I MUSEI VATICANI

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I MUSEI VATICANI
GUIDA
GENERALE ALLA
CITTÀ DEL
VATICANO
Parte seconda
I MUSEI VATICANI
a cura di Antonio Paolucci e Cristina Pantanella
INTRODUZIONE
Antonio Paolucci
Lo Stato della Città del Vaticano è il
più piccolo del mondo in estensione
geografica (appena 44 ettari, meno di
mezzo chilometro quadrato), ma è
anche l’unico la cui superficie è
interamente occupata da quelle cose che
gli Inglesi chiamano heritage, i
Francesi patrimoine e noi Italiani
collochiamo sotto la ridondante
epigrafe di beni culturali e ambientali.
A guardare in pianta lo Stato del papa,
vediamo che la sua area è coperta dai
monumenti celebri riprodotti nei
manuali di storia dell’architettura,
anche i più sommari: dalla basilica di S.
Pietro alla cupola di Michelangelo, dai
Palazzi Apostolici al cortile del
Bramante, dal colonnato del Bernini
all’aula che porta il nome di Pier Luigi
Nervi. Quello che non è edilizia
monumentale è patrimonio ambientale
e naturalistico (i vasti giardini con le
fontane, il castello, le cappelle); è
scaffalature chilometriche di libri
preziosi
e
di
documenti
che
testimoniano, con la storia della Chiesa,
la storia della nostra cultura e della
nostra civiltà. Mi riferisco alla
Biblioteca Apostolica e all’Archivio
Segreto, archetipi e modelli di ogni
simile istituzione nel mondo. E poi ci
sono i Musei.
I Musei del papa si nominano al plurale
perché tutte le forme dell’arte, tutti gli
aspetti delle umane manifatture, in ogni
epoca e sotto ogni latitudine, vi sono
rappresentati. C’è la statuaria grecoromana che si moltiplica in gallerie,
sale, spazi aperti dai nomi famosi (il
Pio-Clementino, il Braccio Nuovo, il
Museo Chiaramonti e la Galleria dei
Canedelabri, il Cortile Ottagono, il
Cortile della Pigna etc…); ci sono le
testimonianze delle più antiche civiltà
del Mediterraneo (il Museo Gregoriano
Egizio, il Museo Gregoriano Etrusco)
insieme a Giotto e a Caravaggio, a
Giovanni Bellini e a Leonardo, a
Poussin e a Valentin raccolti in
Pinacoteca, insieme ai Matisse, van Gogh,
Bacon e Fontana conservati nella
Collezione d’Arte Contemporanea. Ci
sono oggetti di arte cosidetta “minore”
(vetri dorati e avori, bronzi e mosaici,
smalti e tessuti) fra i più preziosi al mondo
nei Musei già della Biblioteca Apostolica
e nella Galleria degli Arazzi; sarcofagi e
sculture che ci parlano della nascita del
fertile tronco della cultura figurativa
ellenistico-romana, di un’arte nuova per
contenuti, per ideologia, per iconografia (il
Museo Pio Cristiano). Mentre nella vasta
raccolta
conosciuta
come
Museo
Etnologico protagonisti sono i manufatti
delle culture extraeuropee, dall’Africa
all’Oceania, dalle Americhe alla Cina.
E ci sono naturalmente i grandi cicli di
affreschi che hanno consegnato al mondo
l’immagine stessa della Bibbia insieme
alla gloria del Rinascimento italiano e
della Chiesa di Roma: Michelangelo in
Sistina, Raffaello nelle Stanze, l’Angelico
nella Cappella Niccolina, il Pinturicchio
nell’appartartamento Borgia. Per cui se un
cittadino del mondo mediamente colto, di
ogni religione o di nessuna religione,
pensa alle origini dell’Uomo, il suo
immaginario fatalmente va all’indice di
Dio Padre che sfiora, come per una scossa
elettrica creatrice, la mano tesa di Adamo
nel riquadro di Michelangelo affrescato al
centro della volta della Sistina. Se cerca di
figurarsi
gli
episodi
dell’Antico
Testamento è il Raffaello della grande
Loggia
l’inevitabile
riferimento
iconografico.
I Musei che oggi chiamiamo Vaticani
crebbero su se stessi per successive
addizioni e integrazioni lungo l’arco di
parecchi secoli, da quel 1506 che,
regnando Giulio II della Rovere, vide
collocato nel colle del
Belvedere il
Laocoonte appena dissotterrato. I Musei
crebbero e si dilatarono fino a occupare
spazi nei Palazzi Apostolici nati per alte
funzioni
religiose,
abitative,
di
rappresentanza (le cappelle Niccolina e
Sistina,
le
Stanze
di
Raffaello,
l’appartamento Borgia), fino a moltiplicarsi, fra
Ottocento e Novecento, in nuovi dipartimenti (il
Gregoriano Etrusco, il Gregoriano Egizio, il Pio
Cristiano, il Gregoriano Profano, la Pinacoteca, la
Collezione d’Arte Contemporanea, il Museo
Etnologico). Una crescita lenta e diramata che fa
pensare alla parabola evangelica del piccolo seme
destinato a diventare un grande albero frondoso.
Di fatto i Musei Vaticani diventarono tali e assunsero
l’aspetto che conosciamo tra la fine del XVIII e l’inizio
del XIX sotto i pontificati di Clemente XIV, Pio VI e
Pio VII. Nei cinquant’anni cruciali che si collocano fra
Illuminismo, Rivoluzione, Impero e Restaurazione e
aprono la strada alla modernità, le collezioni del papa si
rinnovano e si trasformano radicalmente. Nascono il
Pio-Clementino, il Cortile Ottagono, il Museo
Chiaramonti, il Braccio Nuovo. Si moltiplicano i
restauri e gli acquisti di nuove opere d’arte. Il
regolamento del 1816 disciplina l’accesso al pubblico e
le mansioni del corpo di custodia, la cura delle
collezioni viene affidata a tecnici di grande prestigio
come Antonio Canova.
Oggi i Musei Vaticani sono visitati da più di cinque
milioni di persone ogni anno. Sono serviti da oltre
seicento addetti: personale di custodia, di sicurezza e di
accoglienza in massima parte, ma anche amministrativi,
restauratori dei più diversi settori di competenza (dagli
affreschi alle pitture su tela e tavola, ai mosaici, alla
carta, ai metalli, ai materiali lapidei, alle terrecotte, agli
arazzi), da specialisti dei diversi comparti
collezionistici e quindi archeologi classici, storici
dell’arte, egittologi, etruscologi, epigrafisti, etnografi,
chimici del Laboratorio di Diagnostica per la
Conservazione ed il Restauro, bibliotecari, archivisti,
addetti
ai singole:
servizi didattici, alla documentazione, alla
Notizie
consultazione, alla produzione dei materiali fotografici.
Quello
cheinterno
è necessario
capire, attraversando i Musei
Brano
2
del papa (questo è l’obiettivo che si prefigge la presente
parteBrano
dellainterno
guida) 3 è il loro carattere plurimo,
sfaccettato,
stratificato
Brano interno 4 e allo stesso tempo universale.
Passare da Michelangelo ai rilievi assiri e alle mummie
Brano
5 al Beato Angelico, dalle urne
egizie,
dalinterno
Laocoonte
etrusche
ai
manufatti
dei nativi australiani, dalle icone
Ultimo brano
6
bizantine ai capolavori di Bacon e di Burri, è certo
arduo, però fa capire lo storico interesse, il rispetto e
l’attenzione della Chiesa di Roma per le arti, per tutto
ciò che è uscito nei secoli dalle mani dell’homo faber,
unica figura che tollera il confronto con Dio creatore. In
questo senso i Musei Vaticani sono il luogo identitario
della Chiesa cattolica. Ne rappresentano la storia, ne
significano l’universale destino.
Ma proviamo a immaginare il percorso da considerasi
ideale attraverso le collezioni d’arte e di storia del papa.
C’è una cosa che il visitatore anche di una sola ora deve
avere ben presente. I Musei Vaticani sono, prima di
tutto e soprattutto, musei di arte antica. Fra le raccolte
di arte antica un ruolo di gran lunga egemone per
qualità, varietà, rarità e celebrità è rappresentato dalla
statuaria di età classica. I soli marmi e bronzi esposti
ammontano al numero davvero stupefacente di 4.416.
Non esiste altrove, in Italia e nel mondo, una
paragonabile concentrazione di opere di ambito
cronologico e stilistico greco-romano.
I Musei del papa nascono dunque come collezioni di
archeologia classica. I pontefici si consideravano i
legittimi eredi della storia romana. L’Urbe pagana era
diventata cristiana, l’imperium di Augusto e di Traiano
era confluito nell’imperium sine fine della Chiesa
cattolica e apostolica. I monumenti della civiltà che
aveva preparato la venuta di Cristo erano stati
santificati dalla Rivelazione. Andavano quindi
conservati, custoditi, valorizzati ad maiorem Dei
gloriam e a onore e splendore della Chiesa.
La parte più antica e più affascinante delle collezioni
vaticane è il Museo Pio-Clementino. Da qui ha inizio la
visita. Il Pio-Clementino si chiama così perché deve la
sua fondazione a due papi romagnoli di fine Settecento:
Clemente XIV Ganganelli e Pio VI Braschi. Più tardi,
all’inizio del XIX secolo, negli anni della Grande
Rivoluzione, di Bonaparte e della Restaurazione brillando alto nel cielo di Roma e d’Europa il genio di
Antonio Canova -, sarà un altro papa romagnolo, il
cesenate Pio VII Chiaramonti, ad aggregare al nucleo
originario nuove sezioni: la Galleria che porta il suo
nome, il Braccio Nuovo di Raffaele Stern.
La visita del Museo Pio-Clementino deve iniziare dal
Cortile
Ottagono,
progettato
dall’architetto
Michelangelo Simonetti negli anni ’70 del XVIII
secolo, perché il Cortile Ottagono è la reinvenzione
analogica dell’ Antiquarium delle Statue di Giulio II.
Da lì, dove si espongono, sotto il cielo di Roma, i
capolavori supremi della statuaria antica (il Laocoonte,
l’Apollo del Belvedere, la Venus felix, l’Hermes di
Prassitele, ma anche il Perseo e i Pugilatori di Antonio
Canova), si dipartono come una rosa dei venti gli altri
settori collezionistici voluti da Clemente XIV, Pio VI,
Pio VII: la Sala degli Animali, la Sala delle Muse, la
Sala Rotonda, la Galleria delle Statue, la Sala dei Busti,
la Sala delle Maschere, la Galleria dei Candelabri.
Carattere distintivo della museografia di età
illuministica e neoclassica, e quindi ragione principale
del fascino che esercita sul visitatore colto il PioClementino, è l’inserimento perfetto dell’opera d’arte
nella cornice architettonica e decorativa che la contiene.
La statuaria antica, dislocata per raggruppamenti
tematici (gli animali, le muse, gli atleti, i ritratti, i
materiali decorativi raccolti nella Galleria detta dei
Candelabri), deve essere solidale e fraterna al luogo che
la ospita, deve partecipare (riflessa e commentata dai
caratteri stilistici e dai colori dello spazio all’interno del
quale è collocata) del gusto e della cultura dell’epoca e
della società che l’hanno scelta. La filosofia dominante
era che l’antico ha bisogno di un contesto decorativo
che lo assecondi, di una scenografia che lo interpreti.
Così si pensava negli anni che stanno fra Mengs,
Winckelmann e Canova. Questa idea di museo
caratterizza in modo mirabile quella parte dei Musei
Vaticani che sta sotto l’epigrafe di Museo PioClementino.
Ci sono settori del Pio-Clementino che rendono il
visitatore felice. Felice perché l’accordo fra contenitore
e contenuto appare perfetto. Attraversiamo lo “zoo di
pietra” che prende il nome di Sala degli Animali. È una
variegata policroma esposizione di creature domestiche
e selvatiche. È la Natura abbellita e come trasfigurata
dall’ideale classico che nobilita «le forme stesse de’
bruti», come scriveva nel 1807 Ennio Quirino Visconti.
È la Natura che deve essere argomento di conoscenza
scientifica e insieme modello per le arti contemporanee
e quindi portatrice di sapere, di bellezza, di eleganza.
Questi criteri, negli anni di Pio VI e del suo grande
scultore-restauratore Francesco Antonio Franzoni,
ispirano l’allestimento della Sala degli Animali. La
grazia enciclopedica dell’ultimo Settecento, insieme
all’idea che dell’antico aveva la Roma del Goethezeit
(la Roma di Angelika Kauffmann, di Gavin Hamilton,
del giovane Canova), domina il mirabile insieme.
Ancora, come non stupire quando si entra nella Galleria
delle Statue? e nella Sala dei Busti? In origine c’era il
loggiato di Innocenzo VIII aperto su Monte Mario e sul
paesaggio di Roma. C’era anche una cappellina
affrescata da Andrea Mantegna. Fra il 1771 e il 1772
con Clemente XIV e fra il 1776 e il 1778 con Pio VI,
l’ambiente venne radicalmente rinnovato per farne una
sezione del Pio-Clementino destinata ad accogliere
sculture antiche famose, prime fra tutte l’Arianna.
Abbattuti gli affreschi di Mantegna, salvati solo in parte
quelli del Pinturicchio nelle lunette, la gran parte della
decorazione fu affidata a Christopher Unterberger, alla
sua libera reinvenzione pittorica dei decori
quattrocenteschi, alla grazia neoraffaellesca delle sue
tenere Allegorie delle Stagioni. Il risultato è
straordinario. Lo è al punto di far dimenticare la pur
dolorosa distruzione degli affreschi di Mantegna.
Nella
partesingole:
terminale del vasto spazio c’è la cosidetta
Notizie
Sala dei Busti, che raccoglie numerose immagini di
imperatori,
di principi,
Brano interno
2 di donne, di fanciulli; il tutto
dominato dalla statua colossale di Giove in trono che
Brano
interno quasi
3
sovrasta
l’ambiente
fosse la figura di Dio Padre
sull’altare
di
una
chiesa
cattolica.
La Sala dei Busti è un
Brano interno 4
gabinetto antiquario nel quale convivono l’effetto
Branoeinterno
5
pittorico
scenografico,
il gusto settecentesco della
erudizione
e
della
classificazione,
l’idea già romantica
Ultimo brano
6
dell’antico inteso come magnifica iperbolica
accumulazione. Chi lo ha visto anche una sola volta
non lo dimenticherà mai più.
Indimenticabile è anche il Braccio Nuovo, l’addizione
di Pio VII inaugurata nel 1822 che porta la firma
dell’architetto Raffaele Stern per l’allestimento di
Antonio Canova. Una delle esperienze più gradevoli
che il visitatore può concedersi è una sosta nel Braccio
Nuovo. Capirà, nella luce argentea che spiove dai
lucernari, sostando sui mosaici romani che illustrano
l’Odissea, sofferamndosi di fronte alla statua colossale
del Nilo o all’Augusto di Prima Porta, che il Braccio
Nuovo è l’ultimo organico omaggio che la nostra civiltà
ha saputo tributare all’antico. Dopo nessuno saprà più
farlo con altrettanta sensibilità e intelligenza. Dopo
prevarranno la retorica o il filologismo. Dentro il
Braccio Nuovo, nella luce “greca” di Antonio Canova,
sentiamo che la bellezza della classicità ci è vicina e
fraterna, ci pervade e ci consola.
Sull’asse storico del Pio-Clementino si innestano le
collezioni archeologiche che parlano delle antiche
civiltà del Mediterraneo e delle forme d’arte che, nei
primi secoli del cristianesimo, presero forma dal fertile
tronco della tradizione ellenistico-romana. Il cosiddetto
corridoio della Biblioteca ospita i musei Cristiano e
Profano. L’uno e l’altro nel loro allestimento
settecentesco originario, all’interno degli splendidi
armadi realizzati dai grandi mobilieri romani del XVIII
secolo su progetto di Luigi Valadier, fanno una delle
raccolte di cimeli archeologici e di manufatti di uso e di
culto più importanti del mondo.
Più tardi, nella prima metà del XIX secolo, anche le
grandi civiltà figurative della storia antica trovarono
ospitalità nelle collezioni del papa. Sono gli anni di
Gregorio XVI, il papa che la pubblicistica italiana
liberale e risorgimentale ha odiato come simbolo di
reazione e di oscurantismo, e intorno al quale (al suo
governo, alla sua corte, alla sua Roma) i sonetti di G.G.
Belli hanno costruito un epos satirico grandioso degno
di Goya e di Gogol’, si dimostrò in realtà un
intellettuale coltissimo, un mecenate generoso sensibile
alle attese e alle tendeze del suo secolo. Si devono a lui
la fondazione del Museo Etrusco (1837) , che ha al suo
centro il cosidetto “Marte” di Todi, la scultura in
bronzo più celebre e più bella dell’Italia antica , e la
fondazione del Museo Egizio (1839), il settore
espositivo che ospita, fra gli altri capolavori, le sculture
memoriali di Antinoo, l’amante dell’imperatore
celebrato e divinizzato in villa Adriana.
Altre sezioni collezionistiche importanti di statuaria
antica fanno parte dei Musei Vaticani, dislocate
nell’allestimento razionalista noto come “addizione
paolina” perché progettata e realizzata negli anni del
pontificato di Paolo VI. Si tratta del Museo Gregoriano
Profano e del Pio Cristiano. Mentre il primo raccoglie
una documentazione numerosa e prestigiosa della
civiltà romana ancora pagana, il secondo seleziona ed
espone
significativi
reperti
dell’arte
che
convenzionalmente chiamiamo “paleocristiana”. Il
primo museo fu fondato da Gregorio XVI, il secondo
da Pio IX. L’uno e l’altro stavano nel palazzo del
Laterano. Dal 1970 sono inseriti nel percorso generale
dei Musei Vaticani.
Ma le collezioni del papa aperte al percorso dei
visitatori fanno, tutte insieme, un museo universale. Se
la statuaria antica e, più in generale, i reperti
dell’archeologia classica, giocano un ruolo prevalente,
altri fondamentali settori rappresentativi dell’umana
civiltà vi sono rappresentati, avendo preso forma, per
addizioni successive, nel corso del XX secolo.
Così nel 1932, regnando Pio XI Ratti (il Concordato
con Mussolini era stato firmato da appena tre anni),
viene inaugurata la Pinacoteca con i capolavori di
Giotto, Caravaggio, Leonardo, Raffaello. Negli stessi
anni prendeva forma il Museo Missionario Etnologico,
rappresentativo delle culture extraeuropee d’Asia,
d’Africa, dell’Oceania e delle due Americhe. È
significativo, e ci fa bene intendere la politica culturale
della Chiesa, che un museo di questo genere sia stato
concepito nella prima metà del Novecento, nella
stagione zenitale del colonialismo trionfante.
Altrettanto carica di significati insieme culturali e
“politici” è la nascita nel 1973 della Collezione di Arte
Religiosa Moderna, voluta da quel grande intellettuale
del Novecento preoccupato del divorzio in atto fra la
Chiesa e le arti figurative della modernità che risponde
al nome di Paolo VI.
Naturalmente non intendo dimenticare quello che è per
tutti l’attrazione fondamentale dei Musei Vaticani. Per i
visitatori che incessantemente li percorrono, le
collezioni d’arte del papa sono l’atlante figurativo base
per la conoscenza della pittura dei grandi secoli. La
suprema antologia del Rinascimento italiano è affidata
a capolavori che ogni manuale di storia dell’arte
immancabilmente riproduce. Si può camminare con il
Polittico Stefaneschi di Giotto in Pinacoteca, proseguire
con Gentile da Fabriano, con gli Angeli musicanti di
Melozzo da Forlì, incrociare il San Girolamo di
Leonardo da Vinci, il Raffaello della Madonna di
Foligno, della Trasfigurazione, degli arazzi che Leone
X commissionò all’urbinate perché ornassero la
Cappella Sistina.
Il Beato Angelico ci accoglie nella Cappella Niccolina
voluta dal papa umanista Niccolò V Parentucelli; il
Pinturicchio dispiega il suo universo ipercolorato,
criptico e misterico, negli affreschi dell’appartamento
Borgia. Infine saranno il Raffaello delle Stanze di
Giulio II e il Michelangelo della Cappella Sistina a
offrire al visitatore la contemplazione dei supremi
modelli della civiltà artistica d’Occidente.
Chi attraversa i Musei Vaticani deve sapere che ha, a
sua
disposizione,
il manuale base della grande pittura
Notizie
singole:
italiana, da Giotto al Caravaggio della Deposizione di
Cristo,
ai interno
Previati, ai
Brano
2 Sironi, ai Burri custoditi nella
Collezione d’Arte Contemporanea.
Branoilinterno
Se, lungo
percorso3che lo porta alla Cappella Sistina,
il visitatore
sosterà
Brano interno
4 nella Galleria delle Carte
Geografiche, là dove, all’anno 1581, il grande
Brano interno
5
matematico
e cosmografo
Ignazio Danti e una squadra
di solerti
pittori
guidati
da
Girolamo Muziano diedero
Ultimo brano
6
immagine all’Italia in quaranta tavole geografiche che
ci appaiono in miracoloso equilibrio fra esattezza
scientifica ed evocazione poetica, capirà quanto sia
giusta la definizione che del nostro Paese diede papa
Gregorio XIII committente dell’opera: «Regio totius
urbis nobilissima». L’Italia è il Paese «più nobile» del
mondo, sta scritto nella iscrizione dedicatoria,
intendendo nel termine nobilissima tutto quello che è
Storia, Memoria, Cultura, Varietà, Arte, Bellezza.
Questo pensava Gregorio XIII, duro e colto papa della
Controriforma. Questo ancora oggi continuiamo a
pensare noi. I Musei Vaticani ci permettono di capirlo.