9 Stati in 9 giorni
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9 Stati in 9 giorni
9 Stati in 9 giorni In realtà il viaggio è durato 10 giorni, ma dopo nove giorni avevo già messo le ruote su nove stati diversi. Il pretesto del viaggio era un raduno di Four che si sarebbe tenuto a Collendoorn (NL) a fine agosto, ma lo scopo vero non era la meta, ma il viaggio stesso. Questo racconto è tratto dal “diario di bordo” che tutte le sere compilavo, riportando le impressioni più significative del giorno appena trascorso. Sera di mercoledì 20 agosto 2014. Sono alla Gastof Linde di Gebsattel (D) e scrivo quanto ricordo di questo primo giorno di viaggio. Ore 05,20 del mattino. La Poderosa si avvia senza la minima incertezza. Solo il tempo di infilare i guanti e parto piano per non disturbare nessuno, ma ecco che fatti poche decine di metri, il motore gorgoglia e sussulta. Ecco, lo sapevo! E’ sempre andata benissimo e proprio oggi che devo affrontare l’impresa, il motore fa le bizze… Ma subito mi ricordo che ieri sera ho chiuso il rubinetto della benzina. La mano scende veloce riportando la leva su ON. La sera precedente avevo chiuso il rubinetto perché due giorni prima, al mattino, avevo trovato il laghetto sotto al motore. La Poderosa, forse emozionata, per la prima volta aveva sofferto d’incontinenza. Passo il Piave al Ponte di Vidor senza quasi incontrare anima viva. A Feltre inizia un po’ di foschia e fa freddo e a Trento prendo l’autostrada. A Bressanone compare un timido sole che non scalda. Ho già percorso 250km quando, 30km prima del Brennero, mi fermo ad una stazione di servizio per fare il primo rifornimento e per prendere un cappuccino e brioche. Sto tremando per il freddo. Appena il sangue riprende a circolare, inforco nuovamente la Poderosa e riparto verso il confine con l’Austria. Dopo un centinaio di chilometri, esco dall’autostrada per scalare il Fernpass. Fa un freddo boia. Entro in Germania e dopo altri 250km faccio il secondo rifornimento della giornata. Poco più avanti esco a Vöhringen, dove Horst Zeller (WildJack) mi aspetta alla stazione di servizio. Resto con lui giusto il tempo di scambiare quattro chiacchere. La sua moto è del ’75 come la mia. Ma lui ce l’ha da 39 anni!!! Riparto e dopo poco mi fermo ad Ulm, città di Einstein e del campanile più alto del mondo. Mangio un boccone, visito un po’ la città ed il mercato, entro in cattedrale. Poi di nuovo in sella per l’ultimo salto che mi porterà a Gebsattel. Quando arrivo alla Gastof Linde sono le 15,30 e sono parecchio provato. Venti minuti di doccia bollente mi ridanno un po’ di calore ed alleviano la tensione dei muscoli delle spalle. Scrivo a casa che sono arrivato ed esco per andare a Rothenburg ob der Tauber che dista solo qualche chilometro, lungo la Romantischestrasse. Cittadina medievale ed in parte murata, Rothenburg ha bei negozi e molte birrerie e ristoranti. La Four fa la sua porca figura anche in Krukkolandia e in tanti si fermano e persino si accucciano per guardarla meglio. Mangio una cosa leggera e bevo un’ottima birra. Ritorno alla Gastof Linde e scrivo queste poche righe, poi mi fiondo a letto che sono cotto. Oggi ho macinato 736km. Sera di giovedì 20 agosto. Stamattina, dopo aver fatto una generosa colazione alla Gastof Linde e dopo aver controllato che tutto fosse in ordine ed ingrassata la catena finale, mi sono avviato lentamente scollinando su e giù per i poggi sotto il primo sole, fino a riprendere l’autostrada. Le autostrade in Germania sono una cosa a sé. Se in Italia queste vanno evitate come la peste, qui vanno assolutamente prese in considerazione. Gratuite, scorrevolissime, quasi ovunque senza alcun limite di velocità e soprattutto, mai monotone. Su e giù assecondando l’andamento della campagna, con curve ampie ed armoniose, spesso immerse nei boschi o quantomeno fiancheggiate da siepi generose. La campagna attorno è punteggiata di minuscoli paesi come in Austria, ma le tenute agricole sono di tutt’altra dimensione. Grandi estensioni monocolturali che vanno di collina in collina e tutto questo con un’armonia che ricorda, in scala maggiore, la campagna toscana. La bussola del navigatore segna che, nella media dei curvoni, sto comunque andando a nord. L’ombra mi segue a sinistra e man mano che passa il tempo, questa si sposta sempre più davanti a me e la Four cerca inutilmente di raggiungerla. 115km/h, 4500RPM. Questa è la velocità perfetta. La moto va bene, ma ha la sua età ed i suoi vizi che negli anni si sono forse accentuati. Se riduco un po’ il gas, lo specchietto di sinistra entra in vibrazione e rimanda immagini sfocate. Se accelero un po’ la lancetta del contagiri sbattacchia… Insomma, a me sembra che la moto gradisca andare a questa andatura ed io l’accontento. Ogni 250km mi fermo per il rifornimento. Dato che stamattina sono partito con il serbatoio pieno, la prima sosta della giornata è dopo due ore e mezza dalla partenza. Sono intirizzito e mi muovo in modo legnoso. Un panino ed un kaffee bollente mi rimettono in sesto. Ad ogni sosta controllo che tutto sia in ordine. Il bagaglio ben fissato, il funzionamento delle luci e dello stop, il livello dell’olio e lo stato della catena finale. Non so perché, ma in questo viaggio ho la fisima della catena. So che non è presa bene e che avrei dovuto cambiarla prima di partire, ma l’incertezza di quale ricambio ordinare mi ha fatto perdere tempo prezioso e alla fine sono partito con il kit vecchio. Compenso mantenendola sempre ben lubrificata con il grasso spray. Dopo Kassel l’autostrada piega decisamente ad ovest per servire la città di Dortmund. Abbandono la regione dell’Essen per entrare in Westfalia. Vedo le indicazioni per Bremen e la tentazione di andarci è forte. Ricordo una statua in bronzo raffigurante i quattro musicanti di Brema che era riportata nell’antologia delle medie. Ma resisto e tiro dritto. Più oltre, in bassa Sassonia, trovo i cartelli per Hamelin e mi ricordo di un’altra fiaba dei fratelli Grimm. Ma anche stavolta non mi lascio tentare. Ho camere prenotate lungo tutto il percorso ed è meglio non sgarrare. I viaggi bisognerebbe farli alla zingara, come Amici Miei, andare a casaccio e lasciarsi trasportare dalle emozioni del momento. Le ore scorrono assieme ai chilometri. La campagna ondulata che mi ha accompagnato per molte centinaia di chilometri, lascia gradatamente posto alla pianura. Sto andando incontro alla grande depressione del territorio olandese. Una CBRR mi si affianca e mi fa un cenno d’apprezzamento che ricambio, poi il pilota si abbassa in carena e assieme filano via. Sorpasso un Volkswagen Westfalia colorato in stile figli dei fiori, con le tendine e tutto il resto. E’ la mia volta di fare un cenno di saluto. Più avanti avrò il modo di incontrarne sempre più spesso e di capire che più mi avvicino ad Amsterdam e più ne vedrò. D’altronde, se vuoi essere davvero un integralista, ad Amsterdam ci dovresti andare solo con l’autostop o con il Westfalia. Dopo 630 chilometri arrivo finalmente al B&B. Dire che si tratta di un edificio tipico è estremamente riduttivo. Sembra un luogo di fate, che irradia una pace assoluta. E la padrona di casa, Isabella è assolutamente immersa in quest’atmosfera sospesa. Dopo la solita doccia ristoratrice e dopo aver cenato in camera, scendo a fare un po’ di lifting alla Poderosa. Un grosso gatto persiano dal pelo lungo e bianco sta comodamente dormendo sulla sella ed io non lo disturbo. Mai come stavolta, pulire, lucidare ed ingrassare hanno una valenza quasi di gratitudine. Sera di venerdì 22 agosto: Se esistono gli elfi, le fate e gli gnomi e tutte le altre creature di cui ho sempre sentito parlare, essi vivono qui, in questa casa, fra questi boschi di abeti e betulle dove i silenzi accompagnano il lento alternarsi del giorno e della notte. Un sonno lungo e profondo, interrotto da brevi risvegli dettati dalla consapevolezza di essere in un mondo magico, in una dimensione sospesa, hanno caratterizzato questa mia prima notte in Olanda. Al mattino, un sole piccolo e lontano, si fa strada fra i rami degli alberi ed entra in questa camera antica, dove le aperture sono state pensate per far tesoro della breve luce del giorno. Il tetto di paglia, bagnato dalla pioggia notturna, adesso fuma scaldato dal sole. La Poderosa, pulita e resa perfetta dalle cure della sera precedente, si avvia al primo tocco ed io la guido piano verso il raduno. Il navigatore mi dice che fino a Collendoorn ci sono 15km da fare e me li godo piano, osservando le case, i giardini e la gente in bicicletta che saluta sempre con un sorriso. Le case sono piccole ma molto curate. I muri sono in mattoni a vista e tutte presentano grandi finestre o vetrate che danno sul davanti. Quasi un’arte Zen minimalista, trapiantata dal lontano oriente in terra d’Olanda. Ortogonali le une alle altre, le strade delimitano ampi terreni a pascolo o a bosco. Quantità incredibili di bovini, ovini ed equini stanno dentro a questi enormi recinti. E in questo dedalo di strade tutte uguali fra loro, mi sono perso. Il navigatore mi ha portato nel nulla più assoluto! Verifico di aver impostato l’indirizzo giusto, controllo perfino di non aver sbagliato paese o, peggio ancora, la data. Ma non c’è nessun errore, eppure qui non c’è niente. Non solo non ci sono moto, ma non c’è neppure il posto dove poter organizzare un raduno. Inizio a girare in tondo, percorrendo i segmenti di una spirale sempre più ampia, sperando di trovare il posto o almeno di incrociare una moto, ma percorro più di 30km fra boschi e pascoli senza alcun successo. Chiedo inutilmente a qualche passante e provo, senza successo, a chiamare al telefono i contatti che avevo memorizzato. Riprendo a girare a casaccio, impostando di volta in volta i nomi delle vie che maps mi aveva fatto vedere attorno al punto indicato. Sono fermo ad un incrocio, mentre cerco di interpretare un cartello con i percorsi ciclabili e le attrattive locali, quando sento il rumore di una moto che si avvicina. Poco dopo, una Ducati Supersport 900 sembra sbucare da un bosco. Il tipo si ferma, non parla inglese ma capisce il mio guaio e con un sorriso mi fa cenno di seguirlo. Pratichiamo un labirinto di strade, boschi, gruppetti di case ed infine arriviamo al raduno. Era distante solo qualche chilometro da dove mi portava il navigatore, ma senza quel Ducati sarei ancora la, a girare in tondo. Il mio arrivo suscita fermento e qualche incredulità. Vengo accolto calorosamente dallo staff organizzatore, e ci facciamo subito un birrino. Al momento giusto, mi gioco il jolly e tiro fuori la bandiera di H4F che il Tums mi ha affidato. Foto ricordo con le bandiere, scambio di adesivi, patch ecc. Le moto sono poche, forse una quindicina, ma siamo appena all’inizio e pian piano cominciano ad arrivare. Le normali, le special, le derivate. Quasi tutte olandesi ma non mancano i tedeschi. Sera di sabato 23 agosto: Stamattina il TomTom non ne vuol sapere di funzionare. Ieri ha preso acqua a secchiate prima che lo potessi coprire con il sacchetto da congelatore che mi porto sempre appresso. Ho provato più volte a riavviarlo ma niente da fare, il touch screen è andato. Provo comunque ad andare verso il raduno, magari con l’alimentazione inserita ed un po’ di aria e sole, chissà che riprenda ad andare. Niente da fare. Se ieri mi perdevo con il navigatore, figuriamoci oggi senza!!! Preferisco tornare in camera e provare ad aprirlo. Fatto!!! Ho dovuto prima modificare un po’ un cacciavite affinchè si adattasse alle viti torx, poi l’ho aperto, ho staccato la batteria, il microfono, tolta la SD ed asciugato piano con il phon di Isabella. Dopo qualche tentativo a vuoto ha dato i primi segni di risveglio e adesso funziona (quasi) come prima. Vedrò di non fagli prendere più nemmeno una goccia. Però nel frattempo ho cambiato progetto: al raduno ci andrò nel pomeriggio. Adesso voglio andare ad Assen ed anche, la vicino, a visitare un sito preistorico. Ad Assen ovviamente non sono riuscito ad entrare nel circuito. Ho quindi fatto tutto il giro all’esterno (speriamo non contromano). Più tardi, al raduno, c’erano parecchie moto. Soprattutto in versione originale ma non mancavano le special, le preparate per corse, le cafè racer ed anche qualche custom derivato sempre da Four. Per tutte queste, rimando alle foto pubblicate in questo sito. E’ ormai sera e sto tornando verso il B&B di Isabella. Il cielo è perfetto, trasparente come una lente lavata di fresco dalle tante piogge. Sono su un lungo stradone solitario che va verso nord. Alla mia sinistra il sole è appena tramontato in un incendio silenzioso e sempre a sinistra della carreggiata c’è un canale ed oltre a questo ci sono i campi. Un volo d’oche si alza dal pascolo ed inizia a sorvolare il canale, mettendosi lentamente nella consueta formazione a “V”. Accelero piano e le affianco, sono alla mia sinistra, a circa venti metri d’altezza. Regolo la mia andatura alla loro. La visiera del casco è alzata e l’aria ghiacciata mi fa lacrimare, ma vedo distintamente le loro teste girarsi a guardarmi. Facciamo strada assieme per un po’, poi loro piegano a destra, mi passano sopra e se ne vanno. Ultima sera al Mon Reve. Ho espresso a miss Isabella il mio dispiacere nel dover abbandonare questa casa e questa stanza. Ci tornerò mille altre volte con la memoria. Ho anche chiesto di anticipare la colazione alle sette perché credo di aver capito il meteo di questo Paese. In questi giorni le precipitazioni maggiori si sono sempre avute nelle ore centrali della giornata e domattina vorrei giocare d’anticipo partendo per Amsterdam di buon’ora. Sera di domenica 24 agosto: Alle 6,30 la doccia è fatta ed il bagaglio pronto. Mentre faccio colazione in camera, dal bosco di pini dietro casa escono due caprioli. Son venuti a salutare la mia partenza. Pascolano piano fino ad attraversare tutta la radura, con i mantelli che fumano al sole e poi rientrano nel bosco. Fuori c’è la Poderosa che aspetta con il muso già puntato sul lungo viale d’ingresso. Prima delle otto sono già in marcia con il motore che ronfa piano fra le stradine del paese. Freddo quanto basta da far apprezzare la luce del sole. Non c’è anima viva in giro. Incontro un grande campo di surfinie colorate e mi fermo a fare una foto con la luce ancora radente. Poco oltre, in un grande campo d’erba, un branco di oche selvatiche sta pascolando. Sono circa una quindicina e mi piace pensare che siano quelle di ieri sera. Ho impostato sul navigatore Lelystad “percorso più breve”. Questo mi farà risparmiare una ventina di chilometri con dieci minuti di viaggio in più. E devo dire che è stata una scelta felice, perché attraverso piccoli paesi incantati, case col tetto di paglia ed il fumo che esce dai camini. Passo Kampen con la splendida cattedrale gotica che si affaccia su un grande canale navigabile. Arrivato a Lelystad, il navigatore segna 52,50° di latitudine nord. Faccio un conto al volo: viaggiando in linea retta, per ogni grado corrispondono 111km. Sono partito da 45,50°, quindi disto solo 777km in linea d’aria da casa. Lelystad è un borgo bruttissimo e mi passa persino la voglia di vedere il mare in posto così. Poco più avanti la grossa città di Almer è sopraffatta dal traffico. Nonostante il mattino promettesse benissimo, adesso piove e sono costretto a fermarmi sotto ad un cavalcavia per attrezzarmi alla bisogna. Procedo sotto a scrosci improvvisi intercalati da squarci di sole fino ad entrare in Amsterdam. Confesso che la prima sensazione è di pura felicità per esser riuscito nell’impresa. Essendo entrato a nord-ovest della città ed essendo il mio hotel in zona sudest, sono costretto ad attraversarla tutta, ma questo non è un problema, anzi. Adesso c’è il sereno stabile. Le biciclette sfrecciano ovunque a velocità pazzesche. Arrivo sul posto ed infilo la moto in garage dove se ne starà tranquilla per tre giorni e tre notti. Sistemo i bagagli ed esco in fretta, per fortuna fuori c’è il sole. In centro mi immergo nella folla, quasi tutti giovanissimi. Visito il mercato dei fiori, entro nei negozi di formaggi, faccio assaggi, poi, in piazza Rembrandt mi faccio una birra come Dio comanda. Sento parlare in spagnolo, italiano, un po’ di francese, cinese e soprattutto inglese. Ne conseguono ristoranti indonesiani, turchi, kebab, sushi bar e take away di ogni tipo. Potrò io dire di aver conosciuto l’Olanda in questo modo? Sera di lunedì 25 agosto Al mattino sono stato al Rijksmuseum e poi ho trascorso tutto il giorno a zonzo per la città, perquisendola da cima a fondo, esplorando strade, viottoli e locali. Sono entrato ed uscito ovunque. Verso sera ho trovato una libreria internazionale (Scheltema) che si sviluppa su tre piani ed è aperta dal 1853. Fra gli infiniti scaffali ho preso, di seconda mano, LA RAGAZZA CON L’ORECCHINO DI PERLA. Dato che oggi ho visto alcuni lavori di Vermeer, mi è sembrato un segno del destino. Al secondo piano c’è un bar intimo e silenzioso, poltrone e divani di cuoio vecchio, bella gente tranquilla, rilassata che legge e prende il the. Le notti ad Amsterdam sono un brulicare incessante di gente e di vita. Sera di martedì 26 agosto Stamattina mi sono alzato molto presto per evitare (con successo) le code impressionanti al museo Van Gogh. Poi, sotto una pioggerellina tagliente, ho iniziato a vagolare per la città senza meta. Ho visitato la stazione centrale, il quartiere a luci rosse, un tempio buddista e, cosa curiosissima, una chiesa cattolica clandestina Ons' Lieve Heer op Solder. Poi è uscito un po’ di sole, ed ancora in giro fra strade e canali. Domattina partirò da Amsterdam ed inizierò a scendere. Ho pensato di fare una variante al progetto iniziale, allungandomi fino a Noordwijk per vedere il mare del Nord con gli occhi di Max Liebermann. Poi scenderò per il Belgio, il Lussemburgo e la Francia. La tappa di domani si aggira sui 620km. Sera di mercoledì 27 agosto. E’ stata una notte calda e pesante. Amsterdam avrebbe finito con l’uccidermi se ci fossi rimasto un solo giorno in più. Mi sono alzato con un mal di testa insopportabile. Appena partito, ho fatto fatica a ritrovare il mio posto sulla Poderosa. Era come se qualcuno mi avesse scambiato la sella… o il culo. Poi pian piano ho ripreso il ritmo. La mattina era limpida perfetta e l’uscita da Amsterdam è stata relativamente facile, se si esclude il gran traffico già alle sette di mattina. Fuori città, un velo di nebbia bassa e leggera copriva campi e canali. In poco meno di una cinquantina di chilometri sono arrivato a Noordwijk che è una cittadina di tutto rispetto, cresciuta per esigenze “balneari”. Una grande duna, o meglio un argine ricoperto di folta vegetazione, separa il mare dall’entroterra. A volte quest’argine è ben visibile, ad esempio in campagna, altre volte la pendenza è decisamente meno ripida come appunto a Noordwijk. In spiaggia non c’è nessuno, pur con la limpida mattina d’agosto, ma mare ha il colore dell’acciaio e dà l’impressione di essere gelido. E pensare che mi ero portato dietro anche il costume da bagno… Poco dopo Noordwijk, sono fermo sotto un cavalcavia a studiare l’itinerario con l’aiuto del navigatore quando, con mia sorpresa, si avvicina un motociclista a piedi per chiedermi se ho bisogno d’aiuto. Rispondo che è tutto ok e ringrazio. Ci diamo la mano e lui ritorna alla sua moto che aveva parcheggiato poco più avanti. Oltrepasso Rotterdam e Delft, poi scendo verso il confine con il Belgio. Alla prima sosta per la benzina, faccio finalmente colazione con un caffè lunghissimo, una brioche e l’ultima aspirina. Dato che all’arrivo ad Amsterdam non l’avevo fatto, ho ingrasso la catena finale. Appena entro in Belgio inizia la pioggia, prima piano, poi sempre più fitta e devo fermarmi per infilare la tuta. Sfioro Waterloo e passo nei pressi dell’aeroporto Charleroi, vicino a Bruxelles. Un jumbo con i carrelli fuori passa basso sulla strada. Oltrepasso BastogneLiegi e Strasburgo. Per tutta la strada del Belgio, piove quasi ininterrottamente. Attraverso il Lussemburgo che è piccolo come un francobollo ed infine entro in Francia, dove sfioro Metz che è il capoluogo della Lorena. Sotto a questa regione, entro in Alsazia e la tappa finisce a Metting. Confesso che non avevo realizzato che questo paesino fosse così piccolo. Poche case, per lo più povere, neanche tanto curate e qualche grossa fattoria nei campi. Nel soggiorno al piano terra del B&B sono presenti la padrona di casa, il suo anziano marito completamente sdentato, una graziosa bambina (penso la nipote) che gioca con un gatto ed un’altra signora che si qualifica come amica di famiglia. Riusciamo a capirci quanto basta, ma con qualche difficoltà in quanto solo la bambina parla francese, ma è molto timida e non si presta a traduzioni. Gli anziani parlano solamente il patois che è un dialetto a metà fra il francese ed il tedesco, pieno di Jo-Jo e Oplà. Sono talmente fieri della loro lingua, che l’amica esclama: “je ne parle pas que le patois” e mentre lo dice, alza la fronte e spinge in fuori il petto generoso. Azzardo la richiesta di far loro una foto e subito, entusiasti, si mettono tutti in posa, gatto compreso. Siccome mi vedono provato dal viaggio, mi viene offerta una zuppa di asparagi ben calda, del pane e formaggio ed un bicchier di vino. Faccio tesoro di quest’offerta e poi, mentre le due signore rifanno il letto, faccio una lunga passeggiata per il paese. Le porte e le finestre delle case hanno gli stipiti e gli architravi di arenaria rossa che sembra il nostro rosso della Secca. Sono lavorati con grazia e portano inciso l’anno di costruzione che quasi sempre è attorno a metà dell‘800. Sera di giovedì 28 agosto. Partire la mattina presto fra le infinite colline dell’Alsazia, quando nei fondovalle c’è ancora la nebbia. E la sorpresa del sole ogni volta che si risale… e poi ancora giù a bagnarsi i vestiti. E la visiera del casco che si appanna. E quando nuovamente risali, il paesaggio è cambiato, le mucche al pascolo che prima erano a destra adesso sono a sinistra, ed il taglio di luce è diverso. Andare così. Per sempre! Ma se possibile, tutto questo evitando la Mirabella a 45% gentilmente offerta da Frau Josephine a colazione, mentre facevo conoscenza con Wilhelm. Un ragazzo belga di forse trent’anni che è venuto fin qua per raccogliere le pommes de terre. Mi ha detto che ha fatto il viaggio in parte con l’autostop ed in parte, gran parte, a piedi. La Giornata è splendida, il suono del motore un’armonia e l’autostrada la lascio da parte. Troppo bello andare così. E la Francia finisce fin troppo presto. Entro di nuovo in Germania perché voglio vedere le sorgenti del Danubio. Questo fiume l’ho visto ed attraversato tante volte nei miei viaggi, ho letto di lui in racconti lontani e vicini e Claudio Magris ne ha fatto un mestiere. Arrivo a Donaueschingen, parcheggio la moto, ma scopro con orrore che la Donauquelle è in rifacimento e la posso guardare solo dall’alto del sagrato della chiesa ed il castello dei Furstemberg è chiuso. Punto quindi su San Gallo in Svizzera, sempre evitando le autostrade. Da San Gallo costeggio la parte sud del lago di Costanza ed è qui che mi accorgo che il navigatore non ha la mappa del Liechtenstein! Ne consegue che è assolutamente impossibile, attraverso la miriade di paesi alpini, arrivare a Vaduz senza prendere l’autostrada. Mi consulto con un ragazzo del posto che mi dice: “nicht vignetta? Nicht polizei, nein controllen” e così mi decido. Mi infilo nell’autobahn a manetta, posizione aerodinamica, e cerco di percorrere nel minor tempo possibile gli 80km che mi separano da Vaduz. Lascio l’autostrada all’uscita giusta e salgo nella piccola capitale del principato. Qualche foto di rito, un caffè, quattro passi ed è presto fatta. Punto adesso su Oetz in Austria, dove mi aspetta l’ultima camera di questo viaggio. Non sto a raccontare quanto son stati duri gli ultimi chilometri di questa giornata che, pur essendo stata la prima senza pioggia, è stata indubbiamente quella che nel pomeriggio mi ha fatto penare di più. Forse la stanchezza è dovuta al fatto che non ho mangiato quasi niente: una colazione leggera da frau Josephine, ed un cappuccino con brioche poco prima di Donaueschingen. Arrivo all’albergo sfinito, controllo l’olio, ne aggiungo un po’ e ingrasso la catena. Faccio una doccia che non mi da sollievo. Esco a camminare un po’ per il paese ma sono intorpidito, rintronato e mi accorgo che cammino storto. Rientro in hotel, dove la cameriera risolve ogni cosa: Guten naben herr, vuole sedersi qui in terrazzo, le porto una birra fresca e fra mezz’ora è pronta la cena? Capisco solo sedersi e birra. Riesco a rispondere solo con un sorriso e arriva una splendida birra ghiacciata. La bevo piano, guardando contro la luce del tramonto il miliardo d’insetti ed altro pulviscolo dorato che volteggiano controsole. Mi lascio andare e pian piano un dolce torpore mi pervade facendomi apprezzare d’essere quasi a casa. Mi concedo una cena sacrosanta, con canederli, agnello allo zafferano con sformato di finocchio e zucchine trifolate ed un paio di grosse birre. Poi arriva il caffè con la palacinche al ciccolato. Mi fa male la schiena, ma sto bene nel cuore. Sera di venerdì 29 agosto. Una buona ed abbondantissima colazione all’Alpenhotel mi da la carica per fare l’ultimo balzo fino a casa. La giornata promette sole per tutto il giorno e la strada da fare non è molta. La valle dell’Oetz è bella da percorrere e in poco tempo arrivo ad Innsbruck. Piego a destra e salgo al Brennerpass. Ed eccomi di nuovo in Italia. Autostrade a pagamento, cartelli stradali ovunque e pattuglie di polizia mi accolgono in patria. Oltrepasso Vipiteno e faccio a ritroso la strada di dieci giorni prima. Verso mezzogiorno mi fermo ad una stazione di servizio in Valsugana, faccio rifornimento, mi mangio il panino che m’ero messo da parte stamattina a colazione ed ordino un caffè. Riesco anche a fare un pisolino su una panca al sole. Quando mi sveglio, un camionista che sta gironzolando attorno alla moto mi racconta “di quella volta che anche lui ne aveva una così”… Mando un messaggio a Stefano e gli chiedo se ha voglia di venirmi incontro con la sua Four. Accordiamo di trovarci a Ponte della Priula e verso l’una e mezza c’incrociamo puntuali. Prendiamo una cosa assieme in un bar all’aperto. Racconto sommariamente il mio viaggio e poco dopo siamo in sella per gli ultimi trenta chilometri. Attivo a casa alle 14,30 con 3274 percorsi e tante cose da ricordare. E sono sicuro che queste poche righe mi saranno di grande aiuto negli anni a venire.