discorso del sindaco dott.ssa carla amici 6 gennaio 2013

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discorso del sindaco dott.ssa carla amici 6 gennaio 2013
Commemorazione nel centenario dell’eccidio del VI gennaio 1913
A nome dell’intera comunità di Roccagorga, che mi onoro di rappresentare, porgo il più
caloroso saluto alle autorità civili, militari e religiose, ai colleghi Sindaci, che amministrano i
territori della provincia di Latina con la consapevolezza dell’impegno e delle difficoltà
quotidiane nella gestione della cosa pubblica, con quella particolare attenzione che ogni
amministratore pone al centro della propria azione di governo locale per contribuire alla
crescita culturale, civile, economica e solidale di queste nostre comunità, ai parlamentari della
repubblica italiana presenti, ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, alle Associazioni,
alla Banda “G. Verdi” di Roccagorga, ai convenuti, al mondo della scuola per il prezioso
contributo che hanno voluto esprimere partecipando al concorso di idee sui fatti del 6 Gennaio, e
a ciascuno dei cittadini che con la loro presenza testimoniano quanto importante sia questa
giornata per condividere e ricordare il giorno del 6 Gennaio 1913, per il doveroso tributo alle
donne e agli uomini che persero la vita, ai sacrifici, alle privazioni, ai lutti patiti dalle nostre genti
in quel triste giorno che si erse nel tempo e che segnò l’identità di un’intera comunità unita come
non mai.
100 anni fa, esattamente nel giorno dell’Epifania del 1913, si conclude tragicamente un capitolo
della storia della Comunità di Roccagorga, ma contemporaneamente si apre l’era moderna per i
contadini di Roccagorga, il passaggio più importante verso un mondo nuovo che vuole vivere,
assaporare, coltivare e godere dei valori fondamentali della Libertà e della Democrazia, dei diritti
e della dignità sociale.
Un fremito di orrore percorre l’Italia alla notizia che a Roccagorga, il 6 gennaio 1913, dopo una
riunione di aderenti alla Società Agricola Savoia, i manifestanti diretti verso la casa comunale
con in mano il tricolore vengono fermati dalla truppa in servizio di ordine pubblico. Vengono
uccisi sette contadini e feriti altri quaranta.
In quel triste giorno del 6 Gennaio del 1913 fu pagato un prezzo altissimo per la conquista della
libertà, per l’affermazione di diritti universali, oggi come allora, ancora molti Paesi nel Mondo,
purtroppo, pagano con la vita la conquista di diritti inviolabili ed irrinunciabili.
Morti – Feriti – Perseguitati - Umiliati – Condannati – Additati al disprezzo dell’opinione
pubblica come “ Spostati” per aver osato alzare la testa!!!
Per troppo tempo a questa data storica si sono richiamati solo i contadini, gli operai, alcuni
intellettuali sentendosi eredi diretti di quelle donne e di quegli uomini che osarono sfidare il
potere del principe, del suo amministratore, del sindaco e della sua corte.
Grazie ai numerosi studi e alla raccolta di documenti e testimonianze, anche di tanti intellettuali
e studiosi di questa terra di queste nostre genti, come Vittorio Cotesta, Mario Ferrarese e Antonio
Restaini, si è formata nel tempo una coscienza collettiva di essere “tutti eredi di quelle donne e
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di quegli uomini”. Questa magnifica Piazza VI Gennaio contribuisce quotidianamente al ricordo,
alla conoscenza e alla riconoscenza. La storia ci ricorda anche come questa piazza abbia vissuto
l’evoluzione politica dei tempi.
La Giunta Rossa del 1918 fece collocare una lapide nella Rifolta a ricordo dei caduti del 6
Gennaio 1913 e chiamò questa bellissima piazza Piazza VI Gennaio. Poi con il fascismo il nome
a questa Piazza fu cambiato, la lapide in ricordo dei caduti, rimossa e poi restituita alla comunità.
Nel secondo dopo guerra, con l’amministrazione social-comunista, la piazza tornò a chiamarsi
Piazza VI Gennaio. Nel 1950 con la vittoria alle lezioni comunali della DC, la piazza venne
chiamata Piazza Italia. Solo dopo il 1956, con la vittoria alle elezioni comunali di una lista PCIPSI tornò a chiamarsi Piazza VI Gennaio come oggi.
In questa piazza oggi commemoriamo il feroce eccidio che ha segnato per sempre ed ha nello
stesso tempo contribuito alla crescita della nostra comunità.
Allora come contestualizzare quello che fu uno dei moti più importanti per il riscatto delle genti
modeste e lavoratrici di questa terra e portarlo a comprensione dei nostri figli? Come i giovani di
oggi vivono questo giorno nel ricordo e nella commemorazione che non deve e non può essere
un semplice rituale. Sono le nuove generazioni che da quel sacrificio pagato con il sangue oggi
possono godere dei valori del riscatto sociale della pari dignità delle persone e della democrazia.
E’ la «Pasqua di sangue» di Roccagorga, uno degli episodi più drammatici delle lotte contadine
tra la fine del 1800 e i primi decenni del 1900.
Antonio Gramsci lo considera un capitolo emblematico della repressione violenta attuata dal
governo contro la mobilitazione delle masse contadine, evidenziando che proprio nella protesta e
nell’eccidio di Roccagorga vanno cercate le radici della «settimana rossa», l’insurrezione
popolare esplosa ad Ancona tra il 7 e il 14 giugno 1914 (che si estende anche alla Romagna e
alla Toscana) dopo che al termine di un comizio antimilitarista e contro la politica di Giolitti, la
polizia apre il fuoco sulla folla, uccidendo tre dimostranti.
Quella delle terribili condizioni di vita di braccianti e contadini è una situazione che investe tutte
le campagne italiane, ma in particolare il Meridione. E Roccagorga, allora in provincia di
Frosinone, è già profondo Sud. Una situazione che nasce da «come» è stata fatta l’Italia, 150
anni fa. Il compimento del Risorgimento, con l’unità della Penisola e poi, nel 1870, la presa di
Roma, lascia deluse le speranze di riscatto sociale e civile delle classi più umili. Roma capitale
ne ha un esempio concreto, spesso terribile, appena fuori le mura: basta spingersi nelle
campagne dell’Agro Romano e Pontino o in certi paesi collinari dei Castelli, dei Monti Lepini, o
della fascia ausona e aurunca, dove buona parte delle famiglie sono alla fame.
Sono le popolazioni per le quali, nella «nuova Italia», la sinistra risorgimentale chiedeva riforme
sociali e condizioni di vita dignitose.
La situazione di Roccagorga ne è una conferma. E la protesta dell’Epifania che si conclude con
un eccidio è solo l’ultimo di una serie di tumulti scoppiati nella fascia dei Lepini.
Maenza si è ribellata nel marzo del 1911: una violenta dimostrazione dei ceti più poveri contro
le autorità locali, conclusa dall’assalto e dall’incendio del portone del palazzo comunale.
Poco più di un anno dopo, nell’ottobre del 1912, la rabbia è esplosa a Norma: i coloni si sono
ribellati, invadendo il Municipio, alla nuova ripartizione dei prodotti agricoli più favorevole ai
«padroni» delle terre coltivate. Poche settimane dopo, sommossa a Sonnino. E nella vicina
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Ciociaria, più o meno negli stessi mesi, a Patrica, Anagni, Supino, con scontri tra contadini e
forze dell’ordine.
I motivi alla base del malcontento sono sempre gli stessi: la gestione semifeudale
dell’agricoltura, a favore dei grandi proprietari, con la presenza schiacciante di un ricco latifondo
concentrato nelle mani di poche famiglie, in genere della nobiltà romana, mentre contadini e
braccianti ricavano a malapena di che vivere spezzandosi la schiena dall’alba al tramonto.
In più, specie dall’inizio del 1900, si è aggiunta l’occupazione dei Comuni da parte dei
«signori», direttamente o tramite persone di fiducia, reclutate tra le file della piccola borghesia.
Personaggi non di rado arroganti come e più degli stessi «padroni». Nessun cambiamento è
arrivato dalla vendita dei beni ecclesiastici incamerati dallo Stato unitario: ad aggiudicarseli
all’asta sono stati i latifondisti di sempre, con rare eccezioni per qualche proprietario locale.
Anzi, cresce anche la tendenza ad acquisire all’amministrazione feudale persino i beni di uso
civico, i terreni cioè appartenenti alla comunità, preziosi per il sostentamento delle famiglie più
povere.
Il «feudo» di Roccagorga, che comprende circa tre quarti dell’intero territorio comunale, è
passato più volte di mano.
Dai Caetani di Maenza è stato ceduto nel 1624, per 33 mila scudi, ai conti Ginnetti di Velletri,
che hanno introdotto numerose innovazioni e migliorie. Cento anni dopo, nel 1724, sono
subentrati i principi Orsini, a cui si devono invece forti limitazioni a scapito della comunità,
come il monopolio esclusivo di forni e macelli, con un preciso tariffario per poterne usufruire
che diventa, di fatto, una sorta di tassa indiretta per la popolazione. Dal 1810, infine, a
«comandare» sono i Doria Pamphili. Le terre coltivabili vengono condotte a mezzadria, con
norme e contratti che implicano la pressoché totale subordinazione dei contadini. Anche il
Comune è sotto il controllo dei Doria: il sindaco all’epoca dell’eccidio è il cavalier Vincenzo
«Cencio» Rossi, uomo di fiducia del principe. Nulla da sperare, infine, dal Governo centrale,
«lontano», sospettoso e ostile alle «rivendicazioni dei cafoni» venate di socialismo.
E’ in questo contesto che monta la protesta che porta alla manifestazione del 6 Gennaio 1913,
proprio nella piazza centrale del paese, tra il Comune e la chiesa.
Una manifestazione pacifica che sfocia in un massacro incomprensibile. Quasi a freddo, tanto da
far sospettare che sia voluto. Una «strage di stato», come scrive l’Avanti!, il quotidiano
socialista. O come dice Gramsci, accusando Giolitti di aver perseguito una politica che prevede
«di passare immediatamente per armi i contadini meridionali che elevassero anche una protesta
pacifica contro il malgoverno e le cattive amministrazioni di tutti i governi .
La Scuola, le Istituzioni, l’Amministrazione devono soddisfare la sete di verità e di conoscenza
attraverso il coinvolgimento dei giovani a non dimenticare a ricordare ed analizzare i moti, la
repressione liberale a Roccagorga del 6 Gennaio 1913 come raccontata nei testi di nostri
concittadini e dai documenti storici dei processi di Frosinone e Milano.
L’eccidio non può rimanere un fatto circoscritto, poiché all’origine di questo gravissimo atto di
repressione liberale, non ci fu solo la ribellione allo stato di miseria in cui la popolazione era
costretta a vivere, ma le sottilissime complicazioni sociali e politiche non più patrimonio di una
comunità locale ed una pagina riferita più ampiamente ad una situazione politica regionale e
nazionale, che merita un riconoscimento attualizzato a simbologia per la garanzia di diritti a cui
noi tutti oggi ci ispiriamo e che tenacemente e con fermezza dobbiamo difendere.
La storia è nei fatti e nei documenti meticolosamente raccolti e custoditi.
Il sito del comune, dedicato interamente all’eccidio del 6 Gennaio riporta i documenti e la storia
dei protagonisti di quegli eventi .
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In questi giorni numerosi sono i contributi di storici, intellettuali, scrittori e studenti che
raccontano, interpretano e riportano alla luce documenti storici importanti e per alcuni versi
inediti. La commemorazione del centenario è iniziata il 1 dicembre con l’importante convegno
culturale di altissimo livello dal titolo “L’Italia nel XX secolo”, tenuto dai professori universitari:
Casula, Caputo, Carli e Padiglione, con la coordinazione del Prof. Vittorio Cotesta e il prof.
Vincenzo Vuri, e la partecipazione di intellettuali, Pennacchi, Bove, Ciotti, è continuata con la
presentazione del libro di Gino Favalli che ha evidenziato alcuni personaggi protagonisti nella
storia del VI Gennaio, nella giornata di ieri con la presentazione del libro di padre Aleandro
Paritanti e con la premiazione dei vincitori del concorso indetto dall’Amministrazione per gli
studenti sul tema dell’eccidio inserito all’interno dell’offerta formativa territoriale adottata in
sinergia tra scuola ed amministrazione. Continuerà con la presentazione del libro “Assassinio di
Stato “di Benito Allatta e Lorella De Meis il 19 gennaio e del libro sulla figura di Fortunata
Ciotti di Giuseppe Centra.
Oggi si celebra la commemorazione in forma solenne, ma il centenario abbraccerà tutto l’anno
2013.
Per l’importanza dell’evento è stato richiesto e ottenuto l’Alto Patronato del Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano.
Il Ministro della Coesione Sociale Fabrizio Barca, vicino alla nostra Comunità ha voluto inviare
un messaggio, per la commemorazione del centenario, impossibilitato ad essere personalmente
presente per impegni fuori Italia e di questo lo ringraziamo pubblicamente dando lettura del suo
messaggio: “Grande è stato il mio piacere come romano che ha trovato in Roccagorga un
luogo dove unire cultura di borgo e di montagna scoprire anche con voi la passione per una
storia che è importante in sé e strumento per vivere meglio l’oggi. La vostra
commemorazione, l’impegno di ricostruzione della memoria non sono solo un tributo a chi
ha risposto al proprio spirito pubblico mettendo a repentaglio la vita, ma anche un modo
per costruire principi e orientamenti. Vi auguro una giornata a un tempo intensa e serena e
mi auguro di essere con voi presto. Fabrizio Barca.”
Il contesto storico dell’epoca trae origine dal fatto che lo sviluppo economico italiano è stato
caratterizzato da grandi squilibri.
Questo squilibrio è stato accentuato dalle scelte protezionistiche dei governi dell'Italia unita.
Infatti, il protezionismo impedì il rinnovamento dell'agricoltura arretrata del sud, che poté ancora
consentire ai grandi proprietari terrieri del sud di ottenere profitti senza innovare le tecniche
agricole, grazie alla stabilità dei prezzi.
Il dualismo tra nord e sud del paese ha dato vita alla “Questione meridionale”.
Le condizioni di vita delle campagne dopo l'Unità erano pessime, a causa della politica fiscale,
della crisi agraria e delle scelte protezionistiche.
Anche in Italia si formarono sindacati per difendere gli interessi degli operai.
Negli anni novanta dell'Ottocento si formarono le camere del Lavoro; nel 1906 nacque la Cgl
(confederazione generale del lavoro) di ispirazione socialista. Le rivendicazioni degli operai e gli
scioperi aumentarono di intensità, ma la risposta dello stato fu solamente la repressione, almeno
fino all'avvento di Giolitti.
Alla fine dell'Ottocento lo stato italiano si era dimostrato incapace di governare la crisi sociale;
ogni rivendicazione sociale operaia e contadina veniva colpita dalla repressione. Una svolta
politica si ebbe quando salì al potere Giovanni Giolitti che ebbe l'obiettivo di unire sviluppo
economico e libertà politica. Giolitti puntò a favorire la partecipazione della classe operaia nello
stato liberale.
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Il Riformismo giolittiano, evidenziò successi e limiti.
(successi:) Il governo con Giolitti mantenne la neutralità nei conflitti sociali, rinunciando alla
politica repressiva dell'età crispina. Le rivendicazioni operaie ebbero successo e il movimento
dei lavoratori si rafforzò. Inoltre, il governo attuò una serie di importanti riforme sociali ed
economiche:
● tutela del lavoro di donne e bambini (l'età minima per accedere al lavoro venne innalzata ad
11 anni);
● miglioramenti nell'assistenza infortunistica;
● obbligatorietà del riposo settimanale;
● statalizzazione delle ferrovie;
● nazionalizzazioni delle assicurazioni (INA);
(limiti:) Nonostante queste riforme nella azione politica di Giolitti ci furono dei limiti:
● mancata riforma fiscale;
● non venne affrontata la questione meridionale;
● nel meridione in molti casi continuò la politica di repressione;
L'impronta di Giovanni Giolitti nella politica italiana è stata innegabilmente importante. Furono
gli anni delle concentrazioni industriali, delle formazioni delle masse popolari socialiste e
cattoliche, dell’attività coloniale italiana in Eritrea, Libia, delle rivolte per il pane e della nascita
del Partito Fascista.
Dell’età giolittiana, resta impresso nella memoria il fatto che la moneta nazionale faceva aggio
sull’oro (1909), vale a dire che la valuta circolante era proporzionale alle riserve auree del
Regno. Ciò accadeva in Italia, nei principali Paesi europei e negli U.S.A., facilitando le
transazioni ed i commerci internazionali mediante la stabilità delle monete e la certezza dei
cambi tra diverse valute.
Tale risultato venne ottenuto ad un costo umano incalcolabile. Dall’inizio del 1900 circa dieci
milioni di italiani, nessuna regione del Bel Paese esclusa, lasciarono l’Italia per emigrare,
principalmente verso l’America, sia negli Stati Uniti che in Perù, Argentina e Cile. Viaggi senza
ritorno: gli emigranti partivano da analfabeti, parlando ognuno il dialetto d’origine e questa
“verginità” formativa facilitava in qualche maniera il loro inserimento nelle nuove patrie,
unitamente alla “italica” capacità di adattamento ad ogni luogo e situazione
Gli emigranti costituirono una solida base per la politica giolittiana, il cui disegno si fondava
sullo stimolo e la protezione industriale, la protezione e la difesa del Bilancio del Regno,
l’eliminazione del monopolio da parte dei privati e sull’opposizione alle forze finanziare estere.
Da un lato, infatti, l’emigrazione risolveva drasticamente problemi sociali incombenti ed enormi,
semplicemente espellendoli dal Paese, dall’altro il governo poté contare sull’enorme massa di
valuta pregiata che gli emigrati stessi inviavano In Italia alle loro famiglie. Se, l’emigrazione
interessò tutte le regioni italiane, lo stesso non può dirsi circa gli effetti e le conseguenze sui
tessuti economico-sociali delle diverse realtà locali. Il nord, infatti risultò geograficamente e
politicamente favorito dalle nuove politiche industriali. Le ricche commesse statali per
armamenti e ferrovie vennero sempre più spesso affidate alle ditte del triangolo Milano-TorinoGenova, mentre il sud restava indietro. Soprattutto, furono i territori a più forte vocazione
agricola e pastorizia a vedersi disgregata la società contadina, senza che venisse attuata alcuna
riforma in grado di offrire prospettive diverse dall’emigrazione.
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Giolitti introdusse il suffragio universale maschile, facendo salire con ciò il numero di elettori a
quota 8.000.000. Il voto fu esteso anche agli elettori analfabeti di età superiore ai 30 anni, il voto
femminile era ancora lontano e inimmaginabile.
Nel 1913 si ebbero le prime elezioni a suffragio universale maschile.
Il 6 gennaio 1913 i contadini di Roccagorga tennero una pacifica manifestazione di protesta,
mentre si recavano al Municipio per presentare le loro proposte, furono sottoposti al fuoco dei
soldati comandati dal tenente Gregori. Nel processo di Frosinone a carico dei contadini di
Roccagorga, questi furono condannati a pene varie. Processo che oggi dopo aver acquisto le
motivazioni della sentenza ed approfondito gli studi e tesi, potremmo definire un processo
“farsa”. A Milano si ha il riscatto anche della giustizia, purtroppo non applicata nel tribunale di
Frosinone. A Milano i giornalisti processati per aver chiamato “strage di stato” le uccisioni e i
ferimenti di Roccagorga, furono assolti. I giornalisti dell’Avanti! e i testimoni nel processo di
Milano, sono assolti perché per quanto hanno scritto, corrispondendo a verità, non può costituire
oltraggio verso lo Stato, recitava la sentenza del tribunale di Milano.
Il Processo di Milano, mitiga l’infamia del processo di Frosinone e riconsegna nelle mani dei
contadini di Roccagorga quella verità e quella giustizia negata artatamente.
Il contesto locale storico politico dell’epoca, si inquadra nel prepotente autoritarismo del
principe Doria, nella personalità del sindaco Rossi, fedele amico del principe e profittatore di
donne avvilite dalla miseria, dal mito del padrone, dalla secolare abitudine alla sopportazione e
alla schiavitù, nella cupidigia del medico condotto, introvabile e mai presente nelle misere case
dei contadini malati, mentre assiduo frequentatore di banchetti di Casa Doria, nel fanatismo
repressivo del tenente Gregori e della sua “ciurma briaca” come riporta il testo sulla lapide
scritta dall’On. le Marzi nel 1919.
I protagonisti di questa storia locale che ha assunto dimensioni nazionali sono:
IL POPOLO DI ROCCAGORGA
Contadini, uomini, donne, bambini e anziani
LA SOCIETA’ DI MUTUO SOCCORSO AGRICOLA SAVOIA
Ente, nato con l'unico fine di dare ai contadini una sorta di voce comune, venne fondato insieme
al Sindaco Vincenzo Rossi il 2 giugno 1912. - 81 contadini sottoscrissero l'atto costitutivo solo
13 Ottobre del 1912 , senza però la firma del Sindaco, al cui posto invece subentrò Dante Mucci.
La sede della società agricola Savoia era presso il Palazzo Pacifici, dove oggi verrà scoperta la
lapide in memoria delle vittime dell’eccidio.
Il Direttore ANTONIO BASILICO figura di spicco della Società Agricola Savoia, il quale era
presente sul balcone durante il discorso di Mucci e che dopo essere sceso in strada per calmare
gli animi, sfuggì all'arresto riuscendo a rifugiarsi lontano dal luogo del misfatto. Diventò simbolo
della lotta proletaria del Lazio tanto che ne fu proposta la candidatura alla Camera dei Deputati
nelle elezioni del 7 marzo 1914. Basilico, fu presente al processo di Frosinone a sostegno degli
imputati.
Altra importante figura della Società Savoia è DANTE MUCCI consigliere comunale di
minoranza e strenuo oppositore del Sindaco e dell'Amministrazione Comunale. Tra Mucci e
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Rossi esisteva certamente un contrasto di natura ideologica e politica, una divergenza che portò a
quell'astio e insofferenza del Sindaco nei confronti della popolazione contadina e della Società
stessa. Mucci venne catturato all'interno della sede della Società e processato a Frosinone che lo
condannò in maniera più pesante rispetto agli altri imputati: 10 mesi e 15 giorni di carcere.
Mucci continuerà a far parte della cosa pubblica di Roccagorga tra i banchi dell'opposizione
durante la prima giunta "Rossa" con il sindaco socialista Beniamino Rossi.
ALBINA SCACCHETTI è la figura simbolo dell'eccidio, fu la donna che resistette al tentativo
dei soldati di sottrarle il tricolore italiano con il quale tentava di guidare il corteo. Un comizio di
protesta contro le autorità comunali, promosso dalla Società Agricola Savoia, la manifestazione
della mattina del 6 Gennaio, aveva richiamato un gran numero di persone. Alcune donne
rifiutarono di depositare nei locali della società la bandiera. Le donne difesero accanitamente il
vessillo, in particolare Albina, ma il vessillo fu ridotto a brandelli nella colluttazione con le forze
dell’ordine.
La bandiera finì in brandelli e Albina Scacchetti, venne arrestata e processata dal Tribunale di
Frosinone che la condannò a 3 mesi e 24 giorni di prigione. Muore la vigilia di Natale del 1953.
Alla sua figura si è ispirato il nostro giovane artista locale Fabrizio Bonanni nell’ideare e
disegnare il logo del centenario che accompagnerà tutta la comunicazione istituzionale per l’anno
2013, logo impresso sulle cartoline che hanno ricevuto l’autorizzazione per l’annullo postale e
che sarà depositato nel museo di Poste Italiane.
MAESTRO FERDINANDO DE ANGELIS
De Angelis è il maestro elementare del paese ed è dichiaratamente un socialista. Oltre che quello
di combattere l'analfabetismo e l'abbandono scolastico, De Angelis cerca in tutti i modi di
infondere nella popolazione quella consapevolezza di classe. Partecipa, insieme a Mucci e
Basilico, alla stesura dell'avviso della manifestazione del 6 Gennaio e parlerà ai membri della
Società Savoia nei giorni precedenti l'Eccidio. Verrà fermato in istruttoria con il sospetto di
essere stato uno dei promotori "ideologici" della rivolta.
CASA DORIA
Nel 1913 i Doria possedevano metà dei terreni di Roccagorga, un quinto del quale veniva
concesso in coltura ai contadini di Roccagorga, a fronte di decime pesantissime. Il potere politico
ed economico pressoché assoluto fu una delle cause fondanti della miseria popolare che generò il
malcontento alla base delle agitazioni che portarono all'Eccidio del 6 Gennaio.
VINCENZO ROSSI - SINDACO DI ROCCAGORGA
Vincenzo Rossi - Sindaco di Roccagorga oltre a detenere il potere politico è anche gestore delle
sterminate ricchezze di casa Doria. E' fortemente complice della situazione insostenibile in cui
versa il popolo di Roccagorga e concentra i propri sforzi per contrastare ogni tentativo di
cambiamento. Fu eletto sindaco nel 1902 e ricoprì tale carica fino al 1915 con un breve intervallo
nel biennio 1913-1914 quando fu affiancato da due commissari a seguito dell'eccidio.
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DOTT. ALMERINDO GARZIA IL MEDICO CONDOTTO
Il medico Garzia, approfitta della propria posizione per scopi personali. La situazione sanitaria
del paese è assolutamente arretrata e malsana e il medico condotto diventa uno dei principali
obiettivi della protesta tanto da essere allontanato.
DOMENICO ROSSI IL SEGRETARIO COMUNALE
Il segretario comunale chiude il trio contro il quale la Società "Savoia" organizza il movimento
di protesta. L'assenteismo persistente porta la mancanza di un tramite tra lo Stato ed il potere
locale. La persona che dovrebbe garantire il regolare svolgimento dell'operato del Sindaco ne
permette, al contrario, la continua mala-esecuzione ed il peggioramento costante delle condizioni
di vita della popolazione locale.
La protesta fu occasionata dalla amministrazione del sindaco Rossi e dalla disonestà
professionale del medico condotto.
L’eccidio conseguente alla protesta dei contadini del 1913 rappresenta uno degli eccidi più
violenti compiuti nel periodo, eccidio che destò un profondo dolore in tutto il Paese e uscì fuori
dai confini locali per diventare simbolo della protesta italiana contro la politica di repressione
del governo Giolitti. Da fatto locale di una comunità esasperata e fortemente provata dagli abusi
e dalla miseria, divenne subito un avvenimento di grande rilievo nazionale. l’Avanti! di Milano,
il Messaggero di Roma, la Tribuna, il Giornale d’Italia ed il Mattino di Napoli, con i loro articoli
fecero da cassa di risonanza . Il giorno dopo l’eccidio, l’Avanti titola la prima pagina “ Eccidio
di Stato”.
Al grido di Savoia, la truppa scarica 300 colpi di fucile contro donne inermi e innocenti bambini.
Lo stesso Benito Mussolini, nella sua iniziale esperienza socialista, subito dopo l’eccidio,
scriveva un articolo sull’Avanti! “Ma come nell’Italia che noi sogniamo grande maestra di
civiltà, si fucilano vecchi inermi, donne gravide, bambini perduti? E quando gli arabi di
Roccagorga chiedono fogne, acqua, luce il Governo che non ha più milioni, manda carabinieri
ed annega nel sangue la civile, santa, umana protesta del popolo?”
L’esasperazione della situazione locale fa da cornice alle cause di questo eccidio, a cui si
affianca il comportamento sprezzante ed arrogante della famiglia Doria nei confronti dei
contadini, l’autoritarismo del sindaco Rossi, rappresentante della famiglia Doria e
dell’Amministrazione comunale, le condizioni esasperate della popolazione priva, peraltro, dei
servizi essenziali, specialmente nel settore della sanità.
L’imposizione della tassa del focatico alle famiglie residenti, distribuita con discutibili criteri
personali, era una delle controversie difficili da superare. il Comune era amministrato da una
maggioranza consigliare eletta dalla piccola borghesia con l’appoggio del clero locale, la
minoranza invece era espressione di una lista con vaghe sfumature socialiste. Il confronto
amministrativo era quasi sempre ricondotto a rivalità personali.
L’opposizione, attraverso Dante Mucci, si era battuta per evitare l’applicazione di questo tributo.
In quegli anni le retribuzioni giornaliere dei braccianti non erano regolate da norme previste dal
contratto di lavoro, ma da arbitri e abusi del padrone. Le retribuzioni più misere penalizzavano le
donne alle quali venivano corrisposti 50 centesimi al giorno e 25 quando il proprietario dava loro
un piatto di minestra. Gli uomini per un lavoro giornaliero di 12 ore, ricevevano una retribuzione
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di una lira e 50 centesimi. Ancora oggi, purtroppo, le donne non sono riuscite ad ottenere la
parità salariale e a parità di mansioni, ancora oggi le donne sono retribuite il 30% in meno degli
uomini.
Un comizio di protesta contro le autorità comunali, promosso dalla Società Agricola Savoia,
nella manifestazione della mattina del 6 Gennaio, aveva richiamato un gran numero di persone.
In questa giornata di ricordi e di emozioni ancora forti, su questa Piazza, dopo la sparatoria,
rimanevano 7 vittime che vogliamo ricordare ed onorare una per una:
1. ERASMO RESTAINI, di anni 34, contadino, colpito alla nuca che lascia la moglie e un
figlio;
2. SALVATORE FERRARESE, di anni 55, contadino che lascia la moglie e cinque figli;
3. FORTUNATA CIOTTI, di anni 25, casalinga, in stato di gravidanza che lascia il marito e due
figli;
4. VINCENZA BABBO, di anni 44, casalinga colpita in un vicolo adiacente alla piazza che
lascia quattro figli;
5. CARLO SALCANI, di anni 5 che al momento dei tumulti era tra le braccia del tutore Giacinto
Spaziani
6. MARIO RESTAINI, di anni 27, consigliere della Società Agricola Savoia, colpito da nove
pallottole nella schiena;
7. VINCENZO MANCINI, di anni 28, socio della Società Agricola Savoia
Furono feriti:
Antonio Ciotti, 28 anni, contadino, ferito da arma da fuoco al collo e alla guancia;
Rosa Centra, 32 anni, ferita alla spalla sinistra, giudicata in pericolo di vita;
Loreto Ciotti, 32 anni;
Cesareo Palombi, 25 anni;
Vincenzo Ciotti, 45 anni;
Arcangelo Bevilacqua, 40 anni;
Chiara Franzilli;
Nazzareno Ciotti;
Francesco Mattoni, 27 anni;
Giuseppe Palombo;
Maria Foglietta, 48 anni;
Maria De Simone;
Emilio Palombi, 37 anni ;
Augusto Briganti,48 anni;
Arcangelo Rossi, 10 anni
Tra i militari feriti:
Alfonso De Simone, Giuseppe Squillaci, feriti da presunti colpi d’arma da fuoco;
Giovanni Quaglia, Fausto Apolloni, Francesco Donnine, feriti da lanci di sassi.
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Al carcere di Frosinone, con speciali vetture fatte venire da Priverno, furono trasferiti 33
imputati tra cui 10 donne .
La ricostruzione storica dei fatti, i numerosi atti parlamentari, le testimonianze raccolte fanno di
questo triste evento la pietra miliare della storia che cambiò di colpo un tradizionale modo di
vivere .
La memoria di ognuno di loro non è solo un atto di giustizia doveroso, senza di loro, senza la
loro memoria non avrebbe molto senso la nostra identità collettiva. Se oggi abbiamo maturato
una sensibilità democratica, un gusto alla partecipazione politica, alla polemica e al dialogo,
forse lo dobbiamo proprio a quel giorno del 6 Gennaio 1913, al significato che quel giorno ha per
la nostra comunità. Una lotta fatta da poveri per ottenere i beni più preziosi che non si trovano in
vendita che non si possono barattare, la libertà e la dignità delle persone!!!!
Le generazioni di quell’epoca hanno sperato e lottato per costruire per loro, per i propri figli, per
le generazioni future un mondo migliore, dove tutti devono avere pari dignità, pari opportunità,
stessi diritti e doveri, dove il figlio del contadino ha potuto aspirare a non seguire le orme del
padre ed a ergersi a medico, ingegnere, avvocato, a fare dell’istruzione e della cultura in generale
il primo principio dell’essere libero, dove le donne dopo aver conquistato il diritto di voto
potessero aspirare a ruoli di vertice e non di retrovie, nella politica, negli studi, nelle attività
produttive, nella scuola. Bisogna dire loro Grazie! Grazie per aver lottato, per non aver abbassato
la testa e per essere riusciti in questa battaglia di civiltà .!!!
Oggi alle nostre generazioni, spetta il compito di continuare ad alimentare ed accrescere quei
valori, a custodirli gelosamente, ad evitare ogni possibile abuso da parte di chi pensa che la storia
possa tornare indietro o che possa essere dimenticata, da parte di chi pensa che l’interesse
personale possa prevalere e superare l’interesse collettivo, da parte di chi pensa che l’esercizio
del potere possa soverchiare le regole democratiche, le regole scritte dai padri fondatori della
nostra Costituzione.
Oggi più che mai dobbiamo essere sentinelle attenti, oggi alla soglia del terzo millennio, quando
più forti sono i mezzi di comunicazione e più rapida è la consumazione dei simboli, è quanto mai
necessario conservare non solo i luoghi degli eventi che hanno segnato e che contraddistinguono
l’identità di una comunità, ma dare a questi luoghi fisionomia e personificare luoghi con le
persone in modo da poter essere ricordati senza sbiadire, in modo da poter rinnovare
costantemente il ricordo e indurre sempre alla riflessione.
Dal ricordo di questo tragico evento deve arrivare un messaggio chiaro alle giovani generazioni
a quelli che saranno gli amministratori di domani, a quelli che saranno i futuri cittadini del
mondo, di un mondo senza confini e senza discriminazioni di razze, di sesso e di religione.
Lavorare continuamente e costantemente alla crescita della consapevolezza che i diritti e le
battaglie per il loro riconoscimento e per la loro affermazione non possono prescindere dal valore
che dobbiamo dare alla storia, alla conoscenza dei fatti e al rispetto del pensiero che dai fatti e
dalla storia si costruisce un’identità collettiva.
Dopo cento anni, la nostra comunità ha tracciato un percorso chiaro, ha ricercato e capito le
ragioni della storia, ha assunto a patrimonio collettivo la tragedia di quel giorno, è altrettanto
convinta che i tempi sono maturi per una vera pacificazione, la pacificazione nei valori, negli
ideali che appartengono ad ognuno di noi, nella umana solidarietà e nella coesione, nel valore
della sicurezza a tutela dei diritti che le forze dell’ordine assicurano in tempi di pace e ancor più
nei luoghi in cui la pace sembra non dovere arrivare mai.
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E’ con questo spirito di pacificazione, con la convinzione che il sangue versato cento anni dalle
donne e dagli uomini morti in questa piazza parla ancora oggi alla coscienza degli amministratori
nazionali e locali, oggi come allora il grido forte che si ergeva e si erge ancora nell’aria è:
LAVORO ed EQUITA’ SOCIALE. Cerchiamo con tutte le nostre forze, le nostre competenze,
le nostre anche debolezze, di ascoltare di saper interpretare e coniugare i bisogni dei cittadini, di
saper trovare le giuste soluzioni e di saper sempre applicare la legge e di perseguire sempre
l’interesse collettivo e di aiutare i più deboli, quelli che da soli non possono farcela, quelli che da
ultimi possono arrivare primi nella gara difficile della vita e che sia una epifania di pace e
solidarietà per tutti.
Grazie
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