OLIVIERO TOSCANI storia della grafica Comunicazione Visiva

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OLIVIERO TOSCANI storia della grafica Comunicazione Visiva
RICERCA DI
PATRICK HEUBI
OLIVIERO TOSCANI
storia della grafica
Comunicazione Visiva
Supsi
sessione d’esame
autunnale 2007
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Indice
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1. Introduzione
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2. Contesto storico
il mondo della grafica
i protagonisti principali
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3. Biografia
Oliviero Toscani
i maestri
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4. Il lavoro
5. Analisi di un lavoro
l’immagine per Benetton
il concetto
le scelte formali
l’immagine
la tipografia
il colore
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6. Conclusione
7. Bibliografia
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In questa ricerca parlerò di Oliviero
Toscani e del mondo nel quale lavora.
Divisi in capitoli troveremo, dei personaggi che hanno scritto la storia della
grafica e del design, i maestri e i personaggi che il creativo stima ci faranno comprendere il suo personale stile
di comunicazione. Tutto questo prima
di addentrarci nell’attività creativa, che
verrà scomposta e analizzata alla fine
di questo lavoro. Innanzitutto mi concentrerò sul contesto storico nel quale
vive si forma e lavora Toscani, usando
la sua figura come capro espiatorio
per poter comprendere e spiegare in
breve la grafica e la fotografia che ha
segnato dalla fine degli anni sessanta alla fine degli anni ottanta. I grandi
grafici, designers, e comunicatori, le
innovazioni tecniche e i cambiamenti
socio-culturali di questi 30 anni verranno visti qui servendo anche come
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base dalla quale partire per l’analisi del
lavoro del creativo che ho scelto.
Il passo seguente consisterà nello
sviscerare la storia di Oliviero Toscani partendo da dei cenni biografici,
conoscere i maestri, e le persone che
stima e dalle quali ha preso esempio
per creare il suo personale stile di comunicazione.
Dopo questa presentazione del personaggio getterò un occhio sul suo lavoro complessivo, aprendo virtualmente
il suo portfolio, ed estrapolandone dei
lavori significativi per ogni fase della
sua vita così da avere una panoramica sul suo lavoro abbastanza ampia
da poter scegliere uno di questi lavori,
analizzarlo, smontarlo e rimontarlo per
poterlo confrontare ad altri lavori pubblicati nello stesso periodo, e poter
trarre le mie conclusioni.
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Il mondo della grafica
Quando in giovane età Toscani esce diplomandosi a pieni voti dalla Kunstgewerbeschule di Zurigo nel mondo della grafica e del design, è già in atto un processo
di cambiamento che rivoluzionerà il modo di comunicare a livello planetario. Negli
anni sessanta l’industria grafica ed in particolare quella del manifesto subisce un
calo dovuto al all’avanzata del potere della televisione, ad un cambiamento società, e un maggior benessere. Questo portò quindi a una maggiore massificazione
della società che presta più attenzione al nuovo medium televisione piuttosto che a
quello che si vede sulle strade. Questo fenomeno è dovuto anche ad una fruizione
sempre più veloce e distratta delle strade grazie a mezzi di trasporto sempre più
veloci e che scelgono vie alternative alle strade trafficate, ad esempio le metropolitane e le sopraelevate.
Neanche lo spostamento degli spazi adibiti all’affissione nei punti di aggregazione
strategici come le stazioni, i nascenti centri commerciali, e gli aeroporti sembrano
bastare a colmare questa perdita di interesse generalizzata. Ma è dalla fine degli anni sessanta che giovani artisti, designers appena diplomati, con molta voglia
di sperimentare portano una ventata di aria fresca in questo campo, grazie ad un
particolare estro nel progettazione e una particolare attenzione al mondo a loro
circostante, comunicano in maniera audace e attenta ai linguaggi dei coetanei
che li circondano. Abolendo i confini geografici e quello che ormai era diventato manierismo nazionale, questi si divertono ricercando linguaggi sempre nuovi
per progettare con uno stile sempre nuovo basato non unicamente su paramenti
scientifici ma affidandosi al proprio estro per creare sempre qualcosa di attuale e
avvincente.
Talvolta riprendendo il meglio dal passato rendendolo più accattivante e giovanile,
infrangendo le regole dettate dalle ricerche scientifiche, affidandosi al loro buon
gusto o mescolando diversi stili a concetti più moderni, questi giovani riescono a
sfondare, riportando l’interesse generale verso il medium del manifesto.
Come vedremo in seguito anche Oliviero Toscani si situa in questa schiera di progettisti che, rivoluzionando il manifesto, sul finire degli anni sessanta e inizio anni
settanta, influenzano ancora oggi, in un epoca dove la rivoluzione del digitale è in
atto, il lavoro di parecchi creativi.
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Come ogni rivoluzione ha il proprio atto scatenante, il proprio manifesto politico,
anche in questa rivoluzione creativa possiamo identificare nel manifesto di Theobald per il film Easy Rider, un esempio molto rappresentativo per la nascita di
questi nuovi movimenti. Questo manifesto caratterizzato da una grande dinamicità
della composizione dell’immagine grazie ad un punto di fuga molto accentuato,
dalla gamma cromatica scelta, la ripetizione di porzioni di immagine, l’obliquità di
queste fasce, e non da ultimo il tema della motocicletta, simbolo di libertà e spensieratezza, rappresentano bene i cambiamenti in atto in quegli anni.
Come già detto si abbattono le frontiere della grafica nazionale, avvicinando
l’estremo oriente all’occidente, gli stati uniti all’Europa e viceversa, mantenendo
l’identità personale del grafico che non si rispecchia più in un forte schema produttivo, o in una corrente ma progetta mantenendo la propria progettualità basata sul
proprio background culturale.
Questo porterà alla fusione tra la tradizione del gusto giapponese, e la grafica moderna nei lavori di Ikko Tanaka e Yokoo Tanadori, piuttosto che alla grafica psichedelica di Wes Wilson e Victor Moscoso, legata ai movimenti hippies di inizio anni
settanta, alla grande creatività Italiana, Di Massimo Vignelli, o Bruno Monguzzi il
quale si affaccia giovanissimo alla porta dello studio Boggeri.
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Milton Glaser (1929) è nato a New York il 26 giugno. Glaser ha compiuto gli studi
superiori alla High School of Music and Art di New York diplomandosi nel 1946,
in seguito ha proseguito i suoi studi alla Cooper Union Art School e grazie ad una
borsa di studio all’Accademia di Belle Arti di Bologna laureandosi nel ‘59.
Fondatore a New York, insieme a Seymour Chwast e a Reynold Ruffins del Push
Pin Studios, e presidente dello stesso crea e dirige anche al Push Pin Graphic
Magazine nel 1957.
Lavora a molti progetti importanti sin dalla giovane età sia in USA che in Italia dove lavora per Olivetti e ridisegna ad esempio la grafica editoriale per L’Espresso.
Lavora molto su manifesti, principalmente per eventi musicali, culturali, o per istituzioni. Lavora molto con l’ illustrazione pur essendo molto eclettico, spaziando dai
manifesti, alle decorazioni di pareti, alle corporate identity. È l’ideatore del famoso
marchio “I love NY”.
winsky. A 23 anni viene inviato a Montréal per rogettare i 9 padiglioni che compongono l’Esposizione Universale di Montréal. Collabora con diversi musei tra i quali
il Musée d’Orsay di Parigi per il quale vince il concorso internazionale per l’immagine segnaletica e dal 1987 con il museo Cantonale d’Arte di Lugano. Insegna al
CSIA di Lugano fino al 1999 come all’Accademia di Architettura di Mendrisio. Nel
2003 gli viene conferito il titolo di Honorary Royal Designer for Industry.
Tra i numerosi volumi da lui progettati possiamo annoverare due monografie, una
sullo studio Boggeri e la seconda su Piet Zwart. Ha inoltre pubblicato un piccolo
trattato sul progetto tipografico.
Paul Davis, (1938) giunge a New York a 17 anni, dopo gli studi alla School of
visualarts, collabora da subio con i Push Pin Studios fino al 1963, a quel punto della sua carriera apre uno studio per conto suo partecipando così al cambiamento
della grafica in prima persona. Grande illustratore, disegna innumerevoli manifesti
teatrali. Famosi anche i suoi ritratti di personaggi della politica e dello spettacolo.
Con uno stile iperrealista e una tecnica eccezionale cerca nei volti cerca di mostrare tutte le meticolosità del personaggio che sta ritraendo.
Saul Steinberg, (1914) figlio di un legatore di libri, dopo aver studiato architettura
al politecnico di Milano, e una breve collaborazione con lo Studio Boggeri come
grafico si dedica all’illustrazione, diventando in breve tempo il vignettista.
Nel 41 si sposta a New York scappando così dalla guerra. Nel 1942 inizia a lavorare ne il New Yorker. Probabilmente uno degli illustratori vignettisti più importanti del
dopo guerra a livello mondiale, influenza con il suo tratto unico, la sua semplicità i
designers che nel 1970 rivoluzioneranno il mondo del design.
Massimo Vignelli, (1931) nato a Milano è tra i fondatori di Unimark International
dirigendo dapprima la sezione americana dello studio fino al 1965. Si stacca però
per creare il proprio studio a New York partecipando così in prima persona rivoluzione grafica con i suoi manifesti e le corporate identity. Tra i molti lavori possiamo
trovare molte immagini coordinate, ad esempio le meropolitane Newyorkesi.
Bruno Monguzzi, inizia a lavorare come grafico allo studio Boggeri di Milano per
il quale diventa uno dei suoi designers di punta insieme a Max Huber, Xanty Scha-
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Oliviero Toscani nasce a Milano il 28
febbraio de 1942. Figlio di Fedele Toscani, il primo fotoreporter del Corriere
della sera fin da bambino si interessa
di fotografia grazie anche ad una macchina fotografica compatta regalagli da
suo padre in tenera età.
Dichiara che la prima immagine che lo
impressionò fu l’immagine del Cristo
con il proprio cuore in mano sopra la testata del suo letto. Questa immagine lo
indirizzerà verso l’interesse per l’arte.
Da sempre uno studente provocatore,
poco impegnato e coinvolto dall’istruzione scolastica non crede minimamente nella sue possibilità tanto ché per
l’iscrizione alla Kunstgewerbeschule di
Zurigo ci vuole l’aiuto di Aldo Ballo, rinomato designer dagli anni ‘50 (il quale
è anche marito della sorella Marirosa).
Nel 1964 studia a Zurigo dove, sotto gli
influssi dei grandi della grafica Svizzera, si forma come grafico e si diploma
nel 1965.
Da quel momento inizia un periodo di
lavoro tra l’Italia e gli Stati Uniti durante
i quali perfeziona il suo stile lavorando
prevalentemente con la fotografia.
Lavora con e per e con Andy Warhol,
questo lo porta a farsi conoscere come
suo assistente presso le redazioni di di-
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verse riviste di moda come Elle, Vogue,
GQ, Harper’s Bazaar, Esquire, Stern.
Il successo lo raggiunge però nel 1973
con il manifesto per la Jesus Jeans “chi
mi ama mi segua”, il quale fa molto scalpore sfiorando la censura.
Da quel momento la sua fama inizia a
crescere nel mondo della carta patinata
fino alla conoscenza (grazie al direttore
di Esprit) di Luciano Benetton. Per questo lavora dal 1982 al 2000 disegnando campagne pubblicitarie, curando
l’identità aziendale, e inserendo messaggi sociali all’interno dei manifesti
dell’azienda. Crea anche per Benetton
il marchio Playlife. Più volte accusato di
sfruttare le disgrazie sociali del mondo
per vendere vestiti si è sempre difeso
rispondendo: “Io sfrutto i maglioni di
Benetton per parlare di problemi sociali
non il contrario”. La collaborazione con
Benetton finisce nel 2000 dopo aver
fatto la storia della comunicazione e
aver portato l’azienda ai massimi livelli
a causa di una campagna sull’abolizione della pena di morte che è costata
all’azienda l’intero mercato negli Stati
Uniti. Nel frattempo il giovane creativo oltre a lavorare per diverse aziende
che di tanto in tanto gli costano qualche
censura trova l tempo per creare e di-
rigere Colors (dal 1990) la prima rivista a distribuzione mondiale, facendone un
giornale di culto in seguito copiato, da molte avanguadie nel mondo della comunicazione.
Dal 1993 crea il progetto Fabrica, un centro internazionale di ricerca sulla comunicazione. In uno stabile del XIX secolo in seguito ristrutturato dall’architetto giapponese Tadao Ando (grande amico di Toscani) sotto la direzione del quale diventa
uno dei centri sperimentali più all’avanguardia degli ultimi anni.
Oggi Oliviero Toscani, dopo aver chiuso le relazioni con Benetton e aver spostato
la sua sede operativa prima a Cecina (dove ha fondato L’Olivierotoscanistudio) e
poi nel parco di San Rossore vicino a Pisa, ha creato La Sterpaia, centro di ricerca
affiliato allo studiotoscani dove attualmente lavora.
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i maestri di Toscani si possono individuare principalmente nel periodo che va
dall’infanzia al termine della suo apprendistato stilistico a New York.
Durante il periodo di formazione ed in seguito nel primo periodo di lavoro Toscani
osserva attentamente diversi maestri della comunicazione che, seppur non siano
stati suoi insegnanti, influenzano profondamente il suo lavoro più maturo. Sicuramente il lavoro di suo padre Fedele, come già detto, il primo reporter del corriere
della sera e proprietario di Publifoto, ha influenzato l’infanzia del giovane creativo il
quale si è subito trovato immerso nel mondo delle immagini.
Inoltre grazie alla macchina compatta regalatagli da sua padre il giovane Toscani
riesce già da bambino a far girare una sua immagine per tutto il mondo, si tratta
della fotografia della moglie del duce ai funerali di Mussolini.
Sicuramente in giovane età anche Aldo Ballo e il suo design hanno contriuito a
formare il gusto di Toscani.
E però alla kunstgewebeschule, tra le teorie basilari insegnatogli dai suoi professori che si possono trovare le personalità che hanno influenzato in maniera più
evidente il lavoro maturo di Oliviero Toscani. La Kunstgewerbeschule di Zurigo,
votata alla sperimentazione è sempre in competizione con la scuola di Basilea non
manca di incitare gli allievi a trovare un proprio stile creativo, così da potersi affermare sulla rivale. Questo avveniva anche grazie alla strutturazione della scuola,
simile al Bauhaus, e quindi agli insegnamenti dei maestri della prestigiosa scuola
di Weinmar. È qui che il giovane studente impara la teoria della forma, la tipografia,
la fotografia, la teoria del colore, e la storia dell’arte che riprenderà nel suo lavoro.
La teoria del colore di Johannes Itten in particolare lo colpisce profondamente come la storia del rinascimento Italiano.
L’immersione nella cultura Newyorkese di fine anni sessanta oltre a rappresentare
un valido apprendistato lo getta a capofitto nella cultura pop art nella quale era
intrisa la città in quel periodo. È qui che conosce e lavora con Andy Warhol e comprende quale sia veramente il potere persuasivo delle immagini e cosa rappresenti
lavorare per le più grandi testate di quei tempi. Da questo periodo Oliviero Toscani
si farà un nome nel mondo della moda cominciando a sviluppare uno stile del tutto
personale, inizierà ad affermare con prepotenza il suo nome e il suo stile nelle identità di brand sempre più importanti.
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Fedele Toscani (1909-1983) originario di Milano si occupa di fotografia dal 1928.
E’ distributore di immagini fotogiornalistiche e lavorando con Carrese con il quale fonda Publifoto. Realizza per il Consorzio Cinematografico Educativo un documentario sulla Liberazione che viene immediatamente sequestrato dagli americani. Dal 1945 al 1960 cura il servizio fotografico del Corriere della Sera. Si deve
considerare uno dei primi fotogiornalisti italiani.
Aldo Ballo (1928-1994) nasce a Sciacca nel 1928. Studia all’Accademia di Belle
Arti di Brera per poi proseguire gli studi seguendo i corsi di Architettura al Politecnico di Milano. Verso il 1950 si accosta al reportage lavorando nella celebre
agenzia PubliFoto di Fedele Toscani, padre di Oliviero e di Marirosa. Dalla metà
degli anni Cinquanta Ballo si rivolge alla pubblicità operando soprattutto alle immagini coordinate di Agip e Pirelli. Nel 1953 apre uno dei primi studi di fotografia
di design. Tutti i principali nomi del settore gli affidano oggetti, mobili e ambienti.
Numerose furono le riviste che ospitarono le sue immagini: Arianna, Abitare ( di cui
fece la prima copertina), Domus ( con vari servizi), e Casa Vogue (con cui collaborò consecutivamente dal 1967 al 1993), oltre a molte altre testate straniere.
Bauhaus (dal 1919) che deve la sua nascita, all’l’inizio del 1919, all’architetto
Walter Gropius che ne assume la direzione. Il Bauhaus nasce dalla fusione
dell’Accademia d’Arte di Weinmar e della Scuola d’Artigianato artistico, che doveva avere come nucleo fondamentale la sezione di architettura. Il corso completo
durava tre anni e mezzo, alternando lezioni teoriche a sperimentazioni su materiali
e processi di lavorazione. Vennero subito apportate importanti innovazioni rispetto
agli schemi di strutturazione scolastica tradizionale. Sulla base del concetto fondamentale che andava abbattuta qualunque separazione tra arte e artigianato, le
classi vennero così trasformate in officine.
Il criterio corporativo che è alla base del Bauhaus, la sua apertura ai giovani e l’interpretazione romantica del mondo che ne derivano, vi fecero convergere i più
grandi artisti del tempo. Del primo Consiglio di Maestranza fecero parte Lyonel
Feininger e Johannes Itten. Seguirono l’architetto Hannes Meyer, Paul Klee, Oskar
Schlemmer, Lothar Schreyer, Vassilij Kandinskij e infine Lálzló Moholy-Nagy. Nel
1925, l’opposizione governativa costrinse l’istituto a trasferirsi a Dessau, la svolta
verso il funzionalismo divenne definitiva. L’arte venne considerata sempre meno
necessaria finché, nel ’28, lo stesso Gropius si allontanò dal Bauhaus. Le difficoltà
politiche divenivano intanto sempre più gravi. Inutilmente Mies Van der Rohe, che
ne aveva assunto la direzione nel 1930, tentò di rinsaldare il principio originario
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della coesione di tutte le arti. Nel ’32 il Bauhaus dovette trasferirsi a Berlino e nel
’33 fu definitivamente chiuso da Göring con l’accusa di essere un “covo di bolscevismo culturale”. Ma intanto gli artisti che ne avevano fatto parte, disseminati in
tutto il mondo, portarono le loro esperienze, esercitando sui giovani una influenza
profonda.
Pop Art è una delle più importanti correnti artistiche del dopoguerra. Esordisce in
Gran Bretagna alla fine degli anni ‘50, ma si sviluppa soprattutto negli USA a partire dagli anni ‘60, estendendo la sua influenza in tutto il mondo occidentale. Il termine “Pop Art” venne usato nel 1958 dal critico inglese Lawrence Halloway. Fu poi
ripreso dall’artista Richard Hamilton. “Pop Art” è l’abbreviazione di “Popular Art”
(arte popolare). Con questo termine si fa riferimento a un’arte che è espressione
della cultura popolare, cioè un’arte che scaturisce dalla tradizione, dalla società e
dall’immaginario collettivo. L’arte popolare abbraccia manifestazioni della creatività che vanno dal folclore alla cosiddetta “arte colta”. La Pop Art è “popolare” nel
senso che trae spunto dalla vita di tutti i giorni. In un mondo dominato dalla società dei consumi, la Pop Art respinge l’espressione dell’interiorità e dell’istintività,
propria dell’Informale e dell’Espressionismo Astratto. Guarda, invece, al mondo
esterno, al complesso di stimoli visivi che circondano l’uomo contemporaneo: il
cosiddetto “folclore urbano”. Con sfumature diverse, gli artisti Pop riprendono le
immagini dei mezzi di comunicazione di massa, del mondo del cinema e dell’intrattenimento, della pubblicità. Li riproducono con la pittura e la scultura, in modo
distaccato, spersonalizzato.
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panoramica sui lavori Sin da bambino Oliviero Toscani rimane affascinato dall’immagine fotografica, dagli archivi fotografici, e da tutto ciò che permette di collezionare qualsiasi tipo di immagine. Vive in mezzo alle immagini e impara da subito ad
essere critico di fronte a quello che vede. Toscani, cresciuto in una famiglia poco
religiosa nell’immediato dopoguerra, afferma di aver visto la prima immagine violenta della sua vita in un quadro appeso sopra la testata del suo letto. Questa immagine, rappresentante un uomo con una corona di spine e il proprio cuore tra le
mani lo colpisce molto, tanto da influenzare la sua personalità e quindi il suo lavoro
di tutta la vita. Nasce da qui infatti il suo interesse nei problemi della violenza nel
mondo, tema che tratterà per tutta la sua carriera in diversi affiches, e campagne.
Già da bambino vede la fotografia come un valido mezzo per comunicare, e rimane
affascinato dalla possibilità di preservare l’attimo dello scatto, e poterlo riprodurre
all’infinito, nello spazio e nel tempo. Durante la sua formazione,come già detto basata sugli insegnamenti del Bauhaus, trova da subito committenze abbastanza importanti anche grazie a un concorso vinto durante il suo periodo di formazione.
Da subito molto ambizioso arriva a richiedere alla sua prima commissione professionale un trasferimento a Parigi per poter scattare con più libertà una campagna
che ritraeva dei ragazzi liceali in bicicletta. Negli anni seguenti vive a cavallo tra
l’Italia, Parigi e New York scattando fotografie di reportages sulle strade, luogo
dove si trova molto a suo agio, di riflesso quando gli verrà da li a breve richiesto
da molte riviste di moda di fotografare i propri modelli di biancheria, farà lo stesso
spostando dal set alle strade le locations per la pubblicità rendendo in questo modo più popolare la campagna. In questi scatti infatti ritrae prevalentemente giovani
della sua stessa generazione, questo per essere più vicino a coloro che deve impressionare veramente, ovvero il suo pubblico. È questo il primo passo che modifica il modo di fare pubblicità. Già qui riceve molte volte carta bianca sulla quale può
esprimere la sua creatività. Da qui in avanti si affermerà sempre di più fino al momento della sua vera conscrazione, il manifesto disegnato per la jesus jeans con lo
slogan “chi mi ama mi segua”. Iniziano in questo momento i problemi con “l’istituto
per l’autodisciplina pubblicitaria” che dalla prima settimana di esposizione si oppone all’affissione. Da questo momento s’imbarca per una crociata contro la censura
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che lo vede protagonista ancora oggi.
Nel 1982 grazie al direttore di Esprit conosce Luciano Benetton con il quale collaborerà fino al 2000 curando la comunicazione dell’azienda e portandola da una
media impresa italiana fino ad essere una delle più grandi factory al mondo. Qui si
afferma lo stile più maturo di Oliviero Toscani. Uno stile estremamente riconoscibile ripreso e copiato in tutto il mondo basato sull’immediatezza, sui contrasti di
colore, sulle teorie “del colore come tale” di Johannes Itten, sull’abolizione della
profondità di campo, sul fondale bianco e quindi l’abolizione di spazio rendendo
così il messaggio globale e unificato per tutto il globo. In questi spazi esprime le
sue tematiche più grandi, dall’aids, all’antirazzismo, alla guerra. In questi manifesti
si sfoga anche la sua vena più provocatoria.
Da questo momento il lavoro di Toscani sarà reso celebre più per le diatribe legali
che per un’effettiva grande qualità e innovazione dei lavori. Infatti Toscani con Benetton vive un periodo dove sembra che il valore più grande delle proprie campagne pubblicitarie sia unicamente la provocazione e il concetto che sta dietro all’immagine. Nel 2000 dopo ben diciotto anni si chiude la collaborazione con l’azienda
che lo ha reso celebre e consacrato nel mondo della pubblicità. Due anni dopo lascia anche la direzione di Fabrica, che dirige fin dal suo concepimento. Dagli anni
novanta Oliviero Toscani sembra spostare il suo centro d’interesse dalla fotografia
e la grafica a concetti più ampi ed astratti, come ad esempio la creazione di un centro sperimentale, chiamato Fabrica, la cura e l’edizione di Colors (il primo giornale
globale, e intensificazione della sua lotta politica contro le disgrazie nel mondo. È
infatti una campagna contro la pena di morte pubblicata negli USA che costa ad
Toscani la collaborazione con l’ azienda che lo ha reso famoso. Lasciata la sede
del suo studio situata nelle strutture di Fabrica, si sposta a Cecina ed in seguito
a Pisa dove apre un nuovo studio chiamato La Sterpaia e continua il suo lavoro in
linea con ciò che gli riesce meglio, comunicare.
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l’immagine per Benetton Il lavoro grafico e fotografico di Oliviero Toscani, continua a crescere in qualità raggiungendo l’apice con la collaborazione con Benetton. Come già detto è qui che il suo stile, estremamente riconoscibile, raggiunge la
maturità segnando profondamente le strade e le persone che le popolano.
È quindi quasi scontata la decisione di analizzare le campagne appartenenti a questo periodo creativo. Ho così deciso di analizzare l’immagine di Benetton
Risulta molto difficile scegliere un lavoro in particolare sul quale focalizzare l’attenzione, infatti anche dopo una minima analisi possiamo notare come il concetto
base di ogni suo lavoro sia uno per tutta la durata della collaborazione, possiamo
notare come colore, tipografia, fotografia siano sempre legati dai medesimi artefici
semiotici. Infatti la struttura della campagna di comunicazione rimane sempre invariata. Si può quindi definire l’intera collaborazione con Benetton un unico lavoro.
il concetto nel lavoro di Toscani risulta essere l’elemento più importante, è infatti
da ciò che si sviluppa tutto il lavoro mentre la forma sarà solamente una conseguenza di questo, trovato durante la fase di ideazione del lavoro. In Benetton si
può trovare una conferma di ciò infatti, elaborato un concetto ampio, anno dopo
anno il lavoro si rinnova su una linea che rimane attuale a tal punto di essere “alla
moda”.
Solamente la portata della provocazione, che aumenta con il passare del tempo
per poter colpire e far parlare di sé, dona la visibilità alle campagne.
Il concetto consiste nel relegare il prodotto da vendere (nel caso di Benetton
capi d’abbigliamento) unicamente nel logo, ed associare a ciò un’immagine che
comunichi un messaggio prevalentemente di utilità collettiva e non per forza legato al brand. Parlando alla gente con immagini forti Toscani si permette di omettere gli slogans, i pay-off, ecc riducendo al minimo gli elementi che compongono un prodotto. Naturalmente questo presuppone un’educazione alla lettura
dell’immagine che non tutti hanno.
Questo presuppone anche avere carta bianca sulla campagna e quindi anche la
fiducia del proprietario dell’azienda. Come vedremo in seguito questo è il tipo d
rapporto che si è instaurato negli anni tra Toscani e Luciano Benetton.
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Conquistata questa fiducia, il lavoro più grande è la lotta contro la censura e l’ufficio di autodisciplina pubblicitaria.
le scelte formali di Oliviero Toscani come già accennato in fase introduttiva non
sembrano modificarsi per un lungo periodo di tempo. In particolare la forma dei
manifesti di Benetton non sembra cambiare struttura per tutta la durata della collaborazione. Toscani nelle sue campagne unicamente abbina un’immagine fotografica al logotipo dell’azienda. Sono infatti rari i casi dove la forza dell’immagine
non basta a spiegare un concetto. In questi casi la tipografia viene ancorata all’immagine rendendola parte integrante di quest’ultima. I due elementi si completano
a vicenda, è quindi scontato che senza uno dei due elementi non potrebbe vivere
senza il secondo. Nei manifesti il creativo relega il nome dell’azienda ad un ruolo
secondario, quasi fosse unicamente lo sponsor di una campagna sociale. Infatti
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il designer sceglie sempre dei temi cosiddetti “socialmente utili”, mettendo in discussione dei tabù culturali che variano ad ogni uscita di un nuovo manifesto. Spazia dal tema della guerra, ai problemi ambientali, dall’integrazione raziale al problema dell’aids trovando sempre una metafora molto forte. Nelle immagini qui a fianco
vediamo alcuni dei temi toccati in questi 18 anni di collaborazione.
la fotografia matura di Oliviero Toscani mostra tratti che la rendono molto riconoscibile. Egli fotografa infatti in maniera da analizzare il soggetto che si trova davanti. La cura che viene riversata in questo metodo proviene principalmente dal
suo background culturale e dall’esperienza maturata negli anni di apprendistato.
Capisce infatti che il modo migliore per mostrare i suoi concetti, è quello di rispecchiare con trasparenza la composizione, il colore, la forma degli elementi messi
in scena. Questo grazie anche al fatto che già dalla giovane età lavora e si forma
con macchine 35 mm lavorando raramente (e quando lo fa delegando il lavoro ad
altri) con medio o grande formato. Questo lo porta a scattare enorme quantità di
immagini così da crearsi un personale archivio fotografico che accosta a altri ar-
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chivi di immagini di fama mondiale, e a database di immagini a pagamento. Esempi
eclatanti di archivi fotografici sono ad esempio l’archivio Dubreil e l’archivio Libé
quest’ultimo legato al quotidiano francese Liberation. Il modus operandi di Toscani
si accosta più al lavoro di un fotografo di reportage che al lavoro di un fotografo di
still life. Egli infatti crea l’immagine in linea di massima relegando al taglio, e al fotoritocco il perfezionamento delle proprie immagini. Come detto pocanzi l’approccio
analitico che usa Toscani è molto presente nelle immagini, per giungere a questo
risultato oltre al posizionamento degli elementi fino quasi a farli diventare delle icone elabora altri concetti stilistici che aumentano la forza e l’espressività delle sue
immagini fotografiche.
Uno di questi concetti è la completa abolizione della profondità di campo che rende l’immagine più semplice e diretta alla lettura. Un altro arteficio tipico di questo
periodo della fotografia di Toscani è il fondale monocromo bianco che, da un lato
facilita ulteriormente la lettura dell’immagine eliminando elementi di fondo e d’altro
canto rafforza il concetto di United Colors. Il bianco infatti non viene scelto a caso
come colore, avendo studiato la teoria del colore di Itten Toscani mette in pratica
questi insegnamenti. Il bianco rappresenta infatti l’unione di tutti i colori della stella
cromatica fatti girare su loro stessi come una trottola, quindi fusi assieme. Il colore degli elementi rappresentati oltre ad essere sempre molto curati cercando di
rappresentare la realtà vista dall’occhio, vengono in linea di massima associati alla
psicologia Rudolph Arnheim o agli studi di colore come tale, e contrasti simultanei
di Johannes Itten.
La fotografia di toscani spicca sicuramente per questi elementi sopra elencati, grazie ai contrasti, alla forte presenza nei contrasti dell’immagine, ma la forza dell’immagine è da attribuirsi soprattutto ai concetti che gli stanno a monte nella fase progettuale, nelle figure retoriche, e nel forte carico provocatorio che le compongono.
la tipografia e gli elementi grafici e testuali sembrano interessare poco al designer
tanto che nel lavoro di Oliviero Toscani in rari casi troviamo una tipografia che vada
oltre alle poche informazioni necessarie. Quando l’immagine va legata ad un testo
questo viene fatto tramite un ancoraggio inscindibile tra la parola e l’immagine. Il
senso di semplicità intrinseco al lavoro di Toscani lascia poca espressività al testo donando questa caratteristica all’immagine. Gli elementi testuali sono perlopiù
legati all’interno delle immagini, nei pochi casi in cui non lo sono, essi si estraneano costituendo un livello completamente distaccato dall’immagine. In questi casi
prende il sopravvento il gusto del designer che si rivolgono alle basi imparate alla
kunstgwerbeshule di Zurigo. È da qui che impara al meglio l’utilizzo di caratteri basilari come nel caso dell’Akzident grottesk, del Bodoni, Futura, Garamond, utilizzati nella maggior parte dei casi con un kerning molto stretto, così come l’interlinea.
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Oliviero Toscani inizia a lavorare nel 1966 negli USA quando probabilmente già
si intuisce che debba avvenire un cambiamento nel mondo della grafica e della
pubblicità. Sicuramente al passo con i tempi se non precursore con le sue immagini fresche e giovani, sembra inserirsi pienamente nel contesto storico culturale
di fine anni sessanta inizio settanta che squote il mondo della comunicazione,
affermando in questo mondo il suo nome sin dalla giovane età.
Interessante il suo lavoro con le innovazioni che ha portato durante la sua crescita artistica fino all’arrivo e il coronamento della sua carriera con la collaborazione
con Benetton in primis, e la creazione di Fabrica e la direzione del periodico
Colors. Le innovazioni che ha portato possiamo inserirle in un contesto di innovazioni stilistiche nel campo della fotografia applicata e della pubblicità, come
ad esempio l’utilizzo del fondale bianco con conseguente annullamento della
profondità di campo che, come già detto, canalizza il messaggio attirando l’attenzione sul concetto. Tutte le innovazioni elencate nel capitolo di analisi rappresentano ancor oggi un punto fisso nella progettazione di identità. La semplicità
e il grande impatto delle sue creazioni sembrano essere il fil rouge di tutto il suo
lavoro. Infatti Toscani sforna concetti a ripetizione con grande semplicità e con
una naturalezza che lascia a volte sconcertati.
Paragonando però il lavoro di Toscani a quello di altri attori internazionali che
lavorano nel suo stesso periodo, possiamo notare come il livello di progettualità si riduca notevolmente con il coronamento del proprio successo. Il fatto che
l’intera identità della Benetton sia analizzabile come un unico lavoro quindi appartenente ad unico concetto rinnovato ogni anno unicamente con immagini che
colpiscano, disturbando l’immaginario della massa, ne è la prova. D’altro canto
bisogna però annoverargli la grande forza comunicativa nel far parlare nel bene
o nel male del proprio lavoro e quindi anche del committente per il quale lavora.
Infatti dopo aver analizzato il suo lavoro e aver conosciuto il contesto nel quale
lavora, e lavorano i suoi colleghi possiamo dire che purtroppo la sua ricerca di
innovazione, di proporre sempre qualcosa di nuovo in ambito grafico cala notevolmente con il raggiungimento della celebrità con Benetton. A questo punto
della sua vita i suoi interessi si rivolgono più che altro a progetti di natura più
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concettuali che prettamente realizzativi. Infatti Toscani sembra incanalare la sua
energia comunicativa unicamente nell’immagine senza rinnovare né innovare tutti quegli elementi sostanziali che un designer tratta con massima padronanza diversificando così volta per volta il proprio lavoro. È questo il caso della tipografia,
l’impaginazione grafica. Paragonando ad esempio la tipografia di Benetton, con
quella di designers dei Push Pin Studios, di un Olandese come Jan van Toorn, o
di Massimo Vignelli, è chiaro come la prima risulti essenziale e priva di spessore quasi fossero elementi poco interessanti e quindi poco studiati. Un discorso
analogo si potrebbe fare per l’immagine che pur essendo il grande punto di forza di Oliviero Toscani dalla sua affermazione in campo pubblicitario manca di
sperimentazione tecnica, come a dire “squadra vincente non si cambia”. Infatti
paragonando il lavoro illustrativo di Milton Glaser con quello fotografico di Toscani, possiamo notare come l’illustrazione del primo sia variata spaziando da
uno stile molto iconico, come nei suoi lavori per Olivetti, a sperimentazioni più
plastiche ed espressive come le sue pagine di calendari, o i manifesti per la biennale di Venezia. Anche l’impostazione grafica raramente cambia, giocando molto sul plaine page o sulla centralità ottica dell’immagine e anche in questo caso
paragonando il suo lavoro a un grande esperto dell’impaginazione quale è Bruno
Monguzzi possiamo notare come sia ridotto l’intervento di Toscani.
In conclusione di questa ricerca si può constatare come la quantità produttiva
del creativo, supera la ricerca qualitativa dal momento del raggiungimento della
sua maturità artistica.
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Fonti bibliografiche in carta stampata
- Storia del Design Grafico; Daniele Baroni e Maurizio Vitta; Longanesi & C.
2003 Milano
- Non sono obbiettivo: Oliviero Toscani
Fonti bibliografiche Multimediali
- Paura genera censura; Radioradicale; emissioni settimanali
Fonti bibliografiche inedite
- Colloquii verbali con Oliviero Toscani, dal 10.04.2007 al 20.07.2007
- Colloquii verbale con Nicolas Ballario (biografo di Toscani) il 02.07.2007
- Colloquii verbale con Stefano Beggiato (art director dello studiotoscani e
fabrica) il 15.06.2007
- Colloquio verbale con Alex Marashan (editore di colors) il 06.06.2007
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