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GLI STRUMENTI DELLA MUSICA POPOLARE PUGLIESE
Nino Blasi
Introduzione
Si ritiene opportuno fornire alcune indicazioni preliminari al fine di chiarire le scelte
operate per la catalogazione e la suddivisione degli strumenti popolari che, a dispetto di
quanto si possa pensare, costituiscono una categoria che, lungi dall’essere statica perché di
per sé legata alla tradizione, ha subito sollecitazioni e progressivi ammodernamenti dal
prototipo iniziale.
La sopravvivenza fisica nel tempo di uno strumento popolare, costituzionalmente
fragile nella sua composizione di materiali naturali, è stata seriamente compromessa dal
suo ormai desueto utilizzo, legato a situazioni rituali di vita sociale scomparse che, da un
lato, ha indotto il possessore a disfarsene, dall’altro, ha provocato la quasi totale estinzione
degli artigiani che lo costruivano, schiacciati inoltre dall’industria della musica, in diversi
casi subentrata con tecnologie più avanzate. Alcuni esempi al riguardo: l’arpa di Viggiano
(cfr. scheda n. 44) risulta pressoché irreperibile poiché all’estero con il suo suonatore nelle
diverse ondate migratorie, oppure utilizzata come legna per il focolare (come da
testimonianza raccolta); la chitarra battente (cfr. scheda n. 42), largamente diffusa un
tempo, in particolare nell’area garganica, è rimasta quasi orfana in zona di artigiani che la
possano costruire; le inseparabili sorelle zampogna e ciaramella (cfr. schede nn. 36 e 37),
sempre pronte a rallegrare attività conviviali del ciclo della vita umana e della natura o a
scandire ritualità religiose ad ampio respiro, restano oggi relegate, salvo rarissime
eccezioni, ad intonare pastorali natalizie; la raganella (cfr. scheda n. 12) e la troccola (cfr.
schede nn. 5 e 5 bis), che con il loro gracidio accompagnavano le processioni del Venerdì
Santo, ora le si trovano a riposare sulle bancarelle di alcune sagre in attesa di essere
acquistate come giocattoli sonori o per essere utilizzate come rafforzamento sonoro dei
cori negli stadi.
Saper suonare uno strumento popolare, in svariati casi, significa possedere la
competenza di costruirlo o, almeno, essere a conoscenza della sua costituzione
organologica per garantirne la manutenzione. La costruzione artigianale, non sottoposta a
criteri di misurazioni fisico-acustiche scientifiche e calcoli astratti, si attiene alla
riproduzione di un altro strumento preso a modello a cui farà seguito, soprattutto per il
suonatore, l’accordatura e le relative modifiche da apportare che lo rendono utilizzabile.
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Essendo realizzati con elementi naturali che “soffrono” le escursioni termiche, il suonatore
personalizza il suo strumento instaurando un rapporto simbiotico con esso (pena il rischio
di lasciarlo muto per sempre): la taratura di una pelle di asino o di capra, distesa sul cerchio
di una tammorra (cfr. schede nn. 18 e 19), di un putipù (cfr. schede nn. 23 e 24) o di un
azzebbànne (cfr. scheda n. 17) potrebbe risultare poco tesa in un sito più umido di quello di
provenienza e, quindi, bisognosa di riprendere i suoi connotati vicino a una fonte di calore;
le corde di budello animale (minugia) sono state quasi totalmente sostituite dalle
evoluzioni più pratiche e resistenti in nylon o metallo e, soprattutto, più sonore per un
orecchio, come il nostro, martellato da inquinamento acustico e, conseguentemente, meno
sensibile all’ascolto dei decibel; le ance doppie della zampogna, così fastidiose per la loro
tendenza a “chiudersi”, oggi sono costruite, da alcuni artigiani, in plastica e la camera
d’aria di un copertone può sostituire la sacca originaria in pelle di capretto, gran bevitrice
di umidità.
A completare il processo di spersonalizzazione dello strumento musicale popolare,
oltre alle modifiche strutturali citate, ha contribuito, e contribuisce, la sua presenza in
contesti diversi da quelli tradizionali. In tal senso si assiste a un complesso flusso
migratorio: alcuni strumenti popolari, identificabili in precisi contesti spazio-temporali,
risultano “parzialmente suonati” o “diversamente suonati” e hanno convertito i loro
repertori in canzoni di consumo o globalizzazioni musicali multietniche (non disponendo,
peraltro, i suonatori di solida memoria storica tramandataci dal passato sulle melodie e le
tecniche esecutive a causa dell’incuranza della cultura ufficiale, che solo raramente ha
consentito loro l’accesso al pentagramma); strumenti di origine geografica extraterritoriale, come l’organetto “du bbotte” marchigiano (cfr. scheda n. 28), di origine
industriale, come la fisarmonica, o provenienti dal contesto culturale diverso della musica
colta, come il violino e il clarinetto, possono essere considerati, oggi, strumenti della
musica popolare pugliese e lucana, a riscontro della loro affermata presenza.
Catalogazione
La catalogazione è stata operata seguendo i criteri, condivisi dalla gran parte degli
studiosi, che prevedono la loro distinzione in quattro grandi classi: idiofoni,
membranofoni, aerofoni e cordofoni. Ciascuno strumento è accompagnato da una scheda
di identificazione con diverse voci (tipologia, carattere, costruttore, località di reperimento,
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area di attestazione, utilizzo, occasione), che permette una lettura trasversale e, quindi,
ulteriori suddivisioni per diversi scopi conoscitivi.
Strumenti e oggetti sonori non definiti prettamente pugliesi o lucani, perché in
diversi casi emigrati a Napoli, polo di attrazione e monopolizzazione culturale fino ad
epoche recenti, a un attento esame rivelano peculiarità costruttive o un loro utilizzo che li
rendono originali. Pertanto, sono stati oggetto di esame anche strumenti di cui non si
riscontrano attualmente costruttori nell’area di analisi di questo studio, avendo privilegiato
il criterio della “presenza” in passato e in odierne forme di musica popolare.
Sia pure inseriti in alcuni recenti arrangiamenti, non risultano catalogati strumenti di
musica antica (liuto, viella, colascione, ecc.), codificati (violino, contrabbasso, clarinetto,
ecc.), introdotti e/o in uso prevalente nella musica popolare (fisarmonica, mandola,
mandolino, ecc.) poiché non presentano sostanziali caratteristiche che li rendano
organologicamente significativi nel contesto di questa analisi.
1. IDIOFONI
Gli idiofoni, letteralmente “auto-sonanti”, sono strumenti il cui suono viene prodotto
dalle vibrazioni dei materiali con cui sono stati realizzati, o di una loro parte (spesso non è
facile distinguere con precisione la sezione vibrante da quella risonante). Connotandoli per
forma e tecniche di utilizzo, li distinguiamo in:
a) idiofoni a percussione diretta, o a concussione, formati da due elementi dello
stesso materiale, uniti o disgiunti, tenuti con una sola mano o entrambe, che
producono il suono dall’urto reciproco tra due parti che costituiscono l’oggetto
(cfr. schede nn. 1: castagnette; 2: frusta; 3: piatti; 4: canne, sassi, cucchiai,
coperchi);
b) idiofoni a percussione indiretta, costituiti da due elementi, di uguale o diverso
materiale, uniti o disgiunti, tenuti con una sola mano o entrambe, di cui, a volte,
uno è da considerare a fono, o prevalentemente tale, o addirittura attrezzo esterno
per provocare vibrazioni (cfr. schede nn. 5: troccola; 6: tricchebballàcche; 7:
mazzuolo; 8: chiave);
c) idiofoni a percussione con struttura vascolare, il cui corpo prevalentemente
vibrante è costituito da un oggetto a forma di vaso con battente interno o esterno
(cfr. scheda n. 9: campanaccio).
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d) idiofoni a percussione esterna o a scuotimento, su cui non si pratica azione
percussiva diretta, ma si agita lo strumento con movimenti diversi e ritmicamente
differenziati (cfr. schede nn. 10: zucca; 11: tamburo a risacca);
e) idiofoni a raschiamento, il cui effetto è prodotto dallo sfregamento delle parti che
lo compongono, prevalentemente di uguale materiale (cfr. schede nn. 12:
raganella; 13: violino dei poveri; 14: scetevajasse; 15: chianca e checchiàre);
f) idiofoni a pizzico, che, sollecitati da un movimento repentino di uno o più dita
della mano, entrano in vibrazione o fanno vibrare una parte di sé (cfr. scheda n. 16:
tromba degli zinari).
2. MEMBRANOFONI
Sono definiti membranofoni gli strumenti, di origine antichissima e rituale legati alla
danza, il cui suono viene prodotto dalla vibrazione di corpi elastici opportunamente tesi su
un supporto, atti a sottolineare il ritmo di un brano musicale colorendolo e donandogli
espressività, o a modificare suoni. Tutti a suono indeterminato, con la particolarità di
amalgamarsi con impasti di altri strumenti, relativamente alla struttura e al modo in cui
vengono sollecitati possono essere suddivisi in:
a) membranofoni bipelle, generalmente tamburi lignei in forma cilindrica, ai cui
bordi sono tesi i materiali vibranti, uno dei quali, percosso con mazzuolo, mani o
altro, mette in vibrazione l’altro per simpatia, o con l’ausilio di una cordicella
(bordoniera o cordiera) (cfr. scheda n. 17: azzebbànne);
b) membranofoni monopelle, tamburi la cui struttura vibrante produce il suono a
seguito di percussioni generalmente della mano o di parti di essa o di strumento
percussivo (cfr. schede nn. 18: tammorra con sonagli; 19: tammorra muta; 20:
tamburello basco; 21: tamburo di latta);
c) membranofoni a frizione, tamburi generalmente usati come effetti sonori provocati
dallo strofinamento dell’indice e del pollice, del palmo della mano o di altro
materiale, inumiditi, su una sua superficie (cfr. schede nn. 22: cupa cupa; 23:
putipù; 24: caccavella);
d) membranofoni a urto d’aria o mirliton, la cui parte elastica vibra a seguito di
sollecitazioni prodotte dal fiato, dalla voce umana o da altre fonti sonore in modo
diretto, liberamente o ricevendo le onde di pressione all’interno di una struttura
tubolare o vascolare (cfr. schede nn. 25: trombetta a membrana; 26: pettenèsse).
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3. AEROFONI
Gli aerofoni sono strumenti che producono il suono tramite la messa in vibrazione
dell’aria (il vento che soffia nei canneti può essere considerato il primo ispiratore per la
loro costruzione). A seconda della porzione dell’aria coinvolta, possono essere suddivisi
in:
a) aerofoni liberi, che fanno vibrare una porzione d’aria di dimensione indefinita che
circonda lo strumento (cfr. scheda n. 28: ciòle);
b) flauti globulari, aventi caratteristiche comuni agli aerofoni liberi e agli strumenti a
fiato (cfr. schede nn. 29: nuzze; 30: fischietto);
c) aerofoni a fiato (di cui si riscontrano solo i “legni”, con l’esclusione degli
“ottoni”), caratterizzati dalla vibrazione armonica di una colonna d’aria in essi
sospinta e sollecitata in vario modo, raggruppabili in diverse sottoclassi: a
imboccatura indiretta, o flauti a fessura interna, il cui soffio d’aria va ad urtare una
sporgenza rigida e produce un vortice che pone in vibrazione la colonna d’aria
all’interno dello strumento (cfr. schede nn. 31: flauto di canna; 32: flauto di legno;
33: flauto di zucca); ad ancia semplice, per i quali il soffio d’aria fa vibrare una
sottile linguetta la quale, a sua volta, mette in vibrazione la colonna d’aria (cfr.
schede nn. 34: tromba di banditore; 35: tromba di San Giovanni); ad ancia doppia,
contraddistinti dalla trasmissione di vibrazione tra due sottili linguette di canna e la
colonna d’aria del tubo sonoro a seguito di soffio d’aria (cfr. scheda n. 36:
ciaramella); a serbatoio d’aria, con un corpo deformabile (otre, mantice o sacca)
che sostituisce il polmone umano, immagazzinando l’aria per poi sospingerla, sotto
pressione, verso la parte dello strumento adatta a produrre il suono (cfr. scheda
n. 37: zampogna); a bocchino, in cui le labbra, poggiando sull’estremità più sottile
dello strumento, a seguito di un violento e continuo soffio si mettono in vibrazione
come “ance naturali” (cfr. schede nn. 38: corno grecanico; 38 bis: tromba di
Grottaglie); a urto d’aria, in cui l’aria viene immessa con un’unica ritmata e breve
soluzione da un’apertura in un corpo chiuso (cfr. scheda n. 39: zzule); a imbuto,
utilizzati per racchiudere, rafforzare e propagare le onde sonore nell’aria a breve
distanza (cfr. schede nn. 40: megafono in alluminio; 41: megafono in latta).
4. CORDOFONI
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I cordofoni sono strumenti in cui viene prodotta una vibrazione di una o più corde,
un tempo esclusivamente in minugia (budello animale), oggi prevalentemente in nylon o
seta ricoperte di metallo, opportunamente scelte nello spessore, sottoposte a tensione e
misurate nella lunghezza.
Si rileva la presenza di tre cordofoni composti a pizzico, uno appartenente alla
famiglia delle arpe (cfr. scheda n. 44: arpa di Viggiano) e due a quella dei liuti (cfr. schede
nn. 42: chitarra battente; 43: chitarra terzina).
5. SUDDIVISIONI TRASVERSALI
All’interno della suddetta classificazione, si può procedere per astrazione a ulteriori
suddivisioni trasversali, per specifici fini conoscitivi, ad esempio per appartenenza alla
dimensione ludica.
La Sinfonia dei giocattoli (attribuita a Leopold Mozart, ma più probabilmente
composta dal monaco benedettino Edmund Angerer, suo contemporaneo), con la perfetta
sovrapposizione e consonanza di giocattoli sonori e strumenti musicali dell’orchestra,
sembrerebbe confermare la teoria avanzata da diversi studiosi secondo la quale le tappe di
sviluppo dell’umanità coinciderebbero con il ciclo della vita umana del singolo individuo:
la straordinaria creatività che possiede l’immaginario del bambino ha prodotto, e continua
a produrre nelle poche realtà sopravvissute all’industria del giocattolo, o comunque
all’ingerenza dei grandi che li costruiscono per loro, singolari e immediate soluzioni di
oggetti e congegni sonori, realizzati con elementi naturali, materiali di consumo o di riuso.
Dal primo utilizzo, indotto o spontaneo, di suoni corporei come il battere le mani o i
piedi o l’uso della voce in cantilene o filastrocche, con testo improvvisato o memorizzato,
si passa a nuove scoperte.
La riproduzione del verso di un animale (cfr. scheda n. 28: ciòle), del fischio del
vento soffiando all’interno di un nocciolo (cfr. scheda n. 29: nuzze), o l’accurata scelta in
cucina nel “trafugare” cucchiai o coperchi di pentole (cfr. scheda n. 4: canne, sassi,
cucchiai, coperchi) per cadenzare e personalizzare con gusto timbrico il gioco, sono
ulteriori, progressivi passi che il bambino compie nell’emulazione del mondo dei grandi.
Ad esempio, gusci di zucca essiccati, imbuti di vario genere o una canna con una
membrana apposta (cfr. scheda n. 25: trombetta a membrana) forniscono diverse possibilità
per modificare la propria voce e perfezionare drammatizzazioni estemporanee, con il
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sottofondo della melodia di un “pettine” (cfr. scheda n. 26: pettenèsse) e
l’accompagnamento ritmico degli armonici di scatole di latta.
Tra i congegni e giocattoli sonori si annoverano anche oggetti di varia provenienza,
come i richiami per la caccia (cfr. scheda n. 30: fischietto), o derivanti da occasioni rituali,
in uso o desuete, come la raganella (cfr. scheda n. 27) o la troccola (cfr. schede nn. 5 e 5
bis).
Un altro criterio per la suddivisione potrebbe essere adottato in base all’analisi dei
materiali di composizione degli strumenti. Se si eccettua l’organetto “du bbotte” (cfr.
scheda n. 27), nella struttura degli strumenti musicali popolari si riscontra l’essenzialità
nella scelta e nella composizione dei materiali: la “rosa” collocata all’interno della cassa
acustica della chitarra battente (cfr. scheda n. 42), piuttosto che per ornamento, è stata
ideata per esiti fonico-musicali.
Per la grande maggioranza degli strumenti si predilige storicamente il legno, di facile
reperibilità e malleabile nella lavorazione, sia per produrre direttamente il suono che per
trasmetterlo, conservarlo, plasmarlo e amplificarlo. La pelle animale, anch’essa di impiego
antichissimo, è utilizzata, ad esempio, per generare suoni attraverso la sua vibrazione o
come sacca di riserva dell’aria. Il progresso e la conquista di nuove tecnologie hanno
portato ben presto l’uomo a servirsi dei metalli (bronzo, acciaio, ferro, nichel, ecc.) per
l’ideazione e la costruzione di nuovi strumenti musicali o per la perfezione di quelli già in
uso, in particolare apportando meccaniche per la tensione delle membrane e delle corde e
l’aggiunta di chiavi per gli aerofoni. Relativamente recente è l’introduzione di materiali
plastici, che non richiedono la paziente manutenzione della pelle.
Agli ulteriori, innumerevoli criteri adottati, o adottabili, per la comprensione del
panorama dei suoni, fa scuola la tecnica di ricorrere alla fantasia del bambino a fini
didattici che sottende la fiaba musicale Pierino e il lupo, del compositore russo Sergej
Prokofiev, in cui i personaggi del mondo animale sono interpretati da altrettanti strumenti
musicali.
SCHEDE OPERATIVE
Le foto di ciascuno strumento sono corredate da descrizione e schede i cui dati
identificativi sono stati prescelti tenuto conto dei seguenti misuratori e criteri di fondo:
tipologia: classe di appartenenza, peculiarità;
carattere: ritmico, melodico, armonico, impreciso;
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costruttore: nome e cognome, località e anno, produzione artigianale/industriale,
conosciuta/sconosciuta, costruito/non costruito da chi lo suona;
località e anno di reperimento: uno o più con elencazione prioritaria per diffusione;
utilizzo: desueto, in uso, raro;
occasione: determinata/indeterminata, feste, gruppi musica folcloristica e/o tecnica,
ludica, spontanea.
1. CASTAGNETTE
Con il nome di castagnette, in riferimento al legno con cui sono costruite, altrimenti
dette nacchere, si designano due parti concave di legno a forma di conchiglia, unite da un
pezzo di cordoncino che attraversa le orecchiette superiori, la cui concussione produce un
suono secco. Prevalentemente le usavano i danzatori per scandire il tempo del ballo
(tarantelle, pizziche), impugnandole intorno al dito medio o al pollice, a seconda delle aree
di attestazione, e posizionando lo strumento nel palmo della mano; nel Gargano è singolare
l’impugnatura con il cordoncino intrecciato tra l’indice e il medio, con lo strumento sul
dorso della mano.
Di origine antichissima, divenute tipiche del panorama musicale iberico per
accompagnare danze quali il “bolero”, il “fandango” o il “flamenco”, sono state utilizzate
nelle ambientazioni della Carmen di Bizet o della Rapsodia spagnola di Ravel.
2. FRUSTA
Due asticelle di legno, unite alla base da una cerniera, impugnate eventualmente con
due maniglie di metallo o di cuoio, battute con forza riproducono un suono assai simile a
quello dello schiocco di una frusta, da cui il nome. Per il suo timbro secco e deciso è stata
usata nell’orchestra, ad esempio da Ravel per “dare il via” al suo Concerto in Sol Maggiore
per pianoforte e orchestra.
Utilizzi della comune frusta da cocchiere, come strumento aerofono ad ariaambiente, si presume ci siano stati anche in Puglia e Basilicata, in occasioni non ben
definite e accertabili.
3. PIATTI
Lo strumento è composto da due dischi di metallo (solitamente bronzo od ottone)
leggermente concavi al centro, quasi a formare una porzione di sfera al cui apice sono
applicate le impugnature in cuoio. Si suonano percuotendoli reciprocamente, sfregando
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l’uno contro l’altro i rispettivi bordi, o percuotendone uno solo, sospeso, mediante diversi
tipi di mazzuoli, o anche con la mano.
Rispetto ai tipi presenti nell’orchestra o nelle bande, nell’uso popolare si riscontra
l’utilizzo di piatti di diametro inferiore, dal suono squillante e repentino, o improvvisati tali
con oggetti di riuso.
4. CANNE, SASSI, CUCCHIAI, COPERCHI
Oggetti sonori facilmente reperibili in natura o utilizzati per diverse finalità nella vita
quotidiana da chi ne diventa improvvisato musicista, sono da sempre corredo di
accompagnamento dei bambini per cadenzare filastrocche e giochi di movimento, o degli
adulti nelle feste popolari.
La tecnica percussiva di base, elementare e di immediato apprendimento o
spontanea, in taluni casi si perfeziona familiarizzando con lo strumento, approdando a
virtuosismi e creative personalizzazioni.
5. TROCCOLA
Lo strumento, interamente costruito in legno, è composto da una tavola rettangolare
di legno che poggia su una ruota dentata mobile che gira intorno a perni incastrati negli
intagli; due lamelle elastiche, inchiodate alla tavola da un’estremità, poggiano libere
all’altro capo sulle ruote dentate, le quali, girando, vengono sollecitate a raschiamento
(come per la raganella), con successiva pesante ricaduta percussiva, tipica dei crotali.
Il movimento delle ruote viene prodotto con il trascinamento dello strumento che il
suonatore opera impugnando un lungo manico che da esso sale all’altezza della mano.
Costretto a continue e forti sollecitazioni nel suo utilizzo, si adottano per la
costruzione legni resistenti, fermi restando i criteri di economicità e reperibilità.
5. bis TROCCOLA
Il congegno è costituito da una tavola rettangolare su cui sono incernierate e
inchiodate coppie di battagli a forma di picchietto o di anello, realizzati piegando a freddo
una verga di ferro a sezione circolare (una più immediata realizzazione preferisce l’utilizzo
di vecchie maniglie o anelli per il bestiame).
Impugnato dalla parte superiore di un lato minore, viene energicamente ruotata in
senso orario e antiorario, facendo sbattere i battagli contro la lastra lignea o lastre
metalliche o chiodi ad essa sovrapposti per aumentare il volume sonoro.
Realizzata con legno resistente e pesante, metteva a dura prova i penitenti che la
suonavano durante l’intero corso della processione del Venerdì Santo.
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6. TRICCHEBBALLÀCCHE
Il tricchebballàcche è costituito da tre martelli di legno (di cui i laterali mobili e
rotanti intorno a una base su cui è inchiodato, fisso, il terzo) che, a percussione diretta con
le due mani, fanno vibrare, indirettamente, sonagli in latta distribuiti a coppie lungo le
pareti vibranti.
7. MAZZUOLO
Il mazzuolo è una bacchetta di legno con testa sferica, generalmente ricoperta di
cuoio o di peltro, che il percussionista utilizza in coppia o singolarmente. La fisicità dei
materiali che lo costituiscono risulta determinante per l’effetto da produrre in relazione con
il corpo da far vibrare.
8. CHIAVE, MISURINO, BOTTIGLIA
Una chiave antica, per la sua dimensione e forma, facilmente impugnabile dalle dita
sull’asse centrale tra le due estremità, grazie alla rotazione del polso si presta facilmente ad
attrezzo percussivo per oggetti sonori (recipienti vari in vetro, metallo o argilla), che lo
strumentista può scegliere a seconda delle occasioni o del “colore” che vuole imprimere
all’accompagnamento.
9. CAMPANACCIO
Il campanaccio, pur essendo costruito per segnalare ai pastori la presenza delle
greggi ed evitare la dispersione delle bestie, è da considerare strumento musicale per
l’estrema cura e competenza con cui viene realizzato, al fine di garantire diverse altezze di
suoni e peculiarità timbrica.
La selezione di un tipo specifico di campanaccio per ciascun animale (agnelli,
pecore, montoni, mucche) è accurata da parte del pastore e, sia pure rispondendo a criteri
pratici per il riconoscimento degli animali nelle caratteristiche zoologiche, dà vita
comunque a una sinfonia di suoni diversa da gregge a gregge.
10. ZUCCA
Si tratta di uno strumento costruito da chi lo suona, che ne ha curato pazientemente il
processo di essiccazione, conservando la zucca in particolari condizioni ambientali, dopo
aver praticato due forellini su due lati opposti. All’interno della restante superficie esterna
crostacea, per incrementare il suono prodotto dallo scuotimento dei semi che si sono
conservati, alcuni aggiungono altri materiali di diversa natura (riso, fagioli, ceci, semi,
ecc.).
11. TAMBURO A RISACCA
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Un normale setaccio, usato per far passare la farina in cucina o la calce nei cantieri
edili, funge da contenitore per un particolare tamburo definito a risacca, in virtù del suono
che si produce dallo scuotimento e dallo sfregamento di conchiglie marine essiccate con la
retina metallica della sua base. Lo stesso principio offre opportunità per variazioni
timbriche, sostituendo le conchiglie con altri elementi sonori, generalmente reperiti in
natura.
12. RAGANELLA
Interamente costruita in legno, il suo nome deriva dall’effetto stridente, simile al
gracidio delle rane, generato dal raschiamento e successiva repentina concussione di una
ruota dentata, montata su un perno mobile che funge da manico, con una lamina flessibile.
Giocattolo, e al tempo stesso oggetto sonoro rituale del Venerdì Santo per annunciare
il passaggio della processione in sostituzione del suono delle campane delle chiese, ha
conosciuto fortuna tra gli strumenti dell’orchestra ne I tiri burloni di Till Eulenspiegel di
Richard Strauss per sottolineare lo scompiglio in un mercato, e nei Pini di Roma di
Respighi per imitare i giochi dei bambini.
13. VIOLINO DEI POVERI
Costituito da un asse di legno, con due delle superfici opposte sagomate a dente di
sega su cui si sfrega o percuote una striscia dello stesso materiale, “ingentilito” da coppie
di sonagli disposti su una o due file in un intaglio del suo corpo, il violino dei poveri, retto
a spalla come il più elegante fratello omonimo, accompagna serenate e tarantelle.
Sino a qualche hanno fa, a testimonianza della sua presenza anche nei riti religiosi,
un suo anziano costruttore li vendeva nel piazzale antistante la chiesa di San Michele a
Monte Sant’Angelo (Foggia), accompagnando l’esibizione ritmica con una coppia di
nacchere legate alle dita della mano destra che, contemporaneamente, impugnava la
striscia e la raschiava sulla dentatura.
14. SCETAVAJASSE
Lo scetavajasse produce il suo suono con lo sfregamento dei due bastoni che lo
compongono (di forma quadrangolare o tubolare, secondo l’estro del costruttore e degli
eventuali materiali di riuso disponibili), di cui uno con superficie dentata che permette la
particolare scansione ritmica “saltellata”, arricchita dai sonagli disposti a schiera.
L’impugnatura dei bastoni è, generalmente, a mo’ di spada per entrambi.
15. CHIANCA E CHECCHIÀRE
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La superficie dentellata di uno stricatoio, insieme a un cucchiaio da cucina in legno
che la raschia, da attrezzi domestici diventano oggetti sonori nei giochi infantili o per
elementari accompagnamenti ritmici.
16. TROMBA DEGLI ZINGARI
Altrimenti detta “scacciapensieri” o marranzàno in Sicilia, la tromba degli zingari
testimonia, con la sua denominazione, la reciproca contaminazione musicale della
popolazione autoctona con etnie diverse, sia che il termine si riferisca alla sua tecnica
esecutiva sia che rimandi alla provenienza dello strumento e alla sua diffusione.
Realizzata interamente in metallo, è costituita da una linguetta libera terminante con
un ricciolo da una parte e fissata, dall’altra, ad una sagoma a forma di cipolla o ferro di
cavallo terminante in una forcella.
Mantenendola tra i denti e pizzicando la parte mobile con l’interno del pollice, si
produce un suono costituito da un bordone, o frequenza fondamentale (che è in funzione
del peso e dello spessore della linguetta, talvolta intonata con l’ausilio dei grumi di cera), e
da armonici generati all’interno della cavità orale, che funge da cassa di risonanza:
variando la posizione della bocca, alimentandone o diminuendone l’apertura, nonché con il
movimento della lingua, è possibile eseguire semplici melodie.
17. AZZEBBÀNNE
Lo strumento, prevalentemente membranofono bipelle, è al tempo stesso anche da
considerare idiofono a percussione diretta, per la concussione dei due piatti. Da un’idea di
base, ciascun suonatore sviluppa, secondo i materiali di cui dispone, originali congegni
meccanici che permettono che lo strumento, retto sulle spalle con l’ausilio di cinghie, sia
percosso su una delle pelli distese ai margini del tamburo cilindrico da un mazzuolo
tramite una cordicina legata ad una caviglia, e consenta lo sbattimento dei piatti fissati a
mo’ di “charleston” di batteria sulla sua superficie superiore, tramite un’altra cordicina
legata alla caviglia dell’altro piede.
L’originale invenzione per cui, camminando, è possibile l’accompagnamento ritmico
“con i piedi”, offre l’opportunità a chi lo presceglie di intonare, contemporaneamente con
gli arti superiori, melodie con organetto, zampogna, aerofoni e quant’altro.
18. TAMMORRA CON SONAGLI
La tammorra è uno strumento onnipresente nella musica popolare, nelle forme e nei
generi che maggiormente la contraddistinguono.
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La tecnica per suonare tale strumento è molto complessa: richiede qualità ritmicomusicali non comuni e una resistenza fisica notevole, in quanto lo strumento può essere
suonato per ore intere senza cedere minimamente nella costanza del ritmo.
La prima difficoltà consiste nel saper equilibrare il peso del tamburo in modo che il
suo movimento non pesi eccessivamente solo su un braccio: la mano che regge lo
strumento può avere un cadenzato movimento di polso che permette ai sonagli di suonare
ritmicamente in accordo con i colpi battuti dall’altra; la mano che percuote la pelle alterna
colpi dati con tutto il palmo a colpi dati con la punta delle dita e altri battuti con la parte
più carnosa e bassa, là dove è il dito pollice (i colpi dati al centro dello strumento
producono un suono più cupo e grosso, quelli dati verso i bordi suoni più chiari e
squillanti).
Un particolare della tecnica è il “trillo” che si esegue inumidendo con la saliva il dito
medio o pollice e facendolo strisciare sulla pelle, lungo i bordi dello strumento. In tal modo
la pelle entra in vibrazione e, facendo scuotere velocemente i sonagli, produce appunto un
effetto di “trillo”.
19. TAMMORRA MUTA
La tammorra muta, di diametro maggiore rispetto a quella con sonagli di cui è priva,
genera suoni cupi e si presta a maggiori virtuosismi con l’alternanza e la preferenza di uno
o più polpastrelli delle dita a colpi di accento con il palmo. Si riscontra l’utilizzazione più
diffusa nelle tammurriate, in cui predomina il suo suono continuo, da bordone, arricchito di
altre tammorre e percussioni di varia natura.
20. TAMBURELLO BASCO
Di dimensioni ridotte e diffuso ai nostri giorni nella sua versione a produzione
industriale, si è affermato, sostituendo la tammorra, per la sua economicità, praticità e
timbro definito: la membrana sintetica, resistente alle mutazioni atmosferiche, possiede
come ulteriore ausilio per la tensione e l’accordatura tiranti regolabili ancorati all’armatura
lignea circolare, corredata di sonagli in metallo perfetti nella concavità e squillanti, rispetto
a quelli artigianali in latta. Ciò spiega la sua fortuna tra i “nobili” strumenti dell’orchestra e
l’utilizzo della sua cornice con meccanica da parte di alcuni strumentisti che vi distendono,
artigianalmente, pelli naturali.
21. TAMBURO DI LATTA
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Un cilindro di riuso in latta, in zinco o altro, di altezza e diametro variabili, è
sormontato da una pelle (naturale o sintetica) incollata, stretta semplicemente da uno
spago, oppure fissata da un cerchio metallico, con eventuali tiranti reperiti di fortuna.
22. CUPA CUPA
Il tamburo a frizione, di cui è stata rilevata la presenza di tre tipologie chiamate
secondo differenti connotazioni onomatopeiche, si compone di tre elementi di diversi
materiali, reciprocamente concomitanti nella produzione del suono, la cui scelta viene
operata dal suonatore, generalmente, per tradizione, disponibilità, basso prezzo e
reperibilità. Un contenitore cilindrico con funzione di cassa acustica è sormontato da una
membrana distesa sul cerchio aperto e fatta vibrare da una canna, fissata nel suo centro con
uno spago, sollecitato dalla frizione del pollice e dell’indice inumiditi lungo la sua
estensione. La variante lucana è chiamata cupa cupa: sul cilindro di terracotta si distende
una pezza di cotone (anche uno straccio di jeans può risultare funzionale).
23. PUTIPÙ
Putipù è generalmente il nome pugliese della variante del tamburo a frizione
costruito con un contenitore in creta per la conservazione di alimenti e sormontato da una
membrana naturale.
24. CACCAVELLA
Denominata caccavella è la variante campana che, conservando come costante la
pelle naturale come membrana, annovera diversi soluzioni come cassa acustica, tra cui
barattoli di latta o di zinco riutilizzati.
25. TROMBETTA A MEMBRANA
La trombetta a membrana è costituita da una piccola canna aperta alle due estremità,
con un foro nella parte superiore ricoperto da una sottile membrana di velina o plastica:
cantando o parlando all’interno di una delle due aperture si producono alterazioni di suoni
e, quindi, possibilità di imitare uno strumento musicale o voci umane ad estro di chi lo
utilizza.
Altrimenti detto kazoo, termine onomatopeico anglosassone che richiama le sue
funzioni sonore, ha conosciuto diffusione negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso all’interno
delle cosiddette jug bands, orchestrine ambulanti con predominanza di strumenti musicali
poveri.
26. PETTENÈSSE
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La pettenèsse è un mirliton della forma più semplice e immediata, costituito da un
pettine, in osso o in plastica, e da un foglio di carta velina disteso sulla estremità puntellata:
è sufficiente poggiare le labbra per divertirsi a sentire i suoni della propria voce distorti,
gracchianti o sibilanti.
27. DU BBOTTE
Strumento musicale popolare presente ancor oggi nell’Italia centro-meridionale, di
origine abruzzese e tardo-ottocentesca, sempre pronto ad accompagnare nelle feste
contadine balli come il saltarello, la tarantella e la pizzica, anche se tende vieppiù ad essere
sostituito dalla fisarmonica, più estesa nelle ottave. Il du bbotte, infatti, è la forma più
semplice di organetto, così chiamato per la limitazione a due soli bottoni di basso che
consentono, ad apertura e chiusura dei mantici, soltanto i due accordi di “do” e “sol” (altri
tipi più evoluti di organetto sono provvisti di 4, 8 e 12 bottoni per i bassi, con relativa
estensione di possibilità di comporre melodie).
28. CIOLE
Il nome dello strumento deriva dal termine dialettale per “corvo”, animale che
notoriamente sosta sulla parte superiore del campanile di Casamassima e di cui ripropone
il verso. Apparentemente elementare nella costruzione, deve la sua sonorità al sottile
equilibrio da instaurare tra la metà del guscio di una noce, una membrana incollata sulla
sua superficie aperta e un crine di cavallo che l’attraversa nel centro e si avvolge, nella
estremità opposta, attorno a un intaglio di una bacchetta di legno da bagnare nel momento
dell’utilizzo.
Trastullo infantile, impegna il suonatore a coordinare il movimento del polso per
sfruttare al massimo il movimento di inerzia della noce nel farla roteare intorno alla mano,
evitando che il filo si raccolga intorno a se stesso.
29. NUZZE
Il nome dello strumento deriva dal termine dialettale per “nocciolo”, in questo caso
di albicocca, da cui è costruito levigando su una superficie ruvida le due facce del seme.
Operando a una sua punta per formare una fessura, lo strumento si suona soffiando nel suo
interno, ottenendo un suono molto acuto da utilizzare come richiamo per gli uccelli o
giocattolo musicale.
30. FISCHIETTO
La tradizione del fischietto è ancora viva a Rutigliano (Bari), che vanta nel suo
territorio generosi giacimenti di “terra rossa”, alla cui lavorazione gli abitanti si sono
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dedicati, solertemente, fin dalla preistoria, come testimoniano i reperti archeologici ivi
rinvenuti, e ancora ai giorni nostri.
Il “figulo” (latino figulus, ossia vasaio, lavoratore d’argilla) rutiglianese ha sempre
gradito la creazione di “giocattoli rompi-timpani” (i tintinnabula di età romana), destinati
soprattutto al diletto dei bambini. Queste “ceramiche popolari a fiato” erano caratterizzate
inizialmente da raffigurazioni zoomorfe, con valenze puramente simboliche: è il caso del
famoso “gallo” che, nella cultura contadina, è segno di fecondità della terra e di virilità.
Infatti a Rutigliano, sino a non molti anni fa, come rito propiziatorio il “gallo-fischietto”
veniva offerto in un cesto di frutta (simbolo del raccolto) dal ragazzo alla propria amata
(significato erotico) durante la festa di S. Antonio Abate (17 gennaio), protettore dei
contadini, degli animali domestici e della terra.
Ma il 17 gennaio segna anche l’inizio del carnevale, sinonimo di scherzi e bonarie
canzonature: così, in questa circostanza, come il santo eremita nel deserto egiziano si
divertiva a “prendere in giro” il diavolo tentatore, i “fischiettari” rutiglianesi, all’insegna
del tipico sarcasmo popolare e per uno schietto momento di divertimento collettivo, danno
sfogo alla loro sorprendente creatività “schiaffeggiando” personalità in vista del paese
(sindaco, carabinieri, preti, ecc.), ma anche personaggi della politica, dello spettacolo, dello
sport e della televisione, tutti rappresentati con fischietti in terracotta in pose caricaturali.
31. FLAUTI DI CANNA
È accertata la presenza di flauti di canna di diverso diametro, spessore e lunghezza e,
conseguentemente, variando la qualità della colonna d’aria in essi sospinta, risultano
accordati in modo sempre diverso e solo in rari casi, partendo da una nota, sono rispettati
gli intervalli cromatici con le altre; poiché non esiste una tradizione artigianale musicale al
riguardo, sono realizzati da improvvisati costruttori con funzione spesso di giocattoli
sonori.
32. FLAUTO DI LEGNO
Lo strumento è costruito con un unico pezzo di legno, con l’estremità superiore
sobriamente colorata e, talvolta, con intagli, smussata ad angolo acuto per formare il becco.
Nelle diverse costruzioni accertate per opera di improvvisati artigiani non si riscontrano
sostanziali varianti organologiche, pur restando costante la non precisa intonazione che lo
limita a giocattolo musicale.
33. FLAUTO DI ZUCCA
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Tipo di flauto realizzato dalla corteccia di una zucca essiccata secondo procedure di
massima codificate, con dimensioni e forme “naturalmente” sempre diverse.
Reperito come souvenir in una bottega “artigianale” fra i sassi di Matera, emette
effetti sonori molto dolci e risulta adeguabile a giocattolo musicale, piuttosto che a
strumento vero e proprio, cromaticamente intonato nelle poche note di cui si dispone.
34. TROMBA DEL BANDITORE
Piuttosto che strumento musicale, è da considerare oggetto sonoro che dispone della
possibilità di variare il suono emesso intonandolo con le vibrazioni delle corde vocali.
Veniva utilizzato (oggi esistono solo rarissimi casi di permanenza del fenomeno) dai
banditori per richiamare l’attenzione del popolo.
35. TROMBA DI SAN GIOVANNI
Da un sottile strato di lamiera ricoperta di stagno su entrambe le superfici, con ancora
sovraimpresse le scritte delle ditte che lo utilizzavano come contenitore di merce da
vendere, con tecniche di riuso si ricava una semplice tromba con fischietto ricavato da un
giocattolo da gettare. Il suo utilizzo, generalmente ludico, è diffuso nei festeggiamenti di
San Giovanni a Bari nel borgo antico.
36. CIARAMELLA
Diffusa in Europa, sotto diversi nomi, dalle antiche civiltà medio-orientali a seguito
delle conquiste arabe, conserva le caratteristiche originarie nella scelta dei materiali e nella
struttura: il canneggio conico, con decorazioni sobrie limitate a tre anelli incavati, termina
con un padiglione svasato, la campana, talvolta a corpo separato avvitabile. La lunghezza
dello strumento (che conserva in Basilicata la denominazione basata sull’antica unità di
misura: zampogna tre palmi, zampogna quattro palmi) determina la sua intonazione e la
possibilità di suonare insieme alla fidata amica zampogna (ugualmente distinta “a palmi”).
A contribuire all’intonazione finale è l’ancia, “anima” dello strumento, costituita da
due sottilissime linguette di canna tagliate a forma romboidale, unite insieme da una sottile
corda impeciata attorno ad un tubicino di metallo posto in orizzontale nella parte più
stretta. L’ancia è un originatore sonoro: l’aria, penetrando all’interno della canna, pone in
vibrazione le due linguette l’una contro l’altra, che a loro volta fanno vibrare la colonna
d’aria ivi contenuta. Poiché le ance sono elementi naturali estremamente deteriorabili, il
suonatore, per raggiungere una perfetta intonazione, dedica molto tempo alla loro
manutenzione, all’equilibrio tra il loro spessore, la lunghezza e l’apertura tra le parti, e
perfezionando la sua conoscenza arriva egli stesso ad esserne costruttore.
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37. ZAMPOGNA
Sulla base di numerose attestazioni documentarie, per lo più iconografiche, possiamo
senza dubbio affermare che la zampogna, strumento di origine arcaica e diffuso in tutto il
mondo con diverse caratteristiche, sia stato sino alla fine del XIX secolo lo strumento che
accompagnava quasi tutte le occasioni che richiedevano una “presenza” musicale, grazie
alle sue potenzialità sonore e la completezza di suoni che le consentono di essere
contemporaneamente strumento solista e di accompagnamento (funzione, questa, svolta
successivamente dalla fisarmonica, con la stessa logica per la produzione dei suoni, ma che
necessita di minore manutenzione e offre più estese possibilità tonali e di altezza nelle
scale). Sia pur relegata oggi alle nenie nella magica atmosfera del Natale, che ricalca
l’antica tradizione della comparsa dei pastori al termine della transumanza, un tempo
suonatori di zampogna e ciaramella, anche di estrazione contadina, offrivano un duttile e
vasto repertorio di generi per le diverse occasioni legate al ciclo della natura e della vita
umana, e diversi erano i costruttori pugliesi e lucani che si tramandavano l’arte da sempre.
La zampogna è caratterizzata da un serbatoio d’aria, otre o sacca, di pelle di capretto
o capra, nel quale sono innestati alcuni tubi sonori, le canne, chanters o bordoni. L’aria che
il suonatore immette nella sacca con la bocca per mezzo di un insufflatore di canna, in
seguito alla pressione che egli esercita su di essa con il braccio, alimenta le ance doppie di
cui le canne sono munite. Due di queste sono dotate di fori per le dita e sono impiegati per
eseguire la melodia, mentre le altre, i bordoni, privi di fori, producono ciascuno una nota
costante che fornisce l’accompagnamento di base.
Il suonatore, una volta riscontrata un’anomalia di qualche tubo sonoro
nell’intonazione complessiva dello strumento, a causa anche di mutazioni nella materialità
delle lamine di canne delle ance, la corregge con l’ausilio di cera d’api sull’otturazione dei
fori.
38. CORNO GRECANICO
Strumento musicale popolare risalente ai primi insediamenti dei Greci sulla costa
salentina, attualmente di difficile reperibilità, poiché pochi artigiani ne curano ancora la
memoria storica. Costruito interamente in terracotta, usato un tempo durante le battute di
caccia, caratterizzò poi le processioni della Settimana Santa, con il suo suono lugubre che
accompagnava i Misteri per le vie cittadine.
Nella giornata di Pasqua, bande musicali di ragazzi giravano in paese, suonando lo
stesso strumento, ornato per l’occasione di nastri colorati e dipinti di bianco, a
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simboleggiare la Risurrezione. La zona della penisola salentina dove vigeva l’uso di tale
strumento è la stessa in cui ancora oggi si parla il dialetto grecanico.
38. bis TROMBA DI SAN PIETRO
Gli Ebrei avrebbero lasciato il ricordo della loro permanenza a Grottaglie intorno
all’anno 1000 nella manifestazione della “festa delle trombe”, che vede protagonisti i
bambini a suonare il caratteristico suono roco di questo strumento in terracotta che rinnova
una tradizione che si perde nel buio dei tempi.
39. ZULE
L’aria introdotta ad urto attraverso l’imboccatura in un’anfora di argilla tenuta
verticalmente, accompagnata da emissioni di suoni delle corde vocali, consente a questo
oggetto, originariamente utilizzato per la conservazione dell’acqua, l’accompagnamento di
balli nelle feste della civiltà contadina, impegnando l’esecutore in preziosismi melodici e/o
ritmici.
40. MEGAFONO IN ALLUMINIO
Un imbuto in alluminio utilizzato per il travaso di liquidi si prestava a rudimentale
megafono, adornato secondo l’estro estetico di chi ne faceva uso; era idoneo alla
conservazione, amplificazione e diffusione di onde sonore, in particolare per comunicare in
spazi aperti con numerose persone.
41. MEGAFONO IN LATTA
Utilizzando la latta di contenitori per il trasporto di merce liquida (olio, in
particolare) e dipingendola per nasconderne l’origine, l’improvvisato oratore poteva
utilizzare questo attrezzo, forgiato a mo’ di imbuto, nelle piazze per amplificare la propria
voce.
42. CHITARRA BATTENTE
La chitarra battente, o semplicemente “battente”, le cui origini risalgono al XVII
secolo, è così chiamata per il modo di essere suonata “a battuta” su tutte le corde (o
mediante pizzico su una e battuta su tutte), tecnica che contribuisce ad accrescere il volume
sonoro e il senso ritmico dell’esecuzione. Rispetto a quella comune si presenta di
dimensioni più ridotte, con forma allungata simile alle chitarre barocche, tastiera variabile
estesa almeno un’ottava, una cassa armonica più alta, bombata (definita “a bauletto”), il cui
fondo è costruito, analogamente alla mandola e al mandolino, a larghe fasce longitudinali
parallele. Elemento caratteristico, nel foro di apertura della cassa armonica, è la “rosa”,
posta all’interno lungo la sua circonferenza, formata da una corolla traforata di cartone (o
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di pelle o di lamina metallica o di legno) insieme ad una o più piastrine tonde concentriche
di diametro diverso e di diversi materiali, collegate, talvolta, al fondo della cassa mediante
un filo metallico: questa struttura, di evidente ideazione polifunzionale, l’arricchisce
esteticamente e produce un effetto acustico più “complessivo” di miscelazione di suoni. A
contribuire maggiormente alla sua originalità timbrica è l’accordatura che, escludendo le
corde basse, prevede solo corde alte di ferro, un tempo anche in rame, dello stesso spessore
(mm 0,23 circa). Per corde singole o doppie, lo schema utilizzato è il seguente (salvo rare
eliminazioni della terza corda in “sol” che restringe l’accordatura nell’ambito di una
quinta):
- la prima è un “mi”, come per le normali chitarre;
- la seconda è un “si”, al di sotto di una quarta del “mi”;
- la terza è un “sol”, sempre al di sotto del “mi”;
- la quarta è un “re”, alla distanza di un grado dal “mi”;
- la quinta è un “la”, alla distanza di una quinta sotto il “mi”.
Essendo le ultime due corde della stessa altezza delle prime, si produce una singolare
forza di armonici e di oscillazioni di suono.
L’accordatura è da intendersi variabile, in quanto ogni cantore della tradizione,
quando non c’erano altri strumenti ad accompagnarlo, la sceglieva a misura delle proprie
possibilità vocali, pur lasciando integro il rapporto tonale tra le corde.
I laboratori artigianali, un tempo sparsi e frequenti in tutto il territorio di Puglia e
Basilicata, a causa della concorrenza della chitarra industriale – industria che peraltro
produce ultimamente anche modelli di battente –, sono del tutto scomparsi.
Si rileva la lodevole iniziativa della Regione Calabria, di cui si attesta nel 1998 la
costituzione di una scuola di liuteria per la costruzione della chitarra battente secondo
l’arte tramandata dalla famiglia De Bonis dal XVIII secolo e insegnata dai fratelli
Vincenzo e Costantino.
43. CHITARRA TERZINA
La chitarra, facilmente trasportabile e non particolarmente complessa per
apprenderne le tecniche esecutive di base, ha sempre goduto di specifiche caratterizzazioni
popolari, considerate le influenze culturali della Spagna, suo centro di diffusione, nel
Mezzogiorno d’Italia: ce lo confermano testimonianze iconografiche e divieti di suonarla
per le vie dopo il rintocco della campana vespertina già dal XVI secolo.
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Sino agli anni ’40 del secolo scorso era diffuso un tipo di dimensioni più piccole
rispetto a quello comune, la cosiddetta “terzina”.
Dal secondo dopoguerra si è imposto l’uso di un tipo nuovo, non autoctono, la
“chitarra folk”, contraddistinta da una cassa di risonanza di grandi dimensioni su cui è
incollato un batti-penna di plastica, o lamina di osso, talvolta decorato.
Nella tecnica esecutiva – legata maggiormente all’accompagnamento del canto
piuttosto che della danza –, tradizionalmente a corde pizzicate o percosse con i polpastrelli
o le unghie delle dita, si riscontrano particolari adattamenti ritmici alla gran parte dei
generi musicali in cui viene utilizzata, siano essi di carattere melodico o armonico o misto,
con uso delle note basse come bordone (considerata la loro penuria nella strumentazione
popolare).
44. ARPA DI VIGGIANO
L’arpa di Viggiano, ben attestata nei secoli passati in documenti scritti e iconografici,
è da considerare oggigiorno quasi estinta, come si evince da attente ricerche sul campo, che
hanno individuato solo pochissimi anziani che ancora la posseggono e conservano la
memoria del suo repertorio, dopo la massiccia ondata di emigrazioni verso l’America
intorno alla Prima guerra mondiale e la morte degli ultimi suonatori rimasti in zona. Non
solo a Viggiano, ma anche in diversi centri della Val d’Agri un tempo esistevano artigiani
che su commissione costruivano arpe per i “carciofolari” (così erano soprannominati a
Roma i suonatori): musici girovaghi famosi in tutta Italia, in diversi paesi d’Europa e
oltreoceano che, questuando o su richiesta in occasioni conviviali, funerali, messe e feste
eseguivano miscellanee di brani tradizionali e colti appresi, tramandati e manipolati ad
orecchio (la diffusione del termine “arpa pastorale” starebbe ad indicare il ceto sociale di
provenienza dei musicisti, piuttosto che il genere musicale prevalentemente eseguito).
L’arpicella (arpicedda) sopravvissuta e presa in esame si presenta scarna di
ornamenti e di intarsi nella lavorazione e tornitura delle parti in legno che la compongono:
bastone o colonna, arco, piedi e cassa armonica a tre aperture sulla bombatura esterna.
Corredata di 16 corde con i bischeri (perruozze o vettunne) e 13 senza, fermati con un nodo
sull’arco, è da considerare di tipo portativo diatonico, il cui numero di corde variava da 36
a 28 (la “grande” aveva 43-44 corde). Sull’arco sono inchiodati dei piccoli ganci che
all’occorrenza, con un piccolo “perone” (pirungidde), venivano girati per modificare
velocemente l’accordatura di alcune corde, al fine di suonare in un’altra tonalità. Rispetto
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all’arpa oggi usata in orchestra non possiede la pedaliera in grado di alzare o di abbassare
di un semitono il suono di ciascuna corda.
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