28_L`Africa - Medusa Editrice

Transcript

28_L`Africa - Medusa Editrice
MATTEO SPERADDIO, In Prima Pagina
© Medusa Editrice 2016 – Seconda Edizione - Espansione on line
28
Dossier L’Africa
La colonizzazione
L’Africa è rimasta un continente sostanzialmente sconosciuto
fino alla seconda metà dell’Ottocento. Il grande deserto del
Sahara impediva la penetrazione da nord, le coste in genere alte
del versante occidentale impedivano insediamenti costieri,
l’estensione delle foreste ostacolavano la penetrazione
all’interno.
Prima del XIX secolo, le colonie europee comprendevano solo
pochi centri isolati occupati da Olandesi e Portoghesi; nei primi
anni dell’Ottocento ci furono poi alcune conquiste francobritanniche, mentre il grosso della colonizzazione avvenne dopo
il 1870, quando cominciò una vera corsa alla colonizzazione
dell’Africa.
La spartizione dell’Africa
Per evitare conflitti la Conferenza di Berlino (1884-85) cercò di
regolamentare l’occupazione del continente riconoscendo delle
zone di influenza alle maggiori potenze europee e negli anni
seguenti furono firmati numerosi trattati di spartizione.
Si formarono così due grandi aree di colonizzazione, una inglese
(Egitto, Sudan, Uganda, Kenya, Rhodesia, Unione sud-africana,
Nigeria, Gambia, Sierra Leone) e l’altra francese (Marocco,
Algeria, Tunisia, Africa occidentale francese, Africa equatoriale
francese, Madagascar).
Oltre a Francia e Inghilterra erano presenti in Africa anche
Portoghesi (Mozambico e Angola), Belgi (Congo belga),
Spagnoli e, più tardi, anche Tedeschi e Italiani (Libia, Eritrea,
Somalia e, successivamente, Etiopia).
Le spartizioni riflettevano gli interessi dei paesi colonizzatori e i
confini erano spesso tracciati con la matita sulla carta
geografica, tenendo in pochissimo o in nessun conto l’unità delle
varie etnie.
Unici Stati indipendenti dell’Africa restarono la Liberia e
l’Etiopia; quest’ultima fu poi aggredita e conquistata nel 1936
dall’Italia.
1
MATTEO SPERADDIO, In Prima Pagina
© Medusa Editrice 2016 – Seconda Edizione - Espansione on line
Gli Stati europei praticarono politiche coloniali diverse, ma
alcuni elementi erano comuni a tutti: lo sfruttamento
economico, il controllo amministrativo e quello militare erano
saldamente nelle mani degli europei e il rispetto per le culture
locali fu quasi inesistente.
La decolonizzazione
Le prime spinte alla decolonizzazione si ebbero dopo la prima
guerra mondiale in Africa meridionale e nei territori a nord del
Sahara, abitati da popolazioni arabe. Sudafrica ed Egitto
ottennero allora l’autonomia nell’ambito del Commonwealth
britannico.
I movimenti per l’indipendenza ripresero forza dopo il secondo
conflitto mondiale soprattutto nei paesi arabi e culminarono
nella rivoluzione egiziana del 1952 e nella lunghissima guerra
d’Algeria (1954-1962).
Nell’Africa nera si susseguirono varie insurrezioni, che non
ebbero successo perché mal organizzate. Le potenze coloniali
avvertirono però il pericolo e avviarono un processo di
decolonizzazione pacifica, favorendo un ricambio dei quadri
dirigenti europei con quadri dirigenti africani formati in Europa.
I movimenti per l’indipendenza però non si arrestarono e,
partendo dal Ghana nel 1957, si estesero prima all’Africa
francese e poi a quella inglese. La secessione del Katanga dallo
Zaire, nel 1961-63, costituì uno dei conflitti più duri sulla strada
dell’indipendenza degli Stati africani.
Il processo si può considerare concluso nel 1970, dopo solo dieci
anni, quando anche le colonie portoghesi raggiunsero
l’indipendenza. Il potere bianco resisteva solo in Sudafrica, dove
fu instaurato un duro regime di apartheid durato fino al 1993.
Il sogno panafricano
L’ideale che animava allora i giovani paesi che stavano
nascendo dai movimenti di indipendenza era il panafricanismo,
cioè il tentativo di realizzare l’unità politica del continente
africano, basata sul recupero della cultura nera soffocata dal
colonialismo.
L’ideale politico del panafricanismo si sposava con il tentativo di
recuperare la negritudine, cioè l’insieme dei valori culturali della
civiltà nero-africana, tentativo condotto dal poeta e uomo
2
MATTEO SPERADDIO, In Prima Pagina
© Medusa Editrice 2016 – Seconda Edizione - Espansione on line
politico senegalese Léopold Sédar Senghor e dal martinicano
Aimé Césaire.
Il panafricanismo trovò uno sbocco politico concreto alla fine
degli anni Cinquanta, quando il presidente del neonato Stato del
Ghana promosse ad Accra una conferenza di Stati e movimenti
africani che doveva portare in pochi anni alla nascita, nel 1963,
dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA).1
Il sogno di fondare gli Stati Uniti dell’Africa è sostanzialmente
fallito perché hanno prevalso le spinte al separatismo regionale,
favorite dalla cronica instabilità dei giovani Stati indipendenti,
che non sono ancora riusciti a trovare un equilibrio tra i valori
della negritudine e quelli dell’eredità coloniale.
La guerra fredda e la divisione degli africani
Durante il periodo della guerra fredda, i giovani Stati si sono
divisi tra filosovietici e filoccidentali, portando un altro elemento
di divisione nel continente. Gli Stati filoccidentali sono rimasti in
genere legati alle ex potenze coloniali, conservando una
dipendenza economica da tali Stati, pur avendo raggiunto
l’indipendenza politica; tale rapporto è stato giustamente
definito neocolonialismo.
Gli Stati filosovietici (Guinea, Tanzania, Ghana, Egitto, Mali,
Congo, Algeria) hanno tentato la soluzione socialista, ma questi
tentativi rivoluzionari si sono presto trasformati in dittature
individuali o in sistemi a partito unico.
In un caso e nell’altro si è trattato di un fallimento, che ha
ritardato o ha reso impossibile il decollo economico degli Stati
africani, facendo dell’Africa il continente più povero del pianeta.
Ancora oggi il continente è molto instabile dal punto di vista
politico e continua ad essere caratterizzato dall’organizzazione
politica dell’epoca coloniale:
 ci sono ancora le frontiere delle vecchie colonie;,
 c’è ancora una frattura tra paesi francofoni e paesi anglofoni;
 c’è ancora una zona in cui si usa il franco come moneta;
1
L’organizzazione per l’Unità Africana è stata costituita nel 1963 ad Addis Abeba per rafforzare
l’unità politica e la cooperazione di tutti gli Stati africani, nel rispetto del principio di non ingerenza
negli affari interni e di intangibilità dei confini ereditati dall’epoca coloniale. In base a questi
principi il Sudafrica vi è entrato solo nel 1994 dopo la fine dell'apartheid e il Marocco ne è stato
escluso nel 1984 per aver annesso dei territori del Sahara occidentale.
3
MATTEO SPERADDIO, In Prima Pagina
© Medusa Editrice 2016 – Seconda Edizione - Espansione on line
 è stata spesso conservata l’organizzazione economica tipica
delle colonie fondata sulla monocultura e sullo sfruttamento
delle risorse minerarie.
Un continente dilaniato
Insomma gli Stati africani, diventati indipendenti, non sono
riusciti a sistemare le frontiere in modo da salvaguardare l’unità
e l’autonomia delle varie componenti etniche, non sono riusciti
a garantire i diritti civili degli abitanti, non sono riusciti a
mediare tra i vari particolarismi tribali.
Risultato: ci sono stati numerosi conflitti etnici, molte rivolte,
molti colpi di stato.
Su 48 Stati africani, più della metà sono afflitti dalla guerriglia,
da conflitti etnici o religiosi, dalla presenza di dittature.
Il perdurare di questi conflitti dà all’esterno l’impressione di un
caos ingovernabile e ha provocato anche una riduzione dei
sostegni allo sviluppo, che ormai assumono sempre più spesso
solo la forma di interventi umanitari per aiutare i profughi di
guerre e guerriglie, per salvare i bambini che rischiano la morte
per fame, per far fronte alle carestie, per fronteggiare le gravi
emergenze sanitarie rappresentate dall’Aids, dal colera,
dall’ebola, da malattie infettive altrove scomparse.
Alcuni segnali di sviluppo e di stabilità
Tutto negativo allora? No, fortunatamente l’Africa non è solo
questo, anche se l’immagine prevalente che ci giunge attraverso
i media è proprio questa.
È vero che il continente ha sofferto e soffre a causa delle guerre,
dell’instabilità politica, delle carestie; è vero che le statistiche
sulla crescita economica, sulle malattie, sull’istruzione,
sull’alimentazione sono estremamente sconfortanti; ma è anche
vero che le statistiche non permettono di distinguere tra
fallimenti e successi e che, accanto a paesi instabili e inquieti,
ci sono anche paesi che sono modelli di stabilità e di sviluppo.
Notevoli progressi economici sono stati compiuti da Costa
d’Avorio, Uganda, Mali, Togo, Lesotho, che negli ultimi anni
hanno fatto registrare tassi di crescita elevati. C’è il Botswana
che, tra il 1970 e il 1995, ha fatto registrare una crescita
economica media del 7,3%, una crescita record per cui è
4
MATTEO SPERADDIO, In Prima Pagina
© Medusa Editrice 2016 – Seconda Edizione - Espansione on line
secondo nel mondo solo alla Corea del Sud. Tutta l’area del
franco africano ha inoltre visto un notevole aumento delle
esportazioni a partire dal 1994.
La difficoltà di questi paesi è quella di far crescere l’economia,
investendo molte risorse in infrastrutture per richiamare gli
investimenti privati e continuando, nello stesso tempo, ad
investire molto nella sanità di base e nell’istruzione.
Aggregazioni intorno a potenze regionali?
La fine della guerra fredda ha portato al ritiro degli Usa e
dell’URSS dall’Africa e sta determinando il disimpegno graduale
della Francia, che è la principale potenza neo-coloniale ancora
presente nel continente africano. Negli ultimi anni, si è
registrata una sempre maggiore presenza della Cina, che però
non è mai stata una potenza coloniale; probabilmente i cinesi
mirano a penetrare nei mercati africani, dove i loro prodotti a
basso costo sono molto apprezzati.
Dopo il ritiro degli occidentali, si stanno formando alcune
aggregazioni regionali, spesso intonro a un paese che tende ad
assumere un ruolo-guida.
Un potenza regionale sta diventando il Sudafrica che, dopo la
fine dell’apartheid e la riconciliazione nazionale tra bianchi e
neri, si sta proponendo come un modello di sviluppo civile oltre
che economico, esercitando una certa attrazione sulla Namibia,
sul Botswana, sul Mozambico.
Una seconda aggregazione regionale sta per formarsi forse
anche nel centro dell’Africa nera tra Congo (ex Zaire), Uganda,
Ruanda e Burundi.
Una terza potenza regionale sembra si stia formando anche
attorno alla Nigeria nella parte occidentale a sud del Sahara.
L’Africa del Nord e mediterranea, isolata dal resto del continente
dal Sahara, è stata scossa dalla “primavera araba” ed è molto
instabile a causa del perdurare della guerra civile in Libia (vedi
cap. 29).
L’affermarsi di queste potenze regionali potrebbe diventare nei
prossimi anni l’elemento risolutivo per evitare la balcanizzazione
dell’Africa (divisione in piccoli Stati in lotta fra di loro).
La crisi degli Stati nati dalla decolonizzazione e l’affermarsi di
5
MATTEO SPERADDIO, In Prima Pagina
© Medusa Editrice 2016 – Seconda Edizione - Espansione on line
istituzioni sovranazionali potrebbero favorire la soluzione dei
molti conflitti etnici che travagliano il continente. La formazione
di diverse confederazioni potrebbe essere la via maestra per
restituire veramente l’Africa agli africani e per imboccare la via
dello sviluppo.
È presto per dire se si tratta di una tendenza reale, di un
progetto politico coltivato da alcuni Stati o solo di una speranza.
In una situazione con molte ombre e poche luci come quella
africana, anche una speranza conta però molto.
Lavoriamoci su
1. Perché la colonizzazione dell’Africa è cominciata solo nella
seconda metà dell’Ottocento?
2. Quali paesi europei hanno colonizzato l’Africa? Quali sono i
due paesi che facevano la parte del leone?
3. Che cosa è successo durante il periodo della «guerra
fredda»?
4. Qual è la tendenza attuale?
6