliente sia relativamente al
setting (quindi insonorizzare la stanza, fare in modo che il corso della seduta non venga interrotto da
telefonate o altro), sia nel caso di informazioni richieste da terzi. Bisogna ricordarsi che qualunque
informazione del paziente che uscirà all'esterno, anche nei casi in cui si è legalmente obbligati, minerà
la sicurezza e la prosecuzione del trattamento. Bisogna quindi cercare di evitare, prendendo tempo e
cercando di spostare la responsabilità su altri (ad es. codice deontologico, consulenza di un legale...)
in modo da mostrare disponibilità ma spiegare i motivi per cui tali informazioni non possono essere
date;
- Durata: le durate delle sedute sono differenti a seconda dei terapeuti, ma generalmente sono di
45/50 minuti. Bisogna dimostrarsi abbastanza rigidi, sopratutto all'inizio, sul rispetto dei limiti temporali
e magari solo in un secondo momento provare a discutere con il paziente per interpretare i suoi
comportamenti relativi alla gestione del tempo e alle ansie collegate alla separazione/abbandono
proprie della fine della seduta. Rimane comunque da considerare che come gestire la fine della
seduta e come comunicarlo al paziente rimane un'arte propria di ciascun terapeuta e strettamente
legata al rapporto e alla personalità del paziente;
- Denaro: il denaro è l'aspetta che crea un'uguaglianza morale e una reciprocità tra analista e
paziente. Bisogna che tale argomento, come già consigliato da Freud, venga trattato come un
elemento reale della vita e non come un "losco affare", quindi gestendo il proprio disagio, naturale
all'inizio, relativo al chiedere i soldi a qualcuno. Bisogna anche valutare attentamente diminuzione o
aumento delle tariffe e, ciascuna scelta, deve essere discussa e concordata con il cliente. Si può
inoltre stabilire di avere una serie di pazienti extra a prezzi bassi, magri perché tali pazienti sono
indigenti, ma si consiglia di non fornire mai prestazioni gratuite in quanto riducono la spinta
motivazionale dei soggetti;
- Cancellazioni: ciascun terapeuta può decidere come gestire la propria politica relativa alle
cancellazioni, sopratutto riguardo ai propri bisogni e interessi personali. E' comunque consigliabile far
pagare le sedute annullate sopratutto se non avvertiti in tempo (di solito 24 ore prima) o per pazienti
psicotici, al fine di controbilanciare il loro desiderio evitante;
- Disponibilità: anche in questo caso, come nelle considerazioni fatte sul tempo, è necessario stabilire
alcuni limiti fondamentali, in quanto possono aiutare il paziente a sentirsi più sicuro e contenuto.
Alcuni terapeuti consentono comunque brevi telefonate, o messaggi sulla segreteria o email dai
pazienti che pensano possano vivere come rifiutante un limite troppo rigido. Se questi elementi
divengono incontrollabili vanno però fatti notare al paziente e va discusso con lui/lei una diversa
gestione.
Infine la McWilliams consiglia d'imparare la difficile Arte di Dire No, intesa come la stretta necessità di
imporre dei limiti al paziente, rendendosi conto che questo è fatto per il suo bene. E' però importante,
quando si arriva a stabilire dei limiti, porre al paziente di fronte i propri bisogni, senza cercare di
spostare l'attenzione sull'importanza terapeutica di tali scelte per il paziente stesso. Questo tende a
ridurre l'incredulità del paziente rispetto alle motivazioni portate ed inoltre stabilisce la necessità di un
rispetto per l'altro, cosa che i pazienti tendono a vivere come meno frustrante.
E' comunque normale che un paziente viva con difficoltà un limite, e bisogna insegnargli che di questo
si può parlare in terapia in quanto essa è un luogo in cui alcuni comportamenti sono inaccettabili ma di
tutte le emozioni si può parlare liberamente.
VI. PROCESSI TERAPEUTICI DI BASE
La psicoterapia stabilisce un rapporto collaborativo tra due soggetti in un l'ascolto e la parola si
alternano tra i due poli presenti nel rapporto terapeutico stesso. Bisogna quindi considerare
separatamente, anche se a livello logico e pratico sono inscindibili, i due elementi:
1. Ascolto: basato sulla condizione di ricettività terapeutica, formata da rilassamento e
concentrazione, è un'attività particolarmente difficile in quanto prevede l'astensione dall'intervento
diretto e dal consiglio pratico al paziente. Bisogna quindi creare quello che Bion definiva "contenitore"
e che Winnicott chiamava "funzione di holding del terapeuta". Bisogna quindi nelle prime sedute
aiutare il paziente ad esprimersi, dimostrandosi però attenti e non giudicanti verso ciò che dice. Inoltre
invitarlo a riflettere sulle cose che trova inaccettabili è sicuramente più utile che dimostrare l'acume
clinico del terapeuta (quindi "perché è così a disagio a dire questo?" rispetto a "sapevo già che
l'avrebbe detto").
Hedges (1983) ha distinto tra quattro Prospettive d'Ascolto, differenti in base all'organizzazione del
paziente:
- ascolto dei temi freudiani (motivazioni pulsionali, conflitti e difese) per pazienti nevrotici;
- ascolto dei temi della Psicologia del Sé (coesione e frammentazione del Sé) con pazienti narcisistici;
- ascolto dei temi delle relazioni oggettuali (fusione/abbandono e separazione/individuazione) con i
pazienti borderline;
- ascolto dei temi kleiniani (avidità, odio, invidia e posizione schizoparanoide) con i pazienti
"organizzanti" (pazienti sottostrutturati e psicotici).
2. Parlare: ciascun terapeuta deve sviluppare il proprio modello di comunicazione con il paziente. Di
sicura importanza è l'invitare il soggetto a parlare liberamente, senza interromperlo, e l'utilizzo di un
linguaggio comune (consigliata è anche la comprensione e la creazione di metafore comuni), più
semplice e chiaro per il paziente.
Bisogna inoltre dimostrarsi in grado di abbattere le difese del soggetto (ad es. parlare in seconda
persona, parlare solo delle cose in generale) facendogli notare questi aspetti ed invitandolo a chiarire
e ad esplorare i concetti.
Vi sono poi alcuni Fattori che Influenzano lo Stile Terapeutico:
- Caratteristiche del Paziente: bisogna strutturare uno specifico stile terapeutico, che cambia all'interno
del continuum supportivo-espressivo (Kernberg, 1984), a seconda della gravità della psicopatologia
del paziente. Fondamentale è anche identificare lo stile di attaccamento del paziente. E' comunque
vero che però spesso l'intuitività del terapeuta è fondamentale in quanto, nonostante gli inevitabili
errori che incontra, permette una sintonizzazione migliore di qualunque teoria standardizzata che si
possa proporre;
- Fase della Terapia: è fondamentale considerare sempre il proprio controtransfert in quanto esso può
indicare quando, in una data terapia, può risultare proficuo cambiare lo stile terapeutico;
- Personalità del Terapeuta: bisogna che il terapeuta entri in contatto che gli elementi più propri della
sua personalità ed impari ad utilizzarli in modo terapeutico per i pazienti. Spesso le principali teorie
psicoanalitiche sono state fatte da autori che cercavano con esse di sopperire ad elementi carenti
della propria personalità (vedi Winnicott). E' comunque impossibile e anti-terapeutico cercare di
utilizzare atteggiamenti che non fanno parte delle proprie risorse.
Considerando poi i concetti di Potere e Amore, secondo McWilliams la psicoterapia psicoanalitica
genera amore tra cliente e terapeuta, ed è proprio tale amore a fornire al terapeuta il potere emotivo
che promuove il cambiamento, e al cliente il coraggio di perseguirlo. Di questo concetto è utile
considerare alcuni elementi:
- Potere nel Ruolo di Terapia: ogni terapia crea una disparità tra terapeuta e cliente, e tale situazione
mette il terapeuta in una condizione di potere, il quale rimane ineliminabile in tutta la terapia e spesso
anche dopo;
- Ascolto Psicoanalitico e Potere Terapeutico: il potere terapeutico non riguarda solo il ruolo ma anche
l'uso che si fa dell'ascolto e del transfert, i quali possono consentire al paziente di rivivere in modo
differente esperienze passate;
- Resistenze a Riconoscere il Proprio Potere Terapeutico: è difficile per i terapeuti rendersi conto
dell'importanze che essi assumono per il paziente. Ma quando si giunge a tale coscienza bisogna
essere anche in grado di gestirla, senza abusarne a fini egoistici e narcisistici;
- Conferire Potere al Paziente: il fine ultimo di ogni terapia psicodinamica è fornire al soggetto il potere
di essere se stesso. Attraverso quindi una continua stimolazione del paziente (ad es. lasciargli
scegliere gli argomenti delle sedute, invitarlo a riflettere sulle cose che dice...) si cerca di cedere al
paziente il potere che egli ha già, inespresso, in sé;
- Amore: l'amore analitico rappresenta l'elemento terapeutico proprio della relazione terapista-paziente
psicodinamica. Tale amore, che deve rivelarsi sincero e rispettoso degli elementi positivi e negativi del
paziente (quindi non un amore idealizzato), porterà ad una ripetizione di quelle che sono state le
dolorose relazioni di vita del soggetto, che saranno poi riproposte non imponendo i propri desideri su
quelli altrui ma stimolando il senso di controllo e di agency del paziente stesso. Come definito da
Winnicott e da Fereczi ciascun amore prevede anche una fase di odio, che deve essere tollerato ed
analizzato per consentire di giungere a quell'amore reciproco che permetterà ai pazienti di giungere
alla consapevolezza di poter finalmente essere amati per quello che sono davvero (e non secondo gli
schemi distorti e ripetitivi che hanno usato fino a quel momento).
VII. I CONFINI: DILEMMI
Questo capitolo, che riguarda principalmente alcuni elementi che spesso non vengono insegnati o del
quale non si parla nella maggio parte dei training, affronta quattro Argomenti Principali:
1. Incedenti e Eventi Innocenti: tra questi si può considerare:
- Incontri Fortuiti: nel caso di pazienti ad alto funzionamento (da nevrotici a sani) si può parlare già
nelle prime sedute di come il paziente vuole gestire i fortuiti incontri extra-seduta. Con soggetto che
presentano patologie più gravi (ossessivi, narcisitici, paranoidi) questo può essere più complesso ma
nel caso un incontro avvenga bisogna riportare poi in seduta i sentimenti ed il vissuto che questo ha
comportato nel paziente. Bisogna inoltre essere in grado di tollerare la frustrazione che questo
comprometta l'intera terapia.
Infine, nel caso di pazienti che volontariamente si intromettono della privacy del terapeuta, bisogna
stabilire chiari limiti con relative sanzioni;
- Inviti Innocenti: generalmente bisogna rifiutare ogni invito esterno alla terapia del paziente,
spiegandogli che è impossibile condurre un buon trattamento se si riveste più di un ruolo nella sua vita
(ad es. amico e terapeuta). Questo non è però valido in alcune culture che richiedono che il terapeuta
"entri a far parte della famiglia" (ad es. i maori della Nuova Zelanda);
2. Enactment: vi sono varie violazioni che i pazienti agiscono nei confronti della terapia. Tra le più
comuni troviamo:
- Attacchi alla Professionalità: bisogna riuscire a rispondere con calma e serenamente, magari
cercando di utilizzare l'ironia, alle provocazioni e al tentativo di de-professionalizzare il terapeuta,
proprie di pazienti seduttivi o provocatori, ricordando che questi agiti servono a loro per evitare di
parlare dei loro problemi;
- Inviti Tendenziosi: spesso contengono una vera e propria aggressione del paziente al processo
terapeutico, in quanto richiedono esplicitamente una violazione delle regole. In questo caso il
terapeuta deve valutare cos'è meglio per sé, per la terapia e per il paziente, sapendo già che un rifiuto
sarà però poi qualcosa su cui lavorare, in quanto probabilmente renderà il paziente conscio
dell'aggressione tentata;
- Regali: regali di poco valore possono essere accettati se si valuta che rifiutarli porterebbe a più gravi
conseguenze di rifiuto (Kohut, 1977). Bisogna però sempre valutare il regalo ed il significato che
questo può assumere, anche per non cadere in rischi di accusa di "sfruttamento del paziente a fini
extraterapeutici " (sopratutto per regali di grande valore);
- Richiesta di Altri Trattamenti: solo il controtransfert può determinare se sono dettati da una
valutazione realistica del paziente o da suoi sentimenti ostili verso la terapia. Bisogna comunque
sempre dare al soggetto le informazioni che si ritiene siano opportune o non opportune sulla necessità
di altre terapie (farmacologiche, cognitivo-comportamentali...).
La cosa principale che insegnano gli Enactment è che ogni tanto bisogna anche essere in grado di
"sopravvivere" agli attacchi continui dei pazienti, senza necessariamente elaborarli, e questo può
essere decisamente un atteggiamento terapeutico.
3. Disclosure: intesa come autorivelazione di aspetti di sé rilevanti per i pazienti, è un argomento
cardine della psicoanalisi degli ultimi vent'anni. Essa riguarda principalmente:
- Rivelazioni Inevitabili: bisogna abituarsi, per quanto difficile sia, che i pazienti possono ottenere su di
noi una serie di informazioni che riguardano la nostra personalità e la nostra vita privata (dal modo di
vestire, da dove abitiamo, dall'arredamento dello studio). Se si vive quest'argomento senza difficoltà
tale atteggiamento influirà positivamente sulla terapia;
- Rivelazione di Informazioni Fondamentali per il Paziente: vi sono informazioni relative allo stato di
salute o ai bisogni del terapeuta che necessitano di essere comunicate al paziente, ovviamente senza
scendere nei particolari. Anche informazioni (politiche, di orientamento sessuale o etniche) possono
essere rilevanti rispetto all'alleanza di lavoro;
- Rivelazione di Reazioni Controtransferali: a partire dalla tesi di Racker (1968) secondo cui le reazioni
controtransferali del terapeuta rivelano ciò che il paziente prova o ciò che un soggetto per lui
importante ha provato, tali rivelazioni possono essere utili e "smuovere le acque". Bisogna però
valutare che tali rivelazioni non costituiscano un problema per il paziente o per la terapia (ad es.
confessare un'attrazione sessuale);
- Rivelazione di Informazioni Personali o Legate al Proprio Passato: nonostante esso sia un bisogno
normale dei terapeuti e a volte possa rafforzare l'alleanza di lavoro, comporta comunque alcuni rischi:
- il fatto che il paziente pensi che non vi è la neutralità necessaria nel terapeuta;
- parlare di sé può creare svalutazione nei pazienti e rifiuto della terapia;
- bisogna trovare il momento giusto nel corso dell'analisi.
4. Contatti Fisici: visto che l'holding terapeutico (inteso come un sorreggere emotivo) porta spesso i
pazienti a desiderare un contatto fisico bisogna considerare i seguenti elementi:
- Abbracci: la regola generale prevede il fatto che esso venga rifiutato, divenga argomento di terapia e
si cerchi di non ferire eccessivamente il paziente. L'abbraccio tende ad essere un desiderio infantile e
acquisisce il significato simbolico di conferire al terapeuta la responsabilità della cura. E' vero
comunque che esistono casi e culture in cui ciò è accettabile, però rimane un confine del setting che è
sempre meglio non scavalcare in quanto annulla quello "spazio" terapeutico (Winnicott) proprio della
psicoanalisi;
- Sesso: nonostante la chiara ed inequivocabile regole deontologica che nega qualunque relazione
sessuale con un paziente, questa situazione crea comunque non poche difficoltà al terapeuta, in
quanto un rifiuto può essere considerato come svalutante. Bisogna quindi imparare a parlare con i
supervisori (o con il proprio analista) quando un transfert sessuale si instaura in quanto si può
comprendere quali significati essa può avere per la coppia terapeutica. "Nascondersi" dietro le regole
deontologiche può creare quindi altre difficoltà.
VIII. MOLLY
Il caso di Molly riguarda l'analisi di una paziente collocata a livello nevrotico in cui il transfert più
intenso è relativo alle fasi centrali della terapia.
Di tale caso bisogna considerare:
1. Quadro Clinico Iniziale: all'Inizio della Terapia Molly aveva 27 anni, lavorava come infermiera ed
era sposata da tre anni con uno studente di legge. Non aveva contatti con la sua famiglia di cattolici
irlandesi, che viveva in New Jersey.
Il suo umore era tra l'ansioso e il depresso e mostrava evidenti elementi di controllo sia nel linguaggio
che nelle emozioni. Si trovava in terapia per migliorare la relazione con il marito che abusava
fisicamente di lei. I punti su cui Molly voleva lavorare erano:
- mancanza dell'orgasmo nei rapporti sessuali (aveva l'orgasmo però se si masturbava);
- inibizione rispetto ai propri sentimenti (rabbia e senso di colpa);
- tendenza generale a compiacere gli altri a scapito dei suoi bisogni;
- costanti emicranie e abusi di farmaci.
Era stata esiliata dalla famiglia a seguito di una terapia da un counselor, interrotta per tentativi di
seduzione da parte di quest'ultimo.
Le Prime Impressioni Cliniche indicarono Molly come quella che Reik definisce Masochista Morale in
quanto tendeva a soffrire per garantire agli altri la soddisfazione dei loro bisogni. La terapia era per
Molly quello che per sua madre era stata la religione. Accettava che il marito le imponesse questa
nuova ortodossia ma in fondo era reticente. Le difese mature che attivava erano la rimozione,
l'isolamento degli affetti e la conversione, con cui proiettava sugli altri i suoi bisogni di essere curata,
cercando poi di soddisfarli (infatti faceva l'infermiera).
La sua Storia Personale riportava un'infanzia e un'adolescenza votate ad accudire i suoi 8 fratelli,
cinque dei quali morirono per cause genetiche relative ai genitori. Sopratutto la perdita della sorella
più piccola di 5 anni fu per Molly un duro colpo in quanto essa si sentiva la "madre" di tale bambina.
La relazione tra i genitori era difficile, essendo di due estrazioni socio-culturali diverse (la madre una
ricca inglese, il padre un operaio americano) e la stessa relazione tra Molly e la madre era connotata
da fallimenti empatici (la madre sottovalutò un'epatite di Molly dicendo che fingeva) e da una forte
conflittualità e proiezione della madre nei confronti della figlia (accusata forse di poter vivere
l'adolescenza che lei aveva perso). Non era possibile però nessuna critica alla madre che era
commiserata per la perdita dei figli. Molly non aveva poi ricevuto nessuna istruzione rispetto all'ambito
sessuale.
L'abbandono della famiglia dopo la maggior età l'aveva poi spinta nella braccia di un uomo sadico e
violento.
2. Storia del Trattamento: tale storia va distinta in fasi:
- Fase Iniziale e Rafforzamento dell'Alleanza di Lavoro: la terapia iniziò con due sedute alla settimana
e sul lettino. Molly sembrava costantemente tesa e preoccupata di non aver nulla da dire. Ci vollero
due anni e mezzo prima che risultò in grado di usare la libera associazione relativa ai sogni. Solo con
il tempo e con la pazienza dell'analista, che non offriva interpretazioni lasciandola libera di esprimersi,
Molly inizio ad entrare in contatto con le sue emozioni e, nonostante la relativa preoccupazione, iniziò
a piangere parlando della sorella (Molly non piangeva mai). La seduta successiva richiese di passare
ad una terapia vis-a-vis e fu accontentata, visto che era la prima volta che lei, sempre così controllata
ed assoggettata agli altri, esprimeva un bisogno. Nell'anno successivo Molly riuscì ad entrare più in
contatto con i propri sentimenti e, attraverso i commenti garbati dell'analista, ad evidenziare come
egodistonici alcuni suoi comportamenti ritualizzati di vita. Alla fine dell'anno, visto l'aggravarsi delle
violenze da parte del marito a causa del suo aumentato senso di agency, abbandonò la casa
coniugale per recarsi da un'amica. La terapia in quell'anno si basava sul far esprimere a Molly le sue
componenti valutative e decisionali, senza "imporre" le interpretazioni del terapeuta;
- Fase Intermedia del Trattamento: dopo un primo periodo in cui, ritornata sul lettino, Molly esternava
critiche rispetto alla terapia, volte ad affermare la sua autonomia e la sua autostima (criticava
l'ortodossia della terapeuta come aveva criticato l'ortodossia religiosa della madre), iniziò una fase in
cui Molly lavorò sui suoi desideri sessuali, annientati dalla paura di perdere il controllo, strettamente
masochistici. Si trovò quindi un amante più affettuoso e dolce e riuscì quindi a lasciare definitivamente
il marito, scoprendo che il suo carattere "rozzo" serviva solo a Molly per mantenere il controllo.
Rispetto alle fantasie sulla morte dei fratelli, Molly evidenziò come il suo "mettersi una maschera"
aveva avuto inizio con una volta che aveva lasciato cadere la sorella (quella morta a 5 anni) e aveva
scoperto di avere desideri ambivalenti rispetto ad esso (affetto/aggressività). Tramite l'identificazione
con la terapeuta scoprì la normalità di tale ambivalenza e iniziò a riferire di sentirsi parte della specie
umana (in contrasto con i suoi primi sogni che la vedevano sempre nella parte di un'aliena;
- Fase Conclusiva: l'accettare i suoi sentimenti di avidità e di odio consentì a Molly di attuare un
cambiamento intrapsichico e comportamentale notevole. A livello visivo era meno controllata ed iniziò
a sviluppare relazioni amicali significative (che prima inibiva per paura del rifiuto) e una vita sessuale
soddisfacente. Scomparve la depressione e le emicranie. Iniziò a ridurre le sedute ed i suoi sogni non
indicavano più quel senso di vuoto e quella paura di essere travolta (come da un onda gigantesca)
dalle emozioni. Con il nuovo compagno trovò un nuovo lavoro più importante e decise di trasferirsi.
Dopo la fine della terapia scrisse una lettera alla sua analista in cui testimoniava come tutto andasse
bene. Nonostante la difficoltà della separazione (da entrambe le parti) in quanto vi erano aree non
ancora analizzate, la terapeuta si rese conto che una separazione decisa da Molly e non basata sul
tutto-o-niente (come tutte quelle della sua vita) sarebbe stata profondamente terapeutica.
3. Considerazioni Post-Trattamento: le cose andarono bene per dieci anni dopo il trattamento fino al
giorno in cui a Molly venne diagnosticato il "male di famiglia" per cui erano morti i suoi fratelli. Questo
argomento non era mai stato analizzato davvero nella terapia in quanto troppo angosciante visti i già
presenti problemi di Molly.
Visse comunque qualche altro anno ed in una lettera alla sua analista disse quando, nonostante la
situazione difficile, fosse felice del tempo passato in contatto con la sua vita e con le sue emozioni.
IX. DONNA
Il caso di Donna riguarda l'analisi di una paziente situata al livello psicotico-borderline, in cui quella
che è definita "Sindrome di Woody Allen" (quindi psicoterapia psicoanalitica praticamente
interminabile, è necessaria in quanto permette al paziente di non dover ricorrere alla sanità pubblica,
con relativi costi e problematiche.
Ti tale caso bisogna considerare:
1. Quadro Clinico Iniziale: all'Inizio della Terapia Donna aveva 23 anni e presentava sintomi psicotici
tra cui alimentazione compulsiva e bulimia (era evidentemente sovrappeso), utilizzo smodato di
droghe, gesti autolesivi, violenza nell'ambiente domestico e comportamenti sessuali rischiosi con
soggetti di entrambi i sessi. Era stata già più volte in cura da vari terapeuti ed aveva avuto un paio di
ricoveri ospedalieri. Presentava inoltre un'assuefazione da farmaci appartenenti al gruppo del Valium.
Le Prime Impressioni Cliniche riguardavano un misto di ostilità e paranoia e, nonostante la sua
diagnosi di schizofrenia, sembrava presentare una personalità paranoide-masochista a livello
borderline, in quanto non aveva mai avuto allucinazioni o deliri pienamente sviluppati. Si presentava
inoltre fortemente ostile alle cure psicologiche e dimostrava un'incapacità a mantenere un lavoro o
una formazione scolastica.
La sua Storia Personale si basava sua una famiglia italo-americana di ceto medio, in cui era la
maggiore di tre fratelli. Il padre aveva fatto fortuna nel campo edilizio probabilmente attraverso
connessioni con la criminalità organizzata e con Donna aveva un atteggiamento duro, frutto di un
misto di aggressività e seduttività (faceva la doccia con lei e una volta l'aveva baciata in bocca). La
madre, la quale aveva subito una depressione post-partum dopo ogni gravidanza, era incapace di
provvedere alle esigenze pratiche ed emotive dei figli e più volte si era dimostrata violenta nei
confronti di Donna (l'aveva tagliata più volte con un coltello) in casi di scompensi psicopatologici.
Attualmente il padre era immerso nel lavoro e nelle sue relazioni extraconiugali, mentre la madre
viveva una relazione omosessuale con un'altra donna, con cui conviveva.
Donna si era dovuta inoltre occupare dei fratelli, ruolo che aveva sempre odiato, i quali avevano a loro
volta sviluppato sintomi psicotici masochistici e difficoltà nello stabilire relazioni significative.
Donna aveva avuto a 12 anni un'intensa dipendenza nei confronti della responsabile "Girl Scout" che
si era però suicidata recidendosi il collo con un coltello.
I primi sintomi di Donna si erano sviluppati dopo i 15 anni, nella fase in cui i suoi genitori avevano
deciso di separarsi.
2. Storia del Trattamento: tale storia va distinta in fasi:
- Fase Iniziale e di Sviluppo dell'Alleanza di Lavoro: nei primi due anni di lavoro Donna si rivelò una
paziente particolarmente difficile, richiedente e critica, mostrando inoltre gli aspetti peggiori della sua
psicopatologia (per vedere se gli altri potevano "reggere" il suo mondo interno). Necessario era quindi
rispondere in modo sincero alle sue domande, in quanto i paranoici possono vivere come difficili
interpretazioni o rifiuto di rispondere.
Il primo intervento che promosse l'alleanza di lavoro fu l'aiuto da parte della terapeuta ad uscire dal
gruppo istituzionale di schizofreniche di cui faceva parte.
La prima interpretazione accettata da Donna, a distanza di un anno dall'inizio della terapia, riguardò
invece il comprendere che il suo problema riguardava la vicinanza-distanza, ma la volta successiva
non si presentò, in quanto aveva avuto paura di far avvicinare troppo la terapeuta.
L'atteggiamento terapeutico, basato sulla necessità di responsabilizzare Donna e di trattarla come una
persona in grado di assumersi le sue responsabilità, si basò sul far abbandonare l'istituzionalizzazione
del trattamento e farle iniziare un trattamento privato (ad una cifra comunque irrisoria) e al non aiutarla
quando chiedeva di avere assistenza per uscire prima da un ricovero conseguente ad una crisi
autolesiva. Questi elementi fecero comprendere a Donna che veniva considerata capace di
sopportare le conseguenze e permisero, intorno al secondo anno di trattamento, lo sviluppo di una
fiducia nella terapeuta ed una progressiva presa di distanza dalle sue componenti comportamentali
problematiche (uso di droghe, separazione dalla madre e dagli amici "disturbati", comportamenti
autolesivi...).
- Lunga Fase Intermedia: in questa fase intermedia Donna iniziò a sviluppare un crescente interesse
per i propri fenomeni inconsci e si dimostrò più in grado di sfruttare utilmente il tempo della terapia
(che prima non riusciva a reggere interamente, abbandonando costantemente la seduta 5-10 minuti
prima). A seguito della morte del padre decise di sposarsi con un uomo debole (rifiutando ogni
consiglio accennato da parte della terapeuta), che comunque le diede un senso di continuità mai
avuto, e superò una lunga depressione (elemento evolutivo positivo in quanto passaggio, secondo
Melanie Klein, dalla posizione paranoide a quella depressiva) senza l'ausilio di farmaci (per il rischio di
dipendenza). A seguito del matrimonio decise di aumentare il compenso alla psicoterapeuta ed iniziò,
in una cambiamento di transfert dalla madre al padre, nei suoi acting out a cercare sublimazioni più
accettabili (pratiche sado-masochistiche prima, tatuaggi su tutto il corpo dopo).
Un anno dopo iniziò a disintossicarsi dai farmaci e, in seguito ad una lite con un'assistente sociale
amica della terapeuta di cui si parlò in seduta, ridusse le caratteristiche di scissione psicotica tra
buoni/cattivi che aveva contraddistinto tutta la sua storia clinica.
Ciascuna conquista terapeutica era poi seguita da una formazione regressiva, tale da preoccupare la
terapeuta per ogni seduta successiva a quella in cui qualcosa era andato bene.
Nel 1982/1983 Donna dimostrò di aver interiorizzato qualcosa di positivo dalla terapia in quanto iniziò
ad anteporre il pensiero all'azione, ridusse i comportamenti autolesivi, fu in grado di separarsi dal
primo marito e trovare un nuovo compagno, migliorare i rapporti con i familiari ed avere una figlia, con
cui mantiene un rapporto adeguato e non conflittuale.
Il lato sempre debole era quello del lavoro, che abbandonava ogni volta che riceveva una
gratificazione e l'unico lavoro che fu in grado di mantenere per un po' era quello di cuoca, in quanto
lavorava da sola ed inoltre soddisfava la sua creatività ed la sublimazione dell'oralità (Donna era stata
bulimica) che, anche se non trattata mai direttamente nelle sedute, era sempre stato un problema
rilevante.
- Fase Conclusiva: dall'1981 al 1984 Donna iniziò un "processo di svezzamento" con una graduale
riduzione delle sedute, sempre mantenendo aperta la possibilità di ri-aumentarle se si fosse sentita in
ansia (cosa che però non fece mai).
Alla fine della terapia riportò un sogno che definiva come si fosse strutturato un senso più positivo di
sé, avendo acquisito il diritto ad "essere nutrita" indipendentemente dall'essere mentalmente
disturbata.
3. Considerazioni Post-Trattamento: i cambiamenti principali di Donna hanno riguardato
principalmente la nascita del senso di umorismo (che sostituisce l'ironia irriverente precedente) e la
capacità di chiedere aiuto in situazioni difficili (si è rivolta ad altri terapeuti nei momenti di difficoltà
dell'adolescenza della figlia, senza riattivare modalità psicotiche).
Tali Trattamenti a Lunghissimo Termine (e che probabilmente non finiscono mai, in quanto Donna e la
terapeuta sono ancora in sporadico contatto telefonico) servono per aiutare il sistema sanitario
nazionale, il quale crea modalità circolari di rifiuto di tali pazienti essendo non in grado di sostenerli, ed
inoltre riduce il progressivo passaggio intergenerazionale delle patologie, la cui trasmissione viene
"spezzata", divenendo quindi una forma di prevenzione della psicopatologie.
X. ALTRE LEZIONI SULLA TERAPIA PSICOANALITICA
In questo capitolo vengono affrontate le Aree di Conoscenza Assimilate nel Corso della
Psicoterapia che sono:
1. Emozioni: attraverso la parola il soggetto può giungere a conoscere e ad organizzare le emozioni,
raggiungendo quindi quello che Bollas (1978) definisce "conosciuto non pensato". I pazienti
allessitimici (che non riesce ad esprimere a parole i sentimenti), gli istrionici e gli isterici ed infine i
borderline (che tendono ad agire i sentimenti invece che pensarli) possono ottenere grandi vantaggi
ed un miglioramento generale notevole dal trovare "le parole per dirlo" (Cardinal, 1975).
I pazienti, come teorizza Silverman (1984), devono riuscire ad accettare anche le espressioni più
negative delle loro emozioni in quanto, quando esse non vengono agite, testimoniano vitalità e gioia.
Inoltre bisogna riuscire a tollerare l'ambivalenza propria di ogni rapporto umano.
Quella che Goleman (1995) ha definito Intelligenza Emotiva non è altro che quello che la Psicoanalisi
considera da anni come Insight Emotivo e che prevede un'accettazione delle proprie parti emotive e
delle loro caratteristiche (ambivalenza, essere egoisti e inevitabilità);
2. Sviluppo: ciascuna teoria psicodinamica, sin da Freud, prevede una teoria dello sviluppo. Le
problematiche portate dai pazienti sarebbero quindi regressioni o interruzioni del loro normale sviluppo
in una fase particolarmente critica. Si necessiterebbe quindi di capire le differenze tra il Sé Infantile ed
il Sé Adulto, considerando la linea di continuità che gli unisce, ma anche i mutamenti avvenuti.
In questo senso gli psicoanalisti attuano spesso una modalità "pedagogica", verbalizzando al soggetto
quelli che potranno essere gli sviluppi o le reazioni ad un dato avvenimento (per prepararli a gestirlo);
3. Trauma e Stress: rispetto allo stress è dimostrato come la psicoterapia aiuti i soggetti, rendendoli
consci dei propri limiti e vulnerabilità, ad essere meno preda delle richieste e convinzioni culturali (ad
es. che lavorare tanto per fare tanti soldi rende felici) e a vivere la vita in un'ottica maggiore di
sostenibilità. Bisogna quindi abbandonare l'idea che "le difficoltà rafforzano il carattere" per
comprendere la distruttività di molti dei nostri atteggiamenti e comportamenti.
Rispetto al trauma i soggetti imparano invece che è possibile difendersi da situazioni che portano a
rivivere il passato traumatico, ed inoltre sviluppano un rafforzamento (la neurofisiologia ha dimostrato
in questo senso che viene attuato anche un rafforzamento della corteccia prefrontale) ed una migliore
gestione dei ricordi traumatici del passato;
4. Intimità e Sessualità: la psicoterapia, nella sua ottica di permettere un maggiore e più sincero
contatto con i propri pensieri e sentimenti autentici, tende anche quindi indirettamente a integrare
eccitazione sessuale e coinvolgimento emotivo, elementi fortemente in crisi nella moderna società.
Bisogna quindi aiutare i soggetti a comprendere che la sessualità, come ogni altro aspetto della
personalità, è differente in ciascun individuo (senza però cadere nella scissione normale/anormale) e
che solo con il dialogo onesto con se stessi e con l'altro si può giungere ad una piena soddisfazione.
La sessualità è inoltre un argomento tabù in quanto è l'unica cosa di cui difficilmente si è potuto
parlare approfonditamente con i "grandi" e quindi spesso il terapeuta è la prima "autorità" con il quale
il paziente trova a relazionarsi su questi aspetti;
5. Autostima: la terapia permette una continua esposizione dei propri aspetti buoni e cattivi di fronte
al terapeuta, e questo consente un progressivo placarsi di un Super-io rigido e colpevolizzante,
giungendo quindi alla conclusione di essere "abbastanza buoni". Anche il sentirsi vuoti può essere
compensato dalla terapia, la quale può mostrare ai soggetti un progressivo e crescente senso di
autenticità emotiva.
Tutti questi aspetti tendono quindi ad accrescere l'autostima e a permettere al soggetto di accettarsi
com'è, rispettando standard ragionevoli ed accettando successi e fallimenti;
6. Perdono e Compassione: il percorso della psicoterapia permette un progressivo riconoscimento
degli errori dei familiari e delle loro conseguenze emotive per il soggetto. Ma è solo attraverso tale
percorso (che è un mezzo e non un fine) che si può giungere a perdonare se stessi e gli altri, attuando
atteggiamenti meno critici e colpevolizzanti (verso se stessi o verso gli altri), lavorando quindi per
ottenere un futuro diverso.
XI. GRATIFICAZIONI E RISCHI PROFESSIONALI
Del lavoro da psicoterapeuta bisogna considerare:
1. Rischi Professionali: tra cui troviamo:
- Svantaggi Pratici: essi riguardano le pressioni interne ed esterne relative al contatto con i pazienti, e
l'essere posti costantemente di fronte ai propri errori ed ai propri fallimenti. Poco considerati ma non
meno importanti sono gli svantaggi portati dai limiti propri dell'organizzazione, o dalle difficoltà
economiche e di gestione di "marketing" degli studi privati. Inoltre è una professione sedentaria e si
tende a sottovalutare la rilevanza che essa ha sui problemi alla schiena e al collo;
- Esaurimento Emotivo e Traumi Indiretti: uno dei rischi professionali più alti è l'esaurimento emotivo,
che tende a svuotare il terapeuta delle sue energie emotive ed empatiche. Il continuo contatto
mantenuto con i pazienti e l'impossibilità di poter scaricare con altri i contenuti emotivi che i pazienti
"cedono" al terapeuta può condurre lentamente a rischi legati al burn-out.
Altro elemento di rischio è rappresentato dallo sperimentare continuamente forte emozioni, spesso
proiettate su di noi dai pazienti ed altro volte legate alla nostra impotenza relativa ai problemi pratici
dei soggetti o ai traumi di cui si è costantemente spettatori;
- Senso di Colpa Razionale e Irrazionale: nonostante una certa dose di onnipotenza possa essere
utile ai terapeuti per confrontarsi con i pazienti più difficili, essa può condurre a sensi di colpa nel
momento in cui la relazione terapeutica non funziona. Bisogna quindi che i terapeuti imparino, visto
che per personalità sono i più soggetti a sentirsi colpevoli, a confrontarsi ed eventualmente a ricorrere
a loro volta ad una terapia nei casi gravi di fallimento di una psicoterapia con un paziente su cui si è
emotivamente investito tanto (è questo il caso in cui un paziente si suicida o commette un omicidio);
- Relazioni Problematiche con gli Altri: il terapeuta si trova, sopratutto in piccole comunità o città, a
dover scegliere le proprie attività extraprofessionali e a dover gestire la propria vita sotto gli occhi
attenti degli altri. Viene sottovalutato quanto spesso questo tipo di pressione esterna (venga essa
dalla mitizzazione e preoccupazione che riveste il ruolo di psicoanalista, oppure da un singolo
trattamento terapeutico in cui incontrare il paziente fuori dallo studio può creare problemi
all'idealizzazione) sia rilevante per i terapeuti e come essa sia in tanti casi una possibile fonte di
frustrazione;
- Lavoro Straordinario: è abbastanza facile che, abituandosi al lavoro terapeutico, si inserisca "in
automatico" un tipo di ascolto empatico che tende a rendere gli altri più aperti con noi. E' quindi
difficile quando gli altri parlano dei loro problemi riuscire ad interrompere questa sorta di lavoro
straordinario, al fine di recuperare le relazioni basate su reciprocità e parità, senza essere
costantemente assoggettati ai desideri e bisogni dell'altro (come all'interno della relazione
terapeutica);
- Assuefazione all'Autenticità: tendere a prendere sul serio ciò che viene detto, basato su un senso di
autenticità, può limitare le capacità di fare "quattro chiacchere" e di comprendere gli scherzi dei
terapeuti, rendendoli quasi dei personaggi caricaturali;
- Professionisti Ostili o Insensibili: il sistema sanitario ed i ricercatori tendono a dimostrarsi sempre più
ostili verso i terapeuti (tanto più verso gli psicoanalisti) ai quali si tende a non dare credibilità e a non
consultare neanche quando si ha in cura un loro paziente. Bisogna inoltre cercare di non cadere nei
desideri ostili dei pazienti di fronte ai loro precedenti terapeuti, aiutandoli a vendicarsi su essi;
- Esaltazione Narcisistica: bisogna stare attenti che le costanti idealizzazioni dei pazienti non
alimentino eccessivamente il sé del terapeuta, che non è poi in grado di valutare correttamente la
propria importanza al di fuori della stanza d'analisi;
- Perdite: è sicuramente difficile accettare la fine di una terapia di un paziente ma è possibile, come si
riesce ad accettare una separazione da un figlio ormai divenuto adulto. E' sicuramente molto più
difficile per i terapeuti accettare la morte di un paziente (o di un ex paziente) e, ancora con più
problemi, la propria stessa mortalità, in relazione alle difficoltà che essa può comportare ai pazienti.
2. Gratificazioni: sono numerose anche le gratificazioni che, sin dall'inizio della carriera, si ottengono
dal ruolo di psicoterapeuta. Tra esse troviamo:
- Imparare Continuamente su Se Stessi e sugli Altri: il continuo contatto con i pazienti e con le loro
differenti storie di vita rende necessario al terapeuta il confrontarsi molto più con se stesso al fine di
non proiettare le proprie convinzioni personali sugli altri. Quest'essere costantemente in contatto con
altre esperienze di vita permette una maturazione, una maggiore comprensione di se ed un
cambiamento personale che altre professioni non consentono;
- Invecchiare Bene e Vivere più a Lungo: prove scientifiche hanno dimostrato come la psicoterapia
promuova una migliore salute fisica (Pennebaker, 1997) e rinforzi il sistema immunitario (Glaser,
1988). L'importanza e gli stimoli offerti dalla terapia al terapeuta stesso permettono inoltre una migliore
maturazione e la possibilità di essere "produttivi" anche in età avanzata (differentemente da altri lavori
logoranti fisicamente);
- Gratificazioni dell'Aiuto: la professione di psicoterapeuta prevede una gratificazione relativi al veder
crescere i pazienti (come un genitore vede crescere i figli) e permette di soddisfare il proprio bisogno
innato di curiosità e di altruismo attraverso una collaborazione con l'altro che, secondo il rabbino Luria
(XVI secolo), si rifà al concetto del taqqun secondo cui "redimere un uomo è redimere il mondo".
XII. PRENDERSI CURA DI SE'
E' importante che i nuovi terapeuti, che spesso nel training hanno imparato a mettere da parte i propri
bisogni a favore di quelli del paziente, apprendano l'importanza di Prendersi Cura di Sé in quanto
tale elemento non è in contrasto con una buona capacità terapeutica. Per chiarire meglio le indicazioni
generali e pratiche fornite dalla McWilliams bisogna distinguere tra:
1. Cura dell'Es: riguarda la cura del corpo, del funzionamento emotivo e dei bisogni umani
fondamentali. Tra i consigli più pratici troviamo:
- Sonno e Riposo: bisogna che i terapeuti garantiscano a se stessi abbastanza ore di sonno e giorni di
riposo, in quanto tale elemento influisce significativamente sul proprio lavoro. Bisogna che
apprendano anche che le reazioni negative riportate dai pazienti, relativamente alla separazione
necessaria in un periodo di ferie, non si risolvono essendo ininterrottamente disponibili ma
dimostrando come ciascuna separazione prevede comunque un successivo ritorno;
- Salute: bisogna che i terapeuti imparino a curare la propria salute fisica, senza cedere alla
valutazione che i propri sintomi siano una somatizzazione di qualcosa emerso nella relazione
terapeutica e senza anteporre il benessere del paziente al proprio. E' necessaria inoltre una sedia
confortevole ed anatomica e regolari esercizi fisici (camminare, correre, ballare...) per prevenire il più
possibile i danni al collo e alla schiena indotti da un'attività sedentaria;
- Benessere Economico: non bisogna sovrastimare ne sottostimare il valore economico della propria
attività. In generale nessuno diventa ricco facendo la psicoanalista ma le entrate devono riuscire a
consentire al terapeuta una vita agiata e permettergli di ripagare i debiti accumulati nel percorso di
training. Il consiglio migliore è stabilire all'inizio un onorario regolare secondo i limiti posti dal settore
professionale;
- Sublimazioni: importante è anche riuscire a sublimare tutte quelle tendenze che il terapeuta reprime
in se stesso all'interno della terapia per il benessere del paziente. E' necessario avere quindi una rete
famigliare e amicale che sostenga il terapeuta, sopratutto quando si trova a lavorare con pazienti che
proiettano costantemente il senso di fallimento, e trovare attività extra-professionali che permettano di
scaricare gli impulsi ostili ed aggressivi provenienti dai pazienti più difficili (ad es. fare sport, essere
accaniti tifosi di qualche squadra, leggere libri su i crimini commessi o libri gialli...);
- Gioco: i terapeuti devono essere in grado di ricavarsi un "area di gioco" che gli permetta di
ridimensionare gli stress e le frustrazioni della propria vita professionale. E' quindi fondamentale
trovare il tempo per fare qualcos'altro che non sia lavorare (ad es. il sesso è considerata un "attività di
gioco" normale per gli adulti ed esso può aiutare, se sorretto da un'intimità emotiva, a gestire lo
stress).
2. Cura dell'Io: intesa come cura del proprio equilibrio, della propria competenza e crescita
professionale. Le indicazioni pratiche riguardano:
- Formazione Psicologica Continua: importante continuare sulla strada della formazione, sia in senso
personale (costanti incontri con un'analista, supervisione, gruppi clinici di discussione dei casi...) che
professionale (corsi post-lauream, convegni...), in modo da evitare il rischio di burn-out;
- Privacy: importante ritagliarsi uno spazio in cui poter tutelare la propria riservatezza di fronte alla
curiosità dei pazienti relativa alle attività e alla vita extra-professionale dei terapeuti;
- Espressione di Sé: necessario inoltre trovare attività che aiutino una genuina e creativa espressione
di sé, la quale viene spesso ridotta all'interno della terapia. Attività artistiche o la scrittura sembrano le
cose più utilizzate dagli analisti per esprimere il proprio sé;
3. Cura del Super-Io: riguarda la cura del senso di integrità e di dignità del terapeuta, sia nel suo
ruolo professionale che nella sua vita privata. I consigli pratici riguardano:
- Comportarsi Correttamente in Famiglia: bisogna mettere al primo posto i bisogni della propria
famiglia per far in modo di non sperimentare in un secondo momento un irreparabile senso di colpa;
- Comunicare le Proprie Scelte Lavorative: condividere le proprie scelte lavorative può aumentare
l'integrità e la correttezza del proprio lavoro, evitando rischi legati allo sfruttare i pazienti;
- Gestione dei Rischi: importante mantenere una documentazione adeguata di tutto ciò che potrebbe
comportare cause da parte dei pazienti o dell'ordine professionale. Si può rivelare utile, in scelte
particolarmente rischiose, consultare un collega o un supervisore, in quanto tale consulto è stato
spesso usato per scagionare o alleggerire la posizione di un terapeuta. Non risulta utile appuntare le
valutazioni del controtransfert in quanto possono essere fraintese.
Infine bisogna consultare un legale prima di fornire qualunque risposta a questioni legali che possono
creare problemi sostanziali alla professione;
- Comportarsi Correttamente con i Colleghi: bisogna dimostrare rispetto e buona fede negli altri
terapeuti ed in tutti gli operatori dei settori di salute mentale, in quanto risulta più importante difendere
quello che è ancora un instabile ruolo sociale della terapia invece che litigare sull'importanza delle
impostazioni teoriche (replicando all'infinito quella che è stata la lotta tra psicologia e la psichiatria);
- Onestà: l'intera terapia psicoanalitica si basa sull'accettare l'altro esattamente com'è, e da questa
lezione dobbiamo apprendere come l'onestà sia l'elemento che deve regolare la vita di ciascuno di
noi, aiutando in oltre gli altri a creare le condizioni per l'emergere e per il diventare esplicita
dell'autenticità propria di ciascuna persona.