Santa Giovanna dei Macelli

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Santa Giovanna dei Macelli
SANTA GIOVANNA DEI MACELLI DI BERTOLT BRECHT
Massimo Marino
Verso un teatro “scientifico”.
Bertolt Brecht compone Santa Giovannea dei macelli fra il 1929 e il 1930. Da
qualche anno si è avvicinato al marxismo: ne ha studiato la teoria sotto la guida di
Karl Korsch. Dopo il grande successo dell’Opera da tre soldi (1929) ha iniziato a
scrivere e a curare la messa in scena di alcuni drammi che ha chiamato “didattici”: La
linea di condotta, L’eccezione e la regola, in seguito La madre e altri. Si tratta,
quasi, di dimostrazioni di concetti e principi politici: nel primo è esaltata la fedeltà al
partito comunista fino all’abnegazione, alla rinuncia alle caratteristiche personali,
all’annullamento individuale, per raggiungere lo scopo di liberare gli sfruttati. Nel
secondo si narra l’ingiustizia che si perpetra nei tribunali, considerati al servizio dei
grandi proprietari: un portatore cinese è stato ucciso dal padrone mentre gli offriva
una borraccia d’acqua nel deserto; i giudici danno ragione all’assassino, perché non è
concepibile che un poveretto volesse dissetare chi lo sfruttava ferocemente. Nella
Madre si mostra la presa di coscienza politica di una donna anziana. In tutti questi
testi i conflitti sono spesso radicalizzati; i personaggi non sono definiti da una
psicologia ma da una funzione sociale, emblemi di qualcosa che si vuole dimostrare. I
modi narrativi sono spesso quelli dell’apologo.
Santa Giovanna dei Macelli ha qualcosa di quello schematismo dimostrativo, ma
anche molto di più. Nasce in seguito all’impressione del grande crollo della borsa di
New York (ottobre 1929), inizio di quella Grande Depressione che porterà, negli Stati
Uniti d’America prima, poi in Europa, a dieci anni di crisi economica, con fallimenti
di industrie, abbandono delle terre, disoccupazione, miseria. Fenomeni che sembrano
dimostrare la teoria marxiana delle crisi del capitalismo e che sfoceranno nella
seconda guerra mondiale.
Brecht prova a demistificare i meccanismi che portano alle crisi per perpetuare
l’accumulazione capitalistica, mettendo a confronto tre classi sociali nelle loro
articolazioni: i proprietari (allevatori, industriali della carne in scatola, speculatori di
borsa), il proletariato, gli intellettuali che fanno da mediatori fra le altre due
categorie. Ma lo fa presentando figure che si arricchiscono di sfumature, annunciando
quasi la complessità dei grandi personaggi del suo teatro della fine degli anni trenta e
dei primissimi anni quaranta (Madre Coraggio, Galilei, l’anima buona del Sezuan, i
protagonisti del Cerchio di gesso del Caucaso).
Forte è lo sforzo dell’autore, in questo testo, di mettere a frutto un artigianato e una
sapienza conquistata sulle scene e con gli studi: sfumature grottesche simili a quelle
del primo periodo espressionista si sovrappongono a personaggi che hanno qualcosa
della grandezza dei tiranni shakespeariani e che sembrano anche presi dai cartelloni
dell’agit-prop sovietico e tedesco (teatro politico di agitazione e propaganda, fatto nei
circoli operai ma anche nelle strade, negli autobus e in ogni altri luoghi di transito o
riunione). La lingua bassa degli operai e dei disoccupati si confronta con capitalisti
che parlano come gli eroi di Schiller e Goethe, con perfino qualche sfumatura
omerica, in un evidente intento parodistico, e con l’afflato biblico dell’esercito della
Salvezza.
Soprattutto si cerca di rendere “scientifico” il teatro, di fargli penetrare i meccanismi
della crisi economica, gli imbrogli per arricchirsi individualmente presentati come
azioni nell’interesse di tutti. Il dramma non deve presentare personaggi in cui
identificarsi: deve “raccontare” dei fenomeni attraverso personaggi, passioni, scontri
(teatro epico). Lo spettatore non deve essere “coinvolto” dall’azione, ma lasciato
sveglio, con le sue facoltà critiche ben deste, per poter capire, giudicare e, in seguito,
agire. L’arte è realisti ca non perché si accontenta di ritrarre le cose, ma perché
insinua dubbi, smonta certezze, mette a confronto diverse verità per mostrare i
meccanismi nascosti che dominano l’apparenza di realtà. Quegli ingranaggi noti a
pochi, quelli della Borsa, che esplodono nel 1929 in una crisi che intacca la vita di
milioni di persone.
Nei macelli di Chicago
L’opera precipita un’eroina simile a Giovanna d’Arco nei macelli di Chicago. Gli
sfondi dell’azione sono la borsa, i macelli, le strade, la sede dell’Esercito de lla
Salvezza (i “Cappelli Neri”). Pierpont Mauler, magnate dell’industria della carne in
scatola, cerca di salvarsi dal fallimento incombente senza curarsi di danneggiare gli
altri proprietari, i piccoli risparmiatori, i produttori di carne. Vende quando sa che il
mercato sta per crollare; acquista quando riceve informazioni che lasciano sperare in
un rialzo. A un certo punto sembra rovinato anche lui: ma saprà volgere anche il
tracollo in occasione per risorgere, a danno di tutti.
Misteriose lettere riservate, provenienti da New York, orientano il suo agire:
scopriremo che le informazioni, che manovrano il mercato, arrivano direttamente da
Wall Streeet, come fili invisibili che muovono burattini. La sua lingua è paludata,
solenne. I suoi modi sono spicci e banditeschi: stritola senza pietà i suoi stessi amici
per accrescere il proprio guadagno, o anche solo per rimanere a galla. Spesso Mauler
finge: nasconde le vere motivazioni delle sue azioni sotto scuse umanitarie; fa credere
di vendere le azioni per pietà dei poveri buoi macellati, colpito dal mite dolore dei
loro occhi… compra tutta la merce per compassione della miseria dei poveri, per dare
lavoro…
Intorno a lui allignano pescecani di varia stazza e ferocia: semplici comprimari o veri
e propri antagonisti, complici e sottoposti, trattati spesso in modo grottesco, come una
banda di malfattori (si avverte nella caratterizzazione di questi personaggi più di
un’eco dei delinquenti legati a doppio filo con il potere economico e politico
dell’ Opera da tre soldi).
Dall’altra parte della barricata stanno gli operai: sfruttati, licenziati, in balia di una
crisi manovrata dai “grandi”, pronti a vendersi per un piatto di minestra in un’epoca
di fame, pronti a rinnegare il marito morto e l’amico. Ma da queste mace rie
economiche e morali è pronta, anche, a sorgere un’organizzazione: quella dei
lavoratori che cercano di reagire con uno sciopero.
In mezzo stanno i Cappelli Neri: predicano la pace sociale, intonando corali biblici;
cercano di lenire i conflitti sfamando con occasionali piatti di minestra i poveri,
predicando loro la rassegnazione. Giovanna Dark, all’inizio, è una di loro: modellata
sulle suffragette di Maggiore Barbara (1905) di George Bernard Shaw, e sulla
Giovanna d’Arco del testo omonimo dello scri ttore irlandese (1923), cerca di
conciliare le parti in lotta, di “curare” gli affamati e di “redimere” i ricchi reprobi.
Sarà ingannata dalle simulazioni di Mauler; ma sempre di più crescerà in lei la
coscienza della miseria, da condividere, da aiutare a riscattarsi.
Non riuscirà, però, a portare fino in fondo la propria scelta: di fronte a un compito
assegnatole per la buona riuscita dello sciopero, sentirà di commettere violenza e si
fermerà, facendo fallire la giusta ribellione. Rifiuterà, comunque, di diventare lo
strumento di finanziamento del suo gruppo, respingendo gli assegni di Mauler.
Giovanna, fragile in mezzo a forze devastanti, è la vittima predestinata: nel finale
morirà derelitta nel freddo, fra le masse miserabili e sconfitte, conscia della necessità
della ribellione e del trionfo del profitto. Ma, naturalmente, sarà santificata dai
potenti, che cercheranno di rendere inefficace il suo grido finale.
Teatro epico
Santa Giovanna dei Macelli fu presentata, nel 1932, solo in riduzione radiofonica.
Brecht ne curò un allestimento in Danimarca nel 1935. L’opera andò in scena in
Germania, per la prima volta, nel 1956, ad Amburgo, con la regia di Gustav
Gründgens. Quando fu scritta stava mondando l’ondata nazionalista che avrebbe
portato all’ascesa d i Hitler e all’esilio dello scrittore comunista. Tempi duri per
l’analisi e la ricerca della verità si preparavano.
Quest’opera sta su un confine: fra l’espressionismo carico e grottesco dei primi
drammi, che deformano una società dove vige l’egoismo e l ’alienazione, e la
coscienza marxista che esige che il teatro non solo rispecchi la realtà, ma provi a
penetrarla svelandone i meccanismi, per trasformarla. Le forze in campo
rappresentano dinamiche di classe, senza astrazioni. I personaggi sono anche molto
carnali, fisici, grotteschi fino al tragico nei loro eccessi. Il clima nero è quello di una
crisi devastante che travolge; una crisi in cui i manovratori riescono a rimanere a
galla, anche quando parrebbero affondati. Così Mauler, a un certo punto, sembra
rovinato: ma, a differenza degli altri plutocrati e, naturalmente, dei lavoratori, ha le
“informazioni” giuste, è strettamente legato agli ambienti che, forse un po’
schematicamente, per Brecht manovrano la crisi, quelli del grande capitale della
Borsa di New York.
In scena vediamo non solo le dinamiche fra i personaggi, ma quelle tra forze
economiche e sociali. La narrazione cambia continuamente punto di vista, alternando
i pezzi recitati ai racconti e alle dimostrazioni, come i filmati che mostrano a
Giovanna, nel IV quadro, la pretesa “abiezione” degli operai.
Dai diversi livelli stilistici emana un colore di tempi oscuri. Le musiche, le preghiere
dell’Esercito della Salv ezza sono sì oppio dei popoli, come la teoria marxista dice di
un certo uso della religione, ma sono anche simbolo dell’attività di intellettuali che
mediano a favore del potere, in quei tempi e in altri. E sono anche ritratti dal vero
degli anni della Grande Crisi e del New Deal voluto dal presidente Franklin Delano
Roosevelt, come ci raccontano le foto di maestri della Farm Security Administration
come Dorothea Lange (vedi la bibliografia contenuta nella scheda La crisi, la nuova
frontiera e l’arte della realtà).
Brecht mostra i fatti da più punti di vista, trasformando in personaggi le dinamiche
sociali, facendo nascere dal conflitto, dall’espropriazione, dalla menzogna, dalla
stupidità, dal tentativo di organizzazione operaia, dal sacrificio, una più precisa
coscienza sociale di complessi fenomeni economici. L’insegnamento si materializza
nelle situazioni, tese fino a limiti che non permettono di identificarsi, cariche di segni
sovrapposti che moltiplicano le prospettive da cui guardare i fatti. E non mancano i
grandi momenti di teatro, come quando, per esempio, si percepisce qualcosa del
Riccardo III di Shakespeare in Mauler, o nei momenti di più lacerante presa di
coscienza di Giovanna, che si fa derelitta fra i derelitti.
Forse per il tentativo di osservazione scientifica, forse per i diversi livelli stilistici
usati (linguaggio solenne e popolare, economia politica e registro grottesco, religione
e demistificazione, canto e parlato, pantomima e cinema) quest’opera diventa
un’esemplificazione convincent e delle teorie sul teatro epico, enunciate solo qualche
anno prima nella postfazione a Mahagonny. Il salto continuo non permette mai allo
spettatore l’identificazione: inserisce elementi di critica materializzata in personaggi
sanguigni, vivi.
Una storia ancora attuale?
Quest’opera, riesce ancora a suscitare interesse, lontano dagli anni e dagli
avvenimenti che la videro nascere? La cronaca, la sua critica economica, diventano
universali? Non è facile rispondere a queste domande. Certo, siamo di fronte a un
teatro politico che rifiuta la semplificazione, anche se chiama a confrontarsi non solo
con le emozioni, ma anche con la trasformazione in figure, in personaggi, in
situazioni drammatiche di passaggi economici, sociali e politici complessi.
Giorgio Strehler mette in scena Santa Giovanna dei Macelli nel 1970, accentuandone
i lati espressionisti: il rumore di fondo è sempre quello dei macelli, perché si tratta di
proprietari che scannano animali e uomini, indifferentemente, per il profitto. La neve
che cade sui disoccupati stremati è una neve di dollari. I gesti dei personaggi sono
eccessivi, caricati. Il trucco è pesante, clownesco. L’Esercito della Salvezza avanza
dal fondo della platea verso il palcoscenico, indulgendo a un modo di marciare che
richiama il passo dell’oca nazista: il pubblico borghese è chiamato in causa, i
Cappelli neri vengono dal suo interno, e, a furia di mediare, possono rappresentare
uno strumento delle derive autoritarie. Non è casuale che quest’opera venga
recuperata da un grande regista in un altro, diverso, momento storico di crisi, situato
poco dopo quel sessantotto che manifestò una critica radicale alla borghesia e al suo
modello economico-sociale, e poco prima dello scoppio della prima grande
emergenza energetica (1975).
E’ tu tta da verificare l’attualità di questa storia oggi, nell’epoca della globalizzazione.
Certo, più che mai siamo manovrati da fili che si nascondono, per meglio dominarci.
Se per noi, che viviamo nei paesi ricchi, l’impoverimento è una minaccia sempre in
attesa di effettuarsi, e di impoverirci realmente, per tre quarti del mondo è una tragica
realtà. La disoccupazione, l’emigrazione sono vive più che mai, come la rapina dei
territori per garantire ricchezze a una parte sola del mondo, e la predicazione di
“g uerre sante” o di “civiltà”. Il ruolo dell’intellettuale mai come oggi appare
dipendente dal potere, cooptato nei media che raccontano un unico modello di società
possibile oppure ridotto all’inefficacia. Le rivolte vengono riassorbite. L’apparente
libertà cela forme sottili e insidiose di dominio.
L’aspetto più attuale del dramma di Brecht sta, forse, proprio nel tentativo di svelare
una verità, quella della rapina nell’interesse di pochi, nascosta sotto l’apparenza di un
ordine che si presenta come costituito per il bene di tutti.
L’allestimento del Teatro Due Mondi di Faenza “riassume l’opera cercando di non
perdere l’efficacia, alternando momenti di riflessione a voce alta, momenti
coreografici di gruppo, canzoni e situazioni comiche, scene di coinvolgimento degli
spettatori. La versione – che ha ben presente il pubblico a cui per prima è destinata –
ha mantenuto la forma didascalica, cercando di costruire con il ritmo un percorso
capace di catturare e mantenere l’attenzione del pubblico per tutta l’ora e mezza di
durata dello spettacolo”. Una sfida a ritrovare l’energia del teatro epico, un teatro che
smonta, mostra, mette in conflitto registri diversi e fa riflettere, che coinvolge e
distanzia per far ragionare, cercando di aprire finestre sul nostro complesso presente.
Bibliografia
Oltre alle Opere di Bertolt Brecht (vedi scheda bibliografia generale nel sito), si
consiglia la lettura di:
Giorgio Strehler, Santa Giovanna dei Macelli, con un saggio di Arturo Lazzari e
un’analisi dello spettacolo di Step han e Claire de Lannoy, Bertani, Verona 1974.