CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 31/08/2016 (ud. 11/05

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CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 31/08/2016 (ud. 11/05
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 31/08/2016 (ud. 11/05/2016) Sentenza n.35854
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
Cianfa Giovanni, nato a Roma il 27-09-1972
De Vito Luciano, nato a Malawi Malawi il 29-11-1936
avverso la sentenza del 09-02-2015 del tribunale di Perugia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Giulio Romano che ha concluso per il rigetto dei
ricorsi;
Uditi per i ricorrenti gli avvocati Valerio Tallini, in sostituzione dell'avvocato Alessandro Rosati, ed
Angelo Picchioni che hanno concluso per l'accoglimento dei ricorsi;
udito per la parte civile l'avvocato Efisio Figus Diaz in sostituzione dell'avvocato Elisa Sgarilla che ha
concluso per l'inammissibilità o per il rigetto dei ricorsi con conseguente condanna dei ricorrenti alla
rifusione delle spese del grado.
RITENUTO IN FATTO
1. Giovanni Cianfa e Luciano De Vito ricorrono per cassazione impugnando la sentenza indicata in
epigrafe con la quale il tribunale di Perugia, riconoscendo il vincolo della continuazione, li ha
condannati rispettivamente alla pena di € 200,00 di ammenda e€ 150,00 di ammenda per i reati di cui
agli articoli 659 e 674 cod. pen..
1.1. Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza impugnata, il Tribunale ha osservato
come la presente vicenda processuale sia stata preceduta da altro analogo procedimento all'esito del
quale Giovanni Cianfa - imputato, con tale Sandro Antonini, per i medesimi reati (artt. 659 e 674 cod.
pen.) in relazione alla gestione dello stesso impianto di autolavaggio da aprile 2004 al 18 marzo 2008 era stato condannato perché disturbava le occupazioni e il riposo delle persone dimoranti nelle
vicinanze dell'impianto nonché provocava emissione di vapori, producendo esalazioni.
1.2. A seguito dell'espletata istruttoria e dell'acquisizione documentale, il Tribunale è giunto alla
conclusione che l'autolavaggio gestito da Giovanni Cianfa aveva prodotto rumori insopportabili, legati
all'utilizzo della lancia idropulitrice ed anche della roboante macchina Master, che avevano creato
disturbo alle occupazioni ed al riposo nonché il versamento di una vera e propria nube di vapori e
pulviscolo di risulta dei lavaggi all'interno del giardino e delle abitazioni circostanti, che
inevitabilmente imbrattavano, molestando le persone le cui ordinarie occupazioni venivano
penalizzate.
Ciò comportava, come ulteriore conseguenza, la presenza di zanzare infette, durante tutto l'anno, a
causa dell'ingente quantitativo di acqua che ristagnava su terreno e pozzetti (della quantità ed effetti
delle punture di zanzare sui componenti le famiglie delle persone offese, il Tribunale ha dato atto che
vi è documentazione fotografica e medica acquisita al processo).
L'impianto peraltro era in funzione dalle ore 7 alle ore 21 e la causa di tutti i suddetti gravi disagi era
da individuarsi nella mancata collocazione delle macchine all'interno di un box chiuso e nella totale
assenza di interventi di insonorizzazione o comunque di protezione della zona circostante dalle
esalazioni di vapori.
2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza i ricorrenti, tramite i rispettivi difensori, articolano i
seguenti motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disposizioni di attuazione al
codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Giovanni Cianfa affida il ricorso a due motivi.
2.1.1 Con il primo motivo, articolato sotto plurimi profili, il ricorrente lamenta la mancanza, la
manifesta illogicità e l'assoluta contraddittorietà della motivazione su punti decisivi per il giudizio e si
duole, in particolare, della mancata adozione, elaborazione e valutazione della prova tecnica (articolo
606, comma 1, lettera e) del codice di procedura penale).
Sostiene che il giudizio di responsabilità, formulato nei suoi confronti, è stato fondato prevalentemente,
se non in via esclusiva, su documentazione e testimonianza di due periti che avevano espletato la
consulenza tecnica d'ufficio nel giudizio civile, in precedenza incardinato dalle parti civili inn~nzi al
tribunale di Poggio Mirteto, conclusosi peraltro con un giudicato cautelare di rigetto.
Ciò posto, il tribunale di Perugia, facendo leva sulle conclusioni peritali secondo le quali le misurazioni
dei consulenti avevano portato a riscontrare valori differenziali nettamente superiori alle soglie di
riferimento, ha tratto il convincimento della penale responsabilità del ricorrente rilevandolo dalle
risultanze del giudizio civile, salvo poi contraddittoriamente a ritenere che "nessun particolare rilievo
può essere attribuito al giudizio del giudice civile in ordine alla sussistenza degli elementi da porre a
base della configurabilità dei reati contestati".
Peraltro, il Tribunale sarebbe inspiegabilmente giunto alla conclusione di ritenere destituita di ogni
significato probatorio, senza adeguata motivazione in proposito, la consulenza tecnica di parte, che
aveva concluso nel senso che gli esiti della consulenza di ufficio non potevano fornire utili e certi
riscontri avendo i consulenti utilizzato una metodologia di rilevazione diversa e non coerente.
Neppure un cenno, in sentenza, sarebbe stato dato sul filmato, prodotto e visionato in udienza, a
seguito del quale era stato accertato non la tenuità ma l'assoluta imerpecettibilità dei rumori generati
dall'autolavaggio, con la conseguenza che, sulla base delle precedenti considerazioni, la motivazione
della sentenza impugnata deve ritenersi apodittica e lacunosa soprattutto con riferimento
all'affermazione secondo la quale l'utilizzo congiunto della macchina Master (spazzole rotanti autolavaggio) e della lancia (pompa d'acqua) avrebbe implicato un uso smodato dei mezzi tipici
dell'attività, senza alcuna spiegazione di tale presunta "smodatezza".
Invece, sulla base delle risultanze istruttorie, il Tribunale avrebbe dovuto giungere alla conclusione che
non era stato riscontrato il superamento dei limiti di accettabilità, in base ai criteri di valutazione
dell'impatto acustico- ambientale, con la conseguente non configurabilità del reato di cui all'articolo
659 del codice penale.
Quanto invece alla contestazione del reato di cui all'articolo 674 del codice penale, il ricorrente ricorda
come lo stesso tribunale del riesame di Perugia aveva escluso la consequenzialità tra il reato ipotizzato
e la presenza anomala ed eccezionale di zanzare, giungendo pertanto ad evocare il sequestro preventivo
dell'autolavaggio, sul decisivo rilievo della mancanza di un nesso causale di antigiuridicità.
Peraltro, dalla sentenza impugnata, risulta che il ricorrente ha provveduto alla disinfestazione della
zona, laddove le parti civili avrebbero documentato di essere stati attinti da punture di zanzare
affermando che dall'attività si origginassero nuvole di vapore mentre si era fornita la prova che
l'autolavaggio operava in base a tutte le prescritte autorizzazioni di legge, con conseguente
inconfigurabilità anche di tale reato.
Inesatta, infine, sarebbe l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo la quale ai fini
della prova non poteva prescindersi dal giudicato già formatosi in ordine ai fatti precedenti al marzo
2008, senza tenere conto di tutte le altre circostanze rilevate dalla difesa ed arricchite con altre prove
rispetto a quanto era stato in precedenza accertato, sicché la prima pronuncia non consentiva di ritenere
sovrapponibili i fatti accertati con quelli sub iudice.
2.1.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia l'erronea applicazione della legge penale (articolo
606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale) sul rilievo che, in ordine agli stessi fatti, la
Corte di cassazione aveva dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse e l'inammissibilità del ricorso
osservando che la fattispecie contestata, riferibile all'articolo 659 del codice penale, era depenalizzata.
In ogni caso, il Tribunale non ha tenuto conto che l'articolo 2, comma 2, lettera b), della legge delega
67 del 2014 avrebbe comunque previsto la depenalizzazione dell'inquinamento acustico.
2.2. Luciano De Vito affida il ricorso a tre motivi.
2.2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce l'inosservanza delle norme processuali (art. 606,
comma 1, lettera e), cod. proc. pen.) stante la genericità e l'indeterminatezza del capo di imputazione.
Assume come il Tribunale sia incorso in una grave violazione di legge, nonostante la difesa
dell'imputato avesse in diverse occasioni evidenziato la nullità del decreto di citazione a giudizio in
conseguenza della indeterminatezza del capo di imputazione.
Il Tribunale riteneva invece di non condividere la rimostranza sul rilievo che la contestazione, c.d.
aperta, sarebbe caratterizzata dalla presenza della dicitura "in poi", che rendeva precisa e comprensibile
l'imputazione, laddove l'indeterminatezza del capo di accusa aveva comportato, secondo il ricorrente,
un chiara violazione del diritto di difesa, in quanto l'imputato non era stato posto nelle condizioni di
conoscere, con certezza, i periodi temporali in cui si presume avesse violato la disposizione di legge.
2.2.2. Con il secondo motivo, lamenta la mancanza, la contraddittorietà e/o la manifesta illogicità della
motivazione (art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen.) sul rilievo che la presunta responsabilità
contestata al ricorrente (seppur con tutte le limitazione del caso in ordine alle sue qualità
rappresentative) deve ritenersi assolutamente non provata e, ad ogni modo, la motivazione che
giustifica tale colpevolezza appare decisamente mancante, contraddittoria nonché illogica.
Il Giudice di primo grado, pur correttamente ritenendo non sussistere alcuna responsabilità in capo
all'imputato per i periodi precedenti al 2011 (in quanto lo stesso, al tempo, era solo il realizzatore
dell'impianto e proprietario dell'area interessata), sarebbe incorsa in un grave errore di valutazione e di
logicità ritenendo lo stesso responsabile dal 25 luglio 2011.
Infatti, a partire da tale data, la LU.PA srl (di cui il ricorrente era amministratore) riprendeva
formalmente la gestione dell'autolavaggio ma non esercitava alcuna attività in tal senso.
Il Tribunale, in maniera presuntiva e senza alcun riscontro probatorio, avrebbe fatto coincidere la
"restituzione" della gestione avvenuta in data 25 luglio 2011 con la ripresa e l'esercizio dell'attività di
autolavaggio.
2.2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente denunzia la violazione di legge per la mancata assunzione di
una prova decisiva (art. 606, comma 1, lettera d), cod. proc. pen.).
Sottolinea che il Tribunale, nel valutare la sussistenza del disturbo (la cui valutazione deve essere
effettuata con criteri oggettivi riferibili alla "media sensibilità delle persone che vivono nell'ambiente
ove i rumori vengono percepiti"), avrebbe posto in essere un vero e proprio travisamento dei fatti,
omettendo di valutare elementi probatori decisivi erroneamente definiti di "scarso rilievo".
La censura si riferisce alle dichiarazioni rilasciate dai sig. Franco Venarubea, Patrizia Bargellini,
Roberto Ciocca (pubblico ufficiale), Tudose e Bildea, Ombretta Farina e Franco Angeloni (pubblico
ufficiale) che avevano affermato, secondo il ricorrente, di non aver mai subito disturbi e/o fastidi
dall'attività di autolavaggio posta in essere dalla GI.SA srl.
3. Giovanni Ciampa ha prodotto, ai sensi dell'articolo 612 del codice di procedura penale, richiesta di
sospensione dell'esecuzione conseguente alla provvisionale liquidata dal Tribunale in favore delle
costituite parti civili lamentando che dall'esecuzione deriverebbe un danno grave e irreparabile nei
confronti del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati e talune censure devono ritenersi, come sarà chiarito in seguito, ampiamente
inammissibili.
2. Il primo motivo del ricorso De Vito, all'evidenza pregiudiziale per il carattere processuale della
censura, è privo di fondamento.
Il Tribunale ha chiarito che la contestazione cd. aperta (per avere il ricorrente gestito personalmente
l'impianto dal 25 luglio 2011 in poi) non comporta pregiudizi al diritto di difesa, vertendosi in tema di
contestazione relativa ad un reato permanente e dovendosi intendere il momento conclusivo della
contestazione nella cessazione della permanenza che, nel caso di specie, il tribunale ha individuato
nella conclusione dell'attività dell'impianto avvenuta, per quanto emerso dalle deposizioni testimoniali,
negli ultimi mesi del 2012.
Nel pervenire a tale approdo, il Tribunale ha operato correttamente perché, nei reati permanenti, la
contestazione cd. "aperta" è consentita dalla natura stessa dell'illecito il quale, inquadrabile nei reati di
durata, comporta che la cessazione della permanenza si verifica quando l'autore del reato desiste dal
suo comportamento antigiuridico, ovvero quando il perdurare della condotta criminosa non è più
possibile per l'intervento dell'autorità o perché è venuto meno l'oggetto materiale del reato ovvero per
altra causa.
Ne consegue che non è consentito presumere, nei reati permanenti a contestazione aperta, che la
permanenza cessi automaticamente e soltanto al momento della pronuncia della sentenza di condanna
in primo grado, anche quando, a causa degli effetti giuridici che la cessazione della permanenza può
comportare (in tema di successione di leggi penali, indulto, amnistia, prescrizione), il momento
consumativo del reato può precedere l'emanazione della sentenza di condanna.
Nel caso in esame, né il pubblico ministero, con la contestazione ed il suo aggiornamento
dibattimentale, né il Giudice, con la sentenza, hanno presunto ciò: il pubblico ministero perché, al
cospetto di un reato in cui ha ritenuto non cessata la permanenza, ha lasciato aperto l'accertamento del
momento consumativo, non ancorandolo alla pronuncia di condanna e con ciò implementando e non
comprimendo le facoltà difensive; il Giudice perché ha accertato la cessazione della condotta
antigiuridica ad una data ampiamente anteriore alla pronuncia della sentenza.
Ne deriva che, in tema di reato permanente, la contestazione cosiddetta "aperta", ovvero senza
indicazione della data di cessazione della condotta illecita, non rende per ciò solo indeterminato il capo
di imputazione e non comporta una compressione del diritto di difesa, fermo restando che la
permanenza non può considerarsi cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado, nel senso che
non ricade sull'imputato l'onere di dimostrare, a fronte di una presunzione contraria derivante
esclusivamente dall'impostazione dell'accusa, la cessazione dell'illecito prima della data della condanna
di primo grado cosicché, qualora debba farsi dipendere un qualsiasi effetto giuridico dalla data di
cessazione della permanenza, non è sufficiente il riferimento alla data della sentenza di primo grado,
ma occorre verificare se il giudice di merito abbia o meno ritenuto, esplicitamente o implicitamente,
provata la permanenza della condotta illecita oltre la data dell'accertamento e, eventualmente, se abbia
ritenuto provato il protrarsi della condotta criminosa fino alla data della sentenza di primo grado (Sez.
5, n. 25578 del 15/05/2007, Sinagra, Rv. 237707).
Nel caso di specie, il ricorrente non si è doluto del fatto che dalla data di cessazione della permanenza
sarebbe derivato un effetto giuridico favorevole nei suoi confronti ma si è solo lamentato, a torto, della
genericità ed indeterminatezza di capo di imputazione, con la conseguenza che la doglianza deve
ritenersi infondata.
3. Il primo motivo del ricorso Cianfa ed il secondo ed il terzo motivo del ricorso De Vito, essendo tra
loro connessi, possono essere congiuntamente esaminati.
3.1. Essi, in larga parte non autosufficienti e non consentiti, sono inammissibili anche per la manifesta
infondatezza e per aspecificità non prendendo precisa posizione nei confronti della motivazione della
sentenza impugnata.
3.2. Il Tribunale, sulla base delle deposizioni testimoniali, ha dato ampiamente conto, con logica ed
adeguata motivazione, delle anomalie dell'impianto di autolavaggio.
Il Sindaco del Comune di Poggio Mirteto, con ordinanza n. 43 del 2009, aveva imposto alla GI.SA., in
persona del legale rappresentante, la prescrizione di espletare l'attività di autolavaggio secondo
modalità che impedissero emissioni di rumore per una durata superiore a 30 minuti consecutivi e con
una pausa non inferiore a 30 minuti.
Il responsabile Dipartimento di Prevenzione A.S.L. del comune Poggio Mirteto, con riferimento al
profilo di immissione di vapori, e i tecnici incaricati dell'ARPA LAZIO nel 2010 e nel 2012 avevano
espresso parere negativo di impatto acustico, che portò al provvedimento di divieto dell'esercizio
dell'attività di autolavaggio in data 27 settembre 2012 dell'Unione di Comuni della Bassa Sabina ed
infine, poco dopo, alla chiusura dell'impianto.
Con riferimento al quale è emerso, sulla base delle deposizioni testimoniali e l'esame dei consulenti,
che era stato realizzato dal De Vito.
Ai fini della prova, il Tribunale ha ritenuto come non potesse prescindersi dal giudicato già formatosi
in ordine ai fatti precedenti al marzo 2008 ed ha fatto riferimento alle dichiarazioni dei testimoni
escussi in ordine al tipo di attività, agli orari nei quali è stata svolta, alla concreta udibilità dei rumori
ed al tipo di rumori prodotti, corroborate dai riscontri tecnici.
3.3. Quanto alle deposizioni dei testimoni a discarico e alle dichiarazioni di alcuni degli abitanti gli
appartamenti situati sull'edificio sovrastante l'autolavaggio, il Tribunale ha rilevato come le stesse
fossero di scarso rilievo probatorio in quanto riferite ad un punto di ascolto sito ad oltre 100 metri dalla
fonte di rumore o, per le restanti deposizioni, condizionate dallo stretto rapporto intercorrente con uno
degli imputati, di cui erano affittuari o prossimi congiunti.
Nessun particolare rilievo dirimente il Tribunale ha infine attribuito al giudizio civile, in ordine alla
sussistenza di elementi da porre, ad avviso delle difese, a base della configurabilità di entrambi i reati
contestati, atteso che tale giudizio è stato emesso per fini diversi rispetto all'oggetto del procedimento
penale e secondo principi e criteri da circoscrivere all'ambito civilistico, ma soprattutto per il fatto che
il Giudice civile era in possesso di elementi parziali e privi dei successivi riscontri pervenuti durante il
dibattimento.
3.4. Da ciò consegue che, contrariamente a quanto lamentano i ricorrenti, il Tribunale ha tenuto conto
delle deposizioni a discarico, motivatamente disattendendole, anche in considerazione del'accertamento
dibattimentale costituito da prove documentali e dai rilievi tecnici, oltre che dalle deposizioni delle
persone offese, pienamente corroborate dagli accertamenti investigativi e tecnici; ha compiuto un
accertamento pieno iure con acquisizione di elementi probatori del tutto sconosciuti dal giudice civile,
con la conseguenza che l'esito di quel giudizio, peraltro cautelare, non poteva in alcun modo
condizionare il giudizio penale; ha desunto dalle deposizioni testimoniali che l'attività era cessata negli
ultimi mesi del 2012, cosicché dal 2011, ossia dalla data della contestazione al De Vito, l'attività era
necessariamente ripresa.
3.5. Da ciò consegue che, con congrua motivazione priva di vizi di manifesta illogicità, il Tribunale ha
ritenuto provato che il funzionamento della macchina "Master" e della lancia determinò immissioni
sonore fluttuanti tra un minimo ed un massimo con punte di ingravescenza insopportabili, percepite
con maggiore intensità proprio negli orari dedicati al riposo ed alle feste, che avevano gravemente
disturbato, sino a condizionare le abitudini ed a risentirne in fatto di salute, le occupazioni ed il riposo
delle persone offese e dei loro familiari, come riferito nelle deposizioni testimoniali.
E' stato pertanto integrato pienamente il reato il comma 1 e non il comma 2 dell'art. 659 cod. pen., che
non è stato peraltro inserito nella legge di depenalizzazione.
3.6. Quanto al reato di cui all'art. 674 cod. pen., il Tribunale ha premesso che - se per un verso i gestori
dell'autolavaggio erano titolari di autorizzazione all'immissione nella pubblica fognatura delle acque di
prima pioggia rilasciata dal Comune di Poggio Mirteto in data 24 maggio 2003 in virtù di parere
favorevole USL di Rieti in data 14 maggio 2003 rilasciato in base alla relazione di analisi prodotta dai
gestori che attestava l'assenza di parametri inquinanti oltre i limiti di legge - va rimarcata, dall'altro, la
violazione dell'obbligo di adeguamento alla prescrizione data nel parere della USL di mantenere in
efficienza gli impianti in modo da non inquinare e rispettare la normativa di cui al D.Lgs. 11 maggio
1999 n.152, la cui violazione è stata accertata dalle rilevazioni dell'ARPA LAZIO in data 22 agosto
2006. Analogo accertamento risulta effettuato in data 17 aprile 2014, quando è stata riscontrata negli
scarichi la presenza di sostanze pericolose, di cui all'elenco delle tab. 5 del D.Lgs. 22 gennaio 2006, n.
152, ossia rame, in misura eccedente i limiti ed anche sostanze non pericolose di cui alla tab. 3 del
medesimo decreto in misura eccedente i limiti (tensioattivi, ferro).
Quanto alla quantità ed intensità delle emissioni, il Tribunale ha dato atto che le persone offese hanno
documentato con fotografie e descritto nuvole di vapore misto a detersivo e residui che si riversavano
nell'atmosfera circostante sino a raggiungere le loro proprietà. Inoltre, a seguito di ispezione, l'ASL
aveva rilevato la presenza di zanzare anche nelle abitazioni delle persone offese (di cui alle foto
acquisite agli atti), attribuendola, a titolo di concausa, all'autolavaggio, con ciò dando conto di un
fenomeno di diffusione di vapori dall'impianto in atto. Del resto era stata suggerita nell'occasione,
come in altre durante i vari sopralluoghi di tecnici e consulenti succedutesi nel tempo, l'esecuzione di
lavori (mai eseguiti) di adeguamento con pannelli idonei ad impedire dispersione di sostanze
nebulizzanti.
Sulla base di ciò è stata affermata la responsabilità di entrambi i ricorrenti (per il Cianfa per aver
gestito l'impianto dal marzo 2008, quanto meno sino al 25 luglio 2011, quando la gestione è stata
restituita al De Vito, che pertanto è stato ritenuto responsabile, come in precedenza anticipato, a far
data da tale momento), sul condivisibile rilievo che il reato di cui all'art. 674 cod. pen. è integrabile
indipendentemente dal superamento dei valori limite di emissione eventualmente stabiliti dalla legge,
in quanto anche un'attività produttiva di carattere industriale autorizzata può procurare molestie alle
persone, per la mancata attuazione dei possibili accorgimenti tecnici (Sez. 3, n. 15734 del 12/02/2009,
Schembri, Rv. 243387).
3.7. Ne consegue che, al cospetto di una motivazione corretta, nella quale non è riconoscibile alcuna
lacuna argomentativa o vizio di illogicità manifesta, le doglianze del ricorrenti si risolvono
sostanzialmente in censure fattuali tendenti a sostenere un'interpretazione alternativa dei fatti, preclusa
in sede di legittimità.
Sul punto, va ricordato che il vizio di motivazione, che risulti dal testo del provvedimento impugnato o
da altri atti del processo specificamente indicati (e, nel caso di specie, neppure sempre segnalati in
modo autosufficiente), in tanto sussiste se ed in quanto si dimostri che il testo del provvedimento sia
manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non invece quando si opponga alla logica
valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto
logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621).
Infatti, come più volte affermato da questa Corte, l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo
della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato al giudice di legittimità
essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato
argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza
delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento,
esulando dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza
che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più
adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone ed altri,
Rv. 207944), con la specificazione che l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve
essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di
legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime
incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente
confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché le ragioni del
convincimento siano spiegate in modo logico e adeguato (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv.
214794; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
4. Il secondo motivo del ricorso Cianfa è infondato.
La Corte ha già affermato che, in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, il reato
di cui all'art. 659 cod. pen. non può ritenersi abrogato per effetto della legge 28 aprile 2014 n. 67, posto
che tale atto normativo ha conferito al Governo una delega, implicante la necessità del suo esercizio
per la depenalizzazione di tale fattispecie e che, pertanto, quest'ultima, fino alla emanazione dei decreti
delegati, non potrà essere considerata violazione amministrativa (Sez. 3, n. 23944 del 17/03/2015,
Casartelli, Rv. 263647).
Come in precedenza anticipato, infatti, la delega non è stata esercitata in parte qua ed il reato di cui
all'art. 659 cod. pen. non è stato pertanto depenalizzato.
5. Il rigetto del ricorso esclude che la Corte debba delibare sulla richiesta di sospensione
dell'esecuzione della condanna connessa agli interessi civili.
Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione di quelle del
grado in favore delle parti civili liquidate come da pedissequo dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché, in solido, alla
rifusione delle spese del grado in favore delle costituite parti civili Melillo Leonardo, Mattei Bruno in
proprio e nella qualità, Mattei Elena, Tagliaferri Angelo, che liquida complessivamente in euro 3.500,
oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso il 11/05/2016