Continua - Istituto Danone

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Continua - Istituto Danone
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TEMI
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E M S
DELLA
NUTRIZIONE
I latti fermentati
Aspetti biochimici, tecnologici,
probiotici e nutrizionali
A cura di
Vittorio Bottazzi
Direttore dell’Istituto di Microbiologia e del Centro di Ricerche Biotecnologiche
Università Cattolica di Piacenza e Cremona
Con la collaborazione di
Carlo Agostoni, Giovanni Ballarini, Bruno Battistotti,
Ivano De Noni, Ermanno Lanzola, Tiziano Lucchi,
Lorenzo Morelli, Pierpaolo Resmini, Enrica Riva,
Marco Silano, Antonio Tirelli, Carlo Vergani
ISTITUTO DANONE
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ISTITUTO DANONE
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R ICERCA
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DELLA
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N UTRIZIONE
OBIETTIVI
anone è una società multinazionale operante nel settore alimentare. La sua “mission”
istituzionale è quella di migliorare l’alimentazione umana, sia con prodotti di alta qualità
ed elevato valore nutrizionale, sia con iniziative di ricerca e di divulgazione scientifica. In quest’ottica ha deciso di destinare risorse alla ricerca e alla cultura della nutrizione, dando vita
all’Istituto Danone.
D
L’Istituto Danone si prefigge di:
Incoraggiare la ricerca scientifica sul rapporto tra alimentazione e salute
Promuovere una corretta educazione alimentare
Diffondere i risultati della ricerca nutrizionale presso gli operatori della salute e dell’educazione alimentare
Costituire un anello di giunzione tra il mondo scientifico e gli operatori della salute e
dell’educazione alimentare
Gli obiettivi dell’Istituto Danone sono quindi due:
Conoscere – attraverso la promozione di ricerche, proprie o di terzi, nel settore nutrizionale
Far conoscere – attraverso attività editoriali e congressuali mirate a diffondere la cultura
della nutrizione
Per adempiere a questa missione, l’Istituto Danone si avvale di un Comitato Scientifico
che rappresenta l’elemento propositivo, la fonte delle conoscenze ed il garante della scientificità di tutte le attività dell’Istituto stesso. A far parte di questo Comitato sono stati chiamati, tra i massimi esperti nazionali dei vari settori della nutrizione umana, i professori Marcello
Giovannini (Presidente), Ermanno Lanzola e Carlo Vergani (Vicepresidenti), Vittorio Bottazzi,
Michele O. Carruba, Alberto Notarbartolo, Gianfranco Piva, Pierpaolo Resmini e Enrica Riva.
Sede Istituto Danone: Via F. Filzi, 25 – 20124 Milano
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TEMI
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DELLA
NUTRIZIONE
I latti fermentati
Aspetti biochimici, tecnologici,
probiotici e nutrizionali
A cura di
Vittorio Bottazzi
Direttore dell’Istituto di Microbiologia e Centro Ricerche Biotecnologiche
Università Cattolica di Piacenza e Cremona
Con la collaborazione di
Carlo Agostoni
Dirigente di I livello Clinica Pediatrica – Ospedale San Paolo
Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università degli Studi di Milano
Giovanni Ballarini
Direttore Clinica Medica Veterinaria
Università degli Studi di Parma
Bruno Battistotti
Professore Ordinario di Microbiologia Agraria
Istituto di Microbiologia – Università Cattolica di Piacenza
Ivano De Noni
Ricercatore presso DISTAM
Facoltà di Agraria – Università degli Studi di Milano
Ermanno Lanzola
Direttore del Centro Ricerche sulla Nutrizione Umana e la Dietetica
Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università degli Studi di Pavia
Tiziano Lucchi
Professore a contratto della Scuola di Specializzazione in Geriatria
Università degli Studi di Milano
Lorenzo Morelli
Professore Associato in Biotecnologie delle Fermentazioni
Istituto di Microbiologia – Università Cattolica di Piacenza
Pierpaolo Resmini
Professore Ordinario di Industrie Agrarie – DISTAM
Facoltà di Agraria – Università degli Studi di Milano
Enrica Riva
Professore Associato presso la Clinica Pediatrica – Ospedale San Paolo
Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università degli Studi di Milano
Marco Silano
III Scuola di Specialità in Pediatria – Ospedale San Paolo
Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università degli Studi di Milano
Antonio Tirelli
Ricercatore presso DISTAM
Facoltà di Agraria – Università degli Studi di Milano
Carlo Vergani
Direttore della Cattedra di Gerontologia e Geriatria
Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università degli Studi di Milano
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ndice
Introduzione
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V. Bottazzi
Latti fermentati: antropologia di un alimento
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G. Ballarini
Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
35
B. Battistotti, V. Bottazzi
Chimica e tecnologia dello yogurt
73
I. De Noni, P. Resmini, A. Tirelli
Attività probiotica dei latti fermentati
99
L. Morelli
Aspetti nutrizionali dei latti fermentati
121
E. Lanzola
I latti fermentati nell’alimentazione del bambino
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C. Agostoni, E. Riva, M. Silano
La flora batterica intestinale nell’anziano
T. Lucchi, C. Vergani
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ntroduzione
V. Bottazzi
Proseguendo lungo il percorso iniziato nel 1994 con la pubblicazione del
primo volume della collana ITEMS “I temi della nutrizione”, si è giunti alla realizzazione del quinto volume dal titolo
“I latti fermentati: aspetti biochimici, tecnologici, probiotici e nutrizionali”.
Questo nuovo volume, che si colloca nell’area dell’alimentazione e della
salute, assume un particolare significato poiché focalizza aspetti che non erano mai stati coordinati e presentati prima in forma sequenziale e organica.
Tutto questo è stato possibile grazie
ai risultati delle ricerche scientifico-tecniche condotte in questi anni nel settore dei latti fermentati e dello yogurt in
particolare.
L’obiettivo che si è voluto raggiungere è stato quello di promuovere informazioni scientifiche e tecniche, usando
un linguaggio comprensibile da tutti coloro che considerano di fondamentale
importanza l’abbinamento “alimenti e
salute”.
Con questa opera si presenta, sulla
scorta delle recenti acquisizioni scientifiche, il complesso biochimismo che regola l’attività microbica dei “latti fermentati”, il suo significato nel determinarne aspetti organolettici, nutrizionali e
composizione chimica, nonché nel contribuire al mantenimento dello stato di
buona salute del consumatore. L’intento è di fornire sia un utile ed organico
aggiornamento agli esperti del settore,
sia precise conoscenze scientifiche a
coloro che per la prima volta si interessano degli aspetti su cui si basa la razionale produzione di “latte fermentato”
gradevole al palato, con buon potere
nutrizionale e probiotico.
Nell’opera si riconoscono tre parti:
– la prima riguarda l’origine dei latti fermentati, le proprietà degli agenti di
fermentazione e le operazioni tecnologiche caratterizzanti il processo produttivo di oggi;
– la seconda evidenzia l’attività probiotica dei latti fermentati e dei microrga-
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Introduzione
nismi caratterizzanti, per il mantenimento dello stato di buona salute del
consumatore;
– la terza riporta le specifiche conoscenze di specialisti della nutrizione
umana sapientemente armonizzate
per renderle di interessante e comprensibile lettura.
Esprimo pertanto la convinzione
che si è realizzata un’opera meritevole
di larga diffusione, grazie all’organizzazione dell’Istituto Danone, nella certezza
di portare un contributo alla sensibilizzazione ed alla conoscenza dei complessi
rapporti che regolano alimentazione e
salute dell’uomo.
Prof. Vittorio Bottazzi
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atti fermentati:
antropologia di un alimento
G. Ballarini
Istituto di Clinica Medica Veterinaria
Università degli Studi di Parma
dei tempi. In questi casi non è facile
scrivere una storia e forse è impossibile. Al massimo, dalle tracce, spesso limitate, si possono fare ricostruzioni più
o meno ipotetiche, ma pur sempre stimolanti che partono dai dati materiali
disponibili.
Ben diversa è la situazione per una
città o un edificio più o meno relativamente recente del quale è possibile ricostruire una storia, in senso umano e
quindi antropologico, sulla base dei documenti che completano e soprattutto
permettono di interpretare correttamente i dati materiali.
La storia è una dimensione culturale e quindi solamente umana, nel cui
ambito un corretto rapporto tra dati materiali e documenti permette un dialogo
e soprattutto lo sviluppo di quelle ricerche che possono venire definite storiche. Secondo questo modo di vedere,
non può esistere una storia della terra,
ma solo una cronaca o una cronologia
di avvenimenti geologici, e in modo
Una storia non
impossibile, comunque
difficile e frammentaria
È possibile una storia dei latti
fermentati o non è invece possibile
considerare soltanto aspetti
antropologici di una vetero-biotecnologia alimentare?
Antiche civiltà ormai dimenticate
sono spesso emerse dalle nebbie del
passato da tracce di una città svelata
da una fotografia aerea o da qualche
reperto archeologico occasionale e fortunato. In questi casi, solo con studi interdisciplinari è possibile tratteggiare la
pianta della città e il tipo dei suoi edifici
e da qui cercare di risalire alla cultura,
agli stili di vita del popolo che l’aveva
costruita e ai suoi rapporti con l’ambiente. Un lavoro lungo, difficile e soprattutto incerto per le città e le culture
che affondano le loro radici in quella
che un tempo veniva definita la notte
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analogo per tutti i fenomeni naturali. La
cronologia è della natura, la storia della
cultura.
Gli alimenti in quanto tali e soprattutto il processo alimentare e nutritivo
sviluppato dalla vita in tutte le sue innumerevoli diversificazioni, in quanto natura, non hanno una storia. Questa forse
incomincia a comparire quando in alcune specie animali si accendono e si sviluppano scintille di cultura, ma certamente quando l’uomo con la sua coltura, nelle sue quasi infinite modulazioni,
trasforma e crea ogni genere di alimenti, la cui storia può essere scritta solo
raccogliendo e valutando i dati materiali
e i documenti che ne permettono una
interpretazione. I latti fermentati, “alimenti culturali” costruiti dall’uomo, sono
più simili ad un’antichissima città preistorica le cui origini affondano nella notte dei tempi, più che ad un alimento
con un’origine storica. Questi latti hanno anche una notevole biodiversità e
quasi certamente una genesi policentrica o per lo meno una elevata differenziazione spazio-temporale.
Chi volesse scrivere una storia dei
latti fermentati, non può limitarsi a qualche cenno tra il curioso e l’aneddotico,
come la leggenda di Maometto sui granuli di kumis o quella del messaggero
del Gengis Khan, o l’opinione di E. Met-
chnikoff che attribuiva la longevità della
popolazione dell’Armenia o dei Balcani
(anche in questo caso a noi vicino le
pubblicazioni non concordano) all’alto
consumo di latte fermentato come fattore di prevenzione e controllo di una
supposta “putrefazione” e “intossicazione” intestinale.
Per una storia dei latti fermentati
bisogna invece porsi la questione dei
rapporti che questi hanno sviluppato tra
natura e cultura. Una questione che
può essere riassunta nel seguente interrogativo: sulla base dei dati disponibili è possibile una storia dei latti fermentati o non possiamo soltanto tracciare, o tentare di tracciare una antropologia di una vetero-biotecnologia alimentare?
Probabilmente è vera la seconda
ipotesi, ma una risposta in questo senso richiederebbe non lo spazio di un capitolo e neppure di un libro, ma una enciclopedia, anche se queste non sono
più di moda. Una conclusione abbastanza inconsueta e per lo meno irritante per quella che dovrebbe essere una
“storia dei latti fermentati” posta all’inizio
di una monografia su questi alimenti.
Allo stato attuale e nelle condizioni
di questa esposizione è comunque possibile, tra dati materiali e ipotesi o ricostruzioni ipotetiche, dare alcune tracce
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G. Ballarini
non solo sull’origine e sullo sviluppo dei
latti fermentati, ma anche di alcuni loro
rapporti con le culture umane, in ambito
quindi di una antropologia alimentare e,
per quanto riguarda gli animali produttori di latte, di una zooantropologia, con
prospettive future di questi importanti
alimenti.
Una storia quindi non impossibile,
ma comunque difficile e frammentaria.
tura occidentale. Solo ora, in questa rivoluzione dell’età del bronzo, incominciamo a scoprire una serie di eventi che
non possono essere semplici coincidenze.
Tra gli eventi di rilievo nella rivoluzione dell’età del bronzo, e con un ruolo
non secondario, vi è la comparsa, il diffondersi e il differenziarsi delle veterobiotecnologie dei latti fermentati, in
stretta associazione ad una variazione
genetica di una parte della popolazione
umana.
La popolazione umana, come quella di tutti gli altri mammiferi, è geneticamente predisposta alla digestione enzimatica del latte, almeno della propria
specie. Una digestione raffinata e basata sulla presenza di alcuni tipi di enzimi altamente specifici che agiscono
sulle caseine e sul lattosio, e cioè proteine e zucchero specifici del latte.
Questi enzimi sono tuttavia geneticamente programmati per essere elaborati soltanto per il breve periodo dell’allattamento naturale. Al di fuori di questo
periodo, infatti, il latte è un alimento “innaturale”.
In gran parte delle popolazioni umane, ancor oggi gli adulti, se possono digerire le proteine e i grassi del latte con
gli stessi sistemi enzimatici utilizzati per
proteine e grassi di altra origine, non
Vetero-biotecnologia
dei latti fermentati
e variazione genetica
umana nella
rivoluzione dell’età
del bronzo
La digestione del latte fermentato
nelle popolazioni umane adulte
promosse la produzione del latte,
assieme all’impiego degli animali
ai fini del traino.
Il lungo e ancora oscuro periodo della “transizione neolitica” sfocia in quella
che può essere definita come la rivoluzione dell’età del bronzo, sulla quale si
basa lo sviluppo delle culture eurasiatiche che hanno come centro la Fertile
Mezzaluna, che tanta importanza ha
avuto nello sviluppo della moderna cul-
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hanno la capacità di digerire il lattosio,
in quanto non elaborano l’enzima specifico o lattasi. Come dimostrano le ricerche di Kretchmer (1972), Serratt
(1981) e altri, le popolazioni di adulti cinesi, neri africani, indigeni americani,
australiani e tante altre popolazioni presentano una più o meno assoluta intolleranza al lattosio. Recentemente Bottazzi (1997) riferisce che l’intolleranza
al lattosio interessa il 20% della popolazione bianca (con punte sino al 40%
in Francia), circa il 75% dei neri dell’America del Nord, mentre in Africa e
in Asia (Estremo Oriente) in certe popolazioni si arriva al 100%. Anche in Italia
meridionale, come in altri paesi mediterranei, la tolleranza al lattosio è ancor
oggi incompleta: in Italia infatti l’intolleranza al lattosio passa dal 51% al nord
al 71% al sud (Minissi e coll., 1992).
Il lattosio indigerito, arrivato nel
grosso intestino, va incontro a processi
fermentativi che determinano sindromi
diarroiche esplosive.
È intuitivo come nelle popolazioni
umane intolleranti al lattosio non si sia
sviluppato un uso alimentare del latte
negli adulti. Al massimo, e solo tardivamente, si è sviluppato l’uso alimentare
di derivati del latte privi di lattosio, come
il formaggio e, in certe condizioni climatico-ambientali, il burro.
La tolleranza al lattosio, in quanto
l’organismo umano mantiene per tutta
la vita la capacità di elaborare la lattasi
necessaria alla digestione del lattosio
del latte, è una variazione genetica,
ereditaria, solo parzialmente dominante
negli ibridi per il gene.
La variazione genetica “tolleranza al
lattosio” (che per comodità indicheremo
come GL o “gene lattasi”) è certamente
comparsa più volte e in molte popolazioni, ma non si è potuta selezionare e
diffondere per la già indicata mancanza
di latte nella alimentazione degli adulti.
Questa selezione è però avvenuta in alcune popolazioni eurasiatiche, in coincidenza della rivoluzione dell’età del bronzo, in rapporto allo sviluppo e alla diffusione dei latti fermentati.
Nei latti fermentati una parte del
lattosio viene trasformato soprattutto in
acido lattico o alcole etilico; inoltre i
batteri lattici presenti nel latte fermentato elaborano enzimi, come la beta-galattosidasi, che mantengono la loro attività dopo l’ingestione. In altri termini la
fermentazione del latte prima della sua
ingestione supera almeno in buona parte i problemi connessi all’intolleranza al
lattosio e diviene un elemento indispensabile alla selezione e diffusione del gene GL in una popolazione.
Quando il gene GL è largamente
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diffuso in una popolazione, si associa
una sempre più vasta utilizzazione del
latte. Si tratta di popolazioni “lattofile”,
nettamente distinte dalle altre popolazioni “lattofobe”.
Se le popolazioni lattofobe rappresentano la normalità ancestrale, le popolazioni lattofile, divenute tali soprattutto attraverso i latti fermentati, assumono i caratteri di una innovazione che
non riguarda soltanto gli aspetti alimentari, nutrizionali e sanitari, ma che assume ruoli molto più ampi. Lattofilia e lattofobia si associano infatti ad altre condizioni e sono due situazioni antropologiche complesse, che non è possibile
qui approfondire.
Riferendosi alla rivoluzione dell’età
del bronzo avvenuta nell’area delle popolazioni lattofile dell’area eurasiatica,
recentemente Forni (1990) ha fatto
notare come a prima vista sembrerebbe
che l’utilizzo alimentare del latte, l’impiego dell’aratro e del carro, con tutte
le implicazioni sociali ed economiche,
non siano correlati. È invece vero l’opposto, dato che le popolazioni umane
lattofobe, in quanto intolleranti al latte,
sono le stesse che o non conoscono i
due strumenti (anche se, magari, come
certe popolazioni dell’America precolombiana, conoscevano la ruota – Winick, 1960) o, conoscendoli, come il
caso dei cinesi, sino a ieri li impiegavano, particolarmente il carro, prevalentemente a trazione umana (Sherratt,
1981). Secondo Forni (1990) questo
significa che lo sviluppo dell’allevamento per la produzione del latte “promuove” anche l’impiego degli animali ai fini
da traino.
Mentre in precedenza gli animali,
soprattutto quelli di media e grande taglia, erano utilizzati soprattutto per la
carne e solo sporadicamente, come i
cervi, erano impiegati per il traino o cavalcati (Forni, 1989), con la rivoluzione
dell’età del bronzo diviene prevalente
un nuovo utilizzo, quello del tiro di aratri,
tregge, slitte, carri e del trasporto per
basto o cavalcatura. La disponibilità di
motori animali, per l’epoca estremamente potenti, rivoluzionò la produzione
di alimenti (agricoltura), i trasporti tra la
campagna e le sorgenti città, tra città e
città sempre più lontane e quindi diede
avvio ai commerci terrestri.
L’aratro e il carro, oltre che essere
tra loro collegati nell’ambito della genesi della città, come riferisce Forni
(1990), costituiscono l’epicentro di altri
grandiosi processi, quali la progressiva
prevalenza della struttura familiare patrilineare, con predominio del maschio e
del matrimonio virilocale (cioè la nuova
famiglia si costituisce nel luogo di resi-
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denza del marito) e quindi, successivamente, grazie all’accentramento di tipo
maschile, della nascita dello stato. In
precedenza la preponderanza era invece di chi ammassava il cibo, lo conservava e lo trasformava, lo distribuiva: la
madre di famiglia.
Non è infine da sottacere il rilievo
che le culture lattofobe sono anche
quelle nelle quali vi è stato uno sviluppo
di droghe. Un rilievo che si collegherebbe alle attività extra-nutrizionali del latte
e dei suoi derivati, in particolare casomorfine e altri composti peptidici ad
azione neuro-ormonali.
e del bronzo. Particolarmente importante è stato il passaggio dal semi-allevamento (= caccia con protezione) all’allevamento vero e proprio, cioè alla pastorizia, nelle immense aree steppiche
o parasteppiche del Vicino Oriente.
Secondo Forni (1976, 1990) il processo è iniziato con l’acquisizione, da
parte dei cacciatori, trasformatisi così in
pastori, sia del bestiame ovicaprino e
bovino in possesso delle popolazioni
contadine, sia di nuove specie prima
sfruttate ad uno stadio di semi-domesticazione (equidi, camelidi e, nell’Europa centrale e settentrionale, cervidi).
Successivamente vi è stata l’intensificazione e l’estensione dell’allevamento
nelle stesse aree agricole, mediante
l’utilizzo delle porzioni di terreno meno
adatte alla coltivazione, attraverso una
simbiosi tra agricoltori e pastori, con
forme e strutture come l’alpeggio e la
transumanza. Infine vi è stata una progressiva intensificazione ed estensione
dell’allevamento attraverso il diboscamento praticato con il fuoco, un procedimento in atto fin dal Mesolitico.
Se la produzione del latte è certamente connessa alla domesticazione
animale, non bisogna tuttavia dimenticare che una cosa è avere un animale
dal quale prelevare un poco di latte, e
un’altra cosa è avere un animale “da
I primi latti
fermentati europei
furono di cerva?
La paleolinguistica indica che in
Europa l’addomesticamento del cervo
è connesso alla rivoluzione
agropastorale e soprattutto alle prime
vetero-biotecnologie applicate al latte.
Certamente la produzione di latte è
consecutiva alla domesticazione degli
animali, un processo complesso e non
unitario avvenuto nel periodo che va dal
Mesolitico/Neolitico o durante la transizione del Neolitico, fino all’età del rame
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latte”. Per quest’ultima produzione è
necessario che il processo di domesticazione sia altamente sviluppato e abbia consentito l’attivazione manuale del
riflesso di eiezione del latte nella femmina, con assenza o solo parziale presenza del redo, perché nell’allevamento
dell’animale da latte vi è spesso la macellazione precoce del figlio (agnello o
capretto, vitello) o il suo svezzamento
anticipato. Il prelievo artificiale del latte
prolunga oltre il periodo fisiologico la
sua produzione; da questo conseguono
complicati problemi di pascoli e regolazione del periodo dei parti. Tutto questo
è possibile solo quando il processo di
domesticazione è già ben stabilito.
La disponibilità di latte pone il problema della sua preservazione e la fermentazione acida consente una conservazione sufficientemente lunga. Secondo Gottschalk (1948), mantenendo il
latte in un recipiente di pelle o di legno
e rinnovando costantemente la massa
coagulata nella misura in cui si consuma il prodotto, si può conservarlo per
un’intera stagione. Questo procedimento fu scoperto circa diecimila anni fa,
poco dopo la domesticazione dei piccoli
ruminanti (capre, ma anche pecore)
nell’area della Fertile Mezzaluna. È tuttavia da ritenere che la stessa scoperta
avvenne anche in altri luoghi e con il
latte di specie animali diverse.
Se non vi è specie animale allevata
per il latte che non sia stata interessata
ai latti acidi, oggi si ritiene che nella domesticazione dei grandi ruminanti il cervo abbia avuto un ruolo di grande importanza in tutta l’area europea centrale, in modo analogo a quanto avvenne
per la renna in quella settentrionale.
Sono queste le stesse aree nelle
quali oggi riscontriamo popolazioni dove
l’intolleranza al lattosio è percentualmente molto bassa. Una coincidenza
che non può essere casuale.
Forni (1990) fa rilevare che anche
la linguistica storica conferma in Europa la relazione tra la formazione di pascoli tramite il diboscamento con il fuoco e il semi-allevamento dei ruminanti
ed è particolarmente significativo come
la denominazione dei cervidi è apparentata con il tema preindoeuropeo
b(h)re/ont diffuso dal mar Mediterraneo al mar Baltico (Maestrelli, 1976),
un tema a sua volta affine a quello che
indica il fulmine e l’incendio o siti connessi all’uso del fuoco.
Sulla linea ora accennata, sempre
Maestrelli (1976) e Alessio (1968) ricordano Brindisi (città del cervo, da
brenda , cervo, in Messapico, antico
dialetto dell’Italia meridionale), il norvegese brunde (renna), lo svedese brin-
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de (alce). Per quanto riguarda invece il
fulmine o il fuoco abbiamo l’etrusco e il
nord piceno frontac, l’osco frunter, il
greco bronte, il latino fulgus.
Maestrelli (1976), Buck (1949) e
Pokorny (1949, 1959) rilevano anche
che alcuni termini tra loro affini e connessi con il significato di cervo (latino
cervus) sono all’origine di denominazioni significanti capra, vacca, ecc. e questo mette in evidenza che, almeno in
Europa e soprattutto in quella centrale
e settentrionale, l’allevamento dei cervidi ha preceduto quello dei caprini, ovini
e bovini. Il richiamo ai cervidi nei riguardi di un utilizzo del loro latte per uso alimentare umano deve essere integrato
con la constatazione che la denominazione originaria del cervo, allevato in semi-domesticamento in aree erbose ottenute con il fuoco (da qui l’accostamento del cervo al fuoco), è anche connessa con il nome di formaggi tipo
sbrinz (lombardo), brenza (italiano antico), brinza (rumeno), Primsen (tedesco), evidentemente prodotti, all’origine,
con latte di cerva (Alessio, 1968;
Forni, 1990). In modo analogo il termine scamorza può venire ricollegato ad
un formaggio prodotto con il latte di camoscio, un ruminante affine al cervo
(Alessio, 1968). Riallacciandosi ai dati
paleolinguistici, secondo anche l’analisi
di Forni (1990), bisogna quindi ritenere
che almeno in Europa, dalla penisola
scandinava alla pianura ora occupata
dalla Romania, fino agli estremi della
penisola italiana, in tempi preistorici vi
sia stato un allevamento lasso, brado (=
semi-allevamento) originario di popolazioni cervine, senza selezione e quindi
senza sfociare in una domesticazione
vera e propria in senso genetico (= paradomesticazione).
L’importante ruolo del cervo, attestato fin dalla prima antichità (Jarman,
1972), si mantenne a lungo. Nel periodo romano viene naturale ripensare ai
carri trainati da cervi ricordati da Marziale e alle bighe trainate da cervi raffigurate nel fregio degli Amorini, sulle pareti
del grande triclinio nella pompeiana casa dei Vetii, poi nel secondo secolo a
Pausania, quindi agli scrittori latini della
Historia Augusta. Al di fuori della storia
romana è significativo che i cervi che
trainarono la quadriga dell’imperatore
Aureliano, trionfante nel 272 sulla regina di Palmira, Zenobia, provenivano da
un sovrano goto. Indicazioni di un certo
grado di domesticazione del cervo si
trovano inoltre in Europa per tutto il Medioevo (Montanari, 1970).
In sintesi le fonti ci conservano
quindi il ricordo di un processo di addomesticamento del cervo che, avviato
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G. Ballarini
nell’antichità e giunto ad una fase intermedia nell’Alto Medioevo, non ha saputo procedere ulteriormente, rimanendo
questo animale, al massimo, in stato di
semi-cattività in taluni parchi nobiliari.
Collegati alle prime fasi dell’allevamento del cervo si debbono porre anche i primordi di vetero-tecnologie e vetero-biotecnologie.
Oltre a quelle dell’allevamento stesso, del cavalcare e del diboscare, vi sono quelle dell’utilizzo del latte. Una volta
acquisita la tecnica di ottenere il latte
senza succhiarlo (mungitura), questo
nuovo e insolito alimento ha successo
in popolazioni umane nelle quali è accidentalmente comparso il gene della tolleranza al lattosio.
Il latte che viene accumulato in un
otre o in un recipiente di legno, nell’ambiente caldo o per lo meno tiepido delle
prime capanne, attraverso una microflora lattica e come espressione di una vetero-biotecnologia, coagula, automaticamente trasformandosi in latte fermentato acido, che si autoconserva e
ne permette un uso, per lo meno familiare.
La biotecnologia del latte fermentato, acido o acido-alcolico, è inoltre precedente a quella della trasformazione in
formaggio e non ha ancora trovato riferimenti antichi di tipo linguistico, forse
perché, diversamente dalla produzione
del formaggio (tecnica di tipo maschile),
la produzione di latti acidi è una tecnica
di tipo femminile che non ha potuto lasciare tracce linguistiche scritte, antichissime e antiche.
Diffusione eurasiatica
dei latti fermentati
La grande diffusione e le diverse
denominazioni dei latti fermentati ne
fa supporre un’origine policentrica.
Come recentemente ha sottolineato
Bottazzi (1993) i latti fermentati partono molto lontano nella storia, anzi, aggiungiamo noi, dalla preistoria dell’uomo, e ci sono arrivati anche attraverso
leggende e tradizioni, ma soprattutto
attraverso una cultura materiale, i Giacimenti Gastronomici (sui quali dovremo
tornare), alcuni dei quali, con un supporto scientifico e tecnico, sono stati
progressivamente valorizzati sotto il profilo nutrizionale e salutistico.
Sulla base delle denominazioni che
sono state raccolte, la produzione di latti fermentati spazia dall’Europa all’Asia
e si spinge in Africa (Tab. 1) presso le
culture che hanno sviluppato l’allevamento degli animali da latte, prevalen-
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Latti fermentati: antropologia di un alimento
Tabella 1
Denominazione
Alcune denominazioni
di latti fermentati
in rapporto alla loro
posizione geografica
(Koroleva, 1988;
Bottazzi, 1993;
Bottazzi e coll., 1994;
con modifiche).
Posizione geografica
Europa (da Nord a Sud)
Teatta
Scandinavia
Prostokvasha
Russia
Kumys
Regione del Volga
Kiselo Mlyato
Bulgaria
Joddu
Sardegna
Asia (da Occidente a Oriente)
Yogourt, Benraib
Turchia, Armenia
Leben
Siria, Libano
Mast
Iran
Mayzoon
Persia
Matsun, Ayran, Kefir
Caucaso
Kurunga, Katyk, Chal
Asia centrale, Kazakhstan
Kumys
Mongolia
Dahi, Dadhi
India
Africa
Kast Le
Egitto
temente capre, pecore, bovini, ma anche equini e camelidi. Più che l’origine
del latte sembrano avere avuto importanza i microrganismi fermentanti (batteri e lieviti) e soprattutto le loro associazioni, non raramente molto complesse, sia come presenze che come successioni fermentative nel corso della
preparazione del prodotto.
È interessante rilevare che i latti
fermentati hanno diversissime denominazioni tuttora persistenti nelle tradizioni
orali usate fino a pochissimo tempo fa
(vedi Tab. 1) che non è facile riportare
ad una o a poche radici, anche se sembra vi possa essere una certa predominanza di termini che iniziano con la consonante “K”.
L’ora accennata situazione deve indirizzare ad un’origine policentrica dei
latti fermentati, piuttosto che un’unica e
puntuale “invenzione”, ad esempio nella
Fertile Mezzaluna e in particolare nella
Mesopotamia, oppure nelle steppe asiatiche, o sul Caucaso, come alcuni tendono a far credere, con una successiva
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diffusione in modo centrifugo, per poi
raggiungere l’India, la Scandinavia, il
Mediterraneo, dalle sue isole all’Egitto.
Questa ipotesi non esclude che, almeno in alcune zone, vi siano stati sviluppi da un tipo ad un altro. Ad esempio
notizie storiche supportano che il kefir
caucasico, bevanda acida, mediamente
alcolica, effervescente, ottenuta da fermentazione del latte, provenga dalla
fabbricazione dell’ayran, bevanda acida
e schiumosa anch’essa di provenienza
caucasica. L’ayran a sua volta si ottiene
facendo fermentare il latte in recipienti
di rovere, con l’aggiunta di qualche
pezzo di stomaco di montone o di
agnello (Bottazzi e coll., 1994).
Un’origine policentrica dei latti fermentati si accorda meglio anche con
l’utilizzo di latti di diverse specie e in
condizioni climatiche le più differenti.
Un’origine policentrica è d’altronde
possibile ipotizzando, il che non è difficile, una analoga invenzione o scoperta
casuale, avvenuta più volte e in luoghi
diversi, in condizioni differenti e partendo da latti di varie specie animali, secondo lo schema sopra indicato.
Mentre un’origine unica con diffusione centrifuga potrebbe essere stata
la conseguenza di improbabili commerci
del prodotto, quindi per un’attività di tipo maschile, un’origine policentrica e ri-
petuta è più consona ad un’origine femminile dei latti fermentati.
Una differenziazione antropologica
maschile-femminile che esige un approfondimento, prima del quale è tuttavia utile premettere alcune notizie, purtroppo frammentarie, sui latti fermentati
dall’antichità a tempi a noi più vicini.
In base alle indagini di Bottazzi
(1993) nella Bibbia vi sono due riferimenti. Nel Deuteronomio viene precisato che i latti fermentati apparvero con
Mosé, che li considerò costituenti vitali
dell’alimentazione che Dio donò al suo
popolo. È qui interessante rilevare che
una denominazione di latte fermentato
non pare presente nell’Antico Egitto.
Nel libro della Genesi si fa inoltre cenno
ad un’origine mistica, quando Dio fece
portare da un angelo al patriarca Abramo il segreto dello yogurt.
Con un salto di molti secoli, nella
biografia dell’imperatore Eliogabolo
(204-222 dell’era corrente) si ritrova
una ricetta per la fabbricazione
dell’Opus lactarum che si può ritenere
simile al nostro yogurt con aggiunta di
miele o frutta.
Ancora molti secoli e si arriva alla
leggenda che narra come una buona
diffusione del consumo di latte fermentato, con le sue varietà di ceppi lattici
selvaggi e di altra microflora da conta-
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minazioni accidentali, si ebbe ai tempi
di Gensis Khan. Un corriere del conquistatore si fermò per fare rifornimento d’acqua prima di iniziare la traversata delle steppe della Mongolia, ma invece di acqua la borraccia fu riempita
di latte e questo pensando, almeno secondo la leggenda, che si sarebbe alterato e avrebbe quindi messo in difficoltà, per sete, il corriere. L’effetto fu
invece di opposto segno, perché dal
consumo di latte fermentato (fermentazione acida o, più probabilmente, acido-alcolica?) il corriere trasse vigore e
resistenza, al punto che il Gensis Khan
impose la nuova (o antichissima?) bevanda alle sue orde mongole e la diffuse come prestigioso alimento nel mondo orientale.
Durante il Rinascimento, ancora
molti secoli dopo l’ultima notizia, in
Francia, il re Francesco I, che soffriva di
disturbi intestinali, venne curato dal
Gran Turco, giunto dall’Oriente con un
gruppo di pecore e una “misteriosa ricetta”, con la quale preparava un latte di
pecora fermentato. Con il consumo di
questo latte il Re di Francia ebbe un rapido miglioramento e arrivò a completa
guarigione. La comparsa del primo yogurt in Francia, anche in questo caso
veicolato attraverso un potente, ebbe
una successiva rapida e larga diffusione.
Latti fermentati
tra femminile
e maschile
E se Erodoto avesse avuto ragione a
proposito delle Amazzoni?
La comparsa e lo sviluppo dei latti
fermentati sembra coincidere con importantissime, quasi epocali trasformazioni
culturali e soprattutto con il passaggio
dalla famiglia matrilineare a quella patrilineare. Da qui anche l’accenno, che
deve avere ulteriori precisazioni, di una
tecnica o vetero-biotecnologia di tipo
femminile dei latti fermentati, contrapposta a quella maschile dei formaggi.
Durante tempi antichi, quanto immemorabili, la preponderanza sociale
era di chi ammassava il cibo, lo conservava e lo trasformava con la cucina, lo
distribuiva in ambito della famiglia, anche allargata: la madre di famiglia. Da
qui la famiglia matrilineare, non necessariamente, ma frequentemente matriarcale.
Con l’avvento dell’allevamento e soprattutto con le già citate invenzioni dell’aratro e del carro e la diffusione del trasporto con animali da soma, in stretto
collegamento con la nascita della città, vi
è uno spostamento dell’attività maschile
dalla caccia a nuove attività urbane e ci-
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vili, ad iniziare dal commercio degli alimenti e di altre merci. In stretta connessione, come già accennato, si assiste ad
una progressiva prevalenza della struttura familiare patrilineare, con predominio
del maschio e del matrimonio virilocale:
la nuova famiglia cioè si costituisce nel
luogo di residenza del marito. Grazie
all’accentramento di tipo maschile ci si
avvia alla nascita dello Stato.
La tecnologia di conservazione del
latte, attraverso una sua fermentazione
acidificante e talvolta alcolica, ne permetteva una buona utilizzazione locale e
per lo meno stagionale, appropriata ad
una dimensione femminile e ad una famiglia matrilineare, soprattutto in aree
nelle quali era anche parzialmente diffuso il gene della tolleranza al lattosio.
Fermentazione acida del latte, quindi
tecnologia di taglio femminile.
Una trasformazione del latte per la
produzione di alimenti concentrati e a
lunga conservazione, privi di lattosio,
come i formaggi stagionati e il burro, risponde alle nuove richieste di una popolazione urbana più o meno staccata
da quella agricola e soprattutto si rivela
una preziosa fonte di commerci. Trasformazione casearia del latte, quindi
tecnologia di taglio maschile.
Non è certamente un caso che nel
classico “fregio della latteria” conservato
nel museo di Baghdad e risalente a cinquemila anni fa, il formaggio venga preparato da sacerdoti sumeri, ovviamente
maschi. In modo analogo la prima, precisa e dettagliata descrizione di un caseificio la troviamo nell’Odissea e il primo casaro della storia che ha un nome
è un uomo: Polifemo. Manchiamo invece di qualsiasi indicazione delle artefici
femminili dei primi latti acidi, ma questo
non deve stupire dopo che la famiglia
patrilineare e patriarcale, quindi maschile e maschilista, ha soppiantato quella
matrilineare e matriarcale.
Una netta distinzione femminile/
maschile a proposito della trasformazione del latte, con assegnazione dei latti
fermentati di tipo acido o acido-alcolico
alla donna e dei formaggi all’uomo, è
accettabile almeno come schema interpretativo o, se si vuole, come una pista
per meglio indagare il complesso tema
dei latti fermentati. Gli schemi infatti
non sono la realtà, ma sono indispensabili per comprenderla.
Nell’ambito di una appartenenza
femminile dei latti fermentati si possono porre diversi problemi e aspetti antropologici e zooantropologici (rapporto
uomo-animale), tra i quali, successivamente, accenneremo a quelli riguardanti la biodiversità dei latti fermentati e il
loro uso alimentare. Tuttavia, almeno
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come inizio a questa disamina, può porsi l’interrogativo di una eventuale, possibile partecipazione delle Amazzoni.
Le Amazzoni elaboravano un latte
di cavalla fermentato, caratterizzato da
un variabile, ma a volta sostenuto tasso
alcolico, tale da renderlo inebriante e
noto fino ai nostri giorni sotto la denominazione di kumys o kumiss e di kefir?
Un interrogativo non completamente
assurdo se si considerano i risultati di
indagini archeologiche, recentemente
considerate da De Angelis (1998) e da
Davis-Kimball (1998), e se si confrontano con quanto sopra tratteggiato a
proposito della domesticazione dei cervidi e altri ruminanti selvatici nell’area
eurasiatica.
Le recenti indagini archeologiche
sembrano anche dare ragione ad Erodoto. Questo storico greco, durante un
viaggio a nord del Mar Nero attorno al
450 prima dell’era corrente, sente parlare di donne guerriere che percorrevano a cavallo le steppe della Russia del
sud. Dalle Amazzoni e dagli Sciiti nacque un popolo organizzato in tribù matriarcali, i Sauromati.
Gli scavi archeologici compiuti in
questi ultimi decenni hanno constatato
la presenza dei Sauromati in una vasta
zona, dalle rive orientali del basso Don
fino alle steppe meridionali degli Urali.
Attorno al 600 prima dell’era corrente
le loro tribù hanno cominciato a pascolare pecore, cavalli e persino qualche
cammello delle steppe attorno a Pokrokva, dove arrivavano in primavera, sostandovi fino all’autunno, per poi scendere verso il più mite clima del sud Kazakistan e del nord Uzbekistan. Solo
dopo due secoli i Sauromati vennero
sostituiti da un popolo chiamato Sarmati dagli Autori, databili tra il IV e il II prima della nostra era. Nelle tombe femminili sia dei Sauromati che dei Sarmati
sono state regolarmente trovate armi e
indicazioni del loro costume a cavalcare
e tracce dell’abitudine a cacciare la saiga, un’antilope delle steppe.
Le donne che vivevano nelle steppe
asiatiche nella prima età del ferro e di
cui sono state recentemente studiate le
tombe, secondo Davis-Kimball (1998),
sarebbero il corrispondente delle Amazzoni di cui parlavano i greci.
Quale era la loro alimentazione? Dopo quanto riportato a proposito della domesticazione del cervo e dell’uso alimentare del latte di questo animale e di altri
ruminanti selvatici, in periodi e in aree
geografiche relativamente vicine, non è
troppo ardito pensare che AmazzoniSauromati-Sarmati si nutrissero anche di
latte di cavalla e che avessero iniziato e
poi sviluppato una fermentazione alcolica
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di questo latte, ottenendo un alimento
particolarmente gradito ad una popolazione nomade di femmine, ma con caratteri e soprattutto costumi mascolini, e
che non avrebbe potuto sviluppare altre
bevande alcoliche (vino o birra).
In altri termini la leggenda del Gensis Khan non sarebbe più probabilmente il recupero di una realtà molto più
antica, risalente alle non più tanto mitiche Amazzoni?
trova indubbiamente un’origine nel tipo
di microrganismi, batteri e in minor misura lieviti, che intervengono nei processi di fermentazione. Da dove originano questi microrganismi, indipendentemente dalle loro associazioni, spesso
molto complesse, quasi raffinate?
Ricerche compiute su individui di
popolazioni diverse, nell’arco di circa ottant’anni, hanno dimostrato che i lattobacilli sono già presenti nella nostra flora batterica gastrointestinale a pochi
giorni dalla nascita e lo stesso avviene
per gli animali, mammiferi e non.
Non dimentichiamo che la fermentazione lattica che stiamo esaminando
avviene anche nello stomaco dei giovani mammiferi, dove sostituisce l’attività
antibatterica prima dell’assente e poi
della scarsa produzione di acido cloridrico, senza significativamente interferire sull’attività delle immunoglobuline,
soprattutto delle IgA, del colostro e del
latte.
La naturale presenza di batteri capaci di fermentare il lattosio nell’apparato digerente umano e animale si inserisce in un quadro microbiologico estremamente complesso e solo in parte noto. Nell’intestino umano, infatti, pare
che proliferino stabilmente più di 400 tipi differenti di microrganismi. Nell’uomo, come negli animali, esistono inoltre
Biodiversità
microbiologica
dei latti fermentati
L’origine matriarcale del latti
fermentati può spiegare la loro
grande biodiversità.
Nei latti fermentati riscontriamo una
caratteristica sotto certi aspetti sconcertante: da una parte possiamo parlare
di “latti fermentati”, dall’altra osserviamo
la loro grandissima, quasi sterminata diversità. Una unità nelle diversità che
deve avere una spiegazione che qui
tratteremo per sommi capi, certamente
in modo non esaustivo, ma sufficiente
per trarne alcune considerazioni antropologiche e zooantropologiche.
Una certa unicità dei latti fermentati
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variazioni di questa flora microbiologica
legate al tipo di alimentazione, ma anche
agli stress e all’età, dato che nella microflora batterica intestinale degli anziani è
stata segnalata una diminuzione dei bacilli produttori di acido lattico.
Diverse indagini dimostrano inoltre
che esiste una “eredità microbiologica”,
soprattutto digestiva, nel senso che nel
neonato vi è una colonizzazione dell’apparato digerente, intestinale e altri organi a contatto con l’esterno, da parte
dei microrganismi presenti negli altri individui della sua specie, ad iniziare dalla
madre, ma anche di altre specie se
conviventi. A quest’ultimo proposito è
da ricordare la vita in comune delle popolazioni umane con specie sinantrope
e quanto avveniva nella capanna o nell’aia dove cuccioli umani e di diverse
specie spesso convivevano.
Da non dimenticare, infine, la presenza di una normale flora lattica nel
latte degli animali.
I batteri lattici coinvolti nella fermentazione dei latti hanno quindi una
doppia origine, umana e animale, in
rapporti quantitativi e con caratteristiche
qualitative largamente variabili secondo
le condizioni ambientali e le diverse
“eredità microbiologiche” che si sono
venute formando nelle singole popolazioni, umane e animali.
L’origine dei batteri dei latti fermentati si collega anche all’utilizzo, nella loro preparazione, almeno nella fase iniziale, di contenitori animali, come quelli
costituiti da stomaci di giovani animali o
altri tratti intestinali nei quali questi batteri sono normalmente presenti e soprattutto il grosso intestino. La complessa e
duplice, umana e animale, origine dei
batteri lattici presenti nelle fermentazioni del latte, oltre quanto indicato in seguito a proposito della cucina, fornisce
una base interpretativa del probabile,
già citato sviluppo multicentrico dei latti
fermentati in condizioni di stretto contatto tra cucina e stalla, come di regola
in condizioni ancestrali e soprattutto in
culture di tipo matriarcale.
Più complessa è invece l’introduzione nella fermentazione dei latti di lieviti, anche se oggi le conoscenze relative ai rapporti che esistono tra batteri
lattici e lieviti, a livello di comunicazione
chimica, possono giustificare meglio
questo genere di associazione. Particolarmente istruttive sono infatti le attuali conoscenze maturate a proposito
dell’origine dal vino dei lieviti acidi (associazioni di batteri lattici e saccaromiceti) utilizzati nella fermentazione tradizionale del pane.
In questo ordine di idee, senza giungere a conclusioni definitive, si potreb-
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bero stabilire correlazioni interessanti tra
latti fermentati di tipo acido-alcolico e il
vino e, sotto certi aspetti, il pane. Tutto
questo inoltre potrebbe giustificare una
distribuzione geograficamente più ristretta di questi latti fermentati, rispetto
ai latti fermentati solamente acidi.
È già stato accennato alla grande
diversità che vi è nei latti fermentati,
acidi o acido-alcolici, ma questa diversità aumenta in modo veramente impressionante quando il problema viene
affrontato dal punto di vista microbiologico. Non è questa la sede per un approfondimento della biodiversità dei latti
fermentati: basterà il sommario riferimento alla Tabella 2.
Bisogna tuttavia rilevare che, almeno agli inizi e soprattutto per i prodotti
tradizionali dei latti fermentati, si tratta
di tipologie legate a realtà locali, spesso
anche di tipo familiare.
L’elevata biodiversità dei latti fermentati è un’ulteriore conferma dell’ipotesi di una loro origine policentrica e
di tipo matriarcale, come già accennato, e non è necessario soffermarsi ulteriormente su questo aspetto, mentre è
invece opportuno considerare il valore
della biodiversità in sé.
Una biodiversità di microbiologia alimentare, che solo da relativamente poco tempo incomincia a venire conside-
rata e che è in buona parte da scoprire,
anche se riguarda il settore lattiero-caseario, ad iniziare dagli starter, “innesti”,
ecc., in particolare di diversi tipi di latti
fermentati, è già stata oggetto di approfondite indagini.
La biodiversità ora indicata è alla
base di quelli che oggi vengono indicati
come Giacimenti Gastronomici da valorizzare, ma a questo riguardo sarà necessario tornare più avanti.
Quella dei latti fermentati è una biodiversità che ha anche importanti conseguenze antropologiche, come quelle
con il matriarcato, e zooantropologiche,
che riguardano lo stretto legame tra la
popolazione umana e quella animale da
cui originano una parte, almeno, dei
batteri delle fermentazioni del latte.
Usi alimentari
dei latti fermentati
Uno dei caratteri distintivi
dell’umanità è il fare cucina e forse
per questo, probabilmente, il primo
uomo fu una donna.
La biodiversità dei latti fermentati e
la loro diffusione per millenni su di una
vastissima area geografica, ma soprattutto il loro sviluppo e utilizzo in culture
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Tabella 2
Denominazione Specie animale Microrganismo/i fermentante/i
Biodiversità e principali
tipologie di alcuni latti
fermentati.
Yogourt
Ruminanti
Biogurt o
Biogarde
Ruminanti
Streptococcus thermophilus
Lactobacillus acidophilus
Bifidobacterium bifidum
Latti acidi
Ruminanti
Streptococcus lactis
Streptococcus cremoris
Streptococcus thermophilus
Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus
Lactobacilus acidophilus
Bifidobacterium bifidum
Streptococcus thermophilus
Streptococcus lactis
Streptococcus cremoris
Lactobacillus acidophilus
Bifidobacterium bifidum
Streptococcus thermophilus
Latte acido
acidofilo
Ruminanti
Lactobacillus acidophilus
Kefir
caucasico
Ruminanti
Lactobacillus sp.
omo- ed eterofermentanti
Lattococchi
Enterococchi
Streptococchi lattici mesofili
Lieviti
Batteri acetici
Leuconostoc
Kefir
industriale
Ruminanti
Streptococchi lattici
Lactobacillus sp.
Kumys o
Kumiss
Cavalla
Torulopsis sp.
Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus
diverse, ha legami, tanto stretti quanto
non ancora indagati, con il loro uso alimentare e in particolare con la cucina,
in una dimensione femminile.
Anche i microrganismi e le piante si
nutrono, gli animali si alimentano, ma la
trasformazione e la preparazione dei cibi
è un’attività tipicamente, se non esclusi-
vamente umana, che da un punto di vista antropologico tende a differenziarsi
in cucina e gastronomia.
La cucina è tradizionale e conservativa, legata al territorio e ai ritmi stagionali, popolare e prevalentemente femminile. La gastronomia all’opposto è innovativa e non raramente rivoluzionaria,
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indipendente dal territorio e dalle stagioni, tipica del palazzo dei governanti,
laici o ecclesiastici, e di taglio maschile.
La cucina, inoltre, non si caratterizza
soltanto per l’uso del fuoco, ma sotto
l’aspetto antropologico comprende una
serie di tecnologie che vengono solitamente distinte in “dure” (hard) e “morbide” o “dolci” (soft).
Mentre le prime sono tendenzialmente maschili e comprendono ad
esempio l’uso “duro” del fuoco (spiedo, grigliatura, ecc.), nelle seconde
l’uso del fuoco è “dolce” (bollitura, ad
esempio a “bagnomaria”, che si dice
essere stata inventata dalla biblica Miriam, sorella di Aronne, maga e alchimista). Le fermentazioni sono indubbiamente tecnologie morbide e quindi
femminili.
Le fermentazioni alimentari, fin dai
tempi più remoti, sono state oggetto di
interpretazioni di tipo extra-nutrizionali
rimaste per moltissimo tempo e non ancora superate ai nostri giorni, sulla base
di categorie spesso ideologiche, come
quelle di “putrefazione” e di “purità”.
Molti alimenti fermentati, ad esempio,
sono stati interpretati come “corrotti” o
“putrefatti” e quindi insani, se non pericolosi, e per questo ne poteva essere
limitato o escluso l’uso in determinate
condizioni.
Per quanto riguarda i prodotti lattiero-caseari, una nutrita bibliografia ha
considerato gli aspetti “tossici” se non
“allucinogeni” di alcuni formaggi, quando non sono stati interpretati, da una
passata medicina, “riscaldanti” o “secchi”, quindi da utilizzare con parsimonia.
Intuizioni queste che in alcuni casi hanno trovato successive conferme scientifiche, ad esempio quelle relative alle
amine biogene, per non citare altri peptidi attivi individuati sia nel latte che nei
suoi derivati, peraltro di valenza positiva
e favorevole non solo per una buona
alimentazione, ma anche per un elevato
livello di salute (Tab. 3).
Per quanto riguarda i latti fermentati, soprattutto quelli acidi, tradizionalmente era prevalsa una concezione
“positiva” e “favorevole alla vita” dalla
quale, come già accennato e meglio
precisato oltre, non solo in questo secolo sono scaturite applicazioni salutistiche anche di tipo “probiotico” (“favorevoli alla vita”) o di altre favorevoli attività
tipo “extra-nutrizionale”.
La fermentazione del latte, soprattutto quella acido-alcolica, nel passato
è stata frequentemente vista sotto una
categoria positiva, a volte magica e anche medicamentosa, prevalentemente
se non esclusivamente femminile. In
questo senso è da collocare l’accenno
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Tabella 3
Alcune caratteristiche
di latti fermentati.
Denominazione
Principali costituenti chimici
Yogourt
Acido lattico
Acido formico
Enzimi proteolitici attivi
Peptidi e aminoacidi
Biogurt o
Biogarde
Acido DL-lattico
Acido D(–)-lattico
Acido L(+)-lattico
Kefir
caucasico
Acido lattico
Alcole etilico
Acido acetico
Anidride carbonica
Kumys o
Kumiss
Acido lattico
Alcole etilico
ad una alchimia femminile, buona, collegata alla Miriam biblica, con sede nella cucina, ma tutto questo potrebbe
portare lontano, al di fuori dei limiti qui
concessi.
Tornando più vicino allo scopo di
questa esposizione, dalle loro origini e
fin quasi ai nostri giorni, i latti fermentati
hanno partecipato alla cucina, rientrando in ambiti tradizionali, strettamente legati al territorio e alle strutture locali di
produzione del latte, popolari e femminili, come già indicato.
La cucina dei latti fermentati, proprio per i suoi caratteri popolari e femminili, non ha tuttavia ancora avuto l’attenzione che meriterebbe, soprattutto
per gli aspetti antropologici, nonostante
gli indubbi successi, ma anche alcuni
ostacoli legati a divieti culturali.
Il successo dei latti fermentati, usati
come alimenti e bevande, oltre agli ovvi
vantaggi della loro conservabilità anche
in condizioni ambientali particolari, deriva in gran parte dal gusto acido che li
caratterizza. Questo gusto che li rende
particolarmente dissetanti, carattere
molto apprezzato nei climi caldi, in particolare se sono anche effervescenti, come il kefir caucasico. Non è certamente un caso che le bevande naturali e artificiali di odierno maggiore successo
siano al tempo stesso acide ed effervescenti (succhi di agrumi, Coca Cola,
Pepsi Cola, ecc.).
Altrettanto intuibile è il successo
che hanno avuto i latti con fermentazione acido-alcolica, soprattutto nelle popolazioni e culture nelle quali era difficile sviluppare fermentazioni alcoliche da
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vegetali (vino e birra). Latti a fermentazione alcolica potevano essere particolarmente apprezzati da popolazioni di
nomadi, come il già citato esempio delle Amazzoni, dei cavalieri del Gensis
Khan o di pastori, ad esempio quelli
della Sardegna.
Un altro aspetto quasi sempre trascurato è l’uso dei latti fermentati nelle
preparazioni culinarie, anche se in parte
ostacolato da alcune tradizioni, come
quella ebraica. In questa infatti vi è la
proibizione di usare nello stesso pasto,
o nella preparazione di uno stesso piatto, carne associata al latte o suoi derivati. Una proibizione che ha avuto diverse interpretazioni, ma che indubbiamente ha una base nel “risparmio proteico” e quindi un valore economico ed
ecologico, importante per una popolazione di pastori.
Al di fuori della tradizione ebraica,
in numerose culture dell’Europa orientale e del Vicino Oriente si è sviluppata
una “cucina dei latti fermentati” nella
quale, soprattutto nelle carni di minor
pregio e di animali anziani e con aromi
forti, si utilizzano le attività “maturanti”,
“intenerenti” e “deodoranti” dell’acido
lattico. Infatti questo acido, più forte del
citrico e dell’acetico, altri acidi di comune uso culinario, ben si presta alla preparazione, anche prima della cottura,
della carne, ad esempio di una vecchia
pecora o, ancor più, di un anziano becco o ariete. Solo recentemente i latti
fermentati sono entrati nella gastronomia e cioè sono stati sottoposti ad “invenzioni” alimentari passando, da un
punto di vista antropologico, dalla parte
del femminile a quella del maschile.
Un passaggio attraverso il maschile
che inoltre, almeno nel passato, doveva
avere una giustificazione e soprattutto
una valenza di immagine elevata, come
sono i casi già citati del corriere di Gensis Khan, ma soprattutto di Francesco I,
re di Francia.
L’aspetto maschile ha tuttavia valenze che, per le implicazioni che sta inducendo, merita di essere considerato
con particolare attenzione.
Innovazione maschile
nei latti fermentati
Sui latti fermentati l’innovazione
maschile, tramite la ricerca
scientifica, ha percorso e sta
sviluppando cammini salutistici
e gastronomici.
L’antropologia e la zooantropologia
dei latti fermentati indica che per moltissimo tempo e su di una amplissima
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Latti fermentati: antropologia di un alimento
area geografica vi è stato netto prevalere femminile in ambito di società matriarcale, di domesticamento degli animali da latte e degli usi alimentari, anche con riferimenti magici.
Già citate sono invece le successive presenze maschili, come quelle bibliche o la già ricordata biografia
dell’imperatore Eliogabolo (204-222
dell’era corrente). Nell’Opus lactarum
vi è infatti una ricetta simile al nostro
yogurt con miele o frutta, ricetta di tipo
certamente innovativa e di una gastronomia di palazzo.
Da menzionare anche il Grande Turco che avrebbe portato il latte acido risanatore del re Francesco I. In modo
analogo si può citare il “mistero del granulo di kefir” che non è stato ancora
possibile ricostruire in laboratorio a partire dalla microflora che lo compone.
Presso i pastori che vivono sulle montagne del Medio Oriente esiste infatti una
leggenda: i granuli sono stati dati al popolo ortodosso da Maometto (granuli di
Maometto o miglio del Profeta), il quale
spiegò come utilizzarli, ma non la loro
provenienza, perché ciò avrebbe causato la perdita del potere magico dei granuli (Koroleva, 1988). Una leggenda
che adombra una conoscenza magica
femminile, ignota o non accessibile al
mondo maschile?
Dopo un lunghissimo periodo femminile nella invenzione, produzione e
utilizzazione dei latti fermentati, solo a
seguito dello sviluppo della microbiologia, degli alimenti prima e poi medica e
veterinaria, ad opera di Louis Pasteur,
alla fine del secolo scorso sono da citare i primi studi di E. Metchnikoff (18451916) che pongono all’attenzione del
mondo scientifico i latti fermentati, ai
quali egli attribuisce attività favorevoli, in
una contrapposizione tra una flora lattica “buona” e una flora intestinale “cattiva” in quanto “putrefattiva”.
Elia Metchnikoff alla fine del secolo
scorso (1882) abbandonò l’Ucraina,
sua terra natale, e approdò al prestigioso Istituto Pasteur, ove svolse studi sulla
fagocitosi e sull’immunità antinfettiva
(studi peraltro compiuti in Sicilia sulle
stelle di mare) i cui risultati nel 1908 gli
valsero il Premio Nobel.
Sulla base del fatto che la vita media era più lunga nei pastori caucasici
che non negli abitanti di Parigi, formulò
l’ipotesi che la longevità dei pastori dipendesse dal latte fermentato, di cui
erano abbondanti consumatori, in quanto apportatore di microrganismi “buoni”
e “antiputrefattivi”.
Nel 1906 la Società “Le Ferment”
iniziò in Francia la vendita di un latte
fermentato, denominato Lactobacilline,
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preparato con i ceppi di batteri lattici
selezionati da Metchnikoff e secondo la
sua tecnica. La buona diffusione, anche attraverso le “yogurtiere” familiari,
fa sì che il termine “yoghourt” nel 1925
entra nel Petit Larousse come parola
comune, lo stesso temine che era presente nel primo dizionario arabo-turco
di Mohmoud Al Karchgari e pubblicato
a Tsing-Kiang nel 1701.
L’applicazione della ricerca scientifica ai latti fermentati, seppure ancora
largamente incompleta (molto limitata è
infatti l’indagine storica, sociologica,
antropologica e zooantropologica, come
dimostra la presente esposizione), ha
portato ad un’innovazione prevalentemente maschile che ha percorso e sta
sviluppando cammini salutistici e gastronomici.
Era dei fermenti lattici
Con il termine generico di fermenti
lattici si indicano tutti i preparati che
contengono batteri in grado di riequilibrare la microflora intestinale. Si tratta
di fermenti vivi che, germinando nell’intestino, ripristinano la microflora batterica intestinale originaria, alterata da patologie, alimentazioni errate, stress di
varia natura, ecc. e che agiscono anche
attraverso particolari sostanze inibitrici
(batteriocine) e altri metaboliti attivi anche verso microrganismi patogeni.
Era dei probiotici
Sulla base di ricerche comparate,
eseguite sugli animali e sull’uomo, riguardanti la flora microbica intestinale,
superando anche i precedenti concetti
di “fermentazione” e “putrefazione”,
tabù alimentari e/o “purezza” degli alimenti, di tipo religioso o di tradizioni,
sono stati riconosciuti i ruoli della flora
microbica intestinale e dei fermenti lattici, ma soprattutto sono stati precisati i
loro effetti benefici, precedentemente
solo intuiti dalla tradizione e dallo stesso, già citato Metchnikoff, con i loro
meccanismi d’azione.
Su quest’ultima linea sono state individuate anche alcune delle caratteristiche dei microrganismi benefici in
quanto “favorevoli alla vita” e per questo
Sviluppo salutistico
dei latti fermentati
A seguito delle idee di Metchnikoff,
come si è già detto, nella prima metà di
questo secolo e in periodo pre-antibiotico, nasce e si sviluppa l’era dei “fermenti lattici” che successivamente dà
avvio all’“era dei probiotici” e si apre a
quella delle “attività extra-nutrizionali”
dei latti fermentati.
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Latti fermentati: antropologia di un alimento
denominati probiotici. Altrettanto importante è stata l’individuazione di alcune
caratteristiche di questi in relazione
all’ospite (adesività alla parete intestinale, resistenza agli antibiotici, ecc.),
ma soprattutto l’esistenza di raffinate
interrelazioni tra i diversi microrganismi,
come quelle tra batteri lattici e lieviti,
ma soprattutto tra i microrganismi probiotici e taluni substrati alimentari utili
al loro sviluppo e per questo denominati prebiotici.
Dall’associazione dei concetti di
probiotico e prebiotico è scaturito quello di simbiotico che, nell’attuale era dei
probiotici, sta aprendo nuove vie applicative.
munomodulanti, antineoplastiche, ecc.
Un particolare sviluppo di queste
ricerche inizia nel 1964 quando ricercatori americani rendono noto che i Masai
sono molto poco colpiti da patologie coronariche e hanno un basso livello del
colesterolo nel sangue (150 mg/100
ml, contro i 225 mg/100 ml dei popoli
occidentali), nonostante una alimentazione ricca di carne, ma nella quale è
presente anche una sostenuta quantità
percentuale di latte fermentato, nel
quale si produrrebbe l’Anticholesterolemic Milk Factor (AMF).
(Successivamente si è anche fatto
rilevare che i Masai, oltre a caratteristiche genetiche particolari, hanno uno
stile di vita nel quale vi è una elevata
attività fisica).
Era delle attività extra-nutrizionali
dei latti fermentati
Recuperando e soprattutto sviluppando indagini specifiche si è potuto
stabilire che i microrganismi probiotici,
con significative differenze e specificità non solo di specie, ma anche di
stipite, sia nel corso della preparazione
dei latti fermentati come di altri alimenti fermentati, anche in ambito intestinale, elaborano principi attivi dotati
di attività non solo nutrizionali (vitamine, enzimi, ecc.), ma anche fisio-farmacologiche, quali quelle metaboliche di
diverso tipo, anticolesterolemiche, im-
Sviluppo gastronomico
dei latti artificiali
È stato soprattutto nella seconda
metà di questo secolo che nel mondo
occidentale, a seguito di una ricerca
anche industriale, nell’ambito dei latti
fermentati vi è stato un passaggio da
una “cucina” femminile, casalinga e
tradizionale ad una “gastronomia” maschile, internazionale e innovativa, secondo una distinzione già indicata.
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Lo sviluppo in senso gastronomico
è avvenuto soprattutto per alcuni latti
fermentati, in particolare lo yogurt, e ha
seguito alcune linee di sviluppo in parte
comuni o comunque consone con ciò
che avveniva per altri alimenti fermentati che subivano la stessa trasformazione: formaggi, salumi, pane e soprattutto vino e birra.
Senza entrare in eccessivi dettagli,
ma indicando solamente la tendenza di
queste trasformazioni, le innovazioni
operate nel mondo occidentale nell’ambito dei latti fermentati, pur mantenendo saldi collegamenti con la tradizione,
hanno percorso le seguenti linee.
Le nuove tipologie di latti fermentati, in particolare nell’ambito dello yogurt,
hanno privilegiato un “addolcimento” del
sapore con una riduzione della sensazione gustativa acida. Di pari passo vi è
stato spesso anche un “alleggerimento”
energetico con la preparazione di prodotti “magri” o light.
Una importantissima innovazione
(peraltro non nuova, se pensiamo a
quanto citato a proposito di Eliogabolo) è stata quella delle associazioni dei
latti fermentati, in particolare yogurt,
con altri alimenti e sapori di frutta, cereali, ecc. e con la trasformazione anche di una bevanda o di un alimento
puramente lattiero, sia pure modifica-
to, in un alimento più completo e soprattutto con sapori più vari di quello
tradizionale.
Altrettanto importante è stato l’utilizzo dei latti fermentati in nuovi modelli
culinari, soprattutto in quelli di per sé
meno legati alla tradizione e per loro
natura più aperti all’innovazione, come il
settore dei dolci e dei gelati. Superfluo
è qui ricordare la diversificazione delle
preparazioni da forno o delle torte allo
yogurt, ma anche il recente, notevole
successo dei gelati a base di latte fermentato, che inoltre continuano ad arricchirsi di associazioni, analoghe a
quelle che sono state viste per gli yogurt alla frutta.
Il passaggio da una monotonia tradizionale della cucina, per certi aspetti e
dal punto di vista antropologico rassicurante, ad una innovazione quasi senza
limiti tipica della gastronomia, non deve
essere ritenuto finito, ma soltanto agli
inizi, soprattutto se si considerano le
nuove utilizzazioni dei latti fermentati in
rapporto ai diversi stili alimentari.
Oggi i latti fermentati, nelle loro diverse tipologie e presentazioni, entrano
nei diversi livelli dell’alimentazione (colazione, pranzo e cena). Inoltre i latti fermentati, in particolare lo yogurt, anzi gli
yogurt, entrano in una gamma sempre
più vasta di piatti che possono venire
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Latti fermentati: antropologia di un alimento
utilizzati dall’antipasto al dessert, passando dai piatti di mezzo, di carne e di
pesce, spesso innovando tradizioni culinarie.
tavia ci assicura del profondo significato
antropologico dei latti fermentati e che
giustifica anche i recenti successi di alcuni prodotti.
Anche per i latti fermentati si pone
oggi quella che è stata definita la Questione dei Giacimenti Gastronomici.
Ogni cultura aveva e ci ha lasciato
una serie di monumenti architettonici o
di opere d’arte, non solo alta ma anche
povera, che rischiavano di venire irrimediabilmente perduti. Questi Giacimenti
Architettonici e Artistici sono stati e
continuano a venire catalogati, restaurati e recuperati, con interventi opportuni, capaci di renderli fruibili da un pubblico sempre più vasto.
In modo analogo le culture passate
ci hanno lasciato una grande varietà di
alimenti e di preparazioni alimentari che
rischiano di venire perdute e che nel loro insieme costituiscono i Giacimenti
Gastronomici. Di questi, alcune categorie sono state catalogate e per diversi
sono stati eseguiti interessanti operazioni di recupero, “restauro” e valorizzazione. Importanti esempi a questo riguardo vi sono per i vini, i formaggi e i
salumi, con operazioni inserite anche
nell’ambito di una qualificazione di Marca o di Marchio, anche, ma non necessariamente, di Denominazione di Origine (DOC, DOP, IGP, ecc.).
Un futuro
dalle radici antiche
I Giacimenti Gastronomici
dei latti fermentati costituiscono
un patrimonio indispensabile
per un loro sviluppo.
I latti fermentati, si è fatto più volte rilevare, stanno passando da una tradizione femminile, casalinga, ad una innovazione maschile, prima artigianale e oggi
sempre più industriale. Una trasformazione senza dubbio positiva e lo dimostra il
continuo e inarrestabile successo dei latti
fermentati che hanno seguito la strada
della innovazione industriale.
Quale può essere il futuro?
Anzi, quale sarà il futuro che potremo costruire?
È stato detto che quanto più indietro spingeremo il nostro sguardo, tanto
più avanti potremo progettare il nostro
futuro. Anche per questo, nelle poche
pagine precedenti abbiamo cercato di
spingere il nostro sguardo ad un passato che, seppure oscuro e impreciso, tut-
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Le culture che hanno sviluppato i
latti fermentati sono distribuite su di
un’ampia area geografica eurasiatica,
con successiva estensione africana, e
hanno lasciato una enorme varietà di
Giacimenti Gastronomici. Tuttavia solo
alcune delle loro tipologie sono state individuate e non tutte adeguatamente
studiate. Pochissime poi, e tra queste vi
è ad esempio lo yogurt, sono state recuperate, “restaurate” e valorizzate.
Una sterminata varietà di latti fermentati, importanti Giacimenti Gastronomici, oggi rischia di scomparire, forse
per sempre, assieme a saggezze e segreti antichissimi (come quello, ad
esempio, dei granuli di kefir). Una perdita molto grave soprattutto se si pensa al
fatto, certamente non casuale, che queste tipologie di latti fermentati sono state
sviluppate e conservate, trasmesse di
generazione in generazione, per millenni.
I latti fermentati, sia acidi che acido-alcolici, rappresentano una biodiversità altrettanto importante ad altre biodiversità che la nostra generazione non
può distruggere o lasciar cadere nell’oblio, ma che deve valorizzare, trasformando anche questi Giacimenti Gastronomici in occasioni di sviluppo.
Come è stato operato uno sviluppo
dello yogurt che, ben radicato nel passato non ha però impedito, anzi ha fa-
vorito l’innovazione, in modo analogo
attendono di essere recuperati e sviluppati tanti altri latti fermentati.
Un’operazione, quella ora indicata,
che congiunge antiche culture a nuovi
modi di ragionare ed un nuovo “accostamento”, nel senso più volte significato dal poeta argentino G.L. Borges, tra
natura e cultura.
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icrobiologia e tecnologia
dei latti fermentati
B. Battistotti*, V. Bottazzi**
* Istituto di Microbiologia
Università Cattolica di Piacenza
** Istituto di Microbiologia e Centro Ricerche Biotecnologiche
Università Cattolica di Piacenza e Cremona
Quadro generale
dei principali
latti fermentati
Uno dei primi processi biologici
controllati dall’uomo è stata la produzione, per fermentazione spontanea, di
latte acido con particolari caratteristiche
di sapore, odore, consistenza e con la
capacità di non alterarsi rapidamente
come il latte.
I latti fermentati prodotti oggi nel
mondo sono diversi in quanto frutto delle particolari condizioni ambientali, dei
microrganismi utilizzati nel processo fermentativo e della tecnologia produttiva.
La grande varietà esistente ne rende difficile una valida e completa classificazione; quelli più noti e più diffusi a livello artigianale o industriale sono riportati nella Tabella 1. Tutti i latti fermentati
elencati nella Tabella 1 hanno come caratteristica di base un’intensa fermentazione lattica dovuta allo sviluppo di batteri lattici i quali possono associarsi anche con lieviti, acetobatteri o muffe.
Cellule microbiche e prodotti dell’attività
metabolica degli uni e degli altri vi si
trovano variamente combinati. Secondo
la definizione FIL-IDF del 1964 “I latti
fermentati sono prodotti derivati dal
latte che hanno proprietà speciali, legate con l’esistenza di una microflora
specifica ed attiva e con la presenza
di sostanze risultanti dal metabolismo
di questi microrganismi”.
La normativa nazionale vigente
specifica a sua volta che lo yogurt, oggi principale componente dei latti fermentati, è solamente quello ottenuto
dalla fermentazione operata da Streptococcus thermophilus e da Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus
che conserva sino al momento del consumo, i microrganismi detti vivi e vitali
in alto numero. In prodotti come il kefir,
invece, e i latti fermentati probiotici e
pre-probiotici, l’attività microbica può
estendersi ad altri microrganismi che
trovano varie combinazioni associative
per dar luogo a differenti caratterizzazioni di prodotto.
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
Tabella 1
Principali tipi
di latti fermentati.
Denominazione
e tipologia del prodotto
Area di origine
o di produzione
Tipo di latte
utilizzato
Armenia
bovino, ovino
Artigianali
Yoghurt
Mayzum
Iran
bovino, ovino, bufalino
Kast
Egitto
bovino
Dahi
India
bovino, bufalino
Labneh
Libano
bovino
Gioddu
Sardegna
ovino
Kefir con grani
Caucaso
bovino, caprino
Lagermilk
Germania
bovino, caprino
Kumys
Russia
bovino
Kellermilch
Germania
bovino
tutto il mondo
bovino
Industriali
Yogurt
Acidophilus milk
USA
bovino
Yacult
Giappone
bovino
Cultured milk
USA
bovino
Cultured cream
USA
bovino
Buttermilk
Germania
bovino
Kefir senza grani
Russia
bovino
Latti fermentati probiotici
tutto il mondo
bovino
Latti fermentati pre-probiotici
tutto il mondo
bovino
Una distinzione basata principalmente sul sapore è la seguente:
latti fermentati a sapore:
– nettamente acido e con aroma da aldeide acetica: yogurt;
– acido-alcolico: kefir;
– scarsamente acido e di aspetto denso oleoso: fermentati filanti (viili);
– scarsamente acido ottenuto con batteri lattici mesofili: cultured milk;
– scarsamente acido ma con batteri
probiotici.
Le caratteristiche più significative
dei prodotti più noti si configurano nel
modo seguente:
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B. Battistotti, V. Bottazzi
Yogurt
Fermentazione a 42-45 °C
Acidità: acido lattico DL 0,8-1,2%
pH: 3,9-4,2
Residuo magro del latte: 9-10,5%
Aldeide acetica: 15-30 ppm
Tipologie: – naturale, tradizionale, a coagulo compatto o a coagulo rotto
– fluido (yogurt da bere)
– da latte intero, parzialmente o totalmente scremato o arricchito
in grasso
– alla frutta
– a basso contenuto di lattosio
– a ridotto valore calorico
– concentrato e disidratato
– gelato
Microflora specifica: Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus
e Streptococcus thermophilus
Acidophilus milk
Fermentazione a 37-38 °C
Acidità: acido lattico DL 0,6-0,7%
Sapore: molto caratteristico e distinto
Possiede proprietà probiotiche
Residuo magro del latte: 8,5-10,0%
Microflora specifica: Lactobacillus acidophilus
Kefir
Fermentazione a 20 °C
Acidità: acido lattico 0,6-0,9%
Alcool etilico: 0,4-0,9% (raramente anche 3%)
Prodotto effervescente per l’accumulo di anidride carbonica
Possiede proprietà probiotiche
Residuo magro del latte: 8,5-9,0%
Microflora specifica: Lactobacillus brevis, Lactobacillus casei, Leuconostoc
mesenteroides, Acetobacter aceti, Saccharomyces spp.
Cultured milk
Fermentazione a 20-22 °C
Acidità: acido lattico L(+) 0,45-0,6%
Residuo magro del latte: 7,3-8,2%
Presenta aroma di diacetile e acetoino
Microflora specifica: Lactococcus lactis subsp. lactis, Lactococcus lactis
subsp. diacetilactis, Leuconostoc mesenteroides
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
acetobatteri, lieviti e muffe che costituiscono associazioni con un’azione sinergica nella caratterizzazione dello specifico latte fermentato.
Diventa così interessante conoscere questi microrganismi, le loro attività e
proprietà per apprezzarne il ruolo nel
fornirci alimenti gradevoli al palato, di
alto significato nutrizionale, in grado di
contribuire al nostro benessere fisico
insediandosi come baluardi nel nostro
apparato digerente.
Microrganismi
per la produzione
dei principali
latti fermentati
I microrganismi dei latti fermentati
sono alimentari, “food grade”, fanno
parte integrante dell’alimento.
In grande prevalenza appartengono
ai batteri lattici mesofili o termofili ma
per alcune tipologie di prodotto assumono anche significato bifidobatteri,
Figura 1
Distribuzione
dei microrganismi
in funzione dei diversi
tipi di latti fermentati.
A. Microrganismi di latti fermentati preparati a temperatura superiore a 30 °C
Streptococcus thermophilus
Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus
Lactobacillus acidophilus
Lactobacillus reuteri
Pediococcus pentosaceus
Pediococcus acidilactici
Bifidobacterium longum
Bifidobacterium bifidum
Bifidobacterium animalis
per yogurt e similari
per i vari tipi di latti fermentati probiotici
Lactobacillus casei
per latti fermentati
tipo yakult
B. Microrganismi di latti fermentati preparati a temperatura inferiore a 30 °C
Lactococcus lactis
subsp. lactis e subsp. cremoris
Lactobacillus brevis
Lactobacillus casei
Leuconostoc mesenteroides
subsp. cremoris e subsp. lactis
Saccharomyces cerevisiae
Saccharomyces delbrueckii
Acetobacter aceti
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Geotrichum
candidum
per i latti
fermentati filanti
per i latti fermentati
acido-alcolici
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B. Battistotti, V. Bottazzi
La Figura 1 schematizza la distribuzione dei microrganismi alimentari in
funzione dei diversi gruppi o tipi di latti
fermentati.
Lactobacillus acidophilus
Lactobacillus casei
Lactococcus lactis subsp. lactis
Pediococcus acidilactici
e Pediococcus pentosaceus
Leuconostoc mesenteroides
subsp. cremoris
Batteri lattici
Il gruppo dei batteri lattici comprende diverse specie e riunisce forme microbiche di prevalente caratterizzazione
tecnologica e altre di interesse probiotico. Di seguito verrà fatta una breve presentazione attraverso caratteri morfologici, fisiologici, metabolici e genetici di:
Streptococcus thermophilus
Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus
Streptococcus thermophilus
La specie è stata proposta nel
1919 da Orla-Jensen e per un insieme
di ben definiti caratteri fisiologici, biochimici e tecnologici, è particolarmente
idonea a sviluppare nel latte. Streptococcus thermophilus presenta cellule
con diametro di 0,5-0,6 µm, disposte a
diplococchi o in catene di lunghezza variabile come riportato nelle Figure 2 e 3.
Figura 2
Streptococcus
thermophilus da colonia
su agar nutritivo
osservato al microscopio
elettronico a scansione.
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
Figura 3
Particolare di catene
di Streptococcus
thermophilus sviluppato
su agar nutritivo.
Tabella 2
Principali
caratteri distintivi
per Streptococcus
thermophilus.
Peptide del peptidoglicano
L-Lys-L-Ala
Produzione di acido lattico in latte
dalla fermentazione di
lattosio, glucosio
Tipo di acido lattico prodotto
L (+)
Quantità di acido lattico prodotto in latte
< 1%
Temperatura di sviluppo:
ottimale
42-48 °C
massima
52 °C
minima
19-21 °C
Metabolismo
omofermentante
% (G+C) del DNA
37-40
Sopravvivenza a 60 °C x 15’
positiva
Idrolisi del lattosio per intervento di
beta-galattosidasi
Via di trasporto del lattosio
permeasi
Sviluppo in presenza del 2,5% di NaCl
positivo
Sviluppo in presenza del 4% di NaCl
negativo
Produzione di NH3 e CO2 da urea
positiva
Produzione di vitamine
B6, B12
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B. Battistotti, V. Bottazzi
Non forma spore, non è mobile, non
produce catalasi, è anaerobico facoltativo e appartiene ai Gram positivi; alcuni
ceppi producono materiale mucillaginoso, instaura con Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus un rapporto
associativo particolare.
I principali caratteri distintivi di specie sono riportati nella Tabella 2.
rium bulgaricum ; successivamente
prese il nome di Lactobacillus bulgaricus e solo recentemente quello di Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus. Da un punto di vista genetico la
specie è omologa con Lactobacillus
lactis , Lactobacillus delbrueckii e
Lactobacillus leichmannii.
La morfologia è di bacilli alquanto lunghi, isolati o in corti filamenti
(Fig. 4). Nelle colonie su agar nutritivi
compare con frequenza la forma a spirale come è riportato in Figura 5. Alla
periferia delle colonie molti ceppi si presentano sottoforma di lunghi filamenti di
bacilli. Le cellule si caratterizzano per la
Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus
La specie Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus è stata per
la prima volta descritta da Orla-Jensen
nel 1919 con il nome ThermobacteFigura 4
Microcolonia di
Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus
sviluppata in yogurt a
coagulo compatto.
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
Figura 5
Morfologia a spirale
di Lactobacillus
delbrueckii subsp.
bulgaricus in colonia
sviluppata in anaerobiosi
su MRS.
Tabella 3
Principali
caratteri distintivi per
Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus.
Peptide del peptidoglicano
L-Lys-D-Asp
Produzione di acido lattico in latte
dalla fermentazione di
lattosio, glucosio
Tipo di acido lattico prodotto
D(–)
Quantità di acido lattico prodotto in latte
> 1,5%
Temperatura di sviluppo:
42-45 °C
ottimale
massima
Metabolismo
48-52 °C
omofermentante
% (G+C) del DNA
49-51
NH3 da arginina
negativo
NH3 e CO2 da urea
negativo
Idrolisi del lattosio per intervento di
beta-galattosidasi
Via di trasporto del lattosio
permeasi
Gruppo sierologico
E
Produzione di vitamine
acido folico, niacina, B6
42
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B. Battistotti, V. Bottazzi
presenza di granuli metacromatici facilmente evidenziabili alla colorazione con
bleu di metilene. I caratteri generali di
specie sono riuniti nella Tabella 3.
La specie Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus è microaerofila, non
forma spore, non è mobile, è catalasinegativa, presenta una forma bacillare
e appartiene al gruppo dei batteri Gram
positivi.
cità superiore rispetto a Streptococcus
thermophilus e Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus nel superare le condizioni avverse dovute all’acidità dello stomaco e alla concentrazione
in sali di bile del piccolo intestino.
Si presenta sottoforma di bacilli isolati, o a due a due oppure anche a corti
filamenti, come riportato nella Figura 6.
I principali caratteri distintivi di specie sono riportati nella Tabella 4.
La specie Lactobacillus acidophilus è microaerofila, non sporigena, senza catalasi, non mobile, è Gram positiva.
Lactobacillus acidophilus
La specie Lactobacillus acidophilus è geneticamente composta da
gruppi o aggregati genetici corrispondenti a differenti specie in precedenza
descritte come L. crispatus, L. gasseri,
L. amylovorus. Nel 1900 Moro descrisse la specie come Bacillus acidophilus
e solamente nel 1920 fu proposto di includerla nel genere Lactobacillus ma
una forte incertezza è sempre rimasta a
proposito dell’identità della specie.
Lactobacillus acidophilus si caratterizza per un lento sviluppo in latte e i
ceppi che sviluppano bene inducono la
formazione di sapori particolari non
sempre graditi dal consumatore europeo. Ai bassi valori di pH dei latti fermentati, L. acidophilus sopravvive per
un tempo alquanto limitato.
L. acidophilus è considerata una
buona specie probiotica con una capa-
Lactobacillus casei
La specie Lactobacillus casei rappresenta un gruppo eterogeneo di bacilli lattici mesofili largamente diffusi in
natura con nicchie ecologiche di sviluppo localizzate anche nei formaggi. La
caratterizzazione fenotipica aveva portato alla distinzione in subspecie quali casei, alactosus, rhamnosus, tolerans e
pseudoplantarum, mentre la recente riclassificazione su basi anche molecolari
porta alla individuazione di Lactobacillus paracasei e al riconoscimento della
subspecie Lactobacillus paracasei
subsp. tolerans. Con l’analisi di 16S rRNA si è visto che Lactobacillus rhamnosus e Lactobacillus casei hanno
omologia con Lactobacillus paracasei.
43
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
Figura 6
Morfologia
al microscopio
elettronico a scansione
di Lactobacillus
acidophilus.
Tabella 4
Principali
caratteri distintivi
per Lactobacillus
acidophilus.
Produzione di acido lattico in latte
dalla fermentazione di
lattosio, glucosio, galattosio
Tipo di acido lattico prodotto
DL
Quantità di acido lattico prodotto in latte
< 1%
Fattori di sviluppo richiesti
calcio pantotenato, acido folico,
niacina, riboflavina
Temperatura di sviluppo:
ottimale
37 °C
massima
45 °C
Metabolismo
omofermentante
% (G+C) del DNA
32,5-38
Idrolisi del lattosio per intervento di
beta-galattosidasi
e beta-fosfogalattosidasi
Via di trasporto del lattosio
permeasi e sistema lattosio
fosfotransferasi
DNA-DNA omologia
distribuzione dei ceppi in sei gruppi:
A1, A2, A3, A4 e B1 e B2
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B. Battistotti, V. Bottazzi
Tabella 5
Principali
caratteri distintivi per
Lactobacillus paracasei.
Produzione di acido lattico in latte
dalla fermentazione di
lattosio (non tutti i ceppi),
galattosio, glucosio
Tipo di acido lattico prodotto
L (+)
Quantità di acido lattico prodotto in latte
< 1%
Temperatura di sviluppo:
ottimale
45 °C
minima
5 °C
Metabolismo
omofermentante
% (G+C) del DNA
45-47
Idrolisi dell’arginina
negativo
Idrolisi del lattosio per intervento di
beta-galattosidasi
e beta-fosfogalattosidasi
Via di trasporto del lattosio
permeasi e sistema lattosio
fosfotransferasi
I caratteri generali che vengono riportati nella Tabella 5 si riferiscono a
Lactobacillus paracasei.
La specie Lactobacillus casei è microaerofila, non sporigena, omofermentante, priva di catalasi, non mobile,
Gram positiva. È specie con effetto probiotico. La morfologia è di streptobatteri
con lunghi filamenti ben settati composti
da corti bacilli come indicato in Figura 7.
Sono microaerofili, non sporigeni,
immobili, catalasi e citocromo negativi,
non emolitici, crescono a 10 °C ma
non a 45 °C. Sono molto sensibili
all’infezione fagica. I principali caratteri
distintivi per la specie Lactococcus
lactis subsp. lactis sono riuniti nella
Tabella 6.
Nella preparazione del latte filante
viili della Finlandia e filmjok della Svezia
la specie Lactococcus lactis subsp.
lactis si associa con Geotrichum candidum (Oospora lactis) che appartiene
al genere Endomyces che si caratterizza per la formazione di un micelio più o
meno abbondante e per la riproduzione
attraverso conidi cilindrici che derivano
dalla segmentazione delle ife.
Lactococcus lactis subsp. lactis
Lactococcus lactis subsp. lactis e
subsp. cremoris appartengono al genere Lactococcus e sono batteri lattici
a morfologia coccica che formano catene anche lunghe, come è evidente
nella Figura 8.
45
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
Figura 7
Morfologia
al microscopio
elettronico
a scansione di
Lactobacillus
paracasei.
Figura 8
Morfologia
al microscopio
elettronico a scansione
di una catena di cocchi
di Lactococcus lactis
subsp. lactis sviluppato
in latte.
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Tabella 6
Principali
caratteri distintivi
per Lactococcus lactis
subsp. lactis.
Peptide del peptidoglicano
L-Lys-D-Asp
Produzione di acido lattico in latte
dalla fermentazione di
lattosio, glucosio, galattosio
Tipo di acido lattico prodotto
L (+)
Quantità di acido lattico prodotto in latte
< 1%
Sviluppo in presenza del 4% di NaCl
positivo
Metabolismo
omofermentante
% (G+C) del DNA
34-37
NH3 da arginina
positivo
Pediococchi
Sono i soli batteri lattici che si dividono in direzioni ortogonali per formare
tetradi distribuite su un solo piano. Sono mesofili, fermentano il lattosio per
produrre acido lattico DL.
Due specie, Pediococcus pentosaceus e Pediococcus acidilactici,
sono utilizzate come starter per latti
fermentati probiotici.
Sono costituiti da cellule cocciche
del diametro di 0,4 µm, immobili, non
sporigene a catalasi negativa.
e subsp. lactis sono le specie di interesse nella produzione di latti fermentati; la subsp. lactis utilizza i citrati con
produzione di diacetile, acetoino e anidride carbonica. Sono microrganismi a
catalasi negativa e non idrolizzano l’arginina.
Bifidobatteri
I bifidobatteri si differenziano, in
primo luogo, dai batteri lattici di interesse per i latti fermentati in quanto
dalla metabolizzazione del lattosio oltre
ad acido lattico producono anche acido
acetico.
Sono batteri probiotici di grande interesse, normalmente presenti nel tratto gastrointestinale dell’uomo; nel colon
possono raggiungere 108-1011 cellule
vive per grammo di materiale intestinale. La prima descrizione di bifidobatteri
Leuconostoc
Sono batteri lattici a forma coccica,
mesofili che fermentano debolmente il
lattosio del latte con produzione di acido
lattico D(–), anidride carbonica e alcool
etilico.
Sono utilizzati come starter nei latti
fermentati e per il buttermilk. Leuconostoc mesenteroides subsp. cremoris
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
Figura 9
Morfologia cellulare
eterogenea di
bifidobatterio, isolato
da latte fermentato
probiotico del
commercio, da colonia
su agar nutritivo
selettivo.
Tabella 7
Principali caratteri
distintivi per specie
probiotiche di
Bifidobacterium.
Specie di
bifidum
adolescentis
Produzione di acido lattico da
glucosio,
galattosio,
lattosio
e alcuni ceppi
da saccarosio
e melibiosio
arabinosio,
xilosio,
glucosio,
galattosio,
fruttosio,
mannosio,
lattosio,
maltosio,
saccarosio,
cellobiosio,
melibiosio,
raffinosio
% (G+C) del DNA
58
58
Peptide del peptidoglicano
Orn(Lys)-Ser-Asp
Lys(Orn)-Asp
Gruppo sierologico
B
B
Temperatura ottimale di sviluppo (°C)
37-40
37-40
Temperatura minima di sviluppo (°C)
25-28
25-28
Attività ureasica
negativa
negativa
Riduzione dei nitrati
negativa
negativa
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B. Battistotti, V. Bottazzi
Figura 10
Particolare di morfologia
a X, a Y, a clava e a globi
di bifidobatterio, isolato
da latte fermentato
probiotico del
commercio, dopo
sviluppo su agar nutritivo
selettivo.
risale al 1899 e da allora sono stati fatti
molti tentativi per un loro collocamento
tassonomico; oggi il genere Bifidobacterium riunisce ben 32 specie.
Sono batteri Gram positivi, senza
spora, immobili, anaerobi, a catalasi negativa, non sono acidurici, a morfologia
bacillare ma con forte tendenza al pleomorfismo come si può dedurre dalle Figure 9 e 10.
Nelle preparazioni commerciali di
latti fermentati probiotici con bifidobatteri è difficile poter osservare cellule a
morfologia ramificata; con la Figura 11
si riporta l’immagine di bacilli ramificati
direttamente osservati in prodotti commerciali. I principali caratteri di specie
sono riportati nella Tabella 7.
Bifidobacterium
infantis
breve
longum
glucosio,
galattosio,
fruttosio,
lattosio,
maltosio,
saccarosio,
melibiosio,
salicina,
raffinosio
glucosio,
galattosio,
fruttosio,
lattosio,
maltosio,
saccarosio,
melibiosio,
salicina,
raffinosio
arabinosio,
glucosio,
galattosio,
fruttosio,
lattosio,
maltosio,
saccarosio,
melibiosio,
raffinosio
58
58
58
Orn(Lys)-SerAla-Thr-Ala
Lys-Gly
Orn(Lys)-SerAla-Thr-Ala
B
B
B
37-40
37-40
37-40
25-28
25-28
25-28
negativa
negativa
negativa
negativa
negativa
negativa
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
Figura 11
Cellule di bifidobatteri
presenti in latti
fermentati probiotici
del commercio.
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B. Battistotti, V. Bottazzi
Acetobatteri
bevanda kefir rispettivamente a valori di
106-108/g e 105-106/ml.
Partecipano direttamente alla produzione del latte fermentato e trovano
legame associativo mutualistico con i
microrganismi prima indicati come
componenti dei latti fermentati acidoalcolici.
Presentano una morfologia di corto
bacillo, mobile, isolato, a due a due o
anche in corto filamento, non sporigeno. Sono in grado di ossidare l’alcool
etilico ad acido acetico; ossidano anche
l’acido lattico e l’acido acetico.
La specie più frequentemente presente è Acetobacter aceti con i caratteri generali riassunti nella Tabella 8.
Alcuni ceppi di Acetobacter presenti nel kefir sono anche in grado di
ossidare il glucosio per dar luogo alla
formazione di acido gluconico.
Gli acetobatteri sono componenti
della microflora del kefir che nel suo
complesso presenta la seguente caratterizzazione microbiologica:
a) batteri lattici:
bacilli mesofili:
Lactobacillus casei
Lactobacillus brevis
streptococchi mesofili:
Lactococcus lactis subsp. lactis
Leuconostoc mesenteroides
subsp. lactis e subsp. cremoris
b) enterococchi:
Enterococcus durans
c) lieviti:
Saccharomyces delbrueckii
Saccharomyces cerevisiae
Kluyveromyces maxianum
d) acetobatteri:
Acetobacter aceti
Lieviti
Il gruppo degli acetobatteri è formato da microrganismi a metabolismo
ossidativo presenti nei granuli e nella
Il gruppo dei lieviti interessa la produzione dei latti fermentati acido-alcolici.
Tabella 8
Caratteri generali
per Acetobacter aceti.
Morfologia
Bacilli mobili
Flagelli
Produzione di
Peritrichi
51
Ossidazione di
ac.
acetico
ac.
gluconico
ac.
acetico
ac.
lattico
+
±
+
+
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
La letteratura riferisce che i lieviti
sono presenti con specie diverse nei
granuli di kefir con valori medi di 108/g
cellule.
Con riferimento al genere Saccharomyces si riscontrano le specie:
Saccharomyces delbrueckii
Saccharomyces cerevisiae
Saccharomyces kefir
Saccharomyces fragilis
al genere Torula le specie:
Torula lactis
Torula ellipsoidea
Torula kefir
Kluyveromyces marxianus
al genere Candida la specie:
Candida pseudotropicalis
var. lactosa.
I lieviti per lo più si localizzano al
centro del granulo di kefir (Figg. 12 e
13) e rappresentano una microflora
fondamentale per i prodotti acido-alcolici.
Le due specie più rappresentate
(Saccharomyces delbrueckii e Saccharomyces cerevisiae), i cui caratteri
generali sono riuniti nella Tabella 9, sono lieviti lattosio-negativi e stabiliscono
un rapporto associativo mutualistico con
i batteri lattici i quali, mettendo a disposizione galattosio, consentono ai lieviti
di produrre alcool etilico.
Figura 12
Microflora da lieviti
e schizomiceti
localizzati all’interno
di un granulo di kefir.
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B. Battistotti, V. Bottazzi
Tabella 9
Caratteristiche generali
di lieviti presenti in
granuli di kefir.
Identificazione
Saccharomyces
cerevisiae
Saccharomyces
delbrueckii
Crescita in agar malto:
aspetto della coltura
patina bianca,
opaca, abbondante
patina beige, lucente,
con margini interi
Forma delle cellule
su agar malto
allungate o globose
di medie dimensioni
rotondeggianti
di piccola dimensione
Sporificazione
Fermentazione
Assimilazione
± = carattere intermedio
+ = carattere positivo
– = carattere negativo
+
+
glucosio
+
+
galattosio
+
+
saccarosio
+
–
maltosio
+
–
melibiosio
–
–
raffinosio
+ (1/3)
–
melezitosio
±
–
inulina
–
–
cellobiosio
–
–
trealosio
±
+
lattosio
–
–
amido solubile
–
–
glucosio
+
+
galattosio
+
+
sorbosio
–
+
saccarosio
–
–
maltosio
+
–
cellobiosio
–
–
trealosio
±
+
lattosio
–
–
melibiosio
–
–
raffinosio
+
–
melezitosio
±
–
inulina
–
–
amido solubile
–
–
D-xilosio
–
–
L-arabinosio
–
–
D-ribosio
±
–
L-ramnosio
–
–
KNO3
–
–
arbutina
–
–
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
Figura 13
Lieviti localizzati
al centro di un granulo
di kefir osservati
al microscopio
elettronico a scansione.
I lieviti a loro volta sintetizzano riboflavina e altre vitamine che sono importanti per lo sviluppo dei batteri lattici.
drici, prodotti per disarticolazione delle
ife laterali.
Ossida l’acido lattico ad anidride
carbonica e acqua, produce enzimi proteolitici e lipolitici.
Muffe
L’unica specie di muffe utilizzata
nella produzione dei latti fermentati è
Geotrichum candidum prima detta Oospora lactis e Oidium lactis la cui riproduzione sessuale per ascospore è
molto occasionale.
Pertanto viene ascritta a Funghi
imperfetti classe Ifomiceti; forma colonie bianco-crema con conidi, cilin-
Vie metaboliche
di utilizzo fermentativo
dei componenti
del latte
Il processo di fermentazione che
caratterizza la produzione di yogurt è di
sorprendente potenza biologica e di
straordinaria efficienza tecnologica.
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Figura 14
LATTOSIO
Schema metabolico
della fermentazione
del lattosio da parte
di Streptococcus
thermophilus e
Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus
(vedi testo).
parete cellulare
permeasi
lattosio
beta-galattosidasi
glucosio
galattosio
glucosio-6P
fruttosio-1,6P
aldolasi
triosio-3P
acido piruvico
lattato deidrogenasi
acido lattico
L(+)
D(–)
da Streptococcus
thermophilus
da Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus
A questo proposito è sufficiente
sottolineare che il prodotto yogurt si
realizza comunemente nel tempo di tre
ore durante le quali avvengono considerevoli trasformazioni di natura fisica,
chimica, microbiologica, organolettica e
nutrizionale.
Di questa complessa dinamica di
seguito verranno tratteggiati gli aspetti
principali.
Lo yogurt è il risultato dello sviluppo
combinato di Streptococcus thermo-
philus e di Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus che sono entrambi
microrganismi omofermentanti obbligati
che danno come prodotto finale dalla
utilizzazione del lattosio quasi esclusivamente acido lattico.
Lo schema metabolico della fermentazione del lattosio, per le due specie indicate, è illustrato nella Figura 14.
Lo schema fermentativo è ben diverso,
come riportato nella Figura 15, per Lactococcus lactis subsp. lactis e subsp.
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
Figura 15
Schema metabolico
della fermentazione
del lattosio ad opera
di Lactococcus lactis
subsp. lactis e subsp.
cremoris, Lactobacillus
acidophilus e
Lactobacillus paracasei
durante la produzione
di latti fermentati.
LATTOSIO
parete cellulare
sistema lattosio
fosfotransferasi
PTS-PEP
permeasi
lattosio fosfato
lattosio
galattosio-6P
glucosio
citoplasma
galattosio
galattosio-1P
tagatosio-6P
tagatosio-1,6P
glucosio-6P
fruttosio-1,6P
triosio-3P
acido piruvico
acido lattico
L(+)
DL
da Lactococcus lactis subsp.
lactis e subsp. cremoris
Lactobacillus paracasei
cremoris che seguono esclusivamente
la via PTS-PEP che realizza la fosforilizzazione dello zucchero a livello della parete cellulare per cui lo zucchero entra
nel citoplasma come lattosio fosfato sul
quale interviene la beta-fosfogalattosidasi. Lactobacillus acidophilus e Lactobacillus paracasei presentano entrambi i sistemi metabolici, vale a dire
quello del trasferimento in cellula del
lattosio via PTS-PEP e via permeasi.
da Lactobacillus acidophilus
I batteri lattici termofili dello yogurt
sono dotati di un sistema di trasporto
del lattosio, la permeasi, che viene
energizzato dall’adenina-trifosfato e la
prima idrolisi in cellula del disaccaride,
con liberazione di glucosio e galattosio,
avviene per intervento della beta-galattosidasi. Il glucosio viene rapidamente
fosforilato e poi, per intervento del sistema enzimatico aldolasi, ridotto a due
triosi e convertito ad acido piruvico se-
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condo la via glicolitica. L’acido piruvico
viene poi convertito in acido lattico
dall’enzima lattato deidrogenasi. Streptococcus thermophilus forma acido
lattico L(+) e Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus D(–). Il galattosio
non viene fermentato e man mano che
si libera dal lattosio viene scaricato
all’esterno della cellula.
Streptococcus thermophilus ha
una netta preferenza per il lattosio come fonte di energia; questo si traduce
in una rapida crescita in latte e il processo di acidificazione è ancora più veloce quando le due specie di batteri lattici per lo yogurt vengono fatte sviluppare in associazione.
L’interazione, con manifestazione di
sinergismi microbici tra i due microrganismi risulta non solo favorevole all’acidificazione ma anche alla formazione
dell’aroma dello yogurt, che è parte importante per la caratterizzazione del
prodotto fermentato, e alla produzione
di polisaccaridi. La produzione di acido
lattico delle colture miste, composte da
ceppi delle due specie dette, è nettamente superiore a quella dei singoli
ceppi componenti. Questo comportamento, che ha trovato applicazione nel
processo tecnologico di produzione dello yogurt e che guida la scelta e la selezione dei ceppi, è illustrato nella Figura
16. A spiegazione di questo effetto sinergico si pone il fatto che lo sviluppo
di Streptococcus thermophilus è stimolato da aminoacidi e da peptidi che
vengono liberati dalle proteine del latte
ad opera di Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus. Sulla base di questa
constatazione Henneberg nel 1926 indicava che la coltura per yogurt era
“una simbiosi facile da realizzare” e oggi
ben sappiamo che in generale cinque
aminoacidi, quali valina, glicina, istidina,
leucina e isoleucina, e corti peptidi, per
Streptococcus thermophilus, sono sorgenti preferenziali di azoto per la costruzione delle masse cellulari. A sua
volta la crescita di Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus viene stimolata da composti elaborati da Streptococcus thermophilus quali anidride
carbonica e acido formico. Nelle condizioni pratiche di produzione dello yogurt,
la disponibilità di anidride carbonica è
un elemento essenziale per il buon sviluppo della protocooperazione tra i batteri dello yogurt. Con i trattamenti di
preparazione del latte per produrre yogurt, la CO2 si riduce a valori inferiori al
livello minimo richiesto per un rapido
sviluppo di L. bulgaricus minimo pari a
30 mg per kg. La liberazione di CO2
per decarbossilazione dell’urea, che avviene in yogurt per opera di Strepto-
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
Figura 16
Indicazione di alcuni
fattori di stimolo ed
effetti sinergici
in coltura associata
di Streptococcus
thermophilus e
Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus per
yogurt.
aminoacidi (valina,
glicina, istidina,
leucina, isoleucina)
NH3
peptidi a corta catena
CO2
≥ 30 mg/kg
acido formico
40 mg/kg
ml
12
10
8
6
4
2
0
...............................
0,1 N NaOH (per 10 ml di coltura)
a) Acidificazione
2
4
6
8
Ore di incubazione
Produzione di acidità con
Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus
Streptococcus thermophilus
associazione delle due specie
b) Formazione di aroma
(aldeide acetica in ppm)
10 – 12,0
2,5 – 3,0
22,0 – 27,0
c) Formazione di polisaccaridi
(mg/kg)
50 – 350
60 – 425
800
58
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Tabella 10
Contenuto in anidride
carbonica dello yogurt
nelle prime due ore di
fermentazione.
Durata di incubazione
(in minuti)
pH
Contenuto in CO2
(mg/kg)
0
6,42
10
26
6,30
14
37
6,20
30
45
6,10
50
53
6,00
66
66
5,75
158
81
5,50
293
100
5,25
285
116
5,00
280
coccus thermophilus ha l’andamento
generale riportato nella Tabella 10. Come si può facilmente dedurre già dopo
37-40 minuti dall’inoculo con incubazione a 44,5 °C si hanno le condizioni
favorevoli per lo sviluppo di Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus.
Con lo sviluppo in associazione dopo 60 minuti di incubazione la CO2 prodotta è sempre in eccesso rispetto alle
esigenze di Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus.
I ceppi della specie Streptococcus
thermophilus , attraverso il sistema
ureasico, sono in grado di idrolizzare
l’urea del latte, in anidride carbonica e
ammoniaca.
La Figura 17 riporta in forma grafica l’andamento della utilizzazione dell’urea durante lo sviluppo in latte di
Streptococcus thermophilus.
Con il processo di acidificazione
che si realizza in yogurt profonde sono
le modificazioni che avvengono a carico
degli zuccheri. Il latte fresco ha un contenuto in lattosio che varia da 4,8 a
5,10% e nel latte per yogurt, che è
concentrato per evaporazione, il valore
raggiunge circa il 6%; alla fine della
fermentazione la distribuzione degli zuccheri è la seguente:
zuccheri totali
4,8-5,2%
lattosio
3,8-4,0%
galattosio
1,0-1,2%
glucosio
tracce
Dopo 25 giorni di conservazione
dello yogurt a 4 °C si registra una ulteriore diminuzione del lattosio pari a 0,20,3%; una diminuzione più piccola si
verifica anche per il galattosio, con un
calo complessivo dello zucchero di circa
il 30%.
59
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
Figura 17
Concentrazione
(mM)
16
12
8
4
Sviluppo
(O.D. 480) mM
Urea
Sviluppo
6
0,4
pH
.......................................
NH3
.......................................
Utilizzazione dell’urea
e formazione di
ammoniaca ad opera
di Streptococcus
thermophilus durante lo
sviluppo in latte a 37 °C.
7
NH3
4
0,3
6
2
pH
Urea
0,2
0
5
0
60
120
Due sono le forme isomeriche di
acido lattico che si ritrovano dopo la
fermentazione del lattosio: L(+) prodotto da Streptococcus thermophilus e
D(–) da Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus. La quantità dell’uno
o dell’altro tipo di acido lattico dipende
dall’intensità di sviluppo delle due specie batteriche. In genere, la quantità di
acido lattico L(+) varia dal 50 al 60%.
La quantità totale di acido lattico
accumulato in yogurt è compresa tra
0,7 e 1,2% e il valore di pH si colloca
tra 3,9 e 4,2.
Lo sviluppo delle due specie in yogurt è influenzato anche dalla disponibi-
180
240
Tempo (min)
300
360
420
lità di acido formico. Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus è stimolato
nello sviluppo proprio dall’acido formico,
un precursore di nucleotidi. La formazione di tale acido è dovuta al trattamento termico che subisce il latte prima
della fermentazione e alla produzione
da parte di Streptococcus thermophilus.
Con lo sviluppo in associazione della coltura per yogurt si hanno anche
azioni sinergiche che influenzano la formazione dell’aroma. Le due specie associate producono più aldeide acetica
rispetto alla somma delle quantità prodotte in fermentazioni separate:
60
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B. Battistotti, V. Bottazzi
ppm di aldeide acetica prodotta
dopo 4 ore di incubazione in latte
Streptococcus thermophilus
2,5-3,0
Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus
10-11
Associazione delle due specie (1:1)
22-25
>
CH3CH(OH)CH(NH2)COOH ——
treonina
In yogurt del commercio il contenuto in aldeide acetica varia da 20 a 50
ppm e rimane in genere costante durante la conservazione del prodotto.
La Tabella 11 mostra l’attività di
enzimi specifici per la sintesi di aldeide
acetica portati dalle due specie. L’assenza in entrambi di alfa-carbossilasi
suggerisce che l’aldeide acetica non
può essere derivata dall’acido piruvico
mentre in Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus molto attiva è la
treonina aldolasi. La reazione catalizzata
da treonina aldolasi è la seguente:
> NH2CH2COOH + CH3CHO
——
glicina
aldeide acetica
L’assenza in entrambe le specie
dell’enzima alcool deidrogenasi rende
stabile durante il periodo di conservazione dello yogurt, l’aldeide acetica.
Quando invece si procede alla preparazione di latti fermentati con Lactobacillus acidophilus, come acidophilus
milk e preparati probiotici, l’aroma da
aldeide acetica è molto scarso o insi-
Tabella 11
Enzimi specifici
interessati alla sintesi
di aldeide acetica.
Indicazione di enzimi
Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus
Streptococcus
thermophilus
1 acetato chinasi
+
+
– CoA
2 fosfotransacetilasi
+ CoA
+
+
+
+
3 treonina aldolasi
+
–
4 aldeide deidrogenasi
–
+
5 alfa-carbossilasi
–
–
6 deossiriboaldolasi
–
–
7 alcool deidrogenasi
–
–
61
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
gnificante perché la specie è dotata di
alcool deidrogenasi che catalizza la seguente reazione:
CH3CHO
opera in modo che dopo 10-15 giorni
sia pari allo 0,2% in peso. Questa concentrazione si ripercuote positivamente
sulla struttura del prodotto che appare
vellutato e fine al palato.
Il polimero che viene prodotto avvolge le cellule produttrici e forma filamenti, come è evidente in Figura 18,
che legano le cellule tra di loro e i grumi
di caseina coagulata dando infine al
prodotto resistenza alla sineresi e omogeneità di aspetto.
Infine vanno sottolineate altre variazioni che avvengono durante la preparazione dello yogurt, legate allo sviluppo
dei batteri lattici termofili, riferentesi al
contenuto in vitamine, acido orotico,
acido benzoico, acidi nucleici, batteriocine, enzimi, peptidi e aminoacidi.
Durante la trasformazione del latte
in yogurt alcune vitamine del gruppo B
subiscono una diminuzione mentre altre
registrano un aumento. Diminuiscono
acido pantotenico e vitamina B12 e aumenta invece, in ragione consistente,
l’acido folico e anche, seppure in minor
ragione, la niacina.
Un andamento generale rilevato
dopo tre ore di fermentazione viene riportato nella Tabella 12.
Entrambi i microrganismi componenti la coltura richiedono per lo sviluppo acido pantotenico ma Lactobacillus
NADH+H+
> CH3CH2OH+NAD
In yogurt all’aldeide acetica si associano anche 1-4 ppm di acetone, 2,53,5 ppm di acetoino e 0,5-1,0 ppm di
diacetile.
Un altro aspetto di grande interesse
tecnologico è la produzione di polisaccaridi.
I ceppi filanti di Streptococcus
thermophilus e di Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus quando sviluppano in latte, producono polisaccaridi che sono principalmente composti da
galattosio e glucosio.
La quantità prodotta è più abbondante quando le due specie sono impiegate in associazione: in yogurt la
produzione può raggiungere 800 mg
per litro di latte quando la produzione
per Streptococcus thermophilus oscilla
tra 50 e 350 mg/litro e per solo Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus
oscilla da 60 a 425 mg/litro a seconda
del ceppo.
La produzione di polisaccaridi è influenzata da molti fattori (di particolare
influenza è la temperatura) ma nelle
condizioni di produzione dello yogurt si
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B. Battistotti, V. Bottazzi
Figura 18
Produzione di
polisaccaridi da parte
di Lactobacillus
delbrueckii subsp.
bulgaricus sviluppato
in yogurt.
delbrueckii subsp. bulgaricus richiede
molto acido folico sintetizzato peraltro in
abbondanza da Streptococcus thermophilus.
Durante la conservazione del prodotto l’acido folico diminuisce per circa
il 30% e la vitamina B12 per il 55-60%.
La massima produzione di acido folico
Tabella 12
Vitamina
Variazioni del contenuto
in vitamine in yogurt
dopo tre ore di
fermentazione.
Latte per yogurt
(µg/100 g)
Yogurt dopo 3 ore
di fermentazione
(µg/100 g)
Acido folico
0,371
3.805
Niacina
130
140
Acido pantotenico
482
381
Biotina
4.087
3.981
B12
0,426
0,354
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
si ottiene con incubazione dello yogurt a
42 °C. È anche da sottolineare che per
quanto riguarda la sintesi di vitamina
B12 vi è una stretta relazione, che si verifica nella bevanda acido-alcolica kefir,
tra batteri lattici e acetobatteri. Lo sviluppo in associazione determina un
sensibile aumento in B12 rispetto alla
quantità presente nello yogurt.
Per quanto riguarda gli acidi organici, due fra quelli normalmente presenti
nel latte subiscono significative trasformazioni.
L’acido citrico e l’acido urico non
vengono metabolizzati dai due microrganismi della coltura per yogurt ma
l’acido orotico presente normalmente
nel latte in ragione di 70-80 ppm viene
ridotto a 17-30 ppm a seconda delle
condizioni di produzione. L’acido benzoico, che nel latte per yogurt è presente in tracce, massimo 4-5 ppm nello
yogurt quale metabolita microbico, raggiunge anche 60 ppm. L’acido benzoico
ha come precursore l’acido ippurico e
l’accumulo nei latti fermentati varia con
il tipo di coltura impiegata; in yogurt
oscilla tra 35 e 60 ppm, con l’associazione Lactobacillus delbrueckii subsp.
bulgaricus – Lactobacillus acidophilus
è di circa 30 e con colture mesofile di
Lactococcus lactis subsp. lactis è
compreso tra 10 e 35.
In parallelo con la formazione di acido lattico si ha in certi latti fermentati
un forte aumento di acido acetico. Nel
caso del kefir è conseguente allo sviluppo di acetobatteri mentre in latti fermentati probiotici è dovuto allo sviluppo
di bifidobatteri. Variazioni vi sono pure
per quanto riguarda l’acido succinico e
l’acido fumarico.
Consistente è poi la produzione di
sostanze ad attività antibatterica diverse
dagli acidi organici o da acqua ossigenata ma da potersi ricondurre alle batteriocine. Con solo riferimento alla coltura per yogurt si può richiamare la batteriocina “bulgarican” sintetizzata da
Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus che è termostabile, attiva a pH
acido e che presenta un largo spettro di
azione sia verso batteri Gram positivi
che Gram negativi.
Streptococcus thermophilus a sua
volta produce “thermophilin 13” che è
un peptide di 4000 Da, termostabile e
attivo con un largo spettro di pH. Quest’ultima specie produce anche batteriocine attive verso muffe come Aspergillus e Rhizopus; nell’insieme le batteriocine prodotte dai componenti della
coltura per yogurt e dagli altri batteri
che intervengono nella produzione dei
latti fermentati, sono numerose.
Di notevole importanza è l’accu-
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mulo nei latti fermentati di beta-galattosidasi che ha un significato probiotico, come verrà specificato più avanti,
di proteasi e peptidasi di origine dai
microrganismi che determinano idrolisi
delle proteine con liberazione di peptidi
e aminoacidi.
Infine viene sottolineato che con lo
yogurt, che raggiunge anche più di un
miliardo di cellule di batteri lattici per
grammo, si hanno forti variazioni nel
contenuto in nucleotidi:
A. Composti derivati dall’idrolisi
e metabolismo del lattosio:
acido lattico, acido acetico
anidride carbonica, alcool etilico
acido formico, acido succinico
acetone, diacetile, acetoino
galattosio
polisaccaridi
B. Composti derivati dall’idrolisi delle proteine:
peptidi, aminoacidi, aldeide acetica
C. Composti derivati dalla utilizzazione
dell’urea:
anidride carbonica
ammoniaca
acido formico
D. Composti derivati dalla utilizzazione
di acidi organici:
acido benzoico da acido ippurico
composto sconosciuto da acido orotico
aumentano:
AMP = Adenosina monofosfato
UMP = Uridina monofosfato
GMP = Guanina monofosfato
NAD = Adenina dinucleotide
E. Variazioni nel contenuto in vitamine:
aumento di acido folico e niacina
diminuzione di acido pantotenico e B12
F. Variazioni nel contenuto in nucleotidi:
aumentano:
AMP (Adenosina monofosfato)
UMP (Uridina monofosfato)
GMP (Guanina monofosfato)
NAD (Adenina dinucleotide)
Quadro generale
delle variazioni
biochimiche
che avvengono
in yogurt
G. Variazioni nella distribuzione dei minerali:
aumento delle forme ioniche
destabilizzazione del complesso
calcio-fosfato caseinato
H. Comparsa di sostanze proteiche ad attività
antibatterica:
varie batteriocine
I. Accumulo di enzimi:
Dall’insieme delle considerazioni
fatte si evidenziano i principali cambiamenti che avvengono, per attività dei
batteri lattici termofili, durante la trasformazione del latte in yogurt e altri
latti fermentati; di seguito ne viene riportato il quadro riassuntivo.
beta-galattosidasi
proteasi
peptidasi
L. Cambiamenti della popolazione batterica:
presenza di centinaia di milioni per
grammo di batteri lattici e di
microrganismi probiotici con protezione
verso microrganismi indesiderati e
azioni probiotiche varie
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
un latte fermentato che può fregiarsi
della definizione di “prodotto vivo” cioè
di presentare, per tutto il periodo della
conservazione, un alto numero di batteri
lattici vivi.
La fermentazione, che nel caso
dello yogurt ha una durata di circa tre
ore, consente di accumulare una massa di cellule di batteri lattici che finisce
per occupare circa l’1% della massa
del prodotto che, con il suo contenuto
in proteine cellulari, aminoacidi, acidi
nucleici e fosfolipidi, arricchisce il valo-
Si vuole, infine, completare l’immagine dello yogurt con l’inserimento delle
Figure 19 e 20 che offrono un’idea dello sviluppo dei batteri lattici termofili nel
prodotto.
Conservazione
della microflora
lattica in yogurt
Caratteristica di fondamentale importanza dello yogurt è quella di essere
Figura 19
Microcolonia di
Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus
sviluppata in yogurt
a coagulo compatto.
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B. Battistotti, V. Bottazzi
re nutrizionale dell’alimento yogurt.
È questo un aspetto certamente
importante e caratterizzante che viene
però rafforzato dal fatto che le cellule
sono vive.
Con il consumo di yogurt fresco, si
introduce (o si mangiano) normalmente
un miliardo di batteri lattici vivi per
grammo di prodotto; vale a dire con un
vasetto di yogurt più di cento miliardi di
batteri lattici che dopo aver ben operato
con metabolismi da specialisti nell’attuare il processo di fermentazione del
latte, potranno continuare con attività
probiotiche.
Durante la conservazione Streptococcus thermophilus e, in forma più
marcata, Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus subiscono un calo
nel numero di cellule vive.
Questa diminuzione nel corso dei
primi 30 giorni non è in genere molto
significativa se il prodotto viene conservato a 4 °C, mentre diventa chiaramente evidente se la conservazione viene
effettuata a 14-15 °C.
Figura 20
Microcolonie di
Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus e
Streptococcus
thermophilus formatesi
nella stessa microcavità
in yogurt a coagulo
compatto.
67
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
1 x 108
1 x 107
1 x 106
1 x 105
1 x 104
3
1 x 10
1 x 102
.............................................................. ....
UCF/ml
Figura 21
Sopravvivenza nel tempo
di Streptococcus
thermophilus e
Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus
in yogurt naturale
conservato a 4 e a 15 °C.
0
Cocchi 4 °C
Bacilli 4 °C
Cocchi 15 °C
Bacilli 15 °C
10
20
Tra i 30-60 giorni dalla produzione il
calo in batteri lattici vivi diventa, come si
vede in Figura 21, notevole, anche a
4 °C specialmente per i bacilli. Ne consegue che lo yogurt deve essere conservato in frigorifero e che la vita commerciale non dovrebbe superare i 3540 giorni.
30
Giorni
40
50
60
Colture per
latti fermentati
Esistono fondamentalmente due
tecniche per la preparazione degli inoculi per latti fermentati:
a) tradizionale: consiste generalmente
nel rinnovare il processo mediante ap-
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B. Battistotti, V. Bottazzi
porto di latte fresco al prodotto di fermentazione o viceversa;
b) razionale: con inoculo di colture controllate e isolate (starters) su latte altamente pastorizzato.
Interessante è la preparazione del
kefir tradizionale in otri di pelle o di legno che presentano, a seguito dell’uso
continuato, le pareti interne ricoperte da
ammassi, simili a riso cotto, che costituiscono il fondamento della tecnologia
del kefir.
I “grani di kefir” contengono le associazioni microbiche già ricordate in
“protocooperativa” o anche in vere simbiosi mutualistiche, sono gelatinosi per
la presenza del polisaccaride prodotto
da L. brevis detto kefiran.
L’aggiunta giornaliera di latte vaccino o di capra mantiene l’equilibrio microbico della nicchia.
Il metodo casalingo di preparazione consiste nell’aggiungere grani di
kefir in ragione di 0,5-1% a latte bollito e raffreddato a 20-22 °C e nel mantenere la temperatura per 12-24 ore in
funzione del grado di acidità desiderato. Si separano quindi i grani per filtrazione mentre il latte fermentato risultante viene mantenuto per 1-2 giorni a
10-15 °C e poi consumato o conservato in frigorifero per qualche giorno.
Nella prima fase avviene prevalente-
mente la fermentazione lattica, nella
seconda quella alcoolica con produzione di anidride carbonica e alcool etilico. Nella produzione per il commercio,
il latte fermentato separato dai grani
viene utilizzato come coltura madre per
l’inoculo di latte pastorizzato. La fermentazione successiva avviene a 2023 °C.
Kumys è un altro latte fermentato
tradizionale prodotto con un’associazione in prevalenza costituita da L. delbrueckii subsp. bulgaricus, da L. acidophilus e lieviti del genere Saccharomyces, a 28 °C con rimuovo giornaliero mediante sostituzione di parte del latte di cavalla fermentato con latte fresco.
Il Leben tradizionale si prepara da
un’associazione costituita da Lactobacillus acidophilus, Streptococcus thermophilus, Leuconostoc mesenteroides subsp. lactis , Kluyveromyces
marxianus (fragilis), Saccharomyces
cerevisiae, con fermentazione per 9-10
ore a 26-28 °C e successiva conservazione per 2-3 ore a 20 °C.
Il Buttermilk tradizionale non è altro
che il latticello risultante dalla burrificazione della panna; oggi però si prepara
da latte magro pastorizzato e innestato
con colture starters costituite da streptococchi mesofili, Lactococcus lactis
subsp. lactis e cremoris e Leucono-
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Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
Figura 22
Schema per la
preparazione
della coltura partendo
da starter liofilizzato.
1
6
2
5
3
4
8
7
70
9
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B. Battistotti, V. Bottazzi
Figura 23
Schema
per l’utilizzazione
delle colture concentrate
per inoculo diretto.
Biomassa
liofilizzata
Biomassa
congelata
Dispersione
in latte
Scongelamento
Inoculo diretto del latte
stoc mesenteroides e fermentazione a
18-22 °C.
Lo yogurt è certamente il latte fermentato a più larga diffusione, prodotto
anche a livello familiare ma soprattutto
industriale mediante starters, frutto di
selezione per il potere acidificante, la ridotta proteolisi, la produzione di acetaldeide, lo sviluppo in combinazione (L.
delbrueckii subsp. bulgaricus e Str.
thermophilus), il potere addensante e
lo sviluppo in latte. Le grandi aziende
produttrici di yogurt selezionano direttamente i ceppi da yogurt tradizionale, le
altre si riforniscono dei ceppi singoli o in
associazione, congelati o liofilizzati, da
centri specializzati.
Si possono utilizzare direttamente
per l’inoculo del latte da fermentare
(inoculo diretto) o a seguito di passaggi
di riattivazione-moltiplicazione in latte
sterile e preparare così la “coltura madre” da utilizzare per il latte destinato allo yogurt come indicato nelle Figure 22
e 23.
I latti fermentati con microflora intestinale contengono ceppi di origine
umana, resistenti agli antibiotici, capaci
di sopravvivere alle basse tensioni superficiali e alla presenza di acidi biliari,
produttori di acidità. Lactobacillus acidophilus, Lactobacillus casei e bifidobatteri sono i microrganismi generalmente riconosciuti specifici, vengono
forniti da centri specializzati congelati o
liofilizzati utilizzati come tali e da soli
nella produzione del latte fermentato o
con un supporto nell’innesto, di una
coltura per yogurt per rendere più gradito il latte fermentato al consumatore.
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Pagina 72
Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati
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C
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himica e tecnologia
dello yogurt
I. De Noni, P. Resmini, A. Tirelli
DISTAM Facoltà di Agraria
Università degli Studi di Milano
La produzione e la commercializzazione dello yogurt sono disciplinate dalle
normative Comunitarie, Ministeriali e di
associazioni dei produttori riassunte in
Tabella 1.
In particolare lo yogurt viene definito come “il latte fermentato da microrganismi specifici acidificanti Streptococcus thermophilus e Lactobacillus
delbrueckii subsp. bulgaricus. Tale latte viene ottenuto impiegando come materia prima latte fresco intero o parzialmente o totalmente scremato sottoposto ad un processo di bonifica termica.
La nota precipua e qualificante dello
yogurt è costituita dalla presenza, in
quantità elevata, dei fermenti specifici
vivi e vitali nel prodotto finito fino al momento del consumo”.
Lo yogurt viene di norma ottenuto
da latte vaccino ma può essere utilizzato anche latte di pecora, bufala o capra;
in tale caso deve essere fatta obbligatoriamente menzione nella denominazione di vendita.
La preparazione tradizionale dello
yogurt (Fig. 1), ovvero quella effettuata
artigianalmente prima dell’avvento della
produzione e commercializzazione su
larga scala di questo derivato lattiero,
veniva realizzata concentrando il latte
per ebollizione fino a ridurne il volume a
2/3 dell’iniziale e inoculandovi, dopo un
raffreddamento, una quota dello yogurt
precedentemente prodotto.
Il latte concentrato e innestato veniva quindi lasciato fermentare a temperatura ambiente per una notte al termine
della quale si otteneva lo yogurt.
Questo risultava in tal modo di
aspetto compatto e poteva presentare
una parziale separazione del siero dal
coagulo a causa della bassa velocità di
acidificazione a sua volta dovuta alla fermentazione effettuata a temperatura
ambiente.
Quest’ultima portava anche allo sviluppo di un’acidità diversa per ogni ciclo
di preparazione a causa del variare del
rapporto fra le concentrazioni di Strepto-
73
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Chimica e tecnologia dello yogurt
Tabella 1
Aspetti regolamentati
Normativa riguardante
la produzione,
composizione
e commercializzazione
dello yogurt.
Normativa
Merceologici
Materia prima
Latte vaccino (o di pecora, bufala
o capra) pastorizzato o sterilizzatoa,d
eventualmente addizionato
di proteine lattee (contenuto
proteico della miscela > 3,8%)c
Materia non lattiera
Zuccheri, preparati di frutta, ecc.
in totale non superiore al 30%
del prodotto finalea,d
Contenuto lipidico
Intero (> 3%), magro (< 1%)
e parzialmente scrematoa
Contenuto di acido lattico
Non inferiore a 0,8%a
Conservanti (sorbati)
Non superiori a 20 mg/100 ga
Temperatura di conservazione
Non superiore a 4 °Ca
Addensanti, gelificanti, stabilizzanti
Assentib
Microbiologici
Specie microbiche
Lactobacillus delbrueckii subsp.
bulgaricus e Streptococcus
thermophilusa,d
Numero totale microrganismi alla produzione
Non inferiore a 108-1010 UFC/ga
Numero totale microrganismi alla vendita
Non inferiore a 5*106 UFC/ga
Numero microrganismi di ciascuna specie
alla vendita
Non inferiore a 1*106 UFC/gd
Numero coliformi alla produzione
Non superiore a 10 UFC/ga
Contaminanti saprofiti
In numero non sufficiente
ad alterare il prodottoa
Germi patogeni e loro tossine
Assentia
a
Circolare del Ministero della Sanità n. 2 del 4/1/1972
Circolare del Ministero della Sanità n. 9 del 3/2/1986
c D.P.R. n. 54 del 14/1/1997
d Norma UNI n. 59.09 100.0
b
coccus thermophilus e Lactobacillus
delbrueckii subsp. bulgaricus. A ciò va
aggiunto che i costituenti del latte subivano numerose alterazioni in seguito alla
prolungata ebollizione con conseguente
riduzione del valore nutrizionale.
In seguito alla crescita del consumo
di yogurt, la tecnologia di preparazione
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Figura 1
LATTE
Fasi principali della
produzione tradizionale
dello yogurt.
Evaporazione per ebollizione
Yogurt della precedente
lavorazione
Inoculo
Fermentazione a temperatura
ambiente per circa 12 ore
YOGURT
di questo prodotto è diventata più razionale subendo una serie di modifiche
che hanno avuto anche lo scopo di favorire l’ottenimento di yogurt di consistenza più cremosa nonché di gusto
meno acido, più delicato e spesso modificato mediante l’aggiunta di zucchero, frutta o aromi.
Tutto ciò ha portato ad una notevole
diversificazione delle tipologie di yogurt
che ha permesso di soddisfare le aspettative sensoriali, oltre che salutistiche,
delle diverse fasce di consumatori.
In base all’ingredientistica utilizzata si
possono sommariamente identificare le
seguenti tipologie commerciali di yogurt:
– yogurt bianco: ottenuto dal solo lat-
te ed eventualmente panna;
– yogurt tipo dessert: yogurt bianco
contenente pezzi, purea o succo di
frutta, aromi o altri ingredienti (zuccheri, cereali, cacao, malto, cioccolato, pappa reale, miele, caffè, succhi
vegetali);
– yogurt arricchito: yogurt bianco o tipo dessert contenente sali minerali,
vitamine, oligosaccaridi, fibra o altri
ingredienti funzionali o prebiotici.
Questi yogurt vengono comunemente prodotti nei tipi magro o intero
contenenti rispettivamente fino a 1% e
più di 3% di grasso sul prodotto finito;
possono tuttavia essere preparati anche
prodotti parzialmente scremati.
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Silos per lo stoccaggio
del latte (Stabilimento
Danone di Casale
Cremasco).
sibili anche a bassi livelli di contaminazione.
La presenza di questi composti provoca un rallentamento della fermentazione lattica a cui consegue un’insufficiente acidificazione del latte o un tempo di lavorazione incompatibile con le
esigenze di produzione. Pertanto il latte
contenente residui di antibiotici o detergenti viene di norma destinato ad altre
trasformazioni.
Il contenuto in proteine rappresenta
anch’esso un importante fattore di qua-
Tecnologia
di produzione
dello yogurt
Caratteristiche del latte
per la produzione di yogurt
Il latte utilizzato per la produzione
dello yogurt deve possedere caratteristiche qualitative elevate.
Devono essere assenti residui di
antibiotici e di detergenti verso i quali i
batteri lattici sono particolarmente sen-
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lità. Un’elevata quantità di proteine nel
latte contribuisce decisamente alla formazione di uno yogurt cremoso e con
bassa attitudine allo spurgo del siero
(sineresi).
Quanto più il contenuto naturale in
proteine del latte (3,0-3,4%) si avvicina
a quello necessario per la formazione di
un buon coagulo (3,8-3,9%), tanto minore è il costo di lavorazione.
Anche la qualità microbiologica deve risultare elevata specialmente per la
quantità di microrganismi termoresistenti e di spore presenti. Infatti, ad un’elevata contaminazione microbica è spesso
associata la presenza di enzimi in grado
di produrre alterazioni del prodotto finale. Anche lo sviluppo di una microflora
psicrotrofica (Pseudomonadaceae)
produce endoenzimi proteolitici e lipolitici termostabili che non sono inattivati
dai trattamenti termici normalmente applicati per ottenere lo yogurt. Sebbene
tale problema non sia frequente, un’eventuale presenza di elevate quantità
dei suddetti enzimi può provocare, durante la conservazione, la degradazione
delle proteine dello yogurt con formazione di gusto amaro o riduzione della
consistenza cremosa e separazione di
siero. Può anche svilupparsi un gusto
rancido a seguito dell’idrolisi dei trigliceridi.
Enzimi proteolitici possono anche
derivare dalla lisi di cellule somatiche
che dovrebbero pertanto risultare inferiori a 300.000/ml. Infine, di notevole
importanza è anche l’assenza di batteriofagi che potrebbero non essere inattivati dai trattamenti di sanificazione degli impianti di produzione.
Preparazione
della miscela lattea
Nella moderna procedura di preparazione dello yogurt viene eseguita dapprima una preparazione del latte
(Fig. 2) che consiste nella formazione e
pastorizzazione della miscela lattea costituita da latte corretto nel tenore in
grasso e proteine (per la preparazione
di yogurt bianco) a cui possono essere
eventualmente addizionati zucchero o
altri ingredienti (per la preparazione di
yogurt tipo dessert o arricchito). Tale
miscela è in seguito inoculata con i batteri lattici specifici, sottoposta a fermentazione e lo yogurt ottenuto può
essere addizionato di aromi o preparati
di frutta.
Il latte, al suo arrivo in stabilimento,
subisce una depurazione fisica durante
la quale viene blandamente centrifugato
in modo da separare e asportare il sudi-
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Figura 2
LATTE
Fasi principali della
preparazione del latte
nella produzione dello
yogurt.
Depurazione fisica
Cacao
Panna
Yogurt bianco
Yogurt bianco zuccherato
o yogurt tipo dessert
Zucchero
Correzione del
tenore di grasso
Miscelazione
Correzione del
residuo secco
Malto
Miscela lattea
Omogeneizzazione
Pastorizzazione
Raffreddamento
MISCELA LATTEA PASTORIZZATA
ciume grossolano, quale peli o paglia,
che spesso trasporta con sé microrganismi alterativi o patogeni. In seguito
esso subisce una sequenza di operazioni che hanno principalmente la funzione
di modificare la quantità e le caratteristiche chimiche e fisiche delle componenti lipidiche e proteiche del latte. Tali
modifiche hanno l’effetto di ridurre il ri-
schio di spurgo del siero nel prodotto finale nonché di conferirgli la caratteristica consistenza cremosa.
La prima operazione consiste in
una correzione del tenore in grasso attraverso una scrematura completa del
latte al quale verrà di seguito riaggiunta
la quantità di panna necessaria.
Il contenuto lipidico può così variare
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fra 0,1% per lo yogurt magro e 3,03,5% per quello intero. Un’addizione di
panna in quantità superiori a quella iniziale permette di ottenere yogurt a
“doppia” o a “tripla panna” caratterizzati
da tenori in grasso di circa 7 e 10% rispettivamente.
Per la preparazione di yogurt zuccherati, quali quelli alla frutta o aromatizzati, successivamente alla correzione
del titolo in grasso avviene l’addizione di
zucchero, principalmente saccarosio,
ma anche fruttosio, zucchero d’uva
(glucosio e fruttosio in uguale rapporto)
o dolcificanti (ad es. aspartame). La
quantità addizionata dipende dal potere
dolcificante dello zucchero utilizzato e
non supera, di norma, il 10%. Livelli
superiori possono difficilmente essere
aggiunti perché lo sviluppo dei batteri
lattici, e in conseguenza la velocità di
acidificazione, risulterebbe rallentato in
seguito all’elevata pressione osmotica
originata.
Ai fini del gusto, il tenore glucidico
dello yogurt è comunque determinato
dalla quantità di zucchero presente nei
semilavorati di frutta eventualmente in
seguito addizionati nonché alla fascia di
consumatori a cui il prodotto è destinato. Ad esempio quantità di saccarosio
fino al 20% sono facilmente presenti
negli yogurt per l’infanzia.
In questa fase vengono eventualmente aggiunti ingredienti come malto,
cacao, farina di cereali o sostanze prebiotiche come l’inulina, un polisaccaride
normalmente estratto dalla cicoria che
favorisce lo sviluppo della microflora utile del grosso intestino. Questi costituenti vengono aggiunti in questo momento sia per favorirne la dissoluzione,
che viene completata dalle successive
fasi di lavorazione (riscaldamento e
omogeneizzazione), che per pastorizzare il materiale disciolto dalla presenza di
spore di lieviti o muffe.
Durante questa operazione è inoltre
possibile effettuare un’energica agitazione del latte senza causare danno alla
struttura del coagulo come invece avverrebbe se questi ingredienti fossero
aggiunti a fine fermentazione. Contemporaneamente o successivamente allo
zuccheraggio viene effettuata la correzione del titolo proteico del latte; questa
operazione è di estrema importanza per
ottenere un prodotto cremoso, viscoso
e con ridotta tendenza alla sineresi.
Le caratteristiche di consistenza ottimali per uno yogurt intero vengono di
norma ottenute portando il titolo proteico intorno a 3,8-3,9%. Per raggiungere questo obiettivo è possibile concentrare la miscela lattea o addizionarla di
proteine del latte.
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Figura 3
Schema esemplificativo
dell’ultrafiltrazione
del latte per la
produzione dello yogurt.
LATTE
Retentato
(latte concentrato
in proteine e grassi)
Membrana filtrante
Permeato
(soluzione di sali e zucchero)
Tradizionalmente viene applicata la
concentrazione per evaporazione riscaldando la miscela a 75-90 °C e sottoponendola ad evaporazione sottovuoto
fino ad ottenere l’eliminazione del 1520% dell’acqua presente.
Poiché la viscosità dello yogurt è
sostanzialmente correlata al contenuto
di grasso e proteine, il grado di concentrazione dipende anche dal tenore in
grasso del latte. Per uno yogurt con tenore in grasso inferiore a 0,5% il titolo
proteico dovrà raggiungere valori intorno al 5% al fine di ottenere un’adeguata consistenza e per tale ragione dovrà
essere eliminata fino al 35-40% dell’acqua presente. Livelli di concentrazione così elevati non sempre possono
essere raggiunti in modo economico
mediante evaporazione e pertanto viene
effettuata la concentrazione mediante
ultrafiltrazione o l’addizione di proteine
essiccate del latte in varia forma. Quest’ultima pratica, già largamente diffusa
in molti Paesi Comunitari, viene attualmente ammessa dalla legislazione Comunitaria superando in tal modo il divieto previsto dalla precedente normativa
italiana.
L’ultrafiltrazione consiste nel far
fluire la miscela lattea su membrane filtranti (Fig. 3) con pori di dimensioni tali
da impedire il passaggio di proteine e
grasso, ma non di ioni inorganici, acidi
organici e lattosio. Si ottengono in tal
modo un latte concentrato in proteine e
grasso (retentato) e una soluzione acquosa di sali e zuccheri (permeato). La
perdita di calcio e fosforo è tuttavia ridotta poiché limitata alla sola frazione
solubile dato che circa il 60% del calcio
e il 50% del fosforo sono legati alla ca-
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Concentrazione del latte
(Stabilimento Danone di
Casale Cremasco).
seina e quindi trattenuti nel retentato.
Le proteine del latte posso venire
addizionate sotto forma di latte in polvere, caseinato, siero in polvere, concentrato sieroproteico o proteine del latte
ultrafiltrate.
Questi ultimi due, benché più costosi del latte in polvere o del caseinato, vengono solitamente preferiti in
quanto forniscono al prodotto caratteristiche di cremosità migliori. Tutte le
proteine in polvere portano comunque
alla formazione di uno yogurt con caratteristiche più scadenti legate alla sensazione di sabbiosità al palato determinata dalla non sempre completa disso-
luzione della polvere stessa. Questo difetto, pertanto, non caratterizza lo yogurt preparato applicando l’evaporazione o l’ultrafiltrazione.
L’evaporazione sottovuoto consente
non solo di correggere il titolo proteico
ma anche di ridurre la concentrazione di
aria nella miscela lattea. L’ambiente microaerobico facilita lo sviluppo dei batteri lattici e riduce il rischio di germinazione di spore di Bacillus durante la
fermentazione.
La degasazione determina inoltre la
formazione di un coagulo più omogeneo, una minor degradazione ossidativa
di alcune vitamine e infine la distillazio-
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ne degli acidi grassi liberi a corta catena e di altre sostanze che potrebbero
conferire sapori e odori anomali allo yogurt. Per tali ragioni è necessario deaerare la miscela lattea quando si corregga il tenore proteico mediante l’ultrafiltrazione o l’aggiunta di proteine essiccate.
La miscela lattea corretta nel titolo
in grasso e proteine viene quindi omogeneizzata per ridurre la dimensione dei
globuli di grasso e impedirne in tal modo l’affioramento durante la fermentazione.
I parametri di omogeneizzazione
normalmente applicati prevedono l’utilizzo di temperature comprese tra 60 e
90 °C e pressioni tra 15 e 25 MPa
(150-250 atm). L’omogeneizzazione
determina inoltre interazioni tra grasso e
proteine e tra proteine e membrane fosfolipidiche derivanti dalla rottura dei
globuli.
L’effetto finale è quello di accrescere l’idrofilia e di conseguenza lo stato di
idratazione del coagulo che presenta
pertanto una minore tendenza alla sineresi e una maggiore cremosità. Alte
pressioni di esercizio, producendo globuli di dimensioni minori, migliorano tale
effetto.
A questi fenomeni si aggiunge l’intensificazione del colore bianco provo-
cata dall’aumento della luce riflessa
dalla superficie dei globuli.
Successivamente all’omogeneizzazione la miscela lattea viene pastorizzata a 85-90 °C per 10-30 minuti, utilizzando di norma scambiatori di calore a
piastre o a fascio tubiero. Il trattamento
termico, oltre a eliminare le forme batteriche patogene per l’uomo, ha la funzione di produrre una serie di modifiche
microbiologiche, chimiche e chimico-fisiche utili alle successive fasi di fermentazione e conservazione (Tab. 2).
L’effetto tecnologico più importante
conseguito è legato all’interazione tra
caseina e sieroproteine mediante formazione di legami idrofobici e ponti disolfuro. Ciò determina una maggior
idratazione delle micelle caseiniche e
successivamente la formazione di un
coagulo viscoso e con scarsa tendenza
alla sineresi.
Il riscaldamento applicato, benché
meno intenso di quello utilizzato per la
produzione tradizionale di yogurt, produce comunque modifiche nutrizionali
confrontabili con quelle indotte dal trattamento termico di sterilizzazione del
latte. Vengono attivate la reazione di
Maillard, con riduzione (1-5%) della lisina biodisponibile, le reazioni di degradazione e trasformazione di grassi e
zuccheri nonché la riduzione del conte-
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Tabella 2
Fenomeni
Principali fenomeni
e conseguenti effetti
correlati al trattamento
termico del latte
nella preparazione
dello yogurt.
Effetti
Microbiologici
• Distruzione dei microrganismi patogeni
• Sanitizzazione
• Distruzione della microflora vegetativa
competitiva
• Rapida fermentazione
e conservabilità
• Distruzione della microflora eumicetica
• Distruzione dei batteriofagi
Chimici
• Inattivazione della maggior parte
delle sostanze antibatteriche naturali
(lattenine, immunoglobuline, agglutinine)
• Rapida fermentazione
• Inattivazione di lipasi
e proteasi microbiche
• Maggior stabilità del gusto e della
consistenza durante la conservazione
• Caramellizzazione del lattosio
con formazione di acido formico
• Stimolazione della crescita
dei bacilli lattici e formazione
di composti aromatici
• Attivazione della reazione di Maillard
• Formazione di composti aromatici
Chimico-fisici
• Denaturazione delle sieroproteine
(beta-lattoglobulina e alfa-lattoalbumina)
• Aumento della idrofilicità delle
proteine con conseguente maggior
“cremosità” dello yogurt
• Interazione tra caseine
e sieroproteine denaturate
• Miglioramento della consistenza
e viscosità del coagulo e riduzione
della tendenza alla sineresi
• Aumento dell’attitudine
del complesso sieroproteine-caseine
alla coagulazione acida
(la coagulazione può avvenire
a valori di pH = 5)
• Abbassamento del potenziale redox
per allontanamento dell’ossigeno
e liberazione di gruppi sulfidrilici
nuto in alcune vitamine idrosolubili.
Al termine della pastorizzazione la
miscela lattea viene raffreddata a 4045 °C e inoculata con Streptococcus
• Rapida fermentazione e maggior
stabilità verso le ossidazioni
thermophilus e Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus in rapporto 1:1 o
2:1, generalmente sotto forma di colture liofilizzate.
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Fermentatori per la
produzione di yogurt
(Stabilimento Danone
di Casale Cremasco).
desiderato nello yogurt. Essa è solitamente compresa tra 3 e 9 ore mentre
tempi di fermentazione più lunghi (1218 ore) abbinati a temperature più basse (31-35 °C) possono essere impiegati nella produzione di yogurt a bassa
acidità, quali quelli destinati alla prima
Fenomeni connessi
alla fermentazione lattica
La durata del processo fermentativo dipende dalle caratteristiche dei ceppi utilizzati, dal tipo di innesto (coltura liquida o liofilizzata) e dal livello di acidità
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Figura 4
Schema semplificato
e bilancio chimico
della fermentazione
omolattica.
LATTOSIO
GALATTOSIO
Esterno
Parete cellulare
Interno
Lattosio
beta-galattosidasi
Glucosio
Galattosio
Glicolisi
Acido piruvico
ACIDO LATTICO
C22H12O11 + H2O
2 C6H12O6
lattosio + acqua
glucosio e galattosio
infanzia. In queste condizioni risulta più
facile controllare e arrestare la fermentazione lattica una volta raggiunto il grado di acidità stabilito.
Il fenomeno più rilevante durante il
processo fermentativo riguarda la trasformazione del lattosio in acido lattico
(Fig. 4) che ponderalmente rappresenta
la quasi totalità dei prodotti della fermentazione. La quantità finale di acido
lattico presente nello yogurt è compresa tra 0,8 e 1,3% (Tab. 3) e determina
l’abbassamento del pH a valori di 4,0-
2 CH3CHOHCOOH + C6H12O6
acido lattico
galattosio
4,5. L’acido lattico è presente sotto forma di isomeri D(–) e L(+), in quantità
praticamente equivalente, derivanti dall’attività fermentativa rispettivamente di
Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus e Streptococcus thermophilus. Rapporti diversi indicano quindi la
predominanza dell’attività fermentativa
di una delle due specie dell’associazione microbica.
Una rilevante quantità di acido D(–)
lattico potrebbe avere un certo significato nutrizionale, in quanto tale stereo-
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Tabella 3
Acido lattico
Contenuto percentuale
in acido lattico
di alcuni tipi di yogurt
commercializzati
in Italia.
Tipo
Bianco
Alla frutta
Bianco zuccherato
Produttore
D(–)
L(+)
Totale
A
0,5
0,8
1,3
B
0,7
0,6
1,3
C
0,1
1,0
1,1
D
0,0
1,2
1,2
E
0,6
0,6
1,2
F
0,7
0,6
1,3
G
0,0
0,8
0,8
H
0,0
1,1
1,1
A
0,5
0,8
1,3
B
0,1
0,8
0,9
C
0,5
0,5
1,0
E
0,6
0,5
1,1
G
0,0
0,8
0,8
I
0,0
1,0
1,0
L
0,0
0,9
0,9
M
0,6
0,6
1,2
N
0,7
0,6
1,3
B
0,3
0,8
1,1
C
0,1
0,9
1,0
I
0,0
1,0
1,0
L
0,0
1,2
1,2
N
0,0
0,9
0,9
isomero è più difficilmente metabolizzato nei primi mesi di vita e in particolari
stati morbosi e di acidosi.
Normalmente il 20-40% del lattosio presente nella miscela lattea viene
trasformato in acido lattico. Al termine
della fermentazione residua una quantità di lattosio compresa tra circa 2,5 e
5,5% che non riduce comunque l’importanza dello yogurt nella dieta di individui lattosio-intolleranti; per questi ultimi si manifesta infatti una maggior digeribilità verso questo disaccaride dovuta essenzialmente all’attività lattasica
svolta dalla microflora lattica a livello intestinale. Nel caso lo yogurt venga pre-
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parato con l’aggiunta di zuccheri non
lattei (glucosio e/o fruttosio) il processo
di fermentazione lattica può, in dipendenza del ceppo batterico utilizzato, avvenire preferenzialmente a carico di uno
degli zuccheri presenti, lasciando una
quantità di lattosio residuo maggiore di
quelle precedentemente indicate.
Il galattosio, uno dei due esosi costitutivi del lattosio, si ritrova nello yogurt
in quantità variabile tra 0,4 e 1,3%. La
capacità fermentativa della microflora
verso questo zucchero è strettamente
dipendente da fattori genetici e ambientali tra i quali la disponibilità di altre
fonti energetiche glucidiche. Il galattosio presente e quello potenzialmente
derivante dalla completa idrolisi intestinale del lattosio può rappresentare, in
caso di galattosemia, una delle poche
controindicazioni cliniche all’uso dello
yogurt.
Il glucosio viene invece rapidamente metabolizzato e già nello yogurt bianco appena preparato è rilevabile solo in
tracce (< 0,1%).
La microflora lattica esercita anche
una debole attività proteolitica che determina la lisi dell’1-2% della caseina e
la liberazione di amminoacidi e peptidi.
Alcuni di questi composti vengono metabolizzati dai microrganismi mentre altri
si accumulano nello yogurt. In particola-
re si rileva, rispetto alla miscela lattea,
una diminuzione del contenuto totale di
metionina, lisina, treonina, valina e tirosina e un incremento del contenuto in
amminoacidi liberi che può raggiungere
23 mg/100 g di prodotto rispetto a
2,5-11 mg/100 g del latte crudo.
Al contrario, la lipolisi a carico dei
trigliceridi è del tutto trascurabile in assenza di lipasi prodotte da microrganismi contaminanti il latte.
L’attività della microflora lattica determina infine variazioni del contenuto in
vitamine idrosolubili dello yogurt. Queste
variazioni si sommano o compensano
quelle indotte dal trattamento termico di
pastorizzazione che riduce del 10-15%
il contenuto di acido folico e delle vitamine B1, B6 e B12 del latte crudo. L’acido folico, rapidamente sintetizzato dallo
streptococco, è presente in quantità
doppia o tripla rispetto al latte crudo di
partenza, mentre il restante quadro vitaminico risulta sostanzialmente invariato.
L’acido orotico, del quale il latte e i
suoi derivati rappresentano l’unica fonte
alimentare, diminuisce di circa il 50% in
seguito alla fermentazione e alla conservazione dello yogurt.
Infine, l’attività fermentativa dei batteri lattici è fondamentale per lo sviluppo dell’aroma dello yogurt prevalentemente associato alla presenza di acido
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lattico e soprattutto di acetaldeide la cui
produzione diventa significativa a valori
di pH compresi tra 4 e 5. Piccole quantità di acetaldeide (2-4 mg/100 g) sono sufficienti per conferire allo yogurt il
tipico aroma alla cui formazione contribuiscono in misura minore altri composti carbonilici di fermentazione come
acetone, acetoino e diacetile.
zione e in modo che la concentrazione
finale di acido sia quella desiderata.
Durante la fase iniziale del raffreddamento, solitamente svolta nel maturatore stesso, viene eseguita la rottura del
coagulo. Questa operazione consiste
nel rompere la struttura compatta mediante un sistema meccanico di pale
poste in lenta rotazione attorno all’asse
principale del fermentatore. Si ottiene in
tal modo non solo una prima rottura del
coagulo, ma anche un più omogeneo e
rapido raffreddamento della massa di
yogurt. Questo viene quindi prelevato
dal maturatore utilizzando dei sistemi di
pompaggio che prevengano un danno
alla struttura del coagulo acido e la
conseguente separazione del siero. Lo
yogurt viene infine costretto ad attraversare dei filtri o dischi di acciaio (lisciatoi) al fine di completare la rottura.
Facendo seguire alla lisciatura una omogeneizzazione è possibile preparare un
prodotto di consistenza liquida e viscosa
normalmente commercializzato come
yogurt da bere.
Lo yogurt, ora pronto per essere
confezionato, può essere addizionato di
preparati di frutta, solitamente purea,
pezzi o succo. La preparazione della
purea è normalmente eseguita a partire
dalla frutta congelata. Questa viene
dapprima macinata al fine di aumentare
Preparazione dello yogurt
a coagulo omogeneo
Nella filiera produttiva dello yogurt
omogeneo (Fig. 5) la fermentazione si
svolge in appositi “maturatori” costituiti
da contenitori cilindrici di acciaio con
capacità fino a 75 q e dotati di sistemi
di termostatazione e agitazione.
Per evitare un’eccessiva acidificazione dello yogurt è necessario arrestare la fermentazione lattica riducendo la
temperatura a valori inferiori a quelli ottimali per l’attività di Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus e Streptococcus thermophilus. Poiché un rapido
abbassamento della temperatura provocherebbe lo spurgo del siero, è necessario procedere in 20-40 minuti al raffreddamento fino alla temperatura di
circa 20 °C, iniziando prima che sia
completamente terminata la fermenta-
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Figura 5
Fasi principali della
produzione di yogurt
a coagulo omogeneo.
MISCELA LATTEA PASTORIZZATA
Fermenti lattici
Inoculo
Fermentazione a 40-45 °C per 3-9 ore
Rottura del coagulo
Raffreddamento a circa 20 °C
Miscelazione
Confezionamento
Yogurt bianco
da bere
Yogurt bianco
Purea, succo
o pezzi di frutta
Yogurt alla frutta
Lisciatura
Omogeneizzazione
Raffreddamento a 4 °C
Sosta
YOGURT OMOGENEO
la superficie di scambio termico e facilitare il successivo decongelamento rapido attuato per infusione di vapore. Dopo l’omogeneizzazione della frutta, la
purea ottenuta viene eventualmente
addizionata di zucchero e pastorizzata a
80-90 °C per 10-20 min per inattivare
le polifenolossidasi, causa di imbruni-
mento enzimatico, e le spore di lieviti e
muffe. In seguito all’energico riscaldamento possono verificarsi modifiche del
colore e riduzione dell’intensità dell’aroma della frutta con conseguenze
negative anche per le caratteristiche
sensoriali dello yogurt. È possibile compensare la perdita di aroma aumentan-
89
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Chimica e tecnologia dello yogurt
Confezionamento
dello yogurt
(Stabilimento Danone
di Casale Cremasco).
do la quantità di frutta o aggiungendo
sostanze aromatizzanti.
Queste ultime consistono solitamente di “aromi naturali”, generalmente ottenuti per estrazione dalla frutta, o
di “aromi natural-identici” ottenuti per
sintesi chimica. Miscele di aromi naturali e natural-identici vengono indicate
con il nome di “aromi”.
L’applicazione di trattamenti termici
meno energici contribuisce positivamente alla qualità dei preparati di frutta, ma potrebbe favorire lo sviluppo di
spore eumicetiche con la conseguente
alterazione dello yogurt. In questo caso
il preparato di frutta viene generalmente addizionato di conservanti quali i sorbati (E200, E202, E203) in quantità
non superiore a 0,2% e in modo tale
che nello yogurt non ne residuino più di
20 mg/100 g. La presenza nello yogurt di sorbati provenienti dalla frutta
può non essere dichiarata sulla confezione di vendita in base a quanto stabilito dalla normativa italiana.
La frutta può essere addizionata
anche sotto forma di pezzi, cioè di cubetti di polpa in purea, al fine di esaltarne la percezione sensoriale nello yogurt. Per conservare la naturale consistenza della polpa lasciando integre
quanto più possibile le sue caratteristiche sensoriali è necessario effettuare
una blanda pastorizzazione; pertanto occorre selezionare accuratamente la qualità della frutta e curarne la pulizia e le
condizioni igieniche di preparazione.
La quantità di zucchero addizionato
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I. De Noni, P. Resmini, A. Tirelli
alla frutta è circa il 30%, mentre la
quantità di lavorato di frutta (purea o
pezzi) addizionata allo yogurt varia solitamente fra 10 e 15% per i preparati
addizionati di aromi, ma può raggiungere valori fino a 25% per la frutta priva di
additivi. In ogni caso la quantità di preparato di frutta aggiunta non può superare il 30% del prodotto finito.
Lo yogurt lisciato ed eventualmente
addizionato di frutta viene quindi confezionato e opportunamente imballato. Al
termine di questa fase il prodotto è ad
una temperatura (circa 20 °C) inadatta
a garantirne un’adeguata conservazione
fino al consumo. Si eseguono pertanto
un lento (circa 3-4 ore) raffreddamento
finale per portare la temperatura a 4 °C
e una sosta di 24 ore alla stessa temperatura. Inoltre, ciò permette al coagulo di riassorbire la quota di siero eventualmente spurgata durante le fasi di lavorazione e di assumere la consistenza
definitiva.
Pertanto la miscela lattea pastorizzata è addizionata del preparato di frutta prima della fermentazione (Fig. 6)
che avviene direttamente nelle confezioni di vendita sigillate.
Le confezioni vengono quindi poste
in apposite camere termostatate per
mezzo di aria forzata dove avvengono
sia la fermentazione che il successivo
raffreddamento.
La resistenza allo spurgo di questo
yogurt è limitata così che il raffreddamento deve avvenire in modo lento e
uniforme e deve iniziare in modo da tenere in considerazione anche la quantità di acido lattico che verrà prodotta
durante questa fase.
Oltre che per la diversa consistenza, lo yogurt a coagulo compatto con
frutta si differenzia per il minore tenore
in zuccheri; concentrazioni di 15-22%,
a volte rilevabili per gli yogurt a consistenza cremosa, ostacolerebbero la fermentazione lattica dato che la frutta
zuccherata viene addizionata prima della fermentazione.
Maggiori quantità di zucchero possono essere utilizzate nel caso in cui il
preparato di frutta non sia mescolato
con la miscela lattea durante la fermentazione. Ciò può essere realizzato disponendo il preparato, caratterizzato da
una elevata viscosità, sul fondo della
Preparazione dello yogurt
a coagulo compatto
È possibile ottenere uno yogurt di
consistenza compatta, in luogo di cremosa, se non si applicano le operazioni
che provocano la rottura del coagulo.
91
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Chimica e tecnologia dello yogurt
Figura 6
MISCELA LATTEA PASTORIZZATA
Fasi principali della
produzione di yogurt
a coagulo compatto.
Purea, succo
o pezzi di frutta
Miscelazione
Fermenti
lattici
Yogurt bianco
Yogurt alla frutta
Inoculo
Confezionamento
Fermentazione a 40-45 °C per 3-9 ore
Raffreddamento a 4 °C
Sosta
YOGURT COMPATTO
confezione nella quale verrà di seguito
aggiunta la miscela lattea.
La preparazione dello yogurt compatto viene spesso eseguita anche a livello domestico utilizzando apposite
fermentiere reperibili in commercio. In
questo caso è preferibile utilizzare latte
UHT per il suo elevato contenuto di sieroproteine denaturate che favorisce la
formazione di un coagulo viscoso e per
l’assenza di microrganismi e spore.
Caratteristiche
compositive
dello yogurt
Il profilo quali-quantitativo dei nutrienti presenti nella miscela lattea è
modificato solo in parte dal processo di
fermentazione e rimane sostanzialmente inalterato durante la conservazione a
4 °C in quanto l’attività enzimatica della
microflora è rallentata o addirittura inibi-
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I. De Noni, P. Resmini, A. Tirelli
Tabella 4
Latte
Composizione media
percentuale e valore
energetico (kcal/100 g)
del latte vaccino e di
alcuni tipi di yogurt.
Yogurt
Intero
Magro
Bianco
intero
Bianco
magro
Intero
alla frutta
Residuo secco
12,5
9,5
14-16
10-17
20-24
Proteine
3,2
3,3
3,5-5,0
3,5-10,0
3,5-5,0
Grasso
3,5
0,1
4,0-5,0
0,1-1
4,0-5,0
Zuccheri totali
4,8
5
3,5-5,5
3,5-5,5
10-18
Acido lattico
0,003
0,003
0,8-1,3
0,8-1,3
0,8-1,3
Valore energetico
63
34
70
38
102
ta. Si assiste, infatti, solo ad una riduzione dei livelli di vitamina B12 e acido
pantotenico pari a 60 e 30% rispettivamente e ad una trascurabile diminuzione del contenuto di lattosio e galattosio.
Inoltre, poiché preparato a partire da
latte concentrato, lo yogurt presenta,
con esclusione in genere del lattosio,
un contenuto di nutrienti maggiore del
latte crudo di partenza (Tab. 4) e dipendente dal metodo di arricchimento in
proteine impiegato. La composizione
dello yogurt tipo dessert o arricchito è
determinata anche dalla natura e dalla
quantità degli ingredienti diversi dal latte
utilizzati.
Al riguardo, la composizione glucidica (Tab. 5) risulta particolarmente variabile in funzione del tipo di yogurt e
del produttore.
Oltre al lattosio e agli zuccheri addizionati è presente anche il lattulosio,
un disaccaride costituito da galattosio e
fruttosio e originato dall’epimerizzazione del lattosio a seguito della pastorizzazione. In funzione dei parametri tempo/temperatura utilizzati, questo disaccaride è presente in quantità comprese
tra 0,02 e 0,07%, valori questi normalmente ritrovabili nel latte sterilizzato.
Esso, inoltre, non venendo rapidamente
metabolizzato da Streptococcus thermophilus e Lactobacillus delbrueckii
subsp. bulgaricus potrebbe rappresentare un fattore di crescita per la microflora bifida del grosso intestino.
Tutti gli yogurt sono caratterizzati da
un contenuto di acido lattico superiore
a 0,8% (vedi Tab. 3 a pag. 86) che
rappresenta la quantità minima stabilita
per questo latte fermentato. Di norma,
il contenuto massimo non supera 1,3%
per non conferire al prodotto un gusto
particolarmente acido non sempre apprezzato dal consumatore.
Altri costituenti, derivati dal latte o
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Chimica e tecnologia dello yogurt
Tabella 5
Zuccheri (g/100 g)
Contenuto percentuale
in zuccheri
di alcuni tipi di yogurt
commercializzati
in Italia.
Tipo
Bianco
Prod.re Lattosio Glucosio Galattosio Saccarosio Fruttosio Lattulosio Totali
A
3,4
0,0
1,3
4,7
B
2,6
0,0
1,3
3,9
C
4,1
0,0
1,0
5,1
D
5,2
0,0
1,0
6,2
E
3,5
0,0
1,0
4,5
F
2,9
0,0
1,3
4,2
G
3,6
0,0
0,8
4,4
H
3,4
0,0
0,9
A
2,9
0,9
0,8
5,4
0,9
0,030
11
B
3,0
1,0
0,6
8,2
0,9
0,016
14
C
2,6
0,8
0,8
8,9
6,1
0,025
19
C
2,7
0,9
0,7
9,1
9,0
0,029
22
C
2,8
0,5
0,7
9,0
3,4
0,024
16
E
3,1
0,9
0,7
7,6
0,9
0,041
13
G
3,8
0,7
0,3
6,6
1,0
0,048
12
I
3,6
1,5
0,4
6,0
1,6
0,023
13
L
3,5
3,2
0,4
6,3
2,0
nd
15
M
2,7
1,9
0,9
4,7
1,9
nd
12
N
2,6
1,0
0,7
6,5
0,7
nd
12
Bianco
B
zuccherato
C
3,2
0,0
0,8
7,2
0,1
nd
11
Alla frutta
4,3
4,4
0,2
1,1
8,9
0,0
nd
15
I
4,4
2,6
0,4
0,0
3,2
nd
7
L
5,6
1,5
0,4
3,3
0,0
nd
11
N
2,8
0,0
0,6
0,0
6,7
0,030
10
nd: non determinato
dal processo produttivo, possono assumere un particolare significato nutrizionale o tecnologico (Tab. 6) anche se
presenti in quantità limitata.
Particolarmente interessante è l’acido formico prodotto dallo Streptococ-
cus thermophilus e in grado di stimolare la moltiplicazione del lattobacillo. Piccole quantità di questo acido si formano
anche in seguito alla caramellizzazione
del lattosio indotta dalla pastorizzazione.
Fra i costituenti minori che influen-
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I. De Noni, P. Resmini, A. Tirelli
Tabella 6
Costituenti minori
dello yogurt bianco
e loro possibile
significato nutrizionale
o tecnologico.
Contenuto
(mg/kg)
Costituenti
Significato
Naturali
Sali minerali
Acidi organici
Vitamine
Nutrizionale
potassio
1500-2500
calcio
1200-1800
fosforo
1000-1500
sodio
400-700
orotico
73
Nutrizionale
Nutrizionale
Idrosolubili:
ac. pantotenico
3,5
riboflavina
1,7-2,0
piridossina
0,5
tiamina
0,45
ac. folico
0,15-0,4
niacina
0,8
biotina
0,003
cobalamina
0,002
Nutrizionale
Liposolubili:
E
1,0-1,2
A
0,41-0,50
D
0,0006-0,0008
Di neoformazione
Chimici
Batterici
lattulosio
200-700
Effetto prebiotico
acido formico
tracce
Stimolazione crescita
Lactobacillus
acido formico
< 40
Stimolazione crescita
Lactobacillus
Formazione dell’aroma
Composti carbonilici:
acetaldeide
2-40
acetoino
2-6
acetone
1-4
diacetile
0,5-1
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Chimica e tecnologia dello yogurt
10
8
6
4
2
0
......................................
Riduzione della carica
microbica totale dello
yogurt durante la
conservazione.
Numero di microrganismi (UFC/g*108)
Figura 7
20 °C
4 °C
5
10
15
20
25
30
35
Periodo di conservazione (giorni)
zano le caratteristiche di gusto e aroma
dello yogurt vi sono sostanze che non
derivano dalla fermentazione ma vengono prodotte da reazioni promosse dal
trattamento termico di concentrazione e
pastorizzazione.
Dai grassi possono formarsi dei lattoni in grado di conferire, in funzione
della loro concentrazione, un gusto intenso più o meno gradevole. Il processo
di caramellizzazione e la reazione di
Maillard, in cui viene coinvolto il lattosio,
originano a loro volta composti in grado
di modificare le caratteristiche sensoriali
dello yogurt.
Mentre la composizione chimica rimane complessivamente invariata du-
40
45
rante la conservazione, le caratteristiche microbiologiche subiscono importanti variazioni. Infatti, alla produzione il
contenuto totale di batteri lattici nello
yogurt è di norma compreso fra 108 e
109 UFC/g e si riduce a valori intorno a
107 UFC/g dopo 30 giorni a 4 °C. Temperature maggiori di conservazione portano ad una più rapida diminuzione della
carica che raggiunge valori inferiori a
5*106 UFC/g prima della data di scadenza (Fig. 7).
In ogni caso la conta microbica totale non deve essere inferiore a tale valore al momento della vendita e ciascuna delle due specie batteriche non deve
risultare inferiore a 106 UFC/g.
96
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I. De Noni, P. Resmini, A. Tirelli
Il rigoroso rispetto della catena del
freddo fino al consumo garantisce quindi
la presenza di un elevato numero di fermenti vivi e vitali e di conseguenza il mantenimento di alcune delle proprietà salutistiche nonché sensoriali dello yogurt.
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Chimica e tecnologia dello yogurt
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98
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A
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Pagina 99
ttività probiotica
dei latti fermentati
L. Morelli
Istituto di Microbiologia
Università Cattolica di Piacenza
C. Sathas, Documents inédits relatifs
à l’histoire de la Grèce au Moyen Age,
vol. IX, Paris, 1890, p. 238).
Questi prodotti possono essere
considerati gli antenati degli attuali yogurt e latti fermentati, anche se la mancanza di colture starter e, soprattutto,
le condizioni non certo asettiche in cui
avveniva la fermentazione, rendevano la
loro composizione microbiologica eterogenea. Nei primi articoli di tassonomia
dei batteri lattici vengono infatti elencate, fra quelle isolate da yogurt, anche
specie batteriche diverse dalle due che
oggi sono impiegate; basti ricordare
che la specie denominata Lactobacillus
jugurti, proprio per il suo frequente isolamento dai latti fermentati tradizionali,
è oggi stata riclassificata come L. helveticus e che la sua eventuale presenza in uno yogurt prodotto in Italia porrebbe il prodotto stesso fuori legge. Infatti la definizione di yogurt del Codex
alimentarius prevede l’uso esclusivo di
L. delbrueckii subsp. bulgaricus e di
Il latte acido
Narra la Genesi (18,1-8) che Abramo offrì al Signore, apparsogli alle querce di Mamre, focacce, carne di vitello,
latte fresco e “latte acido”.
Abbiamo quindi nella Bibbia uno dei
primi riferimenti storici all’uso di latte
fermentato e alla sua reputazione di alimento di ottima qualità, tanto da essere
offerto agli ospiti di riguardo.
Altre notizie tratte da diari di viaggiatori confermano come la tradizione
del latte acido si sia mantenuta, nella
parte orientale del bacino del Mediterraneo, inalterata per secoli. Nel 1799, un
viaggiatore descrive «il latte rappreso,
che i Greci chiamano ghiogurt e ch’è un
possente rinfrescativo» (S. Scrofani, lettera XXIX del viaggio in Grecia, 1799,
ripubblicato in Roma, 1965 a cura di C.
Mutini), mentre nel 1890 si riferisce che
turchi «usano la estate lascivare certo
latte acro chiamato da loro Iugurth, che
è molto rinfrescativo» (T. Spandugino, in
99
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Pagina 100
Attività probiotica dei latti fermentati
e subito tradotte nella più nota versione
inglese intitolata The prolongation of
Life: optimistic studies sono generalmente considerate le prime ad aver attribuito ai latti fermentati la capacità di
influire positivamente sulla salute e l’invecchiamento dell’uomo.
In realtà, Metchnikoff, nel suo libro,
tratta una serie di argomenti relativi alla
possibilità di evitare una senescenza
precoce e di consentire un “buon invecchiamento” al genere umano, più che
un prolungamento della durata della vita. Nell’unico capitolo dedicato al consumo di latti fermentati, Metchnikoff
esprime la speranza che «futuri studi
possano chiarire il ruolo dei latti fermentati nel contribuire a posporre e migliorare l’invecchiamento».
Questa speranza si basava sulle osservazioni di Metchnikoff, relative alla
possibilità di bloccare la putrefazione
delle carni e degli alimenti acidificando
gli stessi, nonché sull’osservata longevità dei pastori bulgari, grandi consumatori di “latte bulgaro”. Da qui l’ipotesi di
una possibile estensione del processo
di mantenimento in condizioni ottimali
mediante soppressione della flora batterica putrefattiva, soppressione dovuta
allo sviluppo di batteri acidogeni.
La traduzione in termini di prodotti
alimentari di questa ipotesi scientifica
Streptococcus thermophilus. Questa
indicazione è diventata in alcuni paesi,
fra cui l’Italia, espressa indicazione legislativa e l’uso di colture batteriche diverse dalle due citate porta a classificare il prodotto come latte fermentato.
Anche dati recenti confermano come la composizione in specie batteriche
di latti fermentati prodotti artigianalmente sia varia e includa più specie: latti
fermentati di origine bulgara e di lavorazione artigianale hanno evidenziato la
presenza di ceppi appartenenti alla specie L. helveticus, mentre le specie a
forma coccica presenti nel gioddu, il
latte di pecora fermentato tipico della
Sardegna, sono risultate appartenere a
ben tre generi diversi, quali Streptococcus, Lactococcus ed Enterococcus.
Metchnikoff
e il Bulgarian bacillus
È proprio a questo tipo di latti fermentati da colture microbiche eterogenee a cui fa riferimento E. Metchnikoff,
lo scienziato di origine russa ma operante all’Institut Pasteur, che vinse nel
1908 il premio Nobel per i suoi studi
pionieristici nel settore dell’immunologia. Le sue osservazioni, pubblicate in
francese con il titolo Essais Optimistic,
100
Capitolo 4_5ª Bz
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Pagina 101
L. Morelli
fu rapidissima e portò l’industria francese, prima in Europa, a sviluppare a livelli industriali un latte fermentato dal
Bulgarian bacillus isolato proprio da
Metchnikoff nel corso dei suoi studi.
Era nato il primo yogurt industriale
e contemporaneamente il primo latte
fermentato, un alimento funzionale e un
probiotico.
Il prodotto commercializzato era infatti l’antenato del moderno yogurt, ma
era anche classificabile come latte fermentato in quanto le colture utilizzate
erano probabilmente non pure. Con il
progresso industriale e microbiologico,
sono poi stati selezionati quei ceppi che
più degli altri producevano un latte fermentato di alte qualità organolettiche e
nutrizionali; questi ceppi sono risultati
appartenere alle specie L. delbrueckii
subsp. bulgaricus e Streptococcus
thermophilus, che sono state così prescelte per la produzione di quello specifico latte fermentato a cui è riservato il
nome yogurt.
Questo alimento era proposto al
consumatore non solo per il suo contenuto nutrizionale, ma anche per la sua
capacità di migliorare la “funzionalità fisica” cioè il benessere del consumatore
agendo in senso positivo sulla microflora intestinale, essendo quindi un “alimento probiotico” ante litteram.
Proprietà probiotiche
Purtroppo, la prudenza di Metchnikoff nell’attribuire ai latti fermentati da
batteri lattici proprietà benefiche per la
salute non venne seguita dai contemporanei dello scienziato né da numerosi
successori. Benché egli avesse precisato che «Contrariamente a ciò che
molti giornalisti mi hanno fatto dire, io
non ho mai, in nessuno dei miei scritti,
affermato che il latte fermentato sia capace di prolungare la vita» egli fu accusato di naiveté, di improprio uso della
scienza e errati giudizi. Dovette intervenire personalmente Emil Roux, l’autorevole direttore dell’Institut Pasteur, per
difendere il suo operato e porre termine
alla controversia.
Le aspettative miracolistiche nei
confronti delle proprietà salutari dei latti
fermentati si sono perpetuate negli anni, basandosi spesso su studi aneddotici o mal controllati. Solo negli ultimi
trent’anni una solida ricerca scientifica
ha potuto fornire le informazioni necessarie a confermare o a sfatare le virtù
dei latti fermentati.
Il concetto di Metchnikoff si è inoltre evoluto in quello di probiosi, cioè di
quell’insieme di azioni positive per la salute svolte da colture batteriche vive e
vitali, generalmente appartenenti ai ge-
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Pagina 102
Attività probiotica dei latti fermentati
neri Lactobacillus e Bifidobacterium,
ingerite in quantità sufficiente a superare la barriera gastrica e a insediarsi nel
tratto intestinale.
Qui giunti, questi batteri possono o
meno riprodursi, aderire ai tessuti intestinali, interagire con i tessuti stessi,
con gli alimenti ingeriti e con le altre
componenti della microflora intestinale.
La grande differenza, dal punto di
vista microbiologico, fra i batteri oggi ritenuti probiotici e il Bulgarian bacillus
usato ai tempi di Metchnikoff, sta nel
fatto che questi batteri appartengono
generalmente alle specie di Lactobacillus e Bifidobacterium di origine intestinale, specie che non hanno nel latte un
medium riproduttivo ideale e che anzi,
riprodotti in latte, originano sapori sgradevoli, organoletticamente inaccettabili.
Metchnikoff riteneva che i ceppi isolati
dai latti fermentati fossero gli stessi capaci di colonizzare l’intestino umano,
ma già negli anni ’30 si è dimostrato
come le specie di batteri lattici usate
per fermentare il latte siano ben diverse
da quelle selezionate per la produzione
di yogurt (si veda il capitolo “Microbiologia e tecnologia dei latti fermentati” in
questo stesso volume).
Sono passati quindi 90 anni da
quando Metchnikoff espresse il desiderio di vedere sottoposta la sua teoria a
rigorosi studi scientifici ma la ricerca
scientifica ha prodotto solo recentemente dati ben controllati sull’argomento. Queste informazioni ci consentono
di presentare, sia pure in forma riassuntiva, le proprietà probiotiche dei latti
fermentati e dello yogurt suddivise in tre
sezioni, a seconda del grado di “consenso” raggiunto dalla comunità scientifica internazionale.
Avremo quindi (Tab. 1) alcune attività probiotiche considerate come dimostrate (le certezze), alcune in corso di
dimostrazione (le possibilità) e infine alcune che non risultano confermate da
sufficienti studi scientifici (i dubbi).
Attività probiotiche:
le certezze
Maldigestione
del lattosio
La possibilità di ingerire lattosio
senza nessun effetto negativo anche da
parte di chi è intollerante a questo zucchero è l’attività probiotica dei latti fermentati che da più lungo tempo risulta
essere scientificamente provata.
Il problema risiede nell’incapacità
di alcuni individui di scindere il disaccaride lattosio nei due monosaccaridi che
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Tabella 1
L’attività
L’effetto
Idrolisi del lattosio
Migliora la digeribilità
del lattosio nei soggetti sensibili
Colonizzazione
Ripristino di adeguati livelli
di flora intestinale lattica.
Attività probiotiche.
Le certezze
Inserimento di ceppi
ben caratterizzati
nella flora intestinale
Le possibilità Azione anti-diarrea
I dubbi
Riduzione dei tempi di recupero
Azione di inibizione
dei batteri patogeni
Coadiuvante nel trattamento
delle diarree croniche
Stimolazione
del sistema immunitario
Aumento della capacità
di “barriera” contro i patogeni
Riduzione del tasso
ematico di colesterolo
Riduzione del tasso
di colesterolo
Diminuzione del livello di enzimi
fecali capaci di promuovere
lo sviluppo tumorale
Riduzione del rischio
di sviluppo di tumori
lo compongono: glucosio e galattosio.
Questa incapacità digestiva, dovuta
all’assenza in questi individui dell’idrolasi (beta-galattosidasi) specifica per il
lattosio, ha come prima conseguenza
un transito veloce dello zucchero nel
piccolo intestino, dove avviene anche
un accumulo d’acqua che può procurare sensazioni di malessere. Una volta
giunto nel colon il lattosio viene utilizzato dai batteri anaerobi, i cui prodotti di
fermentazione risultano irritanti per la
mucosa intestinale, originando crampi,
flatulenza e anche diarrea.
Lo yogurt, i latti fermentati e anche
il latte non fermentato ma aggiunto di
colture batteriche vive e vitali, si sono
dimostrati degli efficaci veicoli per consentire agli individui che mal digeriscono il lattosio di inserire nella propria alimentazione prodotti derivati dal latte. I
latti fermentati contengono una quantità
di lattosio sufficiente a creare i classici
sintomi della maldigestione nei soggetti
sensibili, dato che solo il 20-30% del
lattosio contenuto nel latte viene convertito ad acido lattico durante il processo di fermentazione. Il meccanismo
alla base della tollerabilità del lattosio
residuo è stato chiarito da una serie di
studi ed è risultato essere complesso e
multifattoriale.
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latti fermentati con queste colture batteriche abbiano scarsa efficacia nell’eliminazione dei fenomeni della maldigestione del lattosio. Questa osservazione
è spiegabile considerando come il meccanismo ipotizzato per spiegare l’azione
a livello intestinale delle idrolasi dei batteri dei latti fermentati preveda un lento
transito intestinale del prodotto, l’ingresso del lattosio nelle cellule batteriche, anche non più vitali, grazie alla
permeabilizzazione dovuta all’azione dei
sali di bile e l’idrolisi del lattosio tal quale da parte della beta-galattosidasi. Le
beta-fosfo-galattosidasi sarebbero
quindi incapaci di agire in queste condizioni, in quanto esse richiedono la fosforilazione del substrato, evento possibile solo se le cellule batteriche sono vive e metabolizzanti.
Una serie di studi ha inoltre dimostrato come il trattamento termico postfermentazione, utilizzato in alcuni prodotti per aumentare la shelf-life del prodotto, riduca considerevolmente la capacità della beta-galattosidasi batterica
di proteggere l’individuo sensibile dagli
effetti negativi dell’ingestione del lattosio. Solo i prodotti contenenti cellule
batteriche vive sembrano quindi in grado di eliminare i problemi della maldigestione del lattosio.
Si tenga infine presente che questa
Un primo fattore è rappresentato
dal tempo di transito oro-cecale, più
lento per i prodotti fermentati rispetto a
quello del latte, il che concede alla beta-galattosidasi intestinale, presente a
bassi livelli negli individui intolleranti, un
maggior tempo di azione. Questo rallentamento aumenta anche le possibilità di idrolisi del lattosio da parte delle
beta-galattosidasi batteriche, cioè degli
enzimi contenuti nelle colture microbiche utilizzate per la produzione dei latti
fermentati.
I batteri lattici utilizzano il lattosio
mediante due diversi sistemi metabolici
(Fig. 1).
Il sistema più diffuso prevede l’ingresso nella cellula batterica dello zucchero senza nessuna sua modificazione
chimica, mediante un sistema di trasporto ATP-dipendente. Questo sistema è quello utilizzato dalle colture starter per yogurt e dalla maggior parte delle specie di lattobacilli di origine intestinale. Lactococcus lactis e la specie
probiotica Lactobacillus casei, al contrario, utilizzano un sistema di ingresso
del lattosio che prevede la sua fosforilazione prima dell’idrolisi (che avviene per
mezzo di una beta-fosfo-galattosidasi).
È interessante notare come studi fatti
utilizzando latte fermentato da Lactococcus lactis abbiano dimostrato come
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Figura 1
Le cellule di Lactococcus
(in alto) introducono e
idrolizzano il lattosio
nella forma fosforilata
dovuta al meccanismo
di trasporto PEP-PTS.
Al contrario
Lactobacillus bulgaricus
(in basso) e
Streptococcus
thermophilus, che
utilizzano un sistema di
ingresso del lattosio di
tipo permeasico e
dipendente dall’ATP,
non richiedono la
fosforilazione dello
zucchero. I diversi
sistemi di ingresso
nelle cellule batteriche
potrebbero spiegare
la diversa capacità,
osservata
sperimentalmente
in prodotti contenenti
specie batteriche
diverse, di alleviare i
sintomi di maldigestione
del lattosio.
Lattosio
PEP-PTS
beta-P-galattosidasi
Gluc
osio
-Gal
attos
io-6P
Lattosio
Permeasi
beta-galattosidasi
Glucosio-Galattosio
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capacità si riferisce solo al lattosio contenuto nel prodotto fermentato. Studi
effettuati con dosi crescenti di lattosio
hanno infatti dimostrato come l’insorgenza dei sintomi della maldigestione
del lattosio non fosse diminuita dalla
contemporanea ingestione del prodotto
fermentato contenente cellule batteriche vive.
Attualmente sono in corso ricerche
per la selezione di ceppi dotati di betagalattosidasi particolarmente adatte ad
esplicare la loro attività idrolitica nelle
condizioni intestinali, e quindi potenziare
l’attività protettiva nei confronti degli individui sensibili.
questa ipotesi non è al momento supportata da solide evidenze scientifiche.
Si tenga inoltre presente che fino a
poco tempo fa era difficile valutare la
presenza di uno specifico ceppo fra tutti
quelli isolati dal sistema gastrointestinale, mentre oggi la biologia molecolare
consente di identificare i singoli individui
batterici con grande precisione, permettendo quindi una precisa valutazione
della capacità di un ceppo di sopravvivere all’ingestione e di insediarsi nell’intestino. La capacità di colonizzazione è
definita inoltre in confronto ad un marcatore biologico incapace di riprodursi
nell’intestino ma non danneggiato durante il suo transito. Come marcatore
vengono generalmente scelte le spore
di B. stearothermophilus. Si può quindi
determinare una “farmacocinetica” dei
batteri probiotici, in cui il ceppo in esame può essere eliminato più velocemente o parallelamente alle spore stesse, indice di una mancata colonizzazione, oppure permanere per un tempo
maggiore del marcatore, dimostrando
così un’attitudine alla colonizzazione.
L’insediamento nell’intestino di ceppi batterici ingeriti seguendo la via alimentare è possibile se i ceppi stessi
sono in grado di superare i diversi ostacoli che il tratto gastrointestinale oppone all’ingresso di batteri vivi. Una prima
Dose effettiva
per la colonizzazione
La dose effettiva, cioè la quantità di
cellule batteriche vive e vitali, da somministrare ad un individuo affinché possano esprimersi le proprietà probiotiche,
è sicuramente un dato essenziale da
stabilire. La capacità di permanere nel
tratto intestinale viene generalmente
definita come capacità di colonizzazione
da parte di un ceppo. Molti Autori ritengono che questa capacità sia strettamente legata alla capacità dei ceppi di
aderire agli epiteli intestinali, anche se
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barriera costituita dal succo gastrico e
dall’azione tensio-attiva dei sali biliari, a
cui le specie tipiche dello yogurt sono
particolarmente sensibili. Prove condotte in vivo utilizzando volontari sani hanno evidenziato come la percentuale di
sopravvivenza nel piccolo intestino di
ceppi di S. thermophilus sia intorno
all’1%, mentre ceppi di L. delbrueckii
subsp. bulgaricus dimostrano una resistenza superiore. Situazione diversa
quando si prendono in considerazione
ceppi di origine enterica, anche se con
notevoli differenze fra ceppo e ceppo.
I lattobacilli del gruppo di specie
fenotipicamente riferibile a L. acidophilus presentano percentuali di sopravvivenza all’ambiente gastrico estremamente variabili da ceppo a ceppo, con
riduzioni di vitalità variabili da due logaritmi ad una pressoché totale scomparsa. Ceppi di L. casei si dimostrano più
resistenti, anche se permane la variabilità di comportamento fra i singoli individui batterici.
I bifidobatteri sembrano possedere
una più generalizzata resistenza alla
barriera gastrica e possono raggiungere, a seconda del ceppo considerato,
percentuali di sopravvivenza nel piccolo
intestino fino ad oltre il 30%.
Anche ceppi batterici capaci di superare gli ostacoli frapposti dal tratto ga-
stroduodenale non riescono a insediarsi
nell’intestino se vengono ingeriti in dosi
basse, in quanto non riescono a superare la barriera opposta dai microrganismi già presenti nel tratto intestinale.
La flora intestinale di ogni individuo
sano è infatti un ambiente ecologicamente stabile, che si oppone all’introduzione di nuovi ospiti batterici mediante quel complesso fenomeno che è
stato definito “resistenza alla colonizzazione”.
Somministrazioni controllate a volontari umani hanno dimostrato che
ceppi selezionati per avere dimostrato
buone doti di resistenza all’ambiente
gastrico e ai sali di bile in saggi in vitro,
possono colonizzare, sia pure in modo
transiente, la totalità dei volontari trattati
se assunti in dosi non inferiori ai 10 miliardi pro die, mentre dosi 10 volte inferiori portano alla colonizzazione di alcuni
soggetti ma non di tutti (Tab. 2).
Sono stati messi a punto saggi di
laboratorio per cercare di determinare
in vitro la capacità di adesione agli epiteli intestinali dei ceppi che abbiano superato i saggi di resistenza all’ambiente
gastrico e al contatto con i sali biliari.
Questi saggi si basano sull’utilizzazione
di linee cellulare tumorali di origine intestinale (le più comunemente usate sono
le CaCo2 e le HT29) che possono dif-
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Attività probiotica dei latti fermentati
Tabella 2
Dose giornaliera
raccomandata
per lattobacilli
probiotici.
Ceppo
Dose effettiva
in UFC/giorno
Riferimento
bibliografico
L. casei Shirota
6,5 x 109
S. Shimizu
G. Shibamoto, 1965
L. rhamnosus GG
109 x 1010
Saxelin et al., 1991
5x
108
Johansson et al., 1993
L. acidophilus NCFB 1748
3x
1011
Lidbeck et al., 1993
L. reuteri (ceppi diversi)
1 x 108 -1011
Wolf et al., 1995
109
Ahrné et al., 1995
L. plantarum 299 V
L. rhamnosus DSM 6594
16 x
L. johnsonii LA 1
1 x 1010
ferenziare in vitro, assumendo caratteri
tipici degli enterociti, con produzione o
meno di muco. I ceppi batterici in esame vengono messi a contatto con le linee cellulari per un breve tempo e quindi la sospensione viene sottoposta a lavaggi, terminati i quali si procede alla
conta dei batteri rimasti adesi alle cellule stesse. La percentuale di adesione
così ottenuta viene utilizzata come un
indice della probabilità di colonizzazione
in vivo del ceppo esaminato.
I risultati ottenuti hanno dimostrato
una grande variabilità fra i vari ceppi
esaminati, anche all’interno della stessa
specie.
La reale significatività di questi
saggi è tuttora molto discussa dalla comunità scientifica internazionale, in
quanto non esiste un protocollo standard applicato da tutti e il saggio stesso
è influenzabile da molte variabili.
Schiffrin et al., 1995
Inoltre, se è vero che i ceppi più
aderenti in vitro hanno generalmente
dato buoni risultati nelle prove in vivo,
manca a tutt’oggi la contro-prova ottenuta osservando il potenziale di colonizzazione di ceppi poco aderenti in vitro.
Manca inoltre l’uso di ceppi isogenici
per tutti i caratteri tranne la loro capacità di adesione in vitro, un confronto
questo ritenuto essenziale per la comprensione del meccanismo della colonizzazione in vivo fin dal 1993 durante
un Consensus Meeting di esperti statunitensi.
In effetti saggiare l’adesione in vitro presuppone che si consideri l’adesione ai tessuti intestinali come indispensabile per la colonizzazione, cosa
questa tutt’altro che dimostrata. Anzi,
altri tipi di microrganismi, ad esempio i
lieviti o i batteri cariogeni del cavo orale,
hanno elaborato, accanto all’adesione,
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altri meccanismi, quali l’aggregazione
con altri microrganismi, per insediarsi in
una nicchia ecologica.
Se i test in vivo hanno dato precise
indicazioni sulla dose di batteri da somministrare per ottenerne l’insediamento
nell’intestino umano, i test in vivo sembrano essere utili per determinare la capacità dei ceppi di superare le prime
barriere del tratto intestinale e solo indicativi per quanto riguarda la capacità di
insediamento.
con antibiotici. Questa pratica ha la sua
ragione d’essere nella necessità di ripristinare velocemente alti livelli numerici
in una flora intestinale sicuramente ridotta a causa dell’uso di sostanze antibatteriche. Questo ripristino è desiderabile avvenga con specie sicuramente
non patogene e in grado di riprodursi
nel tratto intestinale, contribuendo così
a ricostituire quella barriera contro le infezioni rappresentata dalla “resistenza
alla colonizzazione” sopra ricordata.
Cosa diversa è invece postulare
una diretta azione favorevole dei batteri
lattici in presenza di patologie gastrointestinali, che possono avere origine batterica ma anche virale.
Esperimenti condotti in vitro, ma
che non hanno ancora ricevuto conferma in vivo, per dimostrare l’attività di
inibizione dei patogeni da parte dei
batteri lattici, hanno portato ad accumulare una buona serie di evidenze
positive che alcuni ceppi possono
esercitare azioni dirette a ridurre l’attività dei batteri patogeni. Queste evidenze provengono, per la maggior parte, dalla caratterizzazione di sostanze
anti-batteriche del tipo delle batteriocine, la cui produzione è ormai un fatto
ben accertato nel genere Lactobacillus e, in minor misura, nei bifidobatteri
(Tab. 3).
Attività probiotiche:
le possibilità
Azione anti-diarrea
azione contro i patogeni
Benché si ritenga comunemente
che i fermenti lattici svolgano un’azione
anti-diarroica, questo tipo di attività non
è stato ancora dimostrato in modo tale
da suscitare un generale consenso nel
mondo scientifico. La generale convinzione del ruolo anti-diarrea svolto dai
batteri lattici e dai prodotti fermentati
che li contengono nasce probabilmente
dall’abitudine di molti clinici di prescrivere, con esiti indubbiamente positivi, batteri lattici sotto varie forme a pazienti
che siano stati sottoposti a trattamenti
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Attività probiotica dei latti fermentati
Tabella 3
Batteriocine prodotte da
batteri lattici utilizzati
nei latti fermentati.
Ceppo produttore
Batteriocina
Spettro di attività
Lb. acidophilus
Lactacin B
Lb. delbrueckii
Lb. helveticus
Listeria monocytogenes
Acidophilucin A
Lb. delbrueckii
Lb. helveticus
Acidocin 8912
Lb. acidophilus, Lb. casei
Lb. plantarum
Lactococcus lactis
Lb. casei
Caseicin 80
Lb. casei
Lb. delbrueckii
Lacticin A
Lb. delbrueckii subsp. lactis
Lacticin B
Lb. delbrueckii subsp. bulgaricus
Lb. delbrueckii subsp. delbrueckii
Lb. gasseri
Gassericin A
Lb. acidophilus, Lb. delbrueckii
Lb. helveticus, Lb. casei
Lb. brevis
Lb. johnsonii
Lactacin F
Lb. fermentum
Enterococcus faecalis
Lb. delbrueckii, Lb. helveticus
Aeromonas hydrophila
Staphylococcus aureus
Lb. plantarum
Plantacin A
Leuconostoc spp.
Pediococcus spp.
Lactococcus lactis
Enterococcus faecalis
Plantacin B
Lb. plantarum
Leuconostoc mesenteroides
Pediococcus dannosus
Plantacin S
Leuconostoc, Cl. tyrobutyricum
Lb. helveticus, Lb. plantarum
Lb. curvatus, Lb. reuteri
Enterococcus, Pediococcus
Lactococcus, Streptococcus
Micrococcus, Propionibacterium
Lb. delbrueckii, Lb. fermentum
Plantacin T
Leuconostoc, Cl. tyrobutyricum
Lb. helveticus, Lb. plantarum
Lb. reuteri, Enterococcus
Pediococcus, Lactococcus
Streptococcus, Micrococcus
Lb. delbrueckii, Lb. fermentum
Propionibacterium
Lb. reuteri
Reutericin 6
Lb. acidophilus
Lb. delbrueckii subsp. lactis
Lb. delbrueckii subsp. bulgaricus
S. thermophilus
Thermophilin T
Cl. sporogenes
Cl. tyrobutyricum
Thermophilin 347
Listeria
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Purtroppo, al momento, non sono
disponibili dati che confermino, almeno
in modelli animali, l’efficacia dei ceppi
produttori di queste sostanze nel ridurre
o eliminare lo sviluppo dei patogeni nel
tratto intestinale. Le batteriocine prodotte da batteri del gruppo dei Gram
positivi sono inoltre attive solo contro
batteri appartenenti allo stesso gruppo,
anche se alcuni Autori hanno dimostrato in alcuni lattobacilli la presenza di
un’azione inibente, del tipo di quella
mediata dalle batteriocine, contro batteri patogeni Gram negativi.
Sperimentazioni condotte usando
modelli animali, generalmente topi,
hanno consentito di dimostrare la capacità dei latti fermentati di abbassare il
numero dei coliformi presenti e la capacità preventiva di un latte fermentato da
L. casei e L. acidophilus nei confronti di
una diarrea indotta somministrando a
topi E. coli enteroinvasiva o Listeria monocytogenes.
Se l’attività terapeutica dei latti fermentati non è ancora chiaramente dimostrata, l’azione preventiva e quella di
aiuto ad un più veloce recupero dall’infezione gastrointestinale, sembrano
avere più solide evidenze scientifiche.
Fra gli esperimenti condotti sull’uomo, ricordiamo l’effetto preventivo osservato in lattanti a cui era somministra-
to un latte fermentato contenente L.
casei e L. acidophilus. Il gruppo trattato dimostrò una minor incidenza di patologie diarroiche e un miglior aumento
di peso. I dati presentati non sono stati
però analizzati per la loro significatività
statistica e i criteri di selezione dei soggetti trattati non sono stati descritti.
Gli stessi Autori, utilizzando lo stesso latte fermentato contenente L. casei
e L. acidophilus hanno dimostrato una
riduzione nella durata dei fenomeni
diarroici in bambini ospedalizzati per infezioni riconducibili a E. coli, Salmonella, Shigella. In questo caso l’analisi
statistica ha confermato l’efficacia del
trattamento con latte fermentato.
Gli Autori suggeriscono inoltre come
il meccanismo di azione possa essere
una stimolazione del sistema immunitario di mucosa, piuttosto che una diretta
azione antagonista dei batteri lattici.
Una minor durata degli episodi diarroici, specialmente nei bambini, è stata
inoltre segnalata da diversi Autori, che
hanno evidenziato effetti positivi anche
in casi dovuti a rotavirus, tanto che il
consumo di latti fermentati è stato consigliato dall’Organizzazione Mondiale
della Sanità proprio nel caso di diarrea
infantile.
Esperimenti in modelli animali hanno suggerito come l’azione positiva pos-
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Attività probiotica dei latti fermentati
sa essere attribuita sia all’azione immuno-stimolante dei lattobacilli sia ad un
miglioramento della funzionalità della
mucosa del piccolo intestino.
Recidive di episodi di diarrea dovuta a Clostridium difficile, sono state
efficacemente prevenute con un ceppo
di Lactobacillus usato per la produzione di latti fermentati, anche se in questo specifico caso il ceppo è stato usato in forma liofilizzata e ad alta concentrazione.
Un ulteriore meccanismo di possibile inibizione delle infezioni gastrointestinali è stato recentemente determinato
ai batteri lattici e ai prodotti fermentati
che li contengono.
Diversi Autori hanno dimostrato, in
vitro, come ceppi probiotici capaci di
aderire a cellulari intestinali (generalmente CaCo2 e HT29) impediscano la
successiva adesione di ceppi patogeni.
Questa capacità è stato ipotizzato poter
avvenire anche in vivo, contribuendo
così al fenomeno della resistenza alla
colonizzazione. Gli esperimenti in vitro
hanno dimostrato quest’attività solo nel
caso in cui i ceppi di lattobacilli vengano
messi a contatto con le linee cellulari
prima o contemporaneamente ai ceppi
patogeni, mentre non si sono rivelati
capaci di rimuovere dalle linee cellulari i
batteri patogeni già adesi.
Stimolazione del
sistema immunitario
Il passaggio dall’empirismo all’indagine scientifica, per quanto riguarda le
attività probiotiche dei latti fermentati,
ha un suo punto fermo nel determinare,
in maniera ineccepibile dal punto di vista biochimico e fisiologico, i metabolismi che rendono possibili le attività
stesse.
L’osservata azione di rafforzamento
della resistenza alla colonizzazione da
parte dei latti fermentati e le evidenze di
un loro ruolo positivo nei confronti dei
patogeni necessitano quindi, per potersi
inserire in un chiaro quadro fisiologico,
di poter essere spiegate con una qualche azione diretta o indiretta. Un settore di ricerca che ha portato a risultati
molto promettenti nella spiegazione di
fenomeni indiretti di difesa dell’ospite
umano dovuti all’ingestione di latti fermentati è quello che studia l’azione immuno-stimolante di questi prodotti.
La microflora intestinale è una fonte inesauribile di antigeni per la mucosa intestinale, anche se dobbiamo ben
tener presente il fenomeno dell’oral tolerance, cioè la mancanza di immunogenicità di diversi antigeni assorbiti per
via orale, fenomeno che consente la
nostra nutrizione (in caso contrario si
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hanno le allergie alimentari) e la convivenza con una parte della microflora intestinale.
I primi studi in questo settore si
erano soffermati sul rapporto fra i batteri probiotici e la risposta immunitaria
sistemica, in particolare quella mediata
da macrofagi, con evidenze ottenute in
un modello animale. I dati dimostrano
una migliore attività immuno-stimolante
di L. casei e L. acidophilus in confronto a S. thermophilus.
La stimolazione della produzione di
interferone gamma da parte di linfociti
B è stata inoltre dimostrata in vitro e in
vivo utilizzando diverse specie batteriche incluse colture da yogurt, anche se
in quest’ultimo caso la dose di batteri
lattici somministrata era molto più elevata di quella che sia ipotizzabile venga
assunta quotidianamente da un consumatore.
Ricordiamo inoltre che altri Autori
non hanno confermato questa stimolazione della produzione di interferone e
che questa sostanza può avere sull’uomo sia effetti benefici che negativi.
I risultati dimostrano comunque una
variabilità dovuta ai ceppi usati e alla
quantità di batteri usati.
Recentemente è stato dimostrato
come il consumo di latte fermentato
con ceppi probiotici di lattobacilli e di bi-
fidobatteri possa aumentare l’attività fagocitica contro E. coli in volontari umani. Gli stessi volontari non hanno mostrato nessuna variazione nel contenuto
in linfociti. Risultati di estremo interesse
si sono ottenuti quando si è passati ad
analizzare il rapporto fra i latti fermentati
e il GALT (Gut-Associated Lymphoid
Tissue), cioè il sistema immunitario associato alle mucose intestinali. Il GALT
interagisce continuamente con il sistema immunitario sistemico ed è composto da una serie di organi socializzati,
quali le placche del Peyer, le cellule M
e una grande varietà di cellule con funzione immunitaria (tra gli altri i linfociti B
e T, e i macrofagi).
La stimolazione del GALT è stata
dimostrata avvenire in vitro, in modelli
animali e anche nell’uomo, sebbene
questi dati siano disponibili per pochi
ceppi e non sia pertanto possibile generalizzarli. Anzi, è bene notare che gli
studi disponibili evidenziano una forte
differenza nella capacità di stimolazione
del GALT fra ceppi appartenenti alla
stessa specie batterica.
Gli studi condotti in umana, sicuramente i più probanti, hanno dimostrato
come il consumo di latti fermentati contenenti specifici ceppi di Lactobacillus
e Bifidobacterium possa modulare una
positiva risposta immunitaria contro un
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Attività probiotica dei latti fermentati
ceppo attenuato di Salmonella typhi.
Inoltre, un ceppo di L. casei è stato dimostrato aver attività di stimolo del sistema immunitario di mucosa in pazienti
affetti dalla malattia di Crohn e da artrite cronica giovanile. In questo caso,
però, il trattamento è stato fatto con il
ceppo liofilizzato e non con latte fermentato.
L’attività di modulazione del sistema
immunitario da parte dei latti fermentati
è quindi supportata da numerose evidenze. Ciò che manca è la comprensione dei meccanismi molecolari che
presiedono a quest’attività ed è questa
la ragione per cui non vi è ancora un
pieno consenso da parte del mondo
scientifico.
L’ipotesi di partenza era rappresentata dai dati che evidenziavano un
comportamento molto diverso fra loro
di un certo numero di ceppi di lattobacilli isolati dall’intestino di maiali, per
quanto riguarda la capacità di deconiugare i sali di bile e di “assimilare” il colesterolo. I ceppi venivano saggiati in
vitro per la loro capacità di riprodursi in
terreni liquidi contenenti sali di bile e
colesterolo. Veniva quindi misurato il
colesterolo rimasto nel supernatante
ottenuto centrifugando la coltura alla fine del tempo di incubazione. Il saggio
così effettuato evidenziava, in alcuni
ceppi, l’avvenuta rimozione dal terreno
di coltura di consistenti quantità di colesterolo. Il colesterolo rimosso veniva
analiticamente ritrovato nelle cellule
batteriche centrifugate. Gli Autori ipotizzavano un’avvenuta assimilazione
della sostanza, senza avanzare però alcuna ipotesi circa il possibile meccanismo di ingresso del colesterolo nelle
cellule batteriche.
Esperimenti condotti utilizzando topi
confermavano una riduzione dei livelli
ematici del colesterolo solo per alcuni
dei ceppi capaci di assimilarlo in vitro.
Autori olandesi hanno più tardi dimostrato come la ipotizzata assimilazione del colesterolo sia in realtà da attribuirsi ad una co-precipitazione di cellule
Attività probiotiche:
le aree grigie
Attività di riduzione
del colesterolo
La possibilità di ridurre i tassi ematici del colesterolo di origine alimentare
mediante un’azione di “assimilazione”
del colesterolo stesso da parte dei batteri probiotici è stata ipotizzata per la
prima volta da Gilliland e coll. nel
1985.
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L. Morelli
batteriche e colesterolo, dovuta all’attività deconiugante dei batteri stessi.
I sali di bile deconiugati hanno infatti
una scarsa solubilità a valori di pH inferiori a 6,0.
Se i test in vitro si sono rivelati inadatti a verificare l’ipotizzata attività anticolesteremica dei batteri probiotici, anche le evidenze in vivo sono contrastanti, e sono stati riportati sia risultati
positivi che nulli. La situazione è comunque ancora suscettibile di ulteriori
sviluppi, dato che lo stesso gruppo
americano ha recentemente pubblicato
evidenze di una incorporazione di colesterolo nella membrana citoplasmatica
di un ceppo di L. acidophilus, capace
poi di abbassare il tasso ematico di colesterolo in un sistema modello animale
con ipercolesterolemia indotta dalla dieta, mentre altri Autori confermano il legame fra attività di deconiugazione e rimozione del colesterolo.
Altre evidenze sperimentali ripropongono la possibilità, sebbene con dati ottenuti solo in modelli animali, di un
ruolo ipocolesteremizzante dei batteri
probiotici.
L’attività anti-colesteremica dei latti
probiotici è ancora quindi oggetto di
studio e di controversia scientifica e
non può essere elencata fra quelle dimostrate in tutto o in parte.
Diminuzione del rischio
di sviluppo di tumori
L’ipotizzata attività antitumorale si
basa su due linee di evidenze: la prima
è l’osservata diminuzione dei livelli di alcuni enzimi fecali, implicati nei processi
di carcinogenesi, mentre la seconda si
basa su di un’azione diretta di contrasto
dello sviluppo dei tumori.
È facile comprendere come queste
ricerche siano delicate e complesse e
quindi molte delle evidenze ottenute
siano da considerare preliminari e non
pienamente significative. È bene inoltre
sottolineare come i latti fermentati siano
degli alimenti in grado di aiutare il benessere dell’uomo ma non certamente
in grado di sostituirsi alle terapie necessarie nel caso di patologie gravi quali
quelle tumorali.
Per quanto riguarda gli enzimi fecali, il razionale dell’azione positiva attribuita ai latti fermentati risiede nel ruolo
svolto nella carcinogenesi dalla flora del
colon. È questa componente batterica
a produrre enzimi quali le glucoronidasi,
le nitroreduttasi e le azoreduttasi che
sono state coinvolte nel processo di attivazione di alcuni procarcinogeni in carcinogeni.
Poiché i latti fermentati possono
modificare la composizione della flora
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Attività probiotica dei latti fermentati
del colon, si può ottenere una variazione dei livelli di enzimi prodotti da questa flora. I risultati ottenuti non sono
comunque ritenuti significativi.
Per quanto riguarda la seconda linea di ricerca, recenti lavori hanno dimostrato un’azione anti-genotossica dei
batteri probiotici, mentre alcuni lavori
tendono a dimostrare una positiva azione dei latti fermentati e dei batteri probiotici sullo sviluppo di tumori sperimentalmente indotti in sistemi animali.
Altre indagini legano la presenza di
batteri lattici all’induzione di fattori necrotizzanti i tumori; polisaccaridi di parete
sarebbero coinvolti in quest’attivazione.
Tutto quanto sopra esposto rimane
comunque nel campo della ricerca scientifica e sembra prematura ogni ipotesi
di attività di diminuzione del rischio di
sviluppo di patologie tumorali attribuibile
ai latti fermentati.
colli della sperimentazione di laboratorio
e clinica più rigorosi.
Se alcune “virtù” dei latti fermentati
non hanno trovato conferma, altre sono
state dimostrate in maniera ineccepibile
ed è stato scoperto anche il meccanismo di azione di almeno alcune di queste attività, mentre per altre sono state
avanzate ipotesi attualmente in fase di
verifica.
La ricerca internazionale non ha
quindi abbandonato l’ipotesi di Metchnikoff, le sta anzi facendo vivere una
seconda giovinezza.
L’accertata specificità di ogni ceppo
batterico nell’esercitare attività probiotiche diverse da quelle di ceppi anche
appartenenti alla sua stessa specie,
rende possibile immaginare lo sviluppo
di una varietà di nuovi prodotti fermentati con diversa “funzionalità”, in grado
cioè di esercitare azioni salutistiche mirate e ben differenziate.
I batteri probiotici, uniti a quel fondamentale alimento che è il latte, continueranno a rappresentare, in modo ancora migliore di prima, una fonte di benessere per l’uomo, così come le testimonianze storiche sopra riportate dicono abbiano fatto da alcune migliaia di
anni.
Conclusioni
La speranza di Metchnikoff che la
sua ipotesi sul ruolo favorevole alla salute umana dei latti fermentati fosse verificata dalla ricerca scientifica sta diventando una realtà, seguendo i proto-
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spetti nutrizionali
dei latti fermentati
E. Lanzola
Centro Ricerche sulla Nutrizione Umana e la Dietetica
Università degli Studi di Pavia
Premessa
L’impiego dei latti fermentati nell’alimentazione umana si perde nella
notte dei tempi sebbene confinato,
pressoché esclusivamente, nella zona
dei Balcani. Si narra, peraltro, che un
latte fermentato abbia fatto la sua comparsa in Francia già nel 1542 in occasione di una malattia da cui era affetto
Francesco I e che oggi potrebbe essere
definita depressione psichica. Poiché i
medici non riuscivano a portare alcun
sollievo al suo stato di prostrazione e di
nevrastenia il sovrano dette ascolto all’Ambasciatore della Sublime Porta a
Parigi al quale risultava che un medico
ebreo preparava a Costantinopoli un
latte di pecora fermentato di cui si dicevano meraviglie. Il re mandò dunque a
chiamare questo medico che tuttavia
pose come condizione di venire a piedi
insieme al suo gregge. Quando finalmente, dopo aver attraversato tutta
l’Europa meridionale, comparve davanti
a Francesco I, questi, ancora sofferente e nello stesso tempo impaziente, de-
cise di iniziare subito la cura. Dopo alcune settimane di trattamento con yogurt di pecora il sovrano guarì. Viceversa le pecore, già provate dal lungo peregrinare, non resistettero al freddo di
Parigi e morirono una dopo l’altra.
Rimasto senza pecore il medico riprese la strada del ritorno, indifferente
alle offerte del Re per farlo restare, portando con sé il segreto della fabbricazione; Francesco I, comunque, era ormai guarito e il latte fermentato venne
dimenticato.
Come è più ampiamente descritto in
altra parte di questo manuale, esistono
vari tipi di latte fermentato tra i quali il
Kefir, originario dei Balcani, dell’Europa
Orientale e del Caucaso, contenente,
oltre all’acido lattico, anidride carbonica
e alcool (fino a circa 1%) la cui produzione si effettua inoculando nel latte i
cosiddetti “grani di kefir” costituiti da
Lactobacillus casei, da Streptococcus
lactis, da Saccharomyces kefir (un lievito fermentante il lattosio) e da altri mi-
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Aspetti nutrizionali dei latti fermentati
crorganismi. L’incubazione del latte così
inoculato e precedentemente pastorizzato si compie a 15-20 °C per circa 8
ore; i granuli sono poi eliminati per filtrazione e il latte viene tenuto per 24 ore e
oltre in bottiglie chiuse per ottenere una
sufficiente effervescenza; a seconda del
tempo di fermentazione (1, 2, 3, 4 giorni) si ha un kefir più o meno forte.
Facendo fermentare latte di giumenta si ottiene il koumis, bevanda meno
acida e più alcolica del kefir, abbastanza
frequente sul mercato dell’Europa Centrale ma anch’esso originario dell’Asia.
Altri latti fermentati sono il gioddu,
prodotto tipico della tradizione sarda, ottenuto da latte di pecora o di capra trattato con un fermento costituito da lievito
di pane, aceto e piccole quantità di caglio; l’egiziano leban, l’indiano dadhi,
l’armeno matzoon. In effetti nell’antica
Europa occidentale venivano preparate
bevande al latte che, invero, erano in
realtà cagliate diluite e aromatizzate e le
cui ricette stanno probabilmente a testimoniare vecchie migrazioni di popoli che
non conoscevano bevande provenienti
dalla viticoltura e avevano, come unica
ricchezza, le greggi spinte davanti a sé.
Così i Celti della parte nord della Gallia,
come delle isole britanniche e dell’Irlanda festeggiavano le grandi circostanze
della vita con bevande a base di latte
cagliato. I primi emigranti che sbarcarono in America, soprattutto cattolici della
Cornovaglia o dell’Eire, per festeggiare
avvenimenti o ricorrenze usavano preparare, come meglio potevano, bevande
speciali quali il latte cagliato alla birra
consistente in una miscela di un terzo di
latte, un terzo di crema, un terzo di birra
con aggiunta di succo di limone e di un
po’ di cannella.
Valore nutritivo
Il valore nutritivo dei latti fermentati
rispecchia ovviamente quello dei latti da
cui provengono. Lo yogurt, che è il latte
fermentato a maggiore diffusione nei
Paesi occidentali, e al quale, quindi, ci si
riferisce più particolarmente nel presente
capitolo, è preparato di norma con latte
vaccino e pertanto il suo valore nutritivo
è sostanzialmente simile a quest’ultimo
anche se la composizione viene ad essere modificata per i cambiamenti che si
verificano nei costituenti del latte in seguito al processo di fermentazione ad
opera dei microrganismi (Lactobacillus
delbrueckii subsp. bulgaricus e Streptococcus thermophilus) nonché per la
presenza di nutrienti e di altre sostanze
elaborati dai microrganismi stessi.
Il valore energetico dello yogurt,
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E. Lanzola
trovano nelle urine. La forma D– è metabolizzata più lentamente della forma L+ e
la sua escrezione urinaria è più elevata.
Si ammette peraltro che l’adulto
possa consumare le due forme senza
inconvenienti.
A seguito della scissione del lattosio durante la fermentazione aumenta
la concentrazione di galattosio che può
arrivare a 1-1,5%.
Il galattosio viene di norma assorbito molto rapidamente dall’intestino e
metabolizzato a glucosio nei tessuti.
Come è noto, la causa più nota di
intolleranza al latte è costituita dalla incapacità di digerire il lattosio per un deficit di lattasi nella mucosa intestinale. Il
lattosio che non viene idrolizzato passa
nel colon dove subisce la fermentazione ad opera della flora intestinale con
produzione di acidi organici e di gas
(anidride carbonica, metano, idrogeno).
L’idrogeno prodotto è in parte riassorbito ed eliminato per via polmonare. Pertanto il malassorbimento di lattosio può
essere messo in evidenza con una metodica relativamente semplice e sensibile misurando l’incremento della concentrazione di idrogeno nell’aria espirata dopo ingestione di lattosio.
Nel bambino l’intolleranza al lattosio
è dovuta molto spesso a deficit di lattasi intestinale secondaria a enteropatia.
pertanto, è simile a quello del latte e dipende in gran parte dal contenuto di
grasso. Si è diffusa perciò la tendenza
alla produzione di yogurt a tenore ridotto di grasso, e tuttavia sempre appetibile, ciò che può rappresentare un valido
contributo nelle diete ipocaloriche purché il valore energetico non venga recuperato con l’aggiunta di quantità eccessive di zucchero come dolcificante.
La principale modifica risultante dal
processo di fermentazione è la riduzione del lattosio, nell’ordine del 20-30%,
con formazione di galattosio, di glucosio
e di acido lattico che passa da livelli
praticamente trascurabili a 0,8-1%.
Gli effetti positivi dell’acido lattico
consistono:
a) nell’azione conservante nei riguardi del prodotto;
b) nella palatabilità, per il gusto leggermente acido e rinfrescante;
c) nell’azione favorente la biodisponibilità del calcio e di altri minerali;
d) nell’azione inibitrice sulla crescita
di batteri potenzialmente dannosi a livello dell’intestino.
Il suo valore energetico è di 15 kj/g
contro 16 kj del lattosio. L’acido lattico si
trova nello yogurt nelle forme racemiche
L+ e D– in proporzioni variabili secondo
le condizioni di fabbricazione e di conservazione. Nell’uomo le due forme si
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Aspetti nutrizionali dei latti fermentati
Nell’adulto il malassorbimento del lattosio è più spesso primario. In effetti
nell’uomo l’attività lattasica intestinale,
massima alla nascita, comincia a diminuire ad un’età variabile dopo lo svezzamento fino a giungere nell’adulto ad un
tasso residuo del 10% dell’attività massima. La prevalenza del deficit primario
di lattasi intestinale varia secondo le etnie. Ad esempio ammonta al 3% in Svezia, al 20% nella Francia settentrionale,
al 40% nella Francia meridionale, al
50% nell’Italia settentrionale e al 70%
nell’Italia meridionale, al 75% in Grecia.
Il deficit acquisito di lattasi costituisce quindi una situazione quasi fisiologica che colpisce larga parte della popolazione mondiale. In queste condizioni, oltre al latte delattosato, peraltro non
sempre disponibile, lo yogurt riveste
una posizione privilegiata nonostante il
suo contenuto di lattosio.
Ricerche recenti hanno dimostrato
infatti che lo yogurt permette la digestione del lattosio nei soggetti carenti di lattasi grazie all’azione lattasica sostitutiva
svolta dai lattobacilli purché ovviamente
questi siano viventi e cioè che lo yogurt
non abbia subito un trattamento termico.
Il contenuto di proteine nello yogurt
non differisce sostanzialmente da quello
del latte, tuttavia il contenuto di peptidi
e di aminoacidi liberi è più elevato a
causa dell’azione proteolitica dei microrganismi. Se per la maggioranza degli individui in buona salute questa “predigestione” di parte delle proteine e la
consequenziale più fine coagulazione
della cagliata può rappresentare un
vantaggio trascurabile, il beneficio risulta invece reale per coloro che a causa
di processi patologici hanno difficoltà di
digestione a livello gastrico. Studi recenti condotti su soggetti sani, muniti di
una sonda intestinale, hanno evidenziato che la velocità di liberazione delle
proteine nell’intestino è, nel caso dello
yogurt, più lenta e più regolare in confronto alle proteine del latte. È quindi la
cinetica dello svuotamento gastrico che
viene modificata con la consequenziale
ripercussione sulla cinetica di apporto di
aminoacidi nel sangue portale senza
peraltro che venga influenzata la digeribilità nel suo complesso.
La fermentazione non ha in pratica
effetto sul contenuto in minerali del latte e pertanto lo yogurt, come il latte, è
una fonte eccellente di minerali, in particolare di calcio, fosforo, magnesio e
zinco. Poiché la biodisponibilità di questi
minerali viene favorita dalla presenza di
lattosio ci si può chiedere se essa possa essere compromessa a seguito della
riduzione del tasso di lattosio che si verifica durante la fermentazione.
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E. Lanzola
In effetti varie ricerche hanno confermato che il calcio dello yogurt viene
assorbito in misura pressoché eguale a
quello del latte e comunque la biodisponibilità del calcio da tutti i prodotti lattiero-caseari è di gran lunga più elevata rispetto ai prodotti di origine vegetale.
Anche il contenuto in vitamine dello
yogurt dipende soprattutto da quello del
latte di partenza che, come è noto, può
essere influenzato dalle condizioni di allevamento, dal regime alimentare, dalle
condizioni climatiche e da quelle geografiche nonché dallo stadio della lattazione.
Inoltre il contenuto vitaminico del latte di
partenza è influenzato in vario grado dal
trattamento termico al quale è sottoposto durante le fasi di preparazione dello
yogurt. Significativa comunque è, nel latte fermentato, l’influenza dell’inoculo microbico. Molti batteri lattici, infatti, hanno
bisogno per lo sviluppo di vitamine del
gruppo B mentre molti altri sono capaci
di sintetizzare alcune vitamine.
In generale nello yogurt le vitamine
sono presenti in modesta quantità come
nel latte, ad eccezione dei folati che in
qualche caso sono stati trovati in quantità alquanto maggiore.
Nella Tabella 1 è riportata la composizione media dello yogurt preparato partendo da latte parzialmente scremato.
Tabella 1
Composizione
di yogurt naturale
prodotto da latte
parzialmente scremato.
(da Syndifrais, 1997)
per 100 g
per 125 g
Proteine
g
4,3
5,4
Lipidi
g
1,2
1,5
Glucidi
g
5,0
6,2
Kilocalorie
48
60
Kilojoules
201
251
Calcio
mg
148
185
Fosforo
mg
114
142
Magnesio
mg
13
16,2
Vitamina B1
mg
0,04
0,05
Vitamina B2
mg
0,18
0,22
Vitamina PP
mg
0,11
0,14
Vitamina B5
mg
0,35
0,44
Vitamina B6
mg
0,04
0,05
Vitamina A
µg
5
6,25
Vitamina E
mg
0,03
0,04
Vitamina C
mg
1
1,25
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Aspetti nutrizionali dei latti fermentati
Tabella 2
Apporti di nutrienti da
parte di differenti yogurt
(riferiti ad una porzione
di 125 g).
(da Syndifrais, 1997)
Yogurt
naturale
da latte parz.
scremato
Yogurt
naturale
da latte tot.
scremato
Yogurt
naturale
da latte
intero
Yogurt
magro
alla frutta
Proteine (g)
5,4
5,6
5,2
4,5-5
Lipidi (g)
1,5
0,3
4,3
0,3
Glucidi (g)
6,2
6,5
6,2
13,7-22,5
Calcio (mg)
185
185
194
175
Kilocalorie
60
51
84
75-106
Kilojoules
251
213
351
313-443
Nella Tabella 2 sono posti a confronto gli apporti alimentari di vari tipi di
yogurt, riferiti alla porzione standard di
125 g. Da quanto fin qui esposto si
evince che gli aspetti nutrizionali dei latti
fermentati vanno al di là del loro contenuto in principi nutritivi e devono essere
considerati secondo un concetto più
ampio e più funzionale di valore nutrizionale in linea con una visione moderna
dei rapporti tra alimentazione, nutrizione
e salute.
In quest’ottica il valore nutrizionale
dei latti fermentati è dato dalla loro particolare caratteristica di vettori di probiotici. Come è noto per probiotici si intendono “microrganismi viventi che, ingeriti
in una certa quantità, svolgono un ruolo
positivo sullo stato di salute che va oltre
i tradizionali effetti inerenti agli aspetti
nutrizionali di base”. Gli alimenti appor-
tatori di probiotici, quali i latti fermentati,
rientrano nel concetto moderno di “alimenti funzionali”. È noto anche che i
microrganismi probiotici svolgono la loro
azione, una volta ingeriti, sia nell’uomo
che nell’animale, migliorando le caratteristiche della flora intestinale.
L’utilizzazione di batteri lattici nella
razione di animali di allevamento (vitelli, maialetti, pollastri, ecc.) risale ormai
a molti anni orsono; da principio effettuata in maniera empirica, viene attualmente praticata in modo molto più
mirato in seguito alle ricerche condotte
negli allevamenti sperimentali. L’effetto probiotico, cioè a dire il miglioramento delle performance zootecniche
(effetto positivo sull’accrescimento,
sulla diminuzione delle diarree, ecc.)
dipende dalla selezione dei ceppi nonché dalla quantità e dalla durata di
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E. Lanzola
Yogurt
alla frutta
da latte parz.
scremato
Yogurt
alla frutta
da latte
intero
Yogurt
aromatizzato e
zuccherato da latte
parz. scremato
4,6
4
4,8
1,3
3,3
1,3
21,2
23,7
17,5
175
175
175
115
140
101
481
585
422
somministrazione dei batteri lattici vivi.
I probiotici più frequentemente impiegati nei latti fermentati presenti in
commercio, oltre ai ben noti Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus e
Streptococcus thermophilus , sono i
vari ceppi di Lactobacillus casei e di
Lactobacillus acidophilus, di bifidobacteria che sono bacilli resistenti agli acidi
gastrici e biliari e pertanto in grado di
arrivare nell’intestino (Fig. 1).
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
.........................................................
Sopravvivenza di
Lactobacillus casei nel
tubo gastroenterico di
volontari sani misurata
come numero di unità
formanti colonie (CFU)
nelle feci. L’escrezione
fecale di cellule viventi
di L. casei aumenta
rapidamente entro due
giorni e ritorna
rapidamente alla conta
normale dopo
interruzione del
consumo di prodotti
contenenti L. casei.
(da G. Schaafsma, 1995)
Log CFU/g nelle feci
Figura 1
1
L. casei
Controlli
5
3
7
Giorni
127
9
11
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Aspetti nutrizionali dei latti fermentati
Una volta pervenuti nell’intestino
essi aderiscono alle cellule intestinali
così da costituire una barriera ostacolante l’adesione di eventuali patogeni
(Fig. 2).
Ricerche di ecologia microbica condotte su numerosi soggetti volontari
hanno dimostrato infatti, già da molti
anni, che contrariamente a quanto riteneva Metchnikoff agli inizi del secolo, è
il Lactobacillus acidophilus e non il
bulgaricus la specie di lattobacillo più
frequente nel tubo digerente dell’uomo.
Nel corso di una conferenza svoltasi nel novembre del 1995 a Francoforte
in Germania gli effetti dei probiotici sulla
salute umana sono stati raggruppati in
tre categorie e cioè: effetti sicuri, effetti
probabili, rischi potenziali.
rolo LDL;
– azione competitiva nei riguardi degli
enteropatogeni;
– azione preventiva nei riguardi dei tumori del colon;
– accresciuta resistenza alle infezioni.
Vengono infine considerati rischi
potenziali:
– la somministrazione di probiotici a
bambini con flora intestinale insufficientemente sviluppata;
– la somministrazione di probiotici a pazienti affetti da malattie autoimmuni;
– trasferimento di geni codificanti la resistenza alla vancomicina da parte di
microrganismi quali ceppi particolari
di Enterococcus faecalis.
Gli effetti sulla risposta immunitaria
sono stati dimostrati a seguito di ricerche svolte sia su animali che su soggetti volontari. Studi su topolini ai quali
era stato somministrato Lactobacillus
acidophilus hanno messo in evidenza,
infatti, un aumento delle cellule produttrici di IgA e IgG nonché una risposta
proliferativa a livello della mucosa intestinale. Per quanto riguarda le ricerche
sull’uomo studi recenti hanno evidenziato un aumento dell’attività fagocitaria
dei leucociti dopo somministrazione per
tre settimane di latte fermentato con
Gli effetti sicuri comprendono:
– riduzione dei sintomi di intolleranza al
lattosio;
– riduzione della durata della diarrea
provocata da rotavirus, antibiotici o E.
coli enterotossica;
– riduzione dei seguenti enzimi di origine batterica: nitroreduttori, beta-glucorossidasi, azoreduttasi e ureasi;
– stimolazione della risposta immunitaria.
Tra gli effetti probabili vengono citati:
– riduzione dei livelli ematici di coleste-
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E. Lanzola
Figura 2
Effetto barriera sulle
cellule intestinali.
(da R. Reniero, 1996)
Patogeni
Cellule intestinali
Infezione
Patogeni
Morte della cellula e/o diarrea
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Esclusione dei patogeni
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Aspetti nutrizionali dei latti fermentati
L. acidophilus nonché aumento della
produzione di IgA a seguito di vaccinazione orale contro S. typhimurium.
In sintesi tutte le ricerche inducono
a ritenere che l’effetto immunoregolatore venga esercitato dai lattobacilli attraverso la stimolazione della produzione di interferone ma, a questo proposito, appare molto importante la quantità
dei fermenti ingerita. In effetti esperienze condotte per un anno su due gruppi
di soggetti adulti, rispettivamente di età
giovanile e matura, hanno evidenziato
che i risultati significativi sulla risposta
immunitaria ottenuti con il consumo di
quattro porzioni giornaliere di yogurt
vengono a mancare se le porzioni si riducono a due. Si può comunque affermare che con l’alimentazione, grazie alla selezione di alcuni ceppi batterici utilizzati nella fermentazione del latte, è
possibile stimolare i meccanismi di difesa immunitaria che viene invece sovente depressa per abitudini alimentari
scorrette e alimentazioni squilibrate.
Esperienze condotte in vitro hanno
inoltre dimostrato l’effetto inibitorio che
il Lactobacillus acidophilus, il Lactobacillus delbrueckii subsp. bulgaricus
e lo Streptococcus thermophilus svolgono nei riguardi di microrganismi dei
generi Salmonella, Shigella, Staphylococcus, Proteus, Klebsiella, Pseudo-
monas, Escherichia, Bacillus e Vibrio.
Tale effetto non sembra imputabile ai
soli prodotti del metabolismo formati dai
lattobacilli bensì anche a sostanze con
proprietà antibiotiche la cui produzione
in vitro dipende dal ceppo dei lattobacilli e dal mezzo di coltura. Sempre in
vitro è stato evidenziato che i prodotti
dell’attività metabolica dei lattobacilli
sono in grado di ridurre la frequenza di
trasferimenti di plasmidi (fattore R) tra
gli enterobatteri: questi prodotti presenti
nello yogurt sono termostabili. Allo stato attuale, peraltro, i risultati di queste
ricerche non hanno ancora trovato conferma in vivo.
Circa l’azione di prevenzione che
l’apporto alimentare di yogurt potrebbe
avere nei riguardi di alcune malattie degenerative quali l’arteriosclerosi e i tumori del colon, vale la pena di segnalare, sia pure succintamente, che allo
stato attuale vari studi inducono a ritenere un effetto positivo in proposito.
Per quanto concerne l’arteriosclerosi o, per meglio dire, la ipercolesterolemia, considerata come indice di rischio di cardiovasculopatie, va detto
subito che la relazione tra consumo di
prodotti lattieri e colesterolemia ha del
paradosso.
È ben noto, infatti, che un apporto
elevato di lipidi saturi può far aumentare
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E. Lanzola
il tasso della colesterolemia e tuttavia
ciò non si riscontra per il consumo, anche in quantità importante, di latte e di
latti fermentati. Ciò è stato evidenziato,
ad esempio, presso i guerrieri Masai,
grandi consumatori di latte (fino a 4-5
litri al giorno), i quali peraltro sono
esenti da ipercolesterolemia e hanno
una bassa prevalenza di malattie cardiovascolari. In questa direzione sono
stati effettuati studi anche negli Stati
Uniti dai quali risulta che lo yogurt sarebbe anche più efficace del latte nel
mantenere bassa la colesterolemia.
Meno attendibili sono gli studi condotti con le stesse finalità negli animali
da laboratorio (soprattutto conigli e ratti)
essendo ben note le differenze sul metabolismo del colesterolo tra queste
specie animali e l’uomo. Per quanto riguarda l’uomo occorre tuttavia aggiungere che l’effetto ipocolesterolemizzante
è stato ottenuto con il consumo di
quantità considerevoli di yogurt, lontane
dalla pratica comune. Inoltre gli stessi risultati possono essere ottenuti semplicemente arricchendo di calcio il regime
alimentare il che porta a pensare – considerando l’elevato tenore in calcio del
latte in genere – che l’abbassamento
della colesterolemia sia dovuta non tanto alla fermentazione e ai prodotti derivati quanto all’apporto notevole di calcio.
In conclusione, a seguito di numerosi studi condotti in proposito, si può
affermare che se resta dubbio l’effetto
ipocolesterolemizzante dello yogurt –
per lo meno alle dosi usuali – è tuttavia
certo che esso non possiede effetto
ipercolesterolemizzante. In questa breve rassegna si è già accennato – tra
gli effetti probabili dei latti fermentati e
in particolare dello yogurt – a un’eventuale azione protettiva contro il rischio
di cancro del colon nell’uomo. Gli studi
a questo riguardo sono basati essenzialmente sulla constatazione che l’ingestione prolungata di determinati microrganismi viventi è associata, sia
nell’animale che nell’uomo, a modifiche dell’attività metabolica della flora
intestinale. L’interesse di queste osservazioni sta nel fatto che alcuni enzimi di
origine batterica, quali la beta-glucurossidasi, la beta-glucossidasi, l’azoreduttasi, la nitroreduttasi e altri sono in
grado di trasformare molecole procarcinogene in carcinogene e potrebbero
pertanto svolgere un ruolo nella cancerogenesi del colon. Già dal 1977 era
stato dimostrato che la somministrazione di bacilli Lattacidofili vivi a ratti sottoposti ad un regime ricco di carne diminuiva in modo significativo l’attività
della beta-glucorossidasi, della azoreduttasi e della nitroreduttasi della flora
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Aspetti nutrizionali dei latti fermentati
intestinale. Queste ricerche, estese
all’uomo nel 1980, evidenziarono che
gli onnivori presentano livelli più elevati
di beta-glucorossidasi e di azoreduttasi
rispetto ai soggetti vegetariani e che
l’aggiunta di Lactobacillus acidophilus
al regime alimentare porta alla diminuzione di queste attività. Ricerche successive hanno confermato questi risultati, impiegando anche lattobacilli diversi. In linea di massima restano tuttora ignoti i meccanismi che conducono
alla diminuzione delle attività beta-glucorossidasi, azoreduttasi e nitroreduttasi; si sa soltanto che queste modifiche si verificano unicamente in presenza di microrganismi viventi e che sono
limitate ai periodi di somministrazione
dei lattobacilli salvo qualche caso in cui
hanno perdurato fino ad un mese dopo
la sospensione della somministrazione.
Vale la pena di ripetere, a questo proposito che, soprattutto i risultati ottenuti negli animali circa la prevenzione
dei tumori del colon, vanno interpretati
con molta prudenza per quanto riguarda l’estrapolazione all’uomo non di-
menticando che la correlazione esistente tra determinate attività metaboliche della flora intestinale e la cancerogenesi del colon resta in gran parte dipendente dalle caratteristiche del regime alimentare e richiede ulteriori conferme.
A conclusione di questa nota sugli
aspetti nutrizionali dei latti fermentati è
opportuno richiamare quanto è già stato accennato all’inizio e cioè che questo
tipo particolare di alimenti rispecchia la
crescente consapevolezza che il valore
nutrizionale va inteso in un’accezione
più ampia di quella alla quale siamo stati fino ad oggi ancorati. Si può infatti affermare che il valore nutritivo dipende
anche dalla potenziale capacità che
l’alimento ha di svolgere un effetto protettivo sullo stato di benessere del consumatore. Non a caso è su questa direttrice che si è aperto negli anni più
recenti il capitolo riguardante varie sostanze dotate di tale proprietà ed è per
l’appunto a questa nuova generazione
di alimenti che appartengono i latti fermentati.
132
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latti fermentati
nell’alimentazione del bambino
C. Agostoni, E. Riva, M. Silano
Clinica Pediatrica
Ospedale San Paolo, Milano
Per prodotti fermentati si intendono
alimenti contenenti batteri che, una volta ingeriti, riescono a resistere all’acidità gastrica, raggiungere vivi, attivi e in
concentrazione adeguata l’intestino e
interagire con l’ospite determinando un
effetto benefico per quest’ultimo. Il nome che comunemente viene utilizzato
per indicare tali colonie batteriche è
quello di fermenti lattici.
I microrganismi utilizzati come fermenti lattici sono in genere Gram positivi, immobili, asporigeni, anaerobi facoltativi o microaerofili o relativamente
ossigeno-tolleranti, sono privi di catalasi, di riduttasi, di citocromo-ossidasi e la
loro principale via metabolica consiste
nell’utilizzazione del lattosio con produzione finale di acido lattico. Essi si dividono a seconda della dipendenza dal
lattosio per il loro metabolismo in omofermentanti obbligati o facoltativi. I primi
producono una molecola di lattato e
quattro di ATP da una di lattosio, i secondi metabolizzano una molecola di
lattosio in due di acido lattico, producendo contemporaneamente alcool etilico e CO2.
Quindi, l’aggiunta dei fermenti al
latte determina l’idrolisi del lattosio contenuto e l’acidificazione del prodotto,
con alterazione delle proprietà reologiche delle proteine (coagulazione), dando così al prodotto l’aspetto caratteristico.
La questione del ruolo dei prodotti
a base di latti fermentati nell’alimentazione del bambino pone due ordini di
problemi:
1) l’individuazione di situazioni fisiologiche, parafisiologiche e patologiche
in cui andrebbero consigliati;
2) l’adeguatezza nutrizionale.
In realtà, i cosiddetti fermenti lattici
sono conosciuti e utilizzati da tempo in
ambito pediatrico. Molte sono le condizioni (diarrea, alitosi, terapia antibiotica,
vari disordini alimentari) in cui le mamme, senza neanche ricorrere al Pediatra, somministrano tradizionalmente al
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I latti fermentati nell’alimentazione del bambino
bambino fermenti lattici, sotto forma di
sospensione o capsule sciolte in vari
mezzi liquidi (latte, succhi di frutta). Inconsapevolmente, viene applicata in
questo modo in maniera estensiva una
raccomandazione generale fra i nutrizionisti (pediatri e non), ovvero quella di
nutrire il colon attraverso la somministrazione di probiotici (batteri specifici in
grado di apportare beneficio all’ospite) e
prebiotici (componenti della dieta come
carboidrati, complessi e semplici, in grado di fungere da substrato per la colonizzazione del tratto intestinale da parte
di specie non enteropatogene) (Tab. 1).
La somministrazione di queste specie batteriche con derivati fermentati
del latte al posto di preparazioni farmacologiche specifiche offre vantaggi quali
maggiore palatabilità, maggior compliance da parte del bambino che così
Tabella 1
non ha la sensazione di assumere un
farmaco, e contemporanea somministrazione di altri nutrienti quali per esempio il calcio e i prodotti di fermentazione
del lattosio, che sono comunque fonte
di energia di rapido utilizzo, arrivando alla fine ad un maggior equilibrio nutrizionale.
I latti fermentati
nell’alimentazione
del bambino sano
Gli alimenti fermentati non andrebbero in teoria introdotti nell’alimentazione del neonato durante il periodo in cui
è consigliato l’allattamento esclusivo al
seno, cioè fino al sesto mese. Questo
timing può però essere modificato per i
neonati allattati artificialmente.
Effetti positivi
Lattobacilli, Eubatteri, Bifidobatteri (inibizione
della crescita di batteri esogeni e/o dannosi,
stimolazione delle funzioni immunologiche,
coadiuvanti nella digestione e/o assorbimento
di componenti alimentari e minerali, sintesi
di vitamine)
Effetti dannosi e/o patogeni
Pseudomonas aeruginosa, Proteus,
Stafilococchi, Clostridi (diarrea, stipsi,
infezioni, danno epatico, tumori)
Effetti misti
A seconda dei ceppi: Enterococchi,
Escherichia coli, Streptococchi, Bacteroides
(alcuni ceppi enteropatogeni con produzione
di tossine, produzione di carcinogeni,
fenomeni di putrefazione intestinale)
Batteri predominanti
nel tratto intestinale:
caratteristiche principali.
(parz. modificata
da Gibson et al.)
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C. Agostoni, E. Riva, M. Silano
Lo scopo è quello di portare la microflora del soggetto allattato artificialmente ad uno status che riproduca più
da vicino quella dei soggetti allattati al
seno, notoriamente più difesi e protetti
dalle infezioni sia a livello locale che generale.
Alla nascita tutti i neonati presentano una colonizzazione del tratto intestinale che deriva dalla contaminazione
materna al momento del parto. Il taglio
cesareo ritarda in genere la colonizzazione del tratto intestinale del neonato
fino alla terza-quarta giornata, quando
avviene la colonizzazione da parte di
specie di Bifidobacterium. Comunque,
indipendentemente dalla modalità del
parto, gli allattati al seno sviluppano
successivamente una flora gastrointestinale caratterizzata dalla predominanza
di bifidobatteri, mentre gli allattati artificialmente presentano come flora predominante Enterococchi, Coliformi e
Bacteroides. Fattori ambientali quali il
tipo di presidi igienici in uso nell’ospedale e gli antibiotici somministrati alla
madre o al neonato stesso possono
contribuire alla modifica del tipo di germi che subentrano nella colonizzazione
del tratto gastrointestinale. Tuttavia,
dalla fine della prima settimana di vita la
dieta rappresenta la variabile più importante in grado di determinare il tipo di
flora a livello intestinale. Numerosi trial
clinici sono stati effettuati e sono tuttora in corso per promuovere la crescita
di bifidobatteri nelle feci degli allattati
artificialmente attraverso l’aggiunta di
principi nutritivi e/o fattori di crescita.
Ricordiamo lattoferrina, nucleotidi e altri
possibili molecole ad attività immunomodulatrice localmente. La somministrazione di probiotici rappresenta in
questo senso l’approccio più nuovo e
promettente per promuovere nell’allattato artificialmente la crescita di una
flora più simile a quella dell’allattato al
seno.
Studi in corso stanno anche considerando gli effetti dell’introduzione di
questi prodotti (i probiotici) addirittura
nel pretermine. La somministrazione di
Bifidobacterium breve in un gruppo di
neonati prematuri di peso molto basso
ha portato ad una colonizzazione marcata del tratto intestinale senza alcun
effetto collaterale. La colonizzazione
stessa è risultata associata ad un minore numero di “segni” addominali di
anormalità e ad un incremento ponderale più marcato nel gruppo che ha ricevuto la supplementazione, come conseguenza della stabilizzazione della loro
flora intestinale e degli schemi alimentari meno sottoposti a regime di controllo e/o restrizione.
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I latti fermentati nell’alimentazione del bambino
Il prodotto che per natura e definizione rappresenta per antonomasia il
derivato fermentato del latte per eccellenza – ovvero lo yogurt – dovrebbe
rientrare nello schema di divezzamento
dei bambini sani intorno al settimo-ottavo mese. Un’introduzione più precoce
non sembra apportare particolari benefici sulla colonizzazione dell’intestino e
potrebbe comportare uno squilibrio ulteriore a livello dell’introduzione di nutrienti. Infatti, la composizione proteica dello
yogurt è comunque analoga a quella del
latte fresco, e l’eccesso di proteine nella dieta è probabilmente il primo squilibrio da prevenire. Tuttavia, l’introduzione nel corso del divezzamento (oltre il
sesto mese, che è il limite di un’alimentazione esclusivamente lattea), in particolare se associata alla frutta, può da
una parte contribuire a moderare l’assunzione di proteine animali e dall’altra
apportare i vantaggi legati alla sua natura e composizione. Infatti, è attualmente in discussione l’ipotesi che alcuni probiotici presenti nei latti fermentati
possano modificare in maniera vantaggiosa la risposta di tipo immunoallergico
nel bambino. Tale fenomeno potrebbe
avvenire sia per influenza sulle attività
generali (umorali e cellulari) della risposta immunoallergica che per effetto di
una potenziale idrolisi delle molecole
proteiche operata dalla flora probiotica
stessa. Per questo motivo, l’introduzione di un prodotto specifico come lo yogurt può avvenire già nel corso (e non
alla fine) del divezzamento, potendo
contribuire alla presentazione di un minore potenziale allergizzante al sistema
immunocompetente del piccolo.
I prodotti a base di latte fermentato
vanno comunque al momento esclusi
dalla dieta di bambini con accertata intolleranza alle proteine del latte vaccino,
in attesa di prove sperimentali sicure
sulla riduzione del potere antigenico.
I latti fermentati
nell’alimentazione
del bambino
con patologia
Per quanto detto precedentemente,
l’uso dei latti fermentati trova indicazione principale nella prevenzione o nella
terapia delle gastroenteriti acute di origine infettiva, soprattutto virale (in cui la
noxa patogena provoca anche una sofferenza della mucosa intestinale e conseguente intolleranza transitoria al lattosio) e per il deficit di lattasi (intolleranza
permanente al lattosio).
In questa situazione, i fermenti lattici agiscono tramite due meccanismi
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C. Agostoni, E. Riva, M. Silano
che interagiscono tra loro:
1) idrolizzando il lattosio,
2) modificando l’ambiente intestinale, selezionando la flora batterica a
vantaggio dell’ospite.
L’utilizzo di latte e derivati sottoposti
a processi di fermentazione può permettere l’utilizzo di questi prodotti nei
soggetti “intolleranti” al lattosio, ovvero
geneticamente predisposti a perdita di
attività lattasica con l’età.
È oggi opinione che la lattasi non
sia un enzima inducibile, e che il mantenimento o meno di un certo grado di attività possa maggiormente essere legato al programming di espressione genetica, che si riconosce in un gradiente
crescente Nord-Sud (entro l’Italia, l’Europa e l’emisfero boreale) di intolleranza
al lattosio.
È riconosciuto che già nel corso del
terzo anno di vita l’attività lattasica può
diminuire in gruppi di soggetti predisposti alla precoce perdita di tale attività.
Al contrario, questi stessi soggetti
possono assumere prodotti come lo yogurt senza presentare disturbi e/o fenomeni di malassorbimento, non solo
per il processo di parziale digestione cui
il lattosio è già stato sottoposto, ma anche per il mantenimento dell’attività lattasica che a livello microbiologico può
continuare in parte dopo l’assunzione a
livello del primo tratto gastrointestinale.
Relativamente ai vantaggi per il
bambino con patologia gastroenterica,
è stato osservato che la somministrazione per os di Lactobacillus casei, non
solo determina la colonizzazione dell’intestino da parte di questo microrganismo, ma aumenta la concentrazione di
bifidobatteri e lattobacilli, inibendo contemporaneamente lo sviluppo di colonie
di patogeni, quali Salmonelle, Escherichia coli e Clostridi.
Inoltre, la somministrazione di Lactobacillus casei (liofilizzate o attraverso
prodotti fermentati) non solo riduce significativamente la durata della diarrea
in bambini ospedalizzati, ma ne previene l’insorgenza in bambini sottoposti ad
antibioticoterapia o ricoverati in ambiente ospedaliero per altro motivo.
A tal proposito particolare importanza riveste lo studio di Isolauri e coll., in
cui è stata paragonata la durata della
diarrea in tre gruppi di bambini ospedalizzati per tale sintomo.
Il primo gruppo ha ricevuto latte fermentato con Lactobacillus casei vivi, il
secondo Lactobacillus casei liofilizzati,
il terzo infine yogurt pastorizzato, i cui
fermenti sono inattivati.
La durata della sintomatologia è risultata significativamente inferiore nei
primi due gruppi (1,4 ± 0,8 nei primi
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I latti fermentati nell’alimentazione del bambino
due vs 2,4 ± 1,1 nel terzo). Un lavoro
più recente condotto da Raza e coll. nel
1995 ha dimostrato come questo protocollo sia efficace anche nel caso di
bambini pakistani affetti da diarrea grave (Tab. 2).
Secondo alcuni Autori, la protezione che alcuni ceppi di batteri probiotici
offrono nei confronti della diarrea dipende anche da un potenziamento della
risposta anticorpale. È risultato infatti
che bambini sottoposti a vaccinazione
per via orale contro rotavirus così come
quelli affetti da diarrea da rotavirus sviluppano un titolo anticorpale specifico,
IgM, IgA, IgG, più elevato se contemporaneamente ricevono supplementazione orale con ceppi di Lactobacillus
casei (Tab. 3).
Lo stesso potenziamento immunologico è stato osservato nei topi nei
confronti del Vibrio cholerae. In realtà,
non si può definire con certezza quale
rilevanza clinica possa avere questa
ipotesi, dal momento che il titolo antiTabella 2
Caratteristiche cliniche
in due gruppi di bambini
affetti da diarrea grave.
Confronto tra soggetti
supplementati con
Lactobacillus casei
e non supplementati.
(parz. modificata da
Raza et al.)
Incremento ponderale (g)
Episodi
di diarrea totali
corpale non risulta strettamente connesso con il livello di protezione rispetto
all’infezione raggiunto da un determinato individuo.
La supplementazione delle formule
adattate con altri ceppi acidificanti e
probiotici, quali il Bifidobacterium bifidum e lo Streptococcus thermophilus,
si è comunque accompagnata ad una
diminuzione degli episodi di diarrea in
studi controllati su popolazioni pediatriche a rischio.
È stato ipotizzato che il potenziamento a livello locale della mucosa intestinale possa essere legato ad una diminuita attività di fattori pro-infiammatori monitorata attraverso la misurazione
dei livelli di alfa-1 antitripsina e proteina
cationica eosinofila.
Questi effetti suggeriscono la possibilità di un intervento coadiuvante nella terapia e forse anche nella prevenzione delle allergie alimentari attraverso la
somministrazione di prodotti contenenti
probiotici.
Gruppo trattato
con fermenti
(n=22)
Gruppo placebo
(n=17)
p
285
275
0,95
Giorno 1
91
94
Giorno 3
9
53
0,002
1,1
2,5
0,001
Durata della diarrea
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C. Agostoni, E. Riva, M. Silano
Tabella 3
Bambini sottoposti a
vaccinazione per via
orale contro rotavirus.
Sviluppo di titolo
anticorpale specifico,
IgM, IgA, IgG in soggetti
supplementati per via
orale con ceppi di
Lactobacillus casei (LC)
ceppo GG vs controlli.
(parz. modificata da
Isolauri et al.)
Gruppo LC
Placebo
IgM
96
85
IgA
93
74
IgG
45
54
IgM
67,2
25,7
IgA
21,6
5,7
IgG
107,9
92,7
% sieroconversione
Risposta postvaccinale (media EIU)
sa intestinale. Abbiamo già sottolineato
come, non essendo la lattasi un enzima
inducibile, la mancanza di substrato
non ne condiziona comunque l’espressione a livello delle cellule dei villi intestinali.
Comunque il lattosio (disaccaride
formato da una molecola di glucosio e
una di galattosio) in quanto tale non
sembra essere essenziale per l’organismo del bambino, in quanto l’esperienza fatta con bambini nutriti per lunghi
periodi con latte privo di lattosio (atopici
alimentati con latte di soia, soggetti con
deficit di lattasi) indica una composizione dei glicolipidi cerebrali, principale destino metabolico del galattosio, non alterato rispetto a bambini alimentati con
latte di formula o latte vaccino. Probabilmente esiste una via di sintesi endogena sufficiente a regolare il metabolismo di tale molecola.
Valore nutrizionale
dei latti fermentati
Il contenuto dei latti fermentati può
essere, come già detto, assimilabile a
quello del latte fresco per quanto riguarda la composizione in macronutrienti e micronutrienti. La differenza
fondamentale è che i latti fermentati
costituiscono un alimento “vivo”, in divenire effettivo e potenziale, le cui caratteristiche possono quindi variare e
adattarsi a situazioni differenti, con effetti finali peculiari.
Il vantaggio più immediato riguarda
la composizione glucidica dello yogurt.
Il maggior quesito nutrizionale presentato dall’uso dei latti fermentati è
l’eventuale deficit di assorbimento di
lattosio, in quanto, come già detto, ne
diminuiscono il carico che si presenta
per l’assorbimento a livello della muco-
141
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I latti fermentati nell’alimentazione del bambino
Relativamente alla composizione in
macro- e micronutrienti, sottolineiamo
ancora che il valore nutrizionale dei latti
fermentati non è diverso da quello del
latte fresco, fatta salva la caratteristica
trasformazione della componente glucidica. In teoria, l’acidificazione potrebbe
avere effetti positivi sull’assorbimento di
alcuni minerali (in primo luogo il calcio)
sia per effetto chimico diretto che per
un migliore controllo di reazioni secondarie di complessazione con altri componenti dietetici (es. lipidi).
I vantaggi così riassumibili suggeriscono l’utilità dell’introduzione precoce
nella dieta infantile dei latti fermentati,
già in corso di divezzamento, e propongono una nuova e allo stesso tempo già
conosciuta strada (pensiamo ai cosiddetti latti acidificati di alcuni anni fa) per
la composizione delle formule adattate.
L’identificazione di ceppi batterici ad
attività sempre più specifica (i probiotici), unitamente a specifici fattori di crescita (i prebiotici) potranno forse contribuire ad eliminare alcune delle differenze che in termini di risposta immunitaria, difesa dagli agenti esterni e reazioni
di tipo immunoallergico differenziano gli
allattati al seno dagli allattati artificialmente.
Conclusioni
L’utilizzo dei latti fermentati nell’alimentazione del bambino presenta vantaggi così riassumibili:
– potenziamento delle difese attraverso meccanismi sia diretti che indiretti
di modulazione delle attività di risposta immunitaria a livello della mucosa
intestinale;
– migliore bilancio nutrizionale;
– possibilità di assumere un’importante
fonte di calcio dietetico anche in soggetti con sintomatologia ascrivibile
ad intolleranza al lattosio;
– possibile utilizzo anche in corso di
patologie gastroenteriche con abbreviamento della sintomatologia.
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L
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a flora batterica intestinale
nell’anziano
T. Lucchi*, C. Vergani**
* Scuola di Specializzazione in Geriatria
Università degli Studi di Milano
** Cattedra di Gerontologia e Geriatria
Università degli Studi di Milano
mento ma alla placca batterica che favorisce la carie della radice dei denti e le
parodontopatie. La scarsa igiene del cavo orale gioca un ruolo facilitante anche
nello sviluppo di candidosi e di lesioni
pre-cancerose a livello delle mucose.
I disturbi più gravi della deglutizione
non dipendono dall’ernia iatale, riscontrabile nel 70% degli ultrasettantenni,
ma da una dissinergia dello sfintere
esofageo inferiore da neuropatia periferica (diabete mellito), da lesioni a livello
del sistema nervoso centrale (eventi
ischemici, morbo di Parkinson) o dalla
presenza di neoplasie. L’aumentata
prevalenza del cancro esofageo in funzione dell’età correla con il consumo di
alcool, con il tabagismo, con la scarsa
igiene orale e con la stasi esofagea.
Il frequente riscontro in età avanzata di atrofia della mucosa gastrica è
probabilmente da mettere in relazione
ad un’alta prevalenza età-correlata di
gastrite atrofica antrale e di infezione da
Helicobacter pylori.
Apparato
gastroenterico
e invecchiamento
L’invecchiamento si associa ad alcune alterazioni anatomiche e funzionali
a livello dell’apparato gastroenterico.
Tali modificazioni non comportano sintomi e non impongono restrizioni dietetiche, tuttavia determinano una perdita
di riserva omeostatica che rende l’individuo anziano più fragile in situazioni di
stress, in presenza di patologia e in corso di trattamento farmacologico.
Con l’invecchiamento aumenta anche la prevalenza di alcune patologie a
livello dell’apparato digerente alla cui
eziologia contribuiscono principalmente
fattori esogeni, legati cioè alle abitudini
alimentari, allo stile di vita, a malattie
pregresse o all’assunzione di farmaci
(Tab. 1).
L’alta prevalenza di edentulia riscontrabile nella popolazione anziana non è
attribuibile alla biologia dell’invecchia-
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La flora batterica intestinale nell’anziano
Tabella 1
Alterazioni anatomiche e
funzionali dell’apparato
gastroenterico in corso
di invecchiamento
e principali patologie
età-correlate.
Organo
Cavità orale
Alterazioni anatomiche
Assottigliamento dell’epitelio della mucosa orale e riduzione
della muscolatura
Varici sublinguali
Alterazioni del periodonto con erosione del cemento,
consumo di smalto e dentina
Edentulia
Riduzione di volume della parotide e delle ghiandole
sottomandibolari
Esofago
Ipertrofia della muscolatura liscia
Riduzione delle cellule del plesso mioenterico
Aumentata prevalenza di ernia iatale e di diverticoli di Zenker
Stomaco
Diminuzione delle cellule parietali
Aumentata prevalenza di atrofia gastrica
Intestino tenue
Modesta atrofia dei villi
Diminuzione dei gangli intramurali
Diminuzione del tessuto linfoide parietale (placche di Peyer)
Colon
Atrofia della mucosa con alterazioni ghiandolari
Ipertrofia della muscolaris mucosae
Atrofia della tonaca muscolare con aumento
del connettivo lasso
Sclerosi arteriolare
Aumentata prevalenza di diverticolosi e angiodisplasia
Colecisti e vie biliari
Dilatazione del coledoco
Proliferazione dei duttuli
Fegato
Diminuzione del volume e del flusso ematico
Pancreas
Atrofia degli acini
Aumento del tessuto fibroso e adiposo parenchimale
con fibrosi intra e interlobulare
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T. Lucchi, C. Vergani
Alterazioni funzionali
Patologie
età-correlate
Riduzione della masticazione
Diminuita percezione del salato
e del dolce
Candidosi, leucoplachia,
carcinoma epidermoide,
malnutrizione
Ridotta ampiezza delle contrazioni
esofagee (presbioesofago)
Esofagite da reflusso,
esofago di Barret, cancro,
malnutrizione
Riduzione secrezione acida
Gastrite atrofica (di tipo B),
gastrite emorragica, ulcera
peptica, anemia micro e
macrocitica, malnutrizione
Aumento dei livelli di gastrina
Aumentato tempo di svuotamento
per i liquidi
Diminuzione dell’attività enzimatica
della lattasi e della fosfatasi alcalina
dell’orletto a spazzola digiunale
La gastrite atrofica di tipo B è considerata predisponente nei confronti
dell’ulcera peptica che negli ultrasettantacinquenni è gravata da un tasso di
complicanze superiore al 70%, con una
maggiore mortalità per emorragie e
perforazioni rispetto ai soggetti più giovani. In età avanzata, l’alcool e i FANS
rappresentano le principali cause di gastriti erosive con sanguinamento.
Il deficit di lattasi a livello dell’orletto
a spazzola digiunale può provocare
nell’anziano intolleranza al lattosio.
La ridotta capacità di assorbire ferro non ematico, talora riscontrabile in
età avanzata, è da attribuire in gran
parte alla diminuita secrezione acida
gastrica. L’acloridria comporta anche
una ridotta solubilità del calcio che diminuisce la sua biodisponibilità pur in presenza di normali livelli di vit. D3. Viceversa può aumentare l’assorbimento di
sostanze liposolubili come il colesterolo
e la vit. A. Nell’anziano, un malassorbimento di macro e micronutrienti si verifica in presenza di patologie che provochino lesioni della mucosa intestinale,
come il morbo celiaco (che può anche
esordire in età avanzata), o maldigestione, come la sovraccrescita batterica nel
tenue e il cancro del pancreas. L’80%
dei cancri pancreatici si manifestano tra
i 60 e gli 80 anni; sono stati considerati
Malassorbimento,
malnutrizione
Diminuzione IgA secretorie
Diminuzione della velocità di transito
del colon
Diminuita competenza dello sfintere
ano-rettale
–
Fecalomi, megacolon,
incontinenza fecale,
diverticolite, enterorragie,
cancro del colon-retto
Colelitiasi
Riduzione dei processi metabolici
di fase I
Cirrosi, cancro-cirrosi
Ridotta secrezione di tripsina, lipasi
e fosfolipasi
Pancreatite cronica, cancro
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La flora batterica intestinale nell’anziano
fattori favorenti il fumo di sigaretta, il
caffè, le nitrosoamine, il diabete e una
dieta ricca di grassi di origine animale.
Va inoltre ricordato che alterazioni funzionali spesso concomitanti, come ad
esempio disturbi della masticazione,
della sensibilità gustativa, della secrezione acida gastrica e di enzimi pancreatici, unitamente a fattori sociali (povertà, isolamento) e psicologici (depressione), concorrono nell’insorgenza della
malnutrizione che è una tipica sindrome
geriatrica.
La diminuita velocità di transito a livello del colon che causa stipsi, disturbo frequente in età avanzata, è in gran
parte attribuibile alla scarsa introduzione
di fibra alimentare e alla riduzione dell’attività fisica, che stimolano fisiologicamente la peristalsi di massa, oltre
che all’impiego di farmaci con attività
anticolinergica.
Il ridotto apporto di fibra è stato anche associato alla comparsa di diverticoli, riscontrabili nel 60% degli ultraottantenni, e ad una maggior incidenza di
cancro del colon-retto. Nell’85% dei
casi i diverticoli si localizzano a livello del
sigma.
Non sono note modificazioni qualiquantitative dei secreti biliari età-correlate anche se, specie nelle donne anziane, aumenta la prevalenza di colelitiasi.
La riduzione del flusso ematico e la
ridotta efficienza nei processi metabolici
di fase I a livello del reticolo endoplasmatico liscio degli epatociti (sistemi
enzimatici microsomiali della NADH-citocromo-C reduttasi e del citocromo
P450) espone l’anziano al maggior rischio di tossicità dei farmaci. Più del
40% dei pazienti affetti da epatocarcinoma e cirrosi è ultrasettantenne e i
principali fattori di rischio sono rappresentati dall’alcool e dall’infezione da virus C dell’epatite.
È tuttora poco nota l’influenza di
fattori esogeni (alimentazione, farmaci)
sulla flora batterica intestinale e il conseguente ruolo nella patogenesi di patologie età-correlate.
Fisiopatologia
della flora batterica
intestinale
e invecchiamento
La flora batterica intestinale costituisce nel suo insieme un complesso
ecosistema che colonizza il canale alimentare immediatamente dopo la nascita.
L’assetto iniziale della flora è aspecifico ed è influenzato da numerose variabili quali: il microrganismo che colo-
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T. Lucchi, C. Vergani
nizza l’intestino del neonato, la modalità
del parto, il tipo di alimentazione (allattamento al seno o artificiale) e l’esposizione all’ambiente circostante.
In seguito, dopo poche settimane
dalla nascita, la flora batterica acquisisce un proprio assetto che tende a
mantenersi costante nel tempo.
Pur tenendo conto della variabilità
individuale, nell’adulto sano la distribuzione dei vari microrganismi lungo il canale alimentare e la loro concentrazione
nelle differenti aree può essere così
schematizzata (Fig. 1):
– I batteri presenti nella cavità orale,
deglutiti con la saliva, vengono per la
maggior parte distrutti nell’ambiente
acido gastrico, dove la flora, inferiore
come concentrazione a 103 unità formanti colonia/ml (cfu/ml), è costituita
in modo predominante da batteri
Gram+ aerobi. I principali generi batterici comunemente isolati sono
streptococchi, stafilococchi, lattobacilli e miceti.
– Duodeno, digiuno e ileo prossimale
presentano una microflora qualitativamente simile a quella dello stomaco
ma la concentrazione batterica è di
10 3-10 4 cfu/ml e, oltre agli aerobi
Gram+ che sono predominanti, possono anche essere isolati in piccole concentrazioni coliformi (aerobi Gram–) e
anaerobi.
Figura 1
Distribuzione dei
microrganismi lungo
il canale alimentare.
Colonizzazione scarsa
<10 3 cfu/ml
10 3-10 4 cfu/ml
prevalgono Gram+ aerobi
10 5-10 9 cfu/ml
zona di transizione
1011-1012 cfu/ml
prevalgono Gram– anaerobi
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La flora batterica intestinale nell’anziano
Tabella 2
Attività metaboliche
della flora batterica
intestinale.
Substrati
Attività
Carboidrati
Metabolizzazione di carboidrati non assorbiti a livello del tenue
Aminoacidi
Desaminazione con produzione di ammoniaca,
sostanze aromatiche e NO
Lipidi
Idrolisi e sintesi di acidi grassi
Bilirubina
Trasformazione in urobilinogeni e urobiline
Acidi biliari
Deconiugazione e idrossilazione
Ormoni steroidei
Metabolizzazione
Colesterolo
Trasformazione in steroli neutri
Vitamine
Consumo e sintesi ex novo
Farmaci
Inattivazione/Attivazione
– L’ileo distale rappresenta sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo
una zona di transizione tra intestino
prossimale e colon. I Gram– cominciano a superare i Gram+, i coliformi
e gli anaerobi (Bacteroides, Bifidobacterium, Fusobacterium e Clostridium) sono presenti in maniera consistente e la concentrazione totale dei
batteri tende ad aumentare.
– A livello del grosso intestino si sale
ad una concentrazione di 1011-1012
cfu/ml e gli anaerobi superano gli aerobi. I microrganismi predominanti sono i Bacteroides, i Bifidobacterium e
gli Eubacterium. Sono pure presenti
cocchi anaerobi Gram+ (peptococchi
e peptostreptococchi), Clostridium,
enterococchi e varie specie di Enterobacteriaceae.
L’invecchiamento sembra associarsi
a modificazioni prevalentemente qualitative dell’ecosistema.
Nei soggetti anziani è stata riscontrata una significativa diminuzione di
Bifidobacterium (lattobacilli anaerobi) e
un aumento di Clostridium, miceti e coliformi. Tali modificazioni sono probabilmente in parte dovute a fattori dietetici.
La flora batterica intestinale svolge
numerose attività sintetiche e cataboliche su substrati endogeni ed esogeni
(Tab. 2).
I batteri intestinali sono in grado di
metabolizzare carboidrati che non vengono assorbiti per mancanza o per carenza dell’enzima specifico. Ad esempio, il lattulosio e il lattosio (in presenza
di deficit di lattasi) vengono idrolizzati
dalle disaccaridasi batteriche e successivamente trasformati in acidi grassi a
catena corta (acido lattico, acetico,
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T. Lucchi, C. Vergani
Tabella 3
Principali fattori che
influenzano l’equilibrio
dell’ecosistema
intestinale.
Fattori endogeni
Fattori esogeni
Fattori relativi
all’ospite
• Acidità gastrica
• Peristalsi
• Valvola ileo-cecale
• Secrezioni organiche
• Produzione di muco
• Immunità locale e generale
• Dieta
• Infezioni virali e batteriche
• Interventi chirurgici
• Farmaci
Fattori batterici
• Adesività batterica
• Interazioni tra i microrganismi
butirrico). Ciò può comportare diminuzione del pH e aumento dell’osmolarità
fecale, con comparsa di flatulenza,
crampi e diarrea. Le beta-glucoronidasi
e solfatasi batteriche sono coinvolte nel
circolo enteroepatico di sostanze endogene, come la bilirubina, gli acidi biliari,
gli estrogeni e il colesterolo, ed esogene come la digossina, la rifampicina, la
morfina, la colchicina e il dietilstilbestrolo.
Farmaci come la digossina possono
anche essere resi inattivi dalla flora batterica intestinale, mentre altri come la
salicilazosulfapiridina possono venire attivati. Ad opera della flora batterica intestinale avviene anche la sintesi di vitamine come la K, la C, la B1 e la B12,
l’acido folico e l’acido pantotenico che
possono essere utilizzate dall’organismo. D’altra parte l’eccessiva crescita
di batteri anaerobi a livello del tratto
prossimale del tenue può determinare
un deficit di assorbimento di vitamina
B12. Solo alcuni anaerobi (Bacteroides,
Bifidobacterium, Clostridium, Veillonella ed enterococchi) sono in grado di
trasformare gli acidi biliari da primari a
secondari, tramite deconiugazione e
successiva idrossilazione. Un particolare
lattobacillo (Lactobacillus plantarum),
presente in alimenti fermentati, catabolizza l’arginina con produzione di ossido
d’azoto (NO) che ha una attività batteriostatica ed è in grado di svolgere funzioni regolatrici sulla secrezione, sulla
motilità e sul circolo intestinale.
I fattori che influenzano l’equilibrio
dell’ecosistema nel tempo sono di tipo
sia endogeno sia esogeno (Tab. 3).
Tra i fattori endogeni distinguiamo
quelli relativi all’ospite e quelli batterici. I
primi sono rappresentati dal grado di
acidità dei succhi gastrici che preservano il primo tratto del tubo digerente dalla colonizzazione da parte di germi
“anomali”, dall’attività peristaltica intestinale che determina una costante elimi-
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La flora batterica intestinale nell’anziano
nazione dei microrganismi che non aderiscono alla parete e dalla continenza
della valvola ileo-cecale, che impedisce
la contaminazione retrograda di batteri
provenienti dal colon. Influenzano inoltre
la sopravvivenza dei batteri nell’ambiente intestinale la secrezione di sostanze
organiche che modificano il pH, quali i
bicarbonati e la bile, la produzione di
muco che regola l’adesività dei batteri
alla parete dell’intestino e meccanismi
immunitari locali (produzione di IgA secretorie) e generali.
I fattori batterici sono rappresentati
dall’adesività dei microbi alla parete intestinale. L’adesività batterica è per lo
più cellulo-specifica ed è determinata
dall’interazione tra adesine batteriche
(costituenti di superficie costituiti da
proiezioni filamentose denominate pili o
fimbrie) e particolari recettori di membrana della cellula ospite.
Quando la flora batterica ha raggiunto un suo assetto, le interazioni tra
le varie specie batteriche rappresentano
una barriera all’impianto di nuovi microrganismi. Tali interazioni consistono in
meccanismi di simbiosi e antibiosi, nella
competizione per i substrati nutritivi, in
modificazioni del pH e del potenziale di
ossidoriduzione endoluminali, nella sintesi di sostanze tossiche (batteriocine,
NO) e di fattori di crescita.
Conseguenza di queste interazioni
è, ad esempio, la comparsa di anaerobiosi a livello colico, per l’azione dei
coliformi e degli enterococchi che sono
avidi utilizzatori di ossigeno, tale da permettere la crescita di Bacteroides e altri
anaerobi che favoriscono la comparsa di
sali biliari deconiugati dotati di effetto
battericida e pertanto in grado di esercitare un autocontrollo sulla crescita batterica stessa.
Il mantenimento di una flora “probiotica”, ossia capace di svolgere funzioni vantaggiose per l’organismo ospite,
rappresenta dunque un importante mezzo di difesa nei confronti sia delle infezioni di comuni patogeni (Salmonella
typhimurium, Shigella, Clostridium difficile, ecc.) sia della eccessiva crescita
di microrganismi potenzialmente patogeni (Enterobacteriaceae, Pseudomonadaceae e Micrococcaceae).
Il tipo di alimentazione costituisce,
nell’ambito dei fattori esogeni, una variabile importante specie nei paesi industrializzati, in cui è ridotto l’uso di cibi a
fermentazione naturale che favoriscono
il mantenimento di una flora probiotica.
La ridotta assunzione di carboidrati
nella dieta provoca una riduzione della
flora aerobia (lattobacilli) a vantaggio di
quella anaerobia. L’introduzione di oligosaccaridi non digeribili stimola la cre-
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scita di lattobacilli anaerobi. Una dieta
ricca di fibre contrasta la diminuzione di
Bifidobacterium e l’aumento di Clostridium età-correlati. Alimenti (latte,
yogurt) arricchiti o fermentati con particolari specie di lattobatteri (Lactobacillus rhamnosus), oltre a svolgere un’azione riequilibrante sull’ecosistema sono potenzialmente in grado di stimolare
il sistema immunitario, di migliorare dismetabolismi come l’ipercolesterolemia
e di ridurre disturbi intestinali come la
stipsi e l’intolleranza al lattosio. È stato
anche ipotizzato un effetto protettivo di
questi microrganismi nei confronti del
cancro del colon. Secondo alcuni Autori la somministrazione di preparati a base di lattobacilli contrasta l’accumulo di
tossine uremiche in pazienti affetti da
insufficienza renale cronica in dialisi.
Lo stato di salute dell’ospite condiziona profondamente l’equilibrio dell’ecosistema intestinale.
Più del 50% delle infezioni ospedaliere interessano soggetti ultrasessantacinquenni; nell’85% dei casi
quando vengono colpiti pazienti immunodepressi sono i batteri patogeni potenziali gli agenti responsabili. Alterazioni anatomiche acquisite a seguito di
interventi chirurgici (gastroresezione,
anastomosi, fistole) e modificazioni
funzionali conseguenti all’invecchia-
mento (acloridria, diminuzione della velocità di transito intestinale, riduzione di
IgA secretorie) possono comportare
un’eccessiva crescita batterica a livello
del tenue prossimale. Ciò è frequentemente causa di malassorbimento nell’anziano.
Tra i farmaci, gli antibiotici sono
quelli che più comunemente provocano
un’alterazione dell’ecosistema intestinale che può tuttavia verificarsi anche in
corso di altre terapie, come ad esempio
l’assunzione, per lungo tempo, di H2antagonisti e di inibitori della pompa
protonica.
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