L`Uso della Memoria

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L`Uso della Memoria
L’Uso
Della
Memoria
“Il ponte romanico di Montetiffi” . Foto dell’Istituto “R. Molari”
L’Uso della Memoria
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Invito al viaggio…
“…e l’ospite saluterà commosso il mio mondo ideale che ha per confini il Luso e il Rio Salto
e per centro la chiesuola della Madonna dell’Acqua e il camposanto fosco di cipressi…”
(Giovanni Pascoli)
Qualcuno ricorda di aver sentito che la Valle dell'Uso è la soffitta della cultura romagnola. Una valle
minuta di poesia e solitudine, di mestieri quasi perduti e di chiese millenarie nel cuore della pietra, una
valle dei ricordi e della memoria.
E’ con questa prima suggestione che con l'immaginazione abbiamo dato vita ad un sogno,
popolato di figure mitiche o creature stravaganti, luoghi grigi e annebbiati in cui hanno preso vita le
nostre storie, uniche e irripetibili.
Incuriositi dalla cultura delle tradizioni, abbiamo deciso di organizzare un'uscita di classe per saperne di
più scoprire le meraviglie che ospita la Valle del fiume Uso, panorami, vedute, villaggi, prati, fiori, anche
antichi manieri, rocce nude imploranti il silenzio.
Il Torrente Uso nasce dal Monte di Perticara (mt 883), e dopo un corso di
circa 49 Km ( bacino idrografico = 153 Kmq) si getta nell'Adriatico nei pressi di
Bellaria. La vallata si risale partendo da Santarcangelo, e giunti alla piccola frazione
"Lo stradone" la strada inizia a serpeggiare e la valle a restringersi.
Si supera Masrola e si giunge poco dopo all'abitato di ponte dell'Uso , poche anche
le case sparse lungo il percorso. Da questa frazione, prendendo in direzione
Montetiffi, inizia la parte "più alta" e selvaggia della valle.
Si procede su strada stretta e "nervosa" che si incunea fra colline caratterizzate da
vegetazione scarsa e a basso fusto, il letto del torrente, spesso lontano, è quasi
costanemente nascosto dalla vegetazione.
Incontriamo una strettoia con il torrente incassato fra alte pareti rocciose, e subito
dopo un ponte siamo a Pietra dell'Uso, già feudo dell'Abbazia di Montetiffi.
Alta su di uno sperone sulla nostra destra, si staglia la chiesa Medioevale della Natività
di Maria, quasi posta a guardia della vallata.
Senza perdere tempo, in un lunedì ancora sfuocato per riprendere a lavorare dopo un fine
settimana rilassato e addormentato, in una giornata luminosa, aperta, fresca e salutare, abbiamo inforcato
le nostre biciclette e ci siamo messi in cammino.
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“Uccelli” di Vittorio Belli
Bellaria e le vele colorate
Il nostro itinerario prevedeva la risalita di tutta la Valle dal porto canale di Bellaria.
Giunti sul posto, il porto era pieno di piccole barche da pesca, dalle reti colorate e bianche e azzurre:
sembravano uno stormo di anatre che pavoneggiavano e mostravano la loro bellezza. Le canne palustri
tutte intorno costruivano uno scenario da fiaba, i suoni e i rumori ci incantavano, il volteggio bizzarro dei
gabbiani sfiorava le nostre teste.
“Particolare di un Bragozzo”. Foto dell’Istituto “R. Molari”
Alla foce del fiume Uso si trova Bellaria, rinomata località balneare della costa emi-romagnola.
Il paese ha un’importante tradizione marinara, poiché negli anni ’40 la sua frotta peschereccia contava
fino a 400 imbarcazioni.
Attualmente il settore della pesca sviluppa le diverse tipologie di pesca, a strascico, volante, da posto e un
settore in crescita come quello della miticoltura con impianti a mare aperto.
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L’incontro con l’Associazione
Barche sull’Adriatico ci ha consentito di approfondire le
conoscenze sul mondo della pesca, con uno sguardo sul presente osservando direttamente le attività in
mare e sul passato con le escursioni sulle barche storiche che fanno parte della “congrega delle
Mariegole dell’Adriatico”. L’incontro con i vecchi pescatori ci ha fatto conoscere le tradizioni e la
cultura del mondo dei pescatori.
La rete che imprigionava le ossute creature, ci ha rischiarato alla mente la
Casa Rossa di
Panzini, quasi soffocata da un intrico di strani arboscelli che occupano tutto il grande parco che faceva
da pensatolo alle vicende di "La lanterna di Diogene" e "II padrone sono me".
Le nostre fantasie sono state richiamate da Valeria, che ci ha ricordato di riprendere il viaggio.
“LA CASA ROSSA”
Alfredo Panzini
Alfredo Panzini nasce a Senigallia il 31 dicembre 1863
Frequenta la prima ginnasio a Rimini e l’anno dopo entra nel collegio Foscarini di Venezia, dove termina
gli studi liceali. Nel 1882 si iscrive all’ Università di Bologna, facoltà di lettere, conseguendo la laurea.
Coltiva letture legate ai grandi classici, ma anche a personaggi minori della nostra letteratura.
Il suo primo libro di narrativa lo pubblica nel 1893, all’ età di trent’anni, ed è “Il libro dei morti”.
Il successo di Panzini scrittore arriva con Le fiabe della virtù, nel 1911, quando ha quasi cinquant’anni.
L'Italia
Guarda l'Italia, o fanciullo! Essa è la
bella addormentata sul mare. Un piedino
ella tiene nelle onde calde sino quasi a
toccare l'Africa; la testa e le grandi
chiome - posate sulle Alpi; le braccia sono
vezzosi ricami, fra terra e mare, dell'Istria
e Dalmazia da un lato, della Riviera di Ponente
dall'altro. Sotto quei monti delle Alpi
si distendono i laghi e
da quei monti scendono, ad ornarla,
nastri di argento: e sono i fiumi
Lassù, fra le nevi, apre i carnosi petali l
a bianca rosellina delle Alpi, laggiù
dove il Mongibello rosseggia, fioriscono
gli aranci e in aprile già languiscono le
rose.
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Uno sciacquio e splash...Chiara è scivolata sulla soglia dell'acqua perché è stata rapita dalla vista
di alcune barche che stavano raggiungendo il porto.
Dopo una sonora risata, seguendo le barche abbiamo preso il sentiero sulla sponda destra dell' Uso.
“Mappa dell’Uso”, tela stampata Pascucci
STAMPERIA PASCUCCI
Va Verdi, 18 Gambettola, Tel 0547 53056
La famiglia Pascucci è una delle prime e più antiche famiglie di artigiani stampatori.
Dal 1826 ad oggi nella integra bottega di Gambettola si rivive il procedimento suggestivo e
unico della stampa xilografica su matrici in legno di pero intagliate a mano. La famiglia
Pascucci di Gambettola è la più antica testimone di quest'arte. Nei suoi locali è possibile
ammirare come nascono prodotti unici nel loro genere per l'attenzione, la cura e l'originalità
con cui vengono realizzati. La tela stampata aveva come destinazione non case abbienti,
bensì modeste. Il primo senso che si mette in moto, quando si entra nella bottega dei
Pascucci, è l'olfatto: forte, si sente odor d'aceto, uno dei componenti principali della pasta
colorante.
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A
destra eravamo accompagnati dal fruscio delle canne, a sinistra piccoli stormi di uccelli
seguivano il nostro itinerario e al di là della grande ansa del nostro fiume ci è apparsa di fronte la Torre
di San Mauro Pascoli. Giunti li vicino Alessandro ci ha invitato ad ascoltare il trotto dei cavalli che
sentivamo in lontananza, qualcuno ricordando Pascoli ha intonato il ritornello della Cavallina Storna.
Non era finita...
Chiara ha cominciato a blaterare i palafreni, i cavalieri, quasi stesse recuperando dei cartoni animati che
aveva visto in televisione da piccolina.
Alessia, più letterata, ha detto "Nooooo": quella era la poesia "I pioppi del Rio Salto", che tanto hanno
fatto sognare Zvani, che li chiamava amici.
“Museo Urbini”, a Masrola di Poggio Berni. Foto dell’Istituto “R. Molari”
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“L’ANGOLO DI ZVANI’”
Giovanni Pascoli
Nasce a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855 Giovanni Placido Agostino Pascoli. Uno dei
maggiori poeti italiani di fine ottocento.
Le vicende della giovinezza del poeta furono molto determinanti nello sviluppo creativo della sua poesia
e poetica. In seguito alla morte dei suoi famigliari decide di abbandonare la politica per dedicarsi
all’insegnamento e alla poesia. Una poesia, la sua, vasta ed eclettica, ma anche precisa, sempre basata su
versi endecasillabi e fedele alla metrica, basata su temi vari, visti dagli occhi di un uomo adulto fuori ma
rimasto fanciullo dentro, che riesce a guardare ogni cosa per quello che è, anche se con un piccolo tono
di negatività, riuscendo a parlare di temi fino ad allora trascurati da altri poeti.
Gli ultimi anni
Dopo la laurea conseguita a Bologna ebbe inizio la sua carriera di professore di latino e greco nei licei di
Matera e Massa. Intanto iniziava la collaborazione con la rivista su cui uscirono le prime poesie di
Myricae.
Vinse tredici volte di seguito la medaglia d'oro al concorso di poesia latina di Amsterdam, col poemetto
Veianus e coi successivi Carmina. Nel 1894 fu chiamato a Roma per collaborare colMinistero della
pubblica istruzione; nella capitale pubblicò la prima versione dei Poemi conviviali (Gog e Magog). Dal
1897 al 1903 insegna latino all'Università di Messina . Nel 1905 assume la cattedra di letteratura
all'Università di Bologna succedendo a Carducci. Nel 1912 muore a causa di un cancro all'addome a
Bologna e viene sepolto nel cimitero di Castelvecchio di Barga.
I puffini dell’Adriatico
Tra ciclo e mare (un rigido di carminio
recide intorno l'acque marezzate)
parlano. E' un'alba cerula d'estate:
non una randa in tutto quel turchino.
Pur voci reca il soffio del garbino
con oziose e tremule risate.
Sono i puffini: su le mute ondate
Pende quel chiacchiericcio mattutino.
Sembra un vociare, per la calma, fioco,
di marinai, eh'ad ora ad ora giunga
tra '1 fievole sciacquio della risacca;
quando, stagliate dentro l'oro e il fuoco,
le paranzelle in una riga lunga
dondolano sul mar liscio di lacca.
Lavandare
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
Resta un aratro senza buoi, che pare
Dimenticato, tra il vapor leggiero.
E cadenzato dalla gora viene
Lo sciabordare delle lavandaie
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l'aratro in mezzo alla maggese .
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Dopo aver assaporato la magia della Torre, ascoltato il profumo dei granai e gustato l'acqua
della sorgente canterina, abbiamo ripreso il nostro cammino alla ricerca delle rose rampicanti e dei
gelsomini.
Zigzagando qua e là abbiamo attraversato San Mauro Pascoli e siamo sbucati al vecchio ponte di San
Vito. Due arcate solitarie che ancora oggi raccontano la loro storia; i legionari romani che attraverso la
vecchia Via Emilia cercavano di raggiungere la Gallia oppure di ritorno da quella terra Cesare incitava i
suoi ad andare a punire Pompeo, che si era impadronito dell'Urbe senza consultarlo.
Da qui si vede che tagliava nell'azzurro il profilo del Campanone di Santarcangelo di Romagna. Quasi
alla ricerca di un tesoro nascosto abbiamo recuperato i poeti dialettali di questi luoghi che come saggi
maestri nei loro testi raccontano la gente e la cultura tradizionale.
“La vacca romagnola” (Foto di Eddi Bisulli)
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“IL FUOCO DEL MIO PAESE”
Nino Pedretti
Nino Perdetti nasce a Santarcangelo il 13 agosto 1923, figlio di una maestra elementare e di un impiegato
comunale, che si dilettava di archeologia e storia locale. Dopo essere stato soldato ed aver anche corso il
rischio della deportazione, si laurea nel 1949 in Lingua e letteratura inglese presso l’Università di Urbino,
con una tesi sulla poesia e la musica negra d’America.
Fa parte, nell’immediato dopoguerra, del gruppo di artisti e intellettuali noto come “il circolo del
giudizio” (E’ circal de giudéizi), che si riunisce intorno Tonino Guerra.
Nel 1975 esce la sua prima raccolta, Al vòusi, due anni più tardi, pressoché
contemporaneamente, è la volta di altre due raccolte, una in lingua, Gli uomini sono strade, e una in
dialetto santarcangiolese, Te fugh de mi paeis. Muore a Rimini il 30 maggio 1981. poco dopo uscirà La
chésa de témp, considerata la sua opera migliore.
Al vòusi
Dal vólti da par me
te lètt, t'un curidéur
t'un treno par Milèn
a sént al vòusi.
E alòura a m fazz
piò grand
ch'ai sòuna dreinta
ad me
cumè al campèni.
I nòm dal stredi
Al strèdi a gli è
tóti ad Mazzini, ad Garibaldi
a gli è di pepa
ad quei chi scréiv,
chi da di cmand, chi fa la guèra.
E mai ch'u t'capita d'avdéi
vea d'éun che féva i brétt
vea d'éun che stéva sòta un zrìs
vea d'éun eh' u n' a fatt gnént
parche l'andeva a spàss
s'una cavala.
E pansé che e' mònd
l'è fatt ad zénta cume me
ch'l'a magna i radécc
ma la finèstra
cunténta ad stè l'instèda
si pii néud.
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Cultura tradizionale che più non ci appartiene, eppure ci attira e ci soddisfa, perché ci sentiamo
testimoni di questa terra.
Santarcangelo è un dedalo di strade che si snodano sul Monte Giove, diventano geometriche a
valle e tutte portano nella grande piazza Ganganelli, luogo d'incanto del passato e ancora oggi centro di
vita delle città. Dopo l'arco trionfale, abbiamo visto l'insegna delle tele stampate di Marchi (Via C
battisti , 15 ), la freccia che indica il Museo degli antichi mestieri.
MET ( Museo Etnografico)
Santarcangelo di Romagna, via montevecchi, 41 tel.0541/624703
Il Museo Etnografico degli Usi e Costumi della Gente di Romagna, inaugurato nel 1981,
nasce dal paziente ed appassionato lavoro di raccolta promosso ed attivato, dalla fine degli anni
'60, da un gruppo di volontari.
Risale al 1985 l'apertura del Centro Etnografico per la Ricerca e la Documentazione e l'avvio e
l'organizzazione sistematica delle campagne di ricerca e di produzione documentaria. Con
questo centro il museo si dota di archivi e di strumenti di diffusione scientifica predisponendo
laboratori di ricerca per promuovere lo studio delle tradizioni popolari, la produzione di
documentazione audiovisiva, testi, esposizioni periodiche, convegni, giornate di studi ed
iniziative didattiche. Il centro infatti dispone di una biblioteca ed emeroteca specializzate in
demo-etno-antropologia e di importanti archivi delle fonti audiovisive, fotografiche ed
iconografiche.
Dal 1996 il museo ha assunto la forma organizzativa di Istituzione pubblica dotata di
autonomia culturale e gestionale ed addotta la sigla MET ( Museo ETnografico) nel proprio
logo.
Nel 2001 il MET ha celebrato i trentanni della propria storia. Una storia iniziata da quel
1971 che vide realizzarsi una idea di museo dedicato all’identità culturale ed alle tradizioni.
“Azienda Biodinamica –la Vischia-” Foto dell’Istituto “R. Molari”
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I signori delle Romagne
I Malatesta furono i signori di Rimini dal 1295 al 1528, durante questo periodo
riuscirono ad estendere il loro dominio fino ai castelli settentrionali di San Marino, la provincia
di Pesaro e parte di quelle di Ancona, di Forlì e di Ravenna.
Secondo alcuni,l’origine della stirpe risale ai romani, ma le prime notizie riguardano un signore
di Ravenna di nome Giovanni che sembra sia il capostipite della famiglia.
Questo nome sarebbe da riferire ad un esponente della famiglia di nome Rodolfo che avrebbe
dimostrato coraggio, caparbietà e tenacia nel difendersi dagli attacchi esterni.
Intorno al 1200 i Malatesta si distinsero in due rami: i Malatesta da Foligno e i Malatesta da
Verucchio. Quest'ultimi governarono nelle Marche.
La maggiore personalità della famiglia fu Sigismondo Pandolfo (Rimini 1417 - 1468),
che seppe accrescere con abilità la Signoria, fu guerriero e mecenate. Tenne una corte di
umanisti, studiosi e artisti, ne è testimonianza ancor oggi il Tempio Malatestiano - chiesa di San
Francesco "ristrutturata" da Leon Battista Alberti.
I Malatesta furono anche protagonisti di una storia di adulterio narrata da Dante, la famosa
storia di Paolo e Francesca, che ancora oggi fa parlare la gente.
La dinastia dei Malatesta si chiuse con Pandolfo (1475 - 1534), nipote di Sigismondo Pandolfo.
“IL CIRCOLO DEL GIUDIZIO”
Gianni Fucci
Gianni Fucci, nato in Francia nel 1928, fin dall’infanzia è vissuto a Santarcangelo, partecipando
con Guerra, Pedretti e Baldini al cosiddetto “Circal de giudéizi”. Aiuto regista, bibliotecario, ha iniziato a
pubblicare versi in dialetto negli anni ’80. Tra le sue prime raccolte La mórta e e’ cazadòur (1981), Êlbar
dla memória (1989), edite da Maggioli, e, più recenti, La balêda de vént (Pazzini 1996), E’ bastimént
(Campanotto 1997), Nadel. Sonetti d’auguri (Pazzini 2002), Témp e tempésti, (Archinto 2003), Vént e
bandiri (Raffaelli 2005). Della sua opera si sono occupati, fin dagli esordi, importanti critici, da Franco
Brevini a Gualtiero De Santi, Franco Loi, Luca Cesari e, da ultimo, Luciano Benini Sforza.
Sòtte’ bèch dla lòdlaa
L’incantamén de còr,
(si tu pensìr se còim) e dl’anma e di òcc…
Dal tu sperênzi che ormai, a l sguélla
véa cmè l’aqua sòura i sas de fiòmm,
u n gn’è arvênz un granchè.
Quand ch’è’ batévva l’êva di vint’an
t’évvi cridéu dabòn
m’una véita diversa.
Dòp, ta n tu n si mai dmand
indvé ch’i érra andê a réss tòtt chi prògétt.
Adès, tal nòti lònghi,
si pulìdar dl’insògni ch’i galòpa
ta t’incònuntar si améigh
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- quéi ch’i n gn’è piò, purtròp!a ciacarê de témp
ch’l’è l’ònnich mòdi da stê ancòura insén.
Sotto il becco dell’allodola
L’incantamento del cuore, / (coi tuoi pensieri al culmine) dell’anima e degli occhi… / Delle tue speranze
che ormai, scivolano via come l’acqua sui sassi del fiume, non è rimasto un granché. / Quando batteva
l’ala dei vent’anni / avevi creduto veramente / a una vita diversa. / Dopo, non ti sei mai chiesto / dove
erano andati a finire tutti quei progetti.
Ora, nelle notti lunghe, / coi puledri del sogno che galoppano,
ti incontri con gli amici / quelli che purtroppo non ci sono più!a chiacchierare del tempo / che è l’unico modo per stare ancora insieme.
“POETESSA SOGNATRICE”
Annalisa Teodorani
Nata nel 1978 a Rimini, risiede a Santarcangelo di Romagna.
E’ tra le poetesse più giovani della Romagna, inizia a scrivere poesie nella lingua materna all’età di
diciott’anni. Dopo il Liceo Classico, studia a Ravenna, alla Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, e
si laurea.
Ha esordito nel 1999 con la raccolta intitolata Par senza gnén ; è vincitrice di numerosi premi letterari, nel
204 ha pubblicato la seconda raccolta dal titolo la chèrta da zug per Il Ponte Vecchio.
Annalisa osserva e ascolta, e le cose, gli animali, le persone acquistano lo spessore del suo sguardo,
l’acutezza del suo udito, e rimandano ad un altrove che è il luogo dei sussulti del cuore, dei moti più
profondi dell’anima.
E’ GOSTA ACSE’ POCH INSUGNE’
E’ gòsta acsè pòch insugnè.
Dal vòlti è basta una stèla,
una fròffla ad nòiva ch’la sguélla mòtta
spèsa i vòdri apanéd
al fòi d’utobri tra cavéll de vént
o cal nòvvli smanèdi
cmè i pensir di burdéll.
Se t cèud i òcc, pu
T’un sbréss è po’ cambiè è mònd.
Costa così poco sognare
Costa così poco sognare / A volte basta una stella
A volte basta una stella / Che scivola muto
Dietro i vetri appannati, / le foglie d’ottobre tra i capelli del vento / o quelle nuvole scomposte
come pensieri dei bambini./ Se chiudi gl’occhi, poi
In un mattino può cambiare il mondo.
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“UNA DONNA ECCEZIONALE”
Giuliana Rocchi
Giuliana Rocchi, Nata il 16 aprile 1922, ha interrotto i suoi studi in quarta elementare ed è andata
subito a lavorare; prima come bracciante e spigolatrice, poi come operaia nelle fabbriche di lino e di
corda. La sua prima poesia è circolata oralmente durante la lotta con cui le operaie della corderia
cercarono di opporsi alla chiusura della fabbrica.
La Rocchi è una donna eccezionale, che senza strumenti linguistici sovrastrutturali, ha la capacità
di comunicare il ribollire del proprio esistere in modo efficace, diretto e luminoso da sapersi trasformare
in canto autentico e in una poesia colma di energia.
Scriveva di notte soprattutto per liberarsi dalla rabbia che ha dovuto reprimere e soffocare fin da piccola,
per far conoscere le ingiustizie subite insieme alla gente come lei, umiliata, che ha dovuto chinare il capo
di fronte al volere dei padroni, che si è sentita schiava di qualcuno o qualcosa…per questo le dà fastidio
sentirsi chiamare poetessa!
Una vita di oppressione, di sofferenza, dunque, la vita di una donna costretta dalla miseria e dalle
sventure a lavorare fino alla vecchiaia.
Così da “La vòita d’una dòna”, una delle prime poesie di Giuliana Rocchi, si coglie tutto il senso di un
esistenza e il senso della forza espressiva di una scrittura che si impone soprattutto per la sua originalità
stilistica, per la sua essenzialità costruttiva, senza ridondanze verbali, secca, primitiva, più adatta
all’oralità, ad essere detta e urlata ad alta voce, piuttosto che scritta.
E il miracolo della Rocchi è proprio nella forma delle sue poesie che hanno tutta la forza viva della
materia e del pensiero.
La voita d’una dona
A séra znina
A cmandéva chi grénd
A so granda
È cmanda chi znin
Quant ch’l’avnirà
È cmanderà la morta
E mè a n’o cmandoè mai.
U s’è fermi e’ campanaun
U s'è férmi e' Campanàun.
A s sìint sàul e' su dàun dàun
per la scóla e se mezdè
e pu, silènzi tot e' de.
L'èra la sveglia di purett
ch'i saltéva zò di létt
per cór véa a lavuroè
e la zurnoèda a guadagnè;
l'osesiàun dal nòti biènchi,
di maloèd, dal pòri zénti
(tla smoènia «un'aura, al do, al tre,
tra quatr'àuri u s fa e' de...»)
L'èra l'amóig di solitoèri
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l'arduséva i tardatoèri
l'è pròpria un pcoè ch'un sàuna piò.
Ènc San Michel, che l'è alasò
sbatéud da i gèl e da tot i vént
ormai l'è pérs, u n'è cuntént
senza i su tócch u n s'orizàunta;
e' seguéss l'eco, u n e ch'e' càunt
Csa saràl stoè, ch’u n va piò bén:
ch'l'andéss a gas o a cherosén?
Giuliana Rocchi
“Osservazione e studio dell’indice Biotico Esteso”, Foto dell’Istituto “R. Molari”
“Per essere accolti in un bosco
bisogna bisbigliare i passi”
Erri De Luca
Noi volevamo andare più in alto, salire verso le Marmitte dei Giganti, lassù, verso quel bosco di
querce che coronano l'alta Valle dell'Uso e ancora oggi proteggono la sorgente di questo fiume.
Óra le case si fanno più rade, i campi si aprono come fossero distese di verde, l'occhio può riposare su
un paesaggio dominato dalla natura.
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“Natrix natrix” (Foto di Eddi Bisulli)
La geologia dell’Uso
La Valle dell’Uso conserva come in uno scrigno gran parte delle rilevanze geologiche romagnole.
Si alternano lungo il suo percorso: i
massi alloctoni di calcare che
galleggiano su “onde” di argille
scagliose (es: il monte su cui è
costruito San Giovanni in Galilea,
oppure Pietra dell’Uso), intorno a
Montetiffi emerge la roccia arenaria
miocenica entro cui si osservano
vene di Lignite, carbone al primo
stadio di mineralizzazione, a
Montebello si scopre la vene del
gesso (Selenite) mentre nell’alta valle,
a Perticara, è presente un interessante
giacimento di zolfo, un tempo
estratto.
“la gola della Camara”
Fino al primo dopoguerra intorno a Montetiffi abbondavano i fabbricatori clandestini di polvere
da sparo che in grotte nascoste nella macchie univano zolfo, lignite e salnitro per produrre
polvere pirica in quantità.
Parlando di geomorfologia del territorio non possiamo dimenticare i fenomeni di erosione
fluviale, spettacolari nelle loro forme che possiamo vedere nel tratto di fiume che va da Ponte
Rosso fino al ponte romanico. L’erosione dell’acqua turbinosa ha determinato le " marmitte dei
giganti " (valle della Camarra e i Bidariul), grosse pentole scavate nella roccia. Un altro aspetto
geologico dalla morfologia spettacolare è la "rupe dell’Archetta", un'isola di sasso immersa in
un mare di argilla.
Ansanti e con lo stomaco brontolone abbiamo fatto tappa al Ponte Romanico dove Alessandro ha
recitato la sua poesia;
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E’ pòunt
Pu bel ch’l’è che pòunt,
quel che sta te mèz dla valèda.
L’è fat ad sas e guerda che fiòmm tòtt e dè.
Um sa ch’ui pis stè sòura l’aqua
Ch’l’a scòrr cièra e lizira.
Sgònd me un sta sòura l’Us
Par fè pasè la zènta
Ma parchè u s’è fat un amèigh.
Il ponte
Che bello è quel ponte. Quello che sta nel mezzo della valle.
E’ fatto di sassi e guarda quel fiume tutto il giorno. Penso che gli piacerà stare sopra l’acqua. Che scorre chiara e
leggera.
Secondo me non sta sopra l’Uso. Per far passare la gente
Ma perché si è fatto un amico.
Strumenti per giovani naturalisti
La parola curiosità, deriva dal latino curiosus, che significa colui che si prende cura.
Prendersi cura di qualcosa o di qualcuno implica osservazione, attenzione e contatto, tre
caratteristiche che non possono mancare in un naturalista fluviale.
Il naturalista, infatti, è colui che osserva il mondo con attenzione partecipe, non
sfuggendo alle domande che da questa osservazione sgorgano.
Ma le domande sono come le ciliegie, ad una ne segue un'altra, è in questo
susseguirsi di domande, ricerche e sperimentazione che il naturalista prende contatto
con il mondo, ne ha cura, avendone curiosità, esplorandone le peculiarità e i
meccanismi attraverso i sensi, le mani, il cuore e lo stupore che governa ogni buona
osservazione.
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Contrabbandieri
“Abbazia di Montetiffi”, Foto dell’Istituto “R. Molari”
Polvere pirica, “Foia Mata” (il tabacco) e Mistral: questi erano i "prodotti" che
venivano lavorati e poi contrabbandati a Montetiffi. Tale realtà risulta comprensibile
solo se inserita in un panorama più ampio fatto di situazioni analoghe che creavano un
mercato di scambio; infatti il tabacco non viene coltivato in zone di montagna, e a
Montetiffi in realtà si ricercava il tabacco per poi lavorarlo e vendere il prodotto finito.
A differenza del tabacco, la fabbricazione della polvere pirica si configurò fin da subito
come lavorazione effettuata anche su scala industriale, dotata di licenze ed
autorizzazioni. Ma accanto alle lavorazioni ufficiali, esisteva una vasta gamma di
manipolazioni clandestine, documentate dai numerosi mortai in pietra, i "pilIi",
disseminati lungo le pendici dei monti, o in prossimità di corsi d'acqua, spesso in luoghi
inaccessibili.
Che splendore questo angolo di paradiso: la Camarra, i suoni naturali, la vita che scorre solo con il
tempo della memoria...
Sì la memoria, che tanti poeti hanno saputo tradurre in sentimenti, emozioni, palpiti.
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“QUELLE COSE CHE ACCADONO IN DIALETTO”
Raffaello Baldini
Raffaello Baldini è un vero poeta romagnolo. Nato a Santarcangelo di Romagna, il 24 novembre 1924,
ha vissuto e lavorato a Milano a partire dal 1955 dove si è spento nel marzo del 2005.Pur esprimendo
messaggi di ampio respiro e senza confini, Baldini ha scelto il dialetto romagnolo per esprimersi in poesia
utilizzandone al meglio le peculiarità sonore e i significati profondi ed unici. Il suo radicamento alle
tradizioni è testimoniato dai suoi personaggi, che non sono illustri ma legati alla quotidianità
popolare.Sempre in bilico fra grottesco e “drammatico”Raffaello Baldini studia i suoi personaggi con una
profondità entusiasmante. Nonostante scrivesse in dialetto era considerato uno dei più grandi poeti
italiani ed è famoso ovunque per le sue opere.Baldini faceva anche parte di un gruppo di intellettuali
santarcangiolesi tra cui Tinino Guerra, Gianni Fucci, Flavio Nicolini e Nino Pedretti. Questa
associazione nell’immediato dopoguerra diede vita al cosiddetto “Circolo del Giudizio”.
Viazè
Mo viaza té, me a stagh ben dò ch'a so, ch'i
vén da fura, aquè, pu u i è Suièn,
Vrócc, la Pargàia , ch'a n'i so mai stè
ma la Pargàia , gnénca té? mo 'lòura
csa vét zanche vaiéun, che me sno e' lèt
furistfr, e' cuscéin, che s'a n'ò e' mèi,
pu tótt, t ve véa se sòul, t'aréìv ch'e' pióv,
ta n cnòss niséun, u t tócca dmandè sémpra,
e al gambi quant l'è nòta,
vdài e' mònd?
che dòp t si piò patàca ca né préima,
a m'arcórd Curio, sa che viàz a Londra,
'na bòba, pu l'è tòuran, e e' de dòp
a zughémmi a bucètti, ch'e' pareva
ch'fóss stè a San Veld, e adès dis ch'e' va in Kenia,
u i vó una bela vòia, e té dù vét?
a Montecarlo e a Nizza? t'é capei,
e tótt' la Costa Azzurra , quant t stè fura?
dis de? mo 's'ut ch'a prova, ch'a I so za,
'ta bón, fé la valéisa,
purtèsla dri, che me la dmènga in piaza
u m da dan e' giurnèl, e pu e' magne,
u m géva Curio, tótta roba frétta,
una pózza, l'agnèl sia marmeleda,
i spaghétt ch'i bai dri e' cafelàt,
e me ch'a so un viziéd, no, gnénca zcòrrni,
a stagh ma chèsa méa, piò ben che mai
che pu a viàz ènea me, aréiv da Carghin,
a vagh me zugh dal bòci,
ch'i n zuga piò niséun, l'è tótt pin 'd fòi,
mo me u m pis ènea i póst ch'u n suzéd gnént,
dréinta u s sint sunè un flipper
era scap i pasarótt ch'i véa i artòurna,
u i è che manifèst sémpra spandléun
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me méur 'd Canzola, «Viva...», viva che?
e leu e' réid, csa réidti? che d'instèda
quant a vèggh chi sgraziéd, la Roca , l'Èrch,
la Piva , tótt sudéd, me le avrébb vòia
da farmèi, vnf sa me, mi Capuzéin,
e' zéir dia méura, pièn, tramèza l'erba,
e d'ogni tènt punsès, u i è un rapètt,
basta slunghé una ména, dal suséini
piò dòulzi ca né e' mèi, i frè i n li eòi,
pu, vérs Savgnèn, e vièl,
di arzipréss, un udòur, e in chèva gnént,
u s scapa tla spagnèra, che d'ale,
dal vólti, za ch'a i so, travérs cantir,
a cai zò te Marèccia,
un slèrgh, t ve dò ch'u t per, e tótt chi sas,
mo u i n'è ch'i a di culéur,
i léus, sott'aqua, quésti l'è al zita!
o a so balèngh? e piò in là dò burdèli
s'un gran maz ad fiéur zal, al réid, al córr,
a pi néud, sòura i sas, mo cmè ch'ai fa?
Raffaello Baldini
Presi dei bordoni di canna, ci siamo arrampicati a Montetiffi, che sogno quella pace serena, che fame
ci ha fatto sentire quell'insegna di teglia, che faceva arrivare ai nostri nasi il delicato profumo della piadina.
LE TEGLIE DI MONTETIFFI
La fabbricazione delle teglie in argilla per la cottura della piadina
trova il suo centro nel borgo di Montetiffi. Si tratta di una
tradizione antichissima di cui si hanno notizie documentate a partire
dal secolo XVI.
Le materie prime necessarie sono l’argilla di colore rosso (o anche
blu) ed un sasso marmorizzato di calcite.
L’argilla, raccolta d’estate, viene seccata al sole, sminuzzata con
un mazzuolo di legno ed infine macerata in mastelli per due o tre
giorni. Il sasso di calcite viene cotto nello stesso forno delle teglie
e tritato in una grossa ciotola; la polvere ricavata viene setacciata e miscelata con l’argilla. L’impasto
così ottenuto è pronto per essere foggiato su un tornio di legno azionato con i piedi; una volta che la
teglia è stata modellata deve subire un periodo di stagionatura che può variare da tre/quattro settimane
a sette/otto a seconda della stagione. L’ultima operazione è la cottura in forno a legna prima a fuoco
lento poi ad una temperatura di 600/700 C°.
Le teglie prodotte presentano un timbro sull’orlo che ne certifica l’originalità e ne garantisce la fedeltà
L’USO DELLA MEMORIA
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alla tradizione (vere teglie di Montetiffi).
Attualmente gli unici tegliai esistenti sono i coniugi Camilletti Maurizio e Reali Rosella, il cui
laboratorio è visitabile previo appuntamento.
La piadina cotta sulla teglia ha un sapore fragrante ed insuperabile, come ha sempre fatto da oltre 500
anni.
“I Camilletti, tegliai”, Foto dell’Istituto “R. Molari”
“Leone Reali, maestro tegliaio”, Foto dell’Istituto “R. Molari”
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Che musiche celestiali hanno colpito il nostro orecchio quando abbiamo aperto l'Abbazia e Fiorella ha
toccato i tasti dell'armonium impolverato!
Ci siamo ricordati che qui c'è il museo di Venanzio Reali, il frate cappuccino che è stato poeta,
scultore, incisore e gran predicatore.
VENANZIO REALI
Agostino Venanzio reali è nato il 27 agosto 1931 a Montetiffi nel Comune di Sogliano al Rubiconde (FC)
sull’Appennino romagnolo. A undici anni entra nel seminario dei Cappuccini di Imola, nel 1947 è
ammesso al Noviziato di Cesena e, dopo gli studi teologici a Bologna, nel 1957 viene ordinato sacerdote.
Nello stesso anno è inviato a Roma per approfondire gli studi teologici all’Università Gregoriana a biblici
al Pontificio Istituto Biblico.
Nei cinque anni trascorsi nella capitale approfondisce ebraico e greco, ma frequenta anche molti artisti e
scrittori.
Dal 1966 al 1981 Agostino Venanzio Reali è cappellano presso l’Ospedale Belluria di Bologna; dal 1081
al 1987 p Ministro provinciale dei Cappuccini bolognesi-romagnoli. Dal 1990 alla morte – 25 marzo
1994- è direttore della rivista “Messaggero Cappuccino”.
Ha lasciato un insieme di poesie, pitture e terrecotte che i confratelli stanno presentando sia
all’attenzione dei critici che del pubblico, riscontrando crescente interesse.
Nel 2001 la città di Ravenna gli ha dedicato un’importante mostra:”Agostino Venanzio reali. Pittura,
scultura, grafica”. L’esposizione, che è rimasta aperta al pubblico per quaranta giorni, ha registrato
diecimila visitatori.
Dopo una breve visita delle stanze che mettono in mostra la forza creativa del frate, che ora riposa
nella quiete del cimitero di Montetiffi, siamo usciti e come d'incanto ci siamo trovati su uno sperone di roccia
sospesa su una Valle che tutt'intorno è a strapiombo su campi coltivati, antiche stalle, filari allineati e macchie
di piante mediterranee.
L'ECOSISTEMA FIUME
Panta Rei (tutto scorre), dicevano gli antichi, Il fiume è un ambiente continuamente in
cambiamento. La qualità delle acque, la temperatura, la durezza, la turbolenza, i tipi di sedimenti
variano da un fiume all'altro e, nello stesso fiume, anche da monte verso valle e da una sponda
all'altra. Per questo motivo lungo un corso d'acqua come il Savio si succedono differenti
organismi, animali e vegetali, ciascuno adattato ad un particolare microambiente.
•
Tratto sorgentizio: Nei tratti sorgentizi al di sopra del limite della vegetazione arborea l'acqua è
fresca, ben ossigenata e povera di sali minerali. Questi ambienti vengono definiti ed è proprio
per questo motivo che sono popolati da pochi organismi animali, molto esigenti nei confronti
delle caratteristiche ambientali. La base alimentare di questi organismi acquatici è rappresentata
da microalghe prodotte all'interno del corso d'acqua, mentre sono molto scarsi gli apporti di cibo
provenienti dal territorio circostante. La pendenza è elevata e la corrente veloce; l'alveo è
costituito da roccia e da grossi massi e l'acqua ha un elevato potere erosivo. Queste condizioni
estremamente selettive hanno costretto gli organismi acquatici a sviluppare spiccati , per non
essere trascinati a valle dalla corrente.
L’USO DELLA MEMORIA
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•
•
Tratto montano e collinare: attraversando versanti boscosi il fiume si arricchisce di risorse
alimentari, quali foglie, ramoscelli, spoglie ed escrementi di animali terrestri, derivanti dal
territorio, mentre è scarsa la produzione interna poiché la vegetazione ombreggia lo specchio
d'acqua ostacolando la . In questo tratto la turbolenza delle acque diminuisce, anche se resta
sufficiente a garantire la piena saturazione in ossigeno disciolto. Le maggiori disponibilità
alimentari, le condizioni idrauliche meno proibitive, il substrato più diversificato (si possono
trovare massi, ciottoli, ghiaia, steli di vegetazione acquatica) fanno sì che la comunità degli
organismi acquatici sia più numerosa e maggiormente ; per questo motivo le reti alimentari sono
più complesse e l'ecosistema è più stabile.
Tratto di pianura: Alla fine del suo percorso l'acqua ha un elevato contenuto in sali minerali
disciolti e quindi una durezza maggiore rispetto ai tratti a monte. L'alveo diviene
progressivamente ghiaioso, sabbioso, limoso, permettendo l'insediamento di piante acquatiche.
Aumentano ancora le disponibilità alimentari, sia come apporti terrestri (particellato organico,
sostanze disciolte) sia perchè la ridotta velocità di corrente consente la sedimentazione della
sostanza organica proveniente dai tratti montani.
Il nostro sguardo si è rivolto di fronte, a Massamanente ci siamo divertiti ad ascoltare l'eco delle
nostre domande che ritornava per quello strano gioco delle onde sonore, poi tra i cespugli di ginestre ci siamo
lanciati in una gara a scendere nell'abisso. E chi abbiamo incontrato? Il nostro preside, il poeta Bruno
Bartoletti, che come sempre ci riconosce dalle voci, ci segue, ci sostiene e ci comprende.
Anche lui è di Montetiffi, ora abita a Sogliano, ma sempre viene ad ispirarsi a questi sassi.
Il preside poeta
BRUNO BARTOLETTI
Bruno Bartoletti (Montetiffi di Sogliano al Rubicone 1942), poeta, scrittore e saggista, vive a Sogliano al
Rubicone.
Laureatosi nel 1967 in Materie letterarie presso l’Università degli Studi di Genova con una tesi su
Giovanni Pascoli(è da notare che i due poeti hanno entrambi perso il padre da bambini e ci sono molte
analogie nelle loro vite), viene nominato nel 1973 assistente ordinario di Letteratura italiana presso
l’Università degli Studi di Torino, nomina a cui rinuncia per dedicarsi all’insegnamento negli Istituti
tecnici, dove in seguito svolgerà la funzione di preside. Si iscrive nel novembre del 1977 all’Università
d’Aix en Italienne, con uno studio sui Miti e simboli di Dino campana. Ha pubblicato alcuni libri di
poesia: Trasparenze. Frammenti di memorie (1997), Le radici (2000, vincitore di tre primi premi: “ La
Rocca poesia 1999” , Castelnuovo di Garfagnana; “Aupi 2000” , Milano; e primo premio assoluto nella
Rassegna d’arte e letteratura “Omaggio a San Marino 2003” ), Parole di ombre (2001), Il tempo
dell’attesa (2005, prefazione da A. Brigliadori, postfazione di N. Fattori).
Colpito in giovane età dalla prematura morte del padre in una miniera, vissuto lontano dalla madre in
collegi o ospite da parenti, ha subito la carenza degli affetti familiari. La sua vita ha delle strane analogie
con quella del Pascoli e non è senza indicazione il fatto che Bartoletti si laureò proprio con una tesi sul
poeta romagnolo.
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LA MIA STRADA
La strada che da Ponte Rosso
sale alla Pietra e poi, tra tornanti
e giravolte, incurvata tra sponde
ferro,
di ginestre, più su fino a Strigara,
si accende tra luci di trifoglio,
la mia strada
bianca e lontana, tra saliscendi
e volte sui costoni bruciati dalla febbre,
la mia strada
inventata o reale, tormentata o amata,
sui cui ombre pensose tra i calanchi
restavano sospese,
come tagliete
da una luce morente.
Saliva e scivolava accanto a ruderi
di case, sotto una luce verde di ginestre,
lambiva il vecchio cimitero, tra le croci di
e risaliva tra ciuffi di ginestre
Un’ombra sola passa ora in lento
Peregrinare nella rovina cupa di fiumane
E vuota nel cuore di limoni
Lascia un segnale di abbandono,
di triste lontananza.
Solo il silenzio resta, quel silenzio
Perduto tra sciamare di echi,
come un grido si sfalda,
attesa e prolungata,
la tua voce ancora accesa sulla strada.
“IL PAESE DELLA FOSSA”
Sogliano al Rubicone
Svariate etimologie si vogliono attribuire a questo paese. La tradizione vuole che qui si
innalzasse un tempio al sole che i gentili veneravano sotto il nome di Giano Bifronte: Attila per
questo motivo l’avrebbe chiamato Sugliemi iani. Conseguenza della non fondata etimologia di
cui sopra è stata quella di attribuire agli abitanti di Sogliano la immeritata calunnia di essere gente
finta, ipocrita e amante del doppio gioco.
L’Antonini con l’appoggio di un’antica iscrizione fu di parere che i Solonati, antica tribù del
popolo umbro, fossero quelli che abitarono il luogo ove oggi sorge Sogliano; del resto alcuni
ritrovamenti di figurine col bollo “Solona” asseconderebbero questa ipotesi.
Un Fundus Sulliani è menzionato nel Codice Bavaro nel IX secolo insieme ai fondi Ariole
(S. Giovanni in Galilea), Ficareto (Figareto di Sogliano), Filinciati come lato di confine del
fondo Spino Albeto (Spinalbeto di Sogliano). Lo storico riminese Luigi Tonini ritiene che dal
fundus Sulliani derivi il nome di Sogliano, in quel tempo proprietà della famiglia riminese
Sulia o dei Silla. Il nome non sarebbe da collegare ai Solonates citati da Plinio nel terzo libro
della Naturalis Historia. Per quanto riguarda l’estensione “Al Rubicone”, aggiunta al nome nel
1862, essa è pienamente giustificata, qualunque sia stato il Rubicone degli antichi romani. Infatti
tutti i fiumi ai quali si è voluto attribuire quella dignità (Pisciatello, Uso, Fiumicino, che è l’attuale
Rubicone), nelle annose ed interminabili polemiche fra i vari studiosi, nascono e scorrono per
un lungo tratto nel territorio del Comune di Sogliano.
E’ tra il mille e il millecento che il territorio di Sogliano venne interessato dal fenomeno
dell’incastellamento. Il castello di Sogliano è citato nel 1144 in una bolla di papa Lucio II
che ricorda anche la ecclesia Sancti Laurenti come cappella dipendente dal pievato di S.
Giovanni in Galilea.
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Bartoletti, preso dal suo tenace senso della vita ci ha recitato alcuni suoi versi. Ci ha fatto osservare,
descrivere i monti, le colline, il cielo e ci ha aiutati a scoprire il sovrasenso della realtà.
Ci ha portato alla sorgente del fiume Uso e
A questo punto tutti noi eravamo proprio stanchi: fra poeti, mestieri, campi e fiori la nostra mente non
riceveva più niente, così per allegria, abbiamo preso il sentiero dei castagni.
C'era un'aquila, un gufo, una civetta in cima alla nostra immaginazione...tante cose qua e là...forse
la soffitta?
Non lo sappiamo, ma eravamo attratti come una calamità a scoprire le sorgenti dell'Uso.
Elia intanto recitava la poesia di Fabio Molari sul fiume Uso e senza renderci conto siamo entrati
alle soglie della comèplessità...là dove il nostro fiume muove i primi passi
“I PENSIERI SULL’ALBERO”
Fabio Molari
Fabio Molari poeta e scrittore, è nato nel 1958 a Montenovo, località sulle colline cesenati che si
affacciano sulla pianura e sul mare. Dottore in Pedagogia, Molari è maestro elementare per passione oltre
che per professione e insegna in una micro-scuola con due pluriclassi, a Rontagnano di Sogliano al
Rubicone, sui monti di Romagna.
Ecologista attivo, è impegnato nella sezione Rubicone dell’associazione Italia Nostra, con la quale si è
battuto per il recupero di innumerevoli manufatti storici. Protagonista di importanti momenti letterari è
anche promotore di innumerevoli iniziative dedicate alla poesia e alla salvaguardia della lingua
romagnola.
Ui è tlà valeda dl’ Us doi oman che tla tera i fa di bous,
i foura dla malta scoura e i la mescia sa la pourga at sas.
I fa un piat tond e po il metta a cus.
Par nu ch’il ne sa, un’è fezli spieghi sec’lè la pida,
che chil piad al teggi il soura e fug us cus de pain dar ragghi la veita.
Le teggi de l terra te la cep te fe quel che tvu.
La pida et il mi sogn, tond, cera, parfumè et al volti bustarghè.
Nella valle dell’Uso ci sono degli uomini che nella terra fanno dei buchi, tirano fuori della terra scura e
la mescolano con della polvere di sasso. Fanno dei piatti rotondi e poi li mettono a cuocere. Per uno
che non lo sa non è facile spiegare che cos’è la piada e che quei piatti sono le teglie e sopra al fuoco si
cuoce questo pane delle radici della vita. La teglia è la terra che la prendi e fai quel che vuoi, quasi la
mangi. La piada è un sogno tondo, chiaro, profumato e a volte bruciacchiato.
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Al centro di un grande bosco di piante dai rami più strani zampillava una fonte, l'incipit del nostro fiume.
Qui, in un silenzio misterioso, dopo un abbraccio affettuoso tra noi per l'impresa compiuta e dopo aver
toccato un morbido prato, ci siamo messi in girotondo, tornando bambini abbiamo recitato una filastrocca e
una canta.
Eravamo proprio felici, abbiamo ripreso fiato, abbiamo intrappolato nella nostra mente tutti quei bellissimi
paesaggi e quelle parole che hanno fatto la storia della nostra gente e abbiamo provato a sentirci figli autentici di
questo territorio.
Ora eravamo sicuri: la nostra esperienza ci ha fatto capire cosa vuol dire tradizione e identità.
Il sapere che si trasforma in cultura non è solo un intrico di parole, è una conquista di tutti noi.
Questo viaggio è stato perciò un avvicinarsi alla conoscenza, nuovi esploratori siamo tornati alle origini di noi
stessi.
L’orologio delle Erbe:
.
Luigi Mellini Sforza è un simpatico signore che a Bivio
Montegelli coltiva piante officinali, questo è il suo
personale orologio…..
Nei prati ma meglio nella prateria c'è un orologio davvero
speciale:quello dei fiori
La PORTULACA si schiude tra le 12 e le 13
La CICORIA si apre tra le 4 e le 5
La MALVA si schiude tra le 9 e le 10
Il LINO si schiude tra le 5 e le 6
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“TONINO”(fontana di Sogliano o pietra dell’Uso)
Tonino Guerra
Nato a Santarcangelo di Romagna il 16 marzo 1920. Maestro elementare, nel 1943, durante la seconda
guerra mondiale viene deportato in Germania e internato in un campo di concentramento. Qui
incomincia a scrivere le sue prime poesie, in dialetto romagnolo.
Dopo la Liberazione si laurea in pedagogia presso l'Università di Urbino (1946), con una tesi orale sulla
poesia dialettale.
Nello stesso anno pubblica il suo primo libro di versi, I scarabocc; al 1952 risale l'esordio come prosatore
con un breve romanzo, La storia di Fortunato.
Nel 1953 si trasferisce a Roma, dove avvia un fortunata attività di sceneggiatore. Nella sua lunga carriera
ha collaborato con alcuni fra i più importanti registi italiani del tempo (Federico Fellini, Michelangelo
Antonioni, Francesco Rosi, i fratelli Taviani, ecc.).
Negli anni ottanta torna in Romagna. Dal 1989 vive e lavora a Pennabilli, centro del Montefeltro, che gli
ha conferito la cittadinanza onoraria in riconoscenza dell'amore dimostrato nei confronti di questo
territorio.
Qui ha dato vita a numerose installazioni artistiche. Si tratta di mostre permanenti che prendono il nome
de I Luoghi dell'anima tra cui: L'Orto dei frutti dimenticati, Il Rifugio delle Madonne abbandonate, La Strada delle
meridiane, Il Santuario dei pensieri, L'Angelo coi baffi, Il Giardino pietrificato.
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LA NOSTRA GUIDA ALL’USO
Forniamo un sommario elenco delle persone che ci hanno aiutato nella conoscenza dell’Uso e che
potranno aiutare anche voi:
Associazione VIATERREA
Percorsi didattici e Guide Escursionistiche
mail: [email protected] cell. 340 3949462
Gualtiero Gori
Ufficio Turismo Comune di Bellaria
Tel. 0541 344108 - 0541 344574 Fax 0541 345491
ASSOCIAZIONE BARCHE DELL’ADRIATICO
Per conoscere storie, miti e leggende dei pescatori dell’alto Adriatico
Contattare:
Adriano Barberini, pescatore esperto
Tel. 0541 344108 - 0541 344574 Fax 0541 345491
TEGLIE
Le teglie di Montetiffi, Via Montetiffi – Ville n. 79, tel. 0541 940708
"Realizzazione di teglie per cuocere la piadina e teglie con decori ornamentali
Famiglia Camilletti
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ERBE OFFICINALI
Coltivazione e vendita all’ingrosso di erbe officinali, Sig. Luigi Mellini Sforza,
fraz. Montegelli – via Monteboso (Sogliano a.R.), tel. 339 8143382.
AGRICOLTURA BIODINAMICA
AZIENDA AGRICOLA BIODINAMICA “LA VISCHIA” di MORONCELLI MARIA ELENA,
Pietra dell’Uso (Sogliano a.R.), Tel. 0541 940639
I MUSEI DELLA VALLE DELL’USO
MET, Museo di usi e costumi della gente di Romagna
Via Montevecchi, 41 47038 Santarcangelo (RN)
Tel. 0541/622074
Museo Venanzio Reali
aperto il sabato dalle 15 alle 18,
la domenica dalle 14,30 alle 18,30 e nei giorni feriali su richiesta
(tel. 0541-940612)
Museo del Mulino Moroni
Via Santarcangiolese, 3681 Tel. 0541/629540
Museo Renzi di San Giovanni in Galilea
Indirizzo via Matteotti, 27 Località Borghi
Tel. 0541 939028 - Fax 0541 939028
e-mail [email protected] Sito web www.museorenzi.it
Casa Pascoli e Villa Torlonia
Museo Casa Pascoli
Via G. Pascoli, 46 San Mauro Pascoli (FC)
Tel. 0541.810100 (9.00-13.00) Fax 0541.934084
email [email protected]
Casa Rossa di Panzini
via Pisino Bellaria (RN)
Info: Info Tel.0541/343747
…E IN PIU’
IAT BELLARIA
Bellaria Igea Marina via Leonardo Da Vinci, 2
Tel. 0541 344108 - 0541 344574 Fax 0541 345491 [email protected]
IAT SANTARCANGELO
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Santarcangelo di Romagna via Cesare Battisti, 5
Tel. 0541 624270 Fax 0541 622570 [email protected]
IAT SAN MAURO PASCOLI
SAN MAURO Via della Repubblica, 8 - San Mauro Mare - 47030 –
San Mauro Pascoli Tel. 0541 346392 - 800 580920 - Fax 0541 341378 e-mail [email protected]
Sito web www.sanmauromare.net
IAT SOGLIANO AL RUBICONE
Piazza della Repubblica, 26 47030 - SOGLIANO AL RUBICONE
Tel. 0541 948610 Fax.0541 948866
www.comune.sogliano.fc.it [email protected]
Breve Glossario dell’Uso
Autotrofo: organismo capace di nutristi di sole sostanze inorganiche producendo la sostanza organica.
Sono autotrofi le piante e alcuni batteri
Biomassa: il peso complessivo di tutti gli organismi viventi in una determinata area
Biosfera: l’intero spazio aereo, terrestre e acquatico del nostro pianeta occupato dagli esseri viventi.
Piadina: pane tradizionale romagnolo a base di farina, acqua e lievito simile al chapati indiano o ai
diversi tipi di pani asiatici a base di farina di grano.
Teglia: disco di terracotta utilizzato per la cottura della piadina e realizzato con un amalgama di polvere
quarzosa, terra rossa e altri elementi contenuti in argille bluastre.
Tegliai: artigiani che da epoca rinascimentale si tramandano il segreto della fabbricazione delle teglie, il
mestiere è purtroppo ormai dimenticato.
Bibliografia
“Gli insediamenti rurali nelle vallate del Savio, Rubicone, Uso”. AA.VV, Amministrazione
Provinciale di Forlì, 1976
"Manuale di sopravvivenza" di John Wiseman, Arnoldo Mondadori Editore e casa editrice Vallardi
(tascabile);
"Manuale del Trapper" di Andrea Mercanti, Longanesi & C. edizioni;
"I nodi" di M.Bigon e G.Regazzoni, Guide Pratiche Mondadori;
“Romagna in bicicletta, itinerari su due ruote”, Rimini. Maggioli, 1985
"Orienteering" di Enrico Maddalena, Hoepli edizioni;
"Le tracce degli animali" di R.W.Brown-M.J.Lawrence-J.Pope, A.Mondadori edizioni;
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"GPS" di R.Lorenzani e P.Venturi, Hoepli edizioni;
"Manuale di Trekking" di Hugh McManners, tecniche nuove edizioni;
"Guida pratica agli alberi e arbusti in Italia" autori vari dal Reader's Digest;
"Segreti e virtù delle piante medicinali" autori vari dal Reader's Digest;
"Guida agli alberi e arbusti d'Europa" di Oleg Polunin, Zanichelli edizioni;
SITI UTILI
CASA PASCOLI
ww.casapascoli.it
APPENNINO ROMAGNOLO
www.appenninoromagnolo.it; Il versante Romagnolo dell'Appennino
e il Montefeltro
ARCHIVIO DELLA MEMORIA IN ROMAGNA
www.memoteca.it
GUIDE ESCURSIONISTICHE
www.myspace.com/viaterrea
TURISMO CULTURALE
www.ilturismoculturale.it
“La nostra meta non è mai un luogo, ma un nuovo modo di vedere le cose” Henry Miller
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