Confimi Apindustria Bergamo

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Confimi Apindustria Bergamo
CONFIMI
Rassegna Stampa del 18/09/2015
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INDICE
CONFIMI
Il capitolo non contiene articoli
CONFIMI WEB
18/09/2015 ediliziaterritorio.ilsole24ore.com 08:11
Aniem: contro le infiltrazioni negli appalti bisogna eliminare le Soa e le fideiussioni
non bancarie
6
17/09/2015 www.rassegna.it 14:48
Fillea, 24/9 a Milano presentazione Report Osservatorio sulle costruzioni
7
16/09/2015 www.24emilia.com
Dalla Fiom di Reggio quasi 800 lettere di diffida all'applicazione del Jobs Act
8
16/09/2015 ansamed.info
Show cooking Confimi Industria al Biomed
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SCENARIO ECONOMIA
18/09/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Una scelta difficile e obbligata
11
18/09/2015 Corriere della Sera - Nazionale
«Il debito vi danneggia»
13
18/09/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Confindustria, nel 2015 il Pil migliora all'1 per cento
15
18/09/2015 Corriere della Sera - Nazionale
L'export continua a trainare la ripresa ma siamo 20 punti dietro la lepre tedesca
16
18/09/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Intesa Sanpaolo, premio di maggioranza
17
18/09/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Aperture festive, farmaci, benzina: ancora battaglia sulla concorrenza
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18/09/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Banca Mediolanum a dicembre in Borsa Il timone a Doris Jr
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18/09/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Bufera sulla Popolare Vicenza Il caso della liquidazione d'oro
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18/09/2015 Il Sole 24 Ore
Perché la Fed ha preferito non correre troppi rischi
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18/09/2015 Il Sole 24 Ore
Bce: l'Italia usi i risparmi da spread per ridurre il debito pubblico
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18/09/2015 Il Sole 24 Ore
«Cresceremo l'1% quest'anno, 1,5% nel 2016»
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18/09/2015 Il Sole 24 Ore
Il Made in Italy balza a livelli record
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18/09/2015 La Repubblica - Nazionale
L'allarme di Bini Smaghi: "Il rinvio causerà instabilità Così si deprime la crescita"
29
18/09/2015 La Repubblica - Nazionale
Rai 4 sul satellite porterà 10 milioni come pubblicità "Presto gli ascolti saranno
doppi"
30
18/09/2015 MF - Nazionale
ManU batte Barcellona e Real Madrid
31
18/09/2015 MF - Nazionale
Dieci piccole banche costrette allo stress test
32
18/09/2015 MF - Nazionale
Unicredit si accorda col gigante cinese Fosun, sarà il suo advisor in Europa
34
18/09/2015 MF - Nazionale
Gli appalti vanno sempre pubblicati
35
18/09/2015 MF - Nazionale
Altice compra Cablevision per 10 mld $
36
SCENARIO PMI
18/09/2015 Il Sole 24 Ore
Dote da 400 milioni per favorire il reshoring
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18/09/2015 Il Sole 24 Ore
21 Investimenti punta 100 milioni sulla Polonia
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18/09/2015 L'Espresso
Jobs Act o no adesso si assume
41
18/09/2015 La Stampa - Nazionale
La 21 Investimenti (Benetton) punta 100 milioni sulla Polonia
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18/09/2015 MF - Nazionale
21 Investimenti lancia fondo da 100 milioni in Polonia
46
CONFIMI WEB
4 articoli
18/09/2015 08:11
Sito Web
ediliziaterritorio.ilsole24ore.com
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Aniem: contro le infiltrazioni negli appalti bisogna eliminare le Soa e le
fideiussioni non bancarie
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Il presidente dell'associazione delle piccole e medie imprese edili in commissione Lavori pubblici del Senato
Eliminare subito le Soa e le fideiussioni non bancarie». Non ha usato mezzi termini il presidente dell'Aniem
(piccole e medie imprese edili) Dino Piacentini, ascoltato dalla Commissione Lavori pubblici del Senato, dove
è iniziato l'esame del disegno di legge per l'istituzione di una commissione di inchiesta sugli appalti pubblici.
«Più riusciamo a spostare i controlli da meri elementi cartacei a in termini sostanziali e pratici e più faremo
qualcosa per contrastare le infiltrazioni della malavita e della mafia negli appalti pubblici e privati», ha detto
Piacentini. Di qui la richiesta di «eliminare subito le Soa (Società organismi di attestazione) che costano alle
imprese 3-4.000 euro all'anno per un controllo che controllo non è».
Anche sulle fideiussioni che un'impresa deve presentare per accedere a una gara d'appalto , per Piacentini è
l'ora di impostare una svolta radicale. «Le stesse ragioni che hanno portato a limitare a 990 euro l'uso del
contate devono portare a imporre che le fideiussioni siano solo bancarie» e non possa essere prestata da
finanziarie o altri soggetti. Perchè, ha concluso « le banche sono un filtro molto forte della qualità
dell'impresa».
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 18/09/2015
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17/09/2015 14:48
Sito Web
www.rassegna.it
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Fillea, 24/9 a Milano presentazione Report Osservatorio sulle costruzioni
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La Fillea Cgil presenterà il 24 settembre a Milano il Report annuale del proprio Osservatorio sulle imprese di
costruzioni. L'iniziativa si svolgerà presso la Fondazione Enaip Lombardia, in Via Bernardino Luini 5, con
inizio alle ore 10. All'incontro, cui parteciperanno, tra gli altri, Claudio De Albertis, presidente nazionale Ance,
Dino Piacentini, presidente nazionale Aniem, Confimi, Elena Lattuada, segretaria generale Cgil Lombardia,
Jin Sook Lee segretaria Bwi (federazione mondiale dei sindacati delle costruzioni), Walter Schiavella,
segretario generale Fillea nazionale.
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16/09/2015
Sito Web
www.24emilia.com
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Dalla Fiom di Reggio quasi 800 lettere di diffida all'applicazione del Jobs
Act
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Dalla Fiom di Reggio quasi 800 lettere di diffida all'applicazione del Jobs Act 16/09/2015 - 00:00
In questi giorni, la Fiom Cgil di Reggio, nell'ambito delle iniziative definite e decise a livello regionale in
contrasto al Jobs Act, sta inviando lettere di diffida a tutte le imprese industriali del territorio, in cui sia
presente almeno un iscritto alla Fiom e, contestualmente, alle associazioni imprenditoriali e ai consulenti e
studi professionali che assistono queste imprese.
L'iniziativa coinvolge 664 aziende, che complessivamente occupano circa 31.200 lavoratori. Le associazioni
imprenditoriali interessate sono 7 (Unindustria/Federmeccanica, Confapindustria, Confimi, Legacoop, Unione
Cooperative, Cna e Confartigianato), a cui si aggiungono 128 tra consulenti e studi professionali.
Questa è la prima azione di carattere contrattuale, con la quale si chiede alle imprese di non applicare
unilateralmente le nuove norme, in particolare per quanto riguarda la tutela contro i licenziamenti arbitrari, sia
di natura individuale sia collettiva, il controllo a distanza dei lavoratori e il demansionamento.
"Quello che chiediamo, e che il presidente di Unindustria Reggio reputa 'inconcepibile' - spiega Sergio
Guaitolini, segretario Fiom provinciale - è di aprire un tavolo di confronto che possa portare a soluzioni
contrattuali condivise, che garantiscano pari dignità e pari diritti a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla
data di assunzione, al fine di evitare l'imbarbarimento dei rapporti e l'apertura di vertenzialità in ogni singola
azienda".
Il Jobs Act, secondo il sindacato, si caratterizza come un "condono" per le aziende che licenziano
illegalmente, 'perché di fatto cancella la sanzione per gli imprenditori che violano la legge'. A Unindustria, la
Fiom risponde 'dicendo che chiedere che chi viene licenziato in modo illegittimo possa avere il diritto al
reintegro nell'azienda non è incapacità di dialogo ma tutela di un diritto basilare' e che 'cancellare questo
diritto e chiamarlo 'Contratto a tutele crescenti' è una truffa, perché non vi è alcuna tutela crescente, anzi le
tutele sono smantellate per sempre e resta solo un basso indennizzo monetario".
"Riguardo all'accusa di anacronismo rispondiamo che anacronistica è una visione che vorrebbe il lavoro
senza diritti e i lavoratori schiavi senza la possibilità di organizzarsi per chiedere migliori condizioni di vita e di
lavoro - conclude il segretario dei metalmeccanici reggiani - La Fiom il dialogo lo vuole, lo cerca, lo pratica e
lo pretende per il rilancio del sistema industriale attraverso investimenti, ricerca e sviluppo, innovazione,
valorizzazione delle professionalità. Siamo pronti a confrontarci sulla ricerca del miglioramento dell'efficienza,
della qualità del prodotto e della produttività dell'impresa, nel rispetto però, imprescindibile, della dignità e
delle condizioni di tutti i lavoratori".
Anche la Cgil reggiana si schiera a sostegno della Fiom. "Con la sua iniziativa la Fiom sta portando avanti
come categoria quelle che sono disposizioni della Cgil nazionale di contrasto al Jobs act e noi la sosteniamo"
sottolinea Guido Mora, segretario generale della Camera del Lavoro Territoriale di Reggio, che riserva un
commento anche al presidente di Unindustria Severi: "Credo non abbia capito quanto sia sia grave e
sicuramente negativo non mettersi tutti, sindacato, imprese e associazioni, su un piano di confronto rispetto
alle norme introdotte dal Job Act. Inoltre i maggiori organismi europei sottolineano come in Italia i livelli di
flessibilità siano elevati, non è quindi proseguendo in questa direzione che ci avviciniamo alla 'normalità
europea', come scrive Severi, piuttosto ce ne allontaniamo".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 18/09/2015
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16/09/2015
Sito Web
ansamed.info
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Show cooking Confimi Industria al Biomed
Nell'ambito Settimana Dieta Mediterranea promossa da Mipaaf
(ANSA) - MILANO, 16 SET - Confimi Industria - Confederazione dell'Industria manifatturiera e dell'impresa
privata - è stata tra i protagonisti a Expo della Settimana della Dieta Mediterranea Patrimonio Unesco, in
programma dal 14 al 20 settembre. Per l'occasione, diverse aziende associate hanno offerto ai visitatori del
cluster Bio-Med uno show cooking in cui hanno preparato dei tipi di pasta tradizionali regionali. "La
partecipazione di Confimi Industria Alimentare - ha ricordato il vicepresidente di Confimi Alimentare, Pietro
Marcato - è parte di un percorso che vede da alcuni mesi la Confederazione membro effettivo della cabina di
regia sulla pasta, istituita presso il Mipaaf".(ANSA).
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 18/09/2015
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SCENARIO ECONOMIA
19 articoli
18/09/2015
Pag. 1
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tiratura:779916
Una scelta difficile e obbligata
Massimo Gaggi
«M a cosa vuol dire? Che adesso siamo schiavi dell'economia cinese?» si chiede, sconsolato, un trader .
Aveva scommesso che la Federal Reserve sarebbe tornata, nel «conclave» di ieri, ad aumentare per la prima
volta i tassi congelati a quota zero fin dalla crisi finanziaria dell'autunno 2008. La stessa Banca centrale
aveva creato aspettative in questo senso all'inizio dell'estate, ma le turbolenze di agosto, la crisi cinese, i
crolli asiatici e il nervosismo planetario dei mercati, hanno rapidamente modificato lo scenario.
Eppure l'economia Usa rimane solida e, nonostante il rafforzamento del dollaro che incide negativamente
sulle esportazioni, l'America è relativamente isolata dalle turbolenze internazionali, grazie al suo dinamismo
interno. Per questo molti pensavano che, nonostante le nuove difficoltà, Janet Yellen avrebbe tenuto ferma la
barra sulle decisioni strategiche prese nei mesi scorsi.
Non è stato così: in un incontro con la stampa la presidente della Fed ha cercato di minimizzare il significato
di questo ulteriore rinvio del primo passo verso il ritorno alla normalità nei mercati finanziari dopo sette anni di
gestione emergenziale delle economie. Ed è ancora possibile che in una delle due prossime riunioni (ottobre
e dicembre) del Fomc, il comitato esecutivo della Banca centrale, venga dato il piccolo segnale di un
aumento dei tassi dello 0,25 per cento.
Ma dalle decisioni prese ieri dalla maggiore istituzione monetaria mondiale emergono almeno tre elementi
preoccupanti: 1) L'economia internazionale rimane in condizioni di estrema fragilità. La crisi cinese è gestibile,
ma non abbiamo ancora visto il peggio, mentre vi saranno conseguenze negative di lungo periodo anche per
il rallentamento delle economie emergenti come quella brasiliana. Il dinamismo interno dell'America può
compensare questo impatto negativo ma non completamente (mentre l'Europa è più vulnerabile degli Usa). 2)
L'allarme vero adesso si sposta sull'inflazione. Se nell'analisi della Fed i guai estivi sono destinati a rallentare
la crescita, col Pil americano che anche nei prossimi due anni non crescerà più del 2,2-2,3%, il vero problema
viene dalla dinamica dei prezzi. Rispetto all'obiettivo Fed (+2%) stiamo sfiorando la linea della deflazione. Per
quest'anno (segnato anche dall'effetto del forte calo del petrolio), la previsione di un'inflazione allo 0,7% è
stata ora rivista e portata allo 0,4. I banchieri centrali ritengono che non torneremo in vista del traguardo del
2% prima del 2018 (1,7 l'anno prossimo e 1,9 quello successivo). Da qui la decisione di muoversi con ancora
più prudenza. 3) In questo cambio di traiettoria la Fed si è divisa. L'unanimità che la Yellen era riuscita a
recuperare nella prima parte dell'anno, è saltata. Si era capito già ad agosto quando, davanti alla crisi cinese,
il capo della Fed di New York aveva caldeggiato il rinvio dell'intervento sul costo del denaro, mentre il vice
della Yellen, Stanley Fischer, aveva giudicato dannoso uno slittamento. Ieri quattro dei 17 governatori della
Fed hanno detto che i tassi non devono salire prima del 2016-17, mentre 12 hanno continuato a considerare
opportuno un piccolo intervento alla fine di quest'anno e uno ha votato per un aumento immediato.
In passato la Yellen ha invitato più volte i mercati e i «media» a non sovrastimare il momento in cui i tassi
verranno alzati per la prima volta, e a guardare di più ai processi di lungo periodo. Qualcuno sostiene che ieri
ci sarebbero state le condizioni per un ritocco del costo del denaro: la Fed avrebbe rinunciato per il timore
che, in una situazione di grande nervosismo dei mercati con voci ricorrenti di bolle speculative pronte a
scoppiare qua e là, anche un intervento minimo potesse diventare il detonatore di crolli delle Borse.
Passando dalle ipotesi ai fatti: fino a ieri la prospettiva era quella di aumenti graduali dei tassi con la Fed che,
non potendo fermarsi al primo gradino dello 0,25%, sarebbe arrivata, mese dopo mese, ad aumentare il costo
del denaro di un punto o un punto e mezzo percentuale da qui alla metà del prossimo anno. Il nuovo quadro
di bassissima inflazione è corredato da uno scenario tracciato dai banchieri centrali che prevede una crescita
molto più lenta del costo del denaro anche nel medio-lungo periodo: non più del 2,6% a fine 2017 (l'ipotesi
precedente era del 2,9), mentre ora l'attesa è che anche i tassi a lungo termine non vadano oltre il 3,5%.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 18/09/2015
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Banche centrali
18/09/2015
Pag. 1
diffusione:619980
tiratura:779916
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 18/09/2015
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Denaro quasi gratis ancora per molto tempo: è tutto quello che le Banche centrali possono fare per cercare di
aiutare una ripresa dell'attività produttiva che, però, sembra dipendere sempre meno dalla disponibilità di
credito a buon mercato. Mentre la vera ombra che spaventa (per i salari troppo bassi e anche la miniinflazione) è l'eccesso di capacità produttiva inutilizzata, ovunque in giro per il mondo.
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2,1 per cento
la stima di crescita del Pil Usa quest'anno secondo la Federal Reserve che ieri ha rivisto al rialzo le proprie
previsioni, che indicavano una crescita dell'1,9%
La parola
FOMC
Il Federal open market Committee, in sigla Fomc, è l'organismo della Federal Reserve incaricato di
sorvegliare le operazioni di mercato aperto negli Stati Uniti. In sostanza è il braccio monetario della Fed in
quanto regola la politica monetaria degli Usa attraverso la fissazione del livello dei federal funds rate, ovvero
livello dei tassi d'interesse. Ogni anno ne fanno parte 12 membri della Fed scelti tra i 20 governatori del
sistema della Federal Reserve
1,13 il cambio euro-dollaro alla chiusura dei mercati ieri. Il rafforzamento del dollaro è tra le ragioni
che hanno indotto la Federal Reserve a non toccare i tassi nella riunione di ieri
18/09/2015
Pag. 1
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«Il debito vi danneggia»
Francesca Basso
«L' Italia è un grande Paese dell'Unione Europea al quale si applicano le stesse regole degli altri. Va
riconosciuto lo slancio riformista del governo». Il commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici, in
visita a Roma, aggiunge: «Non definirei l'Italia un sorvegliato speciale». a pagina 6 DALLA NOSTRA INVIATA
Bruxelles «Non definirei l'Italia un sorvegliato speciale: è un grande Paese dell'Unione Europea, al quale si
applicano le stesse regole che si applicano agli altri». Il commissario Ue agli Affari economici, Pierre
Moscovici, oggi è in visita ufficiale a Roma. Il Consiglio dei ministri ha sul tavolo la Nota di aggiornamento al
Documento di finanza pubblica (Def) ed entro il 15 ottobre il governo dovrà inviare la legge di Stabilità a
Bruxelles. Lo scorso anno abbiamo rischiato la bocciatura e ora stiamo trattando per ottenere altra flessibilità.
Che idea si è fatta la Commissione del taglio delle tasse annunciato da Renzi?
«Mi sento regolarmente con il ministro Pier Carlo Padoan. Va riconosciuto lo slancio riformista del governo.
L'Italia sta facendo una serie di riforme che stanno avendo un impatto positivo sulla crescita, sull'occupazione
e attirano investimenti. La riforma del mercato del lavoro comincia a dare i frutti. Rimane molto da fare ma la
situazione è incoraggiante. Aspettiamo di vedere la legge di Stabilità».
L'Italia è stata il primo Paese a godere della flessibilità prevista dal patto di Stabilità. Ora vorrebbe ricorrervi
ancora, usando la clausola sugli investimenti. Che margini ci sono?
«La flessibilità è prevista in caso di crescita negativa di un Paese o sotto il suo potenziale, quando fa riforme
importanti o se ha bisogno di una spinta per investire in progetti cofinanziati dai fondi europei e dal Piano
Juncker. L'Italia gode già della clausola per le riforme strutturali per lo 0,4% del Pil. Esamineremo la legge di
Stabilità in base alle regole europee, tenendo conto di tutti i fattori pertinenti e di un fattore centrale per l'Italia
che è l'alto debito pubblico. Tutte le domande eventuali saranno esaminate una volta ricevuto il testo e in
base alle nostre previsioni economiche. È troppo presto per pronunciarsi».
I ministri finanziari della Ue vi hanno chiesto di valutare l'impatto economico sui bilanci degli Stati delle misure
adottate per far fronte all'emergenza rifugiati. Come intendete intervenire?
«La Commissione è la guardiana dei Trattati, applica le regole del patto di Stabilità. Le regole includono la
flessibilità per poter reagire alle circostanze impreviste e agli eventi eccezionali. Ma è troppo presto per dire
se la crisi dei rifugiati possa essere considerata rilevante in questa circostanza dal punto di vista dei bilanci
pubblici. La Commissione esaminerà la questione con il Consiglio».
L'Europa cambierà rotta sull'austerity?
«Non c'è austerità in Europa. Non c'è in Francia né in Italia. L'austerità si ha quando i salari dei dipendenti
pubblici vengono abbassati e i dipendenti statali fortemente diminuiti, quando lo Stato si ritrova incapace di
far fronte ai propri obblighi. Invece si stanno facendo le riforme perché lo Stato sia più efficiente e l'economia
più competitiva. Sono un socialdemocratico e non ho mai fatto parte del partito dell'austerità ma penso che
chi rifiuta le riforme e l'Europa faccia della demagogia. La Germania all'inizio degli anni Duemila ha fatto le
riforme strutturali che le hanno permesso di diventare la più forte d'Europa. Non dico che sia l'unico modello,
ma senza riforme non c'è crescita né progresso sociale».
Per il presidente Juncker la ripresa è troppo debole.
«La ripresa europea è solida e su basi robuste, le riforme strutturali fatte in Europa stanno dando i frutti, la
nostra competitività è migliorata, ci siamo dotati di strumenti anticrisi che non avevamo nel 2007-2008. Non
c'è motivo per mettere in dubbio le previsioni per il 2015. Per il 2016-2017 pubblicheremo le nostre previsioni
a novembre. Ma come ha detto il presidente Juncker la ripresa è troppo lenta e ineguale, per questo stiamo
lavorando alla convergenza economica. È il senso della flessibilità e del Piano Juncker per gli investimenti».
Tra le misure annunciate c'è anche una riforma fiscale.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 18/09/2015
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Il commissario europeo, Moscovici INTERVISTA
18/09/2015
Pag. 1
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 18/09/2015
14
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
«Diamo grande importanza al principio della tassazione effettiva: bisogna tassare i profitti là dove sono
prodotti. Questo si tradurrà in una proposta legislativa della Commissione, riprenderemo il progetto della
Base imponibile comune consolidata per l'imposta sulle società. Inoltre entro fine anno speriamo di
raggiungere un accordo sulla cooperazione rafforzata per l'imposizione di una tassa sulle transazioni
finanziarie».
Domenica si vota in Grecia. Cosa vi aspettate? L'Esm non è d'accordo con chi ritiene che il debito greco sia
insostenibile. Cioè il Fmi...
«Rispetto l'esito delle urne qualunque sia. Credo però che gli elettori saranno con una larga maggioranza a
favore dei partiti che hanno sostenuto l'accordo per il programma che ha messo a disposizione della Grecia
85 miliardi e permesso le riforme necessarie per la crescita e la competitività. Aspettiamo queste elezioni con
grande serenità. Affronteremo la questione del debito nei prossimi mesi: abbiamo gli elementi tecnici e politici
per una risposta soddisfacente; il Fmi ha tutto il suo spazio, la sua partecipazione è essenziale per assicurare
la solidità del programma. Ho parlato con Christine Lagarde, sono fiducioso».
La crisi greca ha messo in evidenza i limiti della Ue.
«Serve una riforma della governance. La Commissione ha il monopolio legislativo, lanceremo una prima fase
di riforme che permetta la convergenza delle economie prevista dal Rapporto dei cinque presidenti. Quanto al
dopo, sono favorevole a una democratizzazione forte della zona euro, con un ruolo specifico e maggiore per
il Parlamento europeo e una sorta di governo dell'eurozona che possa gestire un bilancio comune, spero
nella creazione di un ministro delle Finanze della zona euro che sia un membro della Commissione e infine
un Tesoro europeo. Sono le mie idee personali».
Come vede la futura Ue?
«Non c'è soluzione alla crisi greca o all'emergenza dei migranti che non sia europea. Dobbiamo fare un salto
politico e mettere in atto dei meccanismi efficaci di decisione e azione. Se saremo capaci di rispondere a
queste crisi, di fare il salto politico e ottenere dei risultati in campo economico sono fiducioso per l'avvenire.
Altrimenti ci saranno dei partiti di estrema destra e sinistra che proporranno lo smantellamento della Ue.
Come ho scritto tempo fa in un testo sull'Europa: o si cambia o si muore ».
Francesca Basso
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WIKTOR DABKOWSKI / PICTURE-ALLIANCE / DPA / AP IMAGES
Chi è
Pierre Moscovici, membro del Partito socialista francese, è il commissario Ue agli Affari economici e monetari
e oggi è in visita ufficiale a Roma È stato ministro dell'Economia e delle finanze nei governi Ayrault dal 2012
al 2014 e ministro degli Affari europei dal 1997 al 2002 Il Consiglio dei ministri ha sul tavolo la Nota di
aggiornamento al Documento di finanza pubblica (Def) ed entro il 15 ottobre il governo dovrà inviare la legge
di Stabilità a Bruxelles. Lo scorso anno l'Italia ha rischiato la bocciatura e ora sta trattando per ottenere altra
flessibilità
Padoan Ci sentiamo con regolarità, clima costruttivo Juncker Ha ragione quando dice che la crescita è
ancora troppo lenta Tsipras I greci sosterranno chi ha lavorato per il piano di aiuti
18/09/2015
Pag. 5
diffusione:619980
tiratura:779916
Confindustria, nel 2015 il Pil migliora all'1 per cento
Andrea Ducci
U no scenario che vede il Prodotto interno lordo crescere dell'1% nel 2015 e dell'1,5% l'anno prossimo, un
biennio al termine del quale saranno creati 494 mila nuovi posti di lavoro. La stima è contenuta nell'analisi del
Centro studi di Confindustria. Secondo Viale dell'Astronomia l'economia italiana è destinata a crescere più del
previsto. Tanto da modificare al rialzo le indicazioni sia per il 2015 sia per il 2016. La scelta di ritoccare dello
0,2% verso l'alto la stima di crescita del Pil per quest'anno discende dal risparmio di 21 miliardi di euro sulla
bolletta energetica e dal buon andamento dell'ultima stagione turistica. Fattori a cui si aggiungono i benefici
derivanti dal successo dell'Expo e dalla cosiddetta ricomposizione del bilancio pubblico. Sono previsioni
comunque prudenti «alla luce del potenziale effetto complessivo sull'economia del Paese dei bassi livelli dei
tassi di interesse, del cambio dell'euro e del prezzo del petrolio» fa sapere il Centro studi di Confindustria. Un
avvertimento che serve a rimarcare come si tratti «di spinte una tantum» e come il beneficio congiunturale sia
destinato a esaurirsi nell'arco di un paio di anni. Un recupero dell'economia, insomma, è indubbio ma il
direttore del Centro studi di Confindustria, Luca Paolazzi, ne ricorda la fragilità. Nel rapporto viene, del resto,
specificato che l'Italia brilla più di luce riflessa che per meriti propri. Vale inoltre considerare che il Pil italiano
segna ancora una flessione dell'8,9% rispetto ai livelli pre crisi del 2007 e che sono stati persi 720 mila posti
di lavoro. L'invito del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, è che si faccia di più cogliendo le favorevoli
opportunità del momento. «L'1% come anche l'1,5% di crescita sono sicuramente un buon risultato. Ma
dobbiamo puntare più in alto e crescere almeno al 2%» ha detto, specificando che per ridare slancio
all'economia servono «politiche e provvedimenti ambiziosi».
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 18/09/2015
15
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Le stime
18/09/2015
Pag. 41
diffusione:619980
tiratura:779916
Dario Di Vico
La notizia è buona e viene dall'Istat: l'export continua a tirare (+6,3% di luglio 2015 su luglio 2014) nonostante
il rallentamento dei Bric e l'embargo verso la Russia. Sono gli Stati Uniti - un mercato che continua a valere
per noi tre volte la Cina - a dare spazio alle nostre merci con un +22,9% fatto registrare nello stesso periodo.
Negli States cresciamo non solo per il rapporto più equilibrato tra euro e dollaro ma anche per la qualità delle
nostre produzioni visto che viaggiamo a una velocità doppia rispetto alla media dei Paesi euro. Vale la pena
sottolineare come la crescita complessiva dell'export (Usa e non) non sia un exploit del solo luglio, infatti
confrontando gli interi primi sette mesi del 2015 con il periodo equivalente del 2014 l'incremento è comunque
elevato: +5,2%. Le buone notizie si completano con il saldo positivo della bilancia commerciale che ha fatto
segnare il record di più 26,5 miliardi di euro. In un Paese come il nostro attentissimo ai decimali di incremento
del Pil un rinnovato slancio delle esportazioni costituisce un ottimo viatico.
Al di là dei dati quantitativi cerchiamo però di focalizzare il rapporto tra export e incremento del Pil. L'Italia è
un Paese trasformatore ed è quindi «condannato» ad avere un livello di importazioni elevato, quando
scendono ci si deve preoccupare perché vuol dire che servono meno munizioni (leggi beni intermedi) e
l'economia sta cadendo. Un esempio tipico è quello dell'industria alimentare debitrice con l'estero per molte
materie prime ma capace poi di ri-esportare in grandi quantità e con un ottimo valore aggiunto. Ed è appunto
ciò che è avvenuto negli ultimi due anni: le esportazioni italiane hanno preso via via a sorpassare le
importazioni al rialzo e in virtù della crescente integrazione delle medie imprese nelle catene globali del
valore è cresciuto anche il contributo al Pil. Reso possibile anche da un progressivo spostamento delle
produzioni italiane verso l'alto di gamma.
Ma l'export potrà darci un contributo ancora maggiore ai fini della crescita auspicata? Gli esperti sostengono
che ci sono tutte le potenzialità. Se nel rapporto export/Pil prendiamo come benchmark la Germania la
distanza tra la nostra propensione a vendere (fuori) merci/servizi e la loro è ancora di circa 20 punti. E'
possibile recuperarli? Si può ridurre il gap rafforzando l'integrazione internazionale delle 15 mila aziende
italiane che esportano stabilmente e estendendo la presenza delle circa 60 mila che hanno appena
cominciato. Secondo il professor Fabrizio Onida dell'università Bocconi anche da questo versante si arriva
però a fare i conti con la ridotta dimensione media delle nostre imprese, laddove per essere presenti almeno
su due mercati ci vuole massa critica. Quanto ai mercati di sbocco continueremo a scommettere sugli Usa
perché le potenzialità oltre-oceano sono giudicate ancora largamente inespresse.
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Flussi commerciali con l'estero Fonte: Istat d'Arco Da luglio 2014 a luglio 2015 Saldo (scala di sinistra, in
milioni di euro) Esportazioni (var. % tendenziali) Importazioni (var. % tendenziali) 22,9 per cento
l'aumento dell'export negli Stati Uniti. La presenza italiana negli Usa cresce non solo per il rapporto
euro/dollaro ma anche per la qualità delle produzioni italiane che viaggiano a una velocità doppia rispetto alla
media dei Paesi euro
6,3 per cento
l'incremento delle esportazioni italiane
a luglio rispetto allo stesso mese dell'anno scorso, nonostante il rallentamento dei Paesi emergenti e
l'embargo verso la Russia. Anche nei primi sette mesi del 2015 l'export ha fatto +5,2%
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 18/09/2015
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L'export continua a trainare la ripresa ma siamo 20 punti dietro la lepre
tedesca
18/09/2015
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Soci a consulto sulla bozza dello Statuto, l'opzione di un sistema proporzionale corretto Colloqui con i grandi
investitori, ipotesi di elezione in assemblea del comitato di controllo
Paola Pica
Il proporzionale con premio di maggioranza è la formula elettorale che sembra fin qui avere le maggiori
chance per mettere d'accordo i soci tutti di Intesa Sanpaolo, dagli azionisti stabili come le Fondazioni ai
grandi investitori istituzionali stranieri ormai stabilmente maggioritari (60%) nel capitale. Ma il voto, così come
i controlli e i poteri nella futura superbanca, sono questioni più politiche che tecniche. E il consenso va trovato
prima di passare la palla agli esperti incaricati della stesura del nuovo Statuto: il consiglio di gestione con
l'ufficio legale e i tecnici della banca. La squadra interna coordinata da Paolo Grandi, chief governance officer
e responsabile delle segreterie dei consigli e assistita dagli studi di Piergaetano Marchetti e del torinese
Marco Weigmann.
Il «sondaggio» sull'orientamento dei soci italiani e internazionali lo stanno svolgendo personalmente il
presidente della sorveglianza, Giovanni Bazoli, che ha guidato negli ultimi mesi anche la commissione di
lavoro sulla governance, e il presidente del consiglio di gestione Gian Maria Gros-Pietro. Al board operativo
spetta, come detto, il compito di recepire in prima battuta il via libera arrivato ai primi di agosto dal consiglio di
sorveglianza sul passaggio dal modello dualistico introdotto otto anni fa con la fusione delle banche di Milano
e Torino al cosiddetto monistico. La strada è tutt'altro che spianata. Com'era stato nel primo caso con
l'adozione dal primo gennaio del 2007 del doppio livello, gestione e sorveglianza, una novità assoluta per il
sistema bancario italiano, così è oggi con l'introduzione di un modello del tutto inedito per il nostro Paese (ma
collaudato e considerato efficiente sui mercati anglosassoni dove peraltro si muovono gli istituzionali). La sua
principale attrattiva è l'organo di controllo interno. A differenza del collegio sindacale previsto dal consiglio di
amministrazione tradizionale, questo comitato dovrebbe poter contare su una grande autonomia e prevedere
per i suoi componenti profili di provata competenza, oltre ovviamente ai requisiti di onorabilità e indipendenza.
Sulla modalità di nomina del comitato di controllo sulla gestione e sul suo ruolo di contrappeso ai (super)
poteri che il monistico attribuisce all'amministratore delegato si ragiona a tutto campo. E si fa largo in queste
ore l'ipotesi che il comitato di controllo sulla gestione sia eletto direttamente dall'assemblea degli azionisti. Nel
consiglio che non potrà prevedere complessivamente meno di 19 componenti per assicurare un numero di
figure sufficienti a evitare doppie cariche negli altri tre comitati, rischi, parti correlate e remunerazioni e a
garantire la presenza di indipendenti. Gli investitori esteri hanno già fatto sapere di non voler partecipare alla
governance ma è chiaro che il sistema di voto dovrà essere adeguato alla nuova realtà del gruppo guidato da
Carlo Messina che in due anni, dalla fine di settembre 2013 quando è stato nominato, ha raddoppiato la
capitalizzazione a 56 miliardi. Un capo azienda «che non è in discussione» hanno fatto sapere per tempo
tanto Giuseppe Guzzetti, presidente della Cariplo, quanto Luca Remmert, numero uno della Compagnia di
San Paolo. Si discute invece di elezioni e tra le opzioni sul tavolo, proporzionale puro, maggioritario secco,
proporzionale con premio di maggioranza, sembra quest'ultima quella che assicura uno spazio adeguato
all'assemblea.
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Un anno a Piazza Affari d'Arco Soci sopra il 2% Azionista Quote Compagnia di San Paolo BlackRock Inc.
Fondazione Cariplo Fondazione C.R. Padova e Rovigo 9,374% 4,894% 4,838% 3,351% Ente C.R. Firenze
Norges Bank People's Bank of China 2,615% 2,090% 2,003% +0,88% Ieri 3,20 euro 3,5 3,0 2,5 2,0 Nov Gen
Mar Mag Lug Set 2014 2015
La vicenda
Intesa Sanpaolo ha deciso di adottare il sistema di governance «monistico» che prevede un unico consiglio a
cui saranno demandate anche le funzioni di controllo proprie del collegio sindacale Il nuovo statuto entrerà in
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 18/09/2015
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Intesa Sanpaolo, premio di maggioranza
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 18/09/2015
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vigore l'anno prossimo dopo l'ok di Bce e azionisti
Foto: In alto il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli e (sotto) il
presidente del consiglio di gestione Gian Maria Gros-Pietro
18/09/2015
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Aperture festive, farmaci, benzina: ancora battaglia sulla concorrenza
Rita Querzé
L' introduzione dell'obbligo di abbassare la saracinesca in dodici giorni festivi l'anno non è l'unico terreno di
scontro tra grande e piccola distribuzione in materia di concorrenza. La partita si sta giocando anche su altri
fronti. Prendiamo di disegno di legge concorrenza. La grande distribuzione non nasconde delusione e
disagio. Prendiamo i distributori di carburante. Nella prima stesura i centri commerciali avrebbero potuto
aprire pompe di benzina senza introdurre per forza anche il terzo carburante (gas metano o gpl). Poi il testo è
stato corretto e l'opportunità tolta. Per quanto riguarda la vendita dei libri la grande distribuzione auspica, per
ora senza successo, che venga tolto l'attuale limite allo sconto (15%). Poi c'è la richiesta - inascoltata anche
nel ddl concorrenza - di poter vendere i farmaci di fascia C. A fare più male a super , iper e centri
commerciali, però, resta comunque la questione delle chiusure festive obbligate. «Le città d'arte come
Firenze avranno l'obbligo di chiudere sei festività l'anno, che senso ha?», si chiede Giovanni Cobolli Gigli, a
capo di Federdistribuzione. Ma il problema per il settore sarà anche un altro: «Amazon ha già iniziato a
vendere online prodotti alimentari confezionati. Questa normativa avvantaggia questo tipo di commercio».
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 18/09/2015
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La Lente
18/09/2015
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Via al riassetto, Ennio Doris cede il passo al figlio La quotazione La banca arriverà a Piazza Affari il 28
dicembre dopo la fusione con la holding
Fausta Chiesa
MILANO Il passaggio del comando da Ennio Doris al figlio Massimo. La quotazione della banca, dopo
l'incorporazione della capogruppo. E la possibile apertura dell'azionariato ad altri soci, se il Consiglio di Stato
confermerà a Fininvest l'obbligo di cedere il 20 per cento. Sarà una fine d'anno all'insegna del riassetto per
Mediolanum. Si comincia con la fusione inversa: la holding, che è quotata, sarà assorbita dalla controllata
banca. La ratio della fusione è la semplificazione. Da quando la holding è diventata capogruppo del gruppo
bancario, nel luglio del 2014, tutte le decisioni del business bancario devono passare al vaglio di due consigli
di amministrazione. Un doppio passaggio che rallenta i tempi.
L'assemblea straordinaria per l'approvazione dell'operazione - che è già stata approvata dalla Banca centrale
europea, da Bankitalia e dall'Ivass - è fissata per il 29 settembre. Dopodiché ci sarà la fase degli adempimenti
informativi al mercato. Il completamento è previsto per il 28 dicembre, giorno in cui la banca sbarcherà in
Borsa.
«È la figlia che incorpora la madre. Abbiamo scelto questa ipotesi perché ci sembra la più efficiente. Avere la
banca come quotata è meglio dal punto di vista della trasparenza», ha detto ieri Massimo Doris, ceo della
banca. Ed è grazie all'operazione di incorporazione della capogruppo nella banca che si attuerà il passaggio
generazionale: con la fusione rimarrà un solo board e sarà quello della società quotata, cioè la banca, che è
guidata da Massimo Doris e presieduta dal padre Ennio. «Deciderà l'assemblea - ha detto Massimo Doris ma è probabile che le cariche rimangano quelle attuali».
Anche perché in assemblea non sono molte le voci a parlare. Attualmente il primo socio di Mediolanum, con
il 40,27% del capitale, è la finanziaria della famiglia Doris. Il secondo azionista (con cui è stato siglato un
patto di sindacato) è la Fininvest, che ha il 30,26%, ma con la perdita dei requisiti di onorabilità di Silvio
Berlusconi, Bankitalia ha congelato i diritti di voto e disposto la cessione della quota di partecipazione
eccedente il 9,9% del capitale, cioè il 20,1 per cento. Il Tar ha già dato torto al ricorso di Fininvest e ora si
attende la sentenza del Consiglio di Stato, che si riunirà il 14 gennaio 2016. Se sarà confermato l'obbligo di
vendere, Mediolanum è disposta a comprare un 3-4% di azioni proprie, ma non di più. Si apre, quindi, l'ipotesi
dell'ingresso di nuovi soci. Al momento si parla di investitori istituzionali .
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40,2 quota
di capitale del gruppo Mediolanum
in mano
alla famiglia Doris
La vicenda
Massimo Doris, 48 anni, è l'erede scelto dal fondatore Ennio Doris, per la guida di Mediolanum, di cui è ceo.
È nel gruppo dal 1999 come promotore dopo essere stato sales assistant in Ubs, Merrill Lynch, Credit Suisse
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 18/09/2015
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Banca Mediolanum a dicembre in Borsa Il timone a Doris Jr
18/09/2015
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Bufera sulla Popolare Vicenza Il caso della liquidazione d'oro
Il Tesoro: possibili azioni di vigilanza da parte della Bce
Sergio Bocconi
È bufera sulla Popolare di Vicenza. Ieri nel question time alla Camera il sottosegretario all'Economia Pier
Paolo Baretta ha sottolineato che «quando l'iter ispettivo sarà formalmente concluso la Bce, nell'ambito del
single supervisory mechanism, cui partecipa Banca d'Italia, valuterà» per l'istituto «l'adozione di ulteriori
azioni sotto il profilo della vigilanza». Sembra poi rafforzarsi l'ipotesi di un'azione di responsabilità contro l'ex
amministratore delegato Samuele Sorato, che secondo alcune agenzie avrebbe incassato una buonuscita
vicina a 5 milioni, anche se fonti vicine al board fanno sapere che «tale argomento non è ancora stato oggetto
di discussione in consiglio».
Nel corso dell'interrogazione pubblica, relativa agli accertamenti i cui «risultati saranno formalizzati nelle
prossime settimane», il Tesoro ha ricostruito la vicenda, rilevando come la Popolare vicentina in relazione alle
prime evidenze e dietro sollecitazione della Vigilanza «ha provveduto alla nomina di un nuovo amministratore
delegato», Francesco Iorio, «in sostituzione del precedente e rinnovato le prime linee del management», e
che l'azione degli ispettori è stata recepita «integralmente nella semestrale approvata» a fine agosto chiusa
con perdite per oltre un miliardo, e «dove i coefficienti patrimoniali sono scesi sotto il minimo dell'8%» in
seguito al «disconoscimento del capitale delle azioni oggetto di finanziamento da parte della stessa Vicenza».
Sotto la lente i finanziamenti per quasi un miliardo erogati ai clienti della banca per l'acquisto di azioni
dell'istituto, azioni che non possono però far parte del patrimonio di vigilanza. Contestualmente, rileva ancora
il ministero dell'Economia, sono state avviate misure per rafforzare il patrimonio «quali l'emissione di uno
strumento finanziario subordinato e la delibera di un'operazione di aumento di capitale». Infine Baretta ha
sottolineato che la cessione dell'ex sede di Bankitalia a Vicenza alla Popolare presieduta da Giovanni Zonin è
«stata condotta tramite procedure di vendita con asta rivolte all'intero mercato nazionale» e le procedure
«sono state condotte con l'ausilio di un advisor selezionato con asta pubblica».
«Un film horror», è stato definito il dossier vicentino dai deputati M5s, mentre il leghista Filippo Busin ha
accusato il governo di «vergognosi silenzi».
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I vertici
Danièle Nouy (in alto ), alla presidenza del Consiglio di vigilanza della Bce. Gli ex vertici della popolare di
Vicenza, presieduta dal '96 da Gianni Zonin (foto ), rischiano un'azione di responsabilità
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 18/09/2015
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Credito
18/09/2015
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Perché la Fed ha preferito non correre troppi rischi
Fabrizio Galimberti
Disse Keynes: «Quel che ci si aspetta non succede mai: è sempre l'inatteso che accade». Di solito le
esternazioni del grande economista vengono citate per esaltarle, ma questa volta è diverso. Quel che è
successo- la Fed ha lasciatoi tassi vicini a zero - è quel che la maggioranza si aspettava. Ma la battuta di
Keynes rientra dalla finestra perché quella che lui chiamava "irriducibile incertezza" colora l'analisi della
Banca centrale americana sul sentiero futuro dei tassi-guida. Ed è da notare che, più che nel passato,
l'incertezza si estende a quel che succede nel resto del pianeta. L'analisi del comunicato non lascia dubbi sul
fatto che la decisione della Fed di lasciare i tassi a minimi storici riposa sui timori di avversi sviluppi all'estero,
specie nelle economie emergenti. La Fed non è ancora la "Banca centrale del mondo», ma certo tiene conto
più che nel passato di quel che succede fuori dai confini. Come è normale, specie da quando l'America ha
perso, a vantaggio della Cina, la qualifica di "la più grande economia del mondo". La decisione della Fed
riflette una "asimmetria dei rischi". La Fed poteva alzare i tassi o poteva lasciarli invariati. Ma alzarli voleva
dire correre un rischio maggiore (turbolenza nei mercati e/o rallentamento dell'economia) rispetto al rischio di
lasciarli bassi (in quest'ultimo caso si può sempre intervenire più tardi). Si può anche argomentare che i
mercati hanno già fatto opera di restrizione. Le condizioni monetarie non sono influenzate solo dai tassi:
bisogna anche prendere in considerazione gli andamenti valutari (il dollaro forte degli ultimi mesi è restrittivo
per l'economia), gli andamenti della Borsa (un mercato azionario più debole innalza il costo del capitale di
rischio) e gli spread fra tassi-guida e tassi di mercato. Indici che tengono conto di tutto questo rivelano già da
qualche tempo un irrigidimento nei mercati del credito. Quel che è importante, tuttavia,è che l'economia
americanaè solidamente installata su un sentiero di crescita, e che possibili futuri aumenti dei tassi saranno in
presa diretta con ulteriori conferme di una espansione che fa da locomotiva al resto del mondo.
Foto: [email protected]
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 18/09/2015
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TASSI E CRESCITA
18/09/2015
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Bce: l'Italia usi i risparmi da spread per ridurre il debito pubblico
Davide Colombo Marco Rogari
pagina 8 pUna maggior crescita rispetto alle stime di primavera (Pil dallo 0,7% allo 0,9% quest'anno e oltre
l'1,4% nel 2016)e la conferma di un indebitamento netto al 2,6% quest'annoe in discesa il prossimo, sia pure
non più al 1,8 del quadro programmatico attuale, come ha confermato ieri il consigliere economico del
premier, Yoram Gutgeld. Soprattutto ci sarà la riduzione del debito (attualmente previsto al 132,5% del Pil nel
2015e al 130,9% nel 2016), il primo calo dopo nove anni di salita visto che l'ultima deviazione verso il basso
della curva risale al 2007. Sarà su questi numeri che oggii ministri si confronteranno prima del varo della Nota
di aggiornamento del Def, che sarà poi trasmessa alle Camere. Il testo si compone del nuovo quadro
macroeconomico tendenziale che dovrà essere validato dall'Ufficio parlamentare di Bilancio, e dai nuovi saldi
programmatici, dai quali si leggerà la portata della futura manovra, già preannunciata di 27 miliardi. Nel nuovo
quadro programmatico l'altra conferma attesa riguarda l'indebitamento strutturale, che dovrebbe essere
leggermente più elevato dell'attuale (0,4% per il 2016). Il maggiore disavanzo verrebbe fissato in virtù degli
ulteriori margini di flessibilità cui l'Italia farà ricorso beneficiando della clausola per le riforme (il margine
inutilizzato è dello 0,1%) e della clausola per gli investimenti(potrebbe essere un ulteriore 0,2% di Pil). Margini
che serviranno, come ha spiegato l'altro ieri il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, a costruire una
legge di stabilità per il 2016 che faciliterà l'ulteriore e definitiva uscita da una fase prolungata di recessione:
«Non semplicemente un'uscita ciclica ma un'uscita strutturale che richiede appropriati sforzi». Oggi il ministro
vedrà il commissario Ue agli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici. Ieri la Banca centrale europea, in
una sezione del Bollettino economico dedicata alle raccomandazioni dell'Ue a ciascun Paese nell'ambito del
semestre europeo 2015, ha suggerito invece a Italia, Belgio, Francia, Irlanda e Portogallo di utilizzare tutta la
minore spesa per interessia riduzione del disavanzo, uno spazio fiscale che la Commissione europea in
primavera aveva quantificato in uno 0,4% del Pil nel biennio 2015-2016. Un'indicazione in linea con la
strategia del Governo. L'Italia ha davanti una doppia sfida, sostenere una maggiore crescitae ridurre il debito,
ha detto ieri Gerry Rice, portavoce del Fmi. «Dato che le tasse su lavoroe sui capitali restano elevate, tagli
alle tasse finanziati con i proventi della spending review sarebbero favorevoli alla crescita - ha detto Rice -. Un
uso modesto della flessibilità prevista dal Patto di Stabi- litàe di crescita potrebbe supportare l'agenda di
riforme strutturali, mentre una accelerazione sulle privatizzazioni potrebbe aiutare il compito di ridurre il
debito». Intantoi tecnici del Governo hanno avviato il lavoro di sintesi delle varie opzioni sul tappeto per
giungere alla composizione definitiva della manovra, che dovrà essere varata entro il 15 ottobre. Oltre al
capitolo fiscale, che spazia dalla cancellazione di Tasi sulla prima casa al possibile decollo della digital tax
forse già dal 2016, sotto la lente dei tecnici c'è anche il piano di spending review da 10 miliardi, che in alcuni
punti potrebbe essere anche blindato con miniclausole di salvaguardia. Tra le ultime ipotesi che si stanno
valutando c'è quella di convogliare direttamente nella legge di stabilità una fetta delle misure attuative della
riforma Pa, senza quindi ricorrere ai decreti attuativi. Questa operazione, che dovrebbe garantire 1-1,5 miliardi
di risparmi, potrebbe riguardare la stretta su partecipatee enti inutilie l'eliminazione di uffici interni delle
Authority considerati doppioni di uffici ministeriali. Potrebbero essere inserite direttamente nella stabilità
anche le norme sulle Forze di polizia riguardanti la razionalizzazione degli acquisti di benie servizio della
gestione di servizi di supporto ma non quelle sull'accorpamento del Corpo forestale. Che scatterebbero per
decreto legislativo così come le altre misure della riforma Pa. Da sciogliere c'è poi il nodo del rinnovo dei
contratti del pubblico impiego. La dote per il 2016 dovrebbe essere limitata (dai 500 milioni al miliardo al
"netto")e potrebbe essere coperta anche con un nuovo blocco del turn over.
Crescita e conti pubblici Pil (var.%) 2015 2016 2015 2016 2015 2016
0,9* 1,4** 0,7 1,3 -2,6 -2,0 0,6 1,4 -2,6 -2,0 0,7 1,2 -0,40 Deficit/Pil (%) Debito/Pil (%) -2,6 -1,8 Governo 132,2
131,1 133,1 130,6 132,5 130,9 0,25 0,10 0,30 -0,20 0 -0,30 L'andamento per l'Italia 2015 2016 PREVISIONI
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 18/09/2015
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CONTI
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 18/09/2015
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A CONFRONTO Le ultime stime su Pil, deficit e debito Ocse Commissione Ue Istat Previsioni di primavera
2015 della Commissione Ue Variazione del deficit strutturale in percentuale del Pil LA PARTITA CON LA UE
SULLA CORREZIONE STRUTTURALE Impegno previsto dal Patto di stabilità Variazione del deficit
strutturale in percentuale del PIL, se l'OMT (obiettivo di medio termine) non è stato raggiunto Divario rispetto
al risanamento annuo Differenza tra previsioni di primavera 2015 della Commissione europea e impegni, se
l'OMT non è stato raggiunto Fonte: Bollettino Bce- Raccomandazioni per paese 2015 e previsioni di primavera
Commissione Ue Variazione della spesa per interessi in percentuale del Pil tra il 2014 e il 2016 Previsioni di
primavera 2015 della Commissione europea Aprile 2015 S ettembre 2015 Maggio 2015 Maggio 2015 (*)
crescita attesa r ispetto alla previsione del Def dello 0,7%; (**) nella nota di aggiornamento al Def è attesa
una revisione al r ialzo
18/09/2015
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«Cresceremo l'1% quest'anno, 1,5% nel 2016»
Conti pubblici Più indebitamento quest'anno (2,8%) e in calo verso il 2,1% nel 2016 Gli interventi sul lavoro
Da riforma del lavoro, sgravi contributivi e taglio Irap fiducia a imprese e famiglie Confindustria: 500mila nuovi
posti nel biennio - Paolazzi: l'economia accelera ma restano fattori di rischio internazionali A pesare sulla
congiuntura la frenata del commercio internazionale, le mosse cinesi sui cambi e la coda della crisi greca
Rossella Bocciarelli
pC'è un'occasione che la politica economica non può permettersi di perdere: la possibilità di due anni di
recupero dell'economia, da trasformare in sviluppo stabile e robusto. Muove da queste considerazioni l'ultimo
rapporto del Centro studi Confindustria, che rivede leggermente verso l'alto le sue stime d'incremento del
prodotto interno lordo, portandolo a +1% nel 2015 (contro il precedente +0,8%) e +1,5% nel 2016(a fronte di
un +1,4 %stimato nel mese di giugno). Le previsioni, precisa il Centro studi Confindustria, continuano ad
essere prudenti e questo riavvio dell'attività produttiva mantiene la sua costituzione «fragile » e modesta.
«L'analisi della situazione attuale - si osserva del resto nel rapporto, presentato ieri dal direttore del Csc, Luca
Paolazzi - suggerisce che in questo momento il Paese risplende più di luce riflessa che per meriti propri». In
altri termini,i venti alisei che in questo momento sospingono l'economia italiana provengono tutti dall'esterno.
Si tratta infatti di quel cocktail a base di bassi tassi d'interesse mini euro e basso prezzo del petrolio, con la
prospettiva di una nuova accelerazione del commercio mondiale l'anno prossimo che per un paese
trasformatore come l'Italia rappresenta, sì, un toccasana, ma è un insieme di spinte positive "una tantum".
Per questo, si sostiene «provvedimenti inseriti in primo luogo nella legge di stabilità cheè in cantiere possono
rafforzare l'intensità del recupero dell'economia italiana, che rimane fragile e modesto rispetto al terreno
perduto, nelle spinte che arrivano dall'esterno e ai ritmi che sono necessari per chiudere la voragine di
produzione, reddito e occupazione scavata dalle due profonde e consecutive recessioni» che abbiamo alle
spalle. Il rapporto spiega che nel corso dell'estate sono cambiati parecchi elementi del panorama interno e
internazionale. Sul piano nazionale, in particolare, è maturata, attraverso i nuovi dati pubblicati dall'Istat, una
percezione della dinamica dell'attività economica migliore di quanto si sapeva: quel +0,2 di Pil in più registrato
nei primi due trimestri 2015, insieme alla revisione apportata dall'Istat anche al profilo del 2014, ha spiegato
Paolazzi, hanno mostrato un'economia italiana in accelerazione. Una spinta visibile , anche nei dati della
nuova occupazione che sono positivi a partire da marzo, da quando cioè la messa in opera del Jobs act e
della decontribuzione per i nuovi assunti ha dato un impulso forte e simultaneo ad occupazione e Pil. «Nel
biennio si sottolinea nel rapporto - avverrà la creazione di 494mila posti di lavoro». Quanto alla
disoccupazione, nel 2015 sarà in media del 12,2% e scenderà all'11,8% nel 2016, nonostante una forza
lavoro che accelera (+0,5% in media d'anno). «Stimare oggi una crescita dell'un per cento per il 2015 non è
una previsione particolarmente ottimistica- ha spiegato Paolazzi - visto che la crescita acquisita per l'anno dalla
nostra economia è pari a +0,7%». A meno di non ipotizzare un blocco dell'attività produttiva per i mesi
prossimi, dunque, a produrre quello 0,3% in più potrebbero essere sufficienti gli effetti ritardati del risparmio
sulla bolletta petrolifera( pari a 21 miliardi) del cambio favorevole o dei tassi bassi. Inoltre, è stato ricordato
ieri, le informazioni sulla stagione turistica, a detta degli imprenditori parlano di un+10% rispetto allo scorso
anno. La riforma del mercato del lavoro, gli sgravi contributivi e la riduzione dell'Irap hanno avuto un «ruolo
importante nel catalizzare la fiducia delle imprese, in prima battuta, e delle famiglie, in seguito», sottolinea il
CsC. Le stime del rapporto parlano di un +0,9% per la spesa delle famiglie nel 2015e un +1,5% nel 2016.
Anche gli investimenti tornano ad accelerare nel 2015 e nel 2016: +1,2% e +2,7% rispettivamente. «Si va
dunque consolidando l'uscita dell'economia dalla recessione» iniziata nell'estate del 2011 e «proseguita fino
all'autunno del 2014». Anche se il livello del Pil «rimane, comunque, inferiore dell'8,9% nei confronti del
massimo pre-crisi e del 4,7% rispetto al precedente picco del secondo trimestre del 2011 ed è al livello del
primo trimestre del 2000. La strada del recupero appare, perciò, lunga, in assenza di politiche che accelerino
la crescita». Del resto, «sul piano della sostenibilità dei conti pubblici, l'Italia ha compiuto grandi progressi ed
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La ripresa difficile LE PREVISIONI DEL CSC
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è in condizioni più solide di quasi tutti gli altri paesi europei» si legge nel rapporto, che pure prevede un
indebitamento netto più alto di quello stimato dal governo: 2,8 quest'anno e 2,1% per l'anno prossimo. La
crescita economica, invece, resta vulnerabile, anche perché, sempre nel corso dell'estate, sul piano
internazionale non sono mancate le nubi. Paolazzi le ha riassunte ieri: abbiamo avuto, ha ricordato« una
frenata del commercio mondiale dovuto al rallentamento dei Paesi emergenti, in particolare della Cina, che
ha comportato una fibrillazione dei mercati finanziari, con oscillazioni viste solo nella crisi del 2008 2009,
abbiamo avuto il problema grecia Grecia, le incertezze sui tassi Fed. E abbiamo tuttora, nel mondo, una
minaccia di deflazione».
IL RAPPORTO DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA/1 48,5 48,3 25,0 25,8 27,4 28,2 29,0 26,6 1 .600 1
.650 1 .700 1 .550 1 .450 1 .500 3,9 4,1 2,6 0,5 2016 2015 2014 2013 Pressione fiscale apparente Pressionre
fiscale effettiva 48,6 49,2 42,8 43,0 43,0 43,5 2013 2014 2015 2016 LE ESPORTAZIONI ACCELERANO
Nello scenario CsC l'export, dopo un +2,6% nel 2014, aumenterannoa prezzi costanti del 4,1% nel 2015e del
3,9% nel 2016. La crescita delle importazioni, pari all'1,8% nel 2014, accelererà al 5,0% quest'annoe si
attesterà al 4,2% nel 2016. Di conseguenza, l'export netto fornirà un piccolo contributo negativo al Pil. SI
RIDUCE LA PRESSIONE FISCALE Anche senza conteggiare il bonus di 80 euro, la pressione fiscale si
attesta al 43,6% del Pil nel 2015e al 43,3% nel 2016, il livello più basso dal 2011. Tenendone conto, scende
al 43% nel 2015e al 42,8% nel 2016. La pressione fiscale depurata dal sommerso salirà al 49,2% quest'anno
e nel 2016 tornerà al 48,9%. IL PIL DEVE ANCORA RECUPERARE Il livello del Pil rimane inferiore dell'8,9%
nei confronti del massimo pre-crisi e del 4,7% rispetto al precedente picco (secondo trimestre del 2011) ed è
pari a quello del primo trimestre 2000 (misurato in valori costanti). Il Pil pro capite resta invece agli stessi
livelli del 1997 '97 '99 '01 '03 '05 '07 '09 '11 '13 '15 '16 PIL , (mld di euro , scala sinistra) PIL pro-capite (mgl di
euro; scala destra)
Le nuove previsioni di Confindustria
12,2 11,8
3,5
3,1
2,7
1,2
1,2
1,0
0,7
0,7
0,2 0,7
1,0 0,9 1,5 1,5 6 12 0 6 0 12 6 0 12 6 0 12 6 0 12 6 0 12 6 0 12 2016 2015 2016 2015 2016 2015 Saldo
commerciale 2016 2015 Prezzi al consumo 2016 2015 2016 2015 2016 2015 2016 2015 Prodotto interno
lordo Investimenti fissi lordi Retr ibuzione totale economia Occupazione totale (Ula) Tasso di disoccupazione
Consumi delle famiglie residenti Variazioni % eccetto il tasso di disoccupazione
LA PAROLA CHIAVE
Forza lavoro 7 È l'insieme delle persone occupate e disoccupate, da cui sono invece esclusi gli inattivi
(ovvero colo che non sono classificati come occupati o disoccupati). Rappresenta il valore che viene utilizzato
per misurare il tasso di disoccupazione che è dato dal rapporto tra i disoccupati di una determinata classe di
età (in generale 15-64 anni e 15-24 per quello giovanile) e l'insieme di occupati e disoccupati della stessa
classe di età (forza lavoro)
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Il Made in Italy balza a livelli record
In sette mesi dai mezzi di trasporto più ricavi per 4,6 miliardi - Sesto aumento per l'import Germania e Francia
avanti adagio ma nel resto d'Europa la crescita è robusta. Russia a picco, da gennaio persi 1,7 miliardi di
commesse
Luca Orlando
pMai nella storia. Per la prima volta le vendite di made in Italy sui mercati internazionali superano in un mese
la soglia dei 40 miliardi di euro (41,06), il top in valori correnti ma il massimo di sempre anche tenendo conto
dell'inflazione. Risultato ancora più rimarchevole perché ottenuto in presenza di performance solo appena
accettabili da parte dei nostri due maggiori mercati di sbocco, Germania e Francia, mentre la crisi russa
continua ad aprire voragini nelle commesse aziendali. Freni tuttavia insufficienti per arginare la corsa a pieni
giri dei due motori che sostengono ormai da mesi export e produzione industriale nazionale: Stati Uniti e auto.
Lo scatto del 6,3% dell'export tricolore (un decimale in più rispetto alla Germania), sesto aumento
consecutivo nel 2015 (poco conta la frenata su base mensile destagionalizzata, targata quasi esclusivamente
energia) vede infatti ancora una volta Washington come principale protagonista, capace di far crescere gli
acquisti del 22,9%, ancora oltre nel trend dall'inizio dell'anno. Il che porta ormai gli Stati Uniti a valere il 9%
del nostro export globale, dal 7,5% dello scorso anno. La crescita Usa ovviamente aiuta ma determinante è
l'effetto cambio, in grado da un lato di far lievitare gli incassi in euro, dall'altro di aprire comunque spazi per la
discesa dei listini in dollari, sconti utili per l'aumento dei volumi, che in effetti si verifica. In sette mesi dagli
Usa arrivano commesse aggiuntive per 4,6 miliardi, aumento per oltre un terzo legato all'auto. Dai nuovi
modelli Fca arriva in effetti una spinta determinante, con effetti che non si limitano a Washington, vendite
aggiuntive in grado in sette mesi di far lievitare la voce "mezzi di trasporto" registrata dall'Istat di ben 4,25
miliardi rispetto al 2014. Sul fronte geografico l'altra buona notizia arriva dalla Cina, protagonista di una
crescita certamente inferiore (+3,8%) che tuttavia almeno per il momento allontana i timori legati alla frenata
di Pechino. In area extra-Ue corrono anche Turchia , Medio Oriente e India mentre l'unico vero buco nero
resta Mosca, giù nel mese di quasi 35 punti. Una voragine che colpisce tutti i settori del made in Italy, con
picchi enor- mi per le auto (-91%, anche se i volumi di partenza erano comunque minimi), e che ha già fatto
svaporare per l'Italia dall'inizio dell'anno commesse per 1,7 miliardi di euro, due miliardi se al conto si
aggiunge anche l'Ucraina. Alla crescita degli acquisti dai paesi più remoti si aggiunge un progresso di quasi
sei punti in Europa, frenata tuttavia dal- la performance solo accettabile di Germania e Francia, in aumento di
poco più di due punti percentuali. Altrove però i risultati sono decisamente migliori, in qualche caso a doppia
cifra, come in Belgio (determinante qui la vendita di farmaci) e Spagna, ormai stabilmente tornata a comprare
a piene mani made in Italy, un miliardo in più in sette mesi. Dal lato settoriale invece per fortuna un "caso"
Russia non esiste, nessun comparto a luglio presenta il segno meno, in alcuni casi (auto, elettronica,
farmaceutica) la crescita supera il 20%. Uno sviluppo confortante perché riguarda non solo i valori ma anche i
volumi, in progresso a luglio ma anche dall'inizio dell'anno per ciascun macro-comparto, dai beni di consumo a
quelli strumentali, ed area geografica, in Europa ma anche nei mercati extra-Ue. La ripresa della domanda
interna trova ulteriori conferme nel sesto aumento consecutivo delle importazioni, il che si traduce per l'Italia
in maggiori acquisti di prodotti manifatturieri nell'anno per 17 miliardi di euro. Una crescita che andrebbe ad
oscurare nei saldi il progresso dell'export (+12,2 miliardi tra gennaio e luglio) se non intervenisse il "bonus"
del greggio low-cost, in grado di più che bilanciare la risalita del dollaro producendo in sette mesi uno sconto
di ben sette miliardi di euro nei nostri acquisti di energia dall'estero. L'avanzo commerciale - ricorda il Vice
Ministro allo Sviluppo Economico Carlo Calenda - sale così in sette mesi al livello record di 26,5 miliardi. Così
come da record è l'andamento delle vendite estere dei primi sette mesi dell'anno, 248 miliardi. Il che, in
assenza di nuovi shock, proietterebbe il totale annuo per la prima volta oltre la soglia dei 400 miliardi di euro.
Dollaro, greggio, auto. Speriamo che duri.
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Congiuntura. A luglio per la prima volta le esportazioni oltre quota 40 miliardi in un mese - Crescita del 6,3%
grazie al boom degli Usa, tiene la Cina
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Le performance del commercio estero a luglio
419
369
108
291 0 450 400 350 300 250 200 150 100 50 E' il picco pre-cr isi, l'Italia esporta 369 miliardi, 412 ai prezzi di
oggi L'Italia esporta merce per 108 miliardi di euro, ai prezzi di oggi sarebbero 191 miliardi A luglio record stor
ico di vendite, 41,1 miliardi, il top di sempre in valori correnti ma anche tenendo conto dell'inflazione. La cr isi
innescata da Lehman Brothers abbatte l'export nazionale di quasi 80 miliardi di euro, il 20% Proiettando per
l'intero anno il trend gennaioluglio, il 2015 chiuderebbe con esportazioni per 419 miliardi EXPORT ITALIANO:
ANNI MOBILI 1991-2015 Dati in miliardi di euro 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001
2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015
LA PAROLA CHIAVE
Dati destagionalizzati 7 Vengono definiti dati destagionalizzati quei dati statistici che vengono "depurati" dagli
effetti stagionali, appunto. Un'operazione che si rende necessaria per ottenere un quadro maggiormente
omogeneo e non influenzato da sbalzi che potrebbero falsare le valutazioni sul periodo essendo indipendenti
dal mercato. Un caso tipico è, ad esempio, il calo dei dati manifatturieri durante il mese di agosto, quando
molti settori hanno livelli di produzione ed export ridotti in conseguenza delle ferie.
445
2.509
4.442
1.265
2.131
7.673
4.257
2.385
17
2.780
5.404
807
1.173
2.673
2.151 Gas naturale Legno, carta e stampa Prodotti in metallo Apparecchi elettr ici Tessili, pelli, abbigliamento
Petrolio greggio Agr icoltura, Silvicoltura, Pesca Alimentar i, bevande e tabacco Coke e prodotti petroliferi
raffinati Sostanze e prodotti chimici Macchine ed apparecchi Altre attività manifattur iere Energia elettr ica,
gas, vapore e a/c Apparecchi elettronici e ottici Mezzi di trasporto Trattamento r ifiuti e r isanamento Articoli in
gomma e mater ie plastiche Farmaceutici, medicinali, botanici Fonte: Elaborazione Il Sole 24 Ore su dati Istat
I SETTORI Esportazioni per settori di attività economica (milioni di euro)
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L'allarme di Bini Smaghi: "Il rinvio causerà instabilità Così si deprime la
crescita"
I tassi più alti avrebbero drenato un po' di liquidità in eccesso che è causa della volatilità delle Borse
EUGENIO OCCORSIO
ROMA. «Sarà anche stata una mossa orientata a favorire i Paesi emergenti che hanno tante difficoltà, ma
alla fine danneggerà anche loro». Lorenzo Bini Smaghi, economista e banchiere, già membro del board della
Bce, non ritiene che la Fed abbia fatto la scelta giusta. «Sarebbe stato più opportuno dare finalmente questo
tante volte annunciato ritocco ai tassi».
Perché? La Yellen ha citato la volatilità, l'effetto-Cina, l'inflazione ancora lontana dal target. Tutte
considerazioni fondate. Dove sta l'errore? «Rinviare ancora una volta l'incremento dei tassi aumenta anziché
diminuire l'instabilità mondiale. Il rinvio è esso stesso un ennesimo fattore di incertezze e di volatilità. E di
questo non ne faranno le spese né l'America che è abbastanza forte né l'Europa che era assolutamente
preparata all'aumento, ma proprio le economie più deboli e più esposte. Per l'Europa, non a caso Draghi
aveva annunciato a chiarissime lettere il potenziamento del quantitative easing proprio in risposta all'atteso
aumento dei tassi Usa».
In forza di quale simmetria? «Un aumento dei tassi americani avrebbe trascinato al rialzo anche i tassi
europei per la "fuga verso la qualità" che avrebbe convogliato maggiori capitali mondiali a investire nel dollaro
e nei titoli in esso denominati, divenuti più vantaggiosi. Come conseguenza, anche sui titoli europei si
sarebbe creata una corrente di vendite abbastanza forte, perché gli investitori li avrebbero venduti per andare
a comprare i titoli Usa.
Quest'ondata di offerta avrebbe comportato una riduzione del valore dei titoli europei stessi e quindi
simmetricamente l'aumento dei tassi per un motivo di mercato assolutamente indipendente da qualsiasi
volontà della banca centrale. Perciò a questo punto la Bce era pronta a contrastare quest'offerta di massa
con un potenziamento dei suoi acquisti, quindi della domanda, che avrebbe compensato le vendite e
riequilibrato i tassi europei. Ovviamente gli altri mercati che questo meccanismo non sono in grado di attivarlo
avrebbero avuto invece tutto da rimetterci». Parlando allora dell'Europa, non è meglio che la Yellen abbia
evitato questi esborsi eccessivi da parte della Bce? «No, perché comunque i tassi sono destinati ad
aumentare, e allora tanto valeva sbloccare questa situazione e cominciare a farlo ora in modo ordinato.
C'è anche un'altra considerazione: il rialzo dei tassi Usa avrebbe drenato un po' di liquidità, e proprio
l'eccesso di liquidità in circolazione nel mondo è una causa primaria della volatilità dei mercati, perché ci sono
queste grandi masse di denaro che si muovono, ora comprano, ora vendono. Ridurle ridurrebbe gli sbalzi
nelle quotazioni».
Però la robusta ripresa americana è stata dovuta proprio ai tassi così bassi.
«Sì, infatti è stata una misura benefica finché è servita. Ora rischia viceversa di essere controproducente. Un
dosaggio eccessivo di una buona medicina.
Bisognava alzare i tassi, sia pure in modo limitato, per assecondare l'andamento dell'economia e mettere
una parola di chiarezza nell'attuale fase di instabilità globale».
www.federalreserve.gov www.ecb.europa.eu PER SAPERNE DI PIÙ
Foto: EX BCE Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del board della Banca centrale europea
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IL BANCHIERE CONTRO FED: "DRAGHI PRONTO AD AUMENTARE L'ACQUISTO TITOLI"
18/09/2015
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Rai 4 sul satellite porterà 10 milioni come pubblicità "Presto gli ascolti
saranno doppi"
Un documento riservato in commissione di Vigilanza "Solo film extraeuropei"
ALDO FONTANAROSA
ROMA. Dieci milioni di pubblicità in più nel prossimo bilancio; quindici milioni in più, entro due anni. Eccolo il
"tesoretto" che Viale Mazzini conta di portare a casa grazie all'operazione Rai 4. Da domenica, e per almeno
un anno e mezzo, la tv di Stato ha sistemato il suo canale dei film e delle serie sul tasto 104 del telecomando
di Sky (lo stesso che la berlusconiana Rete 4 ha liberato il 7 settembre). Sul piano formale, la pay-tv di
Murdoch rilancia Rai 4 senza pagare un solo euro a Viale Mazzini, che dunque non incassa niente come
diritti di ritrasmissione della rete. Ma sul piano sostanziale la televisione di Stato "vede" un utile significativo
che viene ben descritto nel documento "Stime ascolti e pubblicità". Si tratta di uno di quei documenti interni
ultra-riservati, che però finiscono spesso tra le mani dei deputati o dei senatori della Commissione di
Vigilanza.
Bene, il documento "segreto" calcola che Rai 4 incasserà, nel 2015, circa 500 mila euro di pubblicità. Una
miseria.
D'altra parte, prima dell'accordo con Sky, il canale era visibile solo sul tasto 10 del decoder TivùSat e sul 21
del digitale terrestre. Adesso, con la promozione sul satellite di Sky, la stessa rete dovrebbe fatturare 10
milioni di spot (nel 2016) e addirittura 15 (nel 2017). La fiammata nelle entrate sarà effetto della crescita degli
ascolti. Viale Mazzini stima che lo share tra gli abbonati alla pay-tv si attesterà presto sull'1,5 per cento
(contro lo 0,6 per cento attuale).
Il nuovo direttore generale Campo Dall'Orto punta, tra le altre cose, a ringiovanire il pubblico di Rai4, che
oggi ha un'età media di oltre 49 anni.
Operazione che richiede una messa a punto dell'offerta della rete. Il documento arrivato in Vigilanza rivela
che la televisione di Stato lancerà dei programmi di lifestyle (di quelli che parlano di cucina, moda, tempo
libero) e di "factual tv" (con pezzi di realtà descritti senza filtri). E se Rai 4 confermerà la «grande serialità»
per almeno il 50% del palinsesto, a questa si affiancheranno «film mirati quasi esclusivamente
internazionali».
Foto: IL NUOVO DG Antonio Campo Dall'Orto, direttore generale della Rai, ha portato Rai4 sul tasto 104
della pay-tv Sky
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IL PUNTO
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Andrea Di Biase
I Red Devils puntano a 700 mln di ricavi dopo i 540 senza Champions Di Biase a pag. 12 Quasi 140 milioni di
euro investiti nell'ultimo calciomercato, di cui 50 solo per il giovane talento francese Anthony Martial (in gol
sabato nel 3-1 contro il Liverpool), cifre che lo stesso tecnico dei Red Devils, Louis Van Gaal, non ha esitato
a definire esagerate, ma che il Manchester United, alla luce delle indicazioni arrivate ieri sul fronte dei ricavi
può senza dubbio permettersi. Nel comunicato depositato alla Security and Exchange Commission (Sec) in
occasione dell'approvazione del bilancio al 30 giugno 2015, la dirigenza del Manchester United ha infatti
indicato di attendersi per questa stagione ricavi compresi tra 500 e 510 milioni di sterline. Al cambio di ieri si
tratta di una cifra vicina a 700 milioni di euro, che se raggiunta farebbe del Manchester United il club più ricco
del mondo, superando il Real Madrid, che per l'esercizio in corso si attende ricavi al netto delle plusvalenze
per 582 milioni, e facendo meglio anche dei campioni d'Europa del Barcellona, che nei giorni scorsi hanno
approvato il budget per l'esercizio 2015/16 indicando in 633 milioni di euro il target di ricavi (il club non l'ha
specificato ma in questa cifra dovrebbe essere compresa anche la plusvalenza di circa 27 milioni legata alla
cessione di Pedro al Chelsea). Siderale diventerebbe la distanza con i club della Serie A. La Juventus, che
venerdì ha approvato i conti al 30 giugno 2015, con ricavi per 325 milioni e un utile di 2,3 milioni, ha
quest'anno la possibilità di raggiungere una soglia di fatturato di 350 milioni (al netto delle plusvalenze su
Vidal e sull'area della Continassa). Ma molto dipenderà dal cammino in Champions League della squadra
guidata da Massimiliano Allegri. Da questo punto di vista, il bilancio al 30 giugno 2015 del Manchester United
ha dimostrato che i Red Devils non sono affatto Champions dipendenti. Il club controllato dalla famiglia
Glazer e quotato al New York Stock Exchange ha infatti chiuso l'esercizio 2014/15, coinciso con la mancata
partecipazione alle coppe europee, con ricavi pari a 395,2 milioni di sterline (541,5 milioni di euro), in
flessione rispetto ai 433,2 milioni di sterline dell'esercizio precedente. La flessione dei ricavi riportata nel
bilancio Manchester United 2015 è legata proprio alla mancata partecipazione alla scorsa edizione della
Champions League. Se i ricavi commerciali sono infatti cresciuti a 196,9 milioni di sterline, rispetto ai 189,3
milioni del 2013/14, i proventi da diritti tv sono scesi a 107,7 milioni di sterline dai 135,8 milioni di un anno
prima. Le minori gare disputate nella scorsa stagione ad Old Trafford hanno pesato anche sui ricavi da gare,
scesi a 90,6 milioni dai 108,1 milioni della stagione conclusa al 30 giugno 2014. L'esercizio si è chiuso con
una leggera perdita (1,2 milioni di sterline, 1,64 milioni di euro) a causa dei maggiori oneri finanziari legati al
riacquisto degli strumenti di debito (senior secured notes). A fine giugno il debito finanziario netto dello United
era pari a 255 milioni (da 275,4 milioni) a fronte di un patrimonio netto di 477 milioni. (riproduzione riservata)
I RICAVI DEI TOP CLUB EUROPEI
Real Madrid Barcellona Manchester United Juventus 549,6 437,9 593,9 279,3 577,7 504,6 541,5 324,7 582
633 700 350 0 200 400 600 800 GRAFICA MF-MILANO FINANZA Ricavi in milioni di euro (*) Real Madrid,
Barcellona e Manchester United hanno comunicato i target per il 2015/16 La stima relativa alla Juventus non
è un dato ufficiale della società 2013/2014 2015/2016* 2014/2015
Foto: Anthony Martial Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/juventus
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ManU batte Barcellona e Real Madrid
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Dieci piccole banche costrette allo stress test
Claudia Cervini
Potrebbero aggiungersi anche CariAsti e Unipol Banca. Esami possibili all'inizio del prossimo anno (Cervini a
pag. 4) La decisione non è ancora stata presa. La Bce sta però seriamente valutando l'ipotesi di sottoporre
anche le banche cosiddette non significative (cioè quelle con attivi inferiori a 30 miliardi di euro) al
comprehensive assessment, procedura che prevede sia la revisione della qualità degli attivi sia una sorta di
stress test, cioè la valutazione di come le banche reggerebbero all'impatto di un ipotetico ambiente
economico più difficile rispetto a quanto attualmente previsto. L'ipotesi allo studio secondo quanto risulta a
MFMilano Finanza prevede già un calendario di massima. L'idea è partire a inizio 2016 mettendo sotto esame
gli istituti cosiddetti «ad alta priorità». In Europa gli istituti classificati come high priority sono poco più di un
centinaio, selezionati per dimensioni, livello di rischio e interconnessioni (dovute nello specifico alla loro
funzione di infrastruttura dei mercati finanziari o di provider di sistemi di pagamento). In Italia gli istituti con
attivi inferiori a 30 miliardi di euro considerati ad alta priorità sono una dozzina. La lista, poco prima
dell'estate, comprendeva banche di standing come il Credito Valtellinese, Credem, Banca Sella, Banco
Desio, l'Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane, la Banca popolare dell'Etruria (oggi commissariata e
quindi presumibilmente esclusa)), la Banca popolare di Bari, Volksbank e Banca Mediolanum. Alle quali
potrebbero aggiungersi Unipol Banca e CariAsti. Ma è probabile che, nel corso del mese di settembre,
l'elenco venga aggiornato. Solo in un secondo momento, a partire dal mese di aprile, gli esami Bce
potrebbero estendersi anche alle banche di minori dimensioni, compresi alcuni istituti di credito cooperativo.
La stesura di un doppio calendario risponderebbe a due ragioni. Esaminare un numero così ampio di banche
(le less significant in Europa sono 3.500) richiede tempo: per la valutazione dei 131 istituti di grandi
dimensioni effettuata lo scorso anno ci sono voluti diversi mesi. Perciò si starebbe pensando di agire in più
tranche. Oltre a essere molto nutrita, la categoria è anche eterogenea poiché comprende sia banche con
pochi sportelli sia istituti con attivi considerevoli. Anche per questo motivo la metodologia è ancora allo studio.
Secondo alcuni osservatori in questi casi è possibile procedere in due modi: identificando quello che in
statistica viene definito un campione stratificato (selezionando, in questo caso, alcune banche del Nord, del
Centro e del Sud del Paese), come potrebbe avvenire per le Bcc, oppure procedere con un campione non
stratificato (come nel caso delle high priority). Di certo anche l'identificazione dei parametri da applicare nel
corso dell'analisi è un compito arduo. Sotto il profilo tecnico, quello che potrebbe mettere in difficoltà alcune di
queste banche sono gli accantonamenti sui crediti in bonis, che di norma sono effettuati su base di
valutazioni statistiche. La partita più delicata potrebbe infatti essere l'individuazione dei ratio da applicare alla
svalutazione fofettaria degli attivi. La Banca centrale europea non ha vigilanza diretta sulle banche con attivi
inferiori a 30 miliardi di euro, la cui competenza rimane in capo alle banche centrali nazionali. Per questo
motivo le linee guida di questi test sarebbero stabilite da Francoforte, ma l'attuazione avverrebbe in
collaborazione con le banche centrali nazionali. Lo scopo dell'operazione è armonizzare tali istituti sotto il
profilo dei parametri utilizzati. La novità risiederebbe infatti nell'adozione di una cornice metodologica
uniforme nella valutazione di tutte le banche del sistema Ue. Non sorprende che i vigilanti stiano pensando di
uniformare, sotto il profilo delle regole, l'intero sistema bancario europeo: l'operazione sarebbe condotta per
rendere effettiva l'unione bancaria. Per le grandi banche, considerate significative per numero di attivi, i test
sono iniziati due anni fa e non sembrano avere fine. È cominciato tutto nel 2013 con gli stress test e con
l'asset quality review cui sono state sottoposte 15 banche italiane, le cui pagelle sono arrivate soltanto a
ottobre 2014. Successivamente è arrivato un nuovo acronimo: lo Srep, il processo di revisione e valutazione
prudenziale cui sono state sottoposte le grandi banche in queste settimane. E, nei primi mesi del 2016, per gli
istituti con attivi superiori a 30 miliardi di euro, è in calendario una nuova tornata di stress test. Ora potrebbe
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GLI ISTITUTI ITALIANI SONO CREDEM, CREVAL, ICBPI, POP BARI, SELLA, VOLKSBANK, DESIO E
BANCA MEDIOLANUM
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 18/09/2015
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essere venuto anche il turno delle piccole. (riproduzione riservata)
LA NUOVA PLATEA DI BANCHE SOTTO LA LENTE BCE GRAFICA MF-MILANO FINANZA LESS
SIGNIFICANT: Con attivi inferiori a 30 miliardi di euro di cui ad alta priorità: 100 in Europa ... e una dozzina in
Italia Creval Credem Banca Sella Banco Desio Icbp Popolare Etruria e Lazio* Banca Popolare di Bari
Volksbank Mediolanum LE ITALIANE CHE SI STUDIA DI ESAMINARE DAL 2016 * Oggi commissariata
18/09/2015
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Andrea Montanari
(Montanari a pagina 8) Prima l'acquisto della ex sede di Unicredit in piazza Cordusio, nel centro di Milano,
rilevando la proprietà dell'immobile da Idea Fimit sgr per un controvalore di 345 milioni di euro. Ora la firma di
un memorandum of understanding per fare di Unicredit uno dei punti di riferimento, in Italia e non solo, della
futura campagna acquisti.Nei giorni scorsi, secondo quanto riferito a MF-Milano Finanza da fonti vicine alla
trattativa, Fosun, la maggiore conglomerata cinese (banche, assicurazioni, industria mineraria, immobiliare,
materie prime e farmaceutica), e Unicredit hanno definito un accordo di collaborazione globale che fa
dell'istituto di credito italiano uno dei principali referenti del gruppo asiatico nei mercati in cui la banca è
presente. La firma è avvenuta nell'ambito della presentazione istituzionale che Fosun ha organizzato per una
platea di investitori italiani (oltre 100 invitati) martedì 15 settembre all'hotel Four Season di Milano. All'evento
erano presenti i vertici del colosso asiatico, presieduto da Guo Guangchang (19° uomo più ricco di Cina, con
un patrimonio di 6,4 miliardi di dollari), l'amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni (affiancato dai
vicedirettori generali Paolo Fiorentino e Gianni Franco Papa), l'ambasciatore cinese in Italia Li Ruiyu (che si è
soffermato sull'importanza dell'investimento immobiliare di Fosun in piazza Cordusio e sulla strategicità
dell'accordo siglato con la banca italiana) e l'assessore allo Sviluppo Economico del Comune di Milano
Cristina Tajani. In occasione della firma dell'accordo è emerso il forte interesse di Fosun per l'Italia (di recente
ha rilevato anche il 35% della casa di moda Caruso) e per gli altri principali mercati europei, a cominciare
dalla Francia (a inizio 2015 ha comprato il gruppo turistico Club Med e in primavera è entrato nel capitale del
Cirque du Soleil). Nel prossimo futuro il settore immobiliare italiano potrebbe continuare a essere uno dei
target principali di Fosun, vista l'ampia offerta sul mercato, in particolare di immobili di pregio a destinazione
commerciale. Per esempio, a Milano ci sono altri palazzi che potrebbero fare gola alla conglomerata cinese.
Quanto a Palazzo Broggi, ossia l'ex sede di Unicredit in piazza Cordusio acquisita da Fosun, nelle intenzioni
dei manager del gruppo asiatico avrà una doppia destinazione: i piani bassi saranno dedicati ad attività retail,
mentre quelli alti verranno trasformati in un albergo. (riproduzione riservata)
Foto: Guo Guangchang Federico Ghizzoni
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Unicredit si accorda col gigante cinese Fosun, sarà il suo advisor in
Europa
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Gli appalti vanno sempre pubblicati
Antonio Satta
«Ha ragione Cantone, la trasparenza paga sempre». Lelio Alfonso, numero due di Italia Unica, il movimento
fondato dall'ex ministro Corrado Passera, condivide le tesi del presidente dell'Autorità anticorruzione
contenute nell'intervista pubblicata su questo giornale mercoledì 16 settembre. Alfonso è convinto che sia
importante anche mantenere l'obbligo di pubblicare i bandi pubblici, «anzi secondo me gli editori dovrebbero
battersi perché vengano pubblicate sui giornali tutte la gare d'appalto, non solo quelle a bando ma anche
quelle a trattativa privata». Non solo. «La trasparenza, come dice Cantone, va comunque oltre la questione
dei bandi, è trasparenza l'anagrafe pubblica degli incarichi, delle nomine e delle forniture, come noi di Italia
Unica sosteniamo dall'inizio della nostra esperienza. Abbiamo stilato un decalogo e vediamo con piacere che
quei punti sono pressoché gli stessi che sollecita Cantone». Domanda. Pensa che il governo non stia
facendo abbastanza? Risposta. Renzi pensa che la questione si risolva inasprendo le pene, non è così. La
corruzione la blocchi con la prevenzione. Servono regole chiare, che oggi non ci sono, e non solo in campo
giudiziario. D. In che senso? R. Vediamo come si concretizzerà la riforma Madia della Pubblica
amministrazione. C'è un nodo importantissimo che riguarda la valutazione e gli sviluppi di carriera dei
dirigenti. Per noi è fondamentale che l'unico criterio sia il merito ed è chiaro che la lotta alla corruzione passa
anche da qui, come passa dall'introduzione di meccanismi analoghi al False claims act, introdotto negli Stati
Uniti fin dal 1986, che premia con una percentuale dei rimborsi ottenuti dallo Stato chi denuncia i
comportamenti fraudolenti dei funzionari o degli amministratori pubblici. Questi sono atti concreti che vanno a
colpire la corruzione. D. Però adesso si sta discutendo un nuovo codice degli appalti. R. Buona cosa, ma non
basta. Vede, Giorgio Napolitano, nel suo ultimo discorso, e Sergio Mattarella, nel suo primo intervento, hanno
detto entrambi che la prima emergenza è la corruzione, ma ancora non c'è l'anagrafe delle nomine, degli
incarichi e delle forniture, non sono state tagliate le partecipazioni pubbliche (da 10 mila si può scendere a
poche centinaia). E non sono nemmeno state ridotte le stazioni appaltanti. Cantone dice che non si sa
nemmeno quante siano. Glielo diciamo noi: sono 35 mila e si possono ridurre a 350. D. Cantone ha insistito
anche sul nesso forte tra trasparenza e informazione. R. Ha ragione I giornalisti e gli editori devono
rivendicare l'essenza stessa del loro lavoro che è quello di essere i guardiani dell'opinione pubblica. Fare
inchieste, scavare nei documenti, cercare la notizia, questa è la buona informazione che serve, ma
trasparenza è anche togliere ogni velo all'informazione legale, andare a nascondere chissà dove le
informazioni sugli appalti è il contrario di ciò che serve. Ma ovviamente c'è bisogno anche d'altro. D. Che
cosa? R. Il meccanismo che i francesi hanno chiamato débat public e che Passera ha cercato di introdurre in
Italia quando era ministro dello Sviluppo, cioè il principio che la realizzazione di opere pubbliche deve essere
preceduta da un confronto con le comunità e i territori interessati, cui debbano essere fornite tutte le
informazioni necessarie per prendere la decisione, in modo che quando questa venga presa si possa
procedere, celermente senza più ripensamenti. D. Ma il codice degli appalti le piace? R. È un buon punto di
partenza, che dovrebbe spazzare via il meccanismo delle deroghe. Servono appalti chiari, con penali pesanti
per chi ritarda i lavori. Il gioco del massimo ribasso per accaparrarsi l'appalto e poi delle revisioni in corso
d'opera va cancellato per sempre. (riproduzione riservata)
Foto: Lelio Alfonso
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INTERVISTA ALFONSO ( ITALIA UNICA): LA CORRUZIONE SI BATTE CON LA TRASPARENZA
18/09/2015
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Rosario Murgida
MF-DowJones Prosegue lo shopping di Altice negli Stati Uniti. La holding lussemburghese ha infatti siglato un
accordo definitivo per acquistare l'operatore via cavo statunitense Cablevision con un'operazione dal valore di
10 miliardi di dollari circa. L'operazione, che porterà alla creazione del quarto operatore sul mercato delle
telecomunicazioni via cavo negli Usa, prevede che la holding del magnate franco-israeliano Patrick Drahi
paghi 34,9 dollari per ogni azione Cablevision, società con 3,1 milioni di abbonati a servizi televisivi, di
telefonia fissa e di banda larga erogati in tutta l'area metropolitana di New York. L'accordo, raggiunto sulla
base di un enterprise value di Cablevision di 17,7 miliardi di dollari, è solo l'ultimo di una lunga serie di
transazione che hanno portato Altice ad assumere un ruolo da protagonista nel consolidamento del mercato
delle telecomunicazioni sia in Usa che in Europa. Dopo una campagna di espansione nel Vecchio Continente
culminata con la fusione in Francia tra Numericable e Sfr, Altice ha aperto un nuovo fronte della sua offensiva
negli Usa siglando a maggio un'intesa da 9 miliardi di dollari per rilevare Suddenlink Communications, un
altro operatore via cavo statunitense di piccole dimensioni. Cablevision, quinta realtà del settore statunitense
dei servizi via cavo e ottava nel campo della pay-tv, è stata sempre vista come possibile preda nel quadro del
rapido consolidamento del settore che ha portato At&T a rilevare a luglio DirecTV. Drahi ha peraltro tentato il
colpo grosso negli Usa puntando le sue attenzioni su Time Warner Cable ma in questo caso la battaglia è
stata vinta da Charter Communications con un'intesa da 55 miliardi di dollari che deve ancora ottenere il via
libera delle autorità competenti. (riproduzione riservata)
Foto: Patrick Drahi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 18/09/2015
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Altice compra Cablevision per 10 mld $
SCENARIO PMI
5 articoli
18/09/2015
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Dote da 400 milioni per favorire il reshoring
Le misure comprendono anche interventi a favore della ricapitalizzazione, delle start-up e delle imprese
femminili
Barbara Ganz
pIl caso Fiamm, l'azienda vicentina che ha chiuso lo stabilimento Ceco e scommesso sull'Abruzzo, è stato
analizzato pochi giorni fa nell'assemblea degli industriali di Torino come uno dei casi da manuale di rientro
delle produzioni in Italia. Un fenomeno in crescita - complici i costi di produzione in aumento e la ricerca di
qualitàe made in Italy garantiti da parte dei committenti-e che in Veneto viene incoraggiato da un accordo
innovativoe finanziato con un plafond di 400 milioni di euro- erogabili con modalità e durate variabili a
condizioni vantaggiose per le aziende delle province interessate- per riportare entroi confini veneti l'industria
localizzata all'estero sostenendo lo sviluppo, la produzione e l'occupazione nel territorio. L'intesa è stata
firmata fra Antonveneta-MPS e Confindustria Padova, Confindustria Vicenza e Unindustria Treviso. Le
imprese aderenti alle tre territoriali potranno avvalersi di questa opportunità fino a dicembre 2015 (l'accordo è
eventualmente rinnovabile); si tratta di sei finanziamenti agevolati concepiti per rispondere alle più varie
esigenze. In particolare sono stati previsti: un finanziamento per l'incremento del capitale circolantee supporto
di investimenti da realizzare o in corso di realizzazione con Cassa depositi e prestiti; finanziamenti specifici
finalizzati allo sviluppo delle imprese; prestiti agevolati anche per eventuali necessità di ricapitalizzazione. A
disposizione delle imprese anche un finanziamento dedicato alle start-upe uno per l'imprenditoria femminile.
«Nonostante la congiuntura italiana ancora non sia del tutto favorevole, il Veneto e le province di Treviso,
Padovae Vicenza si distinguono come vere e proprie locomotive dell'economia nazionale - dice Massimo
Fontanelli, responsabile Area territoriale Antonveneta di Banca Monte dei Paschi -. La grande forza di questa
regione sono il suo capitale umanoe l'alta propensione a investire, innovare, affrontare le fasi più difficili con
creativitàe coraggio». Con una attenzione particolare alle "rilocalizzazioni", cioè il rientro di produzioni in
patria, «che possono rappresentare un incredibile volano di crescitaosserva Fontanelli -. Noi vogliamo
confermarci al fianco di quelle imprese che, insieme ad Antonveneta, hanno costruitoi distretti manifatturieri
più dinamici d'Italia, prima di una fase difficile che ha costretto molti a spostare la produzione oltrefrontiera. La
partnership con le tre Confindustrie può essere l'occasione per ricreare le condizioni per riattrarre
investimenti. Un territorio senza nuovi investimenti è destinato al declino». Secondo Massimo Finco,
presidente di Confindustria Padova, «per irrobustirei primi accenni di ripresa dobbiamo rianimare il tessuto
connettivo dell'economia reale, facendo affluire alle Pmi la maggiore liquidità immessa nel sistema bancario
dalla Bce. Da qui il valore dell'accordo con Antonveneta-MPS che, con soluzioni flessibili e dinamiche, finanzia
in particolare gli investimenti legati al rientro di produzioni dall'estero, quel reshoring che può contare nel
nostro territorio su filiere di fornitura di prim'ordine, capitale umanoe know-how di eccellenza e capacità di
innovare». Per la presidente di Unindustria Treviso, Maria Cristina Piovesana, «è un accordo che coglie le
opportunità di questa fase in cui si fanno più concretii segnali di ripresa, grazie all'export, tradizionale punto di
forza delle nostre imprese, ma anche nel mercato interno.E puntaa favorire i progetti di investimento
industriale nel territorio, all'insegna dell'innovazione e della sostenibilità». «Con questa collaborazione
dichiara Giuseppe Zigliotto, presidente di Confindustria Vicenza - ci fa piacere, dopo anni di ristrettezze nel
credito, poter lanciare una proposta di sostegno finanziario per le imprese che investono e che crescono,
cercando così di riavviare un nuovo volano di sviluppo per la nostra economia».
IN CIFRE
400 rovince L'accordo interessa le associate alle associazioni industriali di Treviso, Padovae Vicenza, che
potranno avvalersi di questa opportunità fino a dicembre 2015 Milioni Il plafond messoa disposizione da
Antonveneta -MPS per le necessità delle imprese: fra gli obiettivi sostenere il reshoring, rientro di produzioni
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 18/09/2015
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Strumenti. Accordo tra Mps e tre Confindustrie venete
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 18/09/2015
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delocalizzate
Foto: .@Ganz24Ore
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21 Investimenti punta 100 milioni sulla Polonia
R.Fi.
21 Investimenti, gruppo europeo fondato e guidato da Alessandro Benetton, dopo aver lanciato il programma
21 Investimenti III da 330 milioni di euro che sosterrà la crescita delle medie imprese italiane, annuncia in
Polonia il closing di 21 Concordia, un nuovo programma d'investimento che ha raccolto 100 milioni di euro da
primari investitori istituzionali internazionali. Gli investimenti di 21 Concordia, gestito da un team locale basato
a Varsavia, si concentreranno principalmente in medie imprese polacche con ricavi annuali tra i 10 e i 50
milioni di euro con l'obiettivo di stimolarne un nuovo percorso di sviluppo. Tra questi EGB (recupero crediti) e
TxM (outlet) mentre, si legge in una nota, sono in corso di valutazione due nuove operazioni che potrebbero
essere completate a breve. «Tra il 2008 e il 2014, gli anni della crisi più profonda delle economie mondiali, la
Polonia è cresciuta di oltre il 20%, e il paese dispone di un sistema politico stabile oltre che di un Capital
market sviluppato. L'economia polacca, inoltre, è guidata da forti consumi interni e da un export in crescita.
Per questo rappresenta un mercato di sicuro sviluppo anche per le imprese italiane che noi sosteniamo nella
loro crescita internazionale e che ha catalizzato l'interesse degli investitori istituzionali», ha spiegato
Alessandro Benetton.
Foto: IMAGOECONOMICA
Foto: Private equity. Il fondatore di 21 Investimenti, Alessandro Benetton
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 18/09/2015
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Fondi. A supporto delle pmi italiane
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Jobs Act o no adesso si assume
I dati dicono che l'occupazione sta ripartendo. E le imprese apprezzano la riforma. Ma molto dipende dagli
incentivi, che scadono a fine anno. E per rendere stabile il segno più si deve puntare su formazione e
investimenti
Luca Piana e Gloria Riva
AURIZIO LANDINI non ha dubbi: per lui il Jobs Act è «una legge sbagliata, che dev'essere contrastata e
cancellata ». Sergio Marchionne, invece, lo apprezza tantissimo: grazie alla riforma del mercato del lavoro
avviata a inizio anno dal governo, ha detto, l'Italia «ha smesso di essere una realtà anomala». Un giorno sì e
un giorno no, il dibattito politico italiano si infiamma su una delle più discusse riforme del premier Matteo
Renzi, il cosiddetto Jobs Act. Nove mesi di vita non sono infatti bastati per consolidare il consenso e placare
le polemiche sulla rivoluzione voluta dal governo per cambiare il mondo del lavoro. Sindacati, imprenditori e
economisti stanno elaborando dati e valutazioni sugli effetti della riforma, e per i partiti le sfumature di ogni
colore sono tutte buone per esaltarne i pregi o attaccarne i difetti. Una delle ragioni di tanta agitazione è
semplice: il numero delle persone che hanno un lavoro sta crescendo in misura molto progressiva, senza la
fiammata che forse si augurava Renzi. C'è però una seconda ragione, meno analizzata della precedente ma
in prospettiva più importante: al di là degli effetti immediati sull'occupazione, infatti, il Jobs Act sta cambiando
il lavoro in maniera profonda, con conseguenze sui contratti, la cassa integrazione, le ristrutturazioni aziendali
e il ricollocamento, che diventeranno sempre più cruciali con il passare del tempo. Lo certificano, ognuno a
modo suo, i giudizi di persone con opinioni molto lontane fra loro, come gli stessi Landini e Marchionne. Il
leader del sindacato metalmeccanico Fiom ha rilanciato l'idea di un referendum abrogativo del Jobs Act, che
considera una specie di Belzebù per aver dato alle imprese la possibilità di licenziare in modo più semplice.
Un punto che il numero uno di Fiat-Chrysler vede in maniera opposta. «Il fatto che ci sia un sistema di regole
per gestire anche una potenziale contrazione del mercato aiuta moltissimo», ha ammesso Marchionne, che
ha appena assunto con il nuovo contratto a tempo indeterminato e tutele crescenti 1.600 giovani, in gran
parte ( 1.478) nello stabilimento di Melfì, ribaltando però la prospettiva con cui guardare al Jobs Act: se è più
facile licenziare, è altrettanto vero che si assume più facilmente quando le cose vanno bene. IL MOMENTO
PEGGIORE: UN ANNO E MEZZO FA I numeri, dunque. Dal punto di vista dell'occupazione il momento più
nero della recessione è stato toccato a inizio 2014. Nel buio trimestre invernale gennaio-marzo, guardando i
dati grezzi dell'Istat, non depurati dagli effetti stagionali, il numero degli occupati in Italia era crollato a 22
milioni di persone. Poi è iniziata la ripresa. Nel successivo mese di dicembre 2014 le persone con un lavoro
erano risalite a 22,3 milioni, per la precisione 349 mila in più rispetto a nove mesi prima (sempre dati non
destagionalizzati, mentre nella figura di pagina 32 si trovano quelli corretti). Nel primo trimestre 2015 c'è stato
un nuovo contraccolpo della crisi, probabilmente perché le aziende aspettavano l'entrata in vigore del Jobs
Act e di valutare lo sconto sui contributi garantito dalla legge di stabilità per le assunzioni fatte nel 2015 (vedi
pagina 33). Poi, tra aprile e giugno, la ripresa è tornata a farsi sentire, e gli occupati sono tornati a quota 22,4
milioni, un livello che non si vedeva da fine 2012. L'istituto di statistica ha già annunciato che il recupero è
proseguito anche in luglio ma per le cifre definitive occorre attendere. Altri dati dicono che i lavoratori
dipendenti aumentano, gli autonomi calano: un segno, assieme all'aumento dei dipendenti over 50, che le
imprese stanno inserendo in organico collaboratori già testati, per beneficiare degli incentivi. Su queste cifre,
nei mesi passati, si è scatenata la battaglia. Tra calcoli sbagliati del ministero del Lavoro, tweet euforici di
Renzi, momenti di godimento da parte dei suoi awersari di fronte a qualsiasi dato non brillante, lo scontro è
stato serrato. Sta di fatto che l'Inps ha iniziato a diffondere il numero dei nuovi contratti a tempo indeterminato
che vengono comunicati all'istituto di previdenza: nel primo semestre 2015 ne ha contati 470 mila in più
rispetto a un anno prima. Facendo la tara alle diverse fonti informative, Bruno Anastasia, economista
dell'osservatorio Veneto Lavoro, arriva alla conclusione che nella prima metà dell'anno siano stati «creati 370
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Lavoro
18/09/2015
Pag. 30 N.38 - 24 settembre 2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
mila posti di lavoro stabili», il 40 per cento in più rispetto a quanto era avvenuto nel 2014. Difficile dire, per
ora, quanto abbiano influito sul risultato le caratteristiche del nuovo contratto a tutele crescenti e quanto
l'ingente taglio di contributi per il primo triennio di lavoro. Anastasia pensa che, in questa fase, abbia pesato
più la decontribuzione ma gran parte degli economisti e degli addetti ai lavori ritiene che, alla lunga, gli effetti
duraturi del • Jobs Act si faranno sentire. Anche se, per far uscire l'Italia dal tunnel della disoccupazione in cui
si è infilata, peseranno in maniera determinante altri fattori. BENEDETTO INCENTIVO Ambra Redaelli è alla
guida della Rollwasch, un'azienda monzese che produce macchine utensili, ha 60 dipendenti e nel 2015 ne
ha assunti 3 grazie alle detrazioni: «II primo gennaio ho stabilizzato una persona che, altrimenti, non avrei
potuto tenere. Ho fatto lo stesso con uno stagista. Adesso sto pensando a un terzo contratto. E più
conveniente di un'assunzione a termine. Ma senza sgravi dubito che continuerei ad assumere», dice
l'imprenditrice, che non ha dimenticato quanto sia stato difficile guidare l'azienda quando la crisi non lasciava
scampo: «È una questione di fiducia e finché quella non c'è, nessuno rischia». Le agevolazioni sono piaciute
anche alle multinazionali. A Sant'Agata Bolognese il gruppo Volkswagen-Audi ha dato il via all'assunzione di
500 tute blu che costruiranno il nuovo Suv della Lamborghini, mitico marchio di supercar acquisito qualche
anno fa dai tedeschi. Verrà prima esaurito il bacino di lavoratori a termine, poi saranno creati nuovi posti di
lavoro, con contratti a tutele crescenti ma anche con l'applicazione dell'articolo 18, che in caso di
licenziamento rende più facile ottenere il reintegro. I contributi ridotti ok, ma il Jobs Act ha contato? Chissà. In
Lamborghini fanno sapere che l'entrata in vigore della riforma sul lavoro è avvenuta in un momento in cui
l'Azienda aveva già un piano di crescita pianificato: «L'intenzione è applicare in modo responsabile le
opportunità che il quadro normativo offre. Le persone che lavorano in Lamborghini sono considerate la chiave
del successo», dicono. Un nome che conoscono tutti è quello di McDonald's, la catena dei panini. In Italia >
quest'anno ha assunto 500 persone, due terzi a tempo indeterminato, il resto con l'apprendistato. Una novità,
perché la seconda opzione è da sempre la preferita dal gruppo: «Quando apriamo un ristorante partiamo con
un organico sottostimato, circa 25 persone. Ma con la flessibilità del Jobs Act, che ci permette di interrompere
il rapporto di lavoro nei primi tre anni, per ogni negozio sono state assunte almeno 30 persone», spiega
Stefano Dedola, responsabile delle risorse umane. «L'apprendistato e il contratto a tutele crescenti offrono gli
stessi incentivi, ma il secondo è più flessibile e l'abbiamo preferito. Però, se l'anno prossimo non ci sarà la
decontribuzione, è probabile che torneremo all'apprendistato», dice Dedola, che solleva la questione più
calda, e cioè se il governo Renzi troverà le risorse per confermare anche nel 2016 lo sconto per chi assume.
Le ultime indiscrezioni dicono di no, anche se sono allo studio agevolazioni per il Sud, che sta soffrendo da
pazzi. NON SPEGNETE IL FUOCO Durerà la ripresa dell'occupazione anche a dicembre, quando al
momento è fissata la fine degli incentivi? E riuscirà il Jobs Act a rendere più stabile il lavoro? Stefano Colli
Lanza, amministratore delegato di Gi Group, una società di servizi per il lavoro, dalla ricerca di personale al
lavoro interinale, fa il paragone con chi accende il barbecue: «Gli incentivi sono come la carta, danno fiamma
ma bruciano in fretta; il contratto a tutele crescenti è come la carbonella,che riscalda a lungo», spiega. A suo
giudizio il Jobs Act è destinato a disboscare la giungla di contratti a progetto e finte partite Iva. «Aver reso il
contratto a tempo indeterminato più flessibile e più semplice lo rimetterà al centro delle scelte delle imprese»,
sostiene Colli Lanza, che vede un futuro basato sempre più su due pilastri: il contratto fisso e il lavoro
interinale, che servirà per le richieste più flessibili. Quel che è certo è che il Jobs Act non è un Bengodi, e non
cura da solo le difficoltà in cui l'industria italiana si dibatte da anni. Giuseppe Carbone, direttore dell'Acqua
Ferrarelle, ha pesato il falcione delle carte necessarie per ottenere il via libera della nuova fabbrica calabrese
che permetterà di riciclare plastica per le bottiglie: «Sono 250 chili», racconta, pur dicendo che «gli enti
pubblici si sono dimostrati competenti e disponibili». Ferrarelle assumerà nel 2016 quaranta persone:
«Pazienza se gli incentivi non ci saranno. Quello che ci interessa è avere collaboratori da selezionare e
valutare nei primi tre anni senza doverli sposare per sempre», dice Carbone. Massimo Scaccabarozzi,
presidente di Farmindustria, spiega che nell'ultimo anno le imprese del settore farmaceutico hanno assunto
circa 5 mila persone, di cui 2 mila under 30. Il Jobs Act piace, l'export tira ma ora torna un vecchio problema,
18/09/2015
Pag. 30 N.38 - 24 settembre 2015
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 18/09/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
il timore di tagli alla spesa farmaceutica: «E per la programmazione degli investimenti la stabilità nel tempo
delle condizioni economiche conta più della riforma del lavoro», dice. Alla Elesa di Monza, che produce
componenti per l'industria dei macchinari, non tutti i 20 collaboratori assunti con il Jobs Act sarebbero stati
presi in fretta com'è avvenuto, nonostante dal 2011 l'azienda sia cresciuta a ritmo costante: «La nuova
normativa ci ha messo a 1 passo con i Paesi più avanzati», dice l'amministratore delegato Carlo Bertani, per
il quale la decontribuzione ha pesato meno, proprio perché occasionale: «Servono provvedimenti strutturali
su fiscalità, investimenti, nuove tecnologie. Dobbiamo convincerci che il manifatturiero è il settore che può
creare più posti di lavoro, attraendo investimenti», dice Bertani. Che professa sul campo quello che gli
economisti vedono a livello generale. Francesco Daveri, professore di Politica economica a Parma, teme che
la scommessa di una ripresa capace di trainare da sola l'occupazione già nel 2016 sia prematura: «Sarebbe
l'ora di dare una sforbiciata al cuneo fiscale, riducendo il peso di tasse e contributi sul costo del lavoro », dice,
osservando che per riuscirvi sono necessarie scelte coraggiose sulla spending review. Mentre Pietro
Garibaldi, che insegna Economia politica a Torino, mette nel mirino il duro compito che attende il governo per
affrontare questioni determinanti, ad esempio modernizzando le strutture per reinserire chi perde il posto:
«Oggi c'è un mercato del lavoro più ordinato, con regole più chiare e un sistema di ammortizzatori sociali più
equo. Il punto dolente sono le politiche per la ricerca di lavoro, in mano a uffici di collocamento che non
funzionano», dice. Un aspetto su cui Paesi come Germania e Gran Bretagna concentrano gli sforzi e che
conterà di più, ora che è cambiata la cassa integrazione (vedi sopra). La rivoluzione irrita i sindacati perché
toglie potere di contrattazione e dovrebbe prevenire abusi, riportando «la cassa alla funzione originaria di
garantire la continuità di un'azienda in un momento di crisi», dice Maurizio Del Conte, professore della
Bocconi che ha collaborato alla stesura del testo. Anche se, forse, il cambio di regime spingerà le aziende
decotte a chiudere in tempi più rapidi. E non manca già un caso politico, come l'estensione della cassa alle
aziende colpite da interdittive anti-mafia: una misura di cui, come ha scritto la "Gazzetta di Reggio", ha subito
beneficiato Cpl Concordia, la grande coop rossa esclusa dagli appalti dopo i legami emersi con la criminalità
organizzata. ANCHE IL JOBS ACT HA I SUOI FURBETTI E poi, come sempre quando ci sono incentivi di
mezzo, ci sono i furbetti del Jobs Act. Dai sindacati fioccano le segnalazioni di abusi: «II caso è diffuso: si
licenzia un dipendente, che viene assunto da un'agenzia interinale, la quale fa un accordo con l'azienda per
spartirsi il bonus statale», dice Michele Bulgarelli della Fiom di Bologna. Il sindacato che ha sollevato il caso
del colosso delle bistecche Cremonini. Mille addetti alla macellazione hanno perso il posto perché è fallita la
cooperativa che se ne occupava, la Gescar. Sono stati riassunti per 6 mesi da un'agenzia interinale. Finito il
periodo che cosa succederà? «Temiamo che a quel punto possano essere riassunti da un'altra cooperativa,
che così incasserà le agevolazioni», sostiene Marco Bermani della Flai-Cgil. L'azienda, al contrario, dice di
essersi ritrovata coinvolta suo malgrado in questa vicenda e assicura che non c'era alcuna premeditazione. •
Ma i disoccupati restano tanti
12,:
12,4
201'
12,2 12,2
11,9
2012
f
12 512,8 12,8 2015 12,4 II tasso di disoccupazione in genere diminuisce in ritardo rispetto alla ripresa.
Perché diverse persone si mettono in cerca di lavoro solo quando la situazione migliora. E così aumenta il
numero di chi è in cerca di occupazione Dati destagionalizzati per trimestre (in %). Fonte: Istat
I numeri della ripresa
E S E E E E E E E E E E E E l 2 2012 3 4 l 2 2013 3 4 1 2 2014
18/09/2015
Pag. 30 N.38 - 24 settembre 2015
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 18/09/2015
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4 l 2 2015 co Numero di occupati in Italia per trimestre Dati in migliaia Fonte: Istat
Più sei vecchio più lavori
15-34
anni
55 anni in poi io 3 ió~ u> oO IO 00 IO 2012 IO O* 2013 tu 0> IO o IO 00 IO o o Andamento del numero degli
occupati in Italia. Confronto tra la fascia di età più bassa e quella più atta. Dati per trimestre (in migliaia)
Fonte: Istat <M IO 00 M IO 00 0» 2014 2015
18/09/2015
Pag. 23
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tiratura:418328
La 21 Investimenti (Benetton) punta 100 milioni sulla Polonia
21 Investimenti, gruppo europeo fondato e guidato da Alessandro Benetton, dopo aver lanciato il programma
21 Investimenti III da 330 milioni di euro che sosterrà la crescita delle medie imprese italiane, annuncia in
Polonia il closing di 21 Concordia, un nuovo programma d'investimento che ha raccolto 100 milioni di euro da
primari investitori istituzionali internazionali. Gli investimenti di 21 Concordia, gestito da un team locale basato
a Varsavia, si concentreranno principalmente in medie imprese polacche con ricavi annuali tra i 10 e i 50
milioni di euro con l'obiettivo di stimolarne un nuovo percorso di sviluppo. Tra questi Egb (recupero crediti) e
TxM (outlet) mentre sono in corso di valutazione due operazioni da completare a breve.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 18/09/2015
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Panorama
18/09/2015
Pag. 11
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tiratura:173386
Francesca Chiarano
Il gruppo 21 Investimenti, fondato e guidato da Alessandro Benetton, dopo aver lanciato il programma 21
Investimenti III da 330 milioni di euro a sostegno della crescita delle medie imprese italiane, ha annunciato
ieri in Polonia il closing di 21 Concordia. Si tratta di un nuovo programma d'investimento che ha raccolto 100
milioni da primari investitori istituzionali internazionali. Gli investimenti di 21 Concordia, gestito da un team
basato a Varsavia, si concentreranno in medie imprese polacche con ricavi tra 10 e 50 milioni di euro con
l'obiettivo di stimolarne un nuovo percorso di sviluppo. 21 Concordia ha già realizzato due importanti
investimenti nel 2014: in Egb, una delle aziende più innovative nel settore del recupero crediti, e in TxM,
azienda leader nel settore degli outlet con oltre 300 negozi in Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca. Sono
inoltre in corso di valutazione due nuove operazioni che potrebbero essere completate a breve. «Tra il 2008 e
il 2014, gli anni della crisi più profonda delle economie mondiali, la Polonia è cresciuta di oltre il 20% e il
Paese dispone di un sistema politico stabile, oltre a un capital market sviluppato», ha segnalato Alessandro
Benetton. (riproduzione riservata) MF-DowJones
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 18/09/2015
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21 Investimenti lancia fondo da 100 milioni in Polonia