Kung Fu Panda e il kata Meikyo

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Kung Fu Panda e il kata Meikyo
Kung Fu Panda e il kata Meikyo
Kung Fu Panda
Mi è capitato di vedere il divertente cartone animato Kung Fu Panda. La trama è semplice:
per una serie di coincidenze, un aspirante praticante di kung fu, lo sprovveduto, maldestro
e sognatore Po (il panda, appunto) si trova a competere contro l'imbattibile “cattivo” Tai
Lung (un leopardo delle nevi) per il possesso di una antica pergamena contenente il
segreto che consentirà al possessore di diventare l'invincibile “Guerriero Dragone”.
Qua e là nel corso della pellicola sono richiamati concetti noti ai praticanti di arti marziali e
di karate in particolare, cosa che forse non dovrebbe stupire, in quanto i produttori del film
si sono sicuramente avvalsi di consulenti esperti di arti marziali. Un esempio è la scena in
cui il Maestro Oogway (una vecchia e saggia tartaruga), nel corso di una discussione,
indica al Maestro Shifu (un panda minore) uno stagno e gli mostra come l'acqua calma
rifletta senza distorsioni le immagini, così come la mente sgombra di pensieri percepisce
con chiarezza il contesto circostante e permette una proazione o reazione appropriata in
presenza di un pericolo. Metafora ben nota ai karateka: mizu no kokoro.
Quando la pergamena viene finalmente conquistata – prima da Po, poi da Tai Lung e
infine ancora da Po - si scopre che in essa non vi è scritto niente. Tutti quelli che srotolano
la pergamena credendo di trovarvi svelati chissà quali segreti meravigliosi vi vedono
soltanto la propria immagine riflessa. La morale, dunque, è che non esistono tecniche
segrete che garantiscono invincibilità: è solo necessario credere in sè stessi e nelle
proprie capacità.
Il particolare della pergamena che riflette l'immagine di chi la legge mi ha offerto lo spunto
per alcune riflessioni sul kata Meikyo.
Meikyo
Come è noto, nel periodo tra il 1922 e il 1937 Gichin Funakoshi cambiò i nomi dei kata, in
parte per “giapponesizzarli”: Rohai (“emblema della gru”) divenne Meikyo, che significa
“specchio lucente” o, per estensione, “specchio dell'anima”.
Nonostante sia un kata superiore, Meikyo è poco praticato, per – credo – due motivi:
• dal punto di vista della gestualità è, almeno in apparenza, semplice:
l'embusen è lineare; le singole tecniche, anche il sankakutobi sono alla
portata di tutti; alcune sequenze sono ripetitive, come nel caso di alcuni kata
Heian.
• proprio perchè Meikyo non richiede particolari doti atletiche né si presta ad
abbellimenti gestuali, è un kata ignorato nelle competizioni (e, io aggiungo,
per fortuna, viste le storpiature cui sono soggetti kata quali Unssu o altri che
oggi costituiscono la conditio sine qua non per buoni piazzamenti in gara).
Il significato del nome
Spesso il nome di un kata riflette qualche tecnica o movimento caratteristico del kata
stesso: si pensi a Enpi, Sochin o Gankaku. Oppure fornisce indicazioni su come un kata
debba essere eseguito, come nel caso di Bassai. O, anche, ricorda il nome dell'ideatore,
come nel caso di Kanku (Kushanku o Koshoku). Niente di tutto questo nel caso di Meikyo.
Una prima interpretazione, che a me pare eccessivamente semplicistica, collega la
caratteristica dello specchio di riflettere e quindi duplicare esattamente una immagine al
particolare che alcune sequenze del kata sono “speculari”, nel senso che si ripetono ma
su fronti opposti.
Per approfondire, può essere interessante ricordare l'importanza dello specchio nella
tradizione culturale del Giappone: come è noto, uno specchio ( Yata no Kagami)
costituisce uno dei tre Gioielli della Corona Imperiale Giapponese e simboleggia la
“saggezza” o, anche, l' “onestà”.
In conclusione...
Sono portato a credere che il nome Meikyo sia da collegare alla metafora dello specchio
che riflette l'immagine di colui/colei che in esso si specchia... senza evidenziare bellezze e
senza nascondere difetti, senza abbellimenti nè abbrutimenti. Chi è onesto con sè stesso
vedrà una immagine e potrà eventualmente fare le proprie valutazioni, ma l'immagine, di
per sè, non è nè brutta nè bella: è – appunto – solo una immagine.
Trasferendo questo concetto alla esecuzione del kata, faccio alcune riflessioni:
• Meikyo non permette abbellimenti; non vi sono momenti gestuali che privilegiano i
più atletici o i più agili; non si può imbambolare chi osserva (per es. un arbitro) con
tecniche che sopperiscono con la semplice velocità e lo schiocco del dogi alla reale
efficacia. L'esecutore di Meikyo dunque non ha possibilità di camuffare le proprie
capacità: in altri termini, si mostra per quello che vale! In questo mi pare di
riconoscere un collegamento con il concetto dello specchio che riflette la pura e
semplice realtà.
• Meikyo non dà facile soddisfazione a chi lo pratica superficialmente: le tecniche
sono basilari e poco variate. Tempo e ritmo sono sostanzialmente obbligati, poco
lasciando all'interpretazione personale. Anche il bunkai appare abbastanza
semplice. Ottenere un minimo di soddisfazione richiede un lungo studio del kata e
una autovalutazione sincera e obbiettiva.
• Uno studio sincero di Meikyo deve mirare all'esecuzione del kata come un tutt'uno
inscindibile nelle sue componenti: così come nello specchio vedo una mia
immagine intera e non solo dettagli (ad es. le orecchie o gli occhi) così Meikyo ha
caratteristiche tali per cui l'esaltazione di un passaggio disturba l'equilibrio dell'intero
kata.
• Infine, e più pragmaticamente, Meikyo ha tecniche semplici, a mio avviso indicative
del fatto che, per essere efficaci in combattimento reale, non servono tecniche
complicate, acrobatiche, ecc.: sono sufficienti quelle basilari (non per questo facili!),
se eseguite con efficacia.
Nelle due fotografie, due passaggi di Meikyo eseguiti dal M° Masataka Mori.
Peter W. Lloyd