Bambini non italofoni e percorsi linguistici: dall`accoglienza

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Bambini non italofoni e percorsi linguistici: dall`accoglienza
Bambini non italofoni e percorsi
linguistici: dall’accoglienza competente
all’interazione tra pari.
Piacenza, 9 febbraio 2012
Rita Parenti
Docente di Lingua italiana e Italiano L2
Istituto Comprensivo di Podenzano (Piacenza)
Mondo Aperto
[email protected]
Bambini stranieri nella scuola dell’infanzia
Poca attenzione agli aspetti linguistici legati
all’inserimento dei bambini di origine
straniera perché:
nella
scuola dell’infanzia non occorre usare la
lingua per studiare
se arrivano da piccoli imparano più facilmente e
velocemente
spesso sono nati in Italia
Bambini stranieri nella scuola dell’infanzia
Tutto vero, ma:
per
il passaggio alla scuola primaria occorre padroneggiare,
almeno in parte, anche un uso decontestualizzato della lingua
se non hanno gli stimoli giusti possono limitarsi a imparare
la lingua della prima comunicazione
altrettanto spesso hanno poi passato periodi nel paese
d’origine o in contesti poveri di input in L2 (comunità con
pochi contatti con gli italiani)
L’arrivo alla primaria
Sono sì italofoni, ma hanno un lessico
limitato; producono frasi semplici e brevi;
non sono in grado di comprendere i messaggi
e le consegne linguisticamente e
cognitivamente più complessi...
L’arrivo alla primaria
Al momento del passaggio alla primaria
emerge che molti di questi bambini sono solo
limitatamente italofoni, e ciò rischia di
compromettere il loro percorso scolastico
cresce l’attenzione verso la situazione
linguistica di questi bambini.
Analisi dei bisogni
Per agire nel modo più efficace è
importante partire dall’analisi dei bisogni
linguistici dei bambini.
I bisogni linguistici
Per analizzare efficacemente i bisogni
linguistici dei bambini devo capire
1.
2.
3.
chi sono (dal punto di vista linguistico)
quali obiettivi hanno (dal punto di vista
linguistico)
che cosa sanno (dal punto di vista linguistico)
Analizzare i bisogni:
1) chi sono i bambini stranieri?
Quali sono le caratteristiche linguistiche
dei bambini con L1 diverse dall’italiano?
sono apprendenti di L2
sono bilingui (o trilingui, o quadrilingui…)
Analizzare i bisogni:
2) quali obiettivi hanno?
Perché i bambini con L1 diverse
dall’italiano imparano l’italiano?
per interagire a scuola e fuori
per studiare (dopo la scuola dell’infanzia)
Analizzare i bisogni:
3) che cosa sanno?
Quali competenze linguistiche hanno i
bambini con L1 diverse dall’italiano?
la loro interlingua è… (per scoprirlo occorre
fare una diagnosi)
1) chi sono i bambini stranieri?
I bambini con L1 diverse dall’italiano sono:
•apprendenti di L2
•bilingui
L1, L2, LS
L1 > la prima lingua che imparo quando imparo a
parlare da bambino
L2 > la seconda (o la terza, o la quarta…) lingua
che imparo, dopo la L1, vivendo nel paese dove
tutti la parlano
LS > la seconda (o la terza, o la quarta…) lingua
che imparo, dopo la L1, vivendo nel paese dove
tutti parlano la mia L1
Bilinguismo
Simultaneo
entrambe le lingue sono
apprese
contemporaneamente nella
primissima infanzia (< 3
anni)
Consecutivo
una viene appresa come L1
nella primissima infanzia,
l’altra successivamente
come L2
Bilinguismo
Bilanciato
la competenza in entrambe
le lingue è uguale
Asimmetrico
una delle due lingue è
dominante sull’altra
BICS e CALP
Basic Interpersonal Communication Skills
=
abilità comunicative interpersonali di base (attività
contestualizzate) > servono per interagire nella vita
quotidiana
Cognitive Academic Language Proficiency
=
padronanza della lingua a livello cognitivo-accademico
(attività a bassa contestualizzazione) > serve per compiti
astratti e slegati dal contesto, tipici dell’istruzione
scolastica
Capacità di interagire verbalmente in attività
contestualizzate > BICS
Parlanti nativi
Parlanti non nativi
2 anni
Abilità linguistiche per le attività a bassa
contestualizzazione (accademiche) > CALP
Parlanti nativi
5-7 anni
Parlanti non nativi
Lo sviluppo delle CALP
Prima si guidano i bambini a sviluppare anche
le abilità linguistiche per le attività a bassa
contestualizzazione, più li si aiuta ad
affrontare serenamente il passaggio alla
scuola primaria.
3) Cosa sanno?
Quali competenze linguistiche hanno gli
alunni con L1 diverse dall’italiano?
Quali competenze linguistiche devono e
possono sviluppare in questo momento?
Vediamo una riflessione e una
conseguente ricerca
Apprendere una lingua, di Gabriele Pallotti
(Università di Modena e di Bologna)
Cosa facciamo quando
impariamo una lingua?
Ricevo input (ascoltando, parlando, leggendo)
Formulo un’ipotesi di “regola”
Uso la regola e così metto alla prova la mia
ipotesi
Se scopro che è sbagliata (perché il mio
interlocutore non capisce, mi corregge, riformula
quel che ho detto ecc.), la “aggiusto” e la rimetto
alla prova
e così via
L’interlingua
Durante tutto questo processo non uso la
L2, ma una lingua “transitoria” che
chiamiamo INTERLINGUA
L’interlingua
È una varietà linguistica caratterizzata da sistematicità e
funzionalità, proprio come tutte le lingue. Esiste quindi una
grammatica dell’interlingua.
bambine francese non è un accostamento casuale, ma non
risponde neppure a una regola della grammatica italiana
risponde a una “regola” della grammatica dell’interlingua che
potrebbe essere: se due parole sono in qualche modo legate
l’una all’altra, finiscono con la stessa lettera
L’interlingua
È un sistema provvisorio e instabile, sempre soggetto a
revisione e ristrutturazione da parte del parlante.
Le regole grammaticali delle lingue naturali mutano nel corso
dei secoli, le regole della grammatica dell’interlingua possono
mutare ogni giorno.
L’interlingua
L’apprendimento consiste quindi in un
continuo processo di ristrutturazione del
sistema dell’interlingua.
Questo processo è guidato e influenzato da
numerosi fattori, interni ed esterni, che
determinano sia regolarità sia variabilità.
Regolarità
XXX XXX svegliata XXX XXX XXX vestita. XXX messo
XXX vestito nuovo XXX XXX scarpe nuove: poi XXX
guardato XXX finestra XXX XXX visto XXX papà XXX
andava XXX mercatino.
Regolarità
Mi sono XXX XXX e mi sono XXX. Ho XXX il XXX XXX
e le XXX XXX: XXX ho XXX dalla XXX e ho XXX mio
XXX che XXX al XXX
Regolarità
Mi sono svegliata e mi sono vestita. Ho messo il vestito nuovo
e le scarpe nuove: poi ho guardato dalla finestra e ho visto
mio papà che andava al mercatino.
Variabilità
Alcuni apprendenti sono più veloci di altri
nell’acquisizione della L2.
Alcuni apprendenti raggiungono una
competenza linguistica molto vicina a
quella dei parlanti nativi, altri no.
Ma non c’è solo il bisogno
linguistico
Per favorire una buona interazione tra pari,
la scuola deve accogliere il bambino, la sua
famiglia, i suoi bisogni
Occorre progettare l’accoglienza e dotarsi
di tutti quegli strumenti e dispositivi (molti
di essi a costo zero per la scuola) che
possono facilitare il percorso del singolo
alunno e della classe in cui frequenterà
Capire da dove viene e qual è il
progetto migratorio della famiglia
Alcune situazioni diverse:
La migrazione “insieme ai propri genitori”
Il Ricongiungimento familiare
Nascere in Italia
Arrivare quasi adolescente
Aver frequentato la scuola nel proprio Paese in
una grande città
Aver frequentato la scuola in campagna
Non essere mai andati a scuola
Gli alunni stranieri nella scuola
italiana
Sono oggi circa 600.000, di cui 200.000 nati in Italia, di
191 nazionalità e parlanti 60 lingue
Fenomeno migratorio in diminuzione (stima di 20.000
partenze nel 2010), ma baby boom dopo la “grande
regolarizzazione” (Bossi Fini 2003)
Esito: sorpasso delle “seconde generazioni” in prima
elementare (in alcune città tra cui Milano, Brescia,
Piacenza)
Il 20% dei bambini stranieri accumula un anno di ritardo
già in terza elementare (non le 2 G)
Dati Fondazione Agnelli 2010
Quali conseguenze per la scuola?
Una presenza di bambini “italiani” (non basta più la
logica di integrazione ma ci vuole l’intercultura)
Necessità di cambiare il proprio sguardo e non leggere più
la presenza straniera come un’emergenza ma come la
norma.
Necessità di ripensare il modo di fare scuola, in relazione
all’idea di cittadinanza e appartenenza che questi alunni
portano con sé.
Necessità di costruire orizzonti condivisi con le famiglie e
tra di esse.
Come si presenta la nostra
scuola?
Una scuola con una forte vocazione all’inclusione (es. L.
517/1977, Integrazione alunni disabili). Art. 34
Costituzione: “La scuola è aperta a tutti”
Due rischi opposti: una scuola nota per “fare gli italiani”
che tende a normalizzare e negare le differenze, una
scuola che le ha scoperte da poco e tende a enfatizzarle.
Una scuola a rischio “segregazione” (numeri alunni
stranieri cambiano da regione a regione, da città a città,
ma anche da scuola a scuola, addirittura da plesso a
plesso…) (Oberti, 2007)
Un esempio: il primo colloquio
Per la famiglia straniera: il primo contatto con la
società italiana.
Per gli insegnanti: la presa di coscienza di avere
un gergo incomprensibile (“scuola primaria”,
“equipollenza”, “portfolio”, “pagella”, “NAI”,
…)
Per gli alunni: un’occasione, spesso, di
mediazione interculturale e intergenerazionale.
Per i mediatori linguistico-culturali: un campo
privilegiato d’azione, sebbene non si esaurisca
qui il loro operato.
L’approccio interculturale
Multiculturale / transculturale / interculturale
L’intercultura considera le differenze culturali
come una risorsa da mettere in gioco e considera
la dimensione culturale come un aspetto
fondamentale delle relazioni interpersonali.
Il prefisso “inter” indica la possibilità di
realizzare una comunicazione efficace tra persone
che appartengono a culture / religioni / origini /
generi / diverse. (Santerini, 2003)
Intercultura a scuola
E’ un’intercultura “di seconda generazione”
(Santerini, 2010) che considera le differenze
culturali come la norma e non come
un’eccezione.
Deve porre rilievo alle “somiglianze” tanto
quanto alle “differenze” (evitando il rischio di un
“eccesso di cultura”, Aime, 2004)
Deve realizzarsi tramite il coinvolgimento di tutti
gli attori della scuola e rivolgersi a tutti gli alunni
(italiani, stranieri, neoarrivati).
Straniero in classe
“Straniero in classe” non è (…) solo l’allievo che proviene da
qualche altro paese, ma anche l’insegnante che davanti a
quell’allievo si sente a sua volta spaesato, quasi stranito,
perché vede messi in discussione molti dei pregiudizi su
cui si basa il suo modo normale di fare scuola. Davanti a
questa esperienza di straniamento un insegnante può
decidere di far finta di niente, come se non fosse accaduto
nulla, continuando a pensare e a operare in classe come ha
sempre fatto, forse addirittura più sordo di prima. Di
questa stessa esperienza, però, un insegnante può anche
fare tesoro, trasformandola in un’occasione di
autoformazione per sé e per i propri allievi (Zoletto 2007,
pagg. 10 -11)