Meraviglie di carta - Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli

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Meraviglie di carta - Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli
cartella stampa
Meraviglie di carta
devozioni creative dai monasteri di clausura
Comunicato stampa
Introduzione di Ginevra Elkann
Conversazione con un collezionista illuminato
Una conversazione con Nan Goldin: un’anima luminosa
Oggetti di di devozione, opere d’arte
e segno della romanità
Glossario
Proposte educative
Scheda libro
Meraviglie di carta
devozioni creative dai monasteri di clausura
Meraviglie di carta
devozioni creative dai monasteri di clausura
comunicato stampa
Meraviglie di carta
devozioni creative dai monasteri di clausura
5 aprile – 2 settembre 2012
A cura di Elena Geuna
La mostra intende proseguire il ciclo di esposizioni temporanee della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli
dedicato al tema del collezionismo, proponendo una selezione delle più significative paperoles o papier roulés
appartenenti a collezioni private.
Per la prima volta saranno riuniti circa 200 tra i più raffinati esemplari, alcuni dei quali provengono dalla collezione privata della fotografa americana Nan Goldin, che presenta dodici scatti inediti, appositamente pensati
per questa mostra.
Eseguite tra il XVII e il XIX secolo, con il termine paperoles si intende una particolare tipologia di reliquiario
ad utilizzo domestico o conventuale, tradizionalmente realizzato in carta da suore di clausura, dove la funzione
di semplice reliquiario viene arricchita da elaborate ed accurate composizioni in carta ed altri materiali - quali
cere, avori, vetri e cristalli - posti ad ornamento della reliquia contenuta all’interno.
Ispirandosi alla tecnica orafa della filigrana, le paperoles venivano “costruite” arrotolando su se stesse striscioline di carta dorata e colorata secondo motivi per lo più a soggetto floreale, successivamente impreziosite da
perline, conchiglie, coralli, piccole pergamene, ritagli di stoffa, pezzetti di vetro e frammenti ossei attribuiti ai
santi. Alla ricchezza della decorazione corrisponde un forte valore simbolico, che riporta al tema della fecondità
e della vita; mentre l’iconografia e la disposizione di ogni elemento che appare nel reliquiario rivelano precisi
riferimenti teologici ed agiografici.
La creazione delle paperoles si sviluppa nel corso del XVII secolo in quasi tutti i paesi di fede cattolica, in particolare in Francia, Italia, Spagna e Austria, e, con il diffondersi del culto dei santi e delle reliquie, si estende anche
in ambito domestico. Nate come oggetti di fede e confezionate con raffinate tecniche artigianali dalle suore,
venivano poi donate a benefattori del convento o offerte per ornare cappelle ed altari.
Le paperoles prendono vita dal clima spirituale della Chiesa post-tridentina, di cui interpretano il gusto barocco del periodo, offrendo una testimonianza storica di una tecnica artigianale poco nota ma molto diffusa
tra i diversi ordini monastici femminili. Le peculiarità di questi oggetti - una lunga e laboriosa preparazione,
la dedizione al lavoro come atto di preghiera, la semplicità e “povertà” dei materiali impiegati - sembrano rappresentare al meglio quella “regola” propria degli ordini religiosi. Il risultato estetico è assimilabile al valore
artistico di queste piccole opere d’arte.
In mostra a Torino, sono presentati reliquiari di tipologie e periodi storici differenti, molti dei quali provenienti
dalla Francia: dagli Agnus Dei, sacramentali realizzati dalla fusione di ceri pasquali benedetti, a reliquiari a forma di altare di fine Settecento; dalle festose e colorate composizioni a ghirlanda in carta ai medaglioni in “pasta
di tutti i santi”, un impasto di cartone mescolato a terra delle catacombe in cui si pensa siano stati seppelliti i
martiri. Completano il percorso espositivo, alcuni esemplari ottocenteschi di ricostruzioni in miniatura delle
celle delle monache, ritratte mentre svolgono le quotidiane attività manuali del convento.
A complemento della mostra, è stato pubblicato un catalogo, edito da Corraini Edizioni, a colori bilingue inglese-italiano con un saggio di Bernard Berthod, Consultore della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della
Chiesa e con interviste di Elena Geuna a Nan Goldin e a un altro collezionista.
Ufficio stampa Silvia Macchetto | Tel. +39 340 6350241 | [email protected]
Biglietti: 7 € intero, 6 € ridotto e gruppi, 3,50€ scuole e bambini dai 6 ai 16 anni; gratuito da 0 a 6 anni.
Biglietteria all’ingresso della Pinacoteca al livello della pista del Lingotto | 4°piano
Orario di apertura 10-19 da martedì a domenica | Chiuso il lunedì
Visite guidate su richiesta | Accesso disabili | bookshop
Catalogo Corraini Edizioni
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Via Nizza 230, 10126 Torino
Tel. +39 011 0062713 Fax +39 011 0062712
www.pinacoteca-agnelli.it
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TESTI
Meraviglie di carta
devozioni creative dai monasteri di clausura
Introduzione
Ci sono collezioni che provocano in chi le osserva per la prima volta una meraviglia pari a quella
provata da bambini, quando si scoprivano giocattoli strabilianti che ci lasciavano a bocca aperta
ad ammirarli, prima di iniziare a giocarci. L’impatto con una delle collezioni esposta in questa
mostra è stato quello di un incontro inaspettato ed emozionante con oggetti mai visti prima,
dall’aspetto prezioso, opere di mani addestrate a lavorare metalli preziosi o ricami. Poi, parlando con il collezionista e con la curatrice, abbiamo scoperto che quelli che sembravano gioielli e
opere di orafi geniali, non sono altro che striscioline di carta dorate e arrotolate su se stesse dalle
mani esperte di monache di clausura: ancor più stupefacente! Le “paperoles” esposte in Pinacoteca, sebbene costituite da materiali poveri, sono vere e proprie opere d’arte, che portano con
sé storie di conventi e di culti di santi e di reliquie, e raccontano la storia della chiesa e delle arti
tra il Seicento e l’Ottocento in Italia, in Francia, in Germania. L’identità e la storia delle autrici
di queste opere d’arte in miniatura sono raccontate in mostra da alcuni modellini di celle, dove
vivevano le suore di clausura che si dedicavano a questi lavori manuali di altissima maestria.
Insieme alla curatrice Elena Geuna, abbiamo voluto portare in Pinacoteca anche uno sguardo
contemporaneo che dialogasse con questi oggetti di preghiera così raffinati. Lo sguardo poetico
e luminoso di Nan Goldin si è fermato su queste collezioni piemontesi e le ha immortalate in
alcune immagini significative esposte in mostra e pubblicate in questo libro. Nan Goldin ci ha
fatto inoltre un grande regalo, prestando alcune delle paperoles della sua collezione privata e
acconsentendo a esporle qui, accanto alle collezioni piemontesi.
Arte antica, reliquie, collezioni piemontesi e collezioni straniere, sguardo contemporaneo e fotografie si compongono in una mostra che pensiamo offra un nuovo sguardo, intimo e speciale,
nei confronti dell’arte collegata al culto delle reliquie.
ginevra elkann
Presidente
Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli
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Dalle figurine alle paperoles, passando per Fontana e l’arte Povera.
Conversazione con un collezionista illuminato
elena geuna: Mi farebbe piacere capire quando è nata in te la passione per il collezionismo.
collezionista: Si incomincia a collezionare quando si nasce. Appena nato avevo la mania di
quantificare, di possedere tante cose di ogni tipo. Da bambino, ad esempio, il cibo doveva essere
tanto, altrimenti piangevo ancor prima di cominciare a mangiare. È come se fossi nato con la
voglia di avere il massimo, in tutte le cose che facevo. È difficile da capire, ma è così. Poi, appena
ho avuto la parola e con essa la capacità di capire, di avere qualche cosa di meno terreno del cibo,
ho iniziato a collezionare figurine: migliaia di figurine, di cartoline, sempre comunque cose di
carta. Al punto che mia madre, disperata, le metteva in solaio, perché la casa era diventata piena
di oggetti di questo genere, con scatole piene di cartoline, carte, figurine… Ad un certo punto
si rischiava di far crollare il solaio, e allora iniziò a gettarmi via tutto. Comunque, la quantità
era tale perché solo quella mi quietava, mi dava gioia. Questa è stata una delle prime cose che
ho collezionato; poi ho amato tantissimo le piante, i fiori: avevo un bel terrazzo molto grande e
avevo comperato con i miei soldini della paghetta 150 vasi di fiori di vario genere, finché anche lì
rischiai di far crollare il terrazzo. Quando sono andato via dalla mia città natale, ho cominciato
a collezionare oggetti un po’ più importanti, iniziavo a guadagnare 30.000 lire al mese dalle diverse sartorie e case di moda dove lavoravo; ho cominciato allora a collezionare disegni di vario
genere, come quelli di Erté, di Marcello Dudovich e di René Gruau. Avendo la mania per questi
oggetti, ne ho collezionati migliaia, che ho poi sparso per il mondo regalandoli ad amici o cedendoli per scambiarli con altri oggetti.
eg: Perché hai poi deciso di indirizzare la tua attenzione verso l’arte contemporanea?
c: Dopo aver collezionato tante immagini figurative, tante cose semplici, normali, “oggetti” comprensibili, mi interessai ad opere molto più difficili. All’inizio degli anni Cinquanta, c’era l’arte
informale ed ho iniziato a comprare quadri di artisti informali non tanto costosi, ma che già
avevano dimostrato una loro forza ed energia. Poi da Milano cambiai città, mi trasferii a Torino,
e questo cambiò totalmente il mio gusto. Torino negli anni Sessanta è stata secondo me la città
che ha dato all’Italia la più grande possibilità di capire che l’arte contemporanea italiana era la
più importante, la più innovativa e la più creativa di tutto il mondo.
EG: Potresti raccontarmi la vita artistica degli anni Sessanta e Settanta che tu hai vissuto ed il
clima culturale che si respirava a Torino?
c: Negli anni Sessanta, non c’erano grandi possibilità di avere molto denaro disponibile.
Nel mio caso, avevo un ottimo stipendio e l’unica cosa che mi interessava oltre il lavoro era quella
di frequentare le gallerie d’arte – allora erano poche e molto importanti – come Sperone, Christian Stein, la Galleria Notizie, la Galleria Martano. Visitavo le mostre e soprattutto ammiravo le
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opere che venivano create in quel periodo: ero colpito in particolare dall’arte di Fontana, di Burri
e di Manzoni. Comperai alcune opere a rate, allora non potevo comprare un quadro in un’unica
soluzione, anche se costava poco: un Fontana costava quasi niente, un Manzoni poco, un Castellani oppure un Burri non molto, e così comprai alcune loro opere. Poi improvvisamente conobbi
Christian Stein, che divenne una mia cara amica: tutti i giorni, a mezzogiorno, andavo a mangiare
un’insalatina con lei e con molti altri artisti che non conoscevo bene. La signora Stein me li presentò e così seppi che ero a colazione con i più grandi artisti dell’Arte Povera.
EG: È Christian Stein quindi che in particolare ha stimolato il tuo interesse.
c: Sì, soprattutto lei. Era una donna eccezionale, di gran gusto, che capiva la mia sensibilità; una persona meravigliosa, di grande cultura e di grande bontà, anche se qualche volta con l’insalatina aveva
il braccino un po’ corto… Questa era una sua caratteristica, un tratto anche piacevole. Conobbi tutti
gli artisti dell’Arte Povera: c’erano Paolini, Penone, Zorio, Fabro, che veniva da Milano, Anselmo, che
si vedeva poco perché era un po’ “orso”, e qualche volta Pistoletto, Merz e Kounellis.
EG: Sono loro gli artisti che hanno maggiormente influenzato le tue scelte in quel periodo?
c: Sì, soprattutto loro, perché mi piacevano in quel momento, non amavo più nessun altro, a parte Fontana, Burri e Manzoni. Avevo comprato opere di altri artisti, che però non mi piacquero
più dopo aver conosciuto, visto e amato l’Arte Povera. Così vendetti alcune opere a case d’asta
italiane, all’epoca non si usava andare da Christie’s o Sotheby’s, ma piuttosto da Finarte a Milano,
il riferimento per i collezionisti italiani negli anni Sessanta e Settanta.
EG: Abbiamo parlato dell’Arte Povera, di Lucio Fontana… spesso mi hai raccontato dei tuoi incontri con Fausto Melotti.
c: Melotti è stato una grande sorpresa per me. Negli anni Sessanta, conobbi un sarto di Milano, il
quale collezionava opere di Melotti perché confezionava vestiti a sua moglie e, dato che negli anni
Sessanta era povero, pagava i vestiti con opere. Questa persona aveva quindi diversi Melotti in
casa; non appena li vidi, rimasi sorpreso, piacevolmente emozionato da queste “cose” che si muovevano, che ballavano colorate, meravigliose e gli chiesi chi era. Mi disse: “Melotti, un mio amico”,
mi diede il suo indirizzo ed andai a trovarlo. Da allora, ebbi con lui un rapporto quasi mensile, a
volte settimanale, andavo sempre nel suo studio a vedere le opere. Faceva delle sculture di ottone e
mi diceva: “Quelle piccole sono fatte da me. Quelle grandi no, sono fatte su mio progetto”. Comprai
da lui diverse sculturine, davvero tante, e poi mattonelle, gessi… Dicevo “Professore, me ne venda
una, io col mio stipendio riesco a comprarne una al mese”. Compravo sempre i gessi a 250.000 lire
l’uno, me ne misi in casa una trentina, più una trentina di sculture, ma purtroppo poi ne vendetti.
EG: Mi sembra di ricordare che possiedi ancora alcune opere di Melotti in gesso, come il teatrino
che mi avevi prestato per la mostra a New York.
c: Sì, molte sono ancora nella mia collezione. Ho adorato molto Melotti, era talmente geniale
che non faceva a pugni con l’Arte Povera, anzi ne è stato anticipatore. Se osservi i tessuti che
adoperava, le carte, i materiali… erano molto semplici e molto poveri. Penso che Melotti sia
molto vicino agli artisti dell’Arte Povera; lo amai e lo seguii fino alla morte nel 1986; fu per me
una grande scoperta e fui molto amico di questo grande e geniale artista.
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EG: Pensando alla casa dove abitavi allora…
c: Era una piccola casa, un attico di 70 metri quadri all’ultimo piano, dove su ogni parete non
c’era neanche lo spazio per piantare un chiodo, era piena di opere di Boetti, di Kounellis, di
tutti, anche dei minori, come Chiari o altri artisti meno importanti. C’erano anche degli artisti torinesi, come Gallina, artisti molto sensibili, che mi piacevano molto, anche se la maggioranza erano artisti dell’Arte Povera. A fine anni Settanta, cambiai casa perché dopo aver collezionato centinaia di pezzi non sapevo più dove metterli: erano dappertutto, sotto il letto,
dentro l’armadio, in bagno, in cucina, non ci stavano più! E poi erano opere talmente strane!
Per esempio, Boetti faceva dei credenzini rossi con una linea di luce; dovetti dire a mia madre che era solamente un credenzino da cucina altrimenti mi avrebbe diseredato per sempre!
Nel 1960 comprare certe opere era pura follia. Ma erano di una bellezza, di un fascino, di un’innovazione! Certi artisti dell’Arte Povera erano davvero innovativi, erano avanti di cinquant’anni.
Dovetti quindi cambiar casa, andai ad abitare in una casa in centro, in un palazzo storico, per
poter mettere tutte le mie opere in un modo più razionale e preciso.
EG: Mi ricordo la prima volta che sono entrata nella tua casa in centro, vent’anni fa circa, le pareti erano completamente occupate, dal pavimento al soffitto, da opere d’arte…
c: Sì, molti quadri erano anche appoggiati, il quadro non deve soltanto essere appeso: appoggiarlo significa dargli una sua fisionomia, è molto importante per conferire una terza dimensione
all’opera. Non mettevo il quadro alla parete soltanto per gli altri, lo facevo per me stesso. Anche
se il quadro era sul letto, o appoggiato a terra, a me dava gioia, energia.
EG: Ho notato come alcuni collezionisti e qualche artista contemporaneo si rivolgano all’arte sacra forse spinti da una ricerca interiore o da una ispirazione. Come è avvenuto in te il passaggio
dall’arte contemporanea all’arte sacra?
c: Questo successe tanti anni fa, quando alla fine degli anni Ottanta cominciai a sentire la necessità di cambiare rispetto a tutti questi quadri troppo bianchi, troppo puliti, certo belli, splendidi,
ma prevalentemente concettuali. Avevo bisogno di qualcosa di più concreto, o di più spirituale,
che mi desse un’emozione diversa, nuova, particolare. Forse più vicino alla mia sensibilità, diciamo, spirituale piuttosto che a quella materiale. È così che incominciai a frequentare i mercatini.
Questo era un passaggio significativo, perché dall’importante galleria internazionale ai mercatini c’è un po’ di differenza… ma in fondo è la stessa cosa. Cominciai comprando Madonne di gesso,
costavano pochissimo, diecimila, cinquemila, ventimila lire, a volte anche meno, a seconda del
loro stato di conservazione. Questi oggetti spesso erano su specchio, su cristallo, su vetro, su
legno, su gesso ed erano bellissime. Questi piccoli oggetti ti danno la stessa gioia di un Fontana,
in realtà non c’è molta differenza, ciò che conta è l’emozione che senti, non dipende dal valore
economico. Nel collezionare arte, la gioia è la possibilità di possedere, perché hai soldi; questi
oggetti invece si acquistano dopo averli cercati e trovati. Ti comunicano felicità e un senso di serenità. Sono due modi simili di collezionare, certo non per gli altri, ma per me sì, per ciò che mi
procurano al momento dell’acquisto. L’emozione della scoperta prima, e poi del possesso. Non ha
importanza il valore materiale, quello forse ha importanza per gli altri. È molto difficile staccarsi
dal mondo materiale, soprattutto in questo momento, anche se credo che ce ne sia bisogno. Se il
mondo non si stacca dalla materialità, non avrà futuro. Il mondo dovrebbe avvicinarsi alla spiritualità per poter ricominciare da capo, per dare vita ad un mondo nuovo.
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EG: Mi piacerebbe sapere come è maturato in te il desiderio di attorniarti di tipologie diverse di
Madonne.
c: Scelsi le Madonnine perché allora erano le più facili da trovare e costavano poco: non solo in
gesso ma anche incisioni, olii, piccoli oggetti antichi, Madonne del Settecento, Madonnine di
tutti i generi. Le compravo anche alle aste. Io amo la Madonna, ed acquistare queste opere era
qualcosa che mi dava gioia e serenità, mi trasmetteva un sentimento che altri oggetti non mi
davano. Adesso ne ho migliaia in scatole accatastate, sopra e dentro i caveau, ho addirittura fatto
costruire dei soppalchi apposta…
EG: Pensi che ci sia stata poi una sorta di “evoluzione” nella tua collezione di oggetti sacri:
dalle Madonne sei passato alle paperoles.
c: Dopo le Madonne sono logicamente passato ad oggetti più importanti, è sempre così: il
collezionismo è un calvario, si comincia sempre da poco, poi si ricerca, si studia, si sbaglia.
Ci si pente, molte volte, di aver buttato via un po’ di soldi, forse sarebbe bene cercare di acquistare pensando alla qualità più che alla quantità. Nei miei viaggi, soprattutto per lavoro, a Parigi
e a Londra, ho trovato opere molto più importanti, specialmente a Parigi, di nome paperoles.
Paperoles sono dei reliquiari “alla francese” realizzati da suore di clausura, che dal Seicento in
poi creano questi bellissimi oggetti con la carta e le reliquie in onore della Madonna, dei Santi, di
Gesù. In quel momento, quelle erano le cose più belle che vedevo.
EG: Molte volte ti ho sentito dire che le paperoles non si vendono.
c: Le paperoles non si devono vendere, non si possono vendere; sarebbe un’offesa a se stessi e
alla Madonna, perché sono oggetti religiosi. Si possono regalare, anzi, dovrebbero sempre essere
regalati. Certo, quando le compro nei mercatini non posso pretendere che i venditori me le regalino, ma, poiché io posso permettermelo, regalerò le mie paperoles. Adesso non vorrei che tutti
venissero qui a chiedermi paperoles in regalo! [ride]
EG: Parlando delle opere che sono in mostra alla Pinacoteca, qual è stata la prima paperole che
ricordi di aver acquisito?
c: Questa è una domanda molto difficile, ne ho acquistate talmente tante! Quando colleziono una
cosa, o ne acquisto in grande quantità o non le acquisto per niente. La prima fu una paperole molto poco cara, che comprai una domenica mattina in un mercatino in provincia di Torino. Era senza
cornice, senza vetro, messa lì, piena di polvere e di bestioline, era quasi completamente distrutta. La
presi, la portai a casa e la restaurai completamente: vidi che cambiò, forse solo ai miei occhi, perché
ci avevo messo così tanto amore che divenne un oggetto davvero meraviglioso. E da lì dissi: “Ecco
questi sono gli oggetti che mi piacciono”. E incominciai a collezionare paperoles.
EG: C’è stata una figura a cui più spesso ti rivolgevi in questa ricerca?
c: L’incontro con Lalla Darò è stato molto importante. È una donna eccezionale, piena di forza
e di energia; aveva un piccolo negozietto in centro a Torino, pieno di cose strane, speciali. Da
lei vidi, agli inizi della nostra conoscenza, negli anni Novanta credo, una mostra bellissima con
qualche centinaio di paperoles; ci sono anche delle registrazioni che fece Rai Tre. Lì comprai
alcuni oggetti, tra i più belli della mia collezione. La mostra mi aveva molto colpito: le avrei comperate tutte, ma non potevo permettermelo e del resto nemmeno lei mi avrebbe venduto l’intera
mostra. Abbiamo anche litigato, perché io volevo alcune opere e lei non me le diede, le tenne per
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sé. Alcune paperoles le comprai da lei ed oggi sono molto contento di averlo fatto.
EG: Dalle immagini della Madonna alle teche con Gesù Bambino, dalle paperoles ai reliquiari con
il Sacro Cuore: cosa ti affascina di queste devozioni creative quando le scegli?
c: È molto difficile da esprimere perché ormai è diventata una mania, come una droga, possedere
tutto ciò che riguarda questo genere religioso. Le cere sono importantissime, ti danno un’emozione unica, sembrano personaggi vivi, pieni di fascino e di bellezza. Comperavo molte opere
raffiguranti Gesù: Gesù Bambino, le Crocifissioni in cera, oppure anche in altri materiali, ma in
particolare le cere.
EG: Le opere che collezioni sono quindi “parte” della tua vita…
C: Fanno parte della mia vita, del mio mondo, e, poiché sono un uomo solo, non ho altro, a parte
qualche gatto e qualche cane. Questi piccoli oggetti mi trasmettono serenità e gioia, mi piacciono molto. Sono una forma di espressione necessaria alla mia vita. Rinuncio a mangiare per una
paperole, rinuncerei a tante cose, forse anche ad un viaggio o ad una vacanza, pur di avere quelle
paperoles che mi piacciono tanto: del resto, non si può avere tutto.
EG: Qual è l’opera, o le opere, tra quelle presenti in mostra, a cui ti senti particolarmente legato?
c: Sono due ovali del Seicento molto belli, in legno, che comprai alla fine degli anni Ottanta. Mi
colpisce la loro bellezza, la loro prospettiva: rappresentano l’Annunciazione e San Francesco.
Guardandoli mi si illumina la mente, è come se entrassi in un mondo diverso, in un mondo mio.
Ci sono anche altri oggetti molto belli, le opere che io chiamo “sculture”, perché tridimensionali,
come il Gesù Bambino in una culla piena di paperoles, oppure il Gesù Bambino in cera con i capelli tutti ricciolini sotto una campana di vetro, attorniato da fiori. Sono oggetti che trasmettono
una gratificazione immensa.
EG: Hai parlato della coppia dell’Annunciazione e di San Francesco del Seicento. La tua collezione
presenta numerose “coppie” di paperoles, caratteristica alquanto rara…
c: Mi piace l’idea della coppia perché nel Settecento e nell’Ottocento in genere le opere si compravano così. Anticamente la coppia è sempre stata preferita all’oggetto singolo, come si può
vedere nei candelabri ad esempio, che sono sempre in coppia. Oggi invece il valore principale
è l’unicità dell’opera. Nel Settecento e nell’Ottocento, la coppia è la caratteristica che completa
l’oggetto, lo rende più importante e molto più prezioso.
EG: Sono infatti presenti in mostra coppie di prelati, di crocifissi, di paperoles, di cere, hai quindi
volutamente cercato coppie di opere.
c: Sì, la coppia non si trova al mercatino, è necessario cercarla con cura, perché significa che i
due elementi sono rimasti insieme per secoli e secoli. Questa è l’essenza della ricerca.
EG: Abbiamo trascorso una settimana insieme a Nan Goldin, mentre fotografava la tua collezione. Come hai vissuto quest’esperienza?
c: Meravigliosamente. Nan Goldin è una donna meravigliosa; la pensavo più “matta”, invece è
una persona di grande cultura e di grande sensibilità. L’ho amata molto e spero che anche lei abbia amato un po’ me, le mie cose, la mia casa, per ciò che sono riuscito a darle, cioè la possibilità di
fotografare oggetti che a lei piacciono tanto. In quest’incontro, mi sono trovato veramente bene
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e mi piacerebbe ripetere quest’esperienza, anche se temo che rimarrà unico il piacere di vedere
un’artista di questo livello fotografare le mie paperoles con tanta passione, con tanta gioia infantile, con l’entusiasmo di un bambino per la sorpresa e l’amore nel vedere e fotografare tali opere.
Nan Goldin è davvero una vera, grande artista.
EG: Ti ho sentito dire più volte che le paperoles e le opere religiose della tua collezione arricchiscono la tua vita. Vorrei soffermarmi su questo aspetto spirituale.
c: Quando si è giovani, la spiritualità rimane un po’ in disparte: si hanno altri interessi, altre
curiosità; ma un po’ più avanti negli anni se ne sente il bisogno. Le grandi opere d’arte contemporanea, come quelle di Fontana, sono spirituali in molte espressioni, ma quest’aspetto
non è così evidente come in un oggetto sacro. L’oggetto sacro esprime veramente la mia nuova
spiritualità, il bisogno di avvicinarmi a Dio, alla Madonna, a qualcosa che possa avere dei valori molto più forti, molto più veri, per un uomo che, come me, ha sempre sofferto nella vita.
È la ricerca totale della mia vita per poter compensare la solitudine: è l’unica cosa che mi dà gioia
e serenità. Quando vado in Chiesa, quando mi guardo attorno e prego davanti alle mie paperoles,
sono un uomo che sta bene fisicamente, nella mente e nel cuore. Questa è la mia grande gioia,
che ho scoperto negli ultimi anni. Oggi, quando vedo dei bambini sono molto preoccupato, penso
al loro futuro. Se supereranno questo momento, sarà un futuro diverso, pieno di gioia, sarà un
altro futuro.
EG: Bisognerà capire come “re-imparare” a vivere.
c: Brava, proprio ricominciare a imparare a vivere. Bisognerà imparare a vivere senza tutte queste necessità di oggi che in realtà non esistono: abbiamo tanti bisogni inutili, perché abbiamo
delle abitudini sbagliate; una volta si viveva con niente o con poco.
EG: A proposito di vivere con poco… in mostra sono esposti anche alcuni esemplari di celle di
monache.
c: Hanno un’espressione, una semplicità, un rigore, una spiritualità, una bellezza, un’armonia
meravigliosa.
EG: Capisci veramente la loro regola: ora et labora.
c: Si comprende anche che è un posto splendido per riflettere, per pensare e avvicinarsi sempre
più a Dio e alla Madonna. La cella così raccolta, così semplice, così bella, senza ricchezza ma piena
di fascino, di religiosità, di spiritualità, è un ambiente meraviglioso. Carico di energia.
EG: Ed è ancora più straordinaria la cella con il vetro al posto del tetto, che permette di lasciar
trasparire la luce.
c: E il cielo, soprattutto il cielo.
torino, 23 gennaio 2012
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Una conversazione con Nan Goldin: un’anima luminosa
elena geuna: Ho visto la tua mostra a New York, Scopophilia, e mi è piaciuta molto. Osservando il tuo lavoro mi sembra che nel corso degli anni, ed anche ora, la tua fotografia sia
diventata più contemplativa.
nan goldin: Sì, è vero. Penso che questo passaggio sia iniziato verso la fine degli anni Ottanta,
ma è poi diventato più presente nel mio lavoro direi verso la fine degli anni Novanta, quando
iniziai davvero tanto a fotografare paesaggi. Era per me… come provare a rompere il vetro che
mi separava dal mondo naturale. Nel 1989 ho smesso di drogarmi, e solo quando mi sono davvero
disintossicata, ho scoperto la luce del giorno. Non sapevo nemmeno cosa fosse la luce…
eg: Il sole splendeva…
ng: Era qualcosa di più: avevo sempre pensato che la luce fosse accesa o spenta, che il sole
fosse acceso o spento. Non sapevo quanto invece variasse durante la giornata. Non sapevo
che la luce cambia il colore delle cose. Fu per me una vera epifania, rimasi affascinata dalla
luce e da cosa fa la luce al colore…
eg: E i suoi effetti…
ng: Sì. All’inizio mi fotografavo ogni giorno, sperimentando la luce e cercando di ritrovare
il mio io, che non conoscevo senza la droga. Poi, una volta tornata a New York, ho ripreso a
fotografare i miei amici, drag queen, feste, altre cose di questo tipo e soprattutto gli effetti
dell’Aids sulle persone a me care, sulla mia comunità. Contemporaneamente, già dagli anni
Settanta, fotografavo paesaggi, ma nessuno lo sapeva. A partire dai Settanta, ho iniziato a fotografare i cimiteri in ogni città e in ogni paese che visitavo. Tuttavia, non facevo vedere questi
scatti. I paesaggi sono apparsi per la prima volta in un grande libro di Phaidon del 2003, The
Devil’s Playground. È lì che si sono visti per la prima volta, ma solo in numero esiguo.
eg: Com’è stata la tua esperienza al Louvre, girovagando senza nessun altro visitatore nel
giorno di chiusura del museo?
ng: È stato uno dei momenti più belli della mia vita. Questo è il motivo per cui la mostra si
intitola Scopophilia. Il fotografo Peter Hujar – un grande fotografo ora deceduto – mi insegnò
che scopofilia significa “il piacere assoluto di guardare”. Non c’è nessun significato sessuale,
non è una perversione, è solo un intenso senso di appagamento che deriva dal guardare. Ed è
questo che provai. L’esperienza al Louvre è stata come la Sindrome di Stendhal.
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eg: Le tue fotografie sembrano esprimere la realtà attraverso un linguaggio emotivo.
ng: È proprio così. Percepisco la realtà in modo emozionale. Non mi sento stimolata dal semplice dato di fatto della realtà. Vivo a seconda delle emozioni.
eg: Mi piacerebbe capire la relazione tra le tue immagini e il ricordo.
ng: All’inizio, tutte le mie opere si concentravano sul non voler mai dimenticare nessuno
e sulla convinzione che se fotografavo ripetutamente una persona, non l’avrei mai persa.
Quando i miei migliori amici morirono di Aids, ho capito che la fotografia non ce l’avrebbe fatta, non sarebbe riuscita a tenerli in vita come pensavo potesse fare. Fu una delusione
immensa per me, un duro colpo nel mio rapporto con la fotografia e con quello che pensavo
potesse fare. È vero, preserva la memoria. Fotografo intere storie della vita di altri, e la fotografia ci riporta alla mente molti ricordi, ma non riesce a trattenere la persona con noi.
eg: Memorie collettive, archetipi comuni, storie, vite in cui possiamo identificarci mentre
guardiamo le tue fotografie. C’è un’idea a cui fai riferimento prima di scattare una fotografia? Vorresti che lo spettatore si identificasse con le tue opere?
ng: Non penso mai al pubblico quando scatto una fotografia. Quando scatto, lo faccio per la
persona che sto fotografando e per me stessa. È una relazione: cerco di mostrare alla persona
che ho fotografato gli scatti che ho fatto, spesso prima che chiunque altro li veda. È un rapporto estremamente privato, parte di una relazione personale. Non penso mai al pubblico
esterno. Anche quando espongo le mie opere, queste rimangono per me e per i miei amici.
Dal momento che viaggio sempre di più e incontro sempre più persone… non so. Sicuramente
la prospettiva del mio lavoro è cambiata, ho incontrato persone della mia tribù, che hanno
visto le mie fotografie e si sono profondamente identificate in queste, che ho riconosciuto
come membri della mia tribù. Quando preparo uno slideshow, non mi viene mai in mente chi
lo guarderà, ad eccezione dei miei amici.
eg: In alcune tue fotografie, si percepisce un interesse verso l’iconografia religiosa, forse un
richiamo alla tua esperienza personale.
ng: Ho iniziato la mia prima collezione di iconografia cattolica nel 1976 circa. Il mio primo
tatuaggio rappresenta il primo oggetto che ho collezionato, un Cuore Sanguinante. Ho collezionato il Cuore Sanguinante per anni e anni. Non aveva nulla a che fare con il Cattolicesimo in sé, era legato all’idea della storia d’amore infranta o alla compresenza di crudeltà
e tenerezza. Non so perché ne sono attratta ma è diventata un’immagine centrale per me.
In realtà, sono cresciuta in una famiglia “atea-ebraica”, non religiosa, ebraica nella sua identità, ma atea. Le mie prime esperienze spirituali nascono osservando il tramonto, e quando
a cinque anni sentii e vidi per la prima volta espressioni artistiche del Cattolicesimo. Ero
affascinata dall’arte e dalla musica. Nel Giudaismo riformato, non ci sono più arte e musica
di particolare bellezza, almeno in America. Per questo, verso i cinque anni, volevo diventare
cattolica, ero e sono ossessionata da quell’iconografia, separata però da un’idea di religione
organizzata. Quest’ultima è, secondo me, un grande problema, che probabilmente finirà col
distruggere il mondo.
eg: Alcune opere a soggetto religioso, come Fatima candles, sembrano rivelare un’attenzione
verso l’aspetto sociale.
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ng: Sono affascinata dall’idea che la gente abbia un credo di massa, che un gruppo di persone possa riunirsi in un’estasi di fede al punto da credere che questa possa curarli.
Mi piace quest’idea, penso sia meraviglioso. È una posizione opposta a quella di una religione organizzata, che non ritengo meravigliosa. Trovo che questo tipo di fede sia bellissima e commovente. Sono molto superstiziosa: accendo candele per tutti gli amici malati di
Aids. Un tempo pensavo che avrei potuto tenerli in vita se avessi acceso abbastanza candele!
Non ha funzionato, ma continuo ancora ad accendere candele nelle chiese. Sono superstiziosa e molto interessata alla sincronicità simbolica, la memoria presciente – ne ho molta dentro
di me, al punto che mi dicono: “Oddio, devi essere una strega”…
eg: Una visionaria forse…?
ng: Forse. C’è una religione chiamata Wicca connessa alle donne e alla magia bianca, anche se
non credo usino questo termine. Vivono nella foresta di Dean in Inghilterra. È una comunità
femminile con una religione basata sulla natura. Credo che questa sia l’unica religione di cui,
penso, potrei far parte, anche se non ho bisogno di farne parte per sentire certe cose. È una
spiritualità molto forte. Serena, ma molto forte. È legata al potere delle donne e della natura.
La natura non è per nulla pacifica. La natura è tutto, dalla violenza al… osservo il cielo ogni
giorno; è molto importante per me. Mi ha aiutato enormemente, ho imparato fin da piccola
che dovremmo guardare il cielo tutti i giorni. E i tramonti: mia sorella aveva l’abitudine di
portarmi a vederli, per questo sono così importanti per me. Sono un ricordo di mia sorella.
Da allora, ho sempre fotografato questi soggetti, mi sentivo piuttosto umile nel mostrarli in
considerazione della cosiddetta grande fotografia di paesaggio, come è stato fatto. Facendoli
vedere per la prima volta a una persona nel 1990, mi disse: “Sembra che arrivi da un altro pianeta”. Mi piacque molto questa frase. È come essere un bambino, ho vissuto nell’oscurità per
venti anni. Così per me scoprire tutto questo è stato come…
eg: Nascere una seconda volta…
ng: Non proprio nascere una seconda volta, ma rinascere in qualcosa a me sconosciuto.
eg: Ho visto la tua stupenda installazione al Palais des Papes di Avignone. Era la prima volta
che vedevo le tue opere in un tale contesto. Sei stata ispirata dal luogo?
ng: Sì, è raro trovare un così grande senso di spazio. E poi certamente dal suo passato religioso. Le fotografie Fatima candles sono nate in un viaggio con Guido e Caterina [Costa], sono
sempre state per me la metafora dell’Aids, hanno un valore molto personale, non rappresentano un luogo visitato da milioni di persone. Le fotografie che ho esposto [ad Avignone] erano
delle serie Guido on the dock, a Venezia… Le foto Fatima candles erano invece le fotografie giuste per quel luogo. Volevo delle fotografie che fossero di grandi dimensioni, per creare una
sorta di spazio in cui poter entrare.
eg: Hai fotografato soggetti religiosi in quasi tutta Europa – Fatima, Napoli, Venezia…
ng: Sì, per anni in tutto il mondo. In particolare, chiese, oggetti votivi e santi. Penso che
l’architettura delle chiese cattoliche sia di una bellezza incredibile e provo una grande serenità al loro interno. Anche se sono ebrea, sono rimasta affascinata dai templi e dai santuari di Tokyo, racchiudono all’interno i colori e la bellezza delle religioni. Adoro le chiese con gli ex voto, soprattutto quelli dipinti dalle persone e dall’innocenza della loro fede.
Ho fotografato molto i miei genitori, percepisco la loro identità ebraica, nonostante mio paindice
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dre sia ateo e io sia stata cresciuta come atea dall’età di quattro anni.
eg: Riprendendo il discorso su Napoli e i soggetti religiosi, la fotografia Madonna di Capri,
un’opera contemplativa e affascinante, è rimasta inedita. Mi piacerebbe sapere come scegli
le fotografie da stampare?
ng: Questa è una bella domanda. Credo che la fotografia sia una questione di scelta.
Avevo l’abitudine di scattare migliaia di fotografie; anche questa settimana, a Torino, ho fatto
centinaia di fotografie alla collezione di paperoles, ma la mia arte è nel processo di selezione. L’arte non sta necessariamente nel fotografare, perché non riesci a organizzare ciò che
fotografi. Di solito, fotografo esattamente ciò che è davanti a me. È dopo, nel momento della
selezione, che trovo la perla. Se scatti abbastanza fotografie, come faccio io, ne troverai di
scatti buoni! Succede per lo più casualmente. Affido la scelta al caso. Una caratteristica non
proprio del nostro tempo. Come artista, sono un vero dinosauro.
eg: Hai trascorso la settimana osservando e fotografando paperoles. Mi chiedevo in che modo
ti sei avvicinata a questi oggetti e che cosa ti ha spinto a collezionarli e a disporli nella tua camera da letto, come si vede nella mostra Air de Paris al Centre Pompidou del 2007?
ng: Non colleziono questi oggetti principalmente in quanto paperoles, io colleziono reliquie.
Ne possiedo un ampio numero, tra santi o ossa di santi. Le paperoles sono tra le più belle rappresentazioni di come si possono presentare le reliquie, tuttavia per me l’aspetto principale
rimane il fatto che sono reliquie. Per questo vivo circondata da tantissime ossa, molte sono
ossa di santi. Ho sempre con me una piccola paperole dedicata a Santa Barbara (era il nome
di mia sorella). Non so veramente perché collezionarle sia diventata un’ossessione che mi
consuma da circa 10 o 15 anni, quando ho iniziato ad acquistare questi oggetti. Sì, avevo già
delle paperoles quando mi trasferii sulla 14th Street, per cui colleziono questi oggetti da poco
più di quindici anni.
eg: Qual è stata la tua prima paperole? Ce n’è una in particolare a cui ti senti più legata?
ng: Dipende. Il rapporto con i miei oggetti è come la relazione con i dipinti e le statue al
Louvre. Credo che ogni cosa possegga un suo proprio spirito; quando esco di casa, le dico addio. Attribuisco una specie di anima ad ogni oggetto che mi piace, posso passare ore spostando gli oggetti che amo da una parte all’altra, facendoli dialogare tra loro, ma non ce ne è mai
uno che preferisco. O piuttosto, ce ne è sempre uno preferito a seconda dei momenti, ma poi
un altro diventa il preferito per un po’… Mi ricordo la prima paperole davvero importante; è
ancora nella mia camera da letto. È una teca con un foro ovale al centro e grandi ossa di santi.
L’ho sempre tenuta accanto a me ovunque vivessi. È sempre in camera mia.
eg: Ho notato il tuo commento la prima volta che siamo entrate nella casa del collezionista di
Torino: “una delle rare persone che colleziona come me!”. Cosa significa per te collezionare?
ng: Collezionare non ha nessuna connessione con un lato di me ossessivo-compulsivo… per
me non significa conservare oggetti. Per la maggior parte dei collezionisti si tratta di organizzare, invece per me vuol dire dare le cose che più amo alle persone a cui voglio bene.
O almeno l’ho fatto per anni. Non vado mai da nessuna parte senza comprare un regalo alle
poche persone importanti della mia vita, così sono loro a possedere gli oggetti che amo di più.
Penso che sia molto importante fare regali agli altri.
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eg: È un modo per esprimere il tuo amore per loro.
ng: Sì, ma non si tratta solo di amore: dimostra anche che conosci quella persona. Fare regali
è una questione profondamente psicologica. L’amico con cui sono cresciuta, David, possiede
la parte migliore delle mie collezioni! A lungo, ho comprato a Guido molti regali. Di solito
c’è una sola persona alla volta nella mia vita a cui compro tantissimi regali. Purtroppo in
questo momento non c’è nessuno, e così posso tenerli per me! Non colleziono come i normali
collezionisti. Così come il collezionista di paperoles mi ha dato due delle sue più belle opere, in
una settimana, è lo stesso gesto che avrei fatto io se fosse stato a casa mia. Significa condividere. Per la maggior parte dei collezionisti, “collezionare” vuol dire consumare e continuare
a riempire alcuni vuoti della loro vita. So che in momenti di solitudine le mie collezioni sono
una sublimazione delle relazioni. Ho un’ampia collezione di reliquie religiose, ma anche di
libri, colleziono mobili della metà del secolo, dei tipi di bambole e disegni, fotografie, ho molti
tessuti ed oggetti imbalsamati, come lui. Ho tante collezioni diverse. Ma non ho mai avuto un
elenco di quello che possiedo, non l’ho mai archiviato o diviso in categorie. Come ho detto, mi
circondo di oggetti che amo e se faccio un regalo a una persona a cui voglio bene, le regalo ciò
che amo di più. Molte persone preferiscono regalare oggetti che non vogliono più tenere, ma
un vero regalo è dare qualcosa a cui sei particolarmente legato.
eg: Prima hai menzionato Santa Barbara e tua sorella. Mi sembra di capire che possiedi diverse opere dedicate a Santa Barbara…
ng: Sì. Ho collezionato opere con Santa Barbara per un lungo periodo, scoprendo molto
su di lei. Mi sono recata in Italia alla ricerca di ogni reliquia e segno attribuibile a Santa
Barbara, comprese le sue ossa e il suo luogo di nascita, o il pozzo da cui bevve; ho partecipato ad una celebrazione di quattro giorni a Catania. Ho attraversato tutta la Francia con
Raymonde, ogni paese che avesse a che fare con Santa Barbara. Ho trascorso mesi a viaggiare. Ho anche realizzato un’opera dal titolo Sisters, Saints and Sibyls, un film in tre parti per lo più su mia sorella, Barbara, un’altra parte su Santa Barbara e la terza su di me.
Ma il personaggio principale è mia sorella… e Santa Barbara.
eg: Sei stata a Torino varie volte, per incontrare amici, per esporre al Castello di Rivoli…
L’altra sera siamo andate alla Chiesa della Consolata…
ng: È stato fantastico, assolutamente fantastico. Non sapevo che esistesse. Conoscevo un
posto così vicino a Napoli, ma non avevo idea che potesse esisterne uno simile a Torino.
Un luogo incredibile. La Chiesa ha anche degli ex voto, oggetti che ho iniziato a collezionare negli
anni Settanta; è stato un mio fidanzato in Grecia a regalarmi il primo, poi ne ho acquistati altri
in Messico nel 1981, e così ho iniziato a comprarli in Italia. Sicuramente sono molto, molto legata
alla mia collezione di ex voto; ho anche un’ampia collezione di ex voto dipinti, che amo molto. Potrei passare l’intera giornata a osservarli. Sono attratta dalla fede della gente, ma… questo ora
potrebbe apparire sacrilego agli altri e non vorrei sembrare poco rispettosa della loro fede, ma
mi piace avere una fede di tipo superstizioso.
eg: Grazie del tuo tempo e della tua disponibilità.
ng: Adoro questa città. È stato fantastico.
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Oggetti di devozione, opere d’arte e segno della romanità
1. la pratica manuale nei conventi Alla
fine del xvi secolo, sulla scia del Concilio di
Trento (1545-1563), si assiste in Europa a un
rinnovamento della vita religiosa. Due secoli
prima, la corrente mistica originaria del Nord
Europa aveva promosso tra le monache di clausura una preghiera di tipo contemplativo innanzi all’immagine del Salvatore. È così che
nascono nelle Fiandre i giardini chiusi, dove le
religiose raccolgono reliquie e statuette di Santi
in decorazioni rigogliose. Questi piccoli paradisi, la cui fioritura ricorda quella degli arazzi
dell’epoca, diventano per le monache di clausura il luogo dell’unione mistica con Cristo, lo
sposo che esaudirà la loro attesa.
Il Concilio di Trento, convocato da Papa
Paolo iii Farnese, è una risposta alla Riforma
protestante, a cui si avvicina per le idee etiche
e morali, ma da cui diverge nell’accentuare il
culto eucaristico, la pratica devozionale e la
vita monastica. Presto emergono personalità
riformatrici che vogliono rinnovare le regole
della vita religiosa e altre figure che propongono un’alternativa alla vita monastica indicata
da San Benedetto: un’esperienza comunitaria
che meglio si adatta alla nuova linea pastorale
della Chiesa.
Nei conventi femminili, una vita estremamente regolata lascia ampio spazio ai lavori
manuali, non solo per ragioni economiche ma
soprattutto per ragioni spirituali, riprendendo
l’antica massima benedettina ora et labora. I lavori manuali sono numerosi e vari; tra questi,
il ricamo ha un ruolo importante. Le Carmeli-
indice
tane, le Visitandine e le Orsoline hanno lasciato delle raffinate testimonianze di quest’arte.
Accanto a questi lavori di grande dimensione,
la cui bellezza spesso imbarazza le stesse religiose, esse realizzano dei manufatti più piccoli
e molto più semplici, definiti spesso lavori di
convento: ricami su carta, reliquiari di carta
arrotolata, teche con scene religiose o di vita
conventuale. Questi lavori minuziosi, spesso offerti ad amici del monastero, rimangono
poco conosciuti. La pratica è indissolubilmente legata alla spiritualità del Gran Secolo e del
movimento artistico dell’età del Barocco, che si
protrae fino al XX secolo. Questi oggetti, spesso confezionati con cartone e materiali fragili,
hanno avuto così poca attenzione che durante
il secolo scorso non hanno mai dato origine né
a studi né ad interventi di tutela, perché considerati bondieuseries; un gran numero è andato
distrutto. Essi hanno invece un autentico valore artistico, capace di liberare immaginazione
e creatività.
2. i materiali e la tecnica Il termine carte
arrotolate o filigrane di carta 1 designa una
modalità di decorare le immagini e i reliquiari
utilizzando carte colorate o dorate, precedentemente arrotolate o pieghettate; incollate lungo
il bordo, si ottengono eleganti arabeschi o ghirlande di fiori. Questo lavoro necessita di materiali che si possono ancora reperire in alcuni
conventi.
L’epicentro di queste creazioni è situato nelle Alpi cattoliche, molto sensibili all’arte baroc-
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ca: Svevia e Baviera, Tirolo, Alto Adige e Trentino, e da qui si irradia in tutto il Piemonte, l’Est
della Francia, la valle del Rodano e in Provenza.
Questi oggetti sono realizzati dalle monache di
clausura: Annunziatine, Cappuccine, Carmelitane, Certosine, Cistercensi, Sacramentine, Visitandine e da qualche comunità maschile. Gli
oggetti così decorati prendono la forma di una
teca piatta, ornata da una cornice e sotto vetro,
al cui interno sono contenuti frammenti di reliquie, ma anche immagini dipinte o ricamate,
agnus Dei, piccole figurine in verre filé, mollica
di pane, biscuit o terracotta. La decorazione
evolve con il passare del tempo, si semplifica
alla fine del XVIII secolo, seguendo il cambiamento nelle arti decorative: le carte utilizzate
sono di colori diversi e l’oro meno abbondante.
In Svevia, si prediligono il filo d’oro e d’argento
arricciato en bouillon. Questa tecnica continua
fino al XIX secolo, talvolta realizzata con l’ausilio di macchine a discapito dell’eleganza e della
spontaneità. Nel XX secolo, i reliquiari in carta
arrotolata sono ancora realizzati dalle monache
in Baviera e nella regione del lago di Costanza.
Queste opere raramente sono firmate, nonostante alcuni esemplari appaiano talvolta nel
mercato dell’arte. La trasmissione di questa
tecnica di generazione in generazione rende
inoltre difficile datare questi oggetti.
3. la romanità Dopo il Concilio di Trento, il
Cattolicesimo si ricentralizza su Roma, sede di
Pietro; non è ancora il movimento ultramontano del XIX secolo, ma denota una presa di coscienza che Roma è Testa e Madre. La “romanità”
si afferma in reazione al sacco di Roma (1527),
perseguendo le direttive dei padri conciliari e la
volontà del papato di essere il fulcro della Riforma cattolica. Gli ordini religiosi antichi vengono riformati: verso il 1540 Santa Teresa d’Ávila
e San Giovanni della Croce riformano l’ordine
dei Carmelitani, seguiti in Francia da Madame Acarie e Pierre de Bérulle; nel 1610, Jeanne
Freymiot de Chantal e Francesco di Sales fondano l’ordine della Visitazione di Santa Maria.
Prendono inoltre forma numerosi ordini nuovi
a sostegno del Papato: in primo luogo i Gesuiti
(1540) che contribuiscono fortemente alla riaffermazione del primato di Roma, i Chierici Tea-
indice
tini (1524), i Barnabiti (1530), i Chierici Regolari
della Madre di Dio (1574) e i padri dell’Oratorio
di San Filippo Neri (1575). Questi ordini porteranno oltralpe un nuovo modo di vivere l’unità della Chiesa. Essi formano i giovani nei loro
collegi ed i futuri sacerdoti nei loro seminari,
introducendo all’interno delle chiese locali il
concetto di romanità.
Il culto dei Santi è incoraggiato dai Padri
conciliari: “il corpo dei martiri e dei Santi che
vivono con Cristo sono le membra viventi di
Cristo e il tempio dello Spirito Santo, essi sono
stati da Lui resuscitati e glorificati alla vita eterna. Devono essere venerati dai fedeli, poiché attraverso di loro Dio concede numerosi benefici
agli uomini”2. Alcuni Santi sono così popolari che i fedeli che hanno visitato la loro tomba
portano un copricapo con la loro effige, come nel
caso di Ubaldo da Gubbio o Fedele da Sigmaringen o come i fedeli che si sono recati a Viterbo
per venerare Santa Rosa e ripartono con la misura della mano della Santa, a protezione della
loro vita.
L’autorità romana tenta di convalidare storicamente la figura dei Santi; a tale proposito il
saggio Cardinal Baronio pubblica il Martyrologium romanum, una lista di Santi venerati dalla Chiesa Romana, compilata secondo criteri
scientifici, omettendo narrazioni leggendarie.
Il “calendario dei Santi” è spesso presentato
giustapponendo minuscole reliquie all’interno di un tempietto in carta dorata. Si attenua il
significato medievale della reliquia, che non è
più intesa come una sorta di talismano. I fedeli
non chiedono più un intervento meraviglioso o
miracoloso. La reliquia del Santo, e ancora più
quella del martire, viene contemplata, essa invita alla preghiera, ad una espressione di fede
pari a quella del Santo. Mentre da una parte
l’ascesi del corpo e i suoi eccessi diminuiscono,
dall’altro i predicatori esaltano coloro che arrivano fino alla morte per seguire Cristo. Reliquie
di martiri romani vengono richieste ovunque,
dalle diocesi, dai monasteri e da principi. Esse
vengono riposte in reliquiari per diventare parte dell’ambiente quotidiano del fedele: si diffondono i reliquiari domestici per ornare stanze
ed oratori; alcuni di dimensioni molto piccole,
possono essere infilati in tasca. La celebre tela
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di Philippe de Champaigne, Ex Voto di suor Caterina di Santa Susanna, raffigura la preghiera di
due religiose di Port-Royal attorno a un piccolo
reliquiario tascabile ovale ornato di carte arrotolate. Il reliquiario è considerato come un luogo
dove attendere la Resurrezione e questa prospettiva conferisce all’oggetto una particolare
bellezza: le reliquie per la casa, spesso in frammenti sono sovente disposte in spazi floreali e
lussureggianti, dove scene con figure ricordano
la vita del Santo. Come nel Medioevo, esse sono
rappresentazioni dei Santi, la materializzazione della loro comunione con la vita del fedele.
Nei luoghi di culto, cattedrali, chiese, cappelle
conventuali e abbaziali, i corpi dei Santi vengono collocati all’interno di grandi teche dalle
pareti in vetro; gli scheletri sono vestiti in abiti
splendenti, segno che il Santo ha vinto la morte e il peccato. Così ornato, egli attende serenamente il giorno della Resurrezione e trasmette
un po’ della sua virtù a coloro che lo pregano.
La salita al potere della Chiesa di Roma si
traduce in una ripresa di interesse per il pellegrinaggio. Gli Anni Santi 1575 (Gregorio XIII),
1600 (Clemente VIII) e 1625 (Urbano VIII) attirano verso la Città Eterna numerosi pellegrini.
Incoraggiati dalle pratiche dell’Oratorio, essi
visitano le quattro grandi basiliche e quelle considerate di particolare importanza quali San
Lorenzo fuori le Mura, Santa Croce in Gerusalemme e San Pietro in Vincoli: è il pellegrinaggio delle Sette Chiese. I fedeli assistono al trionfo
della Chiesa Romana e tornano a casa con oggetti molto significativi: immagini del velo della Veronica, ceri, agnus Dei e reliquie. A partire
dal XVII secolo, i Cistercensi di Santa Croce di
Gerusalemme hanno il privilegio di fabbricare
agnus Dei, chiamati anche ceri sacri. Questi oggetti sono dei medaglioni ovali confezionati con
la cera delle candele pasquali delle basiliche romane e di quelle offerte al Papa per la Candelora.
Essi riportano sul recto l’immagine dell’agnello
pasquale con il nome del Papa regnante e l’anno
del Pontificato e sul verso una scena religiosa o
l’effige di un Santo appena canonizzato. Gli oggetti sono benedetti dal Papa generalmente la
settimana dopo Pasqua, quando vengono immersi in acqua con l’aggiunta di balsamo e olio
santo. L’agnus Dei si impregna di innumerevoli
indice
grazie e questo lo rende un oggetto sacramentale. Malgrado l’interdizione ricordata da alcuni
canoni, si trovano anche esemplari dipinti in
policromia o dorati. Agnus Dei di grandi dimensioni sono invece confezionati con cera mescolata alla polvere delle catacombe, resa santa dai
corpi dei martiri lì sepolti, e proprio per questo
chiamata pasta dei martiri. Questi sono dunque
doppiamente romani e venerati in quanto tali
3.
L’immagine del Cristo sofferente, chiamata
Volto Santo o il velo della Veronica, è conservata
a San Pietro nella cappella alta di uno dei pilastri centrali; si tratta di un velo su cui è impresso il volto di Cristo. La sua ostensione avviene
in occasione delle grandi festività e soprattutto
durante l’Anno Santo. I pellegrini possono comprare un fac-simile dipinto, stampato o impresso su una medaglia. Le riproduzioni mostrano
il velo con il volto sofferente di Gesù nella sua
interezza; il velo, spesso d’aspetto pieghettato, è
generalmente sorretto da una donna o da un Angelo. Questi oggetti permettono nel contempo ai
fedeli che non possono viaggiare fino a Roma, in
particolare le monache di clausura, di compiere
un pellegrinaggio interiore, per procura. Si trova anche riprodotto a rilievo, in cera o in stucco,
senza il supporto del velo. Il Volto Santo non è
l’unico souvenir che i pellegrini possono acquistare: essi possono portare indietro dal loro pellegrinaggio a Roma la riproduzione di un chiodo
della croce presso i Cistercensi di Santa Croce,
le impronte dei piedi di Cristo venerati all’Oratorio Quo vadis Domine sull’Appia Antica, o una
maglia delle catene di San Pietro conservate a
San Pietro in Vincoli. Una volta ritornati al paese d’origine, questi oggetti vengono affidati alle
religiose per essere disposti in una teca e ornati
con carte arrotolate 4.
4.devozioni introdotte da nuovi istituti religiosi, l’ordine della visitazione
e carmelitano riformati L’annullamento dell’io è la massima spirituale di Teresa di
Gesù, riadottata dall’Ordine delle Carmelitane
di Francia e dalla Scuola francese grazie a Pierre de Bérulle e, in misura minore, da Francesco
di Sales. Nel settembre 1604, Pierre de Bérulle
fa stabilire a Parigi, con il permesso di Madame
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Acarie, numerose suore Carmelitane spagnole con l’intento di fondare un convento carmelitano riformato. Il fondatore dell’Oratorio di
Gesù elabora una spiritualità teocentrica, ossia
fondata sulla contemplazione di Gesù Bambino
nella semplicità e “nudità” propria dell’infante.
Egli richiama i fedeli affinché annullino il loro io
così come fece Dio assumendo questa condizione fragile e senza difese. In numerosi monasteri
carmelitani, l’Infante è raffigurato in statuette
di cera, di legno o di gesso, circondato da ghirlande di fiori come fosse un piccolo paradiso;
in alcuni casi, porta i simboli della Passione, in
quanto Pierre Bérulle ritiene che, anche se bambino, l’Infante annuncia la propria morte già
dalla nascita, “prende vita per morire”5. Gesù
Bambino, chiamato anche piccola consolazione,
ha un effetto di conforto all’interno del convento
e controbilancia l’assenza di maternità delle giovani novizie.
Nei nuovi istituti riformati, il lavoro manuale è incoraggiato, esso è considerato una
preghiera senza aspettative, è collettivo e anonimo. Le suore di clausura non considerano
i manufatti che creano oggetti d’arte, li realizzano con semplicità e con pochi mezzi, non
perché questi non sussistano, ma come segno
di nudità, di annullamento. La materia prima
“non deve superare uno scudo”, secondo le direttive di padre Chanut, morto nel 1695 6, visitatore di monasteri carmelitani. Questi sono
oggetti sorti dal nulla “la tradizione è sempre
stata quella di non fare alcuna opera né in oro
né in argento se non per la Chiesa”7. In questo
senso, sono esemplari i piccoli soggetti con una
monaca in preghiera inseriti in un guscio d’uovo. Infatti, non c’è nulla di più fragile di un uovo
che può però dare alla luce un essere vivente.
L’immagine della religiosa in preghiera all’interno di uovo vuole significare che anche se la
sua essenza umana è annullata, grande è invece la sua preghiera perché sostiene il mondo e
l’opera umana. È l’espressione visibile del todo y
nada di Santa Teresa d’Ávila. In questo contesto
devozionale, si sviluppa il Memento mori, meditazione sulla morte e sulla vanità della vita, talvolta associato alla recita del rosario. Il dipinto
raffigurante la testa di un defunto trova spazio
nell’alcova, mentre se scolpito in osso, in avorio
o fuso nel bronzo può stare facilmente in tasca,
indice
protetto da una custodia in sagrì o inserito fra i
grani del rosario. Qualche volta la testa è doppia, da un lato il teschio e dall’altro il volto di
Cristo.
La cella di monaca non è un reliquiario né un
piccolo paradiso ma un oggetto di devozione;
può essere considerata, in un certo senso, un
giardino chiuso. Essa rivela la vita quotidiana
di un convento e permette allo spettatore di scoprire l’ambiente intimo delle monache di clausura: il letto o il pagliericcio, il tavolo da lavoro
e le opere eseguite, la disciplina e il modesto
arredo associato alla spiritualità del suo ordine
religioso. Essa riflette anche la vita spirituale.
L’aspetto chiuso corrisponde alla monaca che
vi vede un richiamo alla sua vita ritirata e una
rappresentazione della sua vocazione. Rappresentata nella stessa posizione di Maria mentre
ascolta il saluto dell’Angelo, è intenta a filare o a
lavorare a minuziosi manufatti. Aspetta. Il momento raffigurato è quello dell’Annunciazione,
quando Maria risponde all’Angelo: ecce ancilla
Domini. Queste opere sono la sintesi della vita
spirituale della monaca, il momento sublime
del suo impegno religioso, la sua accettazione
del disegno di Dio sulla sua modesta persona.
Questo è il messaggio essenziale che con questi oggetti si vuole trasmettere alla sua famiglia
fuori dal convento e al mondo 8.
Il culto del Sacro Cuore si sviluppa nell’ordine della Visitazione di Santa Maria dopo l’apparizione a Margherita Maria Alacoque, presso
il monastero di Paray le Monial (1673). Questo
culto dà vita a numerose rappresentazioni del
Sacro Cuore. La contemplazione di un cuore
sanguinante fa comprendere alla perfezione
l’amore di Cristo per l’umanità. Il cuore del fedele deve cercare di assomigliare il più possibile
a questo fino a non essere più distinguibile dal
cuore divino. Al centro delle immagini ritagliate a canivet e dei ninnoli delle Visitandine, il Sacro Cuore è spesso circondato da altri cuori così
da formare un cerchio sacro. Alcuni reliquiari
includono frammenti di legno di nocciolo, l’albero presso al quale è avvenuta l’apparizione.
*
**
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L’Età dei Lumi non sembra aver avuto molta
presa su queste pratiche. Nei conventi, le monache hanno continuato a far scorrere le loro
agili dita su ricami e sulla carta, seguendo la
loro immaginazione. Nel XIX secolo, la devozione ritorna con la religiosità ultramontana;
gli scavi archeologici nelle catacombe romane
e l’apertura della Terra Santa dalle autorità ottomane ravvivano il gusto per il pellegrinaggio
e rendono disponibili i materiali destinati a
diventare oggetti di devozione. Il Sacro Cuore,
soprattutto in Francia, viene esaltato quanto il
Velo della Veronica, il cui culto rinasce grazie
a Monsieur Dupont, il sant’uomo di Tours, e a
numerosi fondatori di ordini.
note
1
2
In francese papiers roulés.
Ultima sessione, 3 dicembre 1563. Giuseppe Alberigo, Les
Conciles œcuméniques, le concile de Trente, Parigi, 1994, t. 2,
vol. 2, p. 1412.
3
Bernard Berthod, Pierre Blanchard, Trésors inconnus du
Vatican, cérémonial et liturgie, Éditions de l’Amateur, Parigi,
2001, p. 69. 4
E se passano per Monaco di Baviera, Rom in Bayern,
riportano un fac-simile della lingua di San Giovanni
Nepomuceno, il martire della confessione.
5
Lorenz Zenetti, Das Jesuskind, Verehrung und Darstellung,
Monaco, 1987.
6
Alain Girard, Entre toutes les femmes, Pont-Saint-Esprit,
1998, p. 17.
7
8
Collettiva, Trésors du Carmel, Tours, 1879, t. 1, p. 121.
Bernard Berthod, Elisabeth Hardouin-Fugier, Dictionnaire
des objets de dévotion dans l’Europe catholique, Éditions de
l’Amateur, Parigi, 2006, pp. 45-48.
indice
Meraviglie di carta
devozioni creative dai monasteri di clausura
Meraviglie di carta
devozioni creative dai monasteri di clausura
glossario
Meraviglie di carta
devozioni creative dai monasteri di clausura
agnus dei ◊ Oggetti in cera di grandezza variabile di forma ovale o tonda, ricavati dalla fusione di
ceri pasquali delle basiliche di Roma, benedetti dal
Papa nella Cappella Sistina, il Sabato Santo. Questi sacramentali sono solitamente decorati con rilievi da entrambi i lati: da una parte è raffigurata
un’immagine devozionale (la figura di un Papa, di
un Santo o un avvenimento sacro) e dall’altra al
centro l’agnus Dei – l’Agnello, simbolo di Gesù – e
lungo i margini iscrizioni con il nome del pontefice
regnante e l’anno di pontificato.
bolla papale (o pontificia) ◊ Documento scritto della Cancelleria Pontificia, su cui è apposto il
sigillo papale per attestarne l’autenticità.
canivet ◊ Opere realizzate intagliando carta, velina o una sottile pergamena utilizzando il canif,
un temperino a lama stretta.
cedula o cedola ◊ Piccola striscia di carta o di
pergamena collocata all’interno di un reliquiario
su cui è indicato il nome del Santo o del martire a
cui è riferita la reliquia.
papiers roulés o paperoles ◊ Particolare tipologia di reliquiario, realizzato arrotolando sottili
strisce di carta (letteralmente carte arrotolate) dai
bordi dorati o colorati, per creare raffinate e minuziose decorazioni ad imitazione della filigrana.
La reliquia, contenuta all’interno della teca, viene
quindi impreziosita da ricche composizioni in carta
e altri materiali, quali cera, frammenti ossei attribuiti a Santi e martiri, piccole pergamene, avori,
cristalli e vetri colorati, ritagli di stoffa, conchiglie,
coralli e perline.
Questo tipo di reliquiario, confezionato da suore di
clausura appartenenti a diversi ordini monastici
femminili, si sviluppa nel XVII secolo nei paesi di
fede cattolica e si diffonde sia in ambito conventuale sia domestico fino al XIX secolo.
pasta di reliquie o “di tutti i santi” o “di più
santi martiri” ◊ Stucco composto da un impasto
di cartone e ossa triturate, spesso mescolate alla
terra dei cimiteri e delle catacombe di Santi e martiri. Questo materiale, utilizzato già dalla fine del
indice
XVII secolo, veniva poi plasmato e dipinto per creare figurine e statuette, medaglioni con immagini
del Santo o rilievi con scene sacre. Sono frequenti
iscrizioni come “di più ss. Martiri”, “Pain de S. Réliques”, “s. plu. m.” o altre iniziali ad indicare la presenza nel reliquiario di questo composto.
piccolo paradiso ◊ Oggetto devozionale tridimensionale, chiuso da un vetro, popolato da
piccole figure e statuine di Gesù e dei Santi – in
cera, pasta di carta, porcellana o verre filé –
e arricchito da elaborate decorazioni a soggetto vegetale in carta e altri materiali. Questo tipo di composizione sacra deriva dal giardino chiuso, simbolo
della Madonna, diffuso dal XIII secolo nei conventi
di clausura del Nord Europa.
reliquiario ◊ Contenitore per custodire la reliquia, la cui grandezza, forma (teca, cofanetto, urna,
ampolla, a sacchetto, ecc.) e materiale varia a seconda della destinazione e della reliquia in esso contenuta.
Nel suo significato religioso, con reliquia si identificano i resti di (o attribuiti a) un personaggio
religioso, sia parti del suo corpo, sia – in senso più
ampio – oggetti che sono appartenuti o sono stati
a contatto con il Santo prima o dopo la sua morte.
Nella fede cattolica, la venerazione delle reliquie
ha una grande diffusione nei secoli e si sviluppa
con particolare intensità nel XVII secolo, quando
il Concilio di Trento (1545) riafferma il culto dei
Santi, delle reliquie e delle immagini sacre.
Nascono quindi tipologie diverse di “contenitori”,
per lo più con un lato aperto o in vetro trasparente per permettere di vedere la reliquia contenuta
all’interno; si diffondono reliquiari di piccole dimensioni per uso domestico e privato, come i reliquiari “da viaggio” o “da tasca”, che il fedele può
avere sempre con sé.
sigillo ◊ Timbro in ceralacca rossa recante segni distintivi dell’autorità ecclesiastica; quando
apposto ai fili di seta rossa di un reliquiario, ne
attesta l’integrità.
Meraviglie di carta
devozioni creative dai monasteri di clausura
Meraviglie di carta
devozioni creative dai monasteri di clausura
proposte educative
Meraviglie di carta
devozioni creative dai monasteri di clausura
Proposte educative per scuole di ogni ordine e grado e adulti
In occasione della mostra temporanea Meraviglie di carta. Devozioni creative dai monasteri di
clausura (5 aprile – 2 settembre 2012), il Dipartimento Educazione della Pinacoteca Agnelli ha
ideato una serie di laboratori didattici sul tema della carta.
In un percorso alla scoperta delle paperoles, preziose meraviglie di carta, oggetti votivi realizzati
nei conventi nel XVII e XVIII secolo, così chiamate per la peculiarità della decorazione eseguita
con filigrane di carta, arrotolate, pieghettate colorate e dorate, incollate su supporti secondo un
gusto barocco con ghirlande, fiori, arabeschi, il Dipartimento Educazione della Pinacoteca propone laboratori per le scuole di ogni ordine e grado, per le famiglie e i bambini dai 4 anni in su
durante le Domeniche in Pinacoteca e per gli adulti.
La carta arrotolata – papier roulé - sarà la protagonista di tutte le attività.
Il tema di tutte le attività è far riscoprire la bellezza e la preziosità della carta che, arrotolata,
arricciata, pieghettata come nelle opere presenti in mostra, in un modus operandi dal sapore
artigianale ormai quasi dimenticato, conferisce una nuova dignità a un materiale considerato a
volte povero.
Per le scuole
I laboratori didattici per le scuole, vogliono far riflettere sul concetto e sul ruolo delle icone
contemporanee.
Nella proposta educativa Paperoles Contemporanee, si prendono a immagine le figure delle
pop star preferite piuttosto che gli attori o personaggi dei cartoons; in un susseguirsi di carte
arrotolate che vanno a definire le decorazioni di richiamo Barocco le figure saranno inserite al
loro interno, corredate da testi scritti o evolvendo le stesse decorazioni in un tripudio di colori
e linee curve.
In Il Barocco nelle Paperoles linee curve diventano un susseguirsi di rotolini colorati o di carte
arricciate per creare, invece, cornici che racchiudono particolari barocchi.
Sempre i rotolini e riccioli di carta, il collage, e il segno - eseguito a matita, pastello e pennarello - saranno i protagonisti del laboratorio Riccioli di carta, dove i bambini delle scuole materne
ed elementari potranno inventare paesaggi fantasiosi con grossi bruchi, fiori, farfalle o paesaggi
fantastici animati da robottini, stelle e pianeti di un mondo surreale.
Grazie ad una partnership con la Pinacoteca Agnelli, eni offre l’ingresso gratuito alla Pinacoteca
Agnelli e alle attività educative a 5000 bambini di scuole di ogni ordine e grado.
indice
Meraviglie di carta
devozioni creative dai monasteri di clausura
Le domeniche in Pinacoteca laboratori per genitori e figli
Paperoles contemporanee (15 aprile, 6 maggio e 27 maggio)
I bambini ricreano oggetti rivolti alle icone contemporanee appartenenti al mondo dello spettacolo e del cinema.
Riccioli di carta (22 aprile e 13 maggio)
I bambini sperimenteranno la creazione di paesaggi fantastici con paesaggi colorati che prenderanno forma dai rotolini di carta disposti come un basso rilievo.
Libro delle meraviglie (29 aprile e 20 maggio) creeranno, coloreranno e decoreranno il proprio
libro, grazie all’utilizzo di riccioli di carta e carte colorate ritagliate dal sapore matissiano.
Pasqua di carta Domenica 1 aprile e 8 aprile i bambini costruiranno un piccolo oggetto che rimanda al tema pasquale: carte arrotolate danno forma a una decorazione con le immagini più
rappresentative della Pasqua.
Tutti gli appuntamenti domenicali sono previsti alle ore 16.00
Per gli adulti
In collaborazione con gli studenti del corso di Design del Gioiello e dell’Accessorio dello IED
Torino, sono organizzati alcuni appuntamenti, previsti alle ore 17.00 di mercoledì 9, 23 maggio
e 6 giugno, per imparare a creare con la carta oggetti preziosi, cornici, copertine di diari, monili,
gioielli. Tre sono i temi: Ex Libris (9 maggio), un libro, un diario possono essere impreziositi con
decorazioni provenienti dal mondo delle paperoles in modo da rendere questo oggetto unico
come gli ex libris.
In L’accessibile oggetto del Desiderio- Gioielli di carta (23 maggio), si potrà realizzare un gioiello: la carta pieghettata, arricciata o pinzata in un determinato modo diventa un gioiello impreziosito dalla manualità di chi lo realizzerà;
Infine La cornice che fa l’opera (6 giugno) si imparerà a realizzare una cornice, impreziosita con
decorazioni di carte ritagliate, arricciate e applicate sul supporto. ( che tipo di supporto sempre
carta?).
La Pinacoteca inoltre propone visite guidate gratuite, condotte dalle mediatrici culturali, nei
giorni delle festività nazionali (9 aprile - 25 aprile - 1 maggio - 2 giugno - 15 agosto).
Pause d’arte
45 minuti di approfondimento in pausa pranzo sulla mostra Meraviglie di Carta: un break in
Pinacoteca alle 13.00 con visita guidata gratuita.
Date: Mercoledì 18 aprile, 16 maggio, 13 giugno.
Martedì 8 e 15 Maggio alle ore 13.00 invece viene proposto il laboratorio L’Accessibile oggetto del
Desiderio, in collaborazione con gli studenti del corso di Design del Gioiello dello IED Torino.
Due appuntamenti con visita guidata sono riservati agli Abbonati Torino Piemonte Musei giovedì 19 aprile e 31 Maggio.
Per info e prenotazioni
Tel 011.0062713 - 011.0062086
E-mail: [email protected]
www.pinacoteca-agnelli.it
indice
Via Ippolito Nievo, 7/a
46100 Mantova
Tel. 0376 322753 - Fax 0376 365566
www.corraini.com - e-mail: [email protected]
Corraini Edizioni
Meraviglie di carta
Devozioni creative dai monasteri di clausura
La meraviglia spesso nasce dall’impatto con oggetti piccoli
e semplici, di inaspettata bellezza, composti da infinite
combinazioni di dettagli minuscoli e curati, che nulla lasciano al
caso. È a questo sentimento che è dedicato Meraviglie di carta
(volume che accompagna l’omonima mostra alla Pinacoteca
Gianni e Marella Agnelli, a cura di Elena Geuna), a quello stupore
che nasce di fronte ai piccoli gioielli di rara fattura chiamati
paperoles.
AA VV Meraviglie di carta
cm 24 x 28 | 272 pagine |
brossura con alette lunghe | 49,00 Euro |
ISBN 978-88-7570-341-7 |
testi in italiano e inglese |
Eseguite tra il XVII e il XIX secolo, con il termine paperoles si
intende una particolare tipologia di reliquiario a utilizzo domestico
o conventuale, tradizionalmente realizzato in carta da suore
di conventi di clausura, arricchito da elaborate e accurate
composizioni in carta e altri materiali (cere, avori, vetri e cristalli)
posti a ornamento della reliquia contenuta all’interno.
Meraviglie di carta raccoglie alcuni tra i più raffinati esempi di
queste opere d’arte in miniatura, alcuni dei quali provengono
dalla collezione privata della fotografa americana Nan Goldin,
che presenta scatti inediti appositamente pensati per questa
occasione. Circa 200 immagini di paperoles e dei dettagli che le
compongono, accompagnate da un saggio di Bernard Berthod,
Consultore della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della
Chiesa e con interviste di Elena Geuna a Nan Goldin e a un
collezionista.
Un volume in cui la grafica – che gioca con le silouhettes e
decorazioni delle opere – si incontra con la lavorazione artigianale
e dove tanti tipi di carta si mescolano per rendere la fragilità e la
materia di cui sono fatte le peperoles stesse: piccoli oggetti dal
grande valore simbolico e umano, che portano con sé storie di
culti, di riti e di vita.
UFFICIO STAMPA
indice
Mara Vitali Comunicazione - C.so Indipendenza 1 - 20129 Milano |
Laura Molinari - tel: 02.70108230 - fax: 02.70005403 - [email protected]