le Partigiane

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le Partigiane
LE PARTIGIANE
II CONCORSO NAZIONALE FNISM
ANNO SCOLASTICO 2014/’15
CLASSE 4^B - I.C. CODOGNO (LO)
INS. VENERA TOMARCHIO
Le donne hanno avuto una parte
importantissima nella Resistenza,
perché, se non ci fossero state loro, noi non
avremmo potuto fare niente.
Arrigo Boldrini
LE DONNE PARTIGIANE
Nel ricordare la lotta partigiana raramente si parla del ruolo delle donne e del loro
contributo alla Resistenza. Anche per questo motivo si parla di “Resistenza taciuta”.
Eppure il contributo delle donne fu un contributo molto rilevante, soprattutto nella gestione
organizzativa quotidiana.
La partecipazione femminile alla lotta di Liberazione dal nazi-fascismo è, dunque, ampia
ed importante, ma difficilmente misurabile e valutabile e, alla fine della lotta armata, la
stragrande maggioranza delle donne non si fece avanti per ritirare medaglie e
riconoscimenti.
Le donne nella Resistenza Italiana rappresentano una componente fondamentale per il
movimento partigiano nella lotta contro il nazifascismo. Esse lasciarono i loro ruoli di
donne e madri e lottarono per riconquistare la libertà del proprio paese ricoprendo funzioni
di primaria importanza. In tutte le città le donne partigiane lottavano quotidianamente per
recuperare beni di massima necessità per il sostentamento dei compagni. Vi erano gruppi
organizzati di donne che svolgevano propaganda antifascista, raccoglievano fondi ed
organizzazioni assistenza ai detenuti politici ed erano impegnate anche nel mantenimento
delle comunicazioni oltre che nelle operazioni militari.
E’ a partire da questo momento che, in Italia, la donna viene riconosciuta come cittadina,
una figura portatrice di diritti civili e politici. A partire da quegli anni le donne iniziano un
percorso di rivendicazione di nuovi diritti, di spazi nella vita pubblica e sociale del paese,
un nuovo ruolo nella vita economica e lavorativa.
E’ con la Resistenza che il movimento di emancipazione femminile fece ingresso nella vita
pubblica delle donne.
Le donne che parteciparono alla Resistenza facevano parte di organizzazioni come i
Gruppi di Azione Patriottica (GAP) e le Squadre di Azione Patriottica (SAP); inoltre
fondarono dei Gruppi di Difesa della Donna “aperti a tutte le donne di ogni ceto sociale e di
fede politica o religiosa che volessero partecipare all’opera di liberazione della patria e
lottare per la propria emancipazione”, per garantire i diritti delle donne, sovente diventate
capifamiglia, al posto di mariti arruolati nell’esercito. Dall’interno delle fabbriche (dove
avevano preso il posto degli uomini impegnati in guerra), organizzarono scioperi e
manifestazioni contro il fascismo. Erano brave a camuffare armi e munizioni quando
venivano fermate dai tedeschi. Molte donne comuni, il 9 settembre 1943 cominciarono a
marciare verso le montagne per rifugiarsi dai tedeschi, e da lì gli italiani dichiararono
guerra al nazifascismo. Oltre alle donne combattenti, ci furono anche le staffette che
portavano: armi, provviste e vestiti per le brigate partigiane che, rifugiate in montagna,
aspettavano affamate, assetate e infreddolite nuove energie per andare all’attacco.
Lavoravano di notte e facevano chilometri e chilometri a piedi o in bicicletta portando
diversi chili sulle spalle con la temperatura rigida. Il compito della staffetta era quello di
tenere in contatto le formazioni partigiane fra loro e il centro direttivo, le staffette hanno
mantenuto in vita molti combattenti e per questo sono state riconosciute.
Il 26 luglio 1943, dopo tre anni di guerra, il regime fascista si stava sfaldando sotto la crisi.
La sera del 25 luglio la radio diede la notizia della caduta di Mussolini, il 26 luglio la
popolazione manifestò la soddisfazione per l’evento.
Il lodigiano non offriva la possibilità di organizzare grandi gruppi di partigiani in attività
permanente, poiché le uniche possibilità di occultamento naturale erano i boschi dell’ Adda
e delle colline di San Colombano. Per questo molti lodigiani, in tempi diversi, spinti dalla
propria maturazione politica o costretti dai provvedimenti fascisti, salirono in montagna
entrando a far parte di brigate partigiane. I primi partirono nell’ autunno del 1943 ed erano
tutti giovani.
Domenica 29 aprile 1945 si svolsero nei comuni del Lodigiano i funerali dei caduti dell’
insurrezione, nelle settimane dopo si celebrarono quelli dei partigiani uccisi in montagna.
DATI DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE DEI
PARTIGIANI D’ITALIA:
 partigiane: 35.000
 patriote: 20.000
 gruppi di difesa: 70.000 iscritte
 arrestate/torturate: 4.653
 deportate: 2.750
 commissarie di guerra: 512
 medaglie d’Oro: 16
 medaglie d’argento: 17
 fucilate o cadute in combattimento: 2.900
CONTINUITÀ
(Licia Tortella Mosconi)
Non si contrappone
la notte al giorno
né la morte alla vita.
Un' eco rimbalza
da confini ignoti.
Un intreccio lieve
sottende l'ordito,
un filo sottile
ricama il tessuto
nel buio e nella luce
nella stasi e nel moto.
Mi urge da sempre
la continuità del tutto
a dispetto dell'ineluttabile divenire
perché non ci può essere strappo
se la vita continua
al cader delle foglie.
Quando poi
nell'ultimo respiro
i rami nudi
dicono al mondo la fine
e schegge d'alberi spenti
rovinano al suolo
ancora è la continuità del tutto
perché la terra si alimenta di ciò
che in apparenza muore
e s'inizia una vita diversa.
LE BIOGRAFIE
DINA CLAVENA
GIUDITTA MORI
CARMEN PEZZONI
SERAFINA ROGNONI
MARIA GROSSI
ROSITA ROSSI
ANNA MONTEVERDI
ZALIKHA OUDAI
AICHA BENT ABOUZIANE
AICHA YAKUBIA
AUNG SAN SUU KYI
LE
LODIGIANE
DINA CLAVENA
Dina Clavena è nata a Codogno,in Via Cavallotti, il 13 dicembre 1923 ed è morta il 5 luglio
1983, figlia di Gaetano e di Crespi Carmela.
Un giorno i fascisti, nel 1938, entrarono in un bar e chiesero di Gaetano.
I parenti dicono che non c'è, ma lui è lì. Si fa avanti e dice che c'è. I fascisti lo prendono e
lo portano via. Il suo corpo viene trovato qualche ora più tardi da alcuni parenti.
L'8 settembre Dina Clavena e suo fratello Angelo raggiungono le prime formazioni
partigiane.
Angelo, divenuto partigiano, si unisce alla formazione Beltrami e cade a Megolo. Dina
viene catturata dai fascisti diverse volte, ma riesce sempre a fuggire.
Fu catturata a Forno il 9 marzo 1944 e liberata in agosto, nel 1944.
Fu catturata una seconda volta a Colazza il 28 novembre 1944 e fu liberata il 15 marzo
1945.
Durante la battaglia di Megolo, Dina,detta la "Stella rossa", ritorna sui luoghi dove vide
morire suo fratello. A Megolo,la mattina del 13 febbraio 1944, c'era la Stella rossa. Suo
fratello cadde insieme con altri eroi oscuri.
Fu militante antifascista dall'età di 16 anni, ha combattuto con i partigiani della Val
d'Ossola, prima nella formazione di Beltrami e poi con il capitano"Iso"(Aldo Aniasi).
Fu partigiana dall'8 gennaio 1944 al 15 marzo 1945.
Finita la guerra e tolta la divisa, tornò a casa e si ritirò a vita privata.
Una sola volta, nel 1975, rilasciò un’intervista alla giornalista Donata Righetti del
quotidiano “Il Giorno”.
TESTIMONIANZA
Da un’intervista rilasciata alla giornalista Donata Righetti, IL GIORNO, nel
1975
Finita la guerra mi sono tolta la divisa e nessuno mi ha più vista.
Per trent’anni sono scomparsa, presa in una vita uguale a quella di tante altre donne: il
matrimonio, i figli. Mi sono sentita dire come molte donne, che " il mio posto era in casa”.
Non ho partecipato a nessuna manifestazione, a nessuna celebrazione, non ho nemmeno
chiesto una pensione.
Sono fuggita, perché quando la guerra è finita, ho visto troppe cose che non mi sono
piaciute. Fascisti che si dicevano partigiani, gente che strumentalizzava la lotta. Quello
che accadeva nel nostro Paese non era il futuro che avevamo sperato. Ma se tornassi
indietro non rinuncerei a combattere, lo farei ancora. Perché c’è qualcosa dentro di noi,
una rabbia, un dolore che non può non esplodere di fronte ai soprusi e all’ingiustizia.
Mi sono decisa a rompere il mio lungo silenzio perché il fascismo contro il quale abbiamo
lottato è ancora tra noi, sta diventando sempre più forte e allora dimenticare diventa un
lusso.
Mio padre era solo quando gli si pararono davanti quindici fascisti con la camicia nera. Lo
intontirono di botte e poi lo trasformarono in poltiglia sotto uno schiacciasassi.
Mio fratello Dino mi è morto a nove anni, dopo che degli scalmanati gli avevamo
frantumato le mani.
Stava giocando vicino a casa. Si era messo al collo un fazzoletto rosso.
Lo hanno preso, gli hanno fatto appoggiare le mani al muro e gli hanno spaccato tutte le
dita. Alla sera gli è venuta una gran febbre e due giorni dopo è morto.
La mia storia comincia qui.
Dopo un periodo in carcere perché avevo aggredito il federale di Codogno che picchiava
brutalmente mio fratello Lolo durante un interrogatorio, raggiunsi la formazione di Beltrami
in Val d’Ossola.
Il mio nome di battaglia era “Stella rossa”. Ho combattuto con i fratelli Di Dio, Gaspare
Pajetta, Filippo Maria Beltrami, Aniasi, il capitano”Iso”.
“Stella rossa” qual è la tua sorte/ Vogliamo la tua morte”. Con questa cantilena mi
trascinavano fuori ogni giorno, per una settimana intera, i fascisti che mi tenevano
prigioniera a Novara.
“Stella rossa” qual è la tua sorte, mi urlavano addosso quando mi legarono a un pilone
nella piazza di Varallo con la gente del paese che era costretta a sputarmi in faccia e,
quando, a Torino aspettavo di essere impiccata come i miei compagni in Corso
Guinzaglio.
-
C’erano altre ragazze lassù in Val d’Ossola con la formazione di Beltrami?
Nessuna e i partigiani non mi volevano, pensavano che non fosse il posto per una di 20
anni. Li convinsi e mi dissero:<< Ci farai da mangiare. Ma io invece volevo un fucile e
volevo usarlo>>.
-
Perché un fucile?
Perché quello non era tempo per stare in cucina. Ebbi un fucile e anche una Mauser.
Nella nostra formazione eravamo più di centocinquanta. Si facevano saltare i treni, si
assaltavano caserme, ma era ancora una specie di apprendistato. Un giorno Beltrami ci
disse:<< Dobbiamo partire, da questo momento avremo solo fame e lotta. Chi vuole può
ancora andarsene>>. Rimanemmo in cinquantasei.
La notte del 13 febbraio del ’44, a Megolo, fummo attaccati da SS e da fascisti. Era un
vero esercito con molti carri armati: Seppi che mio fratello Lolo era stato ferito e corsi giù
dove stavano combattendo. Mi misi al suo fianco e cominciai a sparare. Intorno solo fuoco
e cadaveri, anche quello di mio fratello. Era ancora viva, ma ero rimasta sola. I fascisti
avevano fatto cose terribili, molti morti penzolavano dagli alberi. Io volevo portarli in
chiesa. Mi aiutò della gente del paese, ma quando arrivammo in piazza trovammo i
fascisti. Qualcuno mi buttò sotto la catasta dei cadaveri. Così mi salvai.
-
E la paura Dina?Lei era una ragazzetta, non aveva paura?
Sì, ho avuto paura. Passata nella formazione Aniasi, per recuperare delle armi, certe volte,
dovevo attraversare i posti di blocco, allora urlavo: lasciatemi passare, sono fascista, i
partigiani mi inseguono.
Invece ero sola e, correndo, mi pareva di sentire le scariche di mitra dietro la schiena. È
impossibile spiegare, raccontare quello che abbiamo vissuto.
Poco tempo fa mi è capitato di vedere uno sceneggiato alla televisione, ambientato in Val
d’Ossola, durante la Resistenza. Mi sono indignata. Sembrava che i partigiani non
avessero altro da fare che chiacchierare o discutere. Si erano dimenticati della fame, del
freddo e, soprattutto, dei nostri morti.
-
Come si comportavano con lei i compagni della formazione?
Ero diventata un simbolo, un’astrazione. Nessuno pensò mai di toccarmi e nessuno lo
fece. Ogni volta che partivano per un’azione insieme a me erano più contenti. Dicevano:
<< Se viene la Dina, andrà tutto bene!>>
Tra i ricordi più drammatici c’è l’assalto all’infermeria partigiana di Forno di Vallestrona,
dove si erano rifugiati nove partigiani feriti. Avevamo saputo che l’infermeria sarebbe stata
attaccata, ma la situazione era senza speranza, non potevamo aiutarli. Aniasi, il capitano
Iso, voleva legarmi per non farmi andare. Mi alzai di notte e arrivai poco prima dei fascisti.
Ma dovemmo arrenderci. Ci legarono insieme: me, i due medici, i feriti e cominciarono a
bastonarci.
Quando sono rinvenuta, ero l’unica viva.
Da quel momento, fino alla fine della guerra ho conosciuto le prigioni e le camere di tortura
di Vercelli, di Novara, di Domodossola, di Torino.
Spesso mi facevano indossare una divisa da fascista e mi portavano in giro per le valli.
<< Allora, dove si nascondono i partigiani ?>> E io zitta ogni volta, e ogni volta erano botte
feroci. Quando uscii dal carcere non ero più in grado di camminare, mi ci vollero sette
operazioni per guarire. Ma prima dell’ospedale, volli andare a disseppellire i compagni
morti nelle valli.
GIUDITTA MORI
Giuditta Mori è nata a Codogno il 5 aprile del 1921. E’ morta, sempre a Codogno, in una
casa di riposo, il 24 ottobre del 2006.
Ha partecipato alla lotta partigiana codognese ed è stata arrestata nel febbraio del 1944 e
detenuta al carcere di Pallanza, a Novara. Nello stesso anno fu trasferita al carcere di
Parma.
Venne scarcerata il 17 giugno del 1944.
Fino al 1954 è vissuta a Codogno lavorando come segretaria dell’ avvocato Arrigo Cairo,
poi si è trasferita a Milano. Il 13 maggio del 1985 ha ricevuto il diploma d’ onore come
combattente per la libertà d’Italia firmato dal Ministro della Difesa, Spadolini e dal
Presidente della Repubblica, Pertini e l’ 11 febbraio è stata insignita della croce al merito
di guerra in seguito all’ attività partigiana svolta.
TESTIMONIANZA
Lettera di Giuditta Mori, dal carcere di Pallanza, il 26/02/1944
Carissimi tutti,
già vi scrissi due volte, ma finora nulla ho ricevuto da voi, non potete
immaginare quale sia la mia ansia di sapere notizie da casa: Cerco di incolpare, da parte
mia, i mezzi di servizio, ma in cuor mio dubito anche un poco delle vostre collere verso di
me. Anche dell’avvocato mi sorprendo, lui specialmente che gira le carceri e che tutti i
giorni è a contatto di pene, dovrebbe sapere come i poveri carcerati aspettino una parola
di conforto, ma fin qui nulla che mi abbia a sollevare un poco dei miei pensieri.
Qui nessuno mi conosce, a nessuno posso aprire il mio cuore, per sfogarmi del mio
dolore, il quale non è dolore per essere in prigione, ma perché sono lontana da voi tutti e
da tempo senza notizie. Perché trovarmi in prigione come mi trovo io, quando esco no
dovrò chinare il capo, ma bensì l’alzerò più di prima e avrò più diritto alla parola.
La mia rabbia è poi di non poter aver nessuna notizia dal di fuori, di come vanno le cose
ecc., qui tutto il giorno non faccio che leggere e dormire, figuratevi che vado a letto circa
alle ore 17 e dormo fino al mattino all 9.Mi accorgo che sto diventando più poltrona da un
giorno con l’altro, le mie membra si rifiutano a qualsiasi movimento, penso con nostalgia
alle belle giornate di lavoro passate allo studio, mi immagino alle volte di andare in Pretura
con i miei fascicoli sotto il braccio, mi ricordo le belle chiacchierate con il Pretore, il
Cancelliere, la signora Bice e tutti i quali mi dimostravano di volermi bene, penso alle
sfuriate dell’avvocato quando io mi ritardavo in Pretura, e mi veniva a chiamare lui stesso,
rimanendo poi anch’egli a chiacchierare. Ricordo le sfuriate della mamma, alla quale
raccomando, ora se mi scrive, di non dirmi cose che mi fanno male, e poi anche perché
vengono lette da altri, quindi, se mi vuole rimproverare, la prego di essere mite, io non
chiedo rimproveri, ma parole di conforto, voglio che siano lettere che a leggerle e
rileggerle, mi abbiano ad infondere consolazione e coraggio.
Di qui no ho altre notizie da darvi poiché tutti i giorni sono uguali, mai nessuna novità, mai
nessuna notizia, sapeste come invidio le altre che almeno hanno la consolazione di avere
notizie da casa, di ricevere almeno una volta alla settimana il pacco da casa.
Cara mamma o papà, uno di voi dovrebbe andare dall’avvocato a dirgli di prendere i soldi
che ci sono fuori, Gnocchi, Lunati, Nerini ecc. che poi, quando verrete a trovarmi dirò cosa
ne dovete fare. E da Zina avete ottenuto? Diteglielo a Pina, salutatemela e
ringraziatemela. Se voi non potete venire fatemi un vaglia di 200 o 300 lire e mandatemi la
valigia a mezzo corriere, sarebbe però bene una venuta del papà così gli parlerei e prima
di venire da me dovrebbe andare a Rovegro per la valigia che come vi dissi è presso
l’osteria Bottini. Quivi c’è la mia gonna- pantaloni e della marmellata che papà potrebbe
lasciarmi qui al carcere. Salutatemi l’avvocato, pregandolo a sua volta di salutare le
seguenti persone: l’avv. Scamarone, l’avv. Biancardi, il Pretore, il Cancelliere, le sig.re
Bice e Maria della Pretura. Salutatemi poi la Lina e tutte le mie compagne. Dite poi
all’avvocato di dare qualche cosa, con i soldi che lui sa, alla signora Clavena, Dina e Lolo
si trovano molto bene con Renzo.
Tutta la mia ansia è ora per avere notizie di Lino.
Scrivetemi presto e dite all’avvocato che attendo notizie sue, di sua moglie e di sapermi
dire qualche cosa dello studio. È molto adirato? Un forte bacio che si abbia a sentire alla
distanza di 200Km alla mamma, un bacio al papà, a Lino, Noemi, Alberto e Gisella, alla
zia, al nonno. Tanti baci, Giuditta
Note post-scritte, a margine e intorno al testo della lettera:
-
Ricordatevi che la fame è sempre molta.
Cercate pure/anche all’avvocato, dicendo che io sto bene.
In questa foto è con i fratelli Natale e Lorenzo al Museo della Resistenza in Val d’Ossola.
CARMEN PEZZONI
Carmela Pezzoni è nata il 6 agosto del 1920 a Picenza ed è morta a Codogno il 27 marzo
del 1993, a 73 anni.
Da quando aveva 18 anni e, fino ai 25, ha fatto la staffetta partigiana sul piacentino.
Lavorava in campagna e la sera andava sulle montagne. Il suo nome di battaglia era
“Ennia”.
Fu catturata dai fascisti quindici giorni prima della fine della guerra, di notte mentre tornava
dalla montagna ed è stata imprigionata a Piacenza. Successivamente con un’azione dei
GAP, con a capo suo fratello Guglielmo Pezzoni, nome di battaglia Athos, è stata liberata.
Finita la guerra, e fino alla morte ha fatto attività politica. Era iscritta al partito comunista e,
fino a poco tempo prima della sua morte, ha tenuto aperto il Circolo del partito di Codogno
che prima era in piazza della Repubblica, poi in via Verdi davanti al teatro e,infine in via
Vittorio Emanuele.
Ha sempre continuato a lavorare come sarta.
In questa foto, Carmen gioca con il figlio Francesco
SERAFINA ROGNONI
Serafina Rognoni, chiamata Mariuccia, nacque a Meleti il 01/11/1914.
Fu una volontaria dell’ A.V.I.S. di Codogno dall’ 11/07/1949 al 06/01/1974.
Ebbe un’ unica figlia di nome Elisa.
Morì a Codogno il 14/03/1977.
TESTIMONIANZA
Dalla testimonianza della figlia, Elisa Soresini.
E’ nata in una famiglia numerosa, quarta di nove figli. La mamma rimasta vedova, con
bambini dai dieci anni la prima, quaranta giorni l’ultimo, li ha cresciuti tutti e ancora mi
chiedo come ci sia riuscita. Per me è come cercare di spiegare un miracolo. Erano tanti,
ma uniti in una grande famiglia, di amore reciproco.
Lei era la più tenera e cercata da tutti. Era la zia Mariuccia con la lettera maiuscola.
Remissiva e mite, momenti dell’anima che invece le hanno consentito di affrontare la vita
con le sue criticità, e le scelte con la forza che deriva dalla determinazione.
E’ stata figlia, sorella, zia, mamma e nonna dolcissima.
Ha incominciato presto a lavorare, era necessario per vivere e più tardi per crescere me.
A guerra iniziata faceva la pendolare tra Codogno e Milano. Il primo treno alle sei e venti, il
ritorno alle venti, felici di stare insieme fino al mattino.
Sembra il racconto di una vita dura, ma vivibile, ma la guerra cominciava a pesare su di
noi.
Due fratelli di leva, uno mandato in Africa (prigioniero a Tobruk) l’altro, che non tornò più,
in Russia. L’ultimo dei maschi, con un gruppo di amici, stampava volantini contro la
dittatura. Furono informati che la notte sarebbero stati arrestati. Così lo zio sparì. Nessuno
in casa ne parlava. Chissà quale favola mi avranno raccontato, perché era pericoloso
sapere che era salito sulle montagne della Val Sesia. Aveva diciassette anni.
Intanto a Milano si intensificavano i bombardamenti e la ditta, dove lavorava la mia
mamma, si trasferì a Itra, sul lago Maggiore. Così al pericolo sui mitragliamenti dei treni si
aggiungeva quello dei battelli che dovevano attraversare il lago. Di tutto questo non
conoscevo quasi nulla. Sapevo, dove lavorava e in quali condizioni (un materasso
appoggiato sul pavimento). Con lei non avevo paura, ma sentivo strani silenzi e vedevo
assenze. E’ in quel tempo che la mamma si arruola come staffetta fra il 15 ottobre del
1943 con il nome di battaglia “Elisa”.
Perché una donna dolce come lei ha affrontato quel pericolo? Non credo per le parole
“libertà” e “democrazia”, parole usate e a volte abusate, ma piuttosto la determinazione di
non essere complici di chi negava il diritto di pensiero, di parola, i diritti sacrosanti della
persona, le perquisizioni, i rastrellamenti. Quello che sembrava fragilità è diventata voglia
di partecipare, rischiando la vita.
Di questi eventi non abbiamo quasi più parlato. Non potremmo rinnovare il dolore che ci
aveva travolto (bombardamento di Lodi, lo zio Aquilino in Russia disperso nella ritirata il 12
dicembre del 1942).
Alla fine della guerra ci siamo riuniti, noi che eravamo sopravvissuti, ma non avevamo più
lacrime da piangere.
L’11 luglio del 1949 la mamma aderisce all’AVIS e ne farà parte fino al 6 gennaio del
1974. Ancora una volta la generosità aveva contrassegnato la sua vita.
Rivolgo un ringraziamento vivissimo a chi ha organizzato questo evento e per l’onore che
avete reso alla memoria di una donna buona e valorosa.
DOMENICO
INTERPRETA LE
INTERVISTE
ATTRAVERSO I SUOI
DISEGNI
Il cecchino spara dall’ospedale e colpisce la chiesa di Caravaggio, a
Codogno (dal racconto di Francesco Bignami).
MARIA GROSSI
Maria Grossi e’ nata a Cavenago d’Adda il 2 dicembre 1902.
Suo padre era cavagèra, cioe’ liberava i fossi dai sassi, poi fu bracciante; sua madre era
casalinga, si chiamava Rosa Balestrieri, apparteneva a una famiglia socialista.
Dopo la terza elementare Maria cominciò a lavorare come cucitrice presso la sartoria
Brioschi di Milano, poi, a 15 anni come sarta e lo fu tutta la vita.
Nel 1921, quando fu fondato il partito comunista,vi si iscrisse subito, assieme ai fratelli.
Ebbe contatti con Ermenegildo Silvani che fu tra gli iniziatori del partito comunista a Lodi,lo
conobbe presso la cooperativa di Caviaga,dove lei svolgeva attività di commessa e
propagandista.
Dopo l’avvento del regime restò in contatto con i comunisti Pietro Ferrari, Marco Di
Clemente, Dordoni, con il socialista Archinti di cui frequentava lo studio.
La polizia la sorvegliava.
Essere spiata, divenne un’ossessione da cui non si liberò più fino alla fine dei suoi giorni. Il
prefetto di Milano, il 31 maggio 1928 scrive:”Viene attentamente pedinata per rilevare con
chi si accompagna e per eventuali suoi movimenti sospetti”.
La polizia tornò a interessarsi di lei essendo stata intercettata dalla censura una sua
cartolina spedita al fratello Graziano, militare a Pantelleria, in cui faceva accenni alla
situazione militare italiana in termini ritenuti “disfattisti”. Aveva scritto infatti il 22 dicembre
1942 da Tavazzano: ”la tua classe e’ interamente sotto le armi e senza usare riguardo
all’anzianità,corre voce che li fanno partire per il fronte russo”.
Mussolini chiamò dalla Germania parecchie divisioni tedesche. Il prefetto scriveva al
ministero dell'interno proponendo che Maria Grossi venisse inviata al confino poiché "ha
sempre manifestato idee contrarie al regime e apertamente favorevoli per il disciolto
partito comunista” nelle cui file ,un tempo militò, tenendo anche la contabilità dei circoli e
cooperative comuniste nel comune di Cavenago d'Adda.
Prima di morire Maria Grossi espresse il desiderio di essere cremata.
Dimora nel cimitero di Tavazzano dove e' morta il 26 giugno 1996.
LA GUERRA CHE VERRÀ
Bertolt Brect
Germania 1898- 1956
La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente egualmente.
PARTIGIANE…
DI
CLASSE
ZALIKHA OUDAI
Nata il 7 maggio 1911 ad Hadjout, in Algeria, fu una combattente durante la guerra
d’Algeria contro la Francia.
È morta nel 1957.
AICHA BENT ABOUZIANE
È stata una coraggiosa ragazza di appena quindici anni ed è diventata una leggenda.
Faceva parte del gruppo di donne che si prendono cura dei feriti e si occupava anche
delle armi.
Ha partecipato alla guerra del Rif, nel nord del Marocco.
La guerra è durata dal 1919 al 1926, contro gli spagnoli.
AICHA YAKUBIA
Del nord-est del Marocco, nacque nel 1896.
Faceva l’infermiera e la cuoca per le combattenti. È
stata uccisa da un soldato francese mentre voleva salvare uno di loro, nel 1912.
AUNG SAN SUU KYI
Figlia del generale Aung San (capo della fazione nazionalista del Partito Comunista della
Birmania, di cui fu segretario dal '39 al '41) e di Khin Kyi, la vita di Aung San Suu Kyi è
stata travagliata fino dai primi anni. Suo padre, uno dei principali esponenti politici birmani,
dopo aver negoziato l'indipendenza della nazione dal Regno Unito nel 1947, fu infatti
ucciso da alcuni avversari politici nello stesso anno, lasciando la bambina di appena due
anni, oltre che la moglie, Khin Kyi, e altri due figli.
Dopo la morte del marito, Khin Kyi, la madre di Aung San Suu Kyi, divenne una delle
figure politiche di maggior rilievo in Birmania, tanto da diventare ambasciatrice in India nel
1960. Aung San Suu Kyi fu sempre presente al fianco della madre, la seguiva ovunque ed
ebbe la possibilità di frequentare le migliori scuole indiane e successivamente inglesi,
tanto che nel 1967, presso il St Hugh's College di Oxford, conseguì la laurea in Filosofia,
Scienze Politiche ed Economia. Continuò poi i suoi studi a New York, dove lavorò per le
Nazioni Unite. Si sposò nel 1971. Ritornò in Birmania nel 1988 per accudire la madre
gravemente malata, e proprio in quegli anni il generale Saw Maung prese il potere e
instaurò il regime militare che tuttora comanda in Myanmar. Influenzata dagli
insegnamenti del Mahatma Gandhi e dai concetti buddisti, Aung San Suu Kyi entrò in
politica fondando la Lega Nazionale per la Democrazia, il 27 settembre 1988. Neanche un
anno dopo le furono dati gli arresti domiciliari, con la concessione che se avesse voluto
abbandonare il paese, lo avrebbe potuto fare; Aung San Suu Kyi rifiutò la proposta del
regime.
Nel 1990 il regime militare decise di chiamare il popolo alle elezioni, e il risultato fu una
schiacciante vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi, che
sarebbe quindi diventata Primo Ministro, tuttavia i militari rigettarono il voto e presero il
potere con la forza, annullando il voto popolare. L'anno successivo Aung San Suu Kyi
vinse il premio Nobel per la Pace e usò i soldi del premio per costituire un sistema
sanitario e di istruzione a favore del suo popolo.
Gli arresti domiciliari le furono revocati nel 1995, ma rimaneva comunque in uno stato di
semi libertà , non poté mai lasciare il paese, perché in tal caso le sarebbe stato negato il
ritorno in Myanmar, e anche ai suoi familiari non fu mai permesso di visitarla, malgrado i
numerosi interventi, degli Stati Uniti, del segretario generale delle Nazioni Unite Kofi
Annan o di papa Giovanni Paolo II, neanche quando al marito Michael fu diagnosticato il
cancro.
Nel 2002, a seguito di forti pressioni delle Nazioni Unite, ad Aung San Suu Kyi fu
riconosciuta una maggiore libertà d'azione in Myanmar, ma il 30 maggio 2003, mentre era
a bordo di un convoglio con numerosi sostenitori, un gruppo di militari aprì il fuoco e
massacrò molte persone, e solo grazie alla prontezza di riflessi del suo autista, Ko Kyaw
Soe Lin, riuscì a salvarsi, ma fu di nuovo messa agli arresti domiciliari. Da quel momento
la sua salute andava peggiorando, tanto da richiedere interventi e ricoveri.
Il "caso" Aung San Suu Kyi ha incominciato ad essere un argomento internazionale, tanto
che gli Stati Uniti d'America e l'Unione europea hanno fatto grosse pressioni sul governo
del Myanmar per la sua liberazione, ma gli arresti domiciliari furono rinnovati per un anno
nel 2005 e ulteriormente rinnovati nel 2006 e nel 2007.
L'importanza e lo spessore morale delle sue gesta in favore dei diritti umani hanno
raggiunto una moltitudine di consensi nell'opinione pubblica globale e nei più prestigiosi
ambienti culturali. Nel 2000 le è stata attribuita una laurea honoris causa in filosofia dall'
Università di Bologna, che ha potuto ricevere ufficialmente solo il 30 ottobre 2013.
Il 9 novembre 2007, lasciò l'abitazione dove era confinata agli arresti domiciliari. Per il suo
impegno per i diritti umani, il 6 maggio 2008 il Congresso degli Stati Uniti le ha conferito la
sua massima onorificenza: la Medaglia d'oro del Congresso.
Il 14 maggio la giunta militare ha arrestato, e il 18 successivo ha processato, Aung San
Suu Kyi per violazione degli arresti domiciliari. Il termine dei domiciliari e la liberazione
dell'attivista birmana dall'ultimo arresto sarebbero scaduti il 21 maggio. L'11 giugno Aung
San Suu Kyi è stata nuovamente condannata a tre anni di lavori forzati per violazione della
normativa della sicurezza, che poi sono stati commutati dalla Giunta militare in 18 mesi di
arresti domiciliari.
Il 13 novembre 2010 Aung San Suu Kyi è stata liberata. Il 1 aprile 2012 ha ottenuto un
seggio al parlamento birmano. Nonostante ciò la Birmania non è ancora libera e il passato
dittatoriale grava ancora sulla nazione. Il 16 giugno 2012 ha ritirato il premio Nobel per la
Pace.
In tutto il mondo Aung San Suu Kyi è diventata un'icona della non-violenza e pace.
Generale, il tuo carro armato
Bertolt Brecht
Generale, il tuo carro armato è una macchina potente
Spiana un bosco e sfracella cento uomini.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un carrista.
Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido d’una tempesta e porta più di un elefante.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un meccanico.
Generale, l’uomo fa di tutto.
Può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare.
ROSITA ROSSI
bisnonna diJacopo
Piero Monico partecipò alla prima guerra mondiale, giovanissimo, con la classe
del ‘99.
Non ne parlava molto, certo mai di eroismi o di azioni belliche: ricordava la
trincea, le corvées, la fatica, la fame, il rifiuto della guerra.
Ma nelle ore decisive fu di nuovo in prima linea nell’antifascismo e poi nella
Resistenza.
Anche la sua casa di Venezia era un punto di riferimento per tutti quelli che
dovevano nascondersi o partire per la montagna, grazie a sua moglie, Rosita,
che trasmetteva le notizie, riforniva tutti quelli che ne avevano bisogno,
nascondeva in casa sua i ricercati, come per esempio Giancarlo Matteotti, figlio
di Giacomo, e molti altri. Anche lei fu arrestata dalle SS e portata al comando
Magnati, in una vecchia villa vicino a Cona dove interrogavano e torturavano i
partigiani. Qui, ricorda ancora Aldo Varisco, fu portato davanti a Rosita Monico
e gli fu chiesto se la conoscesse. Lui negò e lei rimase impassibile anche se il
fascista minacciò di ricorrere alla violenza, anzi, quando fu annunciato che il
pranzo era pronto, disse: “La pastasciutta si raffredda!” e smontò la tensione.
Fu poi liberata da quella situazione grazie all’intervento del commissario
prefettizio di Venezia, il comandante Barbini, medaglia d’oro della seconda
guerra mondiale, e al ricorso a una legge tedesca che impediva di separare la
madre da figli minori di un anno: ma dovette rimanere agli arresti domiciliari.
sorvegliata a vista da un piantone tedesco piazzato in pianta stabile in casa
sua: il suo nome era Otto.
Rosita, madre eroica di quattro bambini, per niente intimorita dall'accaduto, ha
continuato per tutto il prosieguo della guerra a lottare per gli ideali di pace e
libertà nei quali credeva.
FRANCESCO E FRANCESCA MONTEVERDI
trisavoli di Emma
A Casalpusterlengo, molte erano le persone che aiutavano i partigiani e si sentivano
anche loro stessi partigiani perché combattevano le idee fasciste e i tedeschi.
La mia trisavola Francesca, nata a Casale il 4 marzo1904 e morta nel 1985 e suo marito
Francesco Monteverdi abitavano a Casale. Là avevano una cantina dove producevano il
vino.
La mia trisavola raccontava che spesso, durante la guerra, i tedeschi andavano in cantina
e volevano bere. Spesso si ubriacavano.
Francesco nascondeva sua moglie e i suoi amici partigiani nei sotterranei della cantina e
così mentre sopra i tedeschi festeggiavano , sotto i partigiani si riparavano.
Francesco un giorno aveva caricato ragazzi , destinati alla fucilazione dai tedeschi , su un
suo camioncino e li aveva nascosti in mezzo alle casse del vino. Li aveva portati al di là
del cavalcavia che porta a Codogno dicendo loro di scappare nei campi.
ANNA MONTEVERDI
bisnonna di Emma
La mia bisnonna si chiamava Romilde, ma tutti la chiamava Anna . Era nata a Casale il 27
maggio nel 1927 ed è morta il 30 ottobre 2007.
Durante la guerra faceva la staffetta: andava a Somaglia perché doveva portare cibo e
lettere ai partigiani. Per non farsi scoprire , faceva tutto il percorso di notte lungo i fossi e
raccontava di avere avuto sempre una grande paura , del buio e dei soldati. Se questi
l’avessero scoperta, l’avrebbero uccisa.
I suoi genitori Francesca e Francesco, sapevano di questa sua attività e l’avevano loro
stessi incoraggiata perché trovavano giusto che i partigiani venissero aiutati.
PERCHÉ MEMORIA DI RESISTENZA
Donne e uomini hanno dato la loro vita o hanno messo in pericolo se stessi e le persone
alle quali volevano bene perché noi, oggi, potessimo godere della libertà e vivere in pace.
Ancora oggi ricordiamo questa manifestazione perché le partigiane combatterono,
rischiando la vita, per la democrazia, la liberazione della nostra patria italiana e per
l’indipendenza.
NASCERANNO UOMINI MIGLIORI
NAZIM HIKMET
Turchia, 1902-1963
Nasceranno da noi
uomini migliori.
La generazione
che dovrà venire
sarà migliore
di chi è nato
dalla terra,
dal ferro e dal fuoco.
Senza paura
e senza troppo riflettere
i nostri nipoti
si daranno la mano
e rimirando
le stelle del cielo
diranno:
«Com'è bella la vita!»
Intoneranno
una canzone nuovissima,
profonda come gli occhi dell'uomo
fresca come un grappolo d'uva,
una canzone libera e gioiosa.
Nessun albero
ha mai dato
frutti più belli.
E nemmeno
la più bella
delle notti di primavera
ha mai conosciuto
questi suoni
questi colori.
Nasceranno da noi
uomini migliori.
La generazione
che dovrà venire
sarà migliore
di chi è nato
dalla terra,dal ferro e dal fuoco.
LE PIANTE
A ciascuna delle donne di cui abbiamo raccontato in questa ricerca, abbiamo abbinato
delle piante che, per le loro caratteristiche le rappresentino e che, nella giornata del 25
aprile prossimo, andremo a piantare nel giardino di viale della Resistenza, a Codogno ,
dove si trova il monumento alla Resistenza.
Nel pensare a quali pianta scegliere, abbiamo tenuto conto di alcuni fattori:
 il giardino è già occupato da alberi a foglie caduche e che, pertanto, dalla tarda
primavera, danno molta ombra
 le piante devono essere adatte al clima della nostra zona
 le piante devono essere di facile manutenzione
Nel tenere conto di tutto questo, abbiamo trovato:
edera
rosa
nandina
camelia
azalea
,
calla
ortensia
Ilex
lauro nobilis
aucuba
CARATTERISTICHE E SIMBOLOGIA
EDERA: sempreverde resistente, cresce vigorosa e rigogliosa. Cresce anche nei
sottoboschi ombrosi. Può essere sia strisciante che abbarbicata.
ROSA: simbolo della realtà in divenire, indica il perpetuarsi della vita. È sempre stato
simbolo di completezza ed è il fiore che è sempre stato abbinato alle divinità femminili. A
seconda del suo colore, spazia dal bianco al rosso, dall’amore incondizionato e sublime,
all’amore terreno e appassionato.
NANDINA: è chiamata anche Bambù del Paradiso, è una pianta robusta, sempreverde. Le
foglie, durante i mesi invernali, assumono un colore rosso-aranciato. In genere produce
piccoli fiori bianchi, riuniti in grappoli, seguiti da bacche rosse che rimangono anche
durante i mesi invernali. È simbolo di portafortuna.
CAMELIA: è il simbolo della devozione eterna tra innamorati, della devozione reciproca. Il
fiore ha assunto una notevole importanza nelle arti.
AZALEA: arbusto sempreverde, simbolo della femminilità e della temperanza, simboleggia
anche la fortuna.
CALLA: simboleggia la purezza, ma indica anche una nuova vita.
ORTENSIA: è spesso utilizzata per abbellire i giardini. È una pianta che ama l’ombra,
resistente e di innumerevoli, magnifici colori.
ILEX o agrifoglio: è una arbusto resistente, con foglie scure, anche striate, ha bacche
rosse. È simbolo di buon augurio.
LAURO NOBILIS: è una pianta aromatica diffusa nelle zone di clima mediterraneo È un
sempreverde, perenne. Nella mitologia greco-romana l'alloro era una pianta sacra e
simboleggiava la sapienza e la gloria: una corona di alloro cingeva la fronte dei vincitori
nei Giochi pitici o Delfici e costituiva il massimo onore per un poeta che diveniva un poeta
laureato. Da qui l'accezione figurativa di simbolo della vittoria, della fama, del trionfo e
dell'onore, era sacra al dio Apollo.
AUCUBA: è un piccolo arbusto sempreverde che,negli esemplari adulti,può raggiungere
anche i due metri d’altezza. Le foglie sono grandi e di colore verde brillante. I fiori sono
disposti a pannocchia e sono marroni. I frutti sono delle bacche rosse e vengono prodotte
solo dagli esemplari femmina. Vegeta e predilige posizioni semi ombreggiate. Resiste
bene anche a temperature rigide. I fiori maschili e i fiori femminili si trovano su piante
diverse. Le si attribuiscono proprietà curative.
In questo giardino, dedicato ai caduti della Resistenza
antifascista di Codogno, nella ricorrenza del 70°
anniversario della Liberazione d' Italia, il 25 aprile
2015, saranno poste le piante, a ricordo delle donne
partigiane.
I RINGRAZIAMENTI
Un grazie di cuore va a Vivianna Ströher, presidente dell’Anpi di Codogno e a suo marito
Carlo Barani.
A Emerenziana, figlia di Dina Clavena, Franco, figlio di Carmen Pezzoni, ad Elisa, figlia di
Serafina Rognoni, a Guido, nipote di Giuditta Mori.
Ai genitori della classe che si sono appassionati a questo lavoro assieme alle loro figlie e
ai loro figli.
Alle colleghe Eleonora ed Enza.
BIBLIOGRAFIA
-
Materiale dell’ANPI di Codogno
Materiale fornito dal/le figlio/e delle partigiane
Maria Grossi, vita di una donna comunista- Altrastoria, 1998
Wikipedia
Bertolt Brecht, Poesie e canzoni, Einaudi ed. 1979
Premio Nazionale di Poesia, Fanfulla da Lodi, Associazione Culturale Lodigiana,
2002
Al libro è allegato un video che riporta le interviste alle discendenti e ai discendenti ,
delle partigiane di Codogno e della classe.
Indirizzo link:
https://www.youtube.com/watch?v=RrzN9Y3ZnjY
Codogno, 8 marzo 2015