E. Bordignon, Evgeny Antufiev. Dodici, legno, delfino, coltello

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E. Bordignon, Evgeny Antufiev. Dodici, legno, delfino, coltello
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Evgeny Antufiev ✍ Dodici, legno, delfino,
coltello, ciotola, maschera, cristallo, ossa e
marmo
EVGENY ANTUFIEV ✍ DODICI, LEGNO,
DELFINO, COLTELLO, CIOTOLA,
MASCHERA, CRISTALLO, OSSA E
MARMO
Breve intervista all’artista Evgeny Antufiev, in occasione della sua mostra ‘Twelve, wood, dolphin, knife, bowl, mask, crystal,
bones and marble – fusion. Exploring materials’, ospitata dal 17 Febbraio al 31 luglio alla Collezione Maramotti.
ATP: Già dal titolo della tua mostra, ‘Twelve, wood, dolphin, knife, bowl, mask, crystal,
bones and marble – fusion. Exploring
materials’, si intuisce il tuo interesse per l’utilizzo di un ampia quantità di materiali diversi e imprevedibili. Mi racconti com’è
nato il progetto per la Collezione Maramotti?
Evgeny Antufiev : Uno degli elementi chiave della mostra è il delfino. L’ho studiato per molto tempo. Ho guardato documentari
e sono andato diverse volte in un delfinario. I delfini sono creature incredibili: hanno una forma unica e ipnotizzante. Come mi
dice spesso uno dei miei amici, sembra che i delfini siano pieni di botox invece che di sangue. Mia sorella mi ha consigliato
di vedere una serie di programmi per bambini per studiare gli ultrasuoni. Sto studiando da molto tempo le loro varie forme di
espressione e sono molto affascinato dal loro linguaggio; sembra che siano in grado di parlare con gli angeli. Per la
Collezione Maramotti ho fatto una serie di opere in legno. Mi sono anche iscritto a un corso di intaglio (è la prima volta che
lavoro questo materiale) ma sono fuggito dopo poche lezione perché era troppo noioso. In più i miei compagni di corso
sorridevano per quello che stavo realizzando. Abbiamo scherzato molto sul fatto che queste opere dovevano essere per un
museo e penso che ora sarebbero molto sorpresi di sapere che è proprio così.
ATP: Le opere che crei sono interamente costruire dalle tue mani, ed è per questo motivo che spesso la realizzazione di
un’opera ti richiede molto tempo. Il lungo periodo che ti stai trascorrendo a Reggio Emilia per la preparazione della mostra ne
è la prova. Vivi nello spazio della mostra e costruisci le tue opere di conseguenza. Quanto è importante, nella tua pratica
artistica, l’aspetto processuale o rituale?
EA: Naturalmente ogni lavoro ha un aspetto del rituale che comporta un sacrificio particolare. Mi piace la sensazione che ho
quando il lavoro mi trascina… è emozionante. Come posso spiegare questa delizia? Mi capita spesso di lavorare di notte e
pensare che in quel momento il corpo stia cambiando,come un pezzo di ghiaccio che si scioglie al sole… Ma questi
cambiamenti sono dolci.
ATP: Cosa ritieni sia importante nel processo di produzione artistica?
EA: Questa è una domanda complessa. Risponderò in poche parole: ognuno sceglie le proprie regole. Io ho scelto la
simmetria, la legge di similitudine e l’uso di materiali unici.
ATP: Nelle tue opere unisci un immaginario assolutamente contemporaneo con elementi tratti dalle tradizioni antropologiche
della tua terra d’origine, la Siberia. Perché questa scelta di unire delle visioni così lontane, non solo geograficamente?
EA: Sono affascinato da questo. Mi piacerebbe guardare indietro e vedere il mondo con gli occhi dei popoli indigeni della
Siberia, dove lo scorrere dell’acqua era il flusso delle lacrime di un gigante, e le stelle erano gli occhi di innumerevoli
demoni. Tale percezione è un modo per superare l’illimitatezza del mondo, fargli assumere una diversa forma.
ATP: Perché hai la sensazione che ‘l’antica, misterica sacralità dell’immagine abbia perso la sua sacralità? In che modo, le tue
opere cercano di far riflettere su questa perdita?
EA: Io lo faccio il mio lavoro con molta attenzione, in modo da non diventare un etnografo. Tutto quello che sto facendo in
primo luogo riguarda la mia esperienza personale, la mia mitologia personale. Mi piace lavorare con il materiale: potrei
trascorrere anche un anno per realizzare gli ornamenti e le decorazioni di un coltello. Queste cose sono di grande fascino per
me.
ATP: Introduci la mostra con una citazione: “In the wake of the general collapse of the space of myth, the knowledge of myth
becomes the basis for creativity and the perception of reality.” Mi racconti la tua idea di ‘mito’? A cosa ti riferisci in
particolare?
EA: Bella domanda. Mi interessa molto l’eredità delle antiche credenze nella cultura pop. Dopo tutto, gli dei, i demoni, gli eroi
erano pop star del passato. Sono molto interessato a questo senso di trasformazione perpetua.
ATP: “Un labirinto di ossa, legno, cristallo, tessuto, pelle di serpente, fumo, ferro meteorico.” Ci sono due elementi che vengono
ripetuti spesso nel testo che accompagna la mostra: il corpo e il labirinto. Mi racconti l’importanza che hanno questi due
elementi per te?
EA: In realtà è un elemento. Perché il corpo è un labirinto in cui possiamo vagare all’infinito. A volte penso che l’universo è un
vasto corpo della galassia. Quando cerchiamo di immaginare queste cose sentiamo le vertigini. Come mi sento al pensiero
dell’immortalità del Corpo/labirinto… Chissà che cosa vaga nei suoi vicoli ciechi, che mostro sta a guardia dell’uscita?
ATP: Per descrivere le tue mostre si usa spesso l’espressione: ‘wunderkammer interiore’. Pensi ci sia una relazione tra le tue
opere e le ‘camere delle meraviglie’ del XVI – XVII secolo?
EA: So che è una pessima idea. In Russia abbiamo una tradizione di raccolta degli oggetti leggermente diversa. Ma a quanto
pare è vero. Ero un bambino affascinato dalle cose uniche che possono disvelare il mondo. La collezione è un modo di
smontare l’universo nei suoi singoli componenti. Questo è un modo di trasformare la realtà. Sono sempre stato interessato a
questo metodo.
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M’è dato un corpo – che ne farò io di questo dono così unico e mio?
Osip Mandel’štam
Quando lo spazio del mito collettivo è collassato, la conoscenza personale è divenuta la base della formazione e della
concezione della realtà. Ma, nonostante il mito sia morto, il suo corpo, le sue ossa si sono conservate e adesso si offrono
anche come materiale da costruzione delle realtà artificiali, così come alcune tribù del nord costruiscono le proprie abitazioni
con le ossa delle balene. La conoscenza si difende sempre dalla realtà perché, per quanto solida sembri, la realtà è per sua
natura fragile.
Ora la conoscenza mitologica non è tanto la forma di superamento (per quanto immaginario) della non conoscenza, ma
piuttosto il mezzo per immergersi in essa senza dolore, la creazione di un proprio modello di esistenza protetto. Esistono
numerosi mezzi per difendersi dalle perdite, dalle aggressioni e dai cambiamenti, ma il pericolo può essere totalmente
scongiurato solo se l’intera vita e lo spazio circostante vengono organizzati in modo coerente.
È necessario accogliere le ossa del mito all’interno della propria carne, inglobarle nel proprio scheletro, per poterne avvertire
appieno l’impatto radioattivo. Questo determina una peculiarità nei rapporti con lo spazio e con la materia.
Lo spazio si restringe fino a coincidere con le dimensioni del proprio corpo, all’interno
del quale avvengono processi che
suscitano timore. Tutto ciò che ci circonda si trasforma, poiché il primo passo è un cambiamento di ottica, un cambiamento di
percezione, non si può guardare il sole senza occhiali scuri, è stupido guardare alla realtà senza essersi strappati gli occhi e
averli sostituiti con quelli del saggio rettile. Il passo successivo è la trasformazione del corpo, l’annullamento del confine tra il
corpo e la realtà. Le divinità e i demoni dell’antichità conoscevano perfettamente questo procedimento, non a caso dai loro
corpi prostrati sono nati i soli e le stelle, gli animali e gli umani, intere realtà e regni sotterranei.
In psichiatria (per quanto possa essere banale fare appello all’esperienza di questa disciplina), si riportano casi in cui i
pazienti riferiscono che i loro corpi contengono “tutte le cose del mondo” o determinati gruppi di oggetti. Il corpo diventa
“permeabile”, “morbido”, si avvolge di oggetti e di sensi, come i molluschi fanno con le perle. Mossi da un forte desiderio, è
possibile estrarre questi oggetti che brillano di luce perlacea (il prodigio della materializzazione).
Proprio in virtù di questo, ascoltare i pareri degli spettatori e dei critici per l’artista è straziante tanto quanto ascoltare la
disamina degli organi interni estratti dal corpo durante l’autopsia (il cuore ha un bell’aspetto, ai polmoni manca la forza di
persuasione, la trachea sembra troppo commerciale). Per di più, alcuni singoli lavori non suscitano altra sensazione se non un
rigetto che incute spavento (cosa fanno gli organi fuori dal mio corpo?). Quindi, il compito non consiste nell’estrarre i singoli
organi, ma nel sezionare il corpo e nel rovesciarlo come un guanto affinché tutto il contenuto del microcosmo si riveli al
mondo esterno.
Per l’artista tutto ciò che esiste rappresenta un materiale. Lev Tolstoj scriveva che per lui in traduzione non è importante la
fedeltà, in traduzione è importante solo il senso, quindi è inutile cercare testi fedeli tradotti da lui. Egli si è rivolto alla parola
altrui come a un albero informe dal quale ha estratto la forma a lui necessaria. Il materiale non è necessariamente solo fisico.
Una parola, un concetto, qualsiasi cosa, possono essere materiali. L’artista può inglobare tutto questo anche nel proprio corpo.
Sostituire gradualmente i propri organi
“di carne” con organi più compiuti. Tutta la vita è dedicata alla ricerca di connessioni
misteriose, non è possibile scegliere alla cieca. I materiali devono possedere corrispondenze interne. Come nelle favole russe,
dove il pettine fermacapelli, gettato dietro la spalla sinistra, si trasforma in un bosco e il fazzoletto in un lago. È del tutto
evidente che il pettine fermacapelli non può trasformarsi in un lago o il fazzoletto in un bosco. La somiglianza è una delle
leggi più importanti del mito.
È una strada pericolosa – il corpo simbolico si propaga, i semplici principi alla base della connessione non funzionano più, è
necessario trovarne sempre di nuovi; a un certo momento i collegamenti diventano così sottili da ricordare una finissima
ragnatela.
La mia forma preferita di percezione dell’informazione è il labirinto, con le sue strade che si moltiplicano all’infinito e i suoi
improvvisi vicoli ciechi. Probabilmente, questa mostra è anche un labirinto simile, fatto di ossa, di legno, di cristalli, di tessuto,
di pelle di serpente,
di fumo, di ferro di meteorite. Sulle pareti del labirinto sono incise citazioni dai classici della letteratura
russa che indicano il percorso, mentre nei vicoli ciechi dimorano delfini dagli occhi come marmo liquido. A volte nemmeno io
capisco i meccanismi di funzionamento di tutto questo complesso progetto, tuttavia, proprio questa forma intricata, indistinta,
baluginante è per me la riproduzione ideale, massimamente realistica, dell’universo.
***
A body has been given to me — what should I do with it, So unified and so mine?
Osip Mandelstam
When the space of a shared myth has slammed shut, one’s own cognition becomes the basis for creation and the perception of
reality. However, despite the myth’s having died, its body, its bones, are preserved, and they become a building material for
artificial realities, akin to how some northern tribes construct their dwellings from the bones of whales. Consciousness always
defends itself from reality, because, no matter how solid it may appear, it is of the nature of reality to be undependable.
Today, mythological consciousness is already not a form of overcoming ignorance (albeit imaginarily), but rather a means of
painlessly submerging oneself in ignorance, the creation of one’s own protected form of existence. Many means exist of defense
against loss/assault/change, but it is possible to totally evade danger only when one’s entire life and the space around it have
been completely organized in a corresponding way.
It is necessary to place the bones of the myth inside one’s flesh, make them parts of one’s skeleton, to fully feel their
radioactive effect. This dictates a special relationship to space and matter.
Space shrinks down to the dimensions of one’s body, where terrifying processes occur. The surroundings change; at the first
stage, this is an optical shift, a shift in perception, you cannot look at the sun without black glasses, it is stupid to look at reality
without ripping out your eyes, without replacing them with wise reptilian eyes. The next stage is also a transformation of the
body, an abolishing of the boundary between the body and reality. The gods and demons of antiquity knew this well; it is for a
reason that suns and stars, animals and men, whole realities and subterranean kingdoms were born from their prostrate bodies.
In psychiatry (however banal it may be to turn to its experience), cases are described in which patients believe that their bodies
contain “all the things of the world,” or perhaps particular groups of objects. The body becomes “permeable” and “soft,”
wrapping itself around things and meanings, as a mollusk does with a pearl. These items, gleaming with a pearly light, can be
extracted if one has a great desire to do so (the miracle of materialization).
It is for precisely this reason that an artist needs so agonizingly to heed the testimonials of spectators and critics, as if to
listening to discussions of internal organs extracted from a body during an autopsy (the heart doesn’t look bad, the lungs lack
persuasive power, the trachea looks too commercial). At the same time, individual works evoke no emotion other than one of
frightening rejection (what are these organs doing outside of my body?). Therefore, the task is not to remove individual organs,
but to dissect the body and turn it inside out, so that all the microcosm within will appear in the external world.
For the artist, everything in the world is material. Lev Tolstoy wrote that what was important for him in a translation was not
exactness, but only the sense, and so there is no point in searching for the exact texts that he translated. He comported himself
toward an alien word as to formless wood, out of which he extracted the form that he needed. Anything, word, or idea, not
just something physical, can be material. The artist can incorporate all of this into his own body. He gradually replaces his
“fleshly” organs for something more perfect. His entire life is devoted to a search for secret connections that cannot be chosen
by happenstance. The materials must possess internal correspondences. As in Russian fairy tales, a comb thrown over the left
shoulder turns into a forest, or a handkerchief into a lake. It is obvious that a comb cannot change into a lake, or a
handkerchief into a forest. Resemblance is one of the most important laws of myth.
This path is a dangerous one. The symbolic body expands, the simple principles of connections cease to operate, and ever-new
ones need to be found. At some point, the links thin down to an extremely fine web.
My favorite form of perceiving information is as a maze, with paths that endlessly duplicate each other and sudden dead-ends.
Let us consider this exhibition to be such
a maze, made of bones, wood, crystals, cloth, snakeskin, smoke, and meteoric iron.
Quotes have been torn from classic Russian literature and placed on the walls to show the way, and dolphins with eyes like
liquid marble reside in the dead-ends. Sometimes, even I do not understand the mechanism by which this complex construction
functions, or why precisely this tangled, unclear, glittering form is for me an ideal, maximally realistic reconstruction of the
universe.
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COMMENTO ALL'ARTICOLO
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