Il problema della qualificazione del rapporto di lavoro nell

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Il problema della qualificazione del rapporto di lavoro nell
Il problema della qualificazione del rapporto di lavoro
nell’esperienza inglese; spunti dalla dottrina
1- Il contesto socio economico: la circostanzialita’ e la prospettiva della common law ; 2 La qualificazione dell’employee in Inghilterra; 3- Spunti dalla dottrina: l’analisi di Mark
Freedland
In questo elaborato si metterà in evidenza il carattere variabile e connaturato alle circostanze
socio-ambientali di ogni relazione di lavoro, al fine di introdurre l’approccio casistico che la
common law ha dato al problema della qualificazione dei rapporti di lavoro. Si riporteranno
poi i contributi della dottrina, e in paricolare il contributo riformista di Mark Freedland.
1.
Il contesto socio economico: la circostanzialita’ e la prospettiva della common law
Il back ground socio economico, legato all’evoluzione dei mercati in senso globale, in cui il
tema della (ri) qualificazione del contratto di lavoro e’ germinato e si sta sviluppando, non ha
bisogno di introduzioni; non di meno si vuole mettere in evidenza un carattere dominante di
questo back ground: mi riferisco al carattere della sua ‘circostanzialita’’, della sua relativita’ e
contingenza.
I mercati del lavoro nell’era della globalizzazione vengono descritti con qualita’ e tendenze
tra loro grandemente contrastanti, oltre che variabili per tempo e luogo. Sul fronte delle scelte
di organizzazione aziendale, abbandonata la scelta della “one best way” che aveva
contraddistinto il trend dello scorso secolo 1 almeno fino agli anni ’70, oggi appare
indispensabile una prospettiva case by case ( teoria della one best fit2), una prospettiva cioe’
circostanziale rispetto all’ambiente economico e aziendale cui si faccia riferimento.
1
Qualche riferimento bibliografico in proposito: F.W. TAYLOR, Scientific Management - Harper & Brother
ed., 1947; H. FAYOL, Direzione Industriale e Generale - Franco Angeli ed., 1961; J.C. MARCH e H.A.
SIMON, Teoria dell'Organizzazione , Edizione di Comunità, 1966; MERTON R.K., Teoria e Struttura Sociale,
Il Mulino, 1959; per uno studio classico WEBER M., Economia e Società - Edizioni di Comunità, 4° vol. 1980.
2
Uno degli studi precursori del cambiamento di paradigma in senso relativista e’ stato quello di J.
WOODWARD, Industrial Organization: Theory and Practise - Oxford University Press – Londra, 1965; per
altri studi di impostazione c.d. contignente si vedano LAWRENCE P.R., LORSCH J.W., Organization and
Nello studio delle dinamiche del rapporto di lavoro, questo grado di relativita’ e’ “aggravato”
da una intrinseca mobilita’/variabilita’ dello stesso rapporto, che si distingue dagli altri
rapporti a carattere economico per implicare un’attivita’ personale come tale mai
completamente codificabile e non comprimibile su canoni fissi, non fosse altro che per il suo
involgere tempi di vita diversi tanto piu’ li si consideri nel lungo periodo, ma anche per il suo
implicare attitudini personali diverse per quanto diverse possono essere le motivazioni
individuali e le aspettative, sia da parte del lavoratore che da parte datoriale.
Se si tiene a mente questo carattere circostanziale (che oggi e’ visibile piu’ di ieri perche’
pare riflettere l’evoluzione del mercato) si comprende meglio perche’ la dottrina giuslavorista
si sia interrogata da sempre e ininterrottamente su cosa debba intendersi con esattezza per
“lavoro subordinato”, su quale sia la forma più pura di lavoro subordinato in un contesto
variabile e mobile come quello del rapporto di lavoro. Il carattere della circostanzialita’
spiega bene perche’ i contratti di lavoro non siano mai stati, e non possano essere, contratti
dettagliati. La lente della contingenza ci fa meglio capire anche il perche’ del fatto che, sia
nella giurisprudenza italiana, sia in quella di altri Paesi a partire dalla Gran Bretagna, si
continui a interrogarsi, senza poter trovare una risposta univoca, su quali siano gli indicatori
della presenza di un contratto di lavoro subordinato: nessuno degli indicatori enucleati dai
giudici ha assunto in se stesso una rilevanza tale da potersi ritenere certa, in sua presenza, la
subordinazione (su questo punto ritorneremo). L’organizzazione industriale tradizionale del
lavoro, con i suoi cicli ripetitivi e le sue catene di montaggio costituiva un riferimento
socio/aziendale su cui e’ stato relativamente facile individuare le forme “pure” della
subordinazione, poiche’ l’industria intesa come contenitore materiale di forza lavoro era un
punto di riferimento solido e definito; in passato poteva accadere che un meccanico svolgesse
per più di dieci anni le stesse mansioni nello stesso stabilimento, pressappoco con lo stesso
orario e le stesse direttive. Viceversa, la non definibilita’ del rapporto di lavoro in un dato
riferimento di luogo, la sua non prevedibilità evolutiva nel medio-lungo periodo, è quanto
Environment. Managing Differentiation and integration - Harvard Graduate School of Business Administration
- Cambridge 1967; J. Purcell, 1999, ''Best Practice and Best Fit: Chimera or Cull-de-sac?'', in Human Resource
Management Journal, 9 (3), 26-41.
Per una analisi economica esplicativa della necessita’ di rapportarsi al carattere multiforme del capitalismo (c.d.
varieties of capitalism approach) con la necessita’ ivi implicata di rivisitare il momento e l’atteggiarsi del
conflitto (che sembra spostarsi dal suo punto tradizionale – quello tra capitale e lavoro – su altri livelli, ad
esempio quello del grado di di regolazione/deregolazione dell’organizzazione del lavoro, dove a seconda delle
rispettive competenze, la forza lavoro tendera’ a prediligere un sistema piu’ o meno regolato) ma anche su altri
concetti importanti nella prospettiva contingente quale quello dell’impossibilita’ di spiegare il cambiamento, si
rimanda a T. IVERSEN, Capitalism, Democracy and Welfare, Cambridge University Press, 2005.
occorre fronteggiare oggi se vogliamo considerare la fattispecie in una prospettiva globale ed
effettiva.
Questo imperativo di circostanzialita’ si scontra naturalmente con l’esigenza di fondare la
normativa sul rapporto di lavoro su di una struttura valoriale solida e tutt’altro che relativa, ed
e’ in questo questo quadro multiforme e mobile ma assetato di valori che si rinnova il
dibattito sulla subordinazione e sulla necessita’ di riformare il diritto del lavoro di
conseguenza.
Il dibattito assume toni diversi e contrastanti: si avvicendano le opinioni di chi avverte nelle
intenzioni riformatrici un appiattimento dei valori che hanno fondato la nascita della materia,
quelle di chi, dall’altro lato, vede nell’attuale apparato normativo un groviglio ingombrante
da riscrivere; è opinione di alcuni che da una aspirazione protettiva del lavoratore contro i
possibili abusi da parte del datore, il diritto del lavoro abbia cambiato rotta per mettersi nei
panni della parte datoriale nelle molteplici forme che essa assume; altri sottintendono che,
piuttosto che avere fatto “volta gabbana”, il diritto del lavoro si sta muovendo nella
considerazione della particolare situazione aziendale in cui si venga a dare e chiedere conto di
correttezza, il che, contate le infinite variabili e le infinite combinazioni con l’ambiente
circostante, non appare piu’ consono, ormai, con una disciplina rigida e unitaria 3.
Se teniamo a mente questo “imperativo della circostanzialita’” è facile concludere che c’è un
pò di verità in tutte queste opinioni. Ma proprio perchè questa circostanzialita’ e’ il terreno su
cui occorre ripensare gli elementi del rapporto di lavoro, potrebbe essere utile rinviare il
giudizio valoriale a un momento logicamente successivo, per dare la priorita’ a una analisi
cognitiva del singolo fenomeno da regolare, e vagliare successivamente la questione sui
principi regolatori. In altre parole, sarebbe opportuno partire da una valutazione delle
circostanze di fatto entro le quali ci troviamo piuttosto che dai principi cui queste sono, o
dovrebbero essere, informate. In proposito è stata spesso affermata dalla dottrina l’esigenza di
3
Tra le tante riflessioni sul rapporto tra economia e diritto del lavoro, e i possibili rischi di un ribaltamento
dell’egemonia economica sopra la regolazione legislativa per il lavoro, si vedano R. DEL PUNTA, L’economia
e le ragioni del diritto del lavoro, in DLRI, 2001/3; L. GALLINO, Il costo umano della flessibilità, 2001, ed.
Laterza, M. GRANDI, Il lavoro non è una merce: una formula da ricordare, in LD, n.4, 1977 p. 557 ss;
P.ICHINO, Il lavoro e il mercato, 1996 ed. Mondadori; con toni scettici, U. CARABELLI, Organizzazione del
lavoro e professionalità: una riflessione su contratto di lavoro e post-taylorismo, in WP C.S.D.L.E. “Massimo
D’Antona”.IT – 5/2003, p.6; S. SMITIS, Il diritto del lavoro e la riscoperta dell’individuo, in DLRL, 1990, p.87;
U. ROMAGNOLI, Per un diritto del lavoro postindustriale, in LD, 1999, p.209. Uno degli studi economici che
più sembra avere condizionato la riflessione dei giuslavoristi italiani e stranieri propensi all’ascolto delle ragioni
dell’economia è quello di R.H. COESE (1988, The firm, the market and the law, University of Chicago Press, 131) sulla teoria dei costi transazionali, secondo cui, in estrema sintesi, dal momento che ogni transazione di
mercato ha un costo, ogni impresa assume necessariamente una struttura gerarchizzata che ha come scopo
quello di contenere questi costi, organizzandosi nel modo piu’ efficiente, quindi organizzando nella maniera piu’
efficiente anche il fattore lavoro.
una priorita’ del diritto sull’economia 4 , un’esigenza che apparententemente contraddice
quanto appena detto sulla necessita’ di partire dall’osservazione del fenomeno socioeconomico e dalle circostanze che lo compongono; ma e’ una contraddizione apparente:
quell’assunto di priorita’ si pone completamente sul livello valoriale, e non nega la priorita’
logica dello studio del fenomeno rispetto ai principi cui si voglia informare la
regolamentazione del fenomeno stesso.
E’ in questo senso che appare interessante il discorso sui percorsi di riforma in un contesto
legale più abituato del nostro al pragmatismo e alla considerazione pratica dei fenomeni e dei
relativi problemi, qual è quello della common law.
L’aspetto che più diversifica le due esperienze legali, infatti, è certamente quello che vede da
un lato la common law costruire se stessa sulla base della valutazione delle dispute reali per
come si presentano davanti ai giudici, dall’altro lato gli ordinamenti continentali di civil law
fondano se stessi sulla fattispecie, quale modello astratto di riferimento per fatti che, si
prevede, si verificheranno nella realtà.
L’esperienza della common law, rispetto a quella di un sistema legale a tradizione codicista
come quello italiano, puo’ offrire un metodo di relazione con la fattispecie che non agisce
considerando astrattamente e ipoteticamente le azioni e gli interessi che costituiscono la
fattispecie, quanto piuttosto un metodo focalizzato direttamente sul caso concreto, guardando
alla fattispecie ex post piuttosto che ex ante, quando la prospettiva ex ante non è per
definizione in grado di considerare le evoluzioni future di quella stessa relazione.
Questo aspetto è di particolare rilievo quando si tratta di affrontare il problema della
qualificazione del rapporto di lavoro.
L’obsolescenza delle categorie del diritto del lavoro, e in particolare della categoria del
lavoro dipendente o subordinato e’ propria dell’esperienza italiana come di quella
anglosassone, non tanto perche’ siano due realta’ economiche assimilabili, ma perche’ sono
realta’ accomunate da un contesto dai contenuti vari e variabili, osservabili da lontano a
grandi linee e da vicino solo attraverso la lente della circostanza e della contingenza.
Anche in Gran Bretagna il nodo piu’evidente, in una prospettiva di riforma della disciplina
del rapporto di lavoro, e’ quello della qualificazione del rapporto alla luce della emersione di
forme variamente definibili atipiche e non pacificamente riconducibili ai modelli tradizionali
del lavoro dipendente.
4
Fonda il proprio ragionamento su una priorita’ logica del diritto sull’economia U. CARABELLI,
Organizzazione del lavoro e professionalità: una riflessione su contratto di lavoro e post-taylorismo, in WP
C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 5/2003.
L’esperienza anglosassone puo’ essere quindi di particolare interesse comparativo, e non
perche’ si guardi ad essa come a un modello di riferimento riformatore in termini valoriali
(anche perche’ il concetto da cui si sono prese le mosse, quello di circostanzialita’, insegna
esattamente il contrario, e cioe’ che non si deve sentirsi alla ricerca di un modello migliore di
un altro: non esiste un modello migliore di un altro, ma piuttosto esiste l’utilita’ di vagliare i
diversi elementi che costituiscono una data esperienza perche’ potrebbero essere fruibili in
questo o quest’altro contesto, se non oggi domani o se non domani un altro giorno5).
Il concetto di contingenza e’ piu’ vicino ai caratteri che contraddistinguono l’ esperienza
giuridica anglossassone (struttura prevalentemente giurisprudenziale, approccio dottrinale
piu’ pragmatico) di quanto non lo sia l’esperienza giuridica continentale. 6
In una prospettiva di riforma delle forme di lavoro che sia attenta alle condizioni di tutti i
soggetti coinvolti nel caso ad hoc, dal lavoratore al datore di lavoro, alle parti sociali gia’
interessate o da coinvoglere, comprese le istituzioni pubbliche, l’approccio casisitico
dell’esperienza anglosassone puo’ essere foriero di numerose riflessioni appunto per il suo
evolversi non su basi astratte (codicistiche), ma su basi concrete, su contenziosi specifici che
hanno via via fatto emergere, dalla cognizione del fenomento da regolare, il reticolo
normativo di riferimento.
L’affermarsi di numerose norme di matrice giurisprudenziale e’ del resto un fenomeno
parimenti riscontrabile in Italia7, a conferma di quanto la materia lavoristica porti con se’ uno
5
Lo studio comparato assume in generale una particolare rilevanza nella prospettiva riformista stante il suo
carattere scevro da nazionalismi, ideologismi, “teorie e preconcetti formalistici che siano di ostacolo alla
considerazione dei problemi nella loro realita’ e nella ricerca di soluzioni nel massimo grado possibile di
effettivita’”, così B. CARUSO, Changes in workplace and the dialog of labour scholars in the global village,
http://www.law.uiuc.edu/publications/cll&pj/archive/vol_28/issue_3/CarusoArticle28-3.pdf.
6
Naturalmente la prospettiva di comparazione con la realta’ anglosassone deve fare i conti con gli aspetti di
struttura costituzionale; i sistemi di common law, prevedendo la regola della vincolativita’ del precedente,
implicano una partecipazione del corpo giudiziario alla funzione normativa come in Italia non puo’ esser
concepita. L’altro elemento che deve essere tenuto in mente nello studio comparato del sistema inglese è
l’assenza di una costituzione scritta, il quale legittima ulteriormente il ruolo strutturalmente e
fondamentalmente determinante della giurisprudenza, che, al pari del legislatore, è chiamata a dare corpo
all’insieme dei principi costituzionali che pur fondano la società.
7
E’ infatti noto che, malgrado il sistema Italiano non si fondi sulla regola dello stare decisis, non di meno la
normativa lavoristica puo’ dirsi integrata in molti suoi istituti centrali dalla forza persuasiva di decisioni prese
dalla Suprema Corte di Cassazione (si pensi al regime della determinazione delle retribuzioni sufficienti e
proporzionate ex art. 36 Cost. che la giurisprudenza della Cassazione ha, ormai consolidatamente, collegato al
livello retributivo dei contratti collettivi, si pensi alla specificazione delle legittime cause di licenziamento per
giusta causa e giustificato motivo dove non direttamente collegabili a fatti prestabiliti da codici disciplinari o dai
contratti collettivi, si pensi al regime del licenziamento disciplinare per i dirigenti, si pensi alla disciplina
dell’indennita’ di ferie, si pensi ai vari aspetti del regime del decorso della prescrizione in presenza di diverse
tipologie contrattuali, o in presenza di una pluralita’ di contratti di lavoro a termine stipulati con lo stesso datore
di lavoro etc.. ).
strato di generalita’ e astrattezza ineliminabile che va di pari passo con un ruolo forte degli
organi giudicanti: sono i giudici, o gli arbitri 8o gli organi di conciliazione, posti di fronte
alla disfunzione o al conflitto nel caso concreto, che possono svolgere una funzione non solo
regolatrice ma anche potenzialmente direttiva sul fronte normativo, che sia la piu’ sostanziale
e precisa, quindi anche la più giusta9.
Il concetto di circostanzialita’, se posto nella prospettiva degli interventi normativi de iure
condendo, potrebbe evocare il concetto di flessibilita’, quello di deregolamentazione, magari
quello della soft law (modalita’ varie di alleggerimento delle norme lavoristiche), ma vale la
pena di sottolineare che si tratta di concetti e fenomenti tra di loro lontani e che non
implicano ontologicamente l’una gli altri, mentre anzi un loro avvicinamento superficiale
puo’ essere fuorviante. L’intervento normativo tradizionale, sia esso nazionale o europeo, si
pone infatti su di un piano direttivo che informa il contegno delle parti da lontano, e che
quindi si colloca in un momento successivo rispetto al riconoscimento delle realta’ e delle
circostanze che chiedono di essere regolate.
2. La qualificazione dell’employee in Inghilterra10
In estrema sintesi, al fine di introdurre l’analisi che segue, si puo’ ricordare che il rapporto di
lavoro si e’ originato e sviluppato nel sistema Inglese essenzialmente sulla forma di una
liberta’ contrattuale (role of freedom of contract) dal lato di ambo le parti: da un lato la libertà
di svolgere una data attivita’ o prestazione di servizio, dall’altro lato la libertà di ricevere
detta prestazione in cambio di una remunerazione.
8
Il sistema di soluzione arbitrale delle controversie di lavoro, introdotto in Inghilterra e incentivato soprattutto
nel contesto della ACAS (Advisory, Conciliation and Arbitration Service) e CAC (Central Arbitration
Committee) in qualità di agenzie statali, è, come anche in Italia, lontano dal giocare un ruolo effettivamente
importante e sostitutivo delle consuete vie giudiziarie S.DEAKIN & G. MORRIS, Labour law, 2005, Hart
Publishing, p. 92-98.
9
Nel convegno tenutosti a Roma il 17 dicembre 2007 dal titolo “Controversie romane sulla qualificazione del
rapporto di lavoro dopo l’introduzione del contratto a progetto” è stata sollevata una nota critica verso il c.d.
“empirismo della giurisprudenza”, che risulta come un contraltare dello stato normativo in questione, e che
dimostra, viceversa, un’atteggiamento scettico verso il potere normativamente incisivo degli organi giudicanti.
10
Nel fare una succinta sintesi di alcuni istituti della normativa anglosassone che potranno tornare utili al tema
di questo approfondimento, occorre premettere che si procedera’ talvolta nell’uso improprio di alcuni termini e
definizioni, i quali in genere non hanno una corrispondenza esatta nei linguaggi giuridici italiano e inglese. Non
di meno si vuole “giustificare” qualche occasionale uso improprio di termini allo scopo di provocare una
riflessione sulle analogie e sulle similitudini tra una tradizione e l’altra senza frapporre in tal senso una formale
incomunicabilita’ legata alle differenze linguistico-giuridiche.
Le parti hanno visto progressivamente ridursi il proprio raggio di autonomia sia nei contenuti,
sia nella possibilita’ di recesso, in virtu’ di interventi legislativi di matrice sociale (statutes)
che hanno mirato a tutelare la parte debole, ritenuta tale non solo per via della (maggiore)
dimensione che puo’ assumere il datore di lavoro controparte che sia in procinto di assumere
o che abbia gia’ assunto, ma anche perche’ e’ piuttosto raro che il lavoratore abbia mezzi
economici tali da potersi definire ‘non necessitato’ al lavoro11. In altre parole, la legge e’
intervenuta a tutela di un soggetto che, potendo raramente permettersi di non lavorare,
necessita di una protezione contro possibili arbitri e abusi della parte datrice di lavoro.
Da una prospettiva di rapporti tra fonti normative, quindi, il contratto di lavoro e’ nato e si e’
sviluppato nella common law (nella giurisprudenza), nella quale sono perciò rinvenibili le
norme regolative garanti della correttezza contrattuale,
mentre l’intervento di fonte
legislativa e’ sopravvenuto rivestendo un ruolo essenzialmente protettivo della parte ritenuta
debole, e quindi limitativo dell’autonomia sul fronte datoriale.
Vincoli alla liberta’ contrattuale individuale derivano naturalmente anche dalla contrattazione
collettiva (collective bargaining).
collettiva
sulla
liberta’
Notoriamente il raggio vincolante della normativa
individuale
assume
in
Gran
Bretagna
una
dimensione
quantitativamente inferiore rispetto a quanto non succeda nei Paesi a tradizione continentale,
pur provenienti da una cultura di libero mercato, in virtu’ di una tradizione sindacale diversa,
normativamente e quantitativamente meno incisiva sebbene socialmente non di meno sentita
proprio in virtu del suo carattere volontario.
E’ in questo quadro che si deve collocare la definizione di employee, il relativo
corrispondente del nostro lavoratore subordinato; essa trova qui una definizione normativa
non paragonabile al nostro art. 2094 c.c12: nel contesto dello Employment Relations Act (ERA
1996) l’employee e’ infatti definito in maniera tautologica, come se si trattasse di un
contenitore vuoto, dal momento che viene descritto come:
11
S. DEAKIN & G.S. MORRIS, Labour Law, Hartpublishing 2005, p. 121, sottolineano questo aspetto
riportando l’osservazione di Adam Smith secondo cui “many workmen could not subsit a week, few could subsit
a month, and scarce any a year, without employment. In the long run, the workman may be as necessary to his
master as his master to him; but the necessity is not so immediate”.
12
Art. 2094 c.c. “E’ prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare
nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione del datore di
lavoro”.
“colui che si presti a un rapporto contrattuale di lavoro, definibile come un rapporto di
servizio o di apprendistato, espresso o implicito, scritto oppure orale”13.
Si tratta di una definizione priva, evidentemente, di un contenuto concettuale sostanziale, una
definizione normativa che non fa nessun esplicito riferimento al concetto della
subordinazione (concetto che invece fonda la “norma corrispondente” italiana). Non sara’ per
tanto nella lettura di questa norma (coerentemente con una tradizione estranea alla
codificazione e quindi alla qualificazione preventiva degli elementi della fattispecie) che
potra’ dirsi rinvenibile il criterio distintivo del rapporto di lavoro subordinato tradizionale.
Il concetto di employee e’ fatto derivare dal concetto di contract of employment, dove il
termine di “employment” e’ appunto quanto contraddistingue un rapporto di lavoro inteso in
senso tradizionalmente subordinato, e quindi diverso da un generico work contract (rapporto
di lavoro).
La figura degli employees è stata tenuta distinta nella letteratura giuridica e nella
giurisprudenza dalla figura degli independent contractors 14 (lavoratori autonomi), ma anche
da altre figure affini di lavoratori; la dottrina individua come figure affini, ma distinte
dall’employee, quella del trainee o apprentice (apprendista), quella del self-employeed
(fornitore di prestazioni personali di lavoro semidipendente, categoria forse la piu’ vicina a
quella italiana dei lavoratori genericamente definibili atipici, co.co.co, lavoratori a progetto
etc.), quella dello homeworker (lavoratore domestico) quella dello agency worker (lavoratore
interinale) quella del voluntary worker (volontario) e infine quella dello worker of the public
sectors (lavoratori dei settori pubblici, dai ministri di culto ai parlamentari e cosi’ via..).
Un concetto che recentemente sta cominciando ad avere una importanza e una rilevanza
giuridica autonoma sulla via verso una (ri) qualificazione dei rapporti di lavoro, e’, in
Inghilterra, quella di “worker”, dal momento che tanto la giurisprudenza quanto la dottrina
inglesi sembrano orientate, anche sull’onda di una giurisprudenza europea che tende a
conferire analoga autonomia al concetto di worker, a collegare a questa definizione più ampia
di lavoratore una serie di diritti altrimenti attribuibili alla categoria ristretta di employee. E’
stato efficacemente sostenuto15 che l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale inglese abbia
13
“An individual who has entered into or works under … a contract of employment”; “the contract of
employment is (a sua volta) a contract of service or apprienticeship, wheter express or implied and (if espressed)
whether oral or in writing”. Employment Rights Act 1996, 230, 1 e 2.
14
A volte si trova il riferimento agli independent contractors come titolari di un contract “ for” service
piuttosto che di un contract “of” service, quest’ultimo invece riferibile a un rapporto dipendente.
15
G.DAVIDOV, Who’s the worker?, in Industrial Law Journal, Vol. 34, n. 1, 2005, p.57.
fatto essenzialmente confluire la nozione di lavoro semi-dipendente (il corrispondente del
nostro lavoro atipico), in quella più generica di lavoratore (worker), considerata quest’ultima
come una categoria più ampia e capace di contenere non solo il concetto classico e
tradizionale di lavoratore dipendente (employee) ma anche forme atipiche di lavoro per loro
natura non rigidamente definibili.
3. Spunti dalla dottrina: l’analisi di Mark Freedland
La questione sulla qualificazione del rapporto di lavoro, date le sempre più sfumate opzioni
tra forme di lavoro autonomo e forme di lavoro dipendente, si è proposta nel Regno Unito
(come negli altri paesi a tradizione anglosassone) in maniera sostanzialmente non dissimile
da come si è posta in Italia.
Ci soffermeremo sul contributo che la dottrina inglese ha dato e sta dando al problema. In
particolare, anche al fine di un contributo che non sia limitato alla sola prospettiva nazionalebritannica, ci sembra di rilievo lo studio che fa capo a Mark Freedland, la cui analisi e’
apprezzabile da una prospettiva di civil law pur avendo trovato nella common law inglese il
suo fertile terreno natale.
Questa dottrina si inserisce tra le altre di altrettanto momento che da anni stanno dando vita al
dibattito sui possibili percorsi di riforma del dritto del lavoro. In particolare si richiama
l’approccio riformatore che fa capo alla dottrina di Bob Hepple degli anni ottanta, che forse
per primo si è opposto all’orientamento più tradizionalista che mirava invece a negare
l’esigenza di una riforma strutturale della materia. L’ orientamento tradizionalista intendeva
lasciare intatte le strutture portanti del diritto del lavoro esistente (centralità del contratto di
lavoro subordinato e relativa disciplina, interventi occasionalmente finalizzati ad estendere le
tutele ad altre forme atipiche di lavoro), considerando il contratto di lavoro dipendente
(employment contract) come la forma normale di rapporto, e concludendo di lasciare fuori dal
raggio protettivo (ovvero dalle tutele previste prevalentemente degli statutes) i rapporti di
lavoro che non manifestino le caratteristiche ritenute indicative della subordinazione
tradizionale16. Di questa impostazione “conservatrice” possiamo trovare delle tracce sia negli
16
Qualche autore ha definito questa impostazione come quella preferita dalla cultura economica classica, che
descrive i diritti dei lavoratori come un limite al buon funzionamento del libero mercato. P. DAVIES (2004)
Perspectives on Labour Law, Cambridge University Press, richiamato da J. DUDDINGTON (2007)
Employment Law, 2nd ed. Pearson Longman, p. 48.
sviluppi legislativi italiani, sia negli sviluppi legislativi inglesi. Sul fronte italiano la riforma
del 2003 ha mantenuto infatti ferma la posizione centrale del contratto di lavoro subordinato,
preferendo introdurre al suo fianco formule contrattuali alternative cui sono stati nondimeno
connessi livelli di tutela “attenuati”; in particolare il problema dell’ area grigia dei lavori
parasubordinati è stata fronteggiata in Italia con l’introduzione del contratto a progetto,
collocato timidamente dalla dottrina sul versante del lavoro autonomo17 . Sul fronte inglese
questa reticenza a mantenere ferma la struttura portante tradizionale del diritto del lavoro
(employment law) è forse cio’ che ha legittimato il legislatore a introdurre una disposizione
come quella della Sezione 23 dello Employment Act del 199918, la quale attribuisce al potere
ministeriale facoltà di emanare provvedimenti ad hoc per la tutela di specifici gruppi di
lavoratori che, non rientrando nelle categorie protette, potrebbero, date le circostanze, trovarsi
non di meno in una posizione che sia opportuno tutelare.
L’impostazione di stampo riformista che fa capo agli studi di Bob Hepple19 ha come punto di
rilievo il superamento della concezione contrattualista del rapporto di lavoro, nella preferenza
di una impostazione riconducibile a posizioni soggettive di status. Stando a quest’ultima
impostazione, diritti e doveri del lavoratore e del datore di lavoro deriverebbero non tanto
dall’accordo tra le parti private, quanto dall’ordinamento costituito, che si esprime
essenzialmente attraverso le leggi dello Stato o di altri enti deputati a regolare “dal di fuori” il
contratto individuale20. Un simile approccio riformista implica un massiccio intervento da
17
Per una esposizione dei percorsi dottrinali italiani sul problema della qualificazione si richiama V.SPEZIALE
(2007), Il lavoro subordinato tra rapporti speciali, contratti atipici e possibili riforme, WP CSDLE Massimo
D’Antona IT, 51/2007.
18
Employment Relation Act 1999, Sec. 23 Power to confer rights on individuals.
1) This section applies to any rights conferred on an individual against an employer (however defined) under or
by virtue on any of the following [Trade Union and Labour Relations – Consolidation – Act 1992; Employment
Rights Act 1996; Employment Act 2002; Employment Relations Act 1999; any instrument made under section
2(2) of the European Community Act 1972]
2) The Secretary of the State may by Order make provision which has the effect of conferring any such right on
individuals who are of a specified description.
3) The reference in subsection 2 to individuals includes a reference to individuals expressly excluded from
exercising the right.
4) An order under this section may: A provide that individuals are to be treated as parties to workers’ contracts
or contracts of employment, B make provision as to who are to be regarded as the employers of individuals, C
make provision which has the effect of modifying the operation of any right as conferrend on individuals by the
order; D include such consequential, incidental or supplementary provision as the Secretary of the State may
thinks fit.
19
20
B. HEPPLE (1986) Restructuring Employment Rights, 15, Industrial Law Journal, 69
Occorre premettere che in Italia il dibattito sulla natura contrattuale o non contrattuale del rapporto di lavoro
si è posta con sfumature diverse rispetto a come si e’ posta nel Regno Unito, in virtù del diverso ruolo e della
diversa sistemazione dei sindacati nell’ordinamento italiano rispetto a quello inglese: la dottrina a-contrattualista
ha coinciso in Italia con le posizioni di ispirazione sindacale che mirano a sminuire il controllo statale. La
parte del Parlamento; starebbe al potere legislativo lo stabilire, in primo luogo, quale sia il
raggio dei rapporti di lavoro che siano ritenuti meritevoli di protezione. Lo Statuto dei
lavoratori italiano del 1970 è dato come un esempio di questa impostazione21, sebbene riferito
a una realta’ socio-economica superata. Una possibile base per una ricostruzione del diritto
del lavoro in termini di statuto in Gran Bretagna è rinvenuta da taluni nello “Working life
paper” del 1996 pubblicato dallo Institute of Employment Law22. Cio’ che appare risolutivo,
di questa impostazione, è la possible individuazione di un nucleo duro di tutele insieme a un
insieme di tutele minori da estendere oltre il rapporto tradizionale di lavoro. Quello che non
appare altrettanto chiaro è quali siano i rapporti di lavoro cui le tutele, così come da
redistribuire e modulare, dovrebbero applicarsi.
L’approccio che fa capo alle analisi di Freedland si distingue dai due cui abbiamo appena
fatto cenno sotto due profili: rispetto all’impostazione tradizionale, questo mira a scardinare
l’impianto legale esistente ed è quindi una dottrina strutturalmente riformista. Dall’altro lato,
rispetto alle tesi “statutarie”, essa supera il dibattito tra natura contrattualista e a-contrattulista
(o statutaria) del rapporto di lavoro, anche nella acquisita consapevolezza che si tratti di un
dibattito connaturale al diritto del lavoro, che come tale si riproporrà continuamente come si
ripropone un tema politico. Si parla qui, non di meno, di una codificazione che riscriva le
relazioni di lavoro, ma la natura contrattuale dei rapporti di lavoro non viene sminuita, ma
semmai sottolineata. In oltre viene fatto ampio riferimento alla common law come
contenitore insostituibile di esperienza appunto ai fini della qualificazione dei diversi
contratti di lavoro.
Questa impostazione ha un carattere dinamico e parte dalla considerazione che il rapporto di
lavoro subordinato abbia una natura e un carattere tale che non può essere ricondotto a una
categoria unitaria. L’insieme delle persone che svolgono un’attività lavorativa e che sono per
dottrina contrattualista ha coinciso con le opposte posizioni sostenitrici del ruolo inglobante dell’ordinamento
statale. Un diverso contesto culturale ha fatto insomma da ambiente alla medesima questione di fondo, che è
quella dei limiti esterni all’autonomia delle parti private (individuali o collettive). Per riscontrare come la
tradizione italiana abbia posto l’impostazione a-contrattuale al potere dei sindacati si veda in pirmo luogo
G.GIUGNI, Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Giuffrè, 1960.
21
K. WEDDERBURN (1991) Employment rights in Great Britain and Europe: selected papers in Labour Law,
Lawrence and Wishart p**
22
J. DUDDINGTON (2007) Employment Law, 2nd ed. Pearson Longman, 49, gives the “Working Life” paper as
published by the Institute of Employment Law in 1996 as a possible base to do that, since that document recalls
the “core of rights” in the employment relationship to be applied “to all who work under a contract to
personally execute any work or labour and who are economically dependent on the business of the other”.
questo degne di vedersi attribuita una tutela da parte dell’ordinamento, è riconosciuta come
irriducibile a una categoria sola, ed e’ difficilmente contenibile anche in un insieme di
categorie. E’ per questo preferibile adottare un “ piecemeal approach”
un approccio
frammentario capace di abbracciare le differenti ipotesi di lavoro piu’ o meno dipendente.
Questa impostazione è definita da qualcuno come l’impostazione di fatto predominante nel
sistema legale inglese23; in proposito, qualche prova del fatto che nel Regno Unito si abbia in
mente una “varietà variabile” nel riferirsi ai rapporti di lavoro, piuttosto che a categorie rigide
e stabili, può essere trovata nell’evoluzione della common law sul punto dei criteri rivelatori
della subordinazione, nonchè, quanto agli atti del Parlamento, anche nella stessa ratio della
già citata Sezione 23 della riforma del 1999.
La versione più sintetica dell’analisi di Freedland è da ritrovarsi nell’articolo “From the
personal work contract to the personal work nexus” del 200624 .
Nell’ottica di riportare in sintesi il pensiero dell’Autore è opportuno precisare come si tratti
ancora di un progetto di ricerca, più che di una analisi conclusiva e definita, la quale segue
per altro un impegno di studio che risale alla monografia intitolata “The contract of
employment” del 197625.
Quel libro del ’76 era finalizzato alla descrizione dei maggiori principi regolatori del rapporto
di lavoro in Inghilterra, esso aveva il chiaro scopo di descrivere una struttura unitaria, ovvero
il complesso di diritti e doveri come riconducibili ad una unica categoria contrattuale, come il
contratto di lavoro subordinato poteva, all’epoca, essere definito.
“When I was writing about the contract of employment in the 1970s, I was doing so in the
profound belief that it was useful to try to write a general exposition of the principles of the
law governing what seemed to me to be a single or united contract type for the employment
relations in which I was interested as a labour lawyer” (M.Freedland, 2006)
Con l’approssimarsi del nuovo secolo, Freedland dichiara di avvertire il bisogno di una
completa riscrittura del suo libro, in virtù delle evoluzioni socio-economiche e delle relative
novita’ provenienti dagli atti del Parlamento e dagli adattamenti della common law. Le nuove
forme contrattuali sono intrise l’una dell’altra e la sfida del diritto del lavoro è quella di una
formulazione di categorie giuridiche che siano adattabili alle fattispecie multiformi e variabili
che la realtà socio-economica rappresenta.
23
J. DUDDINGTON (2007) Employment Law, 2nd ed. Pearson Longman, p. 49
24
Industrial Law Journal (2006) 35, 1
25
M. FREEDLAND (1976) The contract of employment, Oxford University Press.
Nel libro “The Personal Employment Contract” del 2003 26 l’Autore ha comiciato il suo
lavoro di “risistemazione” con la forte consapevolezza che si trattava di domare un quadro
indefinito e una ambiguità concettuale elevate.
Una delle nuove ambigue categorie con le quali l’Autore ha ovviamente dovuto relazionarsi è
quella di “worker”, come categoria comprensiva di lavoratori che abbiano contratti di lavoro
diversi dal tradizionale employment contract
27
e tendenzialmente ricondotti dalla
giurisprudenza alle ipotesi di semi-subordinazione.
La consapevolezza di non poter più descrivere il quadro dei rapporti di lavoro in una
categoria unitaria ha condotto a fare “un salto”, un salto verso il riconoscimento di una
“famiglia di rapporti di lavoro variamente correlati gli uni agli altri” in luogo di una categoria
unitaria
“A shift from unified analysis of the contract of employment to the recognition of a diverse
though inter-linked family of personal work contracts”.
E’ in questo momento centrale del pensiero analitico dell’Autore che può essere rinvenuta la
sua più interessante intuizione, ovvero la necessità di superare il tradizionale binario divisorio
tra lavoro dipendente e lavoro autonomo. Questa tradizionale dicotomia, presente
notoriamente in tutti gli ordinamenti giuslavoristi, potrebbe essere foriera di discussioni non
utili alla causa della ricerca di categorie adattabili alla nuova realtà dei mercati del lavoro e,
di conseguenza, alla causa della giusta redistribuzione delle tutele. Il punto della necessita’ di
superare questa dicotomia e’ acquisito dalla dottrina italiana sicuramente sotto un profilo
empirico, legato al proliferare di forme di lavoro atipiche, ma forse non puo’ dirsi altrettanto
sotto un profilo concettuale e teorico28.
Freedland è ben consapevole “negare la dicotomia tradizionale” come un preliminare della
sua analisi potrebbe costituire un azzardo all’impianto lavorista, quale tradizionalmente
fondato sul concetto della protezione del lavoratore subordinato. Anche in virtù di questa
consapevolezza, l’analisi assume un carattere rigorosamente analitico. Essa viene presentata
come uno “i” e non come un punto di arrivo, e chiede di essere testata, migliorata, e magari
26
M. FREEDLAND (2003), Oxford University Press
27
M. FREEDLAND (2003), The Personal Employment Contract Oxford University Press, p.30 e ss.
28
Auspicano uno Statuto dei lavoratori che superi la tradizionale dicotomia tra lavoro dipendente e lavoro
autonomo M.BIAGI (Continuato da) e M.TIRABOSCHI, (2007) Istituzioni di diritto del lavoro, IV Ed., Giuffre
Editore, p. 139.
implementata attravero la discussione e il contribuito degli studiosi della materia29, i quali
saranno impegnati nella ricerca di un modello giuridico adattabile alle nuove realtà del lavoro
ancora per un tempo prevedibilmente lungo.
Siamo tanto piu’ in grado di comprendere e apprezzare l’analisi di Mark Freedland quanto
più riusciamo a fare una sorta di tabula rasa di quella che è la struttura tradizionale (inglese
ma anche italiana) che disciplina il rapporto di lavoro. Definizioni e principi tradizionali non
vanno perduti, essi torneranno utili in un secondo momento. In un primo livello di analisi il
riferimento alle (obsolete) categorie tradizionali può essere foriero di fraintendimenti.
Come primo passo, possiamo immaginare di essere non (ancora) davanti a una nuova teoria
sulle categorie del rapporto di lavoro, ma piuttosto, semplicemente, presi dall’osservazione
della realtà socio-economica per come essa si presenta ai nostri occhi. Questo atteggiamento
mentale è quello tipico e naturale del giurista di common law; il giurista di civil law, abituato
a trattare direttamente con categorie astratte piuttosto che con il caso singolare, può trovarsi
più disorientato.
Lo scopo dell’Autore non è quello di dare nuove classificazioni pronte per l’uso. Più
ambiziosamente, egli si propone di definire, a monte, delle categorie concettuali nuove:
nuove categorie consentiranno di riqualificare le fattispecie contrattuali osservabili nel tessuto
sociale. In questo modo si pongono le basi per una riallocazione delle tutele, la quale sarà di
conseguenza piu’ vicina e appropriata alle nuove forme di lavoro.
In altre parole, quanto viene offerto è, possiamo figurarci, una sorta di matrice, entro le cui
assi sono disposte le diverse forme contrattuali: essa e’ comprensiva sia delle forme di lavoro
autonomo sia delle forme di lavoro dipendente; gli elementi di questa matrice saranno ciò che
consente di distinguere una forma dall’altra. Il contratto di lavoro dipendente è uno dei
modelli contrattuali ricompresi, e certamente anche quello numericamente più rilevante nella
realtà Britannica, ma al suo fianco vengono poste varie altre fattispecie che a tratti
partecipano, a tratti non partecipano, degli elementi del modello tradizionale.
Quanto proposto da questo studio non ha pertanto nulla a che vedere con la disciplina dei
contratti di lavoro, nè ha nulla a che vedere con i contenuti delle tutele che si considerino
opportune per i “moderni” contratti di lavoro. Piuttosto è uno schema concettuale ancora
rudimentale (tutto da affinare attraverso il dibattito giuridico) entro il quale racchiudere le
differenti possibili forme di lavoro rimanendo prossimi e flessibili alla considerazione delle
29
Su questa linea si veda S. DEAKIN (2007) Does the personal employment contract provide a basis for the
reunification of employment law? In Industrial Law Journal, 36, n. 1, p. 68.
circostanze del rapporto in questione. Questo schema potrebbe rappresentare una prima bozza
per una possibile nuova teoria generale sui rapporti di lavoro in una prospettiva non solo
nazionale, ma anche comparata.
La “matrice” di Freedland, così come aggiornata nel 2007 30 e fondata sulla nozione di
“personal employment contract” è strutturata su due concetti portanti: il primo è quello di
“family of personal work contracts” che potrebbe essere tradotto come “famiglia o gruppo dei
rapporti di lavoro a carattere personale (ovvero l’insieme) e quello di “work personal nexus”,
che potremmo tradurre come il “nesso contrattuale specifico” (ovvero cio’ che definisce la
relazione tra gli elementi dell’insieme di cui sopra).
Il concetto di “nesso contrattuale specifico” è quello inteso a fornire un primo rudimentale
riferimento atto A) a distinguere una relazione contrattuale dall’altra e B) a verificare cosa le
accomuna.
Una possibile definizione degli elementi concreti in grado di distinguere o
accomunare un contratto rispetto l’altro (es. dimensioni dell’impresa o delle imprese,
distribuzione del rischio di impresa, modalità del controllo/direzione
della
prestazione personale, e così via), potrebbe costituire la base per una rilettura
radicale dei rapporti di lavoro e quindi delle connesse discipline e tutele.
Nello scoprire questa grande famiglia dei rapporti personali di lavoro, ci accorgiamo bene che
l’idea dell’Autore muove dal presupposto che non solo il concetto di employee (lavoratore
subordinato) deve essere oggetto di riconsiderazione, ma anche il concetto di datore di lavoro
è chiaramente considerato obsoleto e non più capace di congliere, nella sua terminologia
tradizionale, elementi di fatto fortemente distintivi tra un rapporto e l’altro. Basta pensare alla
differenza che esiste tra imprese in base al requisito dimensionale, all’oggetto sociale, in base
al tipo di rapporto (diretto o intermediato) tra datore e lavoratore31 e cosi’ via.
Procedendo nell’osservare la varietà dei casi nella realtà socio-economica Britannica, che
vediamo non essere affatto lontana in questo da quella italiana, Freedland sottolinea anche
altri fattori che possono non di meno contraddistinguere la relazione di lavoro. Non solo il
tipo di subordinazione che lega il lavoratore al datore, e non solo la natura dell’impresa
30
M. FREEDLAND (2007) Application of labour and employment law beyond the contract of employment, in
International Labour Review, Vol., 146, no. 1-2
31
Per esempio l’appalto genuino di servizi ex art. 29 Dlgs. 276/2003 per la tradizione italiana o l’agency work ai
sensi degli Employment Agency Act 1973 e Conduct of Employment Agencies and Employment businesses
Regulations 2003 per la tradizione britannica, il distacco dei lavoratori ai sensi della normativa comunitaria
(Direttiva 1996/71).
datore di lavoro, ma anche fatti ulteriori dovrebbero non di meno fondare una specifica
considerazione giuridica della fattispecie: si tratta della a) durata e continuità del rapporto di
lavoro (duration and continuity of employment), b) il carattere più o meno personale della
collaborazione (personality of employment), c) lo scopo o la motivazione (purpose or
motivation).
Il primo elemento non necessita di molte spiegazioni: esso porta solo l’interprete a
considerare che la durata e la continuità di un rapporto di lavoro è un fattore essenziale nel
distinguere tra un contratto di lavoro e l’altro ai fini della tutela. L’elemento della personalità
è relativo al quantum di collaborazione di tipo personale fornita dal lavoratore, data la
possibilità di forme contrattuali in cui il lavoratore può avvalersi di collaboratori o può farsi
sostituire.
Lo scopo del contratto di lavoro, da un punto di vista minimo e essenziale, è quello della
fornitura di un servizio in cambio di una remunerazione. Nel suo lavoro del 2003 Freedland
ha descritto questo punto come il primo basico livello di contrattazione. Questo primo livello
è quasi sempre accompagnato da ulteriori o diversi livelli di accordo: non solo i contratti a
contentuto formativo presentano un evidente finalità diversa e ulteriore, ma la stessa cosa può
essere detta per i contratti nel pubblico impiego, per il settore del volontariato, per il lavoro
artistico o per le opere innovative e così via.
Se tutti gli elementi come appena riportati (e non si deve pensare a un elenco esaustivo)
possono essere considerati come fattori determinanti nella distinzione di un rapporto di lavoro
rispetto all’altro, è ora forse più chiaro come il concetto di work personal nexus (nesso
contrattuale specifico) possa costituire un contenitore capace di correlarli, di dare loro una
sistemazione.
Sulla base degli elementi riportati l’Autore ha recentemente tentato la configurazione grafica
della “famiglia dei contratti di lavoro”, nell’ottica di dare maggiore concretezza e percezione
della sua idea.
E’ stata infatti pubblicata un’analisi empirica che fotografa il probabile scenario socioeconomico delle relazioni individuali di lavoro, essa indica almeno sei categorie di contratti.
Ancora una volta vale la pena ricordare che si tratta di una analisi non tanto atta a fornire una
dimostrazione definitiva, quanto piuttosto mirata a provocare il dibattito verso ulteriori
riflessioni, perchè sia perfezionata, aggiustata, corretta, e magari implementata.
Le sei forme di lavoro, le forme contrattuali prevalenti, potrebbero essere le seguenti:
1)
standard employees - lavoratori dipendenti standard
2)
public officials - lavoratori con rapporto piu’ o meno privatizzato32
3)
liberal professionals - lavoro dei liberi professionisti
4)
individual enterpreneurial workers - lavoro personale dei lavoratori autonomi (c.d.
freelances, consulenti etc.)
5)
marginal casual workers - lavoro personale ti tipo marginale (lavori a tempo
determinato, lavoro occasionale, lavoro part-time, lavoro volontario)
6)
labour market entrants - lavoro personale “di entrata” (apprendisti, stagisti)
L’approccio di Freedland e’ convincente nel suo voler approdare a un vero e proprio
restatement delle categorie del rapporto di lavoro che parta dalla ricerca di tratti comuni e
riconoscibili nell’osservazione delle fattispecie.
32
Qui si richiamano, sul fronte italiano, le posizioni c.d. non contrattualizzate dei lavoratori del pubblico
impiego(Testo Unico sul Pubblico Impiego: Dlgs 165/2001, art. 3).
E’ nella consapevolezza dell’Autore il fatto che una simile analisi, sebbene ancora in fase
embrionale, possa di fatto fronteggiare alcune delle maggiori problematiche nell’attuale
disciplina dei rapporti di lavoro.
In primo luogo la sua analisi ha il merito della estensione del raggio di competenza del
diritto del lavoro al di la’ del rapporto di lavoro subordinato, senza la sottovalutazione dei
rischi connessi (che derivano dall’accoglimento di aree disciplinari tradizionalmente
estrenee alla ratio fondante del diritto del lavoro, alias la protezione del lavoratore nella sua
debolezza contrattuale).
L’analisi di Freedland non nega infatti il bisogno di tutela per le posizioni contrattuali ritenute
piu’ autonome, quindi meno deboli, dal momento che si tratta di una analisi che non si pone
sul versante politico della redistibuzione delle tutele, ma su quello analitico del
riconoscimento delle fattispecie.
In secondo luogo l’Autore convince sotto il profilo della causa per il perfezionamento del
diritto del lavoro, in tempi di necessaria ridefinizione e ammodernamento.
Infatti, una volta riconosciute le diverse forme contrattuali al di la’ del binario divisorio e
fuoriviante della opzione “lavoro subordianto o lavoro autonomo”, e una volta superata anche
la rigidita’ che vede da un lato la disciplina derivante dalla common law e quella derivante dal
legislatore, risultano chiari i seguenti punti evolutivi:
1) migliore comprensione delle differenze esistenti tra le diverse categorie di contratti di lavoro,
al fine di elaborare una disciplina ottimale.
Come esempio di questo risultato Freedland menziona il caso della legislazione sul tempo di
lavoro in connessione con la legge sul salario minimo33: nell’applicare queste due normative
a un dato caso, l’interprete si trova, in mancanza di una ridefinizione delle fattispecie
contrattuali, nell’imbarazzo derivante dalla possibilita’per le parti di formulare accordi
diversi in punto di orario/salario, nel senso che il salario puo’ essere completamente connesso
al tempo di lavoro ma puo’ anche essergli del tutto sconnesso. Un altro esempio viene
fornito sul piano dell’obbligo di fedelta’ e non concorrenza del lavoratore, quale attualmente
previsto in capo al solo employee ed esteso ad altre forme di lavoro attraverso sporadici
interventi della giurisprudenza34. Per usare le parole dell’Autore nel sostenere l’utilita’ della
sua analisi sull’opera di differenziazione e progresso operato dai giudici inglesi :
33
Working Time Regulations 1998 e ss. e National Minimum Wage Act 1998
34
Vedi art. 64 D.lgs 276/2003
“the use of multidimensional analytical framework encourages confidence that the roof does
not fall in when this kind of experimentation is attempted” (M.Freedland, 2007).
Al fine di considerare l’utilita’ di questo metodo riformatore da una prospettiva Italiana, puo’
essere considerato il fatto, a titolo di mero esempio, che l’attuale regime per i contratti di
lavoro a termine non considera la differenza, dal punto di vista delle tutele, tra il caso in cui
il lavoratore sia impiegato, con una serie di contratti validi ed efficaci ai sensi della normativa
in vigore, dallo stesso datore di lavoro, dal caso diverso in cui la serialita’ dei rapporti sia
eseguita a favore di diversi datori di lavoro35.
2) Continuita’ (e sistematicita’) di disciplina tra contratti diversi
Ottenere una continuita’ e una sistematicita’ di disciplina tra diversi contratti di lavoro
dipendente, autonomo, o anche rispetto a fattispecie aderenti all’area commerciale (per
esempio le contrattazioni con finalita’ previdenziali) e’ un risultato (potenziale) che si
riferisce alla necessita’, in una prospettiva analitica e riformista, di considerare i legami che
sussistono tra diverse fattispecie contrattuali.
Dovrebbero, in questa prospettiva, essere considerate non solo le fattispecie contrattuali
tipicamente lavoriste, ma anche quelle relazioni (pertinenti all’area piu’ strettamanete
commerciale/previdenziale) non dimeno connesse alla prestazione lavorativa e talvolta
incisive in maniera sostanziale sul rapporto di lavoro. Come esempio, viene dato quello di un
rapporto di lavoro con connessa stipulazione di una pensione complementare finanziata
dall’impresa datrice di lavoro: il caso in cui il datore di lavoro possa finanziare la prestazione
previdenziale del lavoratore e’ diverso dal caso in cui il datore non lo finanzi, ad esempio
sotto il profilo della fidelizzazione del lavoratore.
La ricerca di una continuita’ disciplinare tra le diverse fattispecie mira a ottenere una
maggiore comprensione e una maggiore aderenza della regolamentazione stessa al caso in
questione.
Conclusivamente, l’idea del “nesso contrattuale specifico” porterebbe a una maggiore
potenzialita’ di discernimento tra una fattispecie e l’altra, ferma restando la correlazione di
ognuna con l’altra, quale emergente da un unico modello di lettura e interpretazione che
l’organo legislativo dovrebbe legittimare con atto proprio.
Si tratta di un modello che implicherebbe una disciplina delle fattispecie piu’ giusta inquanto
piu’ aderente alle differenze sostanziali esistenti tra le esse. Si tratta, occorre ripetere, di unp
35
D.lgs. 381 del 2001, artt. 4 e 5, modificato dalla L. 274 del 2007.
studio che non ha rilievo contenutistico, non fornisce spunti politici diretti quanto piuttosto un
modello analitico che precede il discorso politico, e di certo non lo esclude.
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