Questa piccola mostra dedicata al cioccolato e alla birra si pone in
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Questa piccola mostra dedicata al cioccolato e alla birra si pone in
INTRODUZIONE Questa piccola mostra dedicata al cioccolato e alla birra si pone in continuità con un progetto già avviato negli ultimi decenni dalla Soprintendenza, volto alla valorizzazione del patrimonio storico artistico del Museo Duca di Martina, un museo poco noto ai napoletani ma molto apprezzato dagli studiosi di arti decorative di tutto il mondo. Essa fa seguito ad una serie di esposizioni presentate a partire dal 1980, dedicate ad alcuni settori delle arti applicate presenti in questa collezione, dalle maioliche napoletane del Settecento a quelle del Seicento, dalle oreficerie in smalto e avorio al vasellame giapponese Kakiemon e Imari, dalle porcellane di Capodimonte alle 'galanterie' e alle 'tartarughe' italiane ed europee. Ad esclusione delle prime due che erano legate alle grandi mostre sulla civiltà di quei secoli, che avevano coinvolto con sezioni, diversificate per materiali, i più importanti musei cittadini, le altre ben documentavano, soprattutto attraverso le opere del Duca di Martina, la storia di quei manufatti artistici. Inoltre, con l'incremento delle attività didattiche dedicate all'approfondimento degli usi e dei costumi attraverso la conoscenza degli oggetti utilizzati nei secoli passati, e visto l'interesse riscosso da questi progetti, sia da parte di un pubblico giovane che da parte di visitatori più adulti, si è quindi proceduto in questi ultimi anni, ad elaborare vari percorsi tematici che indagassero trasversalmente gli oggetti delle collezioni del museo. Fra questi, in occasione delle aperture straordinarie promosse dal Ministero, alcuni sono stati dedicati alle galanterie e al vasellame destinato alle bevande del tè, del caffè, della cioccolata e della birra. A seguito di queste manifestazioni di carattere più saltuario, occasione di più approfondite conoscenze dei pezzi e di interventi di restauro degli stessi, è nato il desiderio di realizzare una vera e propria mostra che valorizzasse due sezioni delle collezioni museali: la raccolta dei boccali da birra e quella del vasellame in porcellana utilizzato per servire e per gustare la cioccolata. I nuclei dei boccali e dei serviti da cioccolata fanno parte di una più cospicua collezione di arti decorative che è esposta dal 1931 nella Villa Floridiana, un'elegante edificio di stile neoclassico, progettato dall'architetto Antonio Niccolini nel 1817. La Villa lega il suo nome alla duchessa di Floridia, Lucia Migliaccio, vedova del principe di Partanna e moglie morganatica di Ferdinando I di Borbone, con cui aveva contratto un matrimonio riservato a Palermo nel 1814, a pochi mesi dalla morte della regina Maria Carolina. Il profilo biografico della duchessa di Floridia è emerso con maggiore chiarezza in occasione della presentazione del restauro del suo ritratto, dipinto da Vincenzo Camuccini ed esposto nello stesso Museo (Lucia Migliaccio duchessa di Floridia: il dipinto di Vincenzo Camuccini, a cura di L. Martorelli, Napoli 2008). Il museo, invece, è intitolato al duca di Martina, Placido de Sangro, un illustre collezionista napoletano che nel corso della seconda metà dell'Ottocento formò una delle più consistenti e preziose raccolte di arti applicate italiane. Dai documenti conservati nell'archivio del Museo, si evince che il duca acquistava interi lotti di oggetti d'arte soprattutto tra Londra e Parigi, costituendo così una cospicua raccolta che quasi integralmente è pervenuta in dono nel 1911. Nel 1978, la prima donazione è stata integrata dal munifico lascito di oltre trecento oggetti di Riccardo de Sangro, ultimo duca di Martina e discendente di Placido (La collezione Riccardo de Sangro al duca di Martina, cat. mostra, Napoli 1990). Pertanto, comprendendo le ulteriori donazioni – nel 1995 è pervenuta la ricca collezione di oggetti in tartaruga di Eirene Sbriziolo ed Ezio De Felice (L’arte della tartaruga, catalogo della mostra a cura di L. Arbace, Napoli 1994) – e le acquisizioni ministeriali degli ultimi anni, che hanno incrementato il patrimonio artistico del museo, oggi negli inventari sono registrate più di settemila opere tra ceramiche orientali ed occidentali, vetri di Murano e della Façon de Venise, oreficerie in smalti e altri materiali preziosi, bronzi, lacche e mobili (P. Giusti, Il Museo Duca di Martina, Napoli 1994; L. Caterina, Il Museo Duca di Martina. La collezione orientale, Napoli 1999). La collezione di boccali comprende un nucleo di trentasei esemplari, straordinari per la qualità e per la particolarità dei materiali e la varietà delle manifatture. Se ben rappresentate nelle differenti tipologie sono le raccolte dei boccali di epoca barocca e rococò, in grès di manifattura tedesca e in porcellana cinese ed europea, solo due sono gli esemplari in avorio della stessa epoca conservati nelle collezioni museali. Questi ultimi oggetti in avorio, integrati in mostra da quelli conservati in altri musei napoletani e da alcuni generosi prestiti di collezionisti privati, di rara bellezza per la preziosità del materiale e per la complessità delle decorazioni, erano molto più apprezzati come oggetti da Wunderkammern che destinati ad un vero e proprio uso pratico. Il primo (inv. 280 ) è del tipo di quelli lavorati al tornio, che tanto successo ebbero nel Seicento presso le corti di Baviera e Dresda (Giusti, Idem, p. 42); il secondo, pure di ambito tedesco del XVII secolo, è decorato con Baccanale di putti ed è stato in questa sede messo a confronto con gli altrettanto preziosi boccali provenienti dalla collezione farnesiana di Capodimonte (Giusti in Napoli 1996, pp.152-154). A questi sono stati aggiunti i tre sfarzosi boccali di collezione privata romana, che si distinguono perché ancora corredati della coeva montatura in argento sbalzato ed un altro esemplare, conservato al Museo di San Martino, che si segnala per la licenziosità delle scene scolpite. Particolarmente interessante si è rivelata la raccolta, finora inedita, dei boccali di area tedesca. Trattasi di un nucleo di diciassette boccali: nove in grès, tre in maiolica, uno in terracotta invetriata, uno in smalto, uno in serpentinite, tre in vetro (due stiefel a forma di stivale e un humpen con Giuda Maccabeo). Tra gli esemplari in grès, ce ne sono due del tipo detto schnelle, dalla forma tronco-conica, decorati l’uno con ritratti di sovrani e l’altro con simboli sacri, realizzati a Siegburg alla fine del Seicento. Alla stessa epoca risalgono anche alcuni boccali del Westerwald, una regione ricca di argilla e di cave di basalto. Qui, fin dall’ultimo quarto del XVI secolo, a seguito della migrazione di artefici provenienti da Raeren e da Siegburg, si era costituita una corporazione di abilissimi vasai specializzati nella produzione di boccali dalla caratteristica invetriatura al sale. Questa veniva realizzata introducendo nel forno il sale, la cui parte di cloruro si volatilizzava alle alte temperature mentre il sodio rimasto, solidificandosi, produceva un’invetriatura cristallina. Da Bunzlau, in Slesia, (ancora oggi detta “Stadt des guten Tones” ovvero “Città delle buone crete” grazie al celebre vasellame in terracotta) proviene un boccale dalla forma globulare, il melonenkrug, realizzato per la prima volta intorno al 1670 e ancor’oggi considerato il prodotto più tipico e celebre della manifattura di quella regione. Di estrema rarità per il soggetto rappresentato è il boccale della manifattura di Altenburg, dei primi decenni del XVIII secolo, la cui decorazione ad animali, fiori e motivi geometrici è resa mediante perline bianche e nere che ne definiscono i contorni. Tra i boccali in porcellana cinese, si segnalano alcuni esemplari del tipo bianco e blu, uno con una scena di paesaggio, riferibile al cosiddetto periodo di transizione (1620 – 1683) e altri due con il corpo a fasce baccellate e spiraliformi di epoca Kangxi (16621722), già resi noti nell'ambito del lavoro di catalogazione condotto negli anni Ottanta da Lucia Caterina (Le porcellane cinesi di tipo bianco e blu, Roma 1986, pp. 20,42). La studiosa evidenziava i caratteri morfologici derivanti da modelli tedeschi, inviati in Cina attraverso le navi delle Compagnie delle Indie Orientali. Tra gli altri boccali cinesi, si evidenziano tre tipologie: un “Blanc de Chine” dalla tonalità cremosa, realizzato a Dehua, un piccolo centro della provincia del Fujian, nella Cina meridionale, dalla forma ispirata al fiore del loto, simbolo di purezza, di perfezione e di abbondanza; uno con decorazione di tralci di peonie bianche riservate su fondo rosso, una tecnica inversa a quella generalmente adoperata, dove i motivi decorativi sono stesi con smalti sopracoperta; infine uno del tipo detto “mandarino”, più tardo e caratterizzato da rappresentazioni di figure inserite in paesaggi trattati con una evidente attenzione ai valori prospettici e agli effetti di chiaroscuro, che producono tuttavia un risultato di gusto greve e ridondante. Di grande pregio sono i sei boccali in porcellana europea, tra cui emergono due preziosi esemplari di Meissen, un raro esempio in porcellana bianca, che reca il monogramma “AR”, del re Augusto “il Forte” di Polonia, riferibile al primo decennio di attività della fabbrica, e un altro a fondo d'oro con una scena “à chinoiseries”, del terzo decennio del secolo. Per la sezione del cioccolato, è stata condotta una ricerca per selezionare, tra l'enorme quantità di vasellame da tavola esposto nel Museo o custodito nei depositi, quello che poteva essere stato concepito per servire e gustare la bevanda calda. Di cioccolatiere sono stati reperiti solo due rari esemplari: una della Manifattura di Meissen, decorata 'a fiori tedeschi' , completa della sua montatura in bronzo dorato, databile all’ultimo quarto del Settecento e proveniente dalla raccolta donata da Filippo Perrone nel 1947; l'altra, ancor più preziosa, in quanto marcata con il leone rampante, utilizzato nella Fabbrica di Frankenthal per un breve periodo, dal 1759 al 1762. A queste sono stati aggiunti altri bricchi da cioccolata in argento di collezione privata, insieme ad alzatine, coppette e vassoi, utilizzati per il rito della cioccolata mattutina o della pausa in giardino, come è documentato nei dipinti del Settecento, per lo più francesi, raffiguranti petit déjeuner e scene galanti. Molto ricco è invece il nucleo delle tazze da cioccolata, attraverso le quali è stato possibile documentarne l'evoluzione della forma. Quindi, il percorso comincia con una tazzina a base concava, in legno con incisioni in argento, datata 1676 – l'oggetto, restaurato per questa occasione viene qui esposto per la prima volta – confrontabile con le più antiche jicaras (zucche), coppe realizzate con le zucche o con le noci di cocco, impreziosite da una montatura che oltre ad abbellire l'oggetto serviva anche a conferirgli stabilità durante l'uso. Esemplificativa di questa tipologia è una coppia di tazzine in noce brasiliana con montatura in argento e doppia ansa, proveniente dalla collezione Farnese di Capodimonte. Segue quindi il vasellame in porcellana cinese di epoca Kangxi (1662-1722) in stile Imari, tra cui una coppia di tazze a campana rovesciata inserite in un canestrino a fogliame in argento cesellato, fissato con un perno al piattino, la cui morfologia rimanda alla ghiera che sostiene le jicaras ed anticipa il modello della trembleuse che tanta fortuna avrà nel Settecento. Agli oggetti in porcellana orientale sono state aggiunte, attingendo alle sole collezioni del Museo, le oltre trenta tazze, a una o due anse, con o senza coperchio, delle più importanti fabbriche europee: Meissen, Vienna, Venezia, Doccia, Capodimonte, Berlino, Hochst, Frankenthal, Saint Cloud, Chantilly, Sèvres e Nyon. In questa ricca selezione di vasellame va notata l’assenza di porcellane della Real Fabbrica di Napoli (17711806), pur contandone la raccolta del Museo oltre quattrocento pezzi. D’altronde in quegli anni certamente a Napoli, come in tutte le altre corti europee, si apprezzava la cioccolata, tanto è vero che nel 1794 viene dato alle stampe, dal gastronomo Vincenzo Corrado, un saggio approfondito sui modi di preparare il cioccolato (V. Corrado, La manovra della cioccolata e del caffe trattata per prencipj, Napoli 1794) Si può quindi ipotizzare che alla corte borbonica la cioccolata venisse servita nelle stesse tazze usate per bere il caffè e il tè. Nella redazione del catalogo che accompagna la mostra, le schede delle opere, divise nelle due sezioni della birra e del cioccolato, scorrono in ordine cronologico, divise per manifatture e per materiali e introdotte da saggi sugli aspetti morfologici, materici e decorativi dei rispettivi nuclei. Circa l'allestimento della mostra, a cui sono collegate due fiere a tema (Birra :15-17 e 22-24 ottobre; Cioccolato: 29 ottobre – 7 novembre) ospitate nell’area del Parco antistante il Museo, si è pensato di dedicare la prima sala, cerniera di raccordo tra l'area esterna destinata alle fiere e il percorso espositivo interno al museo, all’origine e alla storia produttiva delle due bevande. Nelle due distinte sezioni della mostra gli oggetti sono esposti nelle vetrine antiche del Museo, alle quali sono stati aggiunti mobili d'epoca e dipinti - nature morte, scene di genere e colazioni galanti dal Sei e all’Ottocento - che meglio li contestualizzano. A conclusione dei percorsi sono stati ricreati un interno di osteria tedesca del Seicento e un angolo di giardino per il dèjeuner della cioccolata, per evocare suggestioni di un mondo passato. Luisa Ambrosio Direttore del Museo Duca di Martina