tablet - Nautigest News

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tablet - Nautigest News
N° 3 - anno 2015
la nautica a 360°
WWW.NAUTIGESTNEWS.IT
Rivista Nautica
Un giglio in mezzo al mare
Una delle mete predilette da tutti i diportisti.
La rosa dei venti
Origine e storia di uno dei simboli
imprescindibili del mare.
La bussola
L’ago magnetico che rivoluzionò
la navigazione
Edizioni Nautigest
A gonfie vele!
Nautigest News, una nuova rivista di nautica nata
dall’idea del Prof. Gaetano De Vito.
Nautigest News è una rivista prodotta da Nautigest,
agenzia di intermediazione che opera con professionalità e successo a livello internazionale, trattando molti settori, ciascuno di essi è seguito e curato
da esperti professionisti; la nuova rivsita, nella ver-
sione online raggiungibile attraverso il sito
www.nautigestnews.it e nella versione PDF per
tablet, è nata con lo scopo di arricchire non solo l’offerta di servizi ma per porsi anche come un nuovo
punto di riferimento informativo nel campo della
nautica. A gonfie vele iniziamo un’altra avventura
ringraziando tutti gli appassionati che vorranno
seguirci anche in questa regata.
Indice
04
07
09
10
Un giglio in mezzo al mare
La bussola
febbre del mare
storia della marina italiana
14
windsurf grand slam 2015
15
campionato nazionale open j24
16
17
20
21
almavida 2
Nautigest - Sede Operativa
Box 44 Marina Cala Galera
58015 Porto Ercole (Gr)
bandiere verdi 2015
corazzata roma
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origine e storia della rosa dei venti
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2015
Un Giglio …
in mezzo al
mare
L’isola del Giglio rappresenta una delle mete predilette dai diportisti sia per la qualità delle acque
sia per la bellezza dei panorami – sottomarini e
non – che offre ai visitatori. L’isola è collegata alla
terraferma da traghetti (Toremar www.toremar.
it e Maregiglio www.maregiglio.it) che da Porto
Santo Stafano (GR) in circa un’ora di navigazione
approdano a Giglio Porto. Da qui è possibile spostarsi attraverso i mezzi pubblici, a piedi o noleggiando una barca per andare a scoprire le cale più
suggestive che caratterizzano l’isola e risultano di
grande attrattiva per gli appassionati di snorkeling
e immersioni. Le acque particolarmente pulite e
ricche di flora e fauna fungono da richiamo anche
per chi ama la pesca dalla barca, che si può praticare lungo tutto il perimetro costiero dell’isola non
essendo sottoposta ai vincoli dell’Area Parco. Tra
le tecniche più redditizie rispetto al tipo di ambiente marino, risultano efficaci il bolentino, la traina
o la pesca in deriva (o scarroccio), ottima per insidiare dentici, tanute ma anche ricciole, saraghi e
palamite. Molto anche la pesca subacquea, praticata negli innumerevoli spot che la conformazione
dell’isola offre. Per quanto riguarda le immersioni,
sono numerosi i punti in cui è possibile calarsi nel
mare del Giglio e ammirarne le bellezze;
ognuno ha le proprie caratteristiche (profondità,
specie prevalenti, tipo di ambiente) ma nessuno
lascia mai scontento colui che si è immerso per
vedere – ad esempio – le gorgonie gialle dello
scoglio di Pietrabona piuttosto che i banchi di
ricciole di Punta di Capel Rosso. La costa si presenta frastagliata, ricca d’insenature e composta
Gli amanti
del vento e del mare
in prevalenza da rocce di granito. Sull’isola però
non mancano tratti di arenile, i principali sono la
spiaggia del Campese, dell’Arenella, delle Cannelle
e, infine, quella delle Caldane. Tutte sono raggiungibili via terra ma volendo risparmiare il tempo di
percorrenza a piedi, ci sono alcuni barcaioli che
dal molo portano i turisti direttamente a destinazione via mare.
Il Giglio non è soltanto un luogo in cui è l’ambiente marino a determinarne la bellezza; l’isola infatti presenta un’entroterra tutto da scoprire con passeggiate lungo le tante mulattiere che la attraversano e
collegano tra loro le frazioni principali. Lungo i percorsi, immersi nella
macchia mediterranea, si trovano numerosi punti panoramici raggiungibili con discreta facilità, dato il buono stato di conservazione della
maggior parte dei sentieri. La fauna comprende numerose varietà di
uccelli, come il falco pellegrino, il Gabbiano Reale, la civetta e lo zigolo nero. Da segnalare anche la presenza del Discoglosso sardo, una
specie di rana che vive nell’Arcipelago toscano, in Corsica e Sardegna.
Lungo alcuni tracciati è possibile inoltre scorgere i filari dell’Ansonaco
(vino bianco), ricavati su ripidi terrazzamenti e costellati dai palmenti, strutture in pietra adoperate in passato per la pigiatura dell’uva in
prossimità della vigna. La produzione vinicola è modesta ma in alcune
enoteche di Giglio Castello è possibile degustare l’Ansonaco e accompagnarlo ad alcuni prodotti locali, come il panficato: un dolce ricavato
dai fichi che crescono abbondanti sull’isola e in passato hanno spesso sfamato la popolazione durante gli attacchi dal mare. Sull’isola ci
sono tre frazioni principali, Giglio Porto, Giglio Castello e Giglio Campese; tutte hanno una storia peculiare alle spalle.
Giglio Porto è considerato il borgo più antico presente sull’isola, a
rivelarlo ci sono alcune rovine risalenti al periodo romano e numerose
fonti storiche, che sottolineano quanto le bellezze del luogo – e le
caratteristiche strategiche della sua posizione – fossero già apprezzate anche 2000 anni fa. Proprio in virtù delle sue qualità, il borgo
subì nel tempo diversi attacchi e incursioni che spinsero gli abitanti
verso l’interno ma col termine della pirateria la popolazione è tornata a vivere stabilmente nel paese, che oggi conta circa 650 abitanti.
Giglio Porto è lo scalo dei molti turisti che arrivano sull’isola con i
traghetti in partenza da Porto Santo Stefano (GR) ma è anche luogo
di attracco per i diportisti, che nella bella stagione frequentano l’isola
e le sue cale, dal mare cristallino e dai fondali tutti da esplorare. Il
paese è servito da numerosi bar, negozi e ristoranti ma si trovano anche filiali bancarie, un ufficio postale, la farmacia, un presidio medico
e diverse attività di noleggio scooter o imbarcazioni. Una volta a Giglio
Porto è possibile raggiungere a piedi le spiagge di Caldane, Cannelle e
Arenella. Di rilievo, oltre alle rovine romane, la chiesa ‘Santi Lorenzo e
Mamiliano’ e le due torri costiere, rispettivamente ‘Torre del Saraceno’
e ‘Torre del Lazzeretto’. La prima di esse si erge affacciandosi sul porto, tra le case del nucleo abitato, e nel corso del tempo ha sopportato
numerosi attacchi da parte dei pirati saraceni, da cui prese il nome
dopo la ristrutturazione a seguito di un pesante attacco degli incursori nemici. Anche la Torre del Lazzaretto – voluta da Cosimo I de’ Medici – aveva funzione difensiva ma si trova un po’ più a nord rispetto al
paese, in una posizione elevata da cui era possibile controllare un più
vasto tratto di mare. Alla torre fu aggiunto anche un lazzaretto, da cui
il nome, che veniva adoperato come area di quarantena. Giglio Porto
possiede l’unico approdo regolamentato dell’isola; chi volesse attraccare la propria imbarcazione deve contattare il signor Ido Cavero, responsabile degli ormeggi per conto del Comune (Tel. 0564 809517)
Giglio Castello è il capoluogo comunale dell’isola e si sviluppa nella
sua parte più interna. Circondato da alte mura e protetto dalla Rocca
Pisana risalente al XII secolo, il paese sembra catapultato dal medioevo ai giorni nostri. Le strutture storiche più importanti, infatti, sono
ben conservate ed è possibile ammirarle da vicino passeggiando tra
i vicoli o lungo i camminamenti di ronda che collegavano tra loro le
mura e ancora oggi sono percorribili. Importante anche la Chiesa di S.
Pietro Apostolo, principale edificio religioso dell’isola, dove si trovano
oggetti sacri di grande valore e opere artistiche di tutto rispetto. La
chiesa conserva inoltre le reliquie di San Mamiliano, protettore sia del
Giglio sia dell’Arcipelago. Il borgo è collegato alle altre frazioni da un
servizio di trasporto pubblico e da una strada principale, ma attraverso alcuni sentieri è possibile raggiungerlo anche a piedi. Il borgo
è ben servito e anche qui – oltre alla sede del municipio – si trovano
bar, affittacamere, ristori, un ambulatorio, la farmacia e la stazione dei
carabinieri.
Giglio Campese, il paese di più recente costruzione rispetto alle altre
frazioni dell’isola, è rivolto a occidente e si colloca al centro di una
piccola baia delimitata ai lati rispettivamente dal faraglione e dalla
Torre del Campese.
La struttura difensiva, eretta nel XVIII secolo, serviva per avvistare le
navi nemiche e respingere gli attacchi pirateschi provenienti da Ovest.
Dopo l’unità d’Italia e la fine delle incursioni, la torre è stata affidata ai
privati e oggi funge da residenza per turisti. Campese si è sviluppato
di recente, in concomitanza con lo sfruttamento della pirite, che dal
1938 fino al 1962 ha contribuito ad alimentare l’economia dell’isola,
oggi retta prevalentemente dal turismo. A testimoniare l’importanza
del settore turistico ci sono i residence, le attività commerciali e i ristori che s’incontrano passeggiando per via di Mezzo Franco e nella
piazzetta centrale, dove è presente anche un servizio di trasporto
pubblico che collega Campese a Porto e Castello. Lungo la spiaggia,
ampia e molto frequentata, si trovano diversi stabilimenti balneari e
nei pressi della Torre del Campese è anche possibile noleggiare una
barca in una delle attività presenti in zona.
La municipalità del Giglio comprende anche l’isola di Giannutri, 2.6
Kmq di terra a poco più di 6 miglia nautiche da Porto Santo Stefano
e a circa 7 a sud del capoluogo. L’isola è interessante per i reperti
che testimoniano la presenza romana, come i resti dell’antico approdo di Cala Spalmatoio o i relitti di alcune navi che giacciono sui
fondali del mare – bellissimo e ricco di vita – che circonda l’isola. Le
coste frastagliate hanno dato origine a numerose cale e grotte, che
possono essere visitate seguendo alcune prescrizioni: a differenza
del Giglio, infatti, Giannutri segue delle precise regolamentazioni per
quanto riguarda visite, pesca, transito e immersioni. Per il diportista
è quindi consigliabile informarsi sul sito del Parco dell’Arcipelago toscano (http://www.giglioinfo.it) prima di levare l’ancora e salpare verso
Giannutri, che è raggiungibile anche attraverso un servizio di traghetti
dal Giglio e da Porto Santo Stefano gestito dalla Maregiglio.
di Davide Lazzini
CURIOSITà
Bussola,
l’ago magnetico che rivoluzionò la navigazione
L’invenzione della bussola ha rivoluzionato il concetto stesso della navigazione. Ciò che prima era affidato alla
ricerca ed all’osservazione di punti di
riferimento stabili, ora veniva offerto da
uno strumento che individuava i punti
cardinali e permetteva così un orientamento ed una navigazione dalle sorprendenti possibilità, oltre che più sicura.
Ma quale è l’origine di questo ago calamitato che allineandosi lungo le
linee di forza del campo magnetico
terrestre indica la direzione nord-sud?
Le prime informazioni scritte riguardanti
l’impiego della bussola per la navigazione sono databili tra il 1100 d.C. in Cina,
1187 d.C. in Europa, il 1200 d.C. nel mondo arabo, e il 1250 d.C. in Scandinavia.
La sua invenzione sembra però attribuibile
al cinesi, scopritori del campo magnetico
terrestre. Una scoperta però che inizialmente aveva più la connotazione di spettacolo d’attrazione che scientifica; le lancette magnetizzate servivano infatti per
suscitare lo stupore nello spettatore, che
incantato guardava questi pezzi di metallo che venivano lanciati nel vuoto per poi
ricadere rivolti sempre verso Nord.Ci volle
del tempo prima che si prese coscienza
delle potenzialità di utilizzo di questa scoperta, che in modo semplice permetteva
di individuare la posizione del Nord, e di
conseguenza da qui passare all’identifi-
NAUTIGEStNEWS.IT
cazione degli altri punti cardinali rispetto all’osservatore rivolto verso il Nord.
L’attribuzione di questa paternità alla Cina
deriva anche da alcune leggende nelle
quali si descrive l’utilizzo di un «carro indicatore del Sud», nel quale il punto cardinale veniva individuato da una figura di
legno dalle sembianze umane capace di
ruotare intorno al proprio asse che teneva
il braccio alzato e proteso costantemente
verso Sud. Non si sa se fosse solamente
un congegno meccanico o il precursore
della bussola, ma grazie a questa leggenda si racconta che in torno al 2600 a.C.
l’imperatore Hoang-Ti vinse una battaglia
contro il principe Tchi-Yeou proprio grazie
al See-nan, nome del carro indicante il
Sud, che gli permise di individuare la via
di fuga del nemico, nonostante la presenza di molto fumo ad oscurare la visibilità.
Un’altra ipotesi è che l’invenzione della
bussola fosse da attribuire agli arabi, di
cui si ha una prima testimonianza scritta
nel manoscritto «Tesoro dei mercanti»,
nel quale si parla di una rudimentale bussola rappresentata da un ago magnetico
fissato ad un supporto di legno fluttuante
in un vaso d’acqua riparato dal vento, nel
quale si immergeva una pietra magnetica
facendola ruotare intorno all’ago; una volta tolta si poteva vedere l’ago rivolgere le
proprie estremità in direzione nord-sud.
L’uso dell’ago magnetico presso gli arabi viene descritto da Bailacel al-Kabiaki
nel 1282; in questo manoscritto è interessante notare come in arabo esso sia
designato come «el bossola», termine di
derivazione italiana, sollevando così dubbi su una effettiva scoperta da parte degli
arabi. Bailacel al-Kabiaki racconta di un
viaggio da Tripoli di Siria ad Alessandria
avvenuto nel 1242, descrivendo dettagliatamente l’uso dello strumento: «(...) i
capitani allorché l’aria è oscura, così che
non possono scorgere alcuna stella per
dirigersi secondo i quattro punti cardinali, prendono un vaso colmo d’acqua e lo
mettono al coperto dal vento, pigliano poi
un ago fissato a una cannuccia in modo
che galleggi e lo gettano nel vaso; in seguito, presa una pietra magnetica grande
da riempire il palmo della mano, l’accostano alla superficie dell’acqua, dando un
movimento di rotazione alla mano, in
guisa che l’ago giri a galla e poscia ritirano la mano all’improvviso e l’ago con
le sue punte fa fronte al Nord e al Sud».
Anche l’Europa dà il suo contributo con
le due testimonianze scritte da Alexander
Neckam, il «De Utensilibus» e il «De Naturis Rerum», nelle quali, rispettivamente,
si parla dell’uso dell’ago magnetico da
parte dei marinai per indicare il Nord
nell’orientamento in assenza del sole o a
cielo notturno coperto, e della descrizione
7
CURIOSITà
di una bussola rudimentale fatta con un ago ruotante su perno.
Leggende e realtà si mescolano e confondono alla ricerca di un origine che forse non è possibile rintracciare. Difficile stabilire se l’uso fu trasmesso da un popolo all’altro o se la scoperta della bussola fu condotta separatamente, risultato di azioni indipendenti e non sovrapponibili. Accontentiamoci di sapere che come italiani ci siamo distinti nel suo iniziale utilizzo. Infatti furono gli Amalfitani, ala fine del XXIII secolo, ad essere i primi
in Europa ad utilizzare la bussola nei loro molteplici viaggi commerciali in Siria ed Egitto. Questo strumento era ancora molto grezzo ed impreciso ma
iniziava a mettere in pratica le proprietà direttive del magnete. Fu soltanto verso la metà del XIV secolo che gli Amalfitani resero la bussola un vero e
proprio strumento per scopi nautici, attraverso l’opera di Flavio Gioia, marinaio di Amalfi a metà strada tra leggenda e realtà. Certamente le Repubbliche Marinare furono uno sprone per l’ampliamento delle conoscenze scientifiche, nonché della loro applicazione e realizzazione in ambito nautico.
All’inizio l’ago magnetizzato veniva usato sporadicamente, quando cioè non era possibile orientarsi con gli astri. Presentava infatti non poche difficoltà, oltre
ad una connaturata diffidenza dei marinai per la novità, richiedendo un’operazione di magnetizzazione temporanea e un una affidabilità limitata a causa del
campo magnetico dovuto ai ferri di bordo,di cui non si conoscevano ancor bene gli effetti.
La bussola moderna come siamo abituati a vederla vedrà la luce quando l’ago magnetico viene fissato su una punta o perno, libero di ruotare su un piano
orizzontale con un cerchio graduato da 0 a 360°. Ci volle un secolo prima che, verso la metà del 1200, l’ago galleggiante fosse sostituito da un ago mobile,
collocato, per essere protetto da vento e pioggia, in una cassetta in legno di bosso chiamata bossolo, da cui il nome «bussola», modello rimasto immutato
come caratteristiche tecniche fino agli inizi del XX secolo, quando si passò all’attuale bussola a liquido. L’uso dell’ago imperniato viene riportato da Ugo De
Bercy in uno scritto del 1248, e da Pietro Peregrino nella «Epistula de magnete» del 1269, breve trattato sulla bussola. In seguito l’ago venne sovrapposto su
una rosa dei venti; le prime rose dei venti erano divise in quarte, in seguito in ottave e poi in dodicesime, divenendo un vero e proprio elemento artistico. La
tradizione marinara vede indicare il Nord con il simbolo del giglio stilizzato, simbolo della casa d’Angiò e della città d’Amalfi, che di fatto è l’evoluzione grafica
della lettera «T» di Tramontana, cioè il nome dato dagli Amalfitani al vento proveniente dai monti posti dietro la città.
Anche se i sistemi di navigazione satellitare come il GPS (Global positioning system) hanno progressivamente ridotto l’utilizzo della bussola, è indubbio che la
storia di questo strumento rimane per sempre legata indissolubilmente alla storia dell’uomo e della sua conquista del mondo.
di Paola Mattavelli
NAUTIGESTNEWS.IT
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Febbre del mare
Devo tornare sul mare, solitario sotto il cielo,
e chiedo solo un’alta nave e una stella per guidarla,
colpi di timone, canti del vento,
sbuffi della vela bianca,
e bigia foschìa sul volto del mare
e un bigio romper dell’alba.
Devo tornare sul mare, ché la chiamata
della marea irruente è una chiara
selvaggia chiamata imperiosa;
e io chiedo soltanto un giorno di vento
con volanti nuvole bianche,
pien di spruzzi e di spuma e di strillanti gabbiani.
Devo tornare sul mare, alla vita
di zingaro vagabondo; alla via
delle balene e degli uccelli marini,
dove il vento è una lama tagliente;
e io chiedo solo un’allegra canzone
da un compagno ridente e un buon sonno
e un bel sogno
quando la lunga giocata è finita.
John Mansfield
Storia della Marina italiana:
dalle origini alla fine della seconda guerra mondiale
La Regia Marina nasce il 17 marzo 1861 - poco dopo l’unità d’Italia
- e assorbe nel suo organico la Real Marina Sarda, quella Toscana,
la Pontificia e la Marina borbonica. Per la nuova forza militare erano
previsti adeguamenti in termini di mezzi e uomini ma la mancanza di
un apparato industriale e la sostanziale impreparazione degli ammiragli influirono negativamente sullo sviluppo di una flotta adeguata.
La riprova si ebbe nella battaglia di Lissa del 1866, quando la Marina
– che doveva vendicare lo smacco subito a Custoza dalle forze di
terra nella terza guerra d’indipendenza – subì una dura sconfitta da
parte della Marina austriaca. Quest’ultima, nonostante l’inferiorità
nel numero di battelli e di uomini, sfruttò a pieno gli errori dell’avversario, che sin dalla partenza per conquistare l’isola dalmata aveva
palesato scarsa coordinazione tra reparti e poca capacità d’azione.
Lo scontro navale costò all’Italia 620 morti, 161 feriti e l’affondamento di due unità corazzate, la ‘Re d’Italia’ e la ‘Palestro’: un duro colpo
non solo per la Marina, ma anche per gli italiani che ambivano a
riscattare quanto accaduto a Custoza nei mesi precedenti.
Ci vollero anni prima di poter riorganizzare una flotta capace di
avvicinarsi – sotto il profilo qualitativo – alle Marine degli altri Stati.
Verso la fine del XIX secolo, furono varate alcune unità della classe
‘Caio Duilio’: ben corazzate ed equipaggiate con pezzi da 100
tonnellate ma sostanzialmente inutilizzate in veri e propri conflitti.
La Grande Guerra, che di lì a poco avrebbe messo in ginocchio
l’Europa, fu impostata come guerra di trincea; le unità navali non
furono quasi mai impiegate e la loro funzione si limitava sovente al
presidio di alcune zone, specie in Adriatico. Nel 1922, con la
Conferenza di Washington, si sancì la parità navale (in termini di
tonnellaggio) tra Italia e Francia: questo consentì alla Regia Marina
di potersi dotare di mezzi adeguati ma – sempre a causa della
scarsità di materie prime e alle carenze dell’industria – solo dal
1933 si potè pensare ad un ammodernamento sensibile della flotta,
con il potenziamento delle corazzate classe ‘Cavour’ e il varo delle
navi da battaglia classe ‘Littorio’, che avrebbero costituito il nucleo
fondante di quella che era considerata la quarta Marina al mondo.
STORIA
Nonostante il buon numero di forze disponibili dal giugno 1940, la
flotta – composta da 6 corazzate, 7 incrociatori pesanti, 12
incrociatori leggeri, 120 cacciatorpediniere e 120 sommergibili –
non possedeva portaerei: una grave lacuna che avrà ripercussioni
durante tutto il secondo conflitto mondiale. La mancanza di
coordinazione tra aviazione e marina – nessuna delle due forze
voleva perdere il proprio potere delegandolo all’altra - risulterà infatti
decisiva per le sorti del conflitto marittimo, combattuto sempre ad
armi impari contro avversari meglio equipaggiati e coordinati tra
loro. La mancanza del radar e l’assenza – fino al 1941 – del sonar,
vanificarono il coraggio degli uomini a bordo dei vascelli, pronti
all’estremo sacrificio pur consapevoli dell’inferiorità degli strumenti
a disposizione. Va detto che sulla terraferma era in progettazione un
tipo di radar denominato ‘Gufo’ ma la cronica mancanza di fondi non
ne consentì lo sviluppo e l’impiego massivo che la guerra richiede;
sostanzialmente il progetto divenne inutile ancor prima della
consegna dei primi apparecchi. Per la difesa costiera era in
progettazione il sistema ‘Folaga’ ma anch’esso era ancora in fase
embrionale, come dimostrato dall’attacco a Genova, in cui le navi
nemiche cannoneggiarono praticamente indisturbate la città che
qualche giorno dopo avrebbe accolto il Generale Franco.
Il primo vero scontro in mare si ebbe a Punta Stilo, dove le navi
italiane ingaggiarono un combattimento contro la Marina inglese e
australiana: non ci furono danni significativi ma dalla battaglia
emerse l’inadeguatezza della flotta comandata da Campioni .
L’eccessiva dispersione delle salve dovuta alla scelta di cannoni che
privilegiavano la potenza d’uscita e la distanza percorsa dal proietto
a discapito della precisione, ma anche l’inadeguata cooperazione
con la Regia Aeronautica (che intervenne in ritardo sul naviglio
inglese e attaccò per errore anche quello italiano) furono il
campanello d’allarme – inascoltato – per le forze italiane, che da lì a
poco subirono perdite sempre più ingenti.
La marina inglese, ben supportata anche dagli aerei, in un solo colpo
riuscì a paralizzare quasi del tutto la ‘flotta di potenza’ italiana con
l’attacco al porto di Taranto. 24 aerosiluranti – di cui l’Italia era
sprovvista – partirono di notte divisi in due stormi; il primo sorvolò il
porto in cui era presente buona parte della flotta italiana e lo
illuminò con i bengala, poco dopo gli altri Swordfish sganciarono
quasi a pelo d’acqua i loro siluri, che andarono a segno nonostante i
bassi fondali: La Littorio, la Duilio e la Cavour furono colpite ma
soltanto due di esse – dopo mesi di riparazioni – poterono
riprendere il mare. La battaglia che sancì un’altra sconfitta per l’Italia
e la Regia Marina fu quella combattuta di fronte a Capo Matapan, il
23 marzo 1941. Le navi italiane stavano facendo rotta sull’Egeo per
distruggere i cargo rifornimento degli Alleati tuttavia fu vanificato
l’elemento sorpresa poiché la flotta venne avvistata prima da un
ricognitore, poi da una divisione navale britannica, con la quale ebbe
un breve scontro a fuoco. Le navi italiane decisero di invertire la
rotta ma lo scontro vero e proprio era ormai inevitabile: al calar del
sole diversi aerosiluranti – segno della presenza di una portaerei –
attaccarono il naviglio italiano mentre il grosso della Royal Navy
– partito da Alessandria - stava sopraggiungendo in zona. Gli
attacchi britannici colpirono la Vittorio Veneto, che perse velocità a
NAUTIGEStNEWS.IT
causa dei danni, così come l’incrociatore Pola, che non riuscendo
più a muoversi chiese soccorso alle altre unità della flotta. L’Ammiraglio Iachino decise di tentare il recupero del Pola e inviò 2 incrociatori e 4 caccia, sicuro che la notte e la distanza dall’avversario
fossero sufficienti a portare in salvo la nave. Il tentativo di salvataggio si trasformò in una missione suicida. Le navi inglesi, dotate di
radar, individuarono il Pola e le altre navi italiane giunte in suo
soccorso; fu una carneficina che costò la vita a 2303 marinai oltre
alla perdita di un’intera divisione navale: lo Zara, il Fiume, il Pola,
l’Alfieri e la Carducci furono annientati, dimostrando ancora una
volta l’impreparazione del comando supremo della Marina e quanto
possa essere decisivo il ritardo tecnologico rispetto alle altre
Nazioni.
Un parziale successo italiano si ebbe nelle due battaglie della Sirte
(inserite nella logorante battaglia dei convogli) in cui la Royal Navy
perse numerose unità impiegate come scorta alle navi da rifornimento. Nella prima battaglia (17 dicembre 1941) ci fu uno scontro a
distanza tra le due flotte che si concluse con pochi danni e un
sostanziale pareggio. Tuttavia gli inglesi, una volta rifornita Malta,
presero di nuovo il largo per cercare di stanare la Marina italiana ma
finirono nel bel mezzo di un’area minata che annientò la loro ‘Forza
K’.
Dove la ‘flotta di potenza’ aveva fallito, riuscì invece un manipolo di
uomini, quelli della X Flotiglia Mas, che sfidando la morte portarono
a termine la missione ‘G.A.3’ in cui vennero messe fuori combattimento due navi da battaglia britanniche ancorate nel porto di
Alessandria, la ‘Queen Elizabeth’ e la ‘Valiant’. Assieme a loro
subirono danni anche la petroliera ‘Sagona’ e il cacciatorpediniere
‘Jervis’. Fu un’impresa memorabile, sei uomini – due per ogni siluro
a lenta corsa – uscirono dal sottomarino Scirè a cavalcioni degli
ordigni (detti ‘maiali’) e riuscirono a piazzarli sotto le navi nemiche e
a farli detonare. Con questa missione si vendicò l’attacco subito a
Taranto e si contribuì a far cambiare i piani tattici agli avversari: i
loro porti, nonostante le misure di sicurezza, erano divenuti
improvvisamente vulnerabili e ciò comportò una riorganizzazione
delle forze in campo. Nonostante il grande successo ottenuto, la
Regia Marina incontrava difficoltà sempre maggiori sia per la
mancanza di combustibile, sia per il numero di mezzi perduti in
battaglia e a difesa dei rifornimenti verso l’Africa. Queste condizioni
hanno certamente influenzato l’esito della seconda battaglia della
Sirte, che si svolse il 22 marzo 1942. Le forze navali italiane – praticamente tutte quelle disponibili - intercettarono un convoglio
britannico e dispersero gran parte dei rifornimenti diretti a Malta. A
seguito dell’attacco navale, gli aerei della Luftwaffe distaccati in
Sicilia terminarono l’opera distruttiva ma per la Regia Marina resta il
rimpianto per non aver inflitto un danno che poteva essere ben più
pesante date le circostanze favorevoli e il numero di navi schierate a
confronto di quelle inglesi. Probabilmente l’Ammiraglio Iachino
avrebbe potuto infliggere un colpo decisivo alla flotta nemica, ma si
preferì far rientrare le navi dopo lo scontro, forse per preservarle in
vista di altre missioni. Tuttavia durante il rientro in porto i cacciatorpediniere ‘Scirocco’ e ‘Lanciere’ affondarono tra i flutti del mare in
tempesta.
11
STORIA
Al termine del secondo conflitto mondiale, la flotta della Regia
Marina fu praticamente smembrata. La nascente Marina Militare,
formatasi nel 1946, cominciò a prendere forma tra enormi difficoltà,
prima tra tutte quella derivante dalle pesanti clausole presenti
nel trattato di Parigi del 10 febbraio 1947, che imposero severe
limitazioni alla produzione di nuovi mezzi e la cessione del naviglio
ancora funzionante alle potenze vincitrici. Oltre a quest’aspetto
occorre ricordare la miseria dilagante che impediva de facto nuove
progettazioni e la cronica separazione tra le forze militari italiane,
ognuna presa a non voler cedere terreno all’altra invece di trovare
concertazione. Col Trattato di Parigi l’Italia s’impegnava a non
costruire portaerei, a non costruire o sostituire le navi da battaglia, a
non produrre naviglio sottomarino e nessun tipo di mezzo d’assalto.
Il tonnellaggio d’insieme delle navi non poteva superare le 67500
tonnellate (escluse le navi da battaglia) e venne fissato a 25 mila
unità il tetto massimo di uomini in Marina. Alle nazioni vincitrici furono consegnate 29 navi tra cui la Vittorio Veneto, l’Italia e la Giulio
Cesare mentre alla Marina rimasero 2 corazzate obsolete – Duilio e
Andrea Doria – 4 incrociatori, 36 tra torpediniere e corvette più uno
sparuto gruppo di vedette e un centinaio di navi ausiliarie.
L’inizio della guerra fredda portò la necessità da parte degli
americani e dei loro alleati di incrementare la presenza di navi nel
Mediterraneo: questo consentì di alleggerire le misure del Trattato di
Parigi e portò Gran Bretagna e Stati Uniti (in misura minore anche la
Francia) a rinunciare alle navi che l’Italia avrebbe dovuto consegnare. L’Urss, invece, pretese la propria quota di navi così la Giulio
Cesare passò – assieme alla nave scuola Cristoforo Colombo – in
mano sovietica. La rinuncia da parte delle forze vincitrici lasciò nelle
disponibilità della Marina sia l’Andrea Doria che la Duilio tuttavia,
l’abolizione dei cannoni da 381 mm fece sì che le 2 navi non potessero tornare in servizio e per questo furono smantellate a La Spezia.
L’ingresso dell’Italia nel Patto Atlantico rese ancor più stringente la
necessità di produrre mezzi adeguati a perseguire gli obiettivi dell’alleanza così, dopo lunghe trattative, molti dei vincoli del Trattato di
Parigi si estinsero. Restava però il problema della povertà e della
mancanza di risorse per adeguare la flotta ai compiti prefissati. Data
la gravità della situazione interna e i timori statunitensi di una presa
di posizione russa negli oceani e nel Mediterraneo, gli americani
fornirono alla Marina 2 cacciatorpediniere, 3 caccia di scorta, 6 cannoniere d’appoggio, 4 dragamine d’altura, 18 costieri e 35 mezzi da
sbarco di varie dimensioni. La revisione del Trattato permise inoltre
di schierare nuovamente – dal 1952 – il naviglio subacqueo.
Così, nella prima parte degli anni ’50, mentre l’Italia industriale
cominciava a fatica a rimettersi in piedi, anche la Marina – tra mille
difficoltà – cominciava a prendere il largo puntando maggiormente
sull’ammodernamento dei mezzi già esistenti e su quelli forniti dagli
USA. Nel 1958 lo Stato Maggiore emanò “Programma 1958”, un
piano in cui vennero delineate le future linee di sviluppo della Marina
Militare ma i problemi di bilancio dilatarono nel tempo la produzione preventivata, che consisteva in 2 incrociatori lanciamissili e
portaelicotteri (classe Andrea Doria); 2 cacciatorpediniere lanciamissili (classe Impavido); 4 fregate portaelicotteri (classe Bergamini);
4 unità subacquee (classe Toti); la ristrutturazione dell’incrociatore
Giuseppe Garibaldi - trasformato in lanciamissili - e quella del
sommergibile Pietro Calvi. Nel decennio successivo l’incremento
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quantitativo del naviglio fu possibile grazie alle donazioni statunitensi, che fornirono i sommergibili Lizardfish, Capitaine e Besugo
- ribattezzati rispettivamente Evangelista Torricelli, Alfredo Cappellini
e Francesco Morosini - e 4 navi da trasporto e da sbarco: Andrea
Bafile, Etna, Anteo e Pietro Cavezzale. Lungo gli anni “60 la realizzazione più significativa fu l’incrociatore lanciamissili portaelicotteri
Vittorio Veneto, una nave polivalente ma senza troppe pretese:
l’unica vera innovazione consisteva infatti nelle postazioni per gli
elicotteri, imbarcati al posto degli aerei sempre a causa del braccio
di ferro tra Aeronautica e Marina Militare. Negli anni ’70, conclusa
la realizzazione del naviglio pianificato nel “Programma 1958” e
con il progressivo invecchiamento delle unità più anziane, la flotta
rischiava ancora una volta di ritrovarsi priva dei requisiti per svolgere
le funzioni assegnate. In questo periodo – nonostante la mancanza
di fondi – furono varate 2 fregate classe “Alpino”, probabilmente fra
le migliori al mondo nella propria categoria grazie alle considerevoli
capacità elicotteristiche. Poco dopo i mezzi della classe “Alpino”
furono realizzati 2 caccia lanciamissili tipo “Audace’. Le 2 navi,
consegnate nel 1972, furono le prime ad avere a disposizione il
nuovo cannone da 76/62 mm “Compatto” prodotto da OTO Melara.
Sempre nel 1972 arrivarono dagli USA 2 navi da sbarco tipo LST (De
Soto County e York County), ribattezzate rispettivamente Grado e
Caorle, che fornirono un aiuto sensibile considerata la situazione del
naviglio anfibio allora disponibile.
La crisi petrolifera e le vicende politiche ad essa collegate, le
cattive prospettive per il futuro della Marina – legate al bilancio – e
la necessità di dover comunque garantire una tutela dei confini
portarono i vertici della Marina a produrre un documento in cui si
chiedeva un profondo processo di revisione intitolato “Prospettive ed
orientamenti di massima della Marina Militare per il periodo 1974-8
o, più semplicemente, “Libro Bianco”. Si trattava di un programma
ambizioso, volto al riammodernamento di una flotta in buona parte
destinata alla pensione entro gli anni ’80 e che andava sostituita con
nuove e più moderne unità. Il programma “straordinario”, definito
“Legge Navale”, venne approvato dal Parlamento il 22 marzo 1975
con un’ampia maggioranza ma i costi per l’attuazione dilatarono
anche stavolta i tempi per la realizzazione dei mezzi preventivati.
L’approvazione della legge però si rivelò decisiva per la cantieristica
nazionale, consentendo la produzione e la vendita - ad altri Stati - di
una buona quantità di navi.
Negli anni ’80 la tensione in medio oriente e nelle coste mediterranee dell’Africa portarono le forze della Nato a intervenire per il mantenimento della pace ed evitare l’esplosione di conflitti di maggiore
portata. In queste missioni la Marina partecipò con funzioni di pattugliamento, controllo e – durante gli scontri in Libano – di scorta
ai mercantili. Dalla “Legge Navale” erano entrate in servizio la “Garibaldi”, 2 sommergibili classe “Sauro”, 8 fregate classe “Maestrale”,
6 aliscafi classe “Nibbio”, 4 cacciamine classe “Lerici”, il rifornitore
di squadra “Vesuvio” e la nave salvataggio “Anteo’: indubbiamente ci
furono dei passi avanti ma non era ancora iniziata la costruzione dei
2 caccia lanciamissili e del secondo gruppo di 6 cacciamine inoltre,
durante le operazioni militari al in seno alla Nato, emersero alcune
difficoltà che palesarono le lacune tecnologiche dei mezzi disponibili
e la necessità di superarle in breve tempo.
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STORIA
Qualche anno più tardi e dopo numerose polemiche, fu trovata
l’intesa fra Marina Militare e Aeronautica; con la legge n. 36,
approvata dalla Camera dei Deputati il 26 gennaio 1989 e ratificata
dal presidente Cossiga, si sanciva la concertazione tra le due forze:
“per integrare le capacità di difesa delle proprie unità navali, la
Marina Militare può utilizzare aerei imbarcati”. Poco dopo la Marina
fu impegnata – sotto l’egida dell’Onu – nella Guerra del Golfo, in cui
svolse attività di controllo, schermo delle portaerei USA e intercettazione dei rifornimenti. Al termine del conflitto diverse unità furono
impiegate per sminare le aree di mare che lambiscono il Kuwait.
Negli anni ’90 la Marina è stata impegnata in missioni umanitarie,
di soccorso e di peacekeeping specie in Somalia e in Albania (con
l’impiego del battaglione “San Marco”).
Il lento processo di ammodernamento della flotta è tutt’oggi in
corso ma rispetto ai decenni passati la Marina può contare su unità
all’avanguardia e sul supporto della portaerei “Cavour”, entrata in
servizio il 10 giugno del 2009; ad essa si affiancano 7 sommergibili,
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2 cacciatorpediniere lanciamissili classe “Orizzonte” e 2 classe
“Durand de la Penne”, 15 fregate, 5 corvette, 10 pattugliatori d’altura
e 4 costieri. Oltre a queste unità troviamo le decine di unità “minori”
che includono mezzi da sbarco, navi scuola, di supporto, rifornimento, ricerca e rimorchiatori. Dati gli alti costi di produzione/mantenimento, gli effetti della crisi economica del 2008 e considerata la
necessità di dover restare in linea con lo sviluppo tecnologico, si è
scelto di operare alcuni tagli – specie nel personale – per dirottare
le risorse verso la produzione di mezzi adeguati agli scenari attuali
e futuri. Sono state anche avviate joint-ventures con Paesi stranieri
così da ripartire le spese e avere a disposizione unità tecnologicamente avanzate.
di Davide Lazzini
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Windsurf Grand Slam 2015,
NORMATIVE
spettacolo e divertimento per gli amanti del Windsurf
Santa Teresa di Gallura ospita per la terza volta i Campionati Nazionali AICW, in contemporanea per le discipline di Freestyle, Slalom, Formula e Raceboard, a costituire
una grande competizione: il Windsurf Grand Slam.
Tra il 1 º e il 6 GIUGNO 2015 circa 400 iscritti, tra i quali i migliori atleti, accompagnati
da tifosi e appassionati, hanno partecipato e animato questo fantastico evento, il più
importante e noto per il mondo del Windsurf italiano e internazionale.
Nel suggestivo scenario della Costa Smeralda, Coluccia–Porto Liscia è una baia protetta
di grandissima bellezza, perfetta per sperimentare l’ebbrezza e la bellezza del windsurf,
del mare e del vento che caratterizzano il famoso Arcipelago sardo della Maddalena
Il Campionato si è dunque alternato per le quattro discipline accennate (una descrizione
del Windsurf è già stata esposta in un articolo [http://www.nautigestnews.it/curiosita/
nautica-sportiva/] sugli sport nautici:
1. Freesyle, per le categorie Open; vento medio e forte: la disciplina più adrenalinica ed
eccitante, grazie ai giochi di stile, salti e manovre svolte in aria.
2. Slalom, per le categorie Open; vento medio e forte: una competizione ad eliminazione
diretta, classica ed emozionante, tra boe, forza e audacia.
Raceboard, per le categorie Open; vento leggero: tecnica, tattica e resistenza per la disciplina tradizionale del windsurf.
Formula windsurfing, per le categorie Open; vento leggero e medio: sveltezza e strategia su un percorso di velocità ispirato alla vela, in cui il planning delle tavole è favorito
anche dal minimo spostamento di vento.
Risultati
Andrea Ferin, da Trieste, ottiene il premio Raceboard, mentre l’elbano Malte Reuscher
guadagna il titolo nazionale nella sezione Formula Windsurfing. È il romano Giovanni
Passani il primo nel freestyle; il premio per lo speciale Speed Contest, vale a dire per il
più veloce della intera competizione, va invece ad Andrea Rosati, romano.
Andrea Ferin, con la soddisfazione di aver vinto tutte le gare del Campionato e al suo
secondo successo consecutivo, dopo che nel 2014 aveva ottenuto il titolo di specialità,
commenta: «È andata come speravo, riuscire a salire sul podio di tutte le specialità nelle
quali gareggiavo, essendo arrivato terzo nel Formula, escluso ovviamente lo slalom. È stato un successo un po’ scontato, mi ha avvantaggiato il vento leggero, con altre condizioni
climatiche sarebbe stato sicuramente più difficile. Adesso mi butto nelle gare di slalom
del PWA dove già l’anno scorso ho ottenuto un buon risultato arrivando diciassettesimo
in una tappa, provando a migliorarmi per riuscire ad entrare nei top 20 della classifica finale». Secondo titolo anche per Malte Reuscher, dopo aver gareggiato e ottenuto il premio
nel 2013. Commenta così: «Cinque prove con vento leggero, alla fine sono riuscito a portare a casa il titolo, peccato per lo slalom perché puntavo anche a quello, è solo rimandato. Ringrazio i miei sponsor Neil Pride, JP e Selin Firenze. Anche io come Ferin adesso mi
concentro nel PWA dove nella prima tappa dell’anno sono arrivato dodicesimo, l’obiettivo
è arrivare nei top 15 a fine anno». Resucher si è imposto davanti al romano Marco Begalli
e Andrea Ferin.
Seguono a Andrea Ferin i fratelli Jacopo e Riccardo Renna, giovani del Circolo Surf Torbole del Garda.
Giovanni Passani vince nel freestyle, ottenendo il primo posto nel campionato nazionale
di specialità al Sa Barra Contest, nell’isola di Sant’Antioco (Sardegna). Giovane anche lui,
proviene da Trevignano Romano ma risiede in Sardegna, dove riserva ai suoi fan grande
spettacolo. Commenta così: «Emozionato e felice, ci ho lavorato dall’inizio dell’anno per
questo traguardo e sapevo che avrei potuto farcela contro avversari davvero forti come
Mattia Fabrizi e Jacopo Testa, il detentore del titolo 2014». Proprio Mattia Fabrizi si colloca dietro Passani con due secondi posti. Il campione in carica, Jacopo Testa di Milano,
ottiene un buon terzo posto.
Un ringraziamento generale è andato al coordinamento stabile dell’AICW (Associazione
Italiana Classi Windsurf riconosciuta dalla FIV), che dal 1990 gestisce e promuove l’attività agonistica del Windsurf in Italia, organizzando e gestendo regate di livello nazionale e
internazionale.
di Emanuela Tangari
Scegliere una vacanza in barca significa scegliere
forti emozioni
Campionato Nazionale Open J24:
NORMATIVE
La Superba della Marina Militare campione d’Italia
Si è svolta da venerdì 29 maggio a martedì 2 giugno, nelle acque di Cala Galera-Porto Ercole, la XXXV edizione delle regate del
Campionato Nazionale Open J24. In una delle zone di regata più belle d’Italia, con l’organizzazione del Circolo Nautico e della Vela
Argentario in collaborazione con l’Associazione di Classe J24 che hanno lasciato soddisfatti tutti i partecipanti per la grande ospitalità, il Campionato ha visto la partecipazione di 33 equipaggi pronti a competere per il titolo italiano, dopo quattro giornate di sfide
e dieci regate previste. Tante anche le manifestazioni connesse all’evento, concluso con la cerimonia finale in cui è stato conferito
il titolo tricolore 2015, il Trofeo Challenger della Classe al miglior equipaggio italiano classificato, un premio per i primi dieci J24
classificati, per il migliore equipaggio femminile e per i vincitori delle singole prove. Tutto ciò conferma il grande spirito di sportività
che caratterizza questo splendido sport.
Dopo il 2011 e il 2012, per la terza volta e in anticipo di una regata vince il titolo del tricolore della classe J24 la Marina Militare con
La Superba (Ita 416 del Centro Velico di Napoli), guidata dal timoniere Ignazio Bonanno, accompagnato dal resto dell’equipaggio:
il tailer Simone Scontrino, il secondo Francesco Picaro, il prodiere Alfredo Branciforte e il tattico Luigi Ravioli. Bonanno ha commentato così la vittoria: «Siamo ovviamente molto soddisfatti di questa affermazione che è stata sicuramente un bel test in vista
dell’Europeo; appena terminato il Campionato, infatti, partiremo per Le Crouesty (South Brittany) dove lo Yacht Club du Crouesty
Arzon organizzerà dal 6 al 13 giugno il J24 European Championship. Desideravamo complimentarci con il Comitato di Regata che
è stato molto professionale e preciso nella gestione delle prove, specialmente nella rapidità di posizionare il campo di regata e correggerlo ad ogni salto di vento».
Guadagna il secondo posto del podio l’equipaggio americano di Usa 5399 Furio, distanziato da La Superba per 5 punti; Keith Whittemore aveva vinto le ultime due edizioni nella sezione Open. Al terzo gradino i tedeschi di Ger 5420 Rotoman con il timoniere Tobias
Feneherdt.
Massimo Mariotti, con Avoltore guida la regata con un breve distanza da Jamaica e Magica, afferma: «Dopo un breve rinvio della
partenza, in attesa della stabilizzazione del vento, il Comitato di Regata presieduto egregiamente dal napoletano Iovino, coadiuvato
dagli ufficiali di gara Granato, Proietti, Andreuccetti e Vichi, hanno dato la partenza dell’ultima regata in programma, in presenza
di un leggero vento di libeccio intorno a 5/8 nodi; nel secondo lato di bolina il vento ha cominciato via via ad entrare da Maestrale
favorendo Furio che è riuscito per primo ad entare nel nuovo vento. Il Comitato ha accorciato il percorso e ha dato l’arrivo alla seconda boa di bolina decretando così la vittoria di Furio per pochi metri su noi di Avoltore che però, con il secondo posto di giornata,
abbiamo conquistato anche il secondo posto nella classifica generale degli equipaggi italiani».
di Emanuela Tangari
Almavida 2: varato il nuovo
Solaris 50
La Marina Punta Faro di Lignano è stata la location, nella
giornata di sabato 13 giugno, del varo della nuova imbarcazione Almavida 2, un Solaris 50 piedi della Solaris di
Aquileia frutto della passione per la vela dell’imprenditore
Aldo Cafiero e della sua famiglia, del lavoro del designer
Lucio Micheletti e del fine progetto tecnologico del progettista argentino Javier Soto Acebal.
L’Architetto Alessandro Puia, a capo dello studio di progettazione interno al cantiere, ha lavorato con Cafiero per
rispondere a tutte le esigenze dell’armatore, con un sinergico lavoro di gruppo e grazie a modernissimi e raffinati
software di progettazione, attraverso test in laboratorio e
la verifica della tenuta in mare. Tutto ciò e moto altro ha
dato vita alla nuova Almavida 2, una barca unica nel suo
genere, innovativa e destinata ad essere per il prossimo
decennio un punto di riferimento per i criteri della categoria.
Il nome è l’unione di Alma e Vida, anima e vita: i due elementi che hanno mosso l’iniziativa di Aldo Cafiero, che
ne rappresentano la passione e i valori. Dal nome della
barca nasce così anche una linea di borse, Salce 197, direttamente ispirate al Mediterraneo e alla barca stessa:
basti pensare che le stesse lavorazioni della pelle, come le
metodologie dei ricami, sono state utilizzate per le borse
e per gli interni dell’imbarcazione. È nota infatti la conoscenza di Cafiero per il trattamento della pelle e la creazione di oggetti e prodotti pensati e progettati su esigenze
specifiche: qui si unisce la passione per il mare e il suo
lavoro.
L’imprenditore, nato a Genova nel 1959, vive a Roma fino
all’età di quindici anni, prima di trasferirsi a Belluno. Dopo
lo studio di Medicina si dedica all’azienda di famiglia, nel
tempo trasformata in ciò che è oggi: la holding internazionale Aldo Cafiero Holding. La sua storia è la storia anche
di una famiglia, e di una storica passione per il mare, trasmessa sin dal 1200. Nella famiglia di origini campane e
nobili, dall’inizio del ‘900 i maschi lavorano in mare (i nonni, gli zii, il padre). I due fratelli Cafiero rispondono bene
all’appello: Aldo con la sua holding, il fratello Renato met-
tendosi in gioco come istruttore di sub e coordinatore di
un diving in Sicilia.
Una passione forte e un legame sempre presente con il
mare: Aldo Cafiero sale da piccolo sulle prime imbarcazioni, in Liguria; nel 2001 naviga a bordo della sua prima
38 piedi, un Katchara con cui approfondisce le sue conoscenze, fino ad arrivare a Mary Read (intitolata alla più famosa piratessa donna), ad Almavida 1 e, proprio adesso,
ad Almavida 2.
Ai primordi del suo lavoro nell’azienda di famiglia, Aldo intraprende la produzione di linee di borse sportive e comincia ad unire il lavoro all’amore per il mare: le borse vengono vendute a bordo di importanti compagnie navali tra
cui Grimaldi Lines, Tirrenia, Moby Lines e Costa Crociere.
Almavida 2, elegante e minimalista, ha una timoniera da
cui si possono effettuare manovre dirette, grazie all’attrezzatura di coperta con solo quattro winches vicino alle
ruote; l’integrazione del bompresso a prua può murare le
vele nelle andature portanti di nuova generazione, tra le
quali gennaker e code zero. Vi è poi il fiocco auto virante
con rotaia recessata, uno scafo indeformabile, un sistema
monolite di continuità strutturale con le paratie in composito (invece dell’utilizzo del legno) disposte allo scafo e
alla coperta; l’aumento della velocità in mare è garantito
dall’armatura dell’albero e dei timoni in carbonio che ne diminuiscono il peso, e dalle vele (pure il carbonio) prodotte
in pezzo unico con fili continui, che favoriscono ottima tenuta sotto vela. Infine una carena modernissima, risultato
del lavoro di Soto Acebal, che assicura prestazioni elevate
e un ottimo planaggio sulle onde. Gli arredamenti interni
sono altrettanto funzionali e belli, per offrire massimo
comfort, agio e funzionalità.
Dopo la riuscita del 48 piedi Almavida 1, che già univa funzionalità e grande cura estetica, situandosi come punto di
riferimento per progettisti e velisti, il nuovo yacht Solaris
50 punta in alto all’eccellenza e all’unicità.
di Emanuela Tangari
Bandiera
verde 2015
dove la spiaggia è a misura di bambino
Voglia di mare e spiagge assolate, dove
godersi finalmente i propri figli senza l’assillo degli impegni e degli orari che spesso
durante l’anno comprimono il tempo da
dedicare a loro.
Molte volte però si fatica a trovare quella
dimensione ideale, perfetta per tutta la
famiglia, che associ al mare pulito, con un
arenile adatto ai bimbi, anche la disponibilità di servizi e strutture utili ai genitori.
Un validissimo aiuto nella ricerca di spiagge family friendly, ci arriva dal progetto
Bandiere Verdi, ideato nel 2008 da Italo
Farnetani, pediatra e giornalista, che grazie alla collaborazione di un campione di
141 pediatri che vivono in zone di mare
riesce ogni anno a selezionare nuove località balneari ad hoc per i bambini.
Questa selezione ha coinvolto in questi anni quasi mille pediatri e dal 2011
avviene in collaborazione della Società
Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale
(SIPPS), ulteriore garanzia per un progetto sano che punta al benessere del nucleo
familiare.
Come spiega lo stesso Farnetani, «la bandiera verde si basa soprattutto sulla idoneità ambientale per famiglie e bambini,
pertanto sono in gioco caratteristiche
piuttosto costanti nel tempo» quali l’acqua cristallina e bassa in prossimità della
riva, sabbia pulita, fine e che digradi dolcemente.
Particolare attenzione è stata data alla sicurezza, quindi obbligatoria la presenza dei bagnini, e all’ampiezza
dall’arenile, che consenta di avere spazio tra gli ombrelloni e giochi adatti ai bambini. Inoltre per favorire
ogni necessità, garanzia di un soggiorno confortevole,
sono state premiate le località che possano garantire
ad esempio gelaterie, pizzerie, bar, negozi e spazi per
praticare sport. La quasi totalità dei pediatri ha infatti esplicitamente indicato che i bambini stanno bene
quando stanno bene anche i genitori.
Non c’è Regione che si affacci sul mare che non sia idonea per ospitare bimbi, fatto che amplia notevolmente
la chance di una scelta su misura, in base alle proprie
esigenze. Per di più, quest’anno non solo è stata confermata la Bandiera Verde alle località che rientravano nell’elenco degli anni passati, ma si sono aggiunte
18 nuove spiagge, tra la Toscana e l’Emilia Romagna,
passando per il Sud e le Isole, portando in questo modo
a 100 le spiagge under 18.
La scelta delle nuove spiagge è stata effettuata partendo dall’elenco delle località non ancora inserite nella
Bandiera Verde, a cui nel 2014 era stata assegnata
la Bandiera Blu. Va sottolineato il fatto che il 93,25%
delle località proposte ha avuto preferenze dai pediatri, a dimostrazione dell’idoneità e salubrità del mare
italiano per i bambini.
Valore aggiunto di quest’anno è l’indicazione in evidenza di alcune spiagge adatte agli under 6. Una scelta
fatta, come spiega il pediatra Farnetani, perché «i bambini fino a 3 anni giocano soprattutto da soli e fino a 6
anni preferiscono giocare più con i genitori che con i
coetanei.
In questa logica, se i genitori vogliono scegliere una
spiaggia isolata, in mezzo alla natura, spesso in ‘paradisi terrestri’, possono farlo più facilmente e i pediatri
hanno anche indicato località adatte alla vita di un
bambino piccolo in spiaggia, ma il consiglio è di farlo
solo quando il bambino ha meno di sei anni. Dopo infatti cercherà la compagnia dei coetanei».
Le migliori spiagge under 6 sono:
Basilicata – Marina di Pisticci (Matera); Calabria –
Bova Marina (Reggio Calabria), Bovalino (Reggio Calabria), Cariati (Cosenza), Santa Caterina dello Ionio
Marina (Catanzaro); Lazio – Lido di Latina (Latina);
Puglia – Marina di Pescoluse (Lecce), Marina di Lizzano (Taranto); Sardegna – Basiardo (Ogliastra), Cala
Domestica (Carbonia-Iglesias), Is Aruttas-Mari Ermi
(Oristano), Marina di Orosei-Berchidda (Nuoro); Sicilia – Casuzze-Punta Secca-Caucana (Ragusa), Scoglitti
(Ragusa), Torretta Granitola (Trapani), Vendicari (Siracusa); Veneto – Cavallino-Iesolo Pineta (Venezia).
Nel corso degli anni sono cambiati i requisiti di selezione. Nel 2008 e 2009 erano state scelte località di mare
definite mondane, con attrezzature turistiche per genitori e figli; nel 2010 era stata la volta di quelle incontaminate, in cui il fattore natura prevalesse su quello
turistico. A queste prime 51 località turistiche, si erano
poi aggiunte nel 2011 altre 25 spiagge con maggiori attrezzature turistiche, mentre l’anno seguente la selezione è stata fatta pescando tra le spiagge già meritevoli
di Bandiera Blu quelle più a misura di bimbi.
Qui di seguito l’elenco delle Bandiere Verdi dei Pediatri 2015, suddivise per Regioni:
Abruzzo: Giulianova (Teramo), Montesilvano (Pescara), Roseto degli Abruzzi (Teramo), Silvi Marina (Teramo), Tortoreto (Teramo),
Vasto Marina (Chieti).
Basilicata: Maratea (Potenza) e Marina di Pisticci (Matera).
Calabria: Bova Marina (Reggio Calabria), Bovalino (Reggio Calabria), Cariati (Cosenza), Cirò Marina-Punta Alice (Crotone), isola di
capo Rizzuto (Crotone), Melissa-Torre Melissa (Crotone), Mirto Crosia (Cosenza), Nicotera (Vibo), Praia a Mare (Cosenza), Roccella
Jonica (Reggio), Santa Caterina dello Jonio Marina (Catanzaro), Soverato (Catanzaro).
Campania: Centola-Palinuro (Salerno), Marina di Camerota (Salerno), Positano-Spiagge: Arienzo, Fornillo, Spiaggia Grande (Salerno), Santa Maria di Castellabate (Salerno), Sapri (Salerno).
Emilia Romagna: Bellaria-Igea Marina (Rimini), Cattolica (Rimini), Cervia-Milano Marittima-Pinarella (Ravenna), Cesenatico (Forlì
Cesena), Gatteo-Gatteo Mare (Forlì-Cesena), Misano Adriatico (Rimini), Riccione (Rimini), Ravenna-Lidi Ravennati.
Friuli Venezia Giulia: Grado (Gorizia), Lignano Sabbiadoro (Udine).
Lazio: Formia (Latina), Gaeta (Latina), Lido di Latina (Latina), Montalto di Castro (Viterbo), Sabaudia (Latina), San Felice Circeo (Latina), Sperlonga (Latina), Ventotene-Cala Nave (Latina).
Liguria: Finale Ligure (Savona), Lerici (La Spezia).
Marche: Civitanova Marche (Macerata), Gabicce Mare (Pesaro - Urbino), Porto Recanati (Macerata), Porto San Giorgio (Fermo), Numana (Ancona), San Benedetto del Tronto (Ascoli), Senigallia (Ancona).
Molise: Termoli (Campobasso).
Puglia: Ginosa-Marina di Ginosa (Taranto), Ostuni (Brindisi), Otranto (Lecce), Rodi Garganico (Foggia), Vieste (Foggia), Marina di
Pescoluse (Lecce), Marina di Lizzano (Taranto), Gallipoli (Lecce).
Sardegna: Alghero (Sassari), Bari sardo (Ogliastra), Cala Domestica (Carbonia-Iglesias), Capo Coda Cavallo (Olbia), Castelsardo-Ampurias (Sassari), La Maddalena-Punta Tegge-Spalmatore (Olbia Tempio), Marina di Orosei-Berchida-Bidderosa (Nuoro), Oristano-Torre
Grande (Oristano), Poetto (Cagliari), Quartu Sant’Elena (Cagliari), San Teodoro (Nuoro) Santa Teresa di Gallura (Olbia Tempio).
Sicilia: Casuzze-Punta Secca-Caucana (Ragusa), Cefalù (Palermo), Ispica-Santa Maria del Focallo (Ragusa), Marina di Lipari-Acquacalda-Canneto (Messina), Marina di Ragusa, Marsala - Signorino (Trapani), Porto Palo di Menfi (Agrigento), Pozzallo - Pietre Nere
(Ragusa), San Vito Lo Capo (Trapani), Scoglitti (Ragusa), Torretta Granitola (Trapani), Tre Fontane (Trapani), Vendicari (Siracusa).
Toscana: Camaiore - Lido Arlecchino - Matteotti (Lucca), Castiglione della Pescaia (Grosseto), Follonica (Grosseto), Forte dei Marmi
(Lucca), Marina di Grosseto (Grosseto), Pietrasanta - Tonfano, Foccette (Lucca), Monte Argentario - Cala Piccola - Porto Eercole (Le
Viste), Porto Santo Stefano (Cantoniera - Moletto - Caletta) - Santa Liberata (Bagni Domiziano - Soda - Pozzarello) (Grosseto), San
Vincenzo (Livorno), Viareggio (Lucca).
Veneto: Caorle (Venezia), Lido di Venezia, Cavallino-Jesolo Pineta (Venezia), Iesolo (Venezia).
Non rimane che l’imbarazzo della scelta tra queste 100 destinazioni targate Bandiera Verde 2015, sparse per le coste della nostra
meravigliosa penisola italiana. Buone vacanze a misura di bambino!
di Paola Mattavelli
Corazzata Roma, l’ammiraglia
in fondo al mare
NORMATIVE
La corazzata Roma fu l’ammiraglia della flotta navale italiana durante la seconda guerra mondiale; ideata dall’ing. Umberto Pugliese, era la terza nave della ‘Classe Littorio’ (che comprendeva la Vittorio Veneto e la Littorio) e alla sua costruzione
presero parte le maggiori industrie italiane. All’epoca della consegna, avvenuta il 14 giugno 1942, la Roma era tecnicamente
all’avanguardia, un mezzo potente e veloce che, tuttavia, non entrò mai in battaglia. Possedeva un armamento di tutto rispetto:
9 cannoni da 381mm, 12 da 152, 12 cannoncini da 90mm, 20 da 37 e 28 da 20. I pezzi da 381mm erano stati fabbricati dalla
Oto Melara e spiccavano per la notevole velocità d’uscita del proietto, che avrebbe consentito di infliggere danni pesanti alle
navi nemiche da grande distanza. Ai 9 cannoni principali, inseriti in 3 torri trinate corazzate spesse 35cm, erano accostati 12
pezzi più piccoli da 152mm. La difesa antiaerea era costituita dai 60 cannoncini e mitragliere prodotti dalla Breda mentre il
puntamento era affidato a un’avanzata centrale di tiro realizzata – così come gli strumenti ottici in dotazione – dalla Galileo
di Firenze. La nave è stata una delle poche unità ad avere a disposizione il ‘Gufo’, il radiotelemetro realizzato dalla Safar che
se fosse stato disponibile negli scontri navali precedenti alla consegna della Roma, avrebbe certamente potuto contribuire a
evitare disfatte come quella di Capo Matapan. Per i cannoni da 152 e 90mm la corazzata disponeva di un raffinato sistema
che consentiva di mantenere sempre orizzontale la superficie d’appoggio del pezzo: evitando il beccheggio e il rollìo dovuto al
moto ondoso, per l’operatore era molto più agevole mantenere l’obiettivo sotto tiro e mandare a segno i proietti. La Roma poteva ospitare fino a 3 velivoli catapultabili – spesso erano imbarcati aerei ricognitori – ma a causa delle difficoltà nei recuperi
(che avvenivano con delle gru poste sulla nave mentre quest’ultima era ferma) gli apparecchi lanciati atterravano sovente in
basi lontane dalla corazzata. Oltre alle batterie di cannoni, la nave disponeva di un avanzato sistema di protezione da attacchi
sotto la linea di galleggiamento: attraverso l’inserimento di grossi cilindri riempiti d’acqua in intercapedini tra lo scafo interno e
la murata esterna, si otteneva una distribuzione lungo tutto lo scafo della forza d’urto di mine e siluri, consentendo in tal modo
alla nave di continuare a combattere o di tornare in porto per le riparazioni senza affondare. Il sistema a ‘cilindri Pugliese’ prese
il nome del suo ideatore, l’ing. Umberto Pugliese.
Le 40mila tonnellate della Roma erano sospinte da 4 gruppi di turbine a vapore, che veniva prodotto da caldaie alimentate a
nafta e che consentivano alla nave di raggiungere velocità intorno ai 30 nodi con una potenza variabile tra i 130 e i 160mila
cavalli (a seconda dell’utilizzo o meno del sistema di spinta accessorio). L’apparato propulsivo era protetto dall’azione dei cilindri corazzati - montati singolarmente per ogni caldaia – e dalle numerose piastre protettive posizionate sul ponte. Il tutto era
collegato alla corazzatura di murata sovrastante e alle strutture a protezione dello scafo che arrivavano fin sul fondo della
Roma. L’equipaggio era composto da 120 ufficiali più 1800 marinai. La mancanza di nafta costrinse la nave a restare per lungo
tempo in porto ma questo non le consentì di superare indenne il conflitto: la Roma infatti venne affondata il 9 settembre 1943
dai tedeschi all’altezza delle Bocche di Bonifacio mentre dirigeva verso Malta – assieme a tutto il resto della flotta della Regia
Marina - per consegnarsi alle forze Alleate. L’incontro con gli inglesi avrebbe dovuto avvenire alla Maddalena ma l’isola, presa
nel frattempo dalle milizie del reich, venne scartata e fu dato ordine di proseguire verso Sud. Poco dopo le 12 un gruppo di velivoli tedeschi si portò sopra la flotta ma dalle navi non partì l’ordine di attaccare; gli aerei – infatti – volavano a una quota superiore rispetto a quella solitamente mantenuta in fase di bombardamento. A bordo però nessuno poteva immaginare che su
quegli aerei era stato caricato un nuovo tipo di ordigno, che poteva essere lanciato – e guidato – da una quota e da un’angolazione differente rispetto a quelli usati fino ad allora. Un paio di queste nuove bombe colpirono proprio la corazzata Roma, che
dapprima si piegò su un fianco e poi si spezzò in due tronconi prima di sparire del tutto sotto la superficie. Nell’affondamento
morirono 1352 uomini compreso l’Ammiraglio Bergamini, a capo della squadra.
di Davide Lazzini
Origine e storia della «rosa dei venti»
Anticamente la navigazione era affidata ad alcuni
punti fissi di riferimento, costieri e visibili come porti
e fari, quando la navigazione non era a mare aperto,
o le correnti marine, i flussi di marea, la posizione del
sole e delle stelle nelle occasionali traversate in alto
mare, quando ad aiutare i naviganti era l’osservazione di elementi stabili offerti dalla Natura. Greci e
Romani cercavano il Nord facendo riferimento allo
stesso gruppo di stelle che tuttora noi guardiamo
affascinati alzando gli occhi al cielo; erano infatti
le sette stelle dell’Orsa Maggiore (o Grande Carro),
arktos in greco, o septem trione (i sette buoi) in
latino, ad indicare il Nord e di conseguenza la rotta
da seguire, con il loro lento movimento attorno alla
Stella Polare
Quando però il cielo era coperto e la costa lontana,
i marinai dovevano far ricorso all’unico aiuto possibile in simili condizioni: la conoscenza dei venti che,
soffiando generalmente da direzioni costanti, consentivano di seguire le rotte desiderate.
L’autore che per primo cita i venti assegnando a loro
un nome fu Omero nel libro V dell’Odissea: Borea,
Euro, Noto e Zefir, erano questi i nomi dei quattro
venti principali associati ai quattro punti cardinali,
Nord, Est, Sud e Ovest, e la più semplice rosa dei
venti è proprio a quattro punte, corrispondenti agli
altrettanti punti cardinali, un diagramma semplice
nato per rappresentare in modo schematico la
provenienza dei venti che persistono in una determinata regione per un lasso di tempo molto lungo.
Lo studio e la classificazione dei fenomeni atmosferici sono sempre stati oggetto di attenzione da
parte degli studiosi greci nell’antichità, da Talete ad
Aristotele. Proprio quest’ultimo era arrivato a contare dodici venti differenti, nel tentativo di creare un
sistema che collegasse geometricamente le direzioni di provenienza dei venti con i maggiori riferimenti
astronomici dei solstizi ed equinozi.
Una testimonianza dell’interesse ellenico per i venti
è rappresentata dalla magnifica Torre dei Venti di
Atene del I secolo a.C., con le sue otto creature semidivine che si possono ammirare ancora oggi e che
indicano: Boreas, il Nord; Kaikias, il Nord-Est; Apeliotes, l’Est; Euros, il Sud-est; Notos, il Sud; Lips, il
Sud-Ovest; Zephyros, l’Ovest; e Skiron il Nord-Ovest.
Anche Plinio, studioso romano del I secolo d.C. oltre
che uomo di mare, lascia una testimonianza scritta dei venti utilizzati dai marinai della sua epoca,
che avevano acquisito le conoscenze nautiche e le
capacità che consentivano di navigare utilizzando
anche i quattro venti intermedi, facendo coincidere
ogni vento con la direzione da seguire per una rotta
ben definita da punto a punto. Plinio aveva stilato il
suo trattato in funzione di un uso da parte dei naviganti, accompagnandolo con un compendio dei
venti con la doppia denominazione, latina e greca:
Septemptrio-Aparctias (N), Aquilo-Boreas (NE), Subsolanus-Apheliotes (E), Vulturnus-Eurus (SE), Auster-Notus (S), Africus-Lips (SW), FavoniusZephyrus
(W), Corus-Argestes (NW), citando anche i quattro
venti intermedi: Caecias-Hellespontias tra Aquilo e
Subsolanus, Euronotus-Phoenicias tra Vulturnus e
Auster, Libonotus tra Auster e Africus e Trascias tra
Corus e Septemptrio.
Si ritiene che la raffigurazione più antica di rosa dei
venti sia quella rappresentata nell’Atlante catalano
del 1375 circa, che rappresenta il portolano più importante del periodo medievale. La prima tavola di
questo manuale per la navigazione, attribuito alla
scuola cartografica di Maiorca e realizzato probabilmente da Abraham Cresquea e da suo figlio Jahuda,
comprende un testo in lingua catalana riportante
indicazioni astronomiche, astrologiche e cosmologiche, comprensive del disegno di due cerchi, di cui il
primo era una rosa dei venti che consentiva il calcolo dell’alta marea durante la luna piena.
L’immagine della rosa dei venti si è però diffusa con
il prosperare delle attività marittime delle Repubbliche marinare, a partire dal Ducato di Amalfi, la cui
ascesa consente che le conoscenze nautiche vengano non solo amplificate, ma anche conservate.
L’ulteriore evoluzione della rosa dei venti arriva grazie agli influssi provenienti dall’Oriente. È proprio il
proliferare dei traffici commerciali e delle Crociate
che porta, a partire dall’anno Mille, ad un vero e proprio salto di qualità nell’arte della navigazione, con
il perfezionamento dei sistemi di navigazione, oltre
alla scoperta ed all’uso dell’ago calamitato e della
bussola, strumento che progressivamente sostituirà la conoscenza dei venti come riferimento princi-
pale dei naviganti.
L’aumentare delle conoscenze nautiche porta progressivamente ad un complicarsi della rappresentazione grafica della rosa dei venti. Compare così
una rosa dei venti con 64 settori, ottenuta partendo
dagli otto venti classici e dividendo ogni quarta in
due mezze quarte, con una successiva estensione
a 128 punte, nella quale ogni mezza quarta si divide
in due quartine.
Gli otto venti principali del Mediterraneo, elencati in
senso orario, sono:
Nord0° tramontana
Nord-est 45°grecale
Est90°levante
Sud-est135° scirocco
Sud 180° ostro o austro
Sud-ovest 225°libeccio
Ovest270° ponente
Nord-ovest 315°maestrale
Per comprendere il significato dei nomi, si deve risalire al fatto che nelle prime rappresentazioni cartografiche del mediterraneo la rosa dei venti venisse
raffigurata al centro del Mar Ionio o vicino all’isola di
Malta. In questo modo questo diventava il punto di
riferimento per indicare la direzione di provenienza
dei venti, ovvero delle navi che viaggiavano sospinte
da venti provenienti dalla loro poppa.
Di conseguenza, le navi che giungevano da NE, arrivavano all’incirca dalla Grecia, comprensiva anche della parte meridionale delle coste balcaniche
e della Turchia orientale, da cui si origina il nome
Grecale, forte vento, freddo e secco tipico della
stagione invernale da NE-SO; da SE invece le navi
arrivavano dalla Siria, da cui il nome Scirocco per
il vento da SE; a SO c’è la Libia, nome che nell’antichità comprendeva anche la Tunisia e l’Algeria, da
cui il nome Libeccio per il vento da SO verso NE; da
NO giungevano le navi partite da Roma, che spesso
circumnavigavano la Sicilia piuttosto che affrontare
lo stretto di Messina, quindi da Roma, definita la
Magistra, deriva il nome del Maestrale, essendo la
via maestra quella da e per Roma.
L’origine dei nomi dei venti provenienti dai quattro
punti cardinali principali, vede fa risalire il nome Levante, vento debole, fresco e umido da Est, appunto
dal levar del Sole, il Ponente, vento fresco da Ovest,
dal calar del Sole, l’Ostro (o Austro o Mezzogiorno),
vento caldo e umido da Sud, dall’emisfero australe
mentre la Tramontana, vento freddo del Nord, deve
l’origine del suo nome da ultramontes, riferito cioè
al fatto che soffia dal cuore delle Alpi, ossia dal Nord
storicamente conosciuto dai romani.
Ai tempi in cui Venezia era la repubblica marinara
che dominava nel Mediterraneo orientale, la rosa
dei venti era invece posizionata sull’isola greca di
Zante. In questo caso la Tramontana, cioè il vento
che viene da oltre i monti, in latino Ultramontes,
proviene dai monti della vicina Albania e la via
maestra che dà il nome al Maestrale indicava la via
per Venezia, repubblica marinare egemone in quella regione. Questo spiegherebbe il nome Scirocco,
inteso appunto come vento proveniente dalla Siria,
perché per giungere a Zante dalla Siria le navi arrivavano da Sud-Est, mentre a Malta questo avveniva
solo facendo il giro lungo, effettuato tenendosi vicino alla costa africana. Alcuni invece fanno risalire
l’origine del Maestrale al Mistral, vento predominante del sud della Francia che si affaccia nel Mediterraneo.
di Paola Mattavelli
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