due cuori e una capanna

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due cuori e una capanna
1° INCONTRO
DUE CUORI E UNA CAPANNA...
DAL LIBRO DELLA GENESI 1,26-27; 2,22-24
E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci
del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili
che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo,
una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta essa è carne dalla
mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta”. Per
questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno
una sola carne.
Sappiamo bene che il libro della Genesi non è un libro di storia nel significato moderno
della parola: in principio non c’era nessuno a vedere per raccontare quello che è accaduto;
e nemmeno un libro di scienze naturali. E’ una professione di fede in Dio creatore del
mondo, dell’uomo e della donna. Egli è l’origine (è questo il significato di Genesi) della
creazione, l’origine de bene e dell’uomo e della donna!
Un aspetto è importante sottolineare. Tra Dio e l’uomo non esiste più un abisso incolmabile,
perché l’uomo è creato a immagine di Dio. L’uomo è capace di conoscere e di amare; sa
che Dio gli parla ed è in grado di rispondere. Qui sta la vera dignità dell’uomo e della
donna, tanto che S. Ignazio disse: ‚L’uomo vivente è la gloria di Dio!‛.
Se leggiamo attentamente il testo, vediamo che l’immagine di Dio è data dall’uomo e dalla
donna, insieme! Il culmine dell’azione creatrice di Dio si ha proprio differenziando l’essere
umano in maschio e femmina. L’essere umano è un essere di relazione nella
differenziazione e nella reciprocità di uomo e donna. La vita è tale solo quando è
relazione, quando si può condividerla e trasmetterla. Questo poi significa che accettare la
realtà della dualità sessuale diventa un cammino obbligato per scoprire che la vita è
incontro con l’altro, che è apertura.
L’uomo e la donna esperimentano che sono differenti e tuttavia sono chiamati ad unità
nell’immagine di Dio. L’immagine di Dio è un’immagine dai due volti: l’uomo e la donna
insieme rappresentano la vera immagine di Dio! In tutta la Bibbia, infatti, il segno per
eccellenza dell’alleanza dell’uomo con Dio è dato dal legame tra maschio e femmina. Ecco
perché il matrimonio è il segno più grande dell’amore che Dio ha per ciascuno di noi.
Questo essere maschio e femmina, questo essere sessuati è una chiamata, una vocazione,
un appello personale, un’esigenza di completamento: uomo e donna hanno bisogno uno
dell’altro. E’ la loro carne che lo richiede: la differenza infatti inserita nel loro corpo chiede
relazione, incontro e unione. Nessuna persona presa isolatamente può rappresentare tutto
l’uomo. La maturità si acquista nella progressiva rinuncia a un mondo uniforme e senza
differenze. Un cammino non facile, proprio in una società come la nostra che cerca di
omologare tutto e tutti!
In definitiva il racconto della Genesi vuol dirci che siamo stati chiamati alla reciprocità, al
dono di sé verso l’altro. La vera e piena realizzazione si trova solo nell’essere l’uno con
l’altro e l’uno per l’altro dei due. La sessualità non è uno spiacevole incidente o un gioco
per divertirsi, ma il compimento dell’azione creatrice di Dio. Non è fine a se stessa ma
rimanda al completamento dell’umanità e in definitiva a Dio stesso! Così anche il sesso non
è l’uso dell’altro per ottenere soddisfazione o per chiudersi egoisticamente in se stesso, ma
sarà attesa, accoglienza dell’altro per raggiungere una comunione piena, nell’amore e nel
rispetto reciproco.
Il dialogo dell’amore è il dialogo più difficile, però è anche quello che porta ad essere il
segno più evidente e più bello dell’amore di Dio per noi.
Per la riflessione e la discussione
 Arrivare ad una maturazione umana ed affettiva non è facile! Freud e tutti i grandi
psicologi continuano a dirci che sulla sessualità noi giochiamo tutta la nostra
personalità. Abbiamo visto che la Bibbia lo ha sempre ricordato fin dall’inizio. E se
la Chiesa e la catechesi oggi insistono su questo aspetto, è perché hanno capito che
proprio con la sessualità si decide la nostra capacità di relazione con gli altri.
 Gli uomini sono liberi di riconoscere la sessualità come gioco o come progetto. Il
gioco è fine a se stesso e si conclude con l’appagamento di qualche desiderio. Il
progetto invece mette al centro la persona, i suoi bisogni e desideri e si rigenera
costantemente nella scoperta e nell’accoglienza dell’altro.
 La sessualità non è il fine dell’amore, ma un mezzo per giungere ad un amore vero,
al dono totale di sé. E’ un cammino che anche tu devi fare, innanzitutto imparando
ad armonizzare i tratti maschili e femminili della tua personalità, per definire il tuo
modo di essere nel mondo, per poi integrare armoniosamente il bisogno e la
pulsione sessuale. La capacità di assumere la sessualità, di viverla come dimensione
della persona e di orientarla progressivamente al dono di sé, si chiama castità. Non
è paura o inibizione della sessualità!, ma è il frutto di una profonda maturazione
umana, sostenuta dalla preghiera e dalla forza dello Spirito e alimentata da un
continuo allenamento a fare della vita un dono di sé all’altro.
2° INCONTRO
LA CASA SI RIEMPIE DI VITA
DAL VANGELO SECONDO LUCA 2,1-20
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la
terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio.
Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della
casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla
città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che
era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.
Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia,
perché non c’era posto per loro nell’albergo. C’erano in quella regione alcuni pastori che
vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò
davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande
spavento, ma l’angelo disse loro: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che
sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo
Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una
mangiatoia”. E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava
Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”.
Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro:
“Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto
conoscere”. Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino,
che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato
detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da
parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne
tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era
stato detto loro.
L’esempio vivo di Maria, la donna del ‚SI‛, ci è di aiuto e di stimolo. La sua disponibilità è
piena, nonostante esistano oscurità e umane difficoltà sul modo con cui Dio realizzerà il suo
progetto. Con la sua disponibilità ha potuto accogliere e donare al mondo Gesù, speranza
viva di ogni uomo. Non è sempre facile essere accoglienti; anche noi talvolta preferiamo
chiudere la porta e le finestre e rinchiuderci nel nostro guscio, nella nostra tana! E’ successa
la stessa cosa ai contemporanei di Gesù. Non si sono accorti della sua venuta, perché presi
tutti dal doversi registrare a causa del censimento o in attesa al massimo di una nuova
riorganizzazione e ristrutturazione dello stato; sviati dal tran tran quotidiano o delusi per la
perdita della libertà. Gesù nasce durante il viaggio, senza una casa in cui trovare riparo.
Solo alcuni pastori, i poveri del luogo, sono informati dell’avvenimento e corrono per
vedere cosa è successo! Il contrasto con quello che capita in cielo invece, è netto: gioia e
canto degli angeli. Vogliamo anche noi trasformare la nostra fredda e insensibile terra nella
festa e gioia del cielo? Non è necessario prender una navetta spaziale o credere negli Ufo.
E’ sufficiente che trasformiamo l’amore che il Signore ci ha donato nella creazione,
quell’amore che è stampato dentro di noi in accoglienza verso gli altri. L’evangelista Luca ci
dice che per far questo non occorre essere sapienti, colti, ricchi, o abitare in grandi palazzi
(anzi!, Erode non si era nemmeno accorto della nascita di Gesù); è necessario far
esplodere l’amore che c’è dentro di noi e farlo diventare amore accogliente.
Al centro del messaggio del racconto della nascita di Gesù, si trova la proclamazione
messianica: ‚E’ nato il Salvatore, che è Cristo Signore‛. Ecco la meraviglia e la novità: Dio
si è fatto uno di noi, inviandoci il suo Figlio. Possiamo dire che si compie il grande evento
della creazione. Nell’inviarci il suo Figlio, infatti, Dio ha fatto un patto ancora più grande
con l’umanità, facendoci toccare con mano la sua benevolenza e il suo amore.
Ma questo fatto, come abbiamo visto, passa inosservato. Nessuno se ne accorge. Perché?
Anche l’evangelista Giovanni, nel Prologo ci dice: ‚Venne fra la sua gente, ma i suoi non
l’hanno accolto” (1,11). Solo alcuni poveri pastori riescono a percepire le voci di festa nel
cielo e si mettono in cammino. Erano poveri, trattati male da tutti e non avevano ricchezze
da nascondere. Ma erano liberi e soprattutto vigilanti; le due caratteristiche indispensabili
per mettersi in cammino! Solo chi è vuoto di se stesso e delle proprie ricchezze, può
riempirsi dell’amore di Dio. Perché è l’amore di Dio la forza che ci apre all’accoglienza
dell’altro, al dono della vita. Molti abbiamo sperimentato la venuta di una nuova vita in
famiglia. Una gioia grandissima, anche se porta disagi e cambiamenti. Genitori, fratelli,
amici, zii… tutti sono chiamati a modificare qualche comportamento, a prestare attenzione
alla nuova vita che è venuta. E la forza unificante è l’amore! Solo l’amore riesce a farci
superare le fatiche e le difficoltà. Erode non voleva un pretendente al trono e ha visto in
Gesù un possibile usurpatore e un rivale. Solo l’amore riesce a farci vincere le paure e ad
accogliere l’altro, ogni altro, anche lo sconosciuto o l’immigrato che viene nella nostra città
o bussa alla porta della nostre case per chiedere non assistenza, ma un lavoro dignitoso,
un appartamento da affittare e perché no, anche una fede da donare!
Per la riflessione e la discussione
 Se il senso vero della sessualità è dato dall’incontro, dalla relazione con gli altri,
dall’amore che diventa dono totale di sé, è altrettanto vero che la relazione deve
essere feconda, aperta al dono della vita. Giovanni Paolo II diceva che il matrimonio
apre i coniugi ad una perenne comunione d’amore e di vita e si completa
pienamente con la generazione dei figli. L’amore sponsale infatti è pieno quando si
fa dono di vita. La paternità e la maternità sono strumenti per dare espressione e
continuità nel tempo alla stessa paternità di Dio creatore. E’ necessario allora
riconoscere ed accogliere la vita!
 Per arrivare a maturare una tale disponibilità e accoglienza, è necessario fin d’ora
che diventiate giovani accoglienti, aperti alla vita e ad ogni anelito di vita vera
presente negli altri. E questo sia a livello personale che di gruppo. Pensate per
esempio all’accoglienza che dobbiamo avere verso i molti immigrati che hanno
raggiunto le nostre città e i nostri paesi. Un’accoglienza che non si deve fermare solo
alle prime necessità materiali, ma la nostra solidarietà nei loro confronti deve
svilupparsi nella valorizzazione delle loro ricchezze delle novità che essi portano,
mettendoli nelle condizioni di esprimersi fino in fondo, sentendosi pienamente accolti
e integrati, anche nel nostro gruppo.
3° INCONTRO
NESSUNA FAMIGLIA E’ UN’ISOLA
DAL LIBRO DEL PROFETA ISAIA 25, 6-12
Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse
vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati.
Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che
copriva tutte le genti. Eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime Su
ogni volto; la condizione disonorevole del suo popolo farà scomparire da tutto il paese,
poiché il Signore ha parlato.
E si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse;
questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza.
Poiché la mano del Signore si poserà su questo monte”. Moab invece sarà calpestato al
suolo, come si pesta la paglia nella concimaia. Là esso stenderà le mani, come le distende
il nuotatore per nuotare; ma il Signore abbasserà la sua superbia, nonostante l’annaspare
delle sue mani. L’eccelsa fortezza delle tue mura egli abbatterà e demolirà, la raderà al
suolo.
L’immagine della tavola imbandita e le porte spalancate della casa per accogliere tutti alla
mensa è molto bella e suggestiva. E’ meraviglioso osservare come Dio si serva dei mezzi
più semplici e naturali per rivelare agli uomini i misteri più profondi. Molte volte erano stati
offerti dei sacrifici e olocausti sulla cima del monte Sion, tra lamenti, suppliche,
acclamazioni e azioni di grazie! Illuminato da questa esperienza il profeta ci presenta il
sacrificio-banchetto che sarà celebrato nei nuovi tempi messianici, sognando così un grande
raduno di tutti i popoli, un grande incontro che riunirà tutte le genti attorno all’unico
Signore! Questa promessa profetica di Isaia ha sostenuto il popolo di Israele, nel suo
pellegrinare, nei momenti più difficili e dolorosi della sua storia.
Dio stesso, il Signore dell’universo, colui che lo ha creato con amore, preparerà un grande
banchetto, al quale sono invitati tutti i popoli della terra. Banchetto di fratellanza universale.
Non sarà più l’oppressione e l’arroganza a mettere insieme le genti e le nazioni, ma la
pace e la libertà. Infatti, proprio durante questo grandioso banchetto di cibi prelibati e vini
generosi, JHWH stesso farà scomparire dal mondo le lacrime, il lutto e la tristezza
togliendo dagli occhi degli uomini il velo che impedisce di vedere la realtà divine. Solo così
l’umanità potrà riconoscere l’unico Signore, salvatore di tutti. Perfino il dolore e la morte
saranno vinti! Questa grandiosa speranza non poggia però sull’uomo e sulle sue forze, ma
unicamente su Dio. E’ la solidità della sua Parola, la certezza che Lui è fedele, che ci
autorizza a sperare.
Il banchetto sacro, lungo tutta la storia del popolo Ebreo e anche di altre tradizioni
religiose, è segno dell’amicizia con Dio e della sua protezione particolare. Ma è anche un
invito a ricevere forze ed energie per portare a tutti il messaggio di speranza e di
liberazione che Dio offre all’umanità. Nel banchetto della parabola che Gesù racconta nel
vangelo (cfr. Matteo 22,1-14), molti invitati rifiutano l’invito, che sarà poi esteso a molti altri
disposti a partecipare. Anche noi, come i servi della parabola, siamo mandati a portare
nelle periferie del mondo l’invito a tutti a partecipare al banchetto del Signore. Abbiamo
davanti a noi una missione meravigliosa: portare all’uomo contemporaneo l’invito del
Signore a partecipare alla gioia della sua casa! Quanti poveri del mondo non hanno mai
sentito questo invito!
C’è un rischio, come è capitato all’invitato che non aveva la veste bianca: occorre essere in
ordine, convertiti, vigilanti, disposti ad andare. Non si può fare festa da soli, chiudersi in se
stessi. Il banchetto è per tutti i popoli, e tutti devono sentire questo annuncio.
Dio oggi si serve di noi, del nostro gruppo, della nostra comunità cristiana per far sentire la
sua parola e il suo messaggio di salvezza. Anche accanto a noi ci sono molte persone,
giovani, famiglie in crisi, che hanno perso il gusto della vita, che non sono capaci di
sopportare il peso della sofferenza. Dio ha bisogno di noi, per offrire a chi è nel bisogno un
porto sicuro, un’ancora di salvezza. Il porto, l’ancora è Lui; a noi il compito di aiutare gli
altri, le persone e le famiglie in crisi a scoprirli e a riconoscerli.
Per la riflessione e discussione
 I vescovi italiani invitano voi giovani a ‚superare i confini abituali dell’azione
pastorale, per esplorare i luoghi, anche i più impensati, dove i giovani vivono, si
ritrovano, danno espressione alla propria originalità, dicono le loro attese e
formulano i loro sogni‛ (CEI, Educare i giovani alla fede, 1). Con altre parole vi
invitano a non aver paura, a fare delle scelte coraggiose e ad andare a portare la
parola di salvezza ai vostri coetanei che non frequentano più la vita ecclesiale. La
salvezza, come ci ricordava il profeta Isaia, è per tutti, nessuno è escluso.
 La drammatica situazione internazionale, con una molteplicità di conflitti e di
ingiustizie, provoca in voi una reazione molto forte: è necessario lavorare e
impegnarci per la pace nel mondo. ‚La precarietà della situazione è resa ancor più
drammatica dallo scontro di interessi esistente tra i membri della comunità
internazionale. Finché coloro che occupano posizioni di responsabilità non
accettano di porre coraggiosamente in questione il loro modo di gestire il potere e di
procurare il benessere dei loro popoli, sarà difficile immaginare che si possa
progredire verso la pace‛ (Giovanni Paolo II, Messaggio per la giornata mondiale
della pace, 2003).
 La situazione di povertà, sfruttamento e ingiustizia sociale raggiunge oggi molti
uomini, donne e bambini del mondo. Non possiamo restare a guardare, magari
dietro la TV che ci fa vedere queste terribili situazioni rendendoci però insensibili e
lontani dai veri problemi dell’umanità. La liberazione dell’uomo è parte integrante
della nostra vocazione di cristiani. Cosa fare? La solidarietà non è un sentimento di
vaga compassione, ma è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per
il bene comune.
 Impariamo a celebrare e vivere il sacramento dell’Eucarestia. Gesù si è fatto dono
per gli altri. Impariamo anche noi a farci dono per i fratelli.
4° INCONTRO
UNA STRADA SEMPRE IN SALITA
DAL VANGELO SECONDO MATTEO 4, 1-11
Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. E dopo aver
digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. Il tentatore allora gli si accostò e gli
disse: “Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane”. Ma egli rispose: “Sta scritto:
Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Allora il
diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse:
“Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo
riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un
sasso il tuo piede”. Gesù gli rispose: “Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo”. Di
nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del
mondo con la loro gloria e gli disse: “Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi
adorerai”. Ma Gesù gli rispose: “Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a
lui solo rendi culto”. Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo
servivano.
Crisi e difficoltà non mancano mai. Gesù stesso durante tutta sua vita è stato tentato dal
diavolo ad abbandonare il progetto di Dio suo Padre per realizzare un progetto umano ben
più accattivante e con risultati immediati. Anzi possiamo ben dire che sia le tentazioni nel
deserto, all’inizio della suo ministero pubblico, sia la tentazione sulla croce, alla fine della
sua vita (Matteo 27,40), hanno una radice comune: il modo paradossale e strano con cui il
regno di Dio si fa presente nella storia. Le forze di Dio sono in azione con la venuta di
Gesù, ma in modo nascosto e poco appariscente. Quante volte gli avversari hanno punto
Gesù proprio su questo punto: ‚ma il Regno di Dio, la salvezza che predichi, è tutta qui?
Non ci sono segni o eventi prodigiosi che ce lo manifestano? Gli abitanti del nuovo Regno
sono solo un sparuto gruppo di pescatori e qualche peccatore, gente moralmente dubbia e
poco affidabile?‛. Diciamolo che anche noi, tutto sommato, ci chiediamo perché Dio non
abbia manifestato il suo Regno con potenza e splendore, secondo le attese del giudaismo
scacciando l’invasore nemico ed eliminando dalla terra la sofferenza e la morte.
Queste sono state le prove, le tentazioni radicali che Gesù ha sentito dentro di sé e sono
anche le domande e le prove che spesso sentiamo anche noi. O l’adesione si fa più
profonda, oppure la fede viene meno e scompare, dentro un progetto e una realizzazione
solamente umani.
Il racconto che Matteo ci offre delle tentazioni nel deserto, mette Gesù proprio di fronte alla
possibilità di realizzare in modi completamente diversi la missione ricevuta dal Padre. Egli
deve scegliere tra un messianismo fatto di autoaffermazione, di potere e di successo, e una
missione vissuta secondo la volontà e la Parola di Dio. Dio infatti manifesta e realizza la
salvezza attraverso una via del tutto nuova e impensata: la fedeltà che porta Gesù a farsi
servo di tutti e a dare la vita per tutta l’umanità. La via di Dio o le scorciatoie suggerite
dagli uomini? E la scelta che Gesù ha fatto è difficile da capire e da accettare; ci fa paura
perché porta a servire l’uomo fino alla morte!
Gesù è tentato di realizzare un messianismo terrestre, nazionalista, come era concepito
dagli zeloti. All’inizio del suo ministero e della sua predicazione, Gesù è stato tentato
proprio sul modo di realizzare il progetto: come portare la salvezza all’uomo, come
annunciare il Regno?. L’uomo vuole dominare la materia, possedere e regolare i beni di
consumo. Il messia non potrà avere questo potere? La voce che invita Gesù a prendere
come cibo una pietra del deserto, è quella dell’istinto e della carne dell’uomo che così vuole
soffocare la vita stessa di Dio. Nel vincerla, Gesù ci dice che solo Dio può salvare l’uomo! E
così, di fronte alle altre tentazioni, Gesù resta fedele alla sua missione, non abbandonando
la realtà per l’immagine, il Regno dei cieli per i regni della terra! La sua opera di salvezza
non è fantasmagorica o irreale – diciamo meglio oggi virtuale – ma è vera, reale e passa
attraverso il dono di sé, attraverso la realizzazione della sua umanità. L’amore per essere
tale deve portare al dono di sé, all’offerta, alla condivisione, alla morte per amore! Le
tentazioni spingono Gesù non solo verso un falso messianismo, ma anche verso
l’autonomia, l’indipendenza. Sono un tentativo di sostituirsi a Dio o di strumentalizzare Dio
per se stessi.
Per la riflessione e la discussione
 Anche voi giovani vivete costantemente nella prova (del quotidiano, della fine, della
sequela). Ve lo ha ricordato anche il Santo Padre nel suo messaggio. In questa fase
è necessaria la consapevolezza della prova e della tentazione, e soprattutto è
necessario un grande atteggiamento di umiltà, che vi aiuta a riconoscere la
debolezza e il peccato. L’umiltà poi consente di mettere in atto quella vigilanza,
necessaria per non cadere alle tentazioni e per sottrarvi alla disperazione, dopo una
caduta, ristabilendo una vera relazione con Dio Padre.
 Se in Gesù Dio sceglie la strada della povertà, della debolezza e della prova, questo
significa che se vi siete trovati o vi trovate a vivere in situazioni di fragilità e di
peccato, Dio vi chiede di andare avanti, di guardare oltre, di fidarsi di Lui. Non
bisogna soccombere sotto la prova, ma ci si deve fidare di Lui, che vi strappa dalle
difficoltà e vi assicura la serenità. Un Dio che non lascia soli, ma che cammina
davanti a voi!
 Sarà utile che in gruppo vi confrontiate anche sul significato del perdono che il
Signore vi offre, attraverso il sacramento della Riconciliazione. E’ possibile parlare
di perdono solo c’è incontro di persone. E’ un atto di reciproca fiducia. Nella
celebrazione individuale del sacramento è necessario fare esperienza:
- del perdono di Dio Padre, che ci accoglie e ristabilisce la santità originaria;
- dell’accettazione di noi stessi, anche con gli aspetti più intimi e nascosti;
- dell’accettazione dell’altro come dono ricevuto;
- del rispetto delle cose, che non sono solo oggetti da utilizzare ma che
manifestano la presenza di Dio.
5° INCONTRO
L’AMORE E’ PER SEMPRE
DALLA LETTERA AI ROMANI 8,31-39
Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha
risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa
insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù,
che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Chi ci
separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la
fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a
morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello.
Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono
infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né
potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore
di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.
La certezza della fede e della speranza sfocia in un grido di giubilo: ‚Dio è per noi!‛.
Paolo sembra aver dimenticato il ricordo dei dolori del tempo presente, per dare un
fondamento alla sua convinzione: se Dio è per noi, se Dio ci ha amato così tanto da dare il
suo Figlio unigenito, non potrà mai abbandonarci, non potrà lasciarci soli. L’amore così
espresso, non solo è per sempre, ma è anche eterno, perché ha come fondamento primo ed
ultimo l’amore stesso di Dio. Realtà che in mezzo alle tante difficoltà della vita non è sempre
facile da credere. Infatti durante i momenti della prova, del freddo inverno tutto vacilla. E se
tutto fosse illusione o suggestione? È sotto il peso della prova che, spesso, si cade!
Eppure in quel mare freddo e oscuro ci viene lanciato un legno, il legno dell’Amore che
sorregge la nostra vita, riscalda ancora il nostro cuore e non ci lascia soccombere,
diventando ancora di salvezza. Lo è stato per l’apostolo Paolo che lo ha sperimentato sulla
via di Damasco; lo abbiamo sperimentato anche noi, in qualche momento della nostra vita,
perché è ciò che regge il mondo, l’inizio e la fine di tutte le cose: l’amore di Dio e la
risposta del Figlio suo.
A fondamento, infatti, della fedeltà di Dio nei nostri confronti, Paolo ripropone l’opera di
giustificazione che lascia indietro ogni condanna di peccato. Gesù Cristo è il grido di
salvezza, colui che per noi è morto, risorto, è elevato al cielo alla destra di Dio, intercede
per noi. Gesù non è il passato, ma è per noi il presente e il futuro. Il riconoscimento poi
dell’opera salvifica del Cristo, suggello della fedeltà, sfocia in un inno che esprime la
certezza della salvezza presente e futura. E’ un atto di riconoscimento all’amore che Dio ci
ha mostrato nel suo Figlio e dal quale, come sa bene l’apostolo, è arrivata la salvezza al
mondo. Rimanendo ben saldamente ancorati al suo amore, la nostra esistenza risulta più
che vittoriosa proprio perché tutti gli ostacoli vengono superati e le forze negative vengono
vinte nell’armonia tra la nostra vita di fede e l’amore di Dio.
Se poi siamo fedeli a questa unità con Dio, anche la nostra libertà sarà prima di tutto una
libertà dalla schiavitù del peccato per giungere ad essere Figli suoi. San Paolo ci vuol
ricordare che qualsiasi cosa ci possa capitare, non dobbiamo temere, perché Lui sarà
sempre vicino, essendo nelle sue mani. ‘Chi ci separerà dall’amore di Cristo?’ … non sono
solo parole, ma una dolce certezza interiore che ci dà forza e serenità. Ci sentiamo forti
non perché nel mondo non ci saranno più persecuzioni, angosce e pericoli, ma perché
durante questo tempo, Lui vivrà con noi, ci prenderà in braccio e ci aiuterà a superare
questi momenti. Anzi, proprio la certezza che Dio è amore che si dona per sempre, fa si
che anche noi possiamo diventare amore, proprio a partire dalla prova, dalla sconfitta.
‚L’amore divino ha attraversato l’infinità dello spazio e del tempo per andare da Dio a noi.
Ma come può rifare il tragitto in senso inverso, quando il punto di partenza è dato da una
creatura finita? Ciò avviene perché l’amore di Dio è seminato in noi e, crescendo diventa
un albero. L’albero più bello di tutti. Nessuna foresta ne ha uno così bello‛. (Simon Weil).
Per la riflessione e la discussione
 E’ facile parlare di fedeltà quando le cose vanno bene, quando in famiglia regna
l’amore e la comprensione o quando non si trovano ostacoli lungo il cammino. Ma
nei momenti difficili, nelle crisi quotidiane, nella prova e nella tentazione, come
essere fedeli?
 Il crocifisso risorto è il segno più eloquente della fedeltà di Dio nei nostri confronti e
della fedeltà di Gesù fino al compimento della sua missione. L’evento glorioso della
resurrezione non toglie niente alla crudeltà e alla verità della croce. L’azione potente
di Dio si esercita su colui che prima è stato crocifisso. Questo a dire che il cammino
della fedeltà passa sempre attraverso la sofferenza e la croce.
 Per capire le possibilità di vita che ci sono anche dentro le ombre di morte occorre
comunque che vi collochiate in una dimensione nuova che considera la realtà
nell’ottica dell’amore, della disponibilità accogliente di fronte all’esistenza, della
fedeltà ad ogni costo al progetto di Dio.
 La scelta della fedeltà alla propria vocazione e al progetto di Dio è di tutti: della
famiglia e anche di chi rinuncia al matrimonio per dedicarsi totalmente a Dio e ai
fratelli. Vi invitiamo a riflettere su uno degli aspetti difficili oggi da comprendere: la
verginità per il Regno. La scelta della verginità non è da ritenere, come spesso fanno
oggi molti vostri coetanei, come una sorta di mutilazione, d’incompletezza.
Rinunciare ai rapporti sessuali, al matrimonio, ai figli è un sacrificio; ma quando è
fatto per amore rappresenta un modo diverso, e non meno maturo, di
armonizzazione della vita della persona. La verginità non è povertà di relazione. Al
contrario, tale decisione dovrebbe portare ad una maggiore apertura, ad un incontro
limpido e trasparente con gli altri, E’ una scelta di amore, che rinuncia ad una
persona fisica per amare il mondo intero.
6° INCONTRO
DUE CUORI E... IL MONDO INTERO
DAL VANGELO SECONDO MATTEO 10,1-25
Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di
guarire ogni sorta di malattie e d’infermità. I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone,
chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello,
Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo,
Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, che poi lo tradì. Questi dodici Gesù li inviò dopo
averli così istruiti: “Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani;
rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. E strada facendo, predicate
che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi,
cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro,
né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche,
né sandali, né bastone, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento. In qualunque città o
villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla
vostra partenza. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la
vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. Se
qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa
o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico, nel giorno del
giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città.
Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e
semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro
tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e
ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. E quando vi
consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire,
perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a
parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello darà a morte il fratello e
il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati
da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato. Quando vi
perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra; in verità vi dico: non avrete finito di
percorrere le città di Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo. Un discepolo non è da più
del maestro, né un servo da più del suo padrone; è sufficiente per il discepolo essere come
il suo maestro e per il servo come il suo padrone.
Dopo essere stati chiamati e dopo aver fatto esperienza di vita con il Maestro, i discepoli
vengono inviati. Con loro siamo inviati anche noi. Siamo creati per essere mandati, per
andare. La nostra casa, in definitiva, è il mondo intero. Ma come andare, come
annunciare?
Ci confrontiamo con il testo che ci presenta l’invio in missione dei discepoli. Un particolarità
è doveroso richiamare. A differenza degli altri evangelisti, in Matteo, non sono solo i
discepoli a partire, ma è Gesù stesso che parte per la missione. Infatti dopo il capitolo 10, il
nel primo versetto del cap. 11 leggiamo: ‚Quando Gesù ebbe terminato di dare queste
istruzioni ai suoi discepoli, partì di là per insegnare e predicare nelle loro città‛. I discepoli
non hanno un loro messaggio da portare, né delle loro strategie e teorie di annuncio, ma
devono annunciare quello che ha insegnato Gesù, devono portare il suo messaggio di
salvezza. Devono fare come Gesù e lasciarsi accompagnare anche dai segni che hanno
accompagnato la sua predicazione segni di quella novità di vita che il vangelo porta con
sè. E’ una predicazione rivolta a tutti indistintamente. Il termine Israele in Matteo non indica
solo il popolo Ebreo della promessa dell’Antico Testamento, ma con una visione più della
storia, con una visione escatologica, designa il nuovo popolo che attorno a Gesù trova
fisionomia e identità. E’ infatti in rapporto a Gesù che si determina il nuovo Israele e non
più in ragione della fedeltà ad un popolo geografico.
La predicazione poi deve essere tenuta libera da ogni apparenza di avidità e di guadagno.
Gesù aveva predicato liberamente e gratuitamente. Così devono fare anche i suoi discepoli.
Anzi, si sa che l’annuncio porta effetto quando non viene esercitato per interesse e per
guadagno. Ci si deve affidare completamente a Dio e alla sua provvidenza. Ci pensa Lui
(cfr Lc 12,22-32). Possiamo anche dire che la sobrietà e la semplicità sono i segni distintivi
del corredo del ‘bravo missionario’, perché riceveranno per via tutto quello di cui avranno
bisogno.
Alla luce della gratuità, siamo invitati a riconoscere l’apostolato e il servizio di annuncio del
Vangelo come dono. Ricevere chi annuncia il Vangelo, ricevere il missionario e il suo
messaggio è comunicare con lui nell’accoglienza di questo dono, poiché ricevere lui è
come ricevere Gesù e il Padre che l’ha inviato; è mettere Gesù al di sopra di tutto e
accettare di perdere la propria vita per causa sua; è l’accoglienza della grazia spinta fino
all’estremo della sua radicalità.
La conclusione ci consola: ‚Un discepolo non è da più del suo maestro‛. La dipendenza
infatti del discepolo dal maestro, mette il testimone e il missionario in situazione di
conformità con il suo Signore e apre certamente la via che, la sua missione, dopo un inizio
di dolore e di croce, porti alla realizzazione del progetto di Dio. Come il maestro, anche il
discepolo dovrà soffrire. La sofferenza è il prezzo della testimonianza. Lo Spirito poi, che è
il dono gratuito del Padre, sarà a nostro fianco e ci sarà di aiuto e conforto per portare a
termine il mandato ricevuto.
E’ una missione che non si ferma agli apostoli, ma che è attuale, che è per tutti noi.
Essere in missione significa aprire gli occhi sull’altro, in particolare su chi è povero e
sofferente. Soprattutto aprire gli occhi su quelle moltitudini di donne e di uomini che hanno
diritto all’annuncio del Vangelo.
Essere in missione vuol dire ricerca di Dio e della sua ‘sapienza dai mille volti’ presso tutti i
popoli e tutti i ceti sociali.
Essere in missione è credere nella nostra vocazione di annunciatori di Cristo. E’ la chiamata
a uscire anche dalla propria terra, dalla propria gente, per andare là dove la Chiesa non è
ancora presente come comunità di vita o non è pienamente sviluppata.
Essere in missione significa combattere la mediocrità.
Facciamo nostre le parole di Dom Elder Camara
Missione è partire, andare, lasciare tutto, uscire da noi stessi, spaccare la corteccia
dell’egoismo che ci rinchiude nel nostro piccolo io;
è smetterla di girare attorno a noi stessi, come se fossimo noi il centro del mondo e della
vita; è non lasciarci intrappolare dai problemi del mondo piccino al quale apparteniamo…
l’umanità è più grande!; missione è partire continuamente anche senza percorrere
chilometri di strada. E’ soprattutto accorgersi degli altri, scoprirli e incontrarli come fratelli e
sorelle; e se, per incontrarli e amarli, è necessario solcare i mari e volare per i cieli, allora
missione è partire e raggiungere i confini del mondo.
Per la riflessione e discussione
 Il fuoco della Pentecoste ha bruciato sì i cuori, ma per farli ardere, per riscaldarli, per
annunciare il giudizio di misericordia sul mondo. E’ fuoco che spinge sulla via delle
miserie umana per soccomberle, sulla via dell’ignoranza per illuminarla, sulla strada di
chi non conosce il Signore per annunciare la Buona Novella. E’ il fuoco dello Spirito,
dell’amore di Dio che spinge ad amare Dio e i fratelli fino a lasciare tutto, ad andare
fino agli estremi confini della terra, a fare l’esperienza della missione. E tu cosa fai?
Cosa dici?
 Scriveva dom Tonico Bello: ‚La condivisione è un’operazione che, invece di ridurre,
moltiplica i beni della terra e li mette a disposizione di tutti. Condividere vuol dire due
cose. Anzitutto spartire la ricchezza propria: metà a te e metà a me. In secondo luogo:
spartire la povertà altrui: non basta che io dimezzi con il povero il mio portafoglio, se
poi non mi prendo una fetta della sua povertà e non la sperimento nella mia vita.
 Dio ha ancora bisogno di te, perché gli renda testimonianza fino agli estremi confini
della terra ( cfr. Atti 1,8). E’ per questo che tu esisti. Egli ti conosceva ancora prima che
tu nascessi e ti ha amato dall’eternità. Fin dall’eternità ti ha pensato e ti ha assegnato un
posto nella storia. Nessuno potrò occupare il tuo posto nella storia dell’umanità. Ha fatto
preannunciare dai profeti la tua missione. Ha guardato alla tua povertà e nullità. Ti ha
portato vicino a sé per realizzare insieme a Lui una promessa. Ti ha fatto diventare
portatore nel mondo del suo Figlio, collaboratore alla sua opera di salvezza. Dio ha
bisogno anche di te per evangelizzare l’umanità.