P. Becchi, Il principio dignità umana, Morcelliana, Brescia 2013, pp
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P. Becchi, Il principio dignità umana, Morcelliana, Brescia 2013, pp
Anno III– Numero 9 P. Becchi, Il principio dignità umana, Morcelliana, Brescia 2013, pp. 131 La nuova edizione aggiornata di Il principio dignità umana di Paolo Becchi, ordinario di Filosofia del diritto presso l’Università di Genova e teorico del Movimento 5 Stelle, presenta alcune riflessioni sul tema della dignità umana. Il volume si propone l’ambizioso obiettivo di presentare l’idea di dignità umana come un principio centrale nel dibattito filosofico e politico della contemporaneità. Un principio che può diventare uno snodo significativo per affrontare le principali questione etiche e giuridiche che l’applicazione delle scienze mediche e biologiche pongono alla nostra società. Partendo da questa premessa, era lecito attendersi un tentativo di costruzione di un principio teorico attraverso una paziente analisi della tradizione classica e moderna. E invece no. Becchi affronta la questione nel primo capitolo Il duplice volto della dignità. Una ricostruzione storicoconcettuale e afferma che esistono nella tradizione due accezioni del termine dignità: «nel primo senso è l’uomo in quanto tale ad avere quella dignità che gli deriva dall’essere al culmine della scala gerarchica della natura, nel secondo senso la dignità dipende dalla posizione che egli ricopre nella scala gerarchica sociale» (ivi, p. 8). Passando velocemente da Pascal a Hobbes a Kant, l’autore afferma che l’idea universalistica proposta dalla tradizione metafisica, pur avendo avuto dei meriti storici, sarebbe troppo astratta e mancherebbe di un riconoscimento giuridico che, in effetti, inizia solo nel Novecento. Al di là dei passaggi affrettati e degli accostamenti azzardati (come il considerare Pascal un razionalista), l’autore non propone un’idea di dignità umana, non cerca di giustificarne l’importanza e la correlazione con altre categorie teoriche e sembra affermare che si possa parlare, in modo concreto, di dignità umana solo nel momento in cui il termine inizia a comparire nei documenti giuridici. Il secondo capitolo L’onda lunga del dibattito postbellico analizza la presenza dell’idea di dignità nei documenti normativi del secondo dopoguerra. In particolare, l’autore effettua una comparazione tra la Costituzione tedesca e quella italiana e sostiene che «mentre nella Costituzione tedesca “dignità” è un valore assoluto che riguarda astrattamente la persona in sé e per sé, nella nostra Costituzione è un valore relativo che riguarda la sua concreta collocazione nel tessuto sociale» (ivi, p. 36). Come nel primo capitolo, compare la separazione tra le due accezioni del termine dignità. Anche in questo caso, Becchi non approfondisce il problema e non esamina la possibile connessione tra i due significati del termine e, per esempio, la fecondità dell’importanza del lavoro come dimensione universale per manifestare la dignità dell’uomo. Il terzo e quarto capitolo sono dedicati al dibattito sui temi etici e giuridici che riguardano il principio di dignità negli ultimi decenni. La dignità, secondo Becchi, si sarebbe trasformata in una categoria concreta che si occupa di difendere la specificità dei diversi status dell’uomo, distinti in base all’età, al genere, alle condizioni fisiche e al contesto sociale. Per questo le Carte dei diritti si occupano di tutelare: «non più il soggetto astrattamente inteso, e neppure la persona nei suoi rapporti sociali, ma l’individuo concreto nelle diverse fasi della sua vita dal concepimento alla morte naturale e, addirittura, oltre» (ivi, p. 60). Sono le differenze, afferma Becchi, e non l’uguaglianza generica e dover essere difese attraverso il principio di dignità. Ma è sufficiente parlare di difesa delle minoranze e delle differenze per affermare la dignità dell’essere umano? È 1 Anno III– Numero 9 sufficiente parlare di individuo concreto, banalizzando come astratta tutta la tradizione legata al termine “persona”, per cogliere la fecondità del principio di dignità umana? Becchi, come consuetudine, non prende in considerazione queste domande, ma afferma che non bisogna confondere la dignità dell’uomo con l’autonomia, ossia la capacità del singolo di auto-determinarsi e di darsi leggi. A questo punto, dopo aver sostenuto l’importanza della concretezza, dell’individuo, delle differenze specifiche, della mancanza di astrattezza e universalità, a sorpresa, l’autore re-introduce, nel quinto capitolo L’autonomia e i suoi limiti, i temi metafisici e, addirittura, teologici e religiosi, che aveva criticato quasi per tutto il volume. Cita Spaemann, Heidegger e Jonas e afferma: «ecco perché di fronte alla deriva nichilistica, che oggi assume la forma del “post-umano”, prodotto dalla manipolazione genetica, la religione è di nuovo tornata a offrire un’importante risorsa “motivazionale”. Come fondare l’indisponibilità dell’integralità umana, se non recuperando, almeno nelle forme di una teologia negativa – ovvero di un principio che non sia fondamento positivo, ma limite, freno, katéchon (forza che trattiene) – quella categoria del sacro che una secolarizzazione uscita dai suoi binari forse troppo frettolosamente aveva data per spacciata?» (ivi, pp. 8081). Insomma, sembra sostenere paradossalmente Becchi, la dignità umana non sarebbe un principio universale, ma riguarderebbe il processo evolutivo sociale e intellettuale dell’uomo e la sua capacità di auto-determinarsi e decidere senza vincoli. Tuttavia non bisogna esagerare ed è necessario darsi dei limiti per poter decidere. A questo punto, la metafisica e la religione, uscite dalla porta, possono rientrare dalla finestra e indicare, almeno, qualche vincolo che non può essere superato perché, in caso contrario, si rischierebbe il nichilismo. Sembra quasi che le categorie di religioso e metafisico, intese da Becchi, siano una sorta di strumentale argomento dogmatico per rendere uno po’ più persuasiva la sua argomentazione. Il principio dignità umana si conclude con un capitolo su I punti cruciali dell’etica medica che dovrebbe costituire il cuore del testo, in quanto permetterebbe di verificare, su aspetti concreti, la validità teorica della categoria di dignità umana. Ma, partendo dalle confuse riflessioni precedenti sul tema della dignità, il compito si rivela impossibile. E, infatti, cosa propone Becchi sul tema dell’eutanasia o clonazione? Evitare gli eccessi e usare un po’ di buon senso: «non c’è solo dignità della vita, ma anche la dignità della morte. Perché la dignità umana oltrepassa tanto l’una quanto l’altra» (ivi, p. 93). Si deve rispettare la volontà del paziente, ma senza esagerare perché si può ledere i diritti degli altri, medici o famigliari. Andrea Potestio Assegnista di ricerca – Università degli Studi di Bergamo Research Fellow – University of Bergamo 2