“SIM”, finalmente una realtà!

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“SIM”, finalmente una realtà!
ROSSO NERO
1
BLU GIALLO
Anno 4 - N. 2 - Maggio-Giugno 2010
PERIODICO DI INFORMAZIONE - CULTURA - SPORT - AUTTUALITA’ - GIOCHI
Liceo Scientifico “F. Bruno” - Liceo Classico “G. Colosimo” - Corigliano Calabro - www.liceofortunatobruno.it
(continua a pag. 2)
Su e giù per l’Emilia
Quanto vale
un’emozione
il futuro della terra? Romagna:
indimenticabile
“Guardi quel fiume scorrere dolcemente, ti accorgi delle foglie agitate dal vento, ascolti gli uccelli, le
rane arboricole che gracidano e in lontananza senti
muggire, l’erba ti sfiora, lungo gli argini del fiume
si forma del fango, c’è pace, è tutto tranquillo e all’improvviso qualcosa si smuove dentro di te e devi
respirare profondamente per riuscire a dire che tutto
questo sparirà”: queste sono le parole d’apertura del
docu-film vincitore di un oscar dell’ex vice presidente degli Stati Uniti d’America Al Gore (premio
nobel per la pace), da molto tempo impegnato ad informare le nuove generazioni (e non solo) sui danni
che la presenza di biossido di carbonio ha portato
e continuerà a portare al nostro ecosistema. Il cambiamento climatico dovuto all’effetto serra è una
delle minacce più gravi per l’umanità, conseguenza
di quasi tre secoli di sviluppo industriale, inquinamento tramite combustibili fossili e distruzione delle foreste. Da quando alcuni scienziati come Roger
Revelle (USA) hanno iniziato a misurare la quantità
di biossido di carbonio presente nell’atmosfera si è
potuto constatare che la sua temperatura è aumentata
vertiginosamente dal 1958 ad oggi, con una regolarità che va di pari passo all’aumento delle emissioni
di CO2. Per avere un’idea più chiara di ciò che sta
accadendo alla nostra atmosfera, grazie all’uso delle nuove tecnologie alcuni tra le migliori menti del
ventesimo secolo, impegnate nell’ecologia e nella
ricerca, hanno costruito un termometro capace di
misurare la temperatura dell’atmosfera terrestre da
oggi a 650.000 anni fa e la relativa quantità di CO2.
I segni più evidenti del cambiamento climatico
ci permettono di valutare meglio la gravità della situazione: l’intensità dei cicloni tropicali è aumentata
negli ultimi decenni. Tra le dieci stagioni di uragani
più attive, 6 si sono verificate dalla metà degli anni
(continu a pag. 13
Dicono che alcune giornate sono indimenticabili e irripetibili e che viene voglia di viverle
per una seconda volta tutte d’un fiato. E questa
volta proprio sulla mia pelle, anzi sulla nostra
pelle.
Era mattino presto quando partimmo per
la nostra mitica gita con la voglia di fare su e
giù per l’Emilia Romagna e le Marche. Risate,
voglia di vivere, di divertirsi, di non pensare
a nulla, di pensare a noi solo ed ai posti che
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BLU GIALLO
BLU GIALLO
BLU GIALLO
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Da qualche mese, nella nostra cittadina, è nato
un movimento studentesco chiamato “SIM”, per
l’appunto, Studenti In Movimento. Il SIM, contrariamente a come alcuni hanno pensato, è un
gruppo apartitico e apolitico, nel senso che non
ha nulla a che vedere con la politica e con i “grandi”. Vivendo in una piccola città, spesso i bisogni di noi studenti non vengono ascoltati come
dovrebbero; il SIM è stato creato proprio per far
sentire la nostra voce! Esso è aperto ad ogni studente delle scuole superiori di Corigliano, i quali
potranno, una volta iscritti al movimento, partecipare attivamente a ciò che faremo, insieme,
uniti. Infatti, l’unico scopo del SIM è quello di
riunire tutte le scuole superiori, per poter essere
un gruppo grande, che lavora e che non ha timore
di pubblicizzare le proprie idee. E’ solo da uniti
che riusciremo a farci sentire, a ottenere qualcosa. In passato, la nostra scuola, insieme con altre,
ha partecipato ad alcune manifestazioni, le quali,
ROSSO NERO
ROSSO NERO
Alla vigilia degli scrutini finali ritengo opportuno dedicare qualche riflessione a questo momento
cruciale dell’anno scolastico, che nei docenti più
sensibili e in quelli più giovani induce , non di rado,
a disagio nella formulazione dei giudizi e dei voti.
Ci si deve disporre,invece, a una piena serenità di
spirito nella consapevolezza dell’alto e delicato
compito che si è chiamati a svolgere, a verifica dei
risultati del processo formativo.Invero a concorrere
all’attribuzione del voto sono molti fattori, che pure
debbono essere tenuti presenti e che non possono
essere semplici numeri, ma elementi inerenti alla
personalità dell’alunno, alle sue condizioni psicofisiche, al suo ambiente familiare, al background
sociale, che possono chiarirci perché egli non ha
dato risposte ai nostri stimoli. Di fronte all’insuccesso dobbiamo anche chiederci se l’azione educativa e didattica svolta dalla scuola sia stata carente
in qualche modo, da dove tutti noi siamo partiti nell’impostare la nostra azione educativa e didattica e
quale conoscenza analitica dei livelli di sviluppo e
apprendimento,dei ritmi e degli stili apprenditivi,
delle motivazioni dei singoli alunni abbiamo realizzato nella nostra attività di educatori. E ancora:
quali ricerche sono state effettuate per individuare
le strategie educative e didattiche più adeguate ai
singoli alunni, nell’ambito di una programmazione che non può non essere individualizzata per
tutti gli alunni, e non solo per gli alunni portatori di handicap;quali verifiche sono state effettuate
durante questi mesi per tenere sempre sotto controllo le situazioni e quali aggiustamenti sono stati
apportati per adeguare l’organizzazione dell’azione
educativa e didattica. Voglio dire con questo che gli
scrutini assumono il ruolo della cartina di tornasole
per la nostra attività e invocano, da parte nostra, un
“SIM”, finalmente una realtà!
ROSSO NERO
Riflessioni sugli scrutini
del Dirigente scolastico
ROSSO NERO
BLU GIALLO
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DALLA PRIMA PAGINA
Riflessioni sugli scrutini
del Dirigente scolastico
giudizio su noi stessi. Non per nulla, ormai da tempo, la
scuola è chiamata ad autovalutarsi Passando allo specifico dell’attribuzione dei voti son lontani i tempi- così
spero - in cui si ricorreva alla calcolatrice per attribuire
un voto, scervellandosi sul significato da dare ai + e ai –
o ai mezzo che abbiamo usato, direi anacronisticamente, nella valutazione delle performances degli alunni.
Io penso che il modo migliore per uscire dall’impasse
sia quello di ricorrere alla valutazione sommativa, che
considera i livelli di partenza di ciascun alunno, i percorsi compiuti, i progressi e i livelli finali conseguiti.
In tal modo il voto finale non sarà la risultante aritmetica di numeri, ma il valore da dare a un giudizio
scaturente da tanti elementi, primo tra tutti l’assiduità nella frequenza e nell’impegno, e da altri che qui
sarebbe lungo richiamare.Non lasciamoci abbagliare
solo dalle capacità di alcuni non sostenute da adeguata
applicazione, ma diamo il giusto rilievo positivo a valori come la puntualità, la continuità nella frequenza,
lo sforzo sostenuto pur in assenza di brillanti capacità, la tenace volontà di migliorare: se dobbiamo dare
qualche punto in più a questi ultimi diamoglielo pure in
ossequio a quello che i pedagogisti chiamano “effetto
Pigmalione” noncuranti se tradiamo la fatidica media
aritmetica dei voti! Che senso ha dare 4 a un alunno
che ha avuto in progressione 4 4 5? A condizione, si
badi bene, che l’ultimo voto, pur nella sua modestia,
sia frutto di sforzi il cui approdo poteva essere solo
quello. Occorre tener ben presente la storia di ciascun
alunno evitando criteri di soverchio rigore (summum
ius, summa iniuria) ma ispirati sempre da quell’amore
pensoso di pestalozziana memoria che induce ad equilibrio e saggezza. Rifuggiamo da compromessi con la
nostra coscienza in omaggio a un malinteso buonismo
o ad altro che mal si concili con la situazione dell’alunno, la quale non può essere trasmutata, come purtroppo
talora avviene, da un’interrogazione avventurosa dell’ultimo momento, che non può e non deve contraddire
il percorso tormentato e infingardo di un anno intero e
offendere l’impegno tenace, pur se non sempre fecondo, dello studente coscienzioso. Si allarghino i cordoni della borsa dei voti con quegli alunni che non sono
pochi, i quali ancora onorano la scuola e la diuturna
fatica dei docenti con un impegno costante spinti dal
desiderio di allargare i propri orizzonti culturali per essere cittadini in grado di rispondere alle sfide del futuro
che si annuncia sempre più complesso. Non è quello
presente il clima ideale per il progresso effettivo della
società se non s’invoca la cultura come modo specifico
dell’esistere e dell’essere dell’uomo che tenga lontane
dalle menti le pastoie dell’asservimento e dello smarrimento etico-politico-sociale.
Ritornando al discorso sugli scrutini ritengo che si
debba porre la debita attenzione a che non si riscontrino discrasie tra il voto proposto e il giudizio, che, è
bene ricordarlo, precede l’attribuzione del primo che da
esso discende e, soprattutto, si mediti se l’allievo potrà frequentare proficuamente, se promosso con debiti,
l’anno successivo, tenuto conto delle sue capacità e del
suo metodo di studio.
Se nel mio discorso è rinvenibile l’esigenza di operare con rigore di metodo e criteri di equità essa non
esclude di usare benevolenza nei confronti dell’allievo
che abbia prodotto apprezzabili sforzi sebbene approdati a risultati non pienamente sufficienti: quello sforzo
che si sia sposato con una condotta corretta e non sfrontata e che denunci disagio interiore sul quale, forse, non
abbiamo indagato abbastanza sia la favilla della nostra
magnanimità, che non è ottusa volontà di giovare ad
ogni costo, ma una mano tesa a chi è in difficoltà mossa
dalla speranza che quell’allievo possa recuperare nell’anno successivo.
Tengo, infine, a sottolineare l’importanza che il voto
in condotta deve assumere per porre in evidenza positivi comportamenti, rispettosi delle regole che non
ammettono ritardi abituali, uscite anticipate, assenze ingiustificate, ecc: a tal fine i coordinatori di classe,
dopo essersi documentati su tali dati in segreteria , son
chiamati a promuovere intese preliminari tra i docenti
delle varie classi in modo che non ci si riduca, come
suole accadere durante lo scrutinio, a lanciare le proprie
proposte sul voto in condotta come ad un’asta pubblica, ma esso sia frutto di una discussione preventiva che
aiuti ad attribuire un voto ben ponderato.
Teniamo presente, nella nostra quotidiana fatica,
quanto afferma lo Zavalloni, <<non si valuta per giudicare, si valuta per conoscere,e quindi per educare >>
Franco Sena
DALLA PRIMA PAGINA
“SIM”, finalmente una realtà!
per mancanza di organizzazione
e, purtroppo, di mancata voglia,
non hanno ottenuto il risultato
sperato. Se tutti unissimo le nostre idee al fine di ottenerne una
sola, grande, resistente, e se fossimo spinti da reali motivazioni
che ci stanno a cuore, arriveremmo ad ottenere ciò che vogliamo.
Nel SIM non ci sono gerarchie,
ognuno è importante come tutti.
Sono stati scelti ovviamente dei
coordinatori che programmano le
assemblee plenarie come quella
di presentazione che è avvenuta
al “Seme”, nel mese di marzo.
Sarebbe bello se ogni studente,
di ogni scuola superiore, decidesse di partecipare
al SIM, perché mostrerebbe di sicuro l’interesse
per quanto riguarda e la propria vita da studente
e la propria situazione di cittadino in quanto tale.
Il mio, oltre che presentare il movimento, vuole
essere un invito: non siate titubanti, venite, parte-
DALLA PRIMA PAGINA
Su e giù per l’Emilia Romagna:
un’emozione indimenticabile
avremmo osservato, ammirato e goduto, tutto
questo e nient’altro mettemmo in valigia.
Prima tappa: GRADARA, la storia di questa
antica città è strettamente legata a quella del suo
castello che come sfondo ebbe la storia di Paolo
Malatesta e Francesca da Rimini, uccisi per la
lussuria dal fratello di Paolo e marito di Francesca: Gianciotto. Il castello è un fortezza medievale e protetto da due cinte murarie. E’ uno dei
monumenti più visitati della regione Marche
ed è teatro di vari eventi musicali ed artistici.
Nel pomeriggio la seconda tappa: URBINO,
cittadina delle Marche che vanta un importante
passato storico. Divenne un importante centro
durante le guerre gotiche, passò dal dominio dei
Longobardi a quello dei Franchi fino al dominio
dei nobili Montefeltro. Particolarmente emozionante per noi fu la visita alla casa di Raffaello
Sanzio che si trova nell’omonima via, dove abbiamo ammirato i suoi affreschi giovanili oltre
agli ambienti e agli arredi della casa dove visse
il celebre pittore.
Riposammo,si fa per dire, perché dormivamo poche ore, per gustarci ogni attimo di quegli
istanti insieme. Al mattino, terza tappa: BOLOGNA. Antichissima città universitaria, nota
per le sue torri e i suoi lunghi portici, circondata da un bellissimo centro storico. A rimanere
impressa nelle nostre menti sicuramente Piazza
Maggiore, dove si trova la gotica e imponente
basilica di san Petronio, costruita tra il 1390 e
il 1659, la quinta chiesa più grande del mondo.
Nella stessa piazza si trovano la fontana di Nettuno, il palazzo comunale e il palazzo del Podestà. E tra un monumento e l’altro, tanti studenti
universitari con il sogno della laurea nel cassetto, un pranzetto coi fiocchi, ci ritrovammo
in viaggio verso la quarta tappa: FERRARA.
Città della bassa pianura emiliana, che sorge
sulle sponde del Po di Volano. Antica sede universitaria e sede arcivescovile, ospita numerosi musei. Il monumento più rappresentativo è
sicuramente stato, per noi, il castello Estense,
chiamato anche castello di San Michele, poiché
la prima pietra fu posta proprio il giorno di San
Michele. Ritornammo in albergo e dopo cena,
cipate e vedrete che alla fine le nostre speranze di
avere una scuola migliore,con tutto ciò che le gira
intorno, diventeranno reali.
Alessia Borgia
IV D, Liceo Scientifico “F. Bruno”
ci dedicammo a lunghe passeggiate sul tanto famoso lungomare di Rimini.
Al mattino pimpanti eravamo pronti a vivere un’altra indimenticabile giornata viaggiando
verso la nostra quinta tappa: serenissima Repubblica di San Marino, piccolo stato indipendente
dell’Europa meridionale. E’ ritenuta la più antica
repubblica del mondo dopo quella Romana, per
molti anni è stata di fatto dipendente dall’Italia,
ma attualmente San Marino afferma con forza
la propria sovranità e indipendenza,dotandosi di
autonome situazioni. Nel pomeriggio visitammo
Ravenna, città più grande e storicamente più
importante della Romagna che vanta ben otto
monumenti dichiarati patrimonio dell’umanità
e dell’Unesco. Emozionante la visita alla tomba di Dante presso la basilica di San Francesco.
La tomba è a forma quadrata, coronata da una
piccola cupola e sull’architrave scritto in latino:
Dantis Poetae Sepulcrum. In serata rientrammo
in albergo con l’assoluto divieto di uscire proprio per affrontare il grande giorno del ritorno,
quello che meno desideravamo proprio perché
avrebbe messo fine ai nostri giorni felici e tutti saremmo ripiombati nella normalità, scuola e
studio per noi, lavoro e famiglia per i nostri cari
docenti.
Così al mattino partimmo per raggiungere
la nostra sesta e ultima tappa: LORETO. Una
splendida città che sorge sulla sommità di una
dolce collina, svetta per l’altezza e la maestosità
la sagoma della cupola e del campanile della basilica, sulla cui cima si trova la figura della Madonna. La città si è sviluppata intorno alla nota
basilica che ospita la celebre santa casa, la casa
dove, secondo le tradizioni, la Vergine Maria
nacque e visse e dove ricevette l’annuncio della
nascita miracolosa di Gesù. Nel pomeriggio un
ottimo gelato fu l’ultima cosa che assaporammo
di Loreto, e il viaggio del ritorno incominciò e
terminò proprio dove ebbe inizio, davanti ai nostri cari strafelici di rivederci.
Un ringraziamento sincero va sicuramente
ad ogni singola persona che permise che questo
bellissimo viaggio diventasse realtà: il preside,
gli insegnanti, i nostri genitori, ed ognuno di noi
che ha contribuito ad ogni nostro singolo minuto
della nostra contentezza e felicità, con la speranza che questa sia la prima delle tante avventure
più belle della nostra vita!
Simona Palummo
e Antonello Palummo IV E
Cultura e Scuola
Il progetto “storia della letteratura Calabrese”, giunto al suo sesto anno, mira a far conoscere la cultura
del nostro territorio e si presenta come un viaggio attraverso la storia e le tradizioni dei nostri luoghi.
In questi anni gli alunni si sono formati un quadro completo ed organico di una letteratura regionale,
abbastanza attenta ai problemi della Calabria. Tassello importante di questo mosaico è stata la lettura del
romanzo del preside rossanese Giovanni Sapia, Il romanzo del Casale, edito da Tullio Pironti. Questa
pubblicata è una delle relazioni, stese dagli alunni che hanno partecipato al progetto.
Il referente, prof. Vincenzo Romio
I Personaggi del Casale
Possiamo considerare il romanzo del preside Sapia come un album fotografico dove ogni racconto
fotografa un personaggio la cui singolarità è contenuta nel nome. Infatti Pasquale è conosciuto come ‘u
zingaru perché si era meritato quel nome per l’arte
del gabbare; Giosuelino è tale in quanto discendente
dalla famiglia di Giosuè. Si potrebbe continuare con
Barabba, noto per la sua furfanteria e la sua matta
bestialità, e con Giovanni ‘e Moschetto, perché da
poco aveva finito il servizio militare.
Il minorato Ciminera non poteva che essere nero
in viso come la fuliggine del camino, da cui deriva
il nome, e Saverio ‘u mmericano porterà per sempre
nel nome i suoi dieci anni trascorsi in America. Sebbene il suo vero nome fosse Giuseppe, era chiamato mastro Ferretto, così da sintetizzare nel nome il
mestiere e l’uomo. Infatti non “mastro Ferro” come
il nonno, bensì Ferretto, a rimarcare la statura minuta. Altro personaggio senza dubbio imprigionato
nel proprio nome è Giovanni ‘u litamaru, così detto
poiché per anni aveva trasportato e raccolto letame
tra stalle ed ovili, che nonostante i cinque anni di
America, che lo avevano convito di essere una persona diversa, per i Casalesi rimaneva ugualmente ‘u
litamaru. Tommaso, protagonista de “il padrino”,
è detto ‘u Galante poiché fanfarone e perdigiorno.
Soltanto Maria ‘a lorda, la temuta spia fascista, riscatterà se stessa da un passato da dimenticare conquistando ricchezze e il “titolo” di Donna Maria.
Questi soprannomi erano affibbiati a persone povere ed emarginate, mentre gli artigiani, che godevano di migliore considerazione sociale all’interno del
casale, beneficiavano del prestigioso titolo di “mastro”. Incontriamo infatti, nel decorso del romanzo
mastro Gaetano, il calzolaio più anziano, mastro
Giuseppe, mastro Battista, il sarto. Alcuni personaggi si caratterizzano, invece, per il patronimico, come
Gennaro ‘e Strangio, Gennaro ‘e Santo, Giuseppe ‘e
Colamo. Ai nobili, invece, l’autore concede soltanto
il titolo ereditario.
Eccezione alla regola è il protagonista dell’ultimo
capitolo del romanzo, Il Ritorno. Carminuzzo infatti, sebbene di umili origini non è segnato da alcun
nomignolo, a nostro parere poiché l’autore intende
sottolineare il distacco di quest’ultimo dalla schiera
di personaggi raccontati fino a questo punto, e evidenziare la sua appartenenza ad un nuovo mondo
che va affermandosi cancellando quell’antica abitudine, tipica di una realtà, in cui tutti si conoscono ed
in cui il nomignolo diventa emblema distintivo del
ruolo e del carattere del personaggio.
Particolare è l’incontro tra il lettore ed il personaggio. Infatti, l’autore non coglie il personaggio
in media res, ma, sin dai primi righi, ne traccia un
medaglione che consente al lettore una conoscenza
immediata ed una comprensione completa del personaggio, nonché una compartecipazione alle vicende di quest’ultimo.
Esempi di medaglione sono quelli in cui il preside Sapia descrive Giosuelino “… aveva il nome
del bisnonno … (a lui) non occorreva molto, bastandogli nel buon tempo poca veste ed i piedi scalzi,
cresciuti alla polvere e al gelo …”. Oppure Barabba,
il quale “da anni era chiuso in galera … era l’immagine di un grosso animale mansueto, con grosse
spallacce … gli mancavano gli occhi, che potevano
dirsi di pecora, scialbi e rozzi, estranei ad ogni moto
dell’animo …”.
Così inizia il quinto: “Ciminera era il minorato
del casale, nero nel viso scavato all’osso come la
fuliggine del camino, ... e neri gli occhi, piccoli e
lucenti”. Così inizia il sesto: “lo chiamavano mastro
Ferretto ... era maniscalco del casale ... li ferrava con
cura orgogliosa, contendendo con la natura...”.
La promessa, settimo racconto, accende i riflettori su don Ferdinando, prete del paese, l’ottavo su
Domenico, che aveva fatto alcuni anni d’ America,
tanto da accumulare un buon gruzzolo... il gruzzolo
gli era bastato per comprare un appezzamento di terreno... “Da padre previdente, aveva diviso il terreno
tra i quattro...”
Nel nono racconto, Giovanni ‘u litamaru viene
raccontato nelle sue vicissitudini esistenziali: “era
partito perché spossato e mal remunerato dal mestiere, che era quello di raccogliere letame tra stalle e
ovili e portarlo di qua e di là a dorso d’asino”.
Leggendo l’undicesimo, la Taverna dell’Anatra,
rimane nella memoria il ritmo cadenzato dei primi
righi: “Natale Stozzo era il cacciatore del casale. Di
fucili non ne mancavano nella contrada, anzi, facevano quasi parte dell’arredo ordinario di casa; ...Natale, invece, aveva la caccia nel sangue!!”
L’esordio di “La retta del convitto” e di “Passione
e gloria di mastro Giuseppe”, tredicesimo e quindicesimo racconto, si concentrano sulla figura di mastro Giuseppe, il calzolaio, a sottolineare la complementarietà e l’importanza forse biografica che le
situazioni narrate rivestono per l’autore.
Figura femminile, insolita nel mondo del borgo, è
Donna Maria, protagonista del sedicesimo capitolo,
un tempo Maria ‘a lorda. “Ormai trentenne, era ancora quella bellezza contadina e prosperosa e soda,
che si era annunziata nell’adolescenza quando non
c’era giovane voglioso che le passasse accanto senza sentirsela nel sangue”. Diverso il diciassettesimo
racconto, nel quale, come nella memorabile scena
de Il Gattopardo, la nobiltà decaduta si autocelebra
e l’incendio in cui culmina la serata simboleggia il
dissolvimento di un mondo ormai anacronistico.
L’incipit del diciottesimo, Il padrino, racconta di
Tommaso ‘u galante; “fanfarone e perdigiorno era la
favola del casale... Tommaso pareva fuori dalle sue
acque, come un re sul trono, sempre meno in arnese
da lavoro, più volte col vestito buono delle feste e
sempre in vena di ciance tra la strada e la cantina,
per motivi che non si sapeva quali fossero ... complessivamente onorando il soprannome che l’arguzia
contadina gli aveva conformato a pennello.”
L’avvocato Liberti è protagonista dell’omonimo
racconto, il diciannovesimo, e Carminuzzo del successivo ed ultimo, Il Ritorno.
Lo scrittore non rinuncia a concretizzare nello
scritto la doppia esigenza del recupero memoriale e
del possibile disvelamento del futuro.
Barbara Marino e Benedetta Scarcella IV C
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CLASSE VA COMMIATO
Salve! E’ la numero 16 che vi parla! Oggi scrivo a
tutta la mia V A per tracciare un bilancio di questi meravigliosi cinque anni insieme, dato che il liceo sta per
salutarci e davanti a noi si aprono le porte del futuro.
Inutile dire che tutti i momenti vissuti con voi all’interno di questo edificio sono e resteranno indimenticabili.
Non scorderò mai il primo giorno del primo anno; tutti
eravamo disorientati, ancora un po’ immaturi, molti di
noi nemmeno si conoscevano o addirittura non si erano
mai visti. Col passare del tempo maturava in me l’idea
che saremmo diventati una classe fantastica, affiatata,
unita. Vari diverbi e vari screzi abbiamo avuto, come
è giusto che sia, ma il tutto ci ha solo aiutato a rafforzare la nostra amicizia. Io considero quest’ultimo anno
come quello più entusiasmante di tutti, perché abbiamo
condiviso emozioni meravigliose insieme anche con i
nostri cari proff! Infatti credo che il ricordo della gita o
della festa dei cento giorni resterà nel cuore di ognuno
di noi. E ancora, cari miei compagni, dobbiamo vivere
i duri e faticosi giorni degli esami di maturità! Ognuno
di voi è speciale, mi avete dato tanto e io sono cresciuta
e maturata in tutto questo tempo. Per esempio per farvi
capire che mi ricorderò sempre di voi, non posso e non
voglio dimenticare la dolcezza di Antonella, le ‘’follie’’ di Sara, la serietà di Teresa, la calma di Chiara,
le stravaganze di Ceska, i silenzi di Luca, le’’battute
spiritose’’di Ciccio, la simpatia di Piero, le risate di Serafina, i discorsi silenziosi di Alin e Forace, la saggezza
di Carolina e Giovanna, il cervello di Candia, il viso
da orsacchiotto di Cropanise, le inutili liti tra Simona
e Clara, le varie chiacchierate di Luana, Antonio R.,
Gianluca e Chiara V., la parlantina della Vale e l’allegria di Francesca L.
Che dirvi ragazzi… vi auguro di vivere un futuro
felice e sereno e spero solo che gli altrettanto faticosi
anni universitari non dividano le nostre strade perché
100 GIORNI PASSANO IN FRETTA, MA 5 ANNI
RESTANO NEL CUORE… GRAZIE!
Floriana Romio V A
Liceo Scientifico “F. Bruno”
Liceo Classico “G. Colosimo”
C.da Torrelunga - Tel. 098381110 - Corigliano Calabro
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Largo Deledda - Corigliano Scalo (Cs)
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Cultura e Scuola
Passiamo in rassegna autori ed opere incontrati durante il corso “Dante e le arti visive” tenuto dai proff. Giacomo Gilio e Mario Vicino
Le scene dantesche interpretate da Andrea Cefaly
I quadri ad ispirazione dantesca furono per Andrea Cefaly (Cortale-CZ, 1827-1907), materia di
profondo studio e di alta idealizzazione. A differenza del “quadro storico”, in cui l’estro dell’artista poteva creare la scena e la situazione, rivivendo, attraverso la sua fantasia, episodi reali od
in parte ispirati da quelli realmente vissuti nella
sua vita di combattente garibaldino, per i quadri
d’interpretazione di scene dantesche si trattava
di ricreare un mondo assolutamente fantastico riproducendo ciò che il divino poeta aveva voluto
esprimere. Il Cefaly, a parte il suo estro di sommo
artista del colore, potè eccellere in tale genere di
lavori, principalmente dopo un profondo studio
letterario della Divina Commedia, producendo
opere meravigliose per la loro fedeltà al testo.
Commenta il Frangipane, appassionato cultore e
studioso dell’arte dei nostri conterranei: “Attraverso il candore spirituale del Cortalese, lo studio
dantesco ebbe religiosi impeti, raccoglimenti, forse non meno che in Gabriele Rossetti, in Bourne
Jones e in altri celebri interpreti e illustratori”. Ed
il Vivaldi (Calabresi illustri): “Nel Cefaly le scene
dantesche sono fedelmente rappresentate, e noi,
se dall’una parte abbiamo una libera creazione
dell’artista, dall’altra abbiamo la riproduzione fedele di una immagine, creata dal poeta”.
LA BARCA DI CARONTE
In questo quadro, che può ammirarsi nel Museo Provinciale di Catanzaro, il Cefaly riesce ad
interpretare e raffigurare uno degli episodi più
drammatici del canto III dell’Inferno. L’artista
ritrae il momento culminante e più tragico della
scena ossia quando “…la buia campagna/ tremò
si forte, che dello spavento/ la mente di sudore
ancor mi bagna./ La terra lagrimosa diede vento/
che balenò una luce vermiglia/ la qual mi vinse ciascun sentimento./ E caddi come l’uom cui
sonno piglia”. In primo piano infatti è rappresentato il divino poeta svenuto sulla “trista riviera
dell’Acheronte”, la cui fattura plastica ricorda il
quadro della “Francesca”, così come il fulgore del
lampo che illumina tutta la scena. Anche qui, la
lunga fila delle anime “…ch’eran lasse e nude”,
sono rese trasparenti, diafane così come l’ombra
di Virgilio, nell’atto di acquietare il furibondo
“nocchier della livida palude/ che intorno agli occhi avea fiamme rote”.
PICCARDA DONATI
Si rivive, in questo pregevole dipinto, il concetto dantesco espresso già nel canto XXVI del
Purgatorio, su Piccarda, dal fratello Forese, relegato fra i “golosi”.
La mia sorella, che tra bella e buona
Non so qual fosse più, trionfa lieta
Nell’alto Olimpo già di sua corona”.
Tutte le anime beate, compresa la Piccarda, del
primo cielo dantesco, ossia nel cielo della luna,
perdono la loro forma corporea, trasumanandosi,
tanto che il poeta le vede “Quali per vetri trasparenti e tersi/ o ver per acque nitide e tranquille/
non si profonde che i fondi sian persi”. Ed il Cefaly, fedele interprete dei versi danteschi, vince
tale grande difficontà rappresentativa e pittorica,
riuscendo ad ottenere la trasparenza delle figure
come riflesse da uno specchio, evanescenti nella
luce lunare. Tuttavia la figura di Piccarda conserva
qualche cosa di umano, pur se dal suo volto spira
ineffabile la divinità, come è anche nel concetto
del poeta. La cornice di questa bellissima tela è
anche opera del Cefaly, modellata anche con figure dantesche. Anche questo quadro trovasi nel
museo provinciale di Catanzaro ed è considerato
concettosa e ricca di particolari, in cui è ritratta la
grande scena del canto XXX del Purgatorio, ossia l’apparizione di Beatrice che scende dal Cielo
contornata dagli angeli.
Così dentro una nuvola di fiori
Che dalle mani angeliche saliva
E ricadeva giu dentro e di fuori,
Sovra candido vel cinto d’oliva
Donna m’apparve,sotto verde manto,
vestita di color fiamma viva”.
fra i migliori del genere.
L’APPARIZIONE DI BEATRICE
Il Cefaly volle tutto per sé questo grande dipinto, decorandone il soffitto del suo studio a Cortale
e gli servì per ispirazione e per riposo del suo spirito inquieto ed esuberante. Composizione vasta,
In primo piano è raffigurato il poeta, estasiato
dall’apparizione e nello stesso tempo triste ed implorante il perdono per i duri rimproveri mossigli
da Beatrice. Poco discosta è l’ombra di Virgilio
che si dilegua. E poi il grifone, il carro, i beati
osannanti, inquadrati prospetticamente in uno
scenario fantasmagorico di colori e di luce. Pur
avendo carattere decorativo, questa composizione
ha il grande pregio di rappresentare fedelmente
ed in maniera efficacissima la visione dantesca in
tutta la sua potenza espressiva.
Marco Cardamone IV A
DANTE E I PITTORI
Théodore Géricault e i Ritratti di alienati
I dieci Ritratti di alienati (cinque sono perduti, i restanti conservati in vari musei d’Europa e
d’America ), furono dipinti tra il 1822 e il 1823 su incarico del medico parigino Georget. La novità
consiste nel fatto che Géricault realizza i suoi modelli non con obiettività, ma con sentimento.
Alienata con monomania dell’invidia (La iena della salpétriére), Liones, Musée des Beaux-Arts
Acquistato dal museo alla vendita di P.A. Cheramy, riporta una citazione tratta dalla tesi di Georget, che corrisponde particolarmente bene alla fisionomia della malata qui raffigurata: “La circolazione sanguigna diventa più attiva: la pressione arteriosa sale; le arterie della testa battono forte; gli
occhi brillano e sono iniettati di sangue”.
J.Vermeer
La semplicità dei gesti e la naturalezza delle scene nei dipinti di Vermeer non devono trarre in
inganno circa la facilità della loro interpretazione. La donna, raffigurata con una bilancia in mano,
comunemente nota come la Pesatrice di perle, a una lettura più approfondita appare come una
raffigurazione della Verità, tenuto conto che la bilancia è l’emblema della giustizia e quindi della
verità, che un dipinto rappresentante il Giudizio universale è alle spalle della donna e che nel trattato
di Iconologia di Cesare Ripa –circolante presso gli artisti olandesi in traduzione già dal 1644 – la
Giustizia divina reca una bilancia per la valutazione delle vicende umane.
Pesatrice di Perle (1665, Washington, National Gallery of Art)
Il Giudizio universale appeso alla parete di fondo rafforza il valore allegorico del dipinto. La
donna, verosimilmente incinta, che stringe fra le mani la bilancia con cui pesa le perle, rappresenta,
come detto, l’immagine della verità e della giustizia, di cui la bilancia è un abituale attributo.
L’Astronomo (1668-1673 Parigi, Louvre)
Il dipinto fu probabilmente concepito come pendant del Geografo di Francoforte, una tela di
formato e composizione analoghi. Nell’Astronomo lo studioso tocca con la mano destra il globo
celeste collocato sul tavolo, nel Geografo è intento a rilevare misure sulle carte geografiche; secondo alcuni critici sarebbero, invece, mappe celesti. E’ fra le più pregevoli opere dell’ultimo periodo
dell’artista. Alcuni particolari del dipinto sono identificabili: per esempio, il globo celeste sul tavolo
è degli Hondius e il dipinto raffigurante Mosè salvato dalle acque è forse quello eseguito dalla
mano di Jacob Van Loo. Numerose sono le identificazioni proposte per la figura del sapiente (visto
anche come filosofo, astrologo, matematico): alcuni avrebbero riconosciuto nel viso lungo sbarbato,
incorniciato da lunghi capelli, il volto del filosofo Baruch Spinoza; altri, ovvero la maggioranza, lo
considerano l’autoritratto di Vermeer che, allora, apparirebbe anche nel Geografo, in Dalla mezzana
e nella Lezione di musica. La particolarità più rilevante di questo dipinto è la vitalità della luce,
trattata con rara intelligenza e sensibilità, che esprime due derivazioni importanti: l’una discende
dalle scoperte pittoriche dell’arte fiamminga di Van Eyck, l’altra dal fenomeno del caravaggismo
nordico.
Füssli: Dante e Virgilio sul ghiaccio del Cocito (1774,Zurigo, Kunsthaus).
La conoscenza della Divina Commedia è testimoniata dalla precisione con cui il pittore annota
a margine di alcuni disegni in quale bolgia si svolge l’episodio descritto. Questo è tratto dal canto
XXXII dell’Inferno: Dante, con le braccia sollevate, avanza verso le teste di Ugolino e dell’arcivescovo Ruggieri.
Cultura e Scuola
DANTE E I PRERAFFAELLITI
La mostra I Preraffaelliti e il sogno italiano. Da
beato Angelico a Perugino, da Rossetti a Burne-Jones , in corso Ravenna presso il Museo d’Arte della
città, racconta la stagione di questo movimento inglese fondato, nel settembre 1848, al numero 3 di
Gower Street, a Londra, e scioltosi prima della fine
dell’Ottocento.
Il “sogno italiano” evocato da questa mostra (la
prima dedicata in Italia ai preraffaelliti rappresentati
in rapporto con il nostro paese), identifica e segue
percorsi differenti e paralleli, cercando di intrecciarli. L’amore per l’Italia nell’Inghilterra vittoria-
na aveva prima di tutto una colorazione politica, di
istintiva simpatia per la causa risorgimentale. Garibaldi è stato una leggenda anche oltre Manica. Dante Gabriel Rossetti, fondatore, non a caso nel settembre proprio del 1848, insieme a William Hunt e a
John Everett Millais della famosa confraternita, era
nato nel 1828 a Londra dal turbolento e estroso Gabriel, un focoso abruzzese originario di Vasto. Poeta
di buona vena, trasmise al figlio e, per suo tramite, ai
pittori che andarono via via aderendo al nuovo movimento, l’amore per Dante, al quale aveva dedicato
una poderosa trilogia. In essa identificava il “divino
poeta” con un massone ante litteram che aveva farcito le sue opere di codici segreti volti ad attaccare
il papato.
Episodi della Vita nuova e della Divina Commedia di Dante hanno ispirato molti artisti ma nessuno
ne subì l’influenza come Rossetti.
Dante Alighieri era tanto venerato dalla famiglia Rossetti che a Gabriel venne dato anche il suo
nome. Egli si identificò come sommo poeta e trovò
una ricca fonte d’ispirazione nella Vita nuova, essenzialmente costituita da poesie d’amore in cui il
poeta narra i propri sentimenti per Beatrice Portinari, morta all’età di ventiquattro anni. Le poesie,
che si riferiscono all’incontro con Beatrice e al suo
dolore per la sua morte, furono tradotte da Rossetti
in lingua inglese. Oltre a Beata Beatrix, suo capolavoro, Rossetti eseguì dipinti e disegni che illustrarono scene in cui Beatrice saluta Dante per strada,
Beatrice nega il saluto a Dante a una festa di nozze
e Il primo anniversario alla morte di Beatrice: Dante
disegna l’angelo. Rossetti fu uno dei primi artisti a
ispirarsi alla Vita Nuova e questa sua passione influenzò anche altri suoi contemporanei.
Beata Beatrix
(1863-70) Ttate Gallery, Londra.
Una delle immagini più famose dell’arte ottocentesca, Beata Beatrix, fu ispirata da un passaggio della Vita nuova in cui Dante descrive la morte
dell’amata Beatrice. Nella sua figura intensamente
spirituale è riconoscibile il ritratto della bellissima moglie di Rossetti, Elisabeth Siddal, morta nel
1862 per un’intossicazione da laudano e alla quale
il dipinto potrebbe essere dedicato. Rossetti, ossessionato dalla Vita nuova, vedeva nella passione
pura e spirituale di Dante per Beatrice, proseguita
anche dopo la sua morte, un equivalente del pro-
prio amore ideale per Lizzie. Come fece notare lo
stesso Rossetti, il dipinto non mostra la morte in
sé: essa viene invece “simboleggiata da uno stato
di trance o da un’improvvisa trasfigurazione spirituale”. Descrisse immagini del dipinto con Beatrice seduta a un balcone sovrastante Firenze “rapita
improvvisamente dalla terra al cielo” e con “le figure di Dante e dell’Amore ... che si guardano minacciosi, consci dell’avvenimento, mentre l’uccello,
messaggero di morte, lascia cadere un papavero
5
tra le mani di Beatrice. Lei, attraverso le palpebre
è consapevole di un nuovo mondo”. A rinforzare
il misticismo dell’immagine, una misteriosa luce diffusa illumina la scena dando
risalto alle mani congiunte di Beatrice e brilla attraverso i capelli rossi formando
quasi
un
alone.
I
contorni
sfumati e la semplice colorazione smorzata, basata
su rossi e verdi contrastanti, indicano l’intenzione
di Rossetti di evocare uno stato d’animo più che di
rendere precisi particolari narrativi come nei dipinti
precedenti.
Federica Romanelli IV B
Allegorie delle Virtù e dei Vizi
Giotto sovrappone all’architettura reale della Cappella degli Scrovegni una propria architettura finta, immaginando una sorta di arca in muratura alla cui base sta lo zoccolo in finti marmi intramezzati dai finti rilievi
dipinti con le raffigurazioni allegoriche dei Vizi e delle Virtù.
La Disperazione
L’allegoria consiste in una figura femminile, impiccata, con le mani tragicamente contratte; il demonio
che le aggancia i capelli sta a significare la condanna religiosa del disperato,
“preda di Satana” per il suo oltraggio contro la Speranza intesa come virtù
teologale.
L’Invidia
E’ raffigurata in modo nuovo rispetto all’ iconografia tradizionale: una
sorta di emanazione infernale, col serpente allusivo al veleno che le esce di
bocca e che si ritorce quindi verso di lei, “siccome i mali recati dall’invidioso
spesso tornano a lui”; le fiamme ai suoi piedi vengono interpretate sia come
simbolo dell’appartenenza all’inferno, sia come “il desiderio dell’altrui che la
divora come fuoco”. Già nel 1312 la cita con lode Francesco da Barberino:
“invidiam in Arena optime pinxit Giottus”; e in pratica l’ammirazione non le
è venuta mai meno, tranne nel caso del Marangoni.
L’Infedeltà
Evidentemente intesa in senso religioso, come del resto tutte le altre allegorie della serie: la figura maschile (l’infedele) regge in mano un idolo dalle
sembianze femminili, il quale lo tiene allacciato al collo con una cordicella, in
modo che egli volge le spalle alla verità, simboleggiata dall’Eterno che sporge
dall’alto. Le fiamme in basso starebbero a significare la condanna infernale.
L’Ingiustizia
Al centro della parete, contrapposta alla Giustizia, come questa risulta
attuata con una figurazione più complessa, probabilmente collegata a fonti
letterarie, nella quale furono indicati numerosi motivi di cultura classica e
romanza. Sotto la grande figura del vecchio, isolato nella cornice d’un castello
in rovina, si scorgono alberi e fronde, e in basso, nel fregio, un episodio delittuoso. Secondo il Selvatico,
il vecchio sarebbe un magistrato dinanzi a un tribunale, inteso a simboleggiare “la sordida rapacità di colui
che, pur dovendo tenere pubblica ragione, tutto osa attirare a proprio vantaggio”. La raffinatezza formale del
gruppo e, in particolare, il finissimo timbro gotico del fregio a finto rilievo furono annotati da vari studiosi,
che situano il presente fra i più pregevoli affreschi della serie.
L’Ira
La figura, di sembianze femminili, si lacera la veste con un gesto che è stato giustamente accostato a quello di Caifa. Il vigore dell’interpretazione, più forte che nelle raffigurazioni allegoriche di questa stessa parete,
viene giustamente posto in rilievo dal Salvini.
L’Incostanza
E’ una giovane donna trascinata dal rapido girare d’una ruota che ha sotto i piedi, “simbolo dell’umana
mobilità”; ma poiché la figurazione viene opposta alla Fortezza, dipinta sulla parete opposta, sarebbe da considerarsi “quasi immagine di debolezza e fatuità negli argomenti che appartengono alla religione”. Il simbolo
è anche stato accostato a quanto si legge nell’ Ecclesiaste: “Praecordia fatui quasi rota carri. Viene giudicata
opera di scuola, di modesta qualità, anche se possa apparire giudice eccessivamente severo il Marangoni,
dichiarandola “antipatica… rigida e stecchita, come inchiodata al muro”, oltre che “sgangherata”.
La Stoltezza
Trattasi d’una figura maschile addobbata in modo singolare, “col capo bizzarramente ricoperto da piume
e guisa degl’indiani”, e con una grossa clava in mano: così il Selvatico, accentuando il significato religioso
in riferimento alla definizione di “stolti” data da S. Paolo agli infedeli e ai gentili, perché non conoscono le
vie del Signore. L’allegoria, che era stata imbiancata, fu riscoperta successivamente. Il Selvatico ricorda che
essa appariva del tutto ridipinta. Viene considerata opera di scuola.
Michele Gambero, Francesco Cianci III A
La memoria visiva nella Divina Commedia
sarsi nella mente dall’ascoltatore e del lettore, e il poeta riuscì nello scopo oltreché con versi di facile
presa anche con immagini di forte impatto emotivo: è un raro esempio di poesia che si insinua da subito
nella lingua quotidiana. “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”, “più che ‘l dolor potè ‘l digiuno” e
così via: ancora oggi il poema ci offre frasi proverbiali, ancora oggi plasma la nostra memoria. Di memoria, del resto, Dante era ben dotato, come ci racconta Boccaccio. E soprattutto la memoria aveva, ai
tempi di Dante, un ruolo e un’importanza che noi abbiamo dimenticato. Non si trattava di una memoria
puramente passiva, ma di una memoria legata all’immaginazione e quindi alla capacità di ricreare, di inventare. Si insegnava a plasmare la mente, a costruirvi complesse architetture, scale, alberi, giardini, tappe
di un percorso che poteva condurre a una trasformazione interiore, fino a un incontro col divino. Frances
Yates per prima ha fatto notare che la struttura della Divina Commedia è anche un sistema di memoria dei
vizi e delle virtù; le tre cantiche delineano infatti un percorso di luoghi il cui ordine viene via via puntigliosamente spiegato. I gironi dell’Inferno, le cornici del Purgatorio, i cieli del Paradiso ci mettono sotto
gli occhi il sistema morale; gli incontri con i diversi personaggi funzionano da immagini della memoria,
nel senso che aiutano a capire e a ricordare la natura specifica del peccato che è condannato e della virtù
che è premiata.
Classe III B
6
Cultura e Scuola
Le “Storie di un folle normale” di Vincenzo Bua
Non vedevo Vincenzo dagli esami di stato di
tre anni fa, dopo che sostenne l’esame orale ma
sapevo che aveva scelto l’Università di Pavia per
studiare Comunicazione Interculturale.
L’ho rivisto con piacere durante le trascorse festività natalizie, quando è venuto a trovarmi portandomi in dono la sua raccolta di poesie “Storie
di un folle normale”, edita da Albatros-Il Filo.
Non mi ha meravigliato né la pubblicazione ad
opera di una casa editrice in cerca di giovani talenti, né il titolo della raccolta. Ho avuto modo di
conoscere Vincenzo durante il triennio del liceo
scientifico e ho avuto modo di apprezzare l’aspetto umano che, dietro la naturale modestia e l’apparente ritrosia, rivela un giovane ricco di sensibilità estetica e capace di profonda pensosità.
E’ possibile che qualcuna delle poesie contenuta nella raccolta Vincenzo l’abbia concepita
fra i banchi di scuola, quand’era presente e pur
assente, con gli occhi attenti e con la mente a sognare, pronto e teso ad ascoltare ma “pensando ad
un futuro o semplicemente pensando a domani…
”(Fermo).
Adesso lo rivedo, imprigionato fra i banchi,
desideroso di vagare, consapevole di annegare “in
un mondo non mio…leggendo di ciò che dirò, di
ciò che odiando già poi scorderò” e alla fine riuscire a trovare la liberazione “nel puro della vera
follia dove si è pazzi ma invana è l’origine di ogni
follia” (Annego).
Insolitamente interessato me lo ricordo quando
studiammo Pirandello e la follia dei suoi personaggi, il vivere e il vedersi vivere, il doppio e la
ricerca di sé.
Con questa raccolta Vincenzo ha iniziato la sua
ricerca, il viaggio esplorativo di sé e del mondo e
dal silenzio parte per svelare l’enigma e scoprire
sé stesso,diventato uomo:
“Questa notte ho viaggiato in silenzio
Ho diviso la mente e filtrato l’udito
Ho sentito me stesso in un gioco di sguardi
Ho filmato me stesso nel rimanere ad ascoltarli
Questa notte ho conosciuto l’enigma
Ho guardato me stesso cambiarsi d’abito
Ho ascoltato parlarmi nel linguaggio infinito
Io, forse, ero proprio un uomo”
(Buongiorno amore)
Tommaso Mingrone
Una corsa verso la Bellezza
Il 12 Aprile 2010, noi alunni delle classi IV
C e IV D, dopo aver organizzato con sforzo un
viaggio d’istruzione versione “ristretta”, abbiamo
avuto il privilegio di recarci a Roma per la mostra
del pittore più discusso del Barocco Italiano: Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.
Arrivati nella mattinata, abbiamo visitato il
capolavoro di Bramante, ossia la chiesa di San
Pietro in Vincoli. Al suo interno vi sono le catene
con cui, si dice, sia stato legato il Santo, custodite sotto un ciborio finemente decorato. Sulla destra, quasi nascosta dalle colonne, per non essere
importunata da sguardi indegni, si cela una delle
sculture che avrebbe dovuto far parte della collezione delle quaranta, costituenti il monumento
funebre, che il papa Giulio II aveva commissionato a Michelangelo: il Mosè. L’opera raffigura
l’uomo seduto, con il busto leggermente rivolto
verso sinistra. Caratteristiche nella scultura sono
la barba che scende incolta sino al ventre e le vene
così ben visibili, così reali.
Dopo aver ammirato queste opere ci siamo
diretti verso il Colosseo, la costruzione iniziata
da Vespasiano nel 72 d.C. e completata da Tito
nell’80 d.C., per poi visitare il palazzo berniniano
di Montecitorio, in cui ha sede la Camera dei de-
putati. Finalmente ci siamo recati alla mostra del
pittore lombardo, ospitata nelle scuderie del Quirinale. Alquanto suggestiva era l’atmosfera che
ha contribuito a far sì che l’osservatore venisse
abbagliato dalle opere caravaggesche, rimanendo
senza respiro e senza parole sufficienti ad esprimere, adesso, le sensazioni che quei quadri hanno
suscitato nell’animo, non riuscendo a condividere
con chi ora legge le emozioni così ben concretizzate in quei pochi metri di tela. La prima opera
della mostra che abbiamo avuto il piacere di ammirare è stata una delle prime e più note opere del
Merisi: la “Canestra di frutta”, piccola tela su cui
l’autore rappresenta una cesta contenente diversi
frutti, decorati con foglie di vite. Il gioco di luci
ed ombre è perfettamente in armonia con la tela e
ogni frutto è disegnato nei minimi particolari, dal
buco sulla mela alle foglie più lontane, completamente nere, piuttosto che quelle laterali ormai
secche, “accartocciate”, vere! Proseguendo per la
sala, caratterizzata da una penombra voluta per
lasciar che fossero le opere stesse ad illuminare
l’ambiente (riuscendo perfettamente nell’intento),
i quadri ci hanno catturato senza che fossimo realmente coscienti, la luce proveniva realmente dalle
tele, rischiarando il luogo. Le mani, le spalle, le
Incontro con l’autore:
il tema del viaggio
Giorno 7 maggio 2010 presso il cinema Morelli di Cosenza si è tenuta la manifestazione
“Premio per la cultura Mediterranea” indetta
dalla fondazione Carical. Erano presenti personaggi illustri per il panorama culturale , uno fra
tutti il giornalista e scrittore Riccardo Finelli,
che ha presentato il suo libro C’è di mezzo il
mare. Per scriverlo l’autore ha viaggiato per le
undici isole più piccole del Mediterraneo. La
manifestazione ha preso il via per mezzo di due
spezzoni di celebri film: “Mission” del regista
Roland Joffé e “Mediterraneo” di Gabriele Salvadores, entrambi accompagnati da melodie
eseguite dal vivo dal maestro Vincenzo Ricca.
L’incontro, inoltre, è stato coordinato dal critico letterario Paolo Collo. La manifestazione era
imperniata sul tema del viaggio, visto da diverse angolazioni e punti di vista. Con l’autore è
stato possibile ripercorrere i vari itinerari che,
nel Mediterraneo, portano alle piccole isole;
si è voluto ripercorrere anche il viaggio inteso
come mito. Infatti si è preso spunto dal viaggio
di Ulisse, viaggio mitico e pieno di insidie. Il
viaggio è stato presentato anche come mezzo
di scoperta, come ricerca e motivo di crescita.
Esso diventa metafora per trovare soluzioni atte
a risolvere gli innumerevoli enigmi insiti in ogni
uomo. L’incontro è stato molto importante perché ha fatto riflettere circa le diverse esperienze
che nel “viaggio” della vita ogni uomo può intraprendere e affrontare.
Carmela Vergadoro - Antonio Polino
intere figure umane sembravano uscire dai dipinti, venirci incontro, ancora impregnate dell’odore
delle pitture, farsi toccare, capire, e ritornare di
nuovo di corsa nel loro amorevole quadro, pronte
a stupire un nuovo osservatore.
Un’altra opera di meravigliosa bellezza è
stata “Amor vincit omnia”, raffigurante la vittoria
dell’Amore sulle arti, rappresentate dagli spartiti, i libri e gli strumenti musicali ai piedi del ragazzo alato. La peculiarità del dipinto è data dal
caos così paradossalmente ordinato che distingue
l’ambiente in cui il fanciullo (Amore), distrugge
gli oggetti simbolo delle arti, con il suo arco, con
in volto un sorriso beffardo, tipico di chi conosce la verità, di chi ha in mano il giusto, ciò che
predomina su tutto il resto, appunto l’amore. Un
altro quadro che tra i molti presenti alla mostra
ha entusiasmato più di altri, comunque straordinariamente belli, è stato “Il sacrificio di Isacco”
in cui si nota una ripresa della tecnica della “prospettiva dei perdimenti” di Leonardo Da Vinci,
affinché il paesaggio lontano potesse apparire
sulla tela come realmente veniva percepito dall’occhio umano: poco nitido, distante, occulto.
L’opera raffigura Abramo nel momento in cui
viene repentinamente bloccato dall’angelo prima
che uccida suo figlio Isacco, spaventato, disperato, con gli occhi confusi per il gesto tutt’altro che
amorevole che suo padre stava per compiere. Le
opere stimate sono state molte, tutte, ed ognuna
a suo modo, dimostravano la capacità del Merisi
di riportare su tela la dinamicità e il sentimento
della vita, del quotidiano, di un frutto come di un
bimbo spaventato dalla morte.
La mostra ha lasciato in noi un grande senso
di meraviglia, stupore davanti a quello che il genio dell’uomo è in grado di creare: la luce come
principio di ogni cosa, il buio come nascondiglio
dai pregiudizi e dai turbamenti. Ormai estasiati
dal bello, alla fine della visita alle scuderie del
Quirinale, dopo aver visitato il centro di Roma,
siamo ripartiti verso il “paterno ostello”, con in
mente ancora quella bellezza, felici di aver assaporato in poche ore tanta magia e di avere avuto,
come “rari” fortunati, la possibilità di vedere, sentire, percepire la vera essenza del bello.
Alessandra Spezzano (IVD)
Cultura e Scuola
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CALABRIA NOSTRA - I LUOGHI DELL’ARTE: STORIA, OPERE, PERCORSI
L’origine del Castello di Corigliano è collegata
all’immagine di Roberto il Guiscardo, il condottiero normanno che fra il 1064 e il 1080 lo realizzò nella Valle del Crati per sorvegliare e cingere
d’assedio l’abitato e i luoghi ribelli al suo asservimento: tra essi Rossano la bizantina. La data di
edificazione che attraverso i pochi e disorganici
documenti storici è andata affermandosi nel tempo, è il 1073. Il primo castellano fu un vassallo
del Guiscardo, un certo Framundo, proveniente
da Loudon in Francia. L’iniziale adeguamento fu
dovuto a Roberto Sanseverino, IV conte di Corigliano dal 1339 al 1361 che da un lato fu utile a
conformare parte del Castello a dimora gentilizia
e dall’altro fece prendere alla struttura la forma
particolare dell’architettura fortificata di età angioina. In base alla memoria locale, qui vide la
luce, nel 1354, Carlo D’Angiò che diventerà re di
Napoli col nome di Carlo III nel 1381. Nel 1487 il
Conte Girolamo Sanseverino, coinvolto nella
“congiura dei baroni”, venne espropriato di tutti i suoi
averi dal re Ferrante d’Aragona e imprigionato nel
Castel Capuano a Napoli,
dove morì. Sua moglie,
Giovanna Gaetani, riuscì a
salvarsi grazie ad una fuga
rischiosa che la condusse
in Francia. Dal 1487 al
1495 il Castello fu sotto
l’Amministrazione regia
diventando destinazione di
un presidio militare di cui
è noto il comandante Sansonetto Musitano. Nello
stesso periodo, probabilmente dal 20 al 23 marzo
1489, giunse in visita Alfonso D’Aragona, duca di
Calabria, che trovò il castello bisognoso di efficaci interventi. Infatti, tra
la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento l’architettura dei castelli attesta la ricognizione di risolvimenti innovativi e di adattamenti razionali, resi indispensabili dallo sviluppo
delle tecniche offensive con l’uso della polvere da
sparo. In questo quadro è netta la necessità per
l’autorità regia di organizzare un progetto organico di fortificazioni, con l’impiego della difesa a
muraglia bastionata e del contrattacco a tiro radente anziché a tiro piombante, nonché il coerente ricorso all’opera di uno dei più autorevoli
esperti di architettura militare, come Francesco di
Giorgio Martini, interpellato più volte dal re Ferrante d’Aragona a Napoli e noto nelle corti di tutta Europa. Su invito di Alfonso d’Aragona, il pittore, scultore, architetto e trattatista senese fu a
Napoli nel tempo compreso tra il 1490 e il 1497,
dove su commissione dello stesso regnante, dopo
Luciano Laurana, lavorò al rifacimento del Castello Angioino, impegnandosi anche in altre costruzioni esistenti nel regno. Per il Castello di Corigliano, come per quelli di Castrovillari, Pizzo e
Belvedere, avrebbe, secondo l’ipotesi pubblicata
dallo storico dell’arte Biagio Cappelli, su Napoli
Nobilissima nel 1969, potuto dare suggerimenti
per le mutate esigenze difensive, alla luce della
bombarda, nella costruzione del rivellino, con la
caratteristica impronta aragonese. Negli scritti,
come ad esempio nel Quinto trattato dedicato a
Forme di rocche e fortezze, e in molti disegni che
illustrano i Codici di Francesco di Giorgio Martini, troviamo una preferenza per le forme angolate
e concluse ai vertici da torri. Queste, con i rivellini sporgenti dalla cinta di fortificazione, control-
Il Castello
di Corigliano
Calabro
di Mario Vicino
lano il territorio dinanzi alle mura e consentono
una copertura ai lati, permettendo il tiro nelle due
direzioni opposte e rappresentano le idee più innovative nel campo dell’architettura militare. Per
adeguare il Castello di Corigliano alle nuove esigenze probabilmente fu richiesta l’opera di Antonio Marchesi da Settignano, collaboratore e uomo
di fiducia di Francesco di Giorgio Martini che già
aveva accompagnato nel 1489 il duca di Calabria
in una ispezione ai castelli del Regno e più tardi,
nel 1497, fu assunto alla carica di regio architetto
durante il breve regno di Federico, con il compito
di dare attuazione al piano generale e organico in
difesa di tutto il territorio, probabilmente già delineato dal Martini. L’intervento è messo in evidenza dal basso torrione rotondo angolare (oggi
Mastio), successivamente innestato sul corpo di
fabbrica a base quadrata con torri cilindriche nei
vertici, secondo i punti cardinali, nonché dal Rivellino. Presumibilmente i lavori di riattamento
del castello di Corigliano dovettero iniziare subito dopo la guerra contro i baroni. Il fortilizio venne restaurato per committenza reale e questo è
attestato dall’iscrizione collocata, con lo stemma
d’Aragona affiancato da due putti che mostrano i
segni della plastica fiorentina della fine del ‘400,
sulla facciata d’ingresso del ponte levatoio, a quel
tempo in legno: “Il re Ferdinando d’Aragona figlio del divino Alfonso nipote del divino Ferdinando fece restaurare, con danaro di bronzo raccolto pubblicamente, questa rocca, in rovina per
antichità, per tenere in fedeltà i cittadini, nell’Anno del Signore 1490. Questi lavori erano rammentati pure da un’altra incisione collocata nel
mastio recante la seguente iscrizione: “Ferdinando Re di Sicilia Gratia Dei Anno 1490”. La stessa
data chiude altre tre iscrizioni fatte apporre dallo
stesso regnante sui castelli di Castrovillari, Pizzo
(ora scomparsa) e Belvedere Marittimo. Nel
1515-1516 il conte Bernardino Sanseverino e
successivamente il figlio Pietro Antonio intrapresero una serie di operazioni di modifiche e restau-
ri. Quest’ultimo passò alla storia per la sua spiccata generosità. A lui si devono, nel 1535, le
magnifiche e costose accoglienze riservate a Carlo V, di ritorno dall’impresa di Tunisi, nel Castello
di San Mauro. I lavori di cui ho parlato prima permisero, nel 1538, di opporre resistenza all’incursione del pirata ottomano Kahyr ed-D’in. Fra il
1616 e il 1649 si definì il passaggio di proprietà
del feudo e del castello di Corigliano dai Sanseverino ad Agostino e Giovan Filippo Saluzzo, figli
del ricco mercante genovese Giacomo, che pagarono, ciscuno per la sua metà la cifra totale di
315.000 ducati. I nuovi signori, operanti a Napoli,
non riuscirono ad impedire il degrado e il progressivo indebolimento del territorio e nonostante
ciò nel 1649 Filippo IV concesse ad Agostino II
Saluzzo il titolo di duca di Corigliano, per il valore dimostrato in occasione della Rivoluzione di
Masaniello. L’aspetto che il castello in buona parte conserva ancora è dovuto ai
lavori ordinati fra il 1650 e il
1720 da Agostino II e Agostino
III. Alla prima metà del Seicento risalgono le operazioni per la
realizzazione della torre ottagona che sovrasta il Mastio, la
costruzione della Cappella di S.
Agostino, la sistemazione del
piazzale interno attraverso due
rampe di accesso. Successivamente venne curata la ristrutturazione e la decorazione di numerosi
ambienti,
nonché
l’ampia balconata esterna di
cui fu dotato il Salone degli
Specchi. Così rimesso a nuovo
il Castello potè ospitare, tra il
27 e il 28 gennaio del 1735, il
re delle Due Sicilie, Carlo III di
Borbone. Il generale napoleonico Reymier nel 1806 ordinò
il saccheggio e l’incendio della città di Corigliano. I cittadini, che si erano rifugiati nel castello, si
arresero quando videro il cannone del maggiore
Griois contro la porta principale. L’abolizione
della feudalità posta in atto dai Francesi costituì il
colpo di grazia per i Saluzzo che nel 1822 furono
costretti a cedere le loro proprietà a Giuseppe
Compagna e a suo figlio Luigi, nella seconda
metà dell’800 apportò al castello le ultime, definitive modifiche. Servendosi di una parte del grande piazzale, integrò i tre lati della struttura, incorporando in essa la chiesa di S. Agostino, prima
separata dal palazzo e affidandone la decorazione
al maestro fiorentino Girolamo Varni. Ancora tra i
lavori occorre ricordare il Sopralzo della Torre
Mastio ornato da dipinti dell’autore precedentemente indicato e il Salone degli Specchi, realizzato da Ignazio Perricci da Monopoli, con una prospettiva aperta su un cielo stellato definito
“palcoscenico della vita”. Nel 1872 Luigi Compagna commissionò a Domenico Morelli il trittico della “Madonna delle Rose con ai lati S. Agostino e S. Antonio Abate” (i Santi sono di allievi),
al quale sarà dedicata la mia prossima scheda. Altre opere di notevole fattura sono il “San Gerolamo penitente” e “l’Ascensione”, attribuite rispettivamente alla scuola napoletana di Luca Giordano
e al maestro genovese Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio. Ancora è da segnalare che l’elegante e severo corridoio detto “delle armi” su cui si
affaccia l’ingresso del Salone degli Specchi è dominato da due tele del pittore calabrese ottocentesco Raffaele Aloisio, una “Adorazione dei magi”
ed una “Presentazione di Maria al Tempio”.
Mario Vicino
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Cultura e Scuola
L’amore nella letteratura e nell’arte
“Volevi l’amore, amore vero, senza trucco, e comunque tu riesca adesso a ingannare te
stesso,volevi -non negare! -un amore felice, e se
questo non fosse stato possibile, ti saresti contentato anche di un amore infelice: ti bastava solo che
fosse l’amore..” Eugenij Evtušenko descriveva,
in questi versi leggeri come il respiro del vento, la
voglia d’amore di un giovane adolescente disposto anche a soffrire pur di conoscere il brivido, la
bolla di sapone dell’ “αντέρωѕ”.
Gaio Valerio Catullo nacque nell’83 a.C. e
sulla sua nascita si riverbera un sinistro presagio:
l’incendio del Campidoglio.
Ma forse Catullo non cercava il tormentoso
dono dell’amore e, impreparato, si ritrovò catapultato in un’altra dimensione fatta di sguardi più
eloquenti di mille discorsi, di intese segrete e di
giochi proibiti: Catullo s’innamora, si perde, brucia. Ma Clodia no, non ama, non è fedele. Avete
presente la tanto cara Penelope? La così virtuosa
Lucrezia descrittaci da Livio? Clodia è il loro opposto, i suoi occhi ardenti sfidano la morale dell’epoca, i suoi comportamenti libertini contrastano con i modelli tanto cari alla tradizione romana.
Clodia è un’adultera. Gioca con Catullo e poi lo
abbandona sull’orlo dell’abisso. Da qui l’Odi et
amo, carme numero 85 delle sue malinconiche,
sensuali, eleganti e raffinate composizioni. “Catullo scopre l’ambivalenza dell’essere e lo fissa in
una formula definitiva”, dice l’illustre studioso
Alfonso Traina. Il miglior omaggio glielo renderà un poeta che non lo ama, Baudeleire: dopo
averlo definito “poeta brutale ed epidermico” si
rivolgerà alla sua donna con l’ossimoro di Catullo: “Je te hais autant que je t’aime!”. Ricordò
Catullo anche Shakespeare che in una delle sue
tragedie scrisse: “I love and hate her”. Così come
fece il grande Lev Tolstoj, inserendo questa fatidica frase in un monologo del principe Andrej,
protagonista di Guerra e Pace.
Anche la Francesca dantesca, come Clodia,
tradisce suo marito. Si sa che la fedeltà è prima di
tutto una questione d’amore, Francesca non ama
e si macchia di tradimento. Dante, vinto dalla
pietà, comprende ma non giustifica e riflette sulle
responsabilità dello stilnovismo, stile poetico caratterizzato da uno squisito impegno formale e da
una tematica amorosa sensibile allo psicologismo cortese e all’idealizzazione della donna come
fonte di elevazione morale. Questo movimento
è colpevole di aver decantato amori di adulterini e tradimenti vergognosi suggerendo, secondo
Dante, comportamenti altrettanto riprovevoli. In
questo cerchio, quello dei lussuriosi, Dante non
poteva avere migliore guida. Virgilio era proprio
colui che aveva fermamente condannato la passione amorosa, nell’Eneide, in Didone, regina di
Cartagine, anche lei obbligata a restare in quel
luogo senza tempo e senza spazio. Virgilio, da
uomo augusteo, la biasimò perché “la passione è
distruttrice dell’ordine”; è la rivalsa del privato sul
politico, dell’individuo sul sociale, del principio
del piacere sul principio di realtà. A condannare la
passione amorosa ci penserà anche un altro latino:
Tito Lucrezio Caro. Il suo pensiero, intriso di filosofia epicurea, è che anche l’amore felice toglie
ogni pace, quando poi è infelice, l’uomo non ne
riceve che grossolani inganni e illusioni. Un po’
più ottimista fu il poeta e drammaturgo spagnolo
Federico Garcìa Lorca, fiore delicato di loto estirpato da un alito malvagio di brezza nella piena
fioritura della sua giovane primavera. La sua opera “Sonotes del amor oscuro” fu definita dal suo
amico Vincent Alexandr, che per primo nel 1937
ebbe l’onore di leggerla, prodigio di passione, di
entusiasmo, di felicità, puro e ardente monumento all’amore.
L’amore, l’amore vero, quel sentimento capriccioso, di cui non ci si rende conto e che nasce come una malattia, arriva, si insedia e dirige
tutto; solo le anime forti si lasciano trasportare.
Indimenticabili certi amori. Ricordate la passione
struggente tra Marco Antonio e Cleopatra? Sembrerebbe abbia cambiato il corso della storia. O
il desiderio esasperato di possedere Anna Bolena
che spinge Enrico VIII d’Inghilterra a chiedere il
divorzio da Caterina d’Aragona? Ha sconvolto il
quadro politico e religioso del mondo occidentale.
E Anita e Giuseppe Garibaldi? Coppie storiche.
Amori che hanno influito in maniera decisiva sul
nostro passato. Perché un momento può cambiare
la storia, ma l’amore cambia la vita. Oriana Fallaci, grande scrittrice e giornalista perse la testa per
il suo virile uomo greco e su di lui scrisse il suo
capolavoro, “Uomo”.
Cosa ne pensava la pittrice, scultrice e scrit-
trice messicana Frida Kahlo? Ricordo un quadro,
“Le due Frida”, già analizzato in questo giornale, rappresentante due donne, due Frida appunto,
sedute l’una accanto all’altra, con un cielo color
fumo come sfondo. Vi è una Frida in buone condizioni di salute e una seconda Frida ferita che perde sangue. L’una amata, l’altra no. Servendosi di
una pinza medica, la Frida ferita, tenta di arrestare
l’emorragia che parte dal suo cuore aperto. Ma il
male è fatto, lascia tracce, non riesce ad arrestare
il sangue di cui si svuota il suo corpo. Colei che
non è amata, lentamente muore. Spesso l’arte si è
occupata di amore; ha contribuito a rendere immortali le passioni di Romeo e Giulietta, Paolo e
Francesca, Psiche e Amore. Come dimenticare “Il
Bacio” di Francesco Hayes, raffigurante, forse,
i due giovani rampolli dei Montecchi e dei Capuleti? O “L’Addio” di Lionello Balestrieri e le
numerose sculture del Bernini? Si sa che si ama
solamente ciò in cui si persegue qualcosa d’inaccessibile, quel che non si possiede. Non riusciamo
a non amare ciò che non abbiamo e rincorriamo le
note musicali, che appena battute già svaniscono
e se ne vanno. Lo diceva anche Herman Hesse:
“Il nostro cuore è consacrato con fraterna fedeltà
a tutto ciò che fugge e scorre, alla vita, non a ciò
che è saldo e capace di durare. Presto ci stanca ciò
che permane.” Forse Catullo si sarebbe presto ‘disinnamorato’ di Clodia se lei fosse stata più fedele, se avesse rispettato il loro ‘foedus’, se fossero
mancati i colpi al cuore. In ogni caso “tutto ciò
che esiste, esiste per l’amore, e se l’amore non
si rivela in tutte le cose è soltanto perché noi non
vogliamo vedercelo.” L’amore è l’unica possibilità. Tutti sappiamo che dà più felicità essere innamorati che vivere un’esistenza tranquilla, provare
ad assaporare il gusto del gioco delle nuvole nello
stomaco. E quando cerchi sinceramente l’amore,
lo trovi che ti sta aspettando. Il ragazzo di Evgenij
Evtušenko può, dunque, stare tranquillo. Presto
partirà, conoscerà paesi che non ha mai veduto,
abbracciato da questo sentimento nella cui grandezza si rispecchia l’assoluto stesso. Ciò che la
Frida ferita non ha avuto, lui avrà.
Luciana Franzese I A Classico
NONA FESTA DELL’EUROPA
Giorno 8 maggio 2010, otto rappresentanti della nostra scuola si sono recati presso il Castello Ducale di
Corigliano Calabro in occasione della nona edizione della festa dell’Europa. Erano presenti rappresentanti
degli altri istituti superiori non solo della nostra cittadina ma anche di Rossano e Cariati. Tra gli ospiti, oltre
che all’assessore regionale Caligiuri, docente di comunicazione all’università della Calabria, al Deputato
parlamentare Giovanni Dima, al Sindaco della Città Pasqualina Straface e al Presidente dell’associazione
“Otto torri sullo Jonio” Montesanto, vi era il Deputato al Parlamento Europeo Barbara Matera, rappresentante di ben sei Regioni: Calabria, Basilicata, Puglia (sua regione di provenienza), Campania, Molise ed
Abruzzo. L’Europarlamentare Matera è la più giovane rappresentante all’interno del Parlamento Europeo,
merito che ci rende orgogliosi del nostro Meridione. E’stata invitata, infatti, poiché è considerata quasi
una nostra “coetanea” che si esprime con un linguaggio più accessibile ai giovani. Oggetto dell’iniziativa
è stata una sorta di “chiacchierata” con i giovani al fine di comprendere ciò che si intende per Europa.
La prima ad intervenie è stata il sindaco Straface che, onorata dalla presenza dell’ospite d’eccezione, ha
espresso brevemente il desiderio vivo di un’Italia che sente sempre più doveroso l’appartenere concretamente all’Unione Europea con lo scopo di una vera unità.
In seguito è intervenuta il Deputato Matera che, curando la pubblicazione di un libricino distribuito
a ciascuno di noi, contenente (non in forma integrale) i diritti fondamentale dell’Unione Europea, ci ha
dato alcune delucidazioni. L’Italia, pur essendo invidiata per il suo “carattere aperto e socievole” e per
la sua identità nazionale, a differenza di Paesi come Francia, Spagna, Portogallo ecc. sente meno vivo
il desiderio dell’appartenenza all’Unione Europea. Ha chiarito, poi, la sua posizione molto importante
all’interno del Parlamento raccontandoci che, nel momento in cui si doveva intervenire per i terremotati
dell’Aquila nel Settembre scorso, se non fosse stato per lei, la sola italiana e quindi maggiormente interessata alla questione, l’invio dei fondi sarebbe stato posticipato di circa un anno per sole “incomprensioni
linguistiche”.
In seguito è intervenuto il Deputato Dima che, avendo ricoperto negli anni scorsi la carica di Assessore
Regionale all’Agricoltura, ha illustrato l’esempio di un’unità vera tra Paesi Europei pur geograficamente
lontani. Circa 15 anni fa, infatti, la Calabria combatteva per l’apertura del commercio degli agrumi anche
in Paesi Sudafricani, così come l’Irlanda lo faceva per la lana da pecora con i Paesi Nordafricani.
L’assessore Caligiuri, illustrando il problema della spesa dei fondi disponibili utilizzati non in modo
equo, ritiene di avere fiducia nei giovani del Mediterraneo al fine di costituire uno Stato compatto e coerente.
Gli interventi sono stati alternati da video-clip che illustravano l’evoluzione negli anni del’Unione
Europea chiarendo anche la posizione di Robert Schuman che per primo promosse l’iniziativa della sua
formazione. Il Deputato Matera ha concluso dicendo che promuoverà l’apertura di vere e proprie scuole
di formazione politica nelle sei Regioni del Meridione. Lo scopo dell’iniziativa è quello di stimolare i
giovani non solo a sentire la propria identità nazionale ma ad identificarsi anche in quella europea.
Giulia Fino III C
Cultura e Scuola
Garibaldi nell’Arte
Mercoledì 24 febbraio 2010 presso la Biblioteca Universitaria Nazionale di Cosenza diretta dalla Dott.ssa Elvira Graziani, si è svolto il
convegno Garibaldi e la Spedizione dei Mille
nell’ambito del 150° Anniversario della proclamazione del Regno d’Italia. Alla presenza
di una folta e qualificata platea, il prof. Mario
Vicino ha relazionato su Andrea Cefaly, Pittore, Poeta e Patriota Garibaldino, introducendolo con una panoramica rivolta ai Macchiaioli.
In essi, ha sottolineato il docente, la volontà di
rifondare il linguaggio artistico è stata sempre
strettamente legata alla forte tensione morale e
al coinvolgimento nell’azione politica, ed uno
degli elementi che accomuna questo gruppo di
ammiratori di Mazzini e di Garibaldi è stato
la costante condivisione dei valori di patriottismo e di democrazia, una democrazia dai tratti
anche molto radicali, con chiare propensioni
verso il socialismo, come, ad esempio, avverrà
per Telemaco Signorini e Diego Martelli. Con
la guerra del 1859 e la fine del Granducato di
Toscana e poi nel 1860 con l’impresa dei Mille
si apre un altro decennale e decisivo capitolo
del movimento, riguardante non solo la ricerca pittorica ma pure una partecipazione attiva
di molti Macchiaioli alle battaglie del Risorgimento. Anche chi non partì in questi frangenti
darà poi il suo contributo sul piano artistico, ed
è questo, ad esempio, il caso di Giovanni Fattori che, anche se non si misurò sui campi di
battaglia, fu in molti modi, fin dal ’48, sempre
dalla parte dei patrioti, traendo ispirazione da
temi e soggetti di ambiente militare. Osservando opere realizzate soprattutto intorno al 1859,
vediamo che protagonista di vari dipinti macchiaioli è il tricolore italiano e non sarà difficile individuare rapidi accostamenti di bianco,
rosso e verde, a volte assai minuti, segnali allusivi di un fervore patriottico autentico. Con
l’illustrazione del dipinto l’Imbarco dei Mille
a Quarto, realizzato da Gerolamo Induno nel
1860, che documenta quasi fotograficamente la partenza della Spedizione garibaldina, il
prof. Vicino ha concluso l’introduzione della
sua relazione. Successivamente è passato allo
specifico dell’argomento trattato evidenziando
che in Calabria l’ambiente di gran lunga più
evoluto, in una temperie artistica che si afferma
principalmente nel secondo Ottocento, è quello
di Catanzaro per la presenza di alcuni artisti di
rilievo, primo fra tutti Andrea Cefaly (18271907), che appare senz’altro come uno degli
esponenti significativi -pittore, scultore, scrittore d’arte, poeta, patriota, musicista (suonava
anche il pèssolo, di sua creazione, dotato di
sole tre corde) e uomo politico- dell’Ottocento
calabrese. Per la monografia critica sull’artista
e per la sua cronologia un decisivo contributo è
giunto al prof. Vicino dai documenti dell’archivio Cefaly a Cortale, suo paese d’origine, divenuto per breve tempo cenacolo artistico specialmente negli ultimi anni di vita del maestro.
L’attività artistica del Cefaly s’intreccia più
volte con la sua vocazione di patriota garibaldino e ne rimane spesso condizionata. Formatosi
a Napoli, alla scuola di Giuseppe Mancinelli, se
ne discostò ben presto, nell’intento di superare
il portato romantico della Scuola di Posillipo
alla ricerca di una nuova poetica del “vero” e
del rinnovamento dell’arte con la ribellione alle
Accademie. Ai due poli estremi erano da una
parte le idee di Filippo Palizzi, tanto innamorato della realtà naturale, dall’altra quelle del
Morelli, per il quale l’arte consisteva nel rappresentare figure e cose non viste ma immaginate. L’adesione programmatica ai nuovi ideali
fu proclamata più volte dal Cefaly: “Le copie
del reale debbono chiamarsi studi; le imitazioni
del reale, che tendono alla manifestazione del
Vero… opere d’arte… A me pare che il Vero
sia tutt’altro che il Reale. Il Vero io considero
come scopo, ed il Reale, mezzo. Quello tenta
di raggiungere la forma estetica del pensiero;
questo costituisce il magistero nell’esecuzione”. Un dualismo che lascia ampio spazio ad
ogni intento e che serve a comprendere tante
felice digressioni del pittore, inclusi i quadri
di ispirazione dantesca analizzati in questo
stesso numero del giornale. Giova ricordare
l’ammaestramento di Andrea Cefaly ai giovani, che invitava a trattare soggetti del proprio
paese, ispirandosi alle glorie antiche, però con
gusto e spirito di attualità. Consolarono l’artista -ha continuato il professore Vicino- le lodi
dei grandi del tempo e ancor più il riconosciuto merito da parte del Re Vittorio Emanuele II,
che lo invitò nel 1860 ad eseguirgli quella che
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fu La Battaglia del Volturno. Stupendo quadro
storico d’insieme, presentato dalla mostra di
Firenze del 1861, ora conservato al Museo Nazionale di Reggio Calabria, che si può ritenere
l’opera più bella e più nobile del grande Maestro. Rappresenta la vigilia della resa di Capua,
quando Garibaldi, vistosi circondato dai soldati
borbonici in numero predominante, si alza sulla carrozza e grida quelle memorabili parole:
“Sfondate quella canaglia!”. L’eroismo dei volontari, a costo di duri sacrifici, fruttò la vittoria. Lo sviluppo lirico dei toni rossi di fiamma
su uno sfondo di cielo grigio-azzurro, racchiuso fra nuvole che riflettono una luce che illumina tutto il fondale con quella tecnica tanto cara
al Cefaly, ci riporta più da vicino al Palizzi. Il
paesaggio è analitico, movimentato in gamme vivide e briose di colore; il dinamismo dei
gruppi e dei cavalli risalta con chiara evidenza.
Paolo Emiliani-Giudici, lodandone l’eleganza
del disegno e la rappresentazione felice, notò
ragionevolmente che sulla tela i toni rossi sono
troppo spinti. Ma chi non vorrà scusare al Cefaly l’eccesso lamentato dall’Emiliani-Giudici,
pensando che il quadro fu fatto in momenti di
estremo entusiasmo per le Camicie rosse, e che
chi dipingeva, garibaldino acceso, aveva poco
tempo prima preso parte alla battaglia che riproduceva, raffigurandosi nel gruppo dei combattenti sulla sinistra? La composizione ripristina
lo schema primordiale classico, con al vertice
il condottiero a cavallo con la spada sguainata;
è questo elemento strutturale che conferisce al
dipinto un tono celebrativo. Invece -continua
il prof. Vicino- per ciò che concerne la rappresentazione del paesaggio, Cefaly si era avvalso
degli studi compiuti a Sorrento, dove fu ospite
di Nicola Palizzi. L’idea dell’unità nazionale lo
prese tutto e Garibaldi nel 1862 così scriveva:
“Forti uomini come coloro che combatterono al
Ponte di Turrina, commilitoni miei a Soveria,
Caserta, Capua e che compongono la brava società degli Artieri di Cortale che io amo e stimo
e non dimenticherò certo in un nuovo bisogno
del Paese”.
Molto diverso appare un altro episodio di
vita militare, il Bivacco di garibaldini (Catanzaro, Museo Provinciale), quadro di straordinaria fattura che riproduce una semplice scena
di vita militare, con pennellate pastose e calde, espressive della “macchia”, incorniciata da
una natura a luce diffusa e libera chiaramente calabrese per una pausa “domestica” degli
uomini in “divisa”. A questo stilema vanno ad
ascriversi anche la tela di recente acquisizione
Garibaldi all’assalto (Lamezia Terme, collezione privata), il pastello Episodio garibaldino
e l’Autoritratto in divisa garibaldina, entrambi
nel museo provinciale di Catanzaro.
Il prof. Vicino ha concluso la sua relazione
affermando che questa è l’arte di Andrea Cefaly, come è arte della sua vita e della sua passione di uomo nobile e generoso, quella nata
durante la sua vita politica, quando, raggiunta
la libertà, egli sentì il dovere di essere il deputato della sua terra, dopo l’annessione delle
province meridionali al Regno d’Italia e tale
rimase per la XII e XIII legislazione. Sedendo
a sinistra, da buon garibaldino, accanto a Bovio
ed a Cavallotti, difese la sua terra di combattenti generosi e di rudi contadini, ignorata e depressa, senza strade e senza scuole, senza lustro
e senza gloria.
Giacomo Gilio
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Riflettendo
Meditazione sulla dignità umana
La dignità umana a cui frequentemente ci
appelliamo non è facile da definire in senso assoluto; la storia insegna che è stata variamente
interpretata e solo in epoca moderna è stata riconosciuta a tutti gli uomini. Inoltre il suo chiaro
rapporto con l’incomprensibile enigma della vita
rende il tutto più difficile da esplicare. Così come
la dignità umana è universalmente riconosciuta ai
nostri giorni come il fondamento dell’uguaglianza, in passato non è sempre stato così. Nel mondo
classico infatti non vi era una dottrina filosofica o
religiosa che affermasse l’uguaglianza di dignità
tra gli uomini. In seguito, il tema della dignità fu
approfondito dallo Stoicismo che, in virtù della
partecipazione del logos umano a quello divino,
affermava presenza delle virtù negli uomini a prescindere dal ceto sociale e dal sesso. E’ solo con
l’avvento della dottrina cristiana però, che comincia ad emergere il concetto di dignità umana conosciuto ai nostri giorni. Per il cristianesimo gli
uomini sono tutti portatori di un valore, o dignità,
in virtù della loro natura creata ad immagine e somiglianza di Dio. Tale dignità, per il cristianesimo, é innata nell’uomo ed è un valore di cui l’uomo non può essere privato in quanto presuppone
il suo stesso essere.
Possiamo davvero considerare la dignità umana come innata? E come ugualmente presente in
tutti gli uomini? Di fronte a vicende come quella
di Eluana Englaro, il mondo si indigna e riflette ma non trova una risposta a questa domanda.
A mio parere, un uomo privo di dignità non può
esser definito tale! Ogni uomo, poiché dotato di
intelletto e ragione, è “dignus” di pari diritti e doveri qualsiasi sia la sua razza, provenienza e religione. Se a dotarci di un’intelligenza superiore
sia stata l’evoluzione o un essere trascendente ci è
oscuro, ciò che posso affermare senza dubbio è la
posizione privilegiata del genere umano all’interno di quella parte dell’universo che conosciamo.
Sarebbe riduttivo pensare che le giuste condizioni che avrebbero favorito la vita sulla terra siano puramente casuali, se riflettiamo è più facile
immaginare che l’uomo sia il fine di un piano
premeditato e incomprensibile per il suo intelletto
finito. Considerando questa ipotesi, l’umanità acquista un valore inestimabile e non paragonabile
a nessun’altra specie vivente. In questo consiste,
a mio parere, la dignità umana intesa come valore
inestimabile e intrinseco di ogni essere umano. Se
possiamo considerare il genere umano come fine
ultimo dell’ordine cosmico, non possiamo escludere da questa cerchia nessuna tipologia umana,
né tantomeno operare una distinzione in classi, in
quanto sappiamo anche attraverso la scienza che
senza la parte non esisterebbe l’unità. Chi può stabilire se un uomo in stato vegetativo persistente
sia privo di dignità, o se abbia il diritto di continuare a vivere? Molti risponderebbero la scienza,
ma non è cosi. Innanzitutto perché la scienza non
ha compiuto grandi passi avanti in questa direzione, e perciò non è in grado di stabilire se le
condizioni di un malato in stato vegetativo siano
davvero “irreversibili” o “temporanee”. Di conseguenza, nel dubbio, la scienza non diventerebbe
altro che uno strumento della scelleratezza e dell’arroganza umana. L’uomo non può arrogarsi il
diritto di decidere della vita di un suo simile, se
così fosse dovremmo rielaborare le nostre carte
costituzionali e non considerare più l’omicidio un
reato punibile. C’è una enorme differenza tra aiutare un paziente a morire (alleviando le sue pene)
e lasciarlo morire di fame e di sete. Il «diritto ad
una morte dignitosa» non può essere scambiato
con il «diritto di essere messi a morte».E’ vero
che ogni uomo ha il diritto di morire dignitosamente, ma la dignità umana è presente nell’uomo
a prescindere dalla qualità della propria vita. Purtroppo, però, il diritto di morire in dignità è uno
dei principali argomenti utilizzati per promuovere
la legalizzazione dell’eutanasia. Siamo tutti possessori della dignità umana ma nessuno di noi può
pretendere di considerarsi legislatore della propria
o di quella altrui. Lo stesso assurdo è alla base
di una pratica disumana come la pena di morte.
Colui che è colpevole, qualsiasi reato si tratti, va
rieducato al rispetto del prossimo e della legge, e
non può essere privato della vita come fosse uno
scarto dell’umanità! I paesi nei quali la pena di
morte è ancora prevista dal codice penale dimostrano di considerare l’uomo pari ad un qualsiasi
animale e sono il simbolo di una società radicata
nell’odio e nella superbia. Anche un embrione
nel quale ancora non batte un cuore, è certamente
dotato di dignità umana. Dal punto di vista giuridico però, un feto fino al terzo mese di vita non
gode di alcun diritto e la madre può tranquillamente decidere di liberarsene. L’aborto tradisce
perciò il principio della dignità, alla base della
dichiarazione universale dei diritti dell’uomo,
calpestando la vita di una creatura umana. Anche
se molte donne si sentono costrette a sottoporsi a
tale pratica, a causa per esempio delle condizioni
economiche, è necessaria la presenza di ulteriori
organizzazioni che mirino a sostenere le madri
sia dal punto di vista psicologico che economico.
Inoltre, i consultori e le strutture socio-sanitarie
dovrebbero effettivamente cercare, insieme ai genitori, delle soluzioni alternative all’aborto. Dal
numero di aborti, che ogni anno si compiono in
Italia e nel resto del mondo, si può ben capire che
tutto ciò è assente! In virtù della coscienza che ci
distingue dalle bestie, il rimorso di un rifiuto alla
vita è indelebile. Se un feto non può reclamare il
proprio diritto alla vita, come altrimenti potrebbe
chiamarsi chi glielo nega, se non codardo? Eticamente parlando, credo sia contraddittorio considerare un reato l’abbandono di minore, punibile
tra l’altro con il carcere da 6 mesi a 5 anni, e considerare legale l’aborto prima dei tre mesi. Non
esiste una differenza sostanziale tra un omicidio
ed un aborto: entrambi pongono fine ad una vita
umana. La dignità, come su detto, è inscindibile
dall’uomo, non può essere né acquistata né ceduta
in quanto accompagna l’essere dal concepimento
fino alla morte. Definirei l’immigrazione come la
causa di una mancata riconoscenza di dignità a
delle persone, costrette perciò ad abbandonare la
propria terra per recarsi in altri paesi a rivendicare
i propri diritti, indispensabili per la realizzazione ma più che altro per la sopravvivenza. Non si
può discriminare un uomo per il colore della sua
pelle e per la sua religione, a maggior ragione se
questo si reca nel nostro paese elemosinando un
po’ di dignità. L’immigrazione costituisce un problema, non tanto perché gli stranieri disturbino
il quieto vivere dei cittadini italiani ed europei,
ma piuttosto per l’assenza o la lieve efficacia della legislazione relativa. Accusare questa povera
gente, venuta in cerca di lavoro, di essere la fonte
principale della criminalità è uno scudo che non
reggerà a lungo. Non si può guardare con sospetto
un uomo solo perché attraverso il lavoro tenta di
riguadagnare la dignità perduta. Lo Stato italiano,
e gli altri direttamente interessati, non possono limitarsi ad una politica di espulsione ma devono
analizzare il problema all’origine, attraverso una
politica di cooperazione tra gli Stati che attui un
sostanziale cambiamento per le condizioni di vita
di ogni essere umano. Ogni barriera, per quanto
possa sembrare invalicabile, di carattere culturale
o religioso che sia, può essere abbattuta se solo ricordiamo lo stretto legame che unisce ogni uomo
con il suo prossimo: la Dignità umana.
Teresa Santo V A
Ambientazione moderna della
parabola del “buon samaritano”
In una sera di settembre, in uno dei tanti bar di Cosenza, alcuni ragazzi di giovane età, come è
solito avvenire alla loro età, bevono una considerevole quantità di alcool.
Forse per sentirsi in una condizione mentale differente, forse per pavoneggiarsi, o per altri motivi, i ragazzi continuano e continuano a bere, dalle bibite più leggere a quelle più pesanti.
Ormai i ragazzi sono ubriachi, e, fatta l’ alba, decidono di tornare a casa.
Così, entrati in macchina, si avviano verso la periferia della città. Come malauguratamente
succede quasi sempre, i ragazzi incontrano un destino poco invidiabile andando a sbattere contro
un muro.
Lì, uscendo fortunatamente dal veicolo, si mettono in salvo, ma ormai stremati dagli effetti dell’alcool, si abbandonano sanguinanti per terra. Ormai si è fatta mattina, e incominciano a passare
le prime macchine per la periferia della città.
Gli automobilisti passanti non si curano neppure di scendere dal veicolo per controllare le condizioni dell’auto né quelle dei ragazzi.
Però, alcuni barboni, mentre si riscaldavano le mani in un bidone, accorrono e salvano i poveri
ragazzi.
Questo è vero, soprattutto nelle grandi città, dove la legge dovrebbe essere più controllata e
sicura, e dove quasi ogni sera ad un ragazzo avviene la stessa sorte della storia appena esposta.
Come se non bastasse, i cittadini passanti e presenti, si disinteressano delle disgrazie avvenute e
continuano la loro piccola vita, dando prova di stoltezza e di scorrettezza.
Anche se tutto però potrebbe sembrare perduto, non lo è per alcuni. Infatti i barboni aiutano i
ragazzi, salvandoli da una sorte che avrebbe provocato loro una sicura morte.
Un goal per la vita e come aiutare chi ti sta vicino.
De Carlo Francesco I B
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Il vero profumo della vita
La fragranza degli alberi in fiore in questo periodo, sta portandomi indietro nel tempo. Il profumo della zagara spalanca le porte del mio stretto
passato, rigenera i miei pochi ma preziosi ricordi,
lascia spazio alle mie ombre.
Intravedo tra lo sfavillante biancore dei petali, la possibilità di arrivare da qualsiasi
parte, nello spazio e nel tempo, ovunque desidero.
L’orologio si blocca, ed io torno
ad essere una bambina e dimentico la
scomparsa, dimentico la morte, risorgo
alla vera meraviglia della vera esistenza. Rammento allora, la bellezza dello
stare insieme alla mia famiglia in maniera semplice, del divertirsi intorno ad
una tavola affrontando temi diversi, a
volte zampillanti in animate discussioni, a volte sprizzanti di ilarità tutt’altro
che fastidiose.
Risento il tamburellare canonico
del ferro su quella ormai troppo corrosa superficie in legno, solida base che,
lasciata ad un fermo riposo, diventava
letto per quella pasta fresca che avrebbe
fatto felici molti.
Chiudo gli occhi e il sapore di quel piatto di
amore e attenzione, viene allontanato dal rumore
di enfatiche ed ampollose risate che si susseguono creando confusione e rendendo quel salotto il
luogo perfetto per raccontarsi, per canzonarsi, per
consigliarsi.
Tra quelle passeggiate troppo brevi per essere
definite viaggi, tra quelle vacanze troppo brevi
eppure piene di scoperte seducenti, affascinanti, alla scoperta del vero valore di ognuno, tra le
mille borse che ogni volta ci portavamo dietro,
tra le mille borse di cui ognuno doveva rendersi
aggancio, tra quei cestini sempre ricchi di profumi meridionali, mi immergo ancora nella bellezza
delle nostre montagne e nella fantasiosa vitalità
che ci investiva quando, sdraiati su una semplice
coperta di lana stesa in terra, ci sentivamo felici,
ricchi...
La mia mente si sposta, si lascia immergere nel
nostro mare, un mare che con stupore, una calda
giornata di Agosto, ti aveva riportato indietro nel
tempo, Edda, quando il vero bagno consisteva in
uno ed un solo tuffo, profondo, senza fine, quando
il vero bagno era solo il riemergere in mezzo al
blu intenso del mare.
Ti rivedo lì sulla spiaggia in attesa di un suo
ritorno, e ti rivedo lì, sulla stessa spiaggia, vestita
di nero, con lui nel tuo cuore, e con gli occhi pieni
di gioia, una gioia scaturita dal semplice ricordo,
lo stesso che mi sta facendo versare una lacrima.
Le calde serate estive, passate intorno ad una
panchina colorata, che, negli anni, continua ad alluminarsi di malinconiche cicatrici, diventeranno,
forse, consolatrici moleste per coloro che non si
lasceranno confondere dal trascorrere del tempo,
dal lento ma inesorabile avvento del caldo soffio
dell’obliare.
Ricordo lo squillo del telefono, solo mezzo per
collegare ciò che la vita aveva separato, e il suono
della tua voce, un susseguirsi di nostalgici e tristi
lamenti, di gioiosi e felici racconti,e lo scintillare
dei tuoi occhi e la rabbia per quel biglietto di sola
andata che non riusciva però a smembrare e scu-
cire la stoffa dello stesso vestito.
Sarà difficile abituarsi al cambiamento specie
per coloro che lo rinnegano per la semplice impossibilità di rendere reale ciò che non si riesce
a capire. Tolstoj affermava che non si può sparire
definitivamente se le proprie radici sono state in-
stillate in altri, e allora sono sicura che non sarò
mai sola, che potrò sempre raccontarmi ed essere rasserenata, che sarò sempre accudita e amata.
I tempi in cui, dolcemente accarezzata, venivo
spinta verso il limite, venivo spinta all’immaginazione, alla costruzione, quindi, del mio futuro,
non possono finire. Non termineranno perché a
Pasqua, a Natale e a Ferragosto, non ero sola, perché so cosa potresti dirmi in ogni istante della mia
giornata,nonna, perché mi è stato insegnato che la
fantasia sta alla base di qualsiasi creazione.
Tra alcune foto, ingiallite ormai, ritrovo l’essenza cardine di qualsiasi amore: il rispetto per la
libertà e la splendida melodia sussurrata dal ponderoso battito della dignità.
Se potessi scattare una fotografia, ora catturerei il bianco del cielo in quelle giornate in cui
l’azzurro lascia spazio alla luce, una luce astratta,
irreale, catturerei il bianco del cielo in quelle giornate in cui aspetto sempre che un pittore venga a
dargli una sfumatura, perché adesso so chi sarebbe il pittore.
Ricordo le braccia, la forza, l’ insaziabile voglia di vivere una vita piena; ci resta un fumetto:
una ribelle eroina che sfida le consuetudini di chi
distingue la propria vita da quella degli altri, senza accorgersi che queste sono uguali, che regala
la possibilità di competere con i sogni che si fanno comprendendo che questa realtà sarà sempre
uguale a quella futura se non si agisce,perché il
passaggio è frutto di ciò che si è voluto apprendere nella realtà precedente.
Un’eroina che vola ora libera di andare dove le
aggrada andare, mi ha insegnato, assieme ad una
tribù di saggi, che la ricerca del paradiso equivale
alla ricerca della propria perfezione, una perfezione non canonizzabile, non paragonabile a quelle
degli altri.
Ho appreso che la vita è più forte della morte,
perché la vita non muore.
Ho capito che sarò, che sarai, che sarete vivi
fino a quando sentirò ancora questo buonissimo
profumo di zagara, il profumo della vera vita.
Anna Sassanelli (IV A)
Basta poco per essere poeti…
La poesia: riflettiamo su
questa “enfatica” parola
Sin dalla sua nascita, questo genere letterario ha affrontato le più disparate tematiche:
dall’amicizia al rancore, dalla rabbia alla
felicità, o persino dalla situazione economico-sociale alla politica. Tanto che tutti, senza distinzioni di età o sesso, si improvvisano
poeti, affidandosi alla poesia soprattutto per
dar sfogo alla propria anima. La poesia è, infatti, considerata da sempre la quintessenza
dell’animo umano, la maniera più limpida per
dar voce all’urlo del cuore.
Questo pensiero, probabilmente, sarebbe
pienamente condiviso da uno dei poeti latini
più studiati nei licei italiani, ovvero Catullo.
Egli scriveva di temi quali l’amore e l’amicizia, e per questo aveva attirato su di sé l’ostilità di Cicerone, che considerava Catullo un
“poetastro”, poiché egli si rifiutava di prender
parte in politica con i suoi carmi. Nella poesia
di Catullo vengono infatti affrontate diverse tematiche, ma quella che prevale su tutte
è l’amore; fu infatti ispirato particolarmente
dalla sua relazione con Lesbia.
Il carme per eccellenza che sembra racchiudere in sé tutti gli aspetti ritenuti fondamentali dal poeta latino è il Carme 5, ovvero “Dei
baci”. Figurano in esso, infatti, la maggior
parte dei temi da lui affrontati, come l’ostilità
nei confronti della sua relazione con Lesbia,
ritenuta una “donna dai facili costumi”; naturalmente il loro amore, e un altro aspetto molto importante come la brevità della vita.
Concetti come l’invidia e la rabbia di quelli considerati i saggi, e l’invito a cogliere gli
attimi più belli che la vita ci offre, si sono tramandati nei secoli giungendo fino ai grandi
della nostra epoca. Non è un caso, dunque, se
anche poeti del 900 come Jaques Prevert riprendano i temi di Catullo. La poesia del poeta e sceneggiatore francese che più richiama
il Carme dei Baci è “I ragazzi che si amano”.
In questo componimento spiccano gli stessi
concetti espressi dal poeta latino, come l’ostilità dei passanti verso i ragazzi, che vengono additati come giovani senza pudore per la
loro spontaneità nello scambiarsi effusioni.
Tematiche come queste vengono adattate, ai
giorni nostri, a diverse forme d’arte come la
musica, degnata dai giovani di grande attenzione, al pari della poesia, più idonea a menti
più mature.
La poesia è molto contorta, e satura di significati, poiché è l’espressione artistica più
spontanea.
Ma forse, se riflettiamo bene, per essere
poeti non bisogna per forza avere un’ampia
conoscenza di autori o tematiche letterarie.
Tutti, forse, possono essere poeti; aprendo
il cuore, e lasciando che i propri sentimenti
come la rabbia, l’amore, l’amicizia si trasformino in parole. Una dedica, uno sfogo, persino un’e-mail può essere una forma di poesia.
La poesia, infondo, è intorno a noi; in una
canzone, in un tramonto, in una notte stellata:
basta solo liberare la mente, sciogliersi da catene di razionalità e saperla vedere.
Elvira De Carlo
Maria Letizia Madeo
Mariarita Petrone
V A Liceo Classico
Giovanni Colosimo
12
L’approccio dei Le ragazze di oggi
giovani al mondo
del lavoro
Nella società di oggi è molto diffusa la
crisi economica, che si ripercuote maggiormente sulle famiglie, ma anche sui giovani.
E’ sempre più difficile trovare un posto di lavoro stabile: per lo più, i ragazzi trovano solo
lavori momentanei, con un contratto a tempo
determinato, oppure, alcuni sono ‘costretti’
a lavorare in nero per guadagnare qualcosa.
Ormai è sempre più diffuso questo problema,
ma, nonostante ne parlano tutti, nessuno fa
nulla di concreto per risolverlo, tanto meno
lo Stato! Si dice anche che per essere assunti
c’è bisogno di una laurea, ma purtroppo non
tutti hanno la possibilità di conseguirla, mentre altri preferiscono imparare un mestiere.
Le leggi, però, non vanno nella stessa direzione, perché, anche se tutelano i ragazzi dallo
sfruttamento, non permettono di apprendere
un lavoro: secondo la legge, un ragazzo può
‘stare’ in un esercizio pubblico o seguire un
artigiano dai sedici anni in poi. A questo proposito, i nostri nonni dicono spesso che, per
apprendere un mestiere, si deve frequentare
l’artigiano sin da bambini. Per esempio, seguendo un idraulico o un elettricista, il ragazzo si appassiona stando a contatto con fili, viti,
ecc. o in lui nasce la voglia di creare qualcosa
dal nulla, che sia vetro o legno, seguendo un
falegname o svolgendo qualsiasi altro lavoro.
Oggi, invece, fino ai sedici anni, vivono tra
computer, cellulari o altre attrattive, tipo videogiochi, palestra o danza: in questo modo,
quando raggiungono l’età per apprendere un
mestiere manuale è troppo tardi, e quindi,
dopo il diploma, si trovano senza aver fatto
nessuna pratica. Alcuni ne approfittano, cullandosi, sapendo comunque di avere una famiglia alle spalle che li mantiene, arrivando
anche all’età di 35-40 anni, senza aver raggiunto nessuno scopo positivo nella vita, né
lavorativo né personale: questi sono i famosi
“Bamboccioni”, e purtroppo aumentano sempre di più, visto anche il fatto che la società
non lascia molta disponibilità per creare un
futuro stabile e sicuro ai giovani che un giorno ne faranno parte.
Amica Francesca Valentina
Scura Maria
Romano Irene
Nagornyy Sergiy
Classe III A
Le ragazze di oggi vivono l’adolescenza in maniera piuttosto differente rispetto a quelle del passato: la società odierna, infatti, è piena di giovani
che affrontano il quotidiano con menefreghismo e
molta superficialità, dando maggiore importanza
alle cose materiali che non a quelle morali.
Una volta, le ragazze erano già delle piccole
donne a dieci anni: sapevano lavare, stirare, cucinare; venivano spesso lasciate sole in casa a badare a fratelli, sorelle più piccoli; erano insomma
già pronte ad affrontare un eventuale matrimonio.
Venivano educate con i valori della famiglia, dell’amore, del rispetto; la loro massima aspirazione era quella di diventare moglie e madre! Non
a caso infatti, ci si sposava giovanissime, dopo
lunghi fidanzamenti. Questi atteggiamenti erano
tipici del passato, poiché la donna era ancora vista
come una figura di poco rilievo; era una ragazza
che non usciva, che spesso non veniva neanche
mandata a scuola, che doveva occuparsi solo della casa.
Oggi invece? È risaputo che, nel corso degli
anni, la società ha subito cambiamenti enormi, di
conseguenza ha anche alterato i comportamenti
dell’individuo: così, anche l’adolescente ha ottenuto la sua indipendenza che, non sempre però è
in grado di usare correttamente. Molti adolescenti infatti, soprattutto le ragazze, estremizzano la
loro persona poiché sentendosi già donne a tutti
gli effetti, si reputano in dovere di fare determinate cose.
Probabilmente, causa principale di questi atteggiamenti, sono i modelli sbagliati che la televisione oggi impone: questo potentissimo mezzo
di comunicazione, ci mostra frequentemente, programmi che trasmettono come messaggio l’importanza dell’esteriorità, della fisicità, facendoci
vedere ragazze che sembrano perfette. Per questo
motivo, le ragazze si prefissano di assomigliare
ad esse, vestendosi provocatoriamente, ricorrendo
alla chirurgia estetica, preoccupandosi, insomma,
di “apparire” piuttosto che di “essere”. Il corpo
quindi viene visto come lo strumento vincente,
ideale per raggiungere ogni obiettivo. E si sente
così parlare di baby prostitute, le quali si vendono
ad uomini che le illudono con finte promesse; di
bulimia ed anoressia che attacca ragazze che non
si accettano per quello che sono.
Vanno dunque a perdersi i valori fondamentali dell’amore e della famiglia, in una società perennemente insoddisfatta, dove fare le “veline”,
le “pupe“, entrare al Grande Fratello, rimane la
massima aspirazione.
Nonostante questo aspetto negativo della società attuale, vi è anche quello di ragazze come
noi, che credono ancora nei sani principi che la
famiglia ci ha insegnato, e che sperano un giorno
di trasmettere ai propri figli.
Rita Attardo, Imma Viteritti,
Anna Sosto, Melina Agrippino,
Chiara Veltri, Anna Mucito III A
Artigianato : ritorno al passato
Si è sempre di più alla ricerca di sarti, calzolai ecc. per risolvere la crisi che sta colpendo il
Paese. La crisi economica, che ha sconvolto tutto
il mondo lo scorso anno, si fa sentire soprattutto
adesso: nell’ultimo anno, infatti, il Paese ha perso 380 mila posti di lavoro e la disoccupazione è
salita a livelli vertiginosi come non accadeva da
tempo.
Si cerca, pertanto, di risolvere, in parte, la crisi
arginando uno dei problemi più grandi che porta con sé: la disoccupazione, che ha creato delle
preoccupanti ripercussioni sulla sopravvivenza di
molte famiglie. La difficile situazione economica
e occupazione è collegata indirettamente a un altro problema, spesso sottovalutato: la scomparsa
degli artigiani.
Secondo alcuni osservatori, infatti, la questione della disoccupazione potrebbe risolversi con la
rinascita dell’industria artigianale che ha reso famosa l’Italia in tutto il mondo, ma che, purtroppo,
negli ultimi anni è relegata sempre più a un ruolo
di secondo piano nell’economia. Molti giovani
preferiscono studiare, andare all’Università e poi
cercare un lavoro piuttosto che “aprire bottega”
perché questa soluzione viene considerata antiquata e non al passo con i tempi. Molto probabilmente si sbagliano, perché attraverso l’attività
artigianale avrebbero sicuramente un lavoro stabile che, nel contempo, potrebbe portare successo
economico e soddisfazione personale, dato che la
concorrenza -in un settore come quello artigianale che punta molto sulla creatività- è pressoché
nulla. Ma la mentalità è questa e difficilmente
cambierà. I giovani di oggi preferiscono addirittura lavorare in un call center piuttosto che intraprendere un mestiere e tentare di fare fortuna.
La scomparsa degli artigiani, per l’Azienda Italia, ha conseguenze negative sul piano economico
perché il “made in Italy” -che ha fatto prevalere la
cultura e il gusto italiano nel mondo rendendoci
famosi- adesso ha molti problemi, per risolvere i
quali non si vede altra soluzione che andare alla
ricerca di questi artigiani. La fortuna del “made
in Italy” in passato, infatti, è stato proprio l’arti-
gianato, la capacità di realizzare idee innovative
e nuove invenzioni in tutti i campi. Adesso, purtroppo, anche sotto il peso della globalizzazione,
i giovani hanno la testa altrove e c’è il fondato
timore che questo primato possa crollare e che il
“Made in Italy” si perda e venga dimenticato.
Ma come mai mestieri come il sarto, il calzolaio, il falegname, mestieri molto dignitosi che
comunque richiedono sempre una certa bravura e
che permettono una vita tranquilla sotto il profilo
economico, hanno perso terreno rispetto ad altri?
Si potrebbe trovare una spiegazione nella logica
dell’usa e getta. E’ tutta una questione di tempo.
Infatti, proprio la mancanza di tempo porta le
persone a buttare quello che si è rovinato invece
di cercare di ripararlo, acquistando merce pronta
all’uso ma di qualità inferiore, piuttosto che spendere soldi per riaccomodare cose che sono già
passate di moda. Si fa quindi, sempre più che mai
spazio all’era dei consumi di massa.
Lo Stato dovrebbe incentivare l’artigianato
perché potrebbe essere questa una delle possibili
soluzioni alla crisi. Ma forse la sfida più difficile è
quella di superare la diffidenza dei giovani. Certo,
sarà difficile far cambiare loro idea. Come diceva
Einstein “è più facile spezzare un atomo che un
pregiudizio”.
Francesco Pistoia IC
13
DALLA PRIMA PAGINA
Quanto vale il futuro della terra?
’90. Il livello del mare è aumentato tra il 1993 e il
2009 al doppio del tasso di tendenza a lungo termine, dovuto soprattutto al riscaldamento dell’Artico.
Un quarto della popolazione mondiale potrebbe essere colpito da inondazioni a causa del riscaldamento dell’Artico; si registrerà inoltre un significativo
aumento delle emissioni di gas a effetto serra provenienti dalle riserve di carbonio fino ad ora stoccate
dal ghiaccio e si moltiplicheranno i fenomeni meteorologici estremi.
Alla luce dei fatti recenti, In questi giorni nel
Golfo del Messico, dalla falla sottomarina della piattarforma petrolifera Deep Horizon che si è venuta a
creare il 26 Aprile, continuano a fuoriuscire quotidianamente 1000 barili di greggio e l’incidente potrebbe degenerare nella peggiore catastrofe ecologica della storia. Le operazioni di incendio controllato
e l’uso dei robot intelligenti per tamponare le perdite
sono stati tentativi inutili. La chiazza oleoso si è così
estesa, raggiungendo proporzioni spaventose pari a
due volte la superficie del Belgio, fra gli effetti sulle
coste e quelli sui fondali l’ecosistema impiegherà
almeno 50 anni per riprendersi dalla catastrofe, ma
il presidente Obama non rinuncerà ad espandere il
proprio dominio sul greggio. Il fatto è che l’intero sistema produttivo mondiale è basato sui combustibili
fossili e perché possa cambiare questa impostazione
serviranno decenni, se non secoli . Ma l’uomo potrebbe essere in grado di distruggere proprio la società iperconsumistica che ha creato, semplicemente
se i costi dell’inquinamento e del cambiamento climatico che sta provocando diventeranno più alti dei
vantaggi ottenuti sfruttando i combustibili fossili? I
“negazionisti” -tra i quali politici che rifiutano un
intervento riparatore dato che questo comporterebbe
notevoli danni ed handicap all’attuale economia industriale- ovviamente colgono la palla al balzo per
aumentare la disinformazione, confondendo volutamente gli eventi meteorologici particolari con un
sistema complesso come il clima della Terra.
Nuove notizie sul collasso ambientale sono all’ordine del giorno, ovunque si parla di ecologia,
ma negli anni precedenti le notizie a riguardo non
sono state affrontate nel modo adeguato. Solo ora
che rischiamo di trovarci davanti al “punto di non
ritorno” i media non possono più confondere i fatti
con le notizie. Il problema è che lo stato di emergenza che è la precondizione per azioni burocratiche
viene lanciato (nella maggior parte dei casi) solo se
questo non rischi di minare l’economia dello stato
stesso, come dice una vecchia massima del giornalismo basta “seguire il denaro”. Me se anche il riscaldamento globale causato dall’uomo fosse un grande
abbaglio, se anche i ghiacci polari non si sciogliessero e il sole ci regalasse una lunga stagione fredda,
resterebbe un piccolo problema. Al 2050 passeremo
dagli attuali 6,8 a 9 miliardi di abitanti sul pianeta. E
in questi 15mila giorni, solo per mantenere gli attuali livelli di consumi energetici, dovremmo costruire
l’equivalente di una centrale nucleare al giorno. Ciò
deriva dall’incremento delle pressioni da parte dei
Paesi più poveri e quindi dalla centralizzazione del
potere mondiale nelle mani delle superpotenze, dato
che l’85 per cento vive nel mondo in via di sviluppo,
dove c’è scarsità di posti di lavoro, di risorse e di
opportunità educative. La crescita economica, materiale, quantitativa delle popolazioni umane ha un
costo per la natura e per ciascuno di noi: le attività
dell’uomo hanno superato i limiti di sopportazione
del nostro pianeta. E’ come se ognuno ricevesse al
momento della nascita una quota di natura: un po’
di aria pulita, di acqua da bere, di risorse e luoghi
naturali da vivere e tutti, nel mondo, hanno il diritto
di godere della propria quota di natura, che diminuisce sempre di più. Se vogliamo un futuro dobbiamo
averne cura: ridurre il nostro peso sulle risorse naturali, alleggerire la nostra “impronta” sul pianeta. E’
necessario passare a sistemi a emissioni zero, non
possono esserci ulteriori ritardi. Il nostro futuro dipenderà da accordi globali che stabiliranno le quote
di consumo sostenibili: importanti saranno dunque
le scelte dei governi e delle istituzioni.
Paolo Sassone V E
La sindone
Il sudario di lino è arrivato nel duomo di
Torino il 10 aprile 2010, attirando migliaia di
fedeli da ogni parte del nostro Paese, molti dei
quali hanno pagato e si sono commossi di fronte
a questa straordinaria reliquia. Ci
sono molti misteri che avvolgono
il sacro lenzuolo usato da Giuseppe d’Arimatea per accogliere le
spoglie mortali di Gesù. La sindone, per tradizione, è un drappo di
lino sul quale si diceva fosse impressa l’immagine del Redentore.
Fu esposta e venerata nella città
di Edessa, poco lontana dal fiume
Eufrate, dove vi rimase per alcuni
secoli. Nel 944 il drappo fu trasportato a Bisanzio e conservato
dagli imperatori romani d’oriente
con immensa cura fino a quando,
in seguito al saccheggio della città operato dai crociati nel 1204, se ne persero
le traccie. Dopo un centinaio di anni, nel 1349
la reliquia apparve in Francia, esposta ad opera
del nobile Geoffroi de Charny. Una sua discendente affidò nel 1453 la sindone ai duchi di Savoia probabilmente per assicurarsi una stabilità
economica. Il telo arrivò così a Chambery, a
quel tempo capitale del ducato, e poi a torino,
nel 1578, quando Emanuele Filiberto ne fece la
nuova capitale. Molte ricerche scientifiche hanno interessato la sindone. Sono stati ritrovai su
di essa tre tipi di polline con una caratteristica
n comune: appartenevano a piante della stessa
area geografica. Questa scoperta ha permesso di stabilire la presenza del lenzuolo in una
area ben definita compresa fra Gerusalemme
ed Ebron. Ancora, le macchie rilevate sono di
sangue e sono rivestite da una patina rossa che
all’analisi microscopica risulta composta da
proteine. Non vi sono pigmenti o coloranti per
cui la sindone non è stata disegnata. Giovanni
Paolo secondo nell’omelia durante la sua prima visita da pontefice alla sindone nel 1980, così si
esprimeva: “Una reliquia insolita
e misteriosa, singolarissima testimone della Pasqua, della Passione, della morte e della Resurrezione. Testimone muto, ma nello
stesso tempo eloquente”.
La sindone e il suo mistero
sono ancora oggi presenti a Gerusalemme. Richiamo di questa presenza è l’esposizione dell’istituto
pontefici “Notre dame of Jerusalem” intitolato chi è l’uomo della
sacra sindone. Qui una copia digitalizzata del
sudario di Torino mostra i segni delle sofferenze e delle torture, come la flagellazione e la crocifissione di Gesù, che coincidono con il racconto del profeta Isaia e del vangelo. Il sudario
viene considerato un documento realista, fatto
dalla natura; ciò che traspare su questa nobile
fisionomia così tremendamente martoriata è un
senso di pace, di solennità unita ad una dolce
serenità e a una calma profonda e grande, senza
impronta di debolezza e di passione umana.
Simone Aversente III A
Se fossi sindaco…
Cosa farei per il mio comune e per i cittadini che lo abitano
ispirandomi al valore delle regole
Non ho idea di cosa farei se fossi sindaco, ma nella remota e improbabile possibilità che un domani
decidessi di candidarmi alla carica di sindaco, sicuramente avrei le idee chiare e mi presenterei con un
programma concreto e reale, sviluppato su un punto cardine: la città per i cittadini.
La figura del sindaco è sempre stata un punto di riferimento e ad essa si affidano i desideri e le
aspettative dell’intera comunità. Sicuramente fare il sindaco non è cosa facile, si tratta di una persona
piena di responsabilità che, ogni giorno, deve garantire disponibilità ed ascolto ai suoi cittadini. Soddisfare le diverse esigenze ed offrire varie opportunità potrebbe migliorare le condizioni socio-economiche, inoltre, si dovrebbero costruire strutture adeguate a vantaggio di chi è diversamente abile. Mi piacerebbe sfruttare a pieno le risorse naturali, facendo disporre le abitazioni di pannelli solari. Oggigiorno
aumenta la disoccupazione. Per superare ciò farei costruire aziende capaci di assumere personale giovane ed abilitare quei settori, come quello industriale, che qui al Sud è poco sviluppato. Bisognerebbe,
poi, costruire un canile per accogliere tutti gli animali indifesi che hanno bisogno di cure e cibo.
Il sindaco dovrebbe essere quella persona capace di immedesimarsi negli altri, solo così può
meglio rendersi conto delle aspettative di tutti. Nonostante tutto, credo che, se dovessi essere sindaco,
per prima cosa, rimarrei me stessa: semplice e umile, qualità queste da non sottovalutare. Non esiste,
infatti, alcuna differenza, a livello umano, tra sindaco e cittadino: tutti godiamo di stessi diritti e pari
dignità. Organizzerei numerosi convegni per promuovere l’istruzione tra i giovani, e migliorerei i trasporti, così anche le persone anziane avrebbero la possibilità di partecipare a queste manifestazioni.
Proverei a migliorare le condizioni igienico-sanitarie sia nelle scuole che nelle strutture ospedaliere.
Sarebbe anche bello migliorare la situazione delle strade e di quelle zone nelle quali diventa pericolosa
la vita stessa per via delle abitazioni che, da un momento all’altro, potrebbero crollare. Bisognerebbe
rendersi conto delle incongruenze politiche della società ed ovviare a questo con delle restrizioni per
quanto riguarda la pubblicità e la speculazione. Non esiste per gli uomini un mezzo di miglioramento
morale più valido della conoscenza del passato, lo studio della storia costituisce la più vera forma di
educazione e di allenamento all’attività politica, per questo motivo, il sindaco deve prendere, come
punto di riferimento, il ricordo delle disavventure altrui che rappresenta l’unica e più sicura guida di
come possiamo sopportare con dignità le vicende della sorte.
Al sindaco non deve sfuggire l’importanza di una coerente politica monetaria ed economica,
importanza di esercitare un controllo sulle vie di comunicazione, di poter contare su porti efficienti,
infatti, una florida politica commerciale comporta quegli introiti che garantiscono ingenti mezzi di
rifornimento. A mio parere, è necessario investire nella speranza di un futuro migliore. Naturalmente,
occorre anche la collaborazione del popolo, il cui appoggio permetterà al sindaco di portare a termine le
sue iniziative. Inoltre, cosa che conta più di ogni altra, è che il sindaco renda conto al popolo di quanto
ha fatto. Infatti, pur avendo un potere così determinante, in primo luogo, è obbligato a tener conto dell’opinione dei semplici cittadini ed a rispettare i loro desideri.
A conclusione di questo discorso, penso che il sindaco sia quella persona capace di essere garante
di quella stabilità sociale necessaria per superare tutte le difficoltà e gli ostacoli, e promuovere il benessere comune, anche di quelle persone frustrate da condizioni di vita decisamente misere che non
devono essere, comunque, escluse da ogni processo evolutivo, economico, politico e culturale.
Antonella Iacino (III B “Lc. Cl. “G. Colosimo”)
14
cultura classica
Edipo e Medea come Destra e Sinistra!
Edipo uccide il padre e sposa la madre, pur non
sapendo che fossero loro i suoi genitori, mentre Medea, uccide i figli ben conscia di ciò che sta facendo,
senza subire alcuna forma di rimorso, pur di vendicare il ripudio che ha subito da parte del marito, cosa
tra le più umilianti per una donna, allora come oggi.
Edipo, che commette una colpa senza la volontà di
commetterla, si pente, acceca e va in esilio, mentre
Medea, che è ben conscia di ciò che ha fatto e niente
affatto pentita, alla fine della tragedia scappa sul carro del sole con un grosso sorriso sulle labbra: poco
le importa della sua sofferenza personale, gode per
l’aver inferto il massimo della sofferenza al marito
che l’aveva abbandonata. Ma già all’inizio Medea
ci aveva dimostrato cosa era capace di fare, quando non si crea alcun problema ad uccidere il fratello
Apsirto pur di garantirsi una tranquilla fuga d’amore. La differenza tra le due figure è inquadrabile in
due punti: il primo è il finalismo presente in Medea
e prettamente assente in Edipo, il secondo è la presa
d’atto del danno, che è questa volta presente in Edipo ed assente in Medea.
Proprio nella scansione analitica di questi due
punti ho riscontrato grossissime analogie tra queste figure classiche della tragedia greca e quelli che
sono dal 2000 ad oggi gli schieramenti nella politica
italiana.
È secondo me la destra dei nostri tempi fortemente paragonabile all’Edipo di Sofocle. Presupponendo che non si parli più di una destra fascista,
né tanto meno capitalista nel senso più arcaico del
termine. La destra è oggi prettamente liberista, e la
dimostrazione della fine della destra storica in Italia
è data dalla brevità degli sprazzi di vita manifestati
da qualche leader “cofondatore” del maggior partito
della attuale maggioranza di governo, il PDL, che si
concludono con delle rapide ed accorate scuse per
il tentativo di deviazione della parte che qualcuno
avrebbe definito “antisociale” della programmazione del governo. Un governo di destra che, come Edipo, che non uccise volontariamente suo padre, non
lede volontariamente la Costituzione dello Stato e
le sue componenti più deboli, ma lo fa in funzione
del tentativo di conseguimento dei propri obiettivi,
nel modo più semplice e lineare possibile. E, come
Edipo non saprà subito che la donna che ha deciso
di prendere in moglie è la madre, la destra dell’Italia
Marco Vercillo
II A Liceo Classico
I “colossi” romani
di oggi non conosce le conseguenza delle scelte politiche e di legislazione che oggi sta intraprendendo.
Che c’entra poi che quando vengono al pettine i nodi
del sistema liberista, come è successo nella crisi che
ha recentemente sconvolto la nostra economia, si
dice che è solo una brevissima fase di passaggio?
Tiresia non venne creduto!
È invece la sinistra italiana paragonabile alla
Medea. Pur di conseguire il suo obiettivo, che non
è la vendetta, ma il controllo del potere politico, è
disposta a tutto, per dirla in modo machiavellico è
un “fine che giustifica i mezzi”, tanto da arrivare a
rinnegare ciò che la distingueva dalla destra: i suoi
ideali. È una sorta di “contaminatio” quella che ha
portato il centro-sinistra ad essere nulla di più che un
grossissimo contenitore di quelle che erano le posizioni che per tutto il periodo della prima repubblica
non trovarono mai una sintesi, vista la loro natura
contrastante; sono infatti percepibili oggi all’interno
del Pd elementi caratterizzanti tanto del PSI, quanto
della DC, finanche qualche elemento di riconducibilità al PCI. Ci si trova infatti oggi in una situazione
Il mondo classico
La radicale marginalizzazione degli studi classici nella cultura generale e nei sistemi
scolastici è un processo di profondo mutamento culturale che non possiamo in nessun modo
ignorare e che, al contrario, spesso sottovalutano proprio gli studiosi di queste discipline.
Noi abbiamo scelto di frequentare il liceo classico in quanto viene definito come un percorso che
“approfondisce la cultura” dal punto di vista della
civiltà classica, delle conoscenze linguistiche, storiche e filosofiche, fornendo rigore metodologico,
contenuti e sensibilità ai valori estetici, permettendo, così, l’accesso qualificato ad ogni facoltà universitaria. Non si può non rilevare, però, come purtroppo la storia e la letteratura antica si studino sempre
meno e come spesso, non di rado per responsabilità
degli stessi docenti, restino tra le pagine di un libro, troppo distanti dal presente e dal quotidiano.
La modernità sembra, dunque, vincere senza esitazioni sulla formazione classica. Anzi, quanto più
si fa forte e consapevole la preoccupazione di non
perdere un patrimonio di saperi insostituibile, tanto
più sembra affermarsi tra i giovani la convinzione
della complessità e della inutilità degli studi classici
rispetto alla vitalità degli studi sulle moderne tecnologie. Proprio per contrastare questa tendenza e
sottolineare il valore della cultura greca e romana, il
liceo classico “G. Colosimo” di Corigliano Calabro
ha deciso di organizzare un viaggio di istruzione in
Sicilia con lo scopo di assistere alle tragedie greche,
all’interno della quale le forze che nella prima repubblica erano considerabile di destra siano al centro delle politiche della sinistra di oggi. Come Medea uccide, per raggiungere il suo scopo, ciò che ha
di più prezioso, i suoi figli, così la sinistra uccide ciò
che la rendeva migliore della destra, gli ideali. Nella
sfrenata corsa al potere ci si trova in quella che Hobbes definiva “bellum omnium contra omnes” (una
guerra di tutti contro tutti) che non guarda al più al
potere politico come mezzo di conseguimento degli
ideali ma come fine a se stesso. Una sinistra che,
come Medea, non è pentita del proprio gesto, si ritiene soddisfatta delle proprie vittorie elettorali, anche
qualora queste non fossero figlie di seri e concreti
accordi programmatici, ma di meccanismi politici.
Gli stessi meccanismi politici che hanno affiancato
all’Ulivo in epoca Prodi quel movimento politico
(tale UDEUR), che oggi è uno dei centri elettorali
del maggior partito dell’attuale maggioranza.
messe in scena dall’INDA, nel teatro di Siracusa.
L’Istituto Nazionale del Dramma Antico (conosciuto come INDA) è una fondazione culturale che attua,
conseguendo grandi successi, una chiara strategia
culturale basata su: ricerca scientifica, coinvolgimento dei giovani per la diffusione del pensiero classico,
messa in scena degli spettacoli siracusani, ripristino,
attraverso la tradizione classica, degli antichi vincoli
di solidarietà e di civiltà con i paesi del Mediterraneo. Il primo ciclo di spettacoli classici fu inaugurato
il 16 aprile del 1914 e da quella data, eccetto l’interruzione causata dalle guerre mondiali, le rappresentazioni ritornarono periodicamente sulla scena. Con
le stagioni teatrali 2000 e 2001 la cadenza dei cicli
degli spettacoli è passata da biennale ad annuale.
Quest’anno avremo la possibilità di assistere all’Aiace di Sofocle ed alla Fedra di Euripide. L’Aiace,
tragedia che si ricollega alle vicende dell’Iliade, narra l’ira e la follia di questo guerriero provocata dalla
mancata assegnazione delle armi di Achille. La Fedra, invece, la tormentata e incestuosa passione della
protagonista nei confronti del suo figliastro Ippolito.
Assistere dal vivo a queste rappresentazioni, all’aria aperta, sulle antiche gradinate del teatro, sarà
sicuramente emozionante e ci permetterà, per qualche ora, di lasciarci travolgere dai forti sentimenti
dei personaggi, convinti del fatto che, pur dopo tanti
secoli, siano ancora molto attuali.
Lorenzo Algieri, Rossella Minisci,
Elvira Monteforte, Pasquale Orsini
VB Liceo Classico
Nel mezzo d’un ampia valle, fra i colli Palatino, Esquilino e Celio, sorge il “colosso” per
antonomasia della Roma antica: l’Anfiteatro
Flavio, meglio conosciuto col nome di Colosseo. Fatto costruire dall’imperatore Vespasiano,
della famiglia dei Flavi, fra il 70 ed il 75 d.C. e
inaugurato dal figlio Tito, nell’80, con una serie
di spettacoli che durarono cento giorni, fu elevato sul luogo dove prima sorgeva lo stagno della
Domus Aurea di Nerone. L’iniziativa fu accolta
con immenso favore fra i cittadini per i quali i
45-50.000 posti dell’anfiteatro rappresentavano
un rimpossessarsi, in massa, del suolo pubblico
del quale erano stati privati.
Numerosi accessi, ampi corridoi, scale e passaggi razionalmente disposti e sei ordini di gradinate permettevano di assistere comodamente
agli spettacoli che consistevano soprattutto nelle
lotte dei gladiatori e nelle cacce alle belve. Un
vasto sistema di corridoi e di stanze sotterranee
al di sotto dell’arena serviva da passaggio per le
attrezzature sceniche e per le gabbie degli animali, che un ingegnoso meccanismo di botole e
di montacarichi immetteva, al momento giusto,
nell’arena. I cunicoli servivano anche a far sì
che l’arena si riempisse d’acqua per permettere
le battaglie fra navi.
Un enorme velario sorretto da funi ancorate
a travi sporgenti dalla cornice esterna superiore
dell’anfiteatro e manovrate da uno speciale distaccamento di marinai, garantiva l’ombra agli
spettatori, mentre speciali profumi erano spruzzati sulle gradinate per coprire l’odore del sangue e il tanfo delle fiere.
Violenti terremoti, specialmente nei secoli
XIII e XIV, fecero crollare buona parte delle arcate perimetrali e l’enorme congerie di materiali
fu a lungo sfruttata nella costruzione di palazzi e
chiese del Rinascimento.
Accanto all’anfiteatro, sorgeva il “Colosso di
Nerone”. Questo fu scolpito nel bronzo dorato
da Zenodoro. Alto circa 30 metri, rappresentava il Sole, ma la testa era un ritratto di Nerone.
L’imperatore Commodo, dopo i già avvenuti
cambiamenti della testa della statua, decise di
sostituirle con la testa di Ercole, che aveva però
i suoi lineamenti. Nel IV secolo, il Colosso veniva considerato come il genio tutelare dell’Impero e spesso dinanzi ad esso venivano condotti
i cristiani per il giuramento di fedeltà allo Stato
e alle sue istituzioni. Proprio per la vicinanza al
Colosso di Nerone, l’Anfiteatro Flavio fu denominato Colosseo. Ad oggi è possibile vedere
solo il basamento su cui ergeva la statua, lasciando immaginare a noi come la quotidianità romana passasse fra questi due enormi monumenti,
destinati a divenir storia.
Chiara De Fabrizio, II C
Liceo Scientifico F. Bruno
cultura classica
Epistola ad Orazio
“Ogni parola pronunciata è falsa. ogni
parola scritta è falsa. Ogni parola, è
falsa; ma cosa c’è senza la parola?”
(Orazio, Ars poetica)
Caro amico Orazio,
come da te richiesto in questo ultimo periodo, sto
cercando in ogni modo di reintrodurti fra la gente.
Tu che, circa 2500 anni fa, eri in Grecia colui che
tutti volevano come amico, ora invece si sono quasi
dimenticati di te; tu che eri così elegante, così bello;
tu che oggetto di lode, ora ti hanno storpiato,ti hanno
denigrato,ti hanno reso uno zimbello,tu che per Gorgia
eri un “farmaco”, ora sei diventato quasi un “veleno”; e
quindi con questa mia umile lettera cercherò di chiarire
le idee su di te.
Sai bene, infatti, che la parola è il mezzo più nobile
che l’uomo possiede e della quale esso si serve per potersi esprimere. La natura ha dato solo al nostro genere
la possibilità di possederla,ed è nostro dovere usarla
nel miglior modo possibile evitando ogni situazione
che possa rendere inutile qualsiasi discorso. D’altronde
è anche per questo che l’uomo si differenzia dagli animali, che pur sono dotati di pensiero, ma ai quali manca
il mezzo per poterlo esprimere: la parola. Se pensiamo
almeno un attimo all’incredibile potenziale che ha una
“parola” rimarremmo meravigliati; il termine “parola”
deriva dal latino “oratio” cioè da os, oris = pronuncia e
ratio = ragione, quindi la parola è il linguaggio della ragione, mentre i Greci parlavano di λογος che significava “ragione” e “parola” allo stesso tempo, quindi aveva
varie accezioni; pensiamo che il λογος dagli Stoici era
visto come il nostro Dio, e che quindi λογος è spirito, è
anima, ed allora la parola è la lingua dell’anima.
Non si può pensare alla parola senza prima aver
considerato il momento del pensiero e viceversa; ed
ecco che il tutto diventa una sorta di ‘sinodo’ un’unione
indissolubile di due elementi caratteristici, propri della
nostra specie.
Abbiamo testimonianze antiche dell’importanza
inestimabile che la parola rivestiva all’interno della civiltà greca, se si pensa che addirittura essa sia stata la
fiamma illuminatrice di alcune correnti filosofiche, per
il fatto stesso di essere stata oggetto di grandi discussioni. Per l’uomo greco il lògos è di basilare importanza, poiché è ritenuto il punto di partenza per la vita
associata. Si era infatti convinti del fatto che, solo chi
fosse stato dotato di questo grande dono, avrebbe potuto affermarsi tra i propri simili, persuadendoli sulla scia
delle proprie idee, giuste o errate che fossero.
Questo atteggiamento era strettamente connesso alla
realtà delle città-stato (polis) greche che a partire dal V
secolo a.C. andavano via via formandosi e che vedevano il cittadino come l’elemento fondamentale del loro
nucleo socio-politico. Il mutato contesto storico-politico che caratterizzò la Grecia del V secolo, rappresenta
infatti il luogo di partenza dove può affermarsi un movimento del tutto libero, senza dimenticare che la Grecia vive un momento ‘aureo’ dovuto all’uscita vittoriosa di Atene nella guerra contro i persiani. Ma per quale
motivo il cittadino comune diventa così importante e
addirittura fondamentale per la vita della πολις? Ciò è
dato dal fatto che l’aristocrazia era ormai decaduta, e
la classe sociale in ascesa era quella che noi tutti oggi
conosciamo come borghesia cittadina. E ancora,quali
sono i motivi per i quali si afferma il culto del ben parlare e della libertà di parola rispettivamente?
Ti ricorderai certamente, o Orazio, come diventasti
celebre in quel periodo, certamente a dare un forte impulso alla diffusione di tali consuetudini fu l’affermarsi
della democrazia, che diede all’uomo greco la possibilità e la fiducia di credere fermamente nelle proprie
prerogative di vita, infatti molti filosofi chiamati “sofisti” iniziarono a renderti famoso, operando una vera
e propria ‘rivoluzione filosofia’, facendoti conoscere
a molte più persone,perché sarebbe stato impossibile
parlare in un’assemblea senza te come amico. Ti resero
noto non solo ai soliti tuoi amici Platone o Senofonte,
ma al popolo,anzi la tua conoscenza fruttò anche del
danaro ed i tuoi vecchi amici, gelosi della tua amicizia chiamarono i Sofisti “prostituti della cultura”; questi erano professori di sapienza, si spostavano da una
parte all’altra della Grecia per insegnare ai giovani le
più disparate tecniche del “ben parlare”che tu gli avevi
fornito, tanto da far nascere poi la Retorica.
Tra questi ricordiamo i più importanti: Protagora,
chiamato “maestro di stile e di eloquenza” e Gorgia,
per il quale la parola aveva una forza psicagogica ovvero una forza che guida le anime. Infatti quest’aspetto ti nobilita , o Orazio, e so anche quanto ti arrabbi
quando ti rifilano sempre il solito proverbietto verba
volant, scripta manent,ma tu gli ricordi sempre che in
un periodo molto lontano (Medio-Evo) fosti l’unica
risorsa,in un periodo in cui, le “scripta” erano invece
volate via,e diventasti il mezzo con il quale si tramandarono un’insieme di immani insegnamenti di qualsiasi
ambito, dando origine ad una cultura orale ove nacquero i ‘fabbri della parola’ attori protagonisti della scena storica,che come artigiani-artisti si fecero carico di
un’ampia divulgazione culturale.
E in un modo o nell’altro se la parola è espressione più nobile, allo stesso tempo deve possedere quella
potenza di persuasione tale da sedurre chi l’ascolta. Gli
avvocati un tempo erano meglio conosciuti come logografi, ovvero come scrittori di discorsi per chi ne avesse
avuto bisogno in caso di processo. Ma come si è evoluto il concetto di Retorica, e quali riscontri ha avuto
nel corso dei secoli? Al discorso giudiziario si affiancò
ben presto quello politico-deliberativo, che quindi era
volto alla mera persuasione. La persuasione era quindi
il fine ultimo dell’oratore, il quale con grandi capacità
retoriche e discorsive si poneva l’obiettivo di portare
dalla propria parte l’uditorio o nell’ambito giudiziario
di vincere una causa. E certamente non importava più
di tanto se i propri discorsi erano giusti o infondati, in
quanto ricordiamo appunto che il fine ultimo per gli
oratori era proprio quello di convincere, con ogni mezzo e a tutti i costi chi si proponeva di ascoltarli. Infatti
mi ricordi sempre questa tua capacità, o Orazio, che a te
non piace perché abusarono di essa, la sfruttarono per
ingiuste cause, ma come per ogni cosa vi sono le luci,
e le tue illuminarono molte menti, ma esistono anche le
ombre, e le tue, anche “nolendo”, oscurarono molte verità. Infatti facesti amicizia con persone malvagie ,che
grazie ai tuoi insegnamenti fecero addirittura decadere
“il grande Stato greco”,e da allora cercasti di affidarti
soltanto al vir bonus dicendi peritus maestro di morale
e di eloquenza”.
L’oratore, quindi, non deve propugnare questo o
quello stile, l’oratore deve operare il bene della società,
deve ,usando la tua grande dote, guidarla verso la più
alta condotta. È cocciuto chi pensa di poter a tutti i costi forzare l’altro a guardare secondo la propria ottica,
è saggio e vero oratore colui che sa forzare l’altro ad
avere una autonoma visione del mondo,donandogli con
il ben parlare la morale e la giusta condotta”. Infatti a
risanare queste “ferite” comparvero sulla scena ellenica grandi oratori, come Lisia, Demostene ed Isocrate,
i quali per altro costituiranno dei modelli, dei veri e
propri canoni per i successivi oratori latini. Il primo si
faceva rappresentante di un tipo di oratoria giudiziaria
che propugnava una lingua pura, per questo fu maestro
insuperabile di stile semplice ma allo stesso tempo incisivo e persuasivo ad alti livelli. Isocrate riterrà la retorica come un arte radicalmente connessa con l’etica,
perché proprio questa disconnessione causerebbe delle
gravi conseguenze. Quindi la retorica con esso non è
più semplice discorso persuasivo volto il più delle
volte a profitti personali raggiungibili anche a discapito d’altri, bensì si manifesta in stretta relazione alla
morale;non si è grandi per il solo fatto di saper parlare e
di vantarsi di saperlo fare, si diviene tali solo quando la
parola è supportata da intenti fondati, basati su ragioni
legittime, affinché non il singolo ma la comunità possa
trarne dei validissimi vantaggi.
L’oratore vero è colui che con esperienza, tecnica,
eloquenza, persuasione, ma con umile onestà intellettuale sprona la collettività alla buona condotta. Demostene non fu vero e proprio oratore, benché egli vide la
sua vita di cittadino della pòlis sottomessa alla potenza
macedone che dilagava ormai su tutta la Grecia. In lui
si riconosce il modello per i più grandi oratori politici
di Roma, in quanto seppe dare al discorso esortatorio
veemenza e forza, un impeto smisurato, stile che era
specchio della propria sudditanza come uomo politico del suo tempo. Con l’Ellenismo l’immensa arte di
eloquenza esce dai confini delle città-stato greche e si
diffonde omogeneamente fino a raggiungere Roma,
dove trova supporto da già affermati oratori politici,
e lì, o Orazio, trovasti un clima abbastanza gradevole.
A Roma infatti rivestivi già una notevole importanza;
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agli esordi con Appio Claudio Cieco e all’apogeo con
Cicerone.
Ma cosa rappresenta oggi l’oratoria? Schiere di
intellettuali, sin dall’antichità si sono occupati di retorica cercando di cogliere in opere di tale portata lo
stile,il messaggio e le capacità discorsive del testo,
dando giudizi, a volte spropositati a tale riguardo. Cesare è l’esempio lampante di chi è prima di tutto uomo
politico,e che con grande intelligenza e maestria riuscì
ad essere al contempo grande storico e oratore. È anche
vero che in quest’epoca l’insegnamento retorico era
riservato agli aristocratici, o a chi avrebbe dovuto affermarsi nel cursus honorum politico,e quindi le classi
meno abbienti erano escluse;certamente l’abilità politica per forza di cose comportava l’eloquenza, e quindi
in un’epoca che necessitava di uomini colti al comando, la retorica diventava una materia per caste. Eppure Catone il Censore disse chiaramente che l’oratore
è colui che è onesto ed è collocato in un determinato
ambito sociale e politico, sottolineandone il carattere
ancora aristocratico, ma assegnando all’oratore anche
un ruolo educativo.
Per gli antichi l’oratoria era l’arte del ben parlare,
e possederne le tecniche più segrete era sinonimo di
grande intelligenza, significava saper costruire un discorso limpido, pulito, scorrevole, capace di persuadere l’uditorio, destando in esso qualora ce ne fosse stato
bisogno anche emozioni. Lo stesso Cicerone sapeva
bene quanto fosse importante riuscire a dimostrare in
senato l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato,e
per questo motivo i suoi studi ebbero il loro culmine
con il viaggio che tenne in Grecia, per affinare il suo
naturale e straordinario talento di eloquenza. La persuasione in tribunale era troppo importante per essere
ridotta a semplice discorso, e Cicerone sapeva bene che
per convincere fino in fondo gli ascoltatori bisognava
suscitare in essi delle emozioni per spingerli a prendere
una decisione indipendente, imbevuta però della naturale ed indispensabile persuasione. Infatti, o Orazio,
pur volendo non potrai mai distaccarti dalla persuasione che in te è una delle tue sfaccettature primarie, e che
purtroppo viene utilizzata verso scopi maligni, demagogicamente, e non sempre è rivolta al bene,tuttavia sei
diventato oggetto di professionismo; la tua conoscenza
oggi è riservata ad una casta più chiusa di allora. Sono
in pochi a conoscerti e sono in molti ad abusare o ad
avere abusato di te. Il vero politico infatti deve avere
conoscenze in ogni ambito, tra le quali primarie sono
le tue, o Orazio, ma non deve volgere le sue abilità persuasive per mascherare la verità, ma deve convincere
con persuasione onesta
Oggi, la retorica non viene molto considerata, soprattutto nelle scuole, dove c’è purtroppo una grande
decadenza della parola: si comunica poco, ci si limita a
tenere sterili interrogazioni a volte anche prive di contenuti ed approfondimenti. Dove sono finite le famose
suasoriae o le controversiae delle antiche scuole latine? Infatti proprio queste ultime costituivano il fondamento base per la formazione di un avvocato che è
oggi divenuto il solo ad avere conoscenze retoriche e
capacità oratorie. Ma ciò non è assolutamente un bene,
se si vuole una società imperniata sul dialogo e sulla
morale di cittadinanza. Chi possiede la magniloquenza,
che la esterni, che ci persuada con le proprie orazioni,
che ci delizi con i magnifici discorsi esortatori, che ci
renda partecipi di quest’arte ormai decaduta e riservata a caste chiuse. Perché la parola è mezzo di tutti, è
espressione dell’animo dell’individuo, è miscuglio di
capacità indiscusse, persuasive, eloquenti, gustose,
basta solo ragionare prima, riflettere, e poi esporre le
proprie opinioni.
Con la modernità, nascono nuovi mezzi di comunicazione con i quali tu, o anziano Orazio, sei stato ancora una volta il soggetto protagonista, come in
radio, infatti fosti l’unico invitato, e sconfiggesti, per
l’ultima volta, l’allora neonato Morfeo, futuro nostro
Dio Immagine (Televisione). Infatti per l’ultima volta
esplorasti nuovi mondi (La Luna), trasmettesti emozioni, facesti conoscere alla comunità gioie e dolori; ma
quella comunità oggi ti tradisce, ti deride, e ha fatto sì
che la tua grandezza venisse sminuita dall’apparente
Immagine, e con te il pensiero. Infatti le telecomunicazioni oggi sono i mali della nostra società, che hanno causato una generale paralisi della ratio, attraverso
i messaggi di manipolazione che si celano dietro un
documentario, un film, un varietà, un programma, dietro l’Immagine. Stanno abusando di te, o Orazio, e dei
tuoi insegnamenti smodatamente, ed ormai bandito da
questa brutta società, ti rifuggi solo laddove qualcuno
ancora ti conosce.
Michele Lionetti, Giusy Cofone, Matteo Romio
IA Liceo Classico “G. Colosimo”
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Film & Società
CONSIDERAZIONI PERSONALI SUL FILM “SETTE ANIME”
La visione, nell’ora di religione, del film di
Gabriele Muccino “Sette Anime” mi ha portato
a riflettere molto su diverse tematiche. Penso che
questo sia stato un film molto commovente e colmo di significato. Traspare, anche dalla bravura
del protagonista Will Smith, la vera drammaticità dello stato d’animo di quest’uomo che non
si perdona il fatto di aver provocato la morte di
“sette anime” in seguito ad un incidente stradale,
nel quale ha perso la vita anche la moglie; e cosi
decide di salvare la vita ad altrettante “anime” in
vari modi.
Le tematiche principali di questo film sono il
suicidio e la donazione degli organi. La Chiesa
ha sempre espresso un parere fermamente contrario al suicidio, perché solo Dio ha il “potere”
di toglierci la vita, infatti il sacerdote stesso non
può celebrare il funerale di un uomo o una donna
suicida.
L’altro tema molto importante che ha suscitato
vari dibattiti è la donazione degli organi. A mio
parere, non si deve per forza essere cattolici, o
estremamente religiosi, ma, indipendentemente dalla religione in cui si crede, si deve avere
l’umiltà e la capacità, attraverso la nostra forza
interiore, di capire che tramite una tragedia o un
lutto in famiglia è possibile salvare la vita appesa
a un filo di un bambino, è possibile dare la possibilità ad una persona, uomo o donna che sia, di
vedere ciò che non ha mai potuto contemplare,
come la bellezza dell’infinità del mare o la magia
di un tramonto. Penso che nella vita non bisogna
essere egoisti perché Dio ci insegna a donare noi
stessi agli altri, attraverso l’esempio che ci ha dato
morendo per noi, per la nostra salvezza, e non si
deve pensare solo se colui che riceve l’organo è
meritevole o meno, perché indipendentemente da
questo, da ciò che uno fa o dice, ognuno di noi ha
il diritto alla vita… Allora perché non farlo? Non
credo che la donazione vada vista come una violazione del defunto, o una mancanza di rispetto,
di amore nei suoi confronti, anzi personalmente
sarei contenta di poter contribuire alla felicità di
un altro, che non è diverso da me solo perché ha la
pelle di un altro colore o crede in un’altra religione, perché nulla ci distingue gli uni dagli altri, essendo tutti figli di Dio. Mi sono molto commossa
vedendo il film perché mi ha ulteriormente aiutata
a capire quanto è bella e strana la vita. L’uomo
può essere paragonato ad un marchingegno, nel
quale le varie parti sono compartecipi le une con
le altre. L’anima è proprio ciò che ci rende chi sia-
IL BAMBINO CON IL PIGIAMA A RIGHE
“Noi non dovremmo essere amici, dovremmo
essere nemici”.
Questa frase, pronunciata nel film da Shmuel,
bambino ebreo, invita a riflettere sull’innocenza
che diventa vittima inconsapevole di un mondo
crudele dove gli adulti sono accecati dall’odio e
dalla presunzione.
Bruno, otto anni, è un bambino che si ritrova
in una grande ed inquietante casa isolata, senza
nessun vicino con cui giocare. Ben presto la noia
si farà strada nelle lunghe giornate del bambino
e la sua curiosità lo porterà ad esplorare i dintorni, compresa quella strana “fattoria” circondata
da filo spinato oltre il bosco, abitata da persone
che indossano dei pigiami a righe. La curiosità di
Bruno è forte e lo porta a fare la conoscenza di
uno degli internati, un bambino della sua stessa
età, Shmuel, Instaurerà con lui una tenera amicizia che sfocerà in terribili conseguenze e nella
scoperta di una crudele e sconcertante verità.
Nel film vengono analizzate la durezza di un’epoca, la Germania Nazionalsocialista e l’innocenza di
un’età, ossia l’infanzia.
Nel XIX secolo il razzismo, pseudo teoria che divide l’umanità in razze superiori ed inferiori, ebbe
un’ampia diffusione in Europa, ma fu dopo la prima
guerra mondiale che le teorie basate sulla discriminazione razziale presero corpo in un disegno politico;
infatti, la Germania diffuse il mito della superiorità
della razza ariana, riuscì a mobilitare grandi masse
e a raccoglierle attorno al progetto che aspirava ad
imporre la supremazia germanica nel mondo. Così
il mito della razza e lo stigma nazista nei confronti
degli ebrei, che furono considerati sottouomini, legittimò e rese possibile il genocidio di sei milioni di
ebrei e altre cinque milioni di persone considerate
marginali, inferiori o devianti.
Infatti il film è ambientato nell’epoca durante la
quale sfocia la seconda guerra mondiale ed il mondo precipita nel baratro della disperazione, ma due
bambini, uno tedesco ed uno
ebreo, si incontrano separati
soltanto da recinzione e filo
spinato, con l’innocenza di
chi non conosce e non ha la
possibilità di capire le conseguenze della malvagità
umana al suo culmine.
Nasce appunto tra i due
bambini una vera amicizia
vista con gli occhi dell’innocenza che non si preoccupano di considerare le persone per la loro provenienza
o per i loro difetti, ma accettano spontaneamente la
persona per quella che è,
perché la vera amicizia non
ha altro intento che scavarsi
mo, che ci permette di provare sentimenti, e proprio questa con l’aiuto di Dio aiuta a comprendere
a coloro che non hanno ancora compreso, aiuta a
guidarci verso il giusto, aiuta a farci capire che
dobbiamo distaccarci dai beni materiali per capire
che in realtà le cose importanti, che ci avvicinano
a Dio, sono ben altre.
Luana Belfiore IV D
nello spirito a vicenda.
L’amicizia è la strada della felicità che lega le
persone con piccoli gesti che servono a costruire
l’edificio della sincerità e della sicurezza ed i pilastri su cui poggia siamo noi!
“Siamo come una rosa spuntata nel deserto
della solitudine: è più dolce di un sorriso, più profumato di un sogno, più morbido di un cuscino,
ma non morirà come una semplice rosa”, perché
l’amicizia è un fiore raro e bisogna prendersene
cura anche se a volte si attraversano periodi tristi e ci di avventura nel labirinto dell’incertezza,
anche quando si hanno poche speranze di uscita,
ma si esita di fronte l’evidenza e poi ci accorgiamo che basta una semplice parola, un gesto, uno
sguardo per spalancare le porte alla felicità: perché chi trova un amico fedele, trova un tesoro.
Pensiamoci bene, lo splendore dell’amicizia
non è la mano tesa né il sorriso gentile né la gioia
della compagnia: è l’ispirazione spirituale quando scopriamo che qualcuno crede in noi ed è disposto a fidarsi di noi senza mai tradirci.
I due bambini erano legati da un forte affetto
che condividevano in ogni momento perché un
amico vuol bene sempre ed è nato per essere fratello anche nella sventura, infatti Bruno cercò con
tutte le sue forze di aiutare Shmuel nel ritrovare
il padre anche se ciò li portò a perdere la vita:
perdere la vita per aiutare un amico!
Il sorriso innocente di un bambino che non sa
a cosa va incontro, che non conosce gli ostacoli
e il male della vita, che non ha paura di ciò che
lo aspetta oltre il recinto, ma è curioso di scoprire e di sapere; con gli occhi pieni di amore cerca
di aiutare il suo amico in ogni piccola impresa.
Questa è un’amicizia sincera che non si ferma all’apparenza ma cerca dentro la persona il suo lato
nascosto e tutti i pregi che un essere umano può
celare in sé.
In fondo l’amicizia è una forma d’amore che
supera ogni barriera ed arriva dritta al cuore: è
l’altra ala che a volte ci manca!
Alessia De Lio II B
Film & Società
Recensione libro: Mille Splendidi Soli
“Mille splendidi soli”, romanzo di Khaled Hosseini, rappresenta non solo uno dei più bei romanzi
contemporanei, ma soprattutto l’attenta descrizione
di un popolo con la sua cultura, le sue tradizioni e
soprattutto la sua storia. La condizione dell’Afghanistan, non sempre descritta con sincerità, viene qui
narrata in ogni suo aspetto. Hosseini riesce a mettere in luce in maniera efficace il ruolo della donna
musulmana, costretta a sottomettersi e ad essere
umiliata. Il romanzo, infatti, racconta la vita di due
donne, Mariam e Laila, che a causa della guerra incroceranno i loro destini ed avranno una
vita molto travagliata.
Mariam è la figlia illegittima di un uomo
potente di Herat, Jalil, il quale ha già una
famiglia. E’ destinata
a vivere ai margini
della società, poiché
il padre, inizialmente
a sua insaputa, non l’
accetta, perché frutto
di un peccato o meglio
di un errore che rappresenta per lui una
vergogna. Il padre, infatti, la costringerà a sposarsi con Rashid, uomo che
desidera solo avere un figlio maschio da lei e che,
quando si renderà conto che lei non potrà soddisfare
il suo desiderio, la frusterà con la cintura, la sbatterà
a terra e la violenterà. Laila, invece, nata vent’anni
dopo a Kabul, proveniente da una famiglia di maggior cultura ed elevazione sociale, ha un avvenire
che sembrerebbe configurarsi nettamente migliore
di quello di Mariam, confidando anche nell’ amore
che prova per Tariq. Laila, a causa di una bomba che
uccide i suoi genitori e della perdita del suo innamorato, accetta la proposta di matrimonio di Rashid
e va a vivere con lui e Mariam. In realtà, il motivo
che la spinge a quest’unione così immediata è che
ha dentro di sé il figlio di Tariq e vuole preservargli
un futuro migliore. In seguito, dopo la nascita della
figlia Aziza, nascerà anche Zalmai, figlio maschio
tanto atteso da Rashid. Le due donne condivideranQuesta è la storia di una meteora, di un fulmine
a ciel sereno che per un istante ha illuminato il
mondo, stravolgendolo e lasciando su di esso una
traccia indelebile, che di sicuro un Marco Carta o
un Valerio Scanu qualsiasi riusciranno mai a cancellare.
Questa è la storia di Jimi Hendrix, il mancino
di Seattle che ha cambiato il modo di concepire e
suonare la chitarra, uno che in soli quattro anni,
spuntando fuori dal nulla, ha trasformato la musica. Non mi dilungherò in noiosi cenni biografici,
perché non renderebbero merito al suo genio e
perché non ne ho voglia. Piuttosto vorrei parlare
della sua brevissima e meravigliosa carriera, che
si compì quasi esclusivamente a Londra, capitale
mondiale della musica negli anni 60-70 e regno
indiscusso di gruppi come Beatles, Rolling Stones
e Cream, rimasti anch’essi folgorati dall’apparizione del “selvaggio del Borneo”, come lo definirono i tabloid. La sua avventura durò appena 4
anni, dal 1966 al 1970 (anno in cui morì soffocato
dal suo stesso vomito dopo una notte di eccessi),
ed iniziò grazie soprattutto a Chas Chandler, ex
bassista degli Animals, che lo scoprì al Cafè Wha?
di New York, e lo portò via da un’America ancora
troppo razzista ed immatura per apprezzare il talento del chitarrista nero.
Fu così che scoprì Londra, dove esplose definitivamente e si impose come miglior chitarrista
sulla scena mondiale: niente male per uno che ha
iniziato a suonare una chitarra scassata con una
sola corda. Probabilmente è stato proprio il suo
prorompente talento a distruggerlo, perché ad un
certo punto della sua vita si è sentito prigioniero
di “una stanza piena di specchi, dove tutto ciò che
no un destino comune all’ombra di una profonda disperazione che fortificherà il loro legame e defluirà
in un attaccamento profondo e indissolubile. Marian
rincontra, in seguito, Tariq e viene a sapere che la
sua morte è stata una farsa di Rashid. Una sera, dopo
una discussione e durante uno scontro violento, Mariam uccide Rashid e decide di confessare l’ omicidio, pur di non far accusare dai talebani Laila e
Tariq e di proteggere i bambini dalla strada. Mariam
viene condannata a morte per il suo crimine e Laila
fugge, così, insieme a Tariq e i figli in Pakistan, dove
vivono apparentemente felici per un lungo periodo.
La donna decide, però, di tornare a Kabul, perché sa
che i talebani sono stati per ora sconfitti e desidera
dare un contributo alla città come per volere di suo
padre. Prima di andare a Kabul, Laila, però, decide
di andare ad Herat, città natale di Mariam, dove ritrova una lettera del padre che le chiede perdono.
In seguito, Laila riesce ad aiutare un orfanotrofio
nel quale viene assunta come insegnante. Il libro si
chiude durante una sua lezione, nella quale si viene a
sapere che è di nuovo incinta e se sarà una bambina,
ha già deciso quale nome darle: Mariam.
L’autore cita spesso parole afghane che descrivono meglio alcuni concetti espressi dai personaggi.
Mariam viene definita da sua madre un’ harami, ovvero bastarda, perché figlia illegittima. Essere nata
in Afghanistan, però, dove non è accettabile un figlio
illegittimo, non può essere per lei una colpa. Inoltre, il nang e il namus, ovvero l’onore e l’ orgoglio,
di cui parla Rashid non è giustificabile, perché una
donna non può essere costretta a portare il burqa
solo perché irrispettoso, nei confronti del marito,
che mostri il suo aspetto. Allo stesso tempo l’ordine
di cui parla tanto l’agente che ferma Mariam e Laila
durante un tentativo di fuga, non è accettabile se si
pensa agli assassinii, ai saccheggi, agli stupri, alle
torture, alle esecuzioni e ai bombardamenti procurati dai talebani in quel periodo. Khaled Hosseini è in
grado, quindi, di raccontare e spesso criticare la società islamica e far emergere alcune problematiche
che affliggono soprattutto la popolazione femminile
afghana. Numerosi sono, quindi, gli argomenti che
l’autore tratta nel romanzo, ma fra questi spicca
l’amore che unisce le due donne. Questo va oltre
ogni limite ed il sacrificio di Mariam dimostra che
MUSICA
JIMI HENDRIX
vedevo era me stesso”, e in cui tutto veniva distorto,
come al luna park. Troppa droga, troppi eccessi che
forse però hanno contribuito a far emergere ancora
di più la sua genialità, ed a plasmare il suo unico ed
inconfondibile stile.
Allucinante: la prima parola che mi viene in mente per descrivere il suo modo di suonare è questa,
perché si tratta di un sound altamente psichedelico
e visionario, che crea nella mente di chi lo ascolta
mondi immaginari e fantastici, come succede con
purple haze e voodoo child, e che, a volte, riesce
persino a commuovere, con pezzi come angel o the
wind cries Mary. Canzoni capaci di farti baciare il
cielo per un piccolo meraviglioso attimo, nonostante siano tecnicamente inferiori a brani di Steve Vai
o John Petrucci, perché non è la tecnica che rende
17
Laila è importante per lei più della sua stessa vita.
Le donne afghane, infatti, sono tutt’altro che deboli.
Riuscire a sopravvivere alle condizioni di vita che
sono costrette a sopportare risulterebbe davvero impossibile per le donne occidentali. Vivono costantemente con la paura che l’uomo che sta al loro fianco
le possa picchiare, violentare o addirittura uccidere.
La storia di Mariam e Laila si intreccia intimamente
con trent’anni di storia afghana, durante i quali numerose guerre ed invasioni hanno dilaniato il paese
fino all’avvento del regime talebano intorno al 1996.
I talebani sviliscono la figura femminile nei modi
più crudeli e disumani e nel libro sono riportate le
leggi da loro emanate, molte delle quali impensabili
in una società civile, che riguardano soprattutto le
donne.
Donne, attenzione: Dovete stare dentro casa a
qualunque ora del giorno. Non è decoroso per una
donna vagare oziosamente per le strade. Se uscite,
dovete essere accompagnate da un parente di sesso
maschile. La donna che verrà sorpresa per strada da
sola sarà bastonata e rispedita a casa. Non dovete
mostrare il volto in nessuna circostanza. Quando
uscite dovete indossare il burqa. Altrimenti verrete
duramente percosse. Sono proibiti i cosmetici. Sono
proibiti i gioielli.Non dovete indossare abiti attraenti. Non dovete parlare se non per rispondere. Non
dovete guardare negli occhi gli uomini. Non dovete
ridere in pubblico. In caso contrario verrete bastonate. Non dovete dipingere le unghie. in caso contrario
vi sarà tagliato un dito. Alle ragazze è proibito frequentare la scuola. Tutte le scuole femminili saranno chiuse. Se aprirete una scuola femminile sarete
bastonati e la vostra scuola verrà chiusa. Alle donne è proibito lavorare. Se vi renderete colpevoli di
adulterio, verrete lapidate. Ascoltate. Ascoltate con
attenzione. Obbedite.
Khaled Hosseini riesce, così, a racchiudere in
questo romanzo non solo la storia travagliata di un
paese come l‘Afghanistan, ma soprattutto le vicende
delle famiglie dilaniate dalla guerra e la condizione
delle donne vissute in un contesto sociale e culturale a loro poco favorevole. Il messaggio del libro è
sicuramente la speranza per un mondo migliore per
tutti, indipendentemente dalla condizione sociale,
culturale, economica e religiosa. La libertà e la ricerca della felicità sono diritti inalienabili dell’uomo
e Hosseini attraverso una narrazione semplice ma
intensa, riesce a divulgare questi principi.
Alessandra Piluso II C
Hendrix speciale: è il cuore che l’artista mette in
ogni parola, sono le emozioni che riesce a suscitare; la prima volta che ho ascoltato little wing
(e ogni volta in cui la ascolto) mi rievoca delle
immagini stupende, e questo mi succede solo con
stairway to heaven dei Led Zeppelin e comfortably numb dei Pink Floyd (e qualche altro raro pezzo..). Come non citare poi le sue personalissime
versioni di Hey Joe e All Along The Watchtower,
o la ballata blues Red House, per non parlare della
velocissima ed energica Fire. Lui stesso definiva
il suo stile free feeling, uno stile senza alcun limite legato al genere, che gli permetteva di spaziare
dai tipi di musica più diversi e più impensabili,
e non suonava affatto seguendo note, pentagrammi o altro: Jimi suonava colori e forme che gli
frullavano in testa e che lui “semplicemente” trasmetteva alla sua Stratocaster. Penso che a questo
punto sia chiaro il mio parere su questo immenso
artista, sicuramente uno dei pionieri per quanto riguarda non solo la chitarra elettrica, ma per
tutto ciò che concerne il mondo della musica, in
ogni sua sfumatura e sfaccettatura. Peccato che
ora l’industria musicale pensi solo al guadagno e
a rincretinire i giovani con i soliti Tokio Hotel, la
solita marmaglia che ogni anno viene portata alla
ribalta da Amici o il solito lamento che fuoriesce
inesorabile dalle labbra di Gigi D’Alessio... Tra
qualche anno però, tutti si saranno dimenticati di
loro, proprio come succede ad un castle made of
sand, che viene portato via dal flusso marino senza lasciare segni della sua esistenza, ma nessuno
metterà mai da parte il ricordo di Jimi Hendrix,
pittore musicale...
Giosafat Scura IV E
18
Advice to improve your English
It is well known that English nowadays plays an important role in our daily life, in fact thanks to it
everywhere you go you can communicate. What an amazing magic wand! That’s way English language
teaching classes start in day nurseries, where children can learn English easily.
Children are usually happy to learn a new language as they see it as a kind of play. Things change
in upper schools, because students feel abashed and not sure speaking a foreign language. But the only
way for learning English and every other language is to practice it. Let’s see how students can improve
their abilities.
Buy a novel, a detective novel, a science fiction novel written in English and read a page per day.
Maybe in the beginning you’ll need a vocabulary but don’t lose heart! By reading you can improve your
vocabulary and your writing ability.
I know, in our country there aren’t a lot of opportunities for speaking English, but you can apply
yourself trying to speak in English with your teacher and your friends at school and with tourists visiting your country during the summer. Don’t worry about mistakes, the only thing that matters is communicating. You’ll feel more and more at ease and confident. Listen to English songs with headphones
and try to concern yourself to catch the words and the main meaning. Exercise yourself by watching
films in English with subtitles. It will be useful to get your ears used to the language. Finally find a pen
pal or a mail pal to correspond with, or simply chat with foreigner friends , it is more useful and even
funnier!
I know, it seems to be a lot of hard work, but if you want to go abroad and communicate you have
to do it!
Carmela Oriolo
L’amour
J’attends impatient
le vert vermillion des fleurs
sauvages,
le contarint des bandes d’oiseaux
qui bruit entre le ciel clair,
le vent qui travers les prés.
Tout cela pour espérer me revoir
le fluctuant jeu, pur et blanc,
de l’amour.
Chiara De Fabrizio, II C
Liceo Scientifico F. Bruno
L’école en France…
c’est pas mal!
“Celui qui ouvre une porte d’école, ferme
une prison” est une phrase de Victor Hugo,
un des plus importants écrivains romantiques
français, qui manifeste l’ importance de l’ école
en France.
Aujourd’hui en France il y a beaucoup d’
écoles publiques et aussi privées et l’ école est
obbligatoire de 6 à 16 ans. Elle est très differénte de l’ école italienne. Les élèves se déplacent dans les diverses salles réservées à chaque
discipline où il y a les professeurs qui les attendent. Les élèves d’ une section ne suivent
pas tous les mêmes cours, parce qu’ ils peuvent
décider leur cours, à part ceux obbligatoires.
Il n’y a pas d’instruction religieuse à l’ école
publique, car celle est fondée sur le principe
de la laïcité et les signes religieux sont interdits. Les élèves français ont les cours pendant la
matin et l’après-midi et ils mangent à la cantine ou dans les cafés. Il n’y a pas de cours le
samedi et le mercredi après-midi est souvent
libre pour permettre aux jeunes de pratiquer
des activités extrascolaires et sportives. Même
si les élèves français ont une charge horaire, ils
ont nombreux jours de vacances, outre les deux
mois traditionnels pendant l’ été, pour rattraper leur retard et pour se reposer. En effet il y
a une quinzaine de jours de vacances pour la
Toussaint, pour Noël, pendant l’
hiver, pendant le printemps, plus
quelques jours pour les fêtes civiles er religieuses. Le système
scolaire en France comprend: l’
école maternelle (de 3 à 5 ans)
qui est facultative; l’ école élémentaire (de 6 à 10 ans) subdivisée en cours préparatoire,
cours elementare 1 et 2 et cours
moyen 1 et 2; le collège (de 11 à
14 ans) subdivisé en cours d’observation (sixième et cinquième)
et cours d’orientation (quatrième
et troisième); le lycée (de 15 à 17
ans) subdivisé en seconde, première et terminale. Si les élèves
veulent aller aux universités, aux grandes écoles ou aux écoles specialiste, ils choisissent le
lycée d’ enseignement général et technologique, mais si les élèves préférent apprendre un
metier manuel, ils vont au lycée professionel.
A’ la fin des cours du lycèe, les élèves doivent
passer un examen appelé baccalauréat (BAC)
ou baccalauréat professional et puis ils peuvent
continuer les études ou travailler.
Le point de force de l’école française est
sûrement la possibilité pour les professeurs
d’avoir le salles avec tout le nécessaire pour les
cours et aussi la possibilité pour les élèves d’ apprendre en classe et d’ avoir beaucoup de jours
de vacances. L’ école française est en continu
développement et elle progresse sans arrêt.
Alessandra Piluso
Classe II C
Un rêve...
Quand les sourires étais vrais et on n’étais pas
à être hostiles, quand, en somme, j’étais encore
un enfant je pense épais à mon avenir. Je rêvais
les lumière étincelé du cirque, ce sans de magie
que il y a dans le chapiteau. Le monde royal des
adultes était éloigne de moi, malgré tout je remarquais son Chaos frénétique. J’avais peur que la
foule me surmontais. Dans le cirque c’étais different. Dans le cirque tu étais toi à domineer la
foule et, une fois fini le spectacle, tu avais vu des
nouveaux pays en restant toujours sous le meme
ciel. Mais le monde, ou peut-être une parte de
moi, n’a pas voulu plus reverser mes peurs dans
un rêve. Maintenant, je suis ici. J’aimerais pou-
voir étudier l’art et le dédier ma vie, parce que,
en regardant un tableau, mon coeur claque et mon
esprit commence à voyage. Et quand l’esprit vo-
yage sur ses sentiers, le Coeur e l’ame resplendent
de Bonheur.
Chiara De Fabrizio, II C
Liceo Scientifico F. Bruno
Scienze
Nuove tecnologie nel
mondo della scuola
Le nuove tecnologie dell’informazione e della
comunicazione costituiscono un insieme di strumenti didattici del tutto particolari. Veloci ed efficienti, utilizzabili in diversi campi ed in numerose
e poliedriche applicazioni. Grazie a queste caratteristiche esse sono molto impiegate nel mondo del
lavoro nonché nella vita quotidiana. Il loro utilizzo
risulta particolarmente utile nel mondo della scuola, non solo nella funzione gestionale ed amministrativa ma anche e soprattutto nella didattica.
Le nuove tecnologie, infatti, hanno un ruolo sia
come supporto tecnico, sia come supporto didattico. L’utilizzo delle tecnologie, quindi, agevola il
docente nel lavoro legato alle attività di insegnamento, ad esempio velocizza la stesura dei progetti
didattici, dei piani di lavoro, delle verifiche e delle
relazioni; favorisce il costituirsi di reti di scuole
e facilita il lavoro di quelle che già operano, consentendo e favorendo lo scambio di esperienze e
informazioni fra docenti di scuole diverse. Inoltre
l’utilizzo delle TIC semplifica i rapporti con i genitori e con gli studenti, attraverso una maggiore
informazione. La diffusione di internet e della
posta elettronica ha contribuito e contribuisce ad
un aggiornamento più efficace e continuo, sia per
il confronto con altri docenti, con necessità simili
ed eventualmente più esperti, sia per la possibilità
di fruire di percorsi formativi a distanza, realizzabili con tempi dimensionati rispetto alle proprie
esigenze. L’ambito comunque più importante, più
ampio, versatile ed efficace per l’inserimento delle
TIC nella scuola risulta essere quello relativo alle
attività svolte con i ragazzi. Ciò è particolarmente
vero per le scuole appartenenti alla fascia dell’obbligo, che hanno l’obiettivo di educare culturalmente i ragazzi e prepararli ad affrontare un mondo
in cui l’informatica e la telematica rappresentano
un’attualità sempre più viva e presente. Per fornire
l’opportunità agli studenti di acquisire una visione
complessiva sulle potenzialità delle nuove tecnologie, risulta particolarmente positivo il coinvolgimento di tutte le materie attraverso un approccio
trasversale, offrendo quindi una panoramica delle
possibili applicazioni in settori diversi, evitando
magari l’inserimento generalizzato di una nuova
materia quale l’informatica, inserimento che invece risulta utile se l’obiettivo è quello di formare
dei “tecnici”. Si sfrutta la sinergia che si ottiene
quando un alunno sviluppa attraverso le tecniche
multimediali un’applicazione di una qualsiasi disciplina, acquisendo contemporaneamente sia i
contenuti della disciplina che le basi concettuali e le abilità innovative. Per raggiungere questo
obiettivo risulta fondamentale la programmazione del lavoro da parte degli insegnanti coinvolti
nelle attività della classe. Non è necessario che i
contenuti delle singole discipline subiscano grandi
cambiamenti perché il computer viene introdotto
come strumento, come metodologia didattica, per
quegli argomenti che dall’essere svolti utilizzando
le TIC, traggono benefici in chiarezza e immediatezza nella comprensione, nel riscontro immediato
dei risultati e nello sviluppo e accrescimento dell’interesse degli studenti. L’utilizzo delle TIC permette di “utilizzare” l’interesse che i ragazzi hanno
per le “moderne apparecchiature”; in virtù di ciò è
evidente che l’utilizzo delle nuove tecnologie può
risultare un valore aggiunto per tutte le discipline e
non solo per alcune. Inoltre, l’uso delle tecnologie
in genere, e del computer in particolare, conduce
ad una inevitabile modifica del comportamento
dei docenti nei confronti dell’errore. Il computer
richiede il rispetto puntuale di una certa procedura. La costante interazione tra utente ed elaboratore consente una verifica dell’azione intrapresa in
tempo reale, guidando l’utente lungo un percorso
che prevede una costante correzione dell’errore e
che termina solo con la rispondenza con la richiesta corretta.
Antonio Falbo
19
Software: le alternative esistono
Nell’era della globalizzazione persino l’informatica, purtroppo, è monopolizzata da grandi
software house a scopo di lucro. Tale monopolio
porta alla luce due importanti problematiche.
La prima è un’inevitabile ripercussione sulla
qualità dei prodotti, anche se non è assolutamente
vero che ogni programma a pagamento sia scadente.
L’altra problematica che, a mio avviso, è più
inquietante, è l’errata percezione del mercato
dell’informatica indotta sui consumatori. L’idea
stessa di PC è molto spesso associata alla parola
Windows. Questa associazione tende erroneamente a diventare una totale identità, un binomio indissolubile tra i due concetti.
Cos’è un sistema operativo?
Un sistema operativo è a tutti gli effetti un programma di fondamentale importanza all’interno di
un PC e le sue mansioni sono innumerevoli.
Per dare una piccola idea del suo ruolo, si pensi
che una volta caricato, rimane in esecuzione finché il computer è acceso.
Esso è addetto alla gestione sicura delle risorse
hardware richieste dai software in esecuzione (ad
esempio, al programma Word serve la stampante, dunque nessun’altra applicazione deve poterla
usare fin quando Word non ha terminato). Il SO
permette l’esecuzione simultanea di più applicazioni  (eMule, Windows Media Player e Live
Messenger contemporanamente in esecuzione per
fare un esempio).
Infine, il sistema operativo che gira sul nostro
computer è responsabile delle politiche di sicurezza dello stesso (se il sistema non ha una politica
robusta, allora è molto semplice creare dei virus
che possano danneggiarlo).
 Il sistema operativo di Microsoft è di gran lunga il più conosciuto ed utilizzato, ed il meccanismo di mercato per il quale ogni nuovo computer
viene venduto già equipaggiato con un sistema
operativo dell’azienda di Bill Gates non fa altro
che rafforzare l’identità Windows=Personal Computer. Nella mentalità collettiva Windows viene ad
assumere così una lunga serie di connotazioni, che
in realtà riguardano genericamente il PC.
Da sottolineare che nel prezzo di ogni PC che
acquistiamo (salvo rare eccezioni) è incluso il costo di Windows, ma pochi sanno che esistono ad
oggi alternative validissime e a costo zero.
 Le alternative
 Le statistiche parlano chiaro: il 92% della
popolazione mondiale utilizza Windows come
sistema operativo. Oltre ad essere a pagamento,
è anche noto come esso sia sempre esposto alla
minaccia di virus informatici (da qui, l’uso degli
antivirus) o a fastidiosi malfunzionamenti che culminano con simpatiche schermate blu, che lasciano l’utente spiazzato.
Esistono però, nascosti da questo perverso
meccanismo di mercato, una vasta gamma di sistemi operativi, che presentano in generale meno
problemi di quanti non ne abbia Windows.
Linux in particolare è un sistema operativo libero progettato a partire dal 1991 da Linus Torvalds, che attualmente è preferito solo dall’ 1% della
popolazione mondiale.
Cos’è il software libero?
Il concetto di software libero si basa su quattro
“libertà fondamentali”:
- libertà di utilizzare il programma per qualsiasi
scopo;
- libertà di studiare il programma e modificarlo;
- libertà di copiare il programma;
- libertà di migliorare il programma e di distribuirne pubblicamente i miglioramenti, in modo
che tutti ne possano trarre utilità.
Sicuramente è da sottolineare la differenza con
i software gratuiti; sebbene entrambe le tipologie,
siano a costo zero, il divario profondo consiste
proprio nella possibilità di poter modificare, migliorare, aggiungere funzionalità prima non previste, a questo sistema che utilizza una filosofia cer-
tamente in contrapposizione con una produzione
di tipo industriale-commerciale.
Quest’ultima trae guadagno dai compensi versati (spesso senza rendercene conto!) per l’acquisto del software. Linux e tutto il mondo del software libero vive invece della collaborazione che
si basa sulla passione di molti informatici. La forte libertà di Linux si manifesta anche tramite l’esistenza di una pluralità di distribuzioni dello stesso
(dette distro). Linux è infatti più propriamente
il “kernel” (nocciolo) del sistema operativo, che
viene distribuito con un corredo di applicazioni
adatte alle nostre esigenze.
Esistono centinaia di distro Linux create per
ogni necessità, da quella più complessa, a quella
più semplice, distribuzioni studiate per ridare vita
ad un vecchio PC che altrimenti non riuscirebbe a
sopportare un sistema operativo avido di risorse
come Windows.
Chiunque può liberamente creare la sua distribuzione, decidendo in ogni minimo particolare
di cosa debba essere dotato il proprio sistema
operativo, un po’ come quando si inizia a voler
personalizzare la propria auto o la moto, dotandole di marmitte particolari o altri ameni accessori
che le possono rendere più performanti, eleganti
e comunque più adatte alle nostre esigenze e gusti
personali.
Windows è, dal canto suo, un “sistema chiuso”,
potrei dire “questa è la tua minestra o quella è la
finestra”. Linux invece è libertà di scelta, libertà
di usufruire di un bene inestimabile, l’informatica,
in maniera gratuita (pensateci, ci si allontana dalla
diffusa illegalità del “software craccato” alla quale spesso siamo costretti da questo assurdo meccanismo di mercato).
Linux è sicurezza, di fatto non è assolutamente
necessario l’uso di antivirus, essendo Linux quasi
totalmente esente da minacce virali.
Negli ultimi anni nel panorama mondiale delle
Linux Distro si è distinta e imposta “Ubuntu”.
La parola “ubuntu” ha origini africane e il
senso viene spiegato in un famoso videoclip da
Nelson Mandela (cercatelo su YouTube), un’icona
di libertà per l’Africa e per il mondo, un esempio
di tolleranza ed umanità. Molto tempo fa, quando ero bambino, un viaggiatore che attraversò un
paese e che si fermò nel nostro villaggio, non ebbe
bisogno di chiedere cibo o acqua. Quanto si fermò li, la gente gli diede cibo e si intrattenne con
lui. Questo è il rispetto di Ubuntu. Ubuntu non
vuol dire che le persone non debbano dedicarsi a
se stesse. La questione piuttosto è: sei disposto a
dare qualcosa per aiutare la gente che sta intorno
a te perché abbiano la capacità di migliorare la tua
comunità? Questa è una cosa molto importante
nella vita e chiunque può metterla in pratica. 
Su questo semplice principio si basa non solo
Ubuntu, ma tutto il mondo del software libero, incarnando un importante e raro esempio di società
utopica umana. Se si hanno le capacità di creare un software che possa risolvere uno specifico
problema, lo si mette a disposizione di tutti, senza
scopi di lucro.
 L’alternativa esiste, e questo ci rende liberi di
scegliere.
 Dario Madeo
20
Scienze
La Particella di Dio
Credo che tutti noi, almeno una volta, ci siamo
chiesti: perché esistiamo?
Mentre voi leggete queste righe, al CERN (acronimo di European Center for Nuclear Research), 5000
tra i migliori fisici internazionali stanno cercando di
dare una risposta a questa fatidica domanda. Certo,
sembrerebbe scontato ridurre tutto alla pluridiffusa
teoria del Big Bang, ma nella sua complessità essa
non spiega come da una esplosione di energia possa
essersi generata la materia. Allora da dove viene tut-
to ciò che ci circonda? Secondo la Fisica internazionale le particelle elementari non dovrebbero avere
una massa poiché sono “pura energia”, ma ciò risul-
ta impensabile poiché è evidente che ogni corpo che
ci circonda ha una massa e di conseguenza anche le
particelle di cui è composto.
In risposta a questa apparente contraddizione, il
fisico Higgs teorizzò l’esistenza di una particolare
particella, detta appunto bosone di Higgs. Nel nostro
universo esisterebbe un campo che le particelle devono attraversare e che conferirebbe loro una massa.
Questo campo, denominato di Higgs, permeerebbe
tutto l’universo e ogni particella “immergendosi” in
esso acquisterebbe massa. Il bosone è una condensazione del campo di Higgs e sarebbe responsabile
della massa di tutte le particelle. Cercando di spie-
gare tutto semplicisticamente, potremmo riassumere partendo dal Big Bang. Inizialmente si suppone
che tutte le particelle dell’universo fossero uguali
e simmetriche e che l’esplosione abbia conferito a
ognuna di loro una velocità e una direzione diverse
provocando una differenziazione tra le stesse. Attraversando il suddetto campo, con le nuove caratteristiche acquisite, le particelle otterrebbero poi una
propria massa. Tradotto in equazioni l’idea funzionava: le particelle acquisivano massa e le equazioni
della teoria rimanevano valide. Tutti gli sforzi dei
fisici, dunque, sono indirizzati alla dimostrazione
dell’effettiva esistenza di questo bosone per mezzo
dell’acceleratore di particelle più potente al mondo,
l’LHC, in grado di ricreare le condizioni necessarie
per il suo studio . Ma affinché l’ipotesi possa trasformarsi in tesi è necessario che le probabilità di
errore siano inferiori ad 1 su 1.000.000, basti solo
considerare che nell’ultimo tentativo una mollica
di pane “accidentalmente” finita sull’LHC alterò
sensibilmente i risultati dell’operazione. Pare che
il bosone di Higgs sia già stato intravisto durante un
esperimento americano tramite un acceleratore chiamato Tevatron.
Se si riuscisse a dimostrare l’esistenza di questo bosone, molte domande avrebbero finalmente
risposta e l’esistenza di ogni cosa sarebbe finalmente spiegata. È per tale motivo che il premio Nobel
Leon Lederman la definisce “Particella di Dio”. La
caccia al bosone di Higgs continua!
Classe IV C
Crazy diamond: l’oggetto cosmico più brillante mai osservato
Da sempre l’uomo è stato affascinato dai
fenomeni che avvengono nell’universo e non
è rimasto indifferente alle diverse evoluzioni
che si sono protratte fino ai giorni nostri. Numerosi misteri e altrettanti dubbi tormentano
la curiosità di moltissimi astronomi e astrofisici esperti in materia. Uno dei più famosi è il
così detto buco nero o “black hole”. Essi, infatti, sono ancora tra gli oggetti più misteriosi
e affascinanti del cosmo. In quasi 40 anni le
conoscenze sono aumentate; si sa, per esem-
pio, che i giganteschi buchi neri che si trovano
al centro di grandi galassie possono ingurgitare
materia in quantità così abbondanti che alla fine
non riescono ad assorbirla perciò sono costretti a
ributtarla fuori con getti spettacolari ad altissima
energia e a diverse lunghezze d’onda; le più potenti delle quali sono i raggi gamma. È proprio
il caso del CRAZY DIAMOND, ribattezzato così
(“diamante pazzo”) come la celebre canzone dei
Pink Floyd “Shine on you crazy diamond”. Pazzo perché il suo comportamento è irregolare e a
fasi alterne; diamante perché brilla ancor più di
un diamante, tanto da strappare alla Pulsar, che
si trova nella costellazione della Vela, il record
di brillantezza, diventando cosi la sorgente più
lucente di tutto il cielo. È stato osservato per la
prima volta lo scorso 21 dicembre 2009. Un buco
nero che fa una sorta di “indigestione” ingurgitando un’enorme quantità di materia: più ingurgita
più brilla, fino a diventare il faro più luminoso
della volta celeste. Ad osservare l’evento sono
stati il satellite AGILE dell’ASI (agenzia spaziale
italiana) e il satellite FERMI della NASA. Il buco
nero, che ha una massa miliardi di volte maggiore rispetto a quella del sole, si trova al centro del
QUASAR 3C4543, distante miliardi di anni luce
dalla terra, e la sua esistenza è stata rivelata proprio dal livello di emissioni gamma in proporzione alla quantità di materia che il buco acquisisce.
Dipende cioè dal suo regime alimentare; quando
il buco nero è “a dieta” l’emissione è stazionaria;
invece, quando “s’ingozza” di materia l’emissio-
ne aumenta e diventa alquanto variabile. Come
spiega una ricercatrice dell’INAF (istituto nazionale di astrofisica), dal crazy diamond c’è
da aspettarsi un altro giro di ottovolante con
una serie di saliscendi nel flusso di energia che
emette, e con i loro laboratori cosmici sono in
grado di studiare anche gli effetti e l’interazione
che le particelle dei campi elettrici hanno con le
particelle dei campi magnetici. Comunque sia
adesso pare che il flusso gamma stia lentamente
scendendo, ma con i buchi neri non si sa mai
cosa potrebbe succedere da un momento all’altro... magari non è ancora “sazio” e ricomincerà
a stupirci.
Bonadio Roberta VD
Arte
21
Canova l’ultimo classico della scultura
Canova nacque a Possagno il 1° novembre del
1757, fu soprannominato il nuovo Fidia. Fu soprattutto il cantore della bellezza ideale femminile, priva di affettazioni; “bellezza ideale” che
aveva teorizzato Winckelmann, storico dell’arte.
E’ famoso l’episodio
che narra di un Canova
giovanissimo
a cena dal senatore
veneziano Giovanni
Falier: suscitò meraviglia tra gli invitati,
incidendo nel burro in
breve tempo, ma già
con grande talento,
la figura di un leone.
Frequentò la scuola
di nudo dell’accademia di Francia e dei
musei Capitolini, ma
l’incontro più importante della sua vita fu quello con l’ambasciatore Zulian, il quale gli procurò
le prime commissioni. In questo periodo Canova
scolpisce Teseo sul minotauro.
Questa scultura mostra come l’artista si impegni ad incarnare l’ideale neoclassico della bellezza, eliminando torsioni, panneggi e tutti gli
orpelli ridondanti ed ampollosi dell’arte barocca,
ottenendo una forma pura, in grado di trasmettere
sentimento ed azione, in staticità. A Canova non
importa inquadrare quell’orrenda figura del minotauro; non gli importa neanche rappresentare la
dinamica della lotta. Egli raffigura un momento
meno dinamico ma con più fascino.Teseo è ormai
privo di energia e si appoggia sul corpo del minotauro in un gesto di estrema serenità e prossimo
alla pietà. Importante è l’uso del marmo bianco
su cui Canova passa una patina di cera per dare
l’effetto dell’incarnato e della lucentezza.
L’artista lavorò per papi, sovrani, imperatori
e principi di tutto il mondo. Importanti furono i
ritratti fatti per la famiglia Bonaparte, infatti si
pensa che il più bello sia quello che rappresenta
Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone.
Seminuda, semisdraiata su un triclinio romano,
che tiene nella mano destra una mela nell’allegoria di “Venere vincitrice”. Si avvertono influenze
della pittura giorgionesca e tizianesca e delle figure giacenti dei sarcofagi etruschi. Nella Paolina Borghese si fondono una squisita morbidezza
del modellato e un perfetto equilibro tra bellezza
ideale e bello di natura.
L’opera che rappresenta di più il Canova, a mio
modesto giudizio, è Amore e Psiche.
L’opera scultorea è ripresa dalla favola dell’asino d’oro di Apuleio. Psiche, scesa nell’inferno, incontra Proserpina, la quale le consegna una
boccettina; questa non doveva essere aperta, altrimenti avrebbe provocato un sonno profondo. Ma
Psiche la apre e sviene. L’opera rappresenta il dio
Amore (o Cupido) mentre contempla con tenerezza il volto della fanciulla amata ed è ricambiato
dalla dea con una dolcezza intensa. L’erotismo è
sottile e raffinato, non acceso e sottolinea proprio
il momento poco precedente al bacio. Le figure
sono tese e prive di coinvolgimenti emotivi. E’ un
miscuglio tra la tenerezza degli sguardi e la carnalità del bacio, un bacio non rappresentato ma
lasciato all’immaginazione dello spettatore. Le
due figure si intersecano tra di loro formando una
X, morbida e disinvolta, che dà luogo ad un’opera
che vibra nello spazio. Anche qui Canova usa il
marmo bianco, e dopo averlo levigato, gli passa
sempre la famosa patina di cera, che dà qui, più
che in ogni altra scultura, il senso dell’incarnato.
La monocromia è in contrasto con il pittoricismo
dei materiali usati nell’epoca barocca. Le due figure sono disposte diagonalmente e divergenti tra
loro. Le ali aperte di Amore vanno a disegnare un
triangolo, mentre le braccia di Psiche incornicia-
no il punto focale, creando l’effetto di un cerchio
attorno ai volti. All’interno del cerchio c’è la forte
tensione emotiva in cui il desiderio senza fine di
Amore sta per sprigionarsi. Al contrario di Apollo
e Dafne del Bernini, opera con il quale lo scultore voleva suscitare meraviglia e stupore, Canova
con Amore e Psiche va ad incarnare quella che è
la perfezione classica, l’idea del bello, ovvero sintesi di bello naturale ed ideale. Proprio per tutte
queste caratteristiche, Antonio Canova è ritenuto
l’ultimo grande esponente della scultura classica
italiana.
Angela Gengarelli IV E
Leonardo e l’arte.. della guerra
Uno dei più grandi artisti rinascimentali e simbolo dell’Italia all’estero è senz’altro Leonardo da
Vinci.
Le invenzioni più importanti sono il carro armato, ottenuto dall’unione di un’antenata dell’automobile inventata dallo stesso Leonardo e una corazza costellata di cannoni, il carro falciante, un carro
munito di ingranaggi che azionavano delle lame rotanti per ferire gravemente i nemici in battaglia, la
prima mitragliatrice o cannone multiplo, costituito da 8 o 33 canne che sparavano contemporaneamente, il primo cannone a vapore, utilizzato per la prima volta solo nella guerra di secessione americana,
e la maschera subacquea, utile per sabotare le imbarcazioni nemiche. L’inventore non si limitò solo a
creare armi avveniristiche ma apportò anche utili modifiche a quelle già esistenti come barche munite
di un lungo rostro per speronare le imbarcazioni nemiche e di un cannone in prua che normalmente
era nascosto da una robusta corazza; una balestra gigante (ben 25 metri di larghezza) provvista di un
innovativo sistema di caricamento; un cannone smontabile che era per questo molto più semplicemente
trasportabile e quindi versatile. Una delle modifiche più importanti nel campo delle armi, in particolare
in quelle da fuoco, fu l’adozione della forma ogivale dei proiettili che li rendeva molto più precisi grazie
alla loro aerodinamicità. Fu anche l’ideatore della prima cartuccia a pallini o a frammentazione, usate
tuttora per i fucili da caccia in quanto non necessitano di una mira particolarmente accurata.
Uno dei progetti più geniali di Leonardo fu quello della deviazione del fiume Arno verso Livorno
mettendo così in crisi l’economia della grande rivale di Firenze: Pisa. I lavori partirono nell’agosto 1504
anche grazie alla collaborazione di personalità come Machiavelli e Soderini ma nell’ottobre dello stesso
anno vennero bloccati per l’eccessivo costo dell’impresa. Tuttavia si è calcolato che l’opera sarebbe
stata possibile anche se con molte difficoltà per le tecniche
e gli strumenti di allora. Sarà questo il destino della maggior parte delle sue opere che non verranno mai realizzate
perché considerate assurde o troppo dispendiose. Solo ultimamente un team di progettisti e falegnami capitanati da
Flash Hopkins, uno degli industrial artisti più richiesti a livello mondiale, ha cercato di riprodurre fedelmente alcune
delle macchine da guerra progettate dal genio toscano con
notevoli e positivi risultati mostrati poi in una miniserie su
un canale satellitare. I disegni su cui si sono basati appartengono per la maggior parte al Codice Atlantico, una raccolta di fogli chiamata così per le notevoli dimensioni degli
stessi, che sarà il protagonista di una serie di 24 mostre a
Milano partita lo scorso settembre e che terminerà nel 2015
in occasione dell’expo milanese e che comprende, oltre alle
macchine da guerra, studi sull’anatomia, sulla botanica, sul
moto dell’acqua e sul volo.
È proprio questa sua ecletticità e genialità che il pubblico apprezza in Leonardo, il suo andare oltre i limiti del suo
tempo senza lasciarsi coinvolgere dal bigottismo dei suoi
contemporanei che lo rende attuale e affascinante anche ai
giorni nostri.
Giuseppe Fino IVD
Scienza, alchimia e arte unificate dal principe di Sansevero
Nei borghi di Napoli viveva una famiglia alquanto nobile, i principi di Sansevero, che furono per un lungo
arco di tempo riconosciuti e rispettati nel napoletano e a corte.
In questa famiglia spicca un nobile assai indaffarato, Raimondo De Sangro, un personaggio molto interessante, misterioso ed enigmatico nell’intera storia di Napoli. Egli, gran maestro della massoneria, nella
seconda metà del ‘700, grazie all’alleanza che ci fu tra massoneria e Chiesa, poté accedere agli archivi vaticani, leggendo così cose che non era dato leggere a nessuno. Da allora il principe ebbe una serie di scoperte,
invenzioni e ruoli politici rilevanti. Si dice che fosse anche mecenate e letterato. Tra i suoi frutti vengono
rilevati una stoffa impermeabile, una sorta di “carrozza marina”, ma non finisce qui. Nella cappella di famiglia, oggi consacrata, abbiamo la possibilità di notare delle opere fantastiche, molte sculture in marmo, tra
le quali “l’uomo avvolto nella rete”, tutte opere che si rifanno ai simboli massonici. Però l’opera che spicca
notevolmente è “Il Cristo velato”, del San Martino, scultore napoletano.
Il Cristo è morente, avvolto da una sindone molto sottile. L’opera venne ricavata da un unico blocco di
marmo ad eccezione della sindone. Infatti, la leggenda maggiore vuole che il principe abbia dato allo scultore delle informazioni segrete per produrre un lenzuolo alchemico, si dice che Raimondo De Sangro abbia
scoperto la “calcificazione del tessuto”.
Notando l’opera, l’impressione è tale da far sembrare davvero che il Cristo sia avvolto da un lenzuolo con
tutti i suoi particolari e le pieghe realistiche.
Santo Carelli IV E
RACCONTI E POESIE
22
Poesia
L’amicizia è un dono prezioso,
è una sorgente che ci disseta ogni qual volta
ne sentiamo il bisogno.
Lei a dispetto dell’amore si può espandere
e distribuire a molte persone.
È un privilegio sincero che custodisce i
nostri segreti più intimi;
che non ci chiede di cambiare ma ci accetta
così come siamo.
L’amicizia è condividere un bel film,
mangiare una pizza o semplicemente
prendersi in giro.
È colui con cui parlare senza il timore di
essere giudicati.
Che ci sta accanto nei momenti difficili e
che accetta i confronti anche se abbiamo
idee ed opinioni diverse.
L’amicizia, per chi la trova e per chi la dà,
è un sentimento molto importante che non
ha confini e culture ma è colei che lega il
mondo con un filo di tanti colori.
UN VERO AMICO E’ QUELLO CHE ENTRA
QUANDO IL RESTO DEL MONDO ESCE.
Rossella Pugliese IB
Correre
Mi ritrovo qui inebriata dall’opacità
Di questa giornata uggiosa che
Rispecchia il mio umore.
È fresca ma pesante, opaca ma accesa.
Poso gli occhi al cospetto di un’aria tetra,
calda e secca.
Odo le voci distanti ma vicine di chi
Si cruccia per affrontare il giorno.
Lo faccio anch’ io...
Sono attenta ma distratta.
Ripongo le mie speranze in una meta!
Ma so che tornerò qui,
ancora a correre.
Federica Sprovieri VE
Disillusione
Stasi confusa,
mente attonita,
pelle dolorante.
Vive chi dà respiri
senza avvelenare sé stesso!
La lingua altrui uccide;
in mano ha armi trasparenti
che impolverano i sorrisi sinceri.
Sopravvive chi ama senza pretendere!
La delusione di un sentimento che si
infrange nel petto
avviluppa anche un cuore marmoreo.
Muore chi ha amato davvero!
Alessandra Spezzano IV D
Vivi il presente
Vivi il presente
Non vivere per il futuro,
perché non sai cosa ti riserva
il domani : può essere un’opportunità
o anche una delusione, ma non
fermarti a pensare ,a creare,
d’illuderti,perché la vita è un libro da
leggere
e ogni pagina
contiene una novità.
Rosa Cassano I C
Il volo
della farfalla azzurra
Or sul muro si posa
una farfalla azzurra.
Respira la stessa esistenza mia
e, pavoneggiando la sua bellezza
come una regina incantata,
ruota intorno alla mia roccia.
Non posso nulla.
Io, essere umano forte ed irascibile,
nulla posso
se non vivere il suo viaggio muto
ed aspettare che venga
la nuova aurora
per rischiarire un tetro residuo
del suo breve ma interminabile
volo silenzioso.
Chiara De Fabrizio, II C
Liceo Scientifico F. Bruno
Luce
Riempie la stanza di tristezza
Quest’ingombrante peso di un futuro
Imminente,
quest’angosciante paura di ciò che potrebbe
essere.
Riecheggia il suono vano di sinceri abbracci
Che arrivano da lontano.
Rimbombano nell’anima
E urtano le pareti del mio essere
Come lame taglienti che mi insanguinano
Dolorosamente.
È una lacerante sensazione di buio e vuoto
Che si colora e si riempie
Con spruzzi di dolore.
È l’anima che vuole liberarsi
Da queste corde strette,
è il cuore che vuole scoppiare
nel bacio eterno dell’ Amore!
Sprovieri Federica VE
Un abbraccio
La voglia di sentir passare l’energia
in ogni atomo del corpo,
di sentir volare la propria anima
su di un brio mai provato,
di riaccendere una fiamma
nel tuo cuore.
Trovarsi davanti
ad un’elettricità magnetica
che attira ogni parte di te..
E sentire quella gioia
che invade il cuore e gli occhi di magia.
La stessa gioia che si riaccende
con un suo abbraccio.
Chiara De Fabrizio, II C
Liceo Scientifico F. Bruno
“Solo Te” - 05.09.2009
Ad occhi chiusi non vedo più il nero
In ogni momento nella mia testa ho sempre lo stesso
pensiero
Una sagoma dolcissima ed allineata
Che nella mia vita molto vivacemente ormai è entrata.
E non mi va il pensiero di volare lontano
Preferirei moltissimo restare a tenerti per mano
Cantare con te canzoni un po’ passate
Per ore ed ore morendo di risate.
Dolce e lieve la tua voce ed armonia
Dalla mia mente ogni problema butta via
Soave e candida la tua faccia sorpresa
Lenta e inarrestabile rende la mia resa.
Non riesco a non pensarti e a non sognarti
Purtroppo dalla mia testa non riesco a cacciarti
Ti vedo là nel cielo su una nube a cavalcarla
Perché col solo sguardo riusciresti a domarla.
Scorrono le mie parole come un fiume
Mentre guardando il vuoto ti vedo circondata da mille piume
Di uccelli teneri e graziosi
Attratti dai tuoi begli occhi e luminosi.
Rotondo e circolare il movimento delle mani
Tue quando parli con noi umili profani
Della tua vita io so poco o niente
Ma mi basta ascoltarti per distinguerti dalla gente
Non sei materialista, arrogante o arrivista
Sei la più bella stella che sia mai stata vista.
Marco Vercillo II A - Liceo Classico
L’amore in vetrina
Ero lì, alla fermata dell’ autobus, sola, infreddolita e annoiata. Lo stesso risveglio, le stesse facce, lo
stesso ritmo di sempre: ogni mattina la mia vita era sempre uguale.
Mentre stavo immobile nello stesso posto di tutte le mattine,vidi nella vetrina di un negozio un bellissimo
vestito rosso, aderente e scollato. Era proprio il vestito che avrei voluto indossare per una serata speciale;
magari per un incontro con il mio principe azzurro. Nonostante io non fossi antipatica o scortese, non
avevo ancora conosciuto l’uomo dei miei sogni. Nel vetro del negozio all’improvviso vidi scorrere la mia
vita come davanti ad un film, le giornate si assomigliavano
tutte, la noia avvolgeva la mia vita, lo scorrere dei filmati non cambiava il mio umore.
Di colpo un flash si impossessò del mio sguardo: l’immagine di un uomo bellissimo aveva spezzato il
mio film. Avvolto in una luce accecante vedevo il mio uomo ideale. Mi girai di scatto, ma l’incanto era
svanito: intorno a me c’erano gli stessi visi semi-addormentati di tutti i giorni. Arrivai in ufficio più
malinconica del solito ma, almeno, con una speranza nel cuore. Avevo avuto il presagio che nella mia
vita ci sarebbe stato un cambiamento. Volevo fortemente che qualcosa cambiasse, ma incominciai a
capire che avrei dovuto cambiare atteggiamento innanzitutto nei confronti della vita. Rapita da questi
pensieri, ritornai alla realtà quando un collega mi disse che il capo voleva vedermi nel suo ufficio.
Mi ripresi dal ‘’sogno’’ e andai nell’ufficio del mio capo. Entrai e davanti ai miei occhi si materializzò
quell’uomo che avevo tanto desiderato conoscere quella mattina. Vagamente udii il capo, che mi spiegava
che ‘’lui’’ sarebbe diventato il suo sostituto e che avrei dovuto collaborare strettamente con lui.
Confusa, uscii dalla stanza per mettere ordine nella mia testa e capire se stavo sognando o se ero
sveglia! Questa e’ la mia storia fino a questo punto.
Da questo momento in poi ci sono due strade: una consiste nella realizzazione del mio sogno, l’altra
nel proseguimento della mia solita vita monotona. Volete sapere naturalmente quale delle due ho
imboccato?
Oggi, dopo tanti cambiamenti nel mio carattere e nel mio modo di vivere la vita, vivo felice accanto
all’uomo che, in una triste mattinata d’inverno, incontrai riflesso in una vetrina.
Floriana Romio VA
Sport
La Volley Corigliano, campione regionale!!!
Lo sport nella nostra città ha sempre avuto un posto privilegiato. Soprattutto la pallavolo, che negli
ultimi anni ha avuto un successo strepitoso, facendo
appassionare molti a queato sport che sembrava secondario rispetto al calcio. Il passato glorioso della
Il calcione rifilato da Totti a Balotelli nei minuti finali della partita Roma-Inter che decideva
l’assegnazione della coppa Italia è stato forse il punto–limite di crescendo di accuse, tensioni che
hanno dimostrato -qualora c’è ne fosse bisogno- che ormai il calcio, come del resto altri sport, non
è più un divertimento, un momento di sano agonismo di campanilismi che si risolvono nell’abbraccio, quanto piuttosto l’espressione di un dominio delle frange estreme, dei così detti “ultras” che
condizionano la vita dei club.
Giacomo Leopardi in uno dei suoi primi canti, intitolato ”A un vincitore nel gioco del pallone”,
augurava a questo giovane di giocare successi; ma lo invitava ad ispirarsi agli esempi degli atleti
delle antiche olimpiadi. Ed allora se nell’antica Grecia, in occasione delle olimpiadi venivano a
cessare le guerre più sanguinose, come mai oggi si
distruggono treni e stadi? Si accoltellano i presidenti? Il calcio è profondamente malato, ed è una malattia che è nata quando gli interessi hanno prevalso
sui valori, quando il dio denaro, come in tanti altri
campi, ha cominciato ad inquinare la mente degli
addetti ai lavori. Mi chiedo se sia giusto che operai
guadagnino così poco, mentre il calciatore, baciato
dalla fortuna, continua a fare le bizze, pur avendo
una cassaforte piena di banconote. Mi chiedo se sia
giusto divinizzare e mitizzare coloro a cui la sorte ha dato il privilegio di saper tirare quattro calci
ad un pallone, mentre eroi di altro tipo sono molto
presto dimenticati. E poi, quanto i mass media contribuiscono all’apologia di gente che è sempre sugli
schermi televisivi? Perché tante trasmissioni domenicali e non dedicate al calcio e così poche trasmissioni dedicate alla cultura? A questo punto, dopo
lo scandalo di Calciopoli, dopo che è stato appurato che molte partite erano truccate, dopo che
sono morti tifosi, forse quanto è accaduto all’Olimpico dovrebbe essere di monito. Servono poco le
scuse di Francesco Totti perché i giovani di oggi guardano i calciatori come ad esempi e, anche se
il paragone è irriverente, li considerano come Silvio Pellico e gli amici del Conciliatore venerano
Ugo Foscolo. Sono molti gli addendi che devono sommarsi affinché il totale dia ragione alla logica
e non alla passione: da un lato bisognerebbe riconsiderare il calcio come un sano divertimento e
sapere che dovrebbe sempre vincere il migliore,e anche se non vince, bisognerebbe bandire ogni
sorte di vendette; dall’altro l’esempio dovrebbe provenire dai calciatori che infiammano facilmente
tifosi già di per sé infiammabili; dall’altro ancora tutto l’entourage della squadra che dovrebbero
avere contezza che il loro atteggiamento è di un infantilismo estremo, ma è anche spesso indice di
delinquenza.
Eccezioni lodevoli a parte per tutte le categorie sopra citate.
Federica Romanelli IV B
La doppietta di un immenso Milito trascina
i nerazzurri alla vittoria della coppa più ambita dopo 45 anni di astinenza. La squadra di
Mourinho conquista così campionato, coppa
nazionale e Champions: un’impresa mai riuscita a un’italiana, la tripletta e non solo quella. In nottata la squadra è rientrata a Milano
portando in trionfo la Coppa: dalla Malpensa
a San Siro.
MADRID, 22 maggio 2010 - Campioni
d’Europa. Campioni d’Europa. Campioni
d’Europa. Il cielo è nerazzurro sopra Madrid.
Interisti, abbracciatevi forte e voletevi tanto
bene. Il sogno è diventato realtà, l’attesa durata 45 anni è finita. Il capitano Zanetti, dopo 15
anni, tante sofferenze, 700 partite, può alzare
in alto la coppa. La foto di Massimo Moratti
con la Champions si affiancherà a quella del
padre Angelo. Il 5 maggio non esiste più. Da
oggi esiste solo il 22. Maggio 2010, l’Inter
torna sul tetto d’Europa, e con lei l’Italia, tre
anni dopo la vittoria del Milan nel 2007. Salvo anche il ranking Uefa, ma chissenefrega
del ranking Uefa, in sere così. E’ la sera dell’Inter che completa una storica tripletta e dei
suoi tifosi, che fanno tremare la curva Nord al
fischio finale. E’ la sera del Principe Milito,
che decide con una doppietta da Fenomeno.
A 30 anni la prima grande squadra e la prima
finale: se questo è un debutto... E la sera di
José Mourinho che festeggia piangendo la sua
seconda Champions con due squadre diverse.
Adesso può anche andarsene. Sarà arrogante,
penserà solo ai risultati, ma ha fatto più lui
in due anni per l’Inter che tutti i suoi predecessori in 44. Se c’è un allenatore galactico,
nel calcio, è lui. La squadra è una “summa”
di precisione tattica, con uomini costantemente alla distanza giusta l’uno dall’altro e
sempre pronti ad aiutarsi. La forza del gruppo, quello che serve per coronare i sogni. Il
calcio è uno sport di squadra. E oggi l’Inter
è la miglior squadra d’Europa. E’ una coppa
del tutto meritata quella dell’inter non solo
perchè mancava da ben 45 anni ma per come
ha disputato le partite per arrivarci, prima ha
eliminato il chelsea di Carlo Ancelotti che ha
vinto campionato e coppa nazionale, poi ha
anche eliminato il barca di Joseph Guardiola che ha vinto uguale al chelsea e quindi si
meritava di vincere la coppa. E per finire mi
viene da ringraziare, come tifoso dell’inter,
Zlatan Ibrahimovic perchè ripensandoci se
non fosse stato per la sua partenza la società
dell’ nter non avrebbe potuto comprare tutti
quei campioni e uno fra tutti il principe che ha
messo lo zampino su tutte le competizioni, un
gol alla roma per la coppa italia, uno al siena
per il campionato e per finire due al bayern
per la champions infatti una stagione con tre
“m” grazie di esistere principe Diego.
Demetrio Luzzi I A
BLU GIALLO
Il calcio è ancora lo sport di De Coubertin?
Inter nella storia!
La Champions è tua
ROSSO NERO
volley del nostro paese, simbolo della tenacia e caparbietà coriglianese, è ormai un lontano e agrodolce ricordo, di quando bastava l’amore per lo sport ad
alimentare una squadra. Per difficoltà economiche,
purtroppo, il bellissimo sogno di Corigliano ha dovuto arrestare il volo. Ma la forte passione per questo
sport ha fatto sì che diversi giovani si rimboccassero
le maniche e ricostruissero da capo tutto ciò che era
crollato. Così facendo, è nata una nuova squadra di
pallavolo maschile nella nostra città, desiderosa di
vincere! La squadra, la Volley Corigliano appunto,
è allenata da Domenico Tripi, il quale, imponendo
duri e assidui allenamenti, ha creato dei veri fenomeni, che hanno dato, e sicuramente continueranno
a dare, molte soddisfazioni! Infatti, proprio qualche
settimana fa, la Volley Corigliano ha giocato la finale regionale degli under 18 maschile, contro due
squadre del territorio,la Volley Stirparo di Catanzaro e la Luck Volley
di Reggio Calabria. La nostra squadra, fin dalla prima partita, è riuscita
a tener testa all’avversaria, vincendo senza problemi, con l’esito di 30, aggiudicandosi tranquillamente il
posto per la finalissima. Supportati
poi da un pubblico che li sosteneva
con i cori, gli applausi e le incitazioni a fare sempre meglio, la Volley Corigliano è riuscita a vincere
anche l’ultima partita, la decisiva!
Creatosi poi un ambiente di gioia,
soddisfazione, felicità per un nuovo, soddisfacente avvenire, tutto il
pubblico, i giocatori, gli allenatori,
presidenti si sono riuniti in un unico grande grido, che accompagnerà
la nostra squadra per tutto il loro
futuro percorso sportivo: “Siamo
noi, siamo noi, i campioni regionali siamo noi!” E’
una grande soddisfazione, poi, sapere che alcuni dei
campioni regionali frequentano proprio la nostra
scuola! A vederli camminare nei corridoi, scherzare, ridere, non si immaginerebbe che proprio loro,
cosi “normali”, una volta in campo, danno il meglio
di sé, “mangiandosi” gli avversari e riuscendo ad
ottenere tutto ciò che vogliono! Sosteniamoli tutti!
FORZA RAGAZZI!!!
Alessia Borgia
IV D Liceo Scientifico
23
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Le nostre foto
ROSSO NERO
V D - Liceo Scientifico
V E - Liceo Scientifico
III A - Liceo Classico
BLU GIALLO
V C - Liceo Scientifico
ROSSO NERO
V B - Liceo Scientifico
Alla mia Classe
Giunta quasi alla fine di questo percorso scolastico, mi fermo a riflettere su
ciò che è stato e a volgere lo sguardo a ciò che potrà essere. Questi anni sono
passati molto velocemente, eppure sembra ieri che, entrando in quell’aula piena
di volti sconosciuti, ho iniziato questo sentiero insieme a voi. Parlo di voi… è
proprio per parlare di voi che adesso mi fermo a guardare le immagini dei ricordi che scorrono nella mia mente ormai legata all’ansia di questi giorni. Quelle
immagini che, impresse nel mio cuore, lo hanno scalfito dei più dolci ricordi,
lo hanno riempito di nuove emozioni.. Vorrei dire di come abbiamo condiviso
questi cinque anni, vorrei parlare di tutti coloro che hanno lasciato il percorso
incompiuto per svariati motivi, e parlo di noi che siamo giunti fino alla fine.
E che se ne sia parlato tanto o poco, bene o male, noi siamo rimasti uniti
come forse neanche immaginavamo. Sono fiera di poter parlare così di voi. Ragazzi, aver condiviso tutto questo con voi credo sia la cosa migliore che potesse
capitarmi perché nelle mie angoscianti giornate siete stati il sorriso sincero, siete
stati il forte abbraccio di quel ritratto chiamato “amicizia”… Qualcuno ha detto
che “c’è differenza tra compagni ed amici”: aveva ragione. Siete stati i miei
compagni e siete diventati i miei amici; il calore di queste giornate mi ha spinta
a dedicarvi queste righe come un ringraziamento che potesse restare impresso.
So che questi anni, comunque vadano le cose, rimarranno nei nostri cuori per
sempre, perché abbiamo fatto del carpe diem il nostro motto, perché abbiamo
formato il nostro carattere tra questi banchi e nelle discussioni con chi la pensava
diversamente, perché siamo “cresciuti” davvero in questi anni e perché abbiamo
condiviso esperienze con persone che avevano lo stesso animo che avevamo noi
nell’affrontarle… quelle esperienze che hanno reso i nostri giorni gioiosi! Abbiamo fatto mille stupidaggini che in quel momento credevamo giuste e lo erano
III B - Liceo Classico
davvero, lo sono adesso perché qualcosa ce l’ hanno insegnata! Non è il voto
brillante che delinea la grandezza di una persona...e voi siete GRANDI in ogni
singola sfumatura! Ancora un po’ e abbracceremo scelte diverse che ci porteranno a nuove esperienze, a nuove emozioni incontrollabili, a nuovi cambiamenti,
ma prima che tutto ciò accada voglio ricordarvi che vi amo Pierluigi Abate,
Simone Aquino, Davide Coppola, Jacopo Lo Giudice, Debora Meringolo, Italia Montalto, Carla Piluso, Stefano Pisani, Giuseppe Reale, Cristina Terranova,
Francesco Vuono… e anche Christian Garasto, Paolo Sassone, Antonio Zangaro
e Kery Bontempo! Grazie ragazzi… davvero!
Federica Sprovieri VE
Buone Vacanze
ROSSO NERO
BLU GIALLO
BLU GIALLO
V A - Liceo Scientifico