rivelatori al silicio resistenti alle radiazioni per il tracciatore di cms
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rivelatori al silicio resistenti alle radiazioni per il tracciatore di cms
Università degli Studi di Firenze Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Tesi di laurea in Fisica di Caterina Minelli Anno Accademico 1999/2000 RIVELATORI AL SILICIO RESISTENTI ALLE RADIAZIONI PER IL TRACCIATORE DI CMS Candidato: C. Minelli Relatore: Prof. E. Focardi Firenze, 10 Ottobre 2000 2 Ai miei genitori i ii Indice Introduzione 1 1 L’esperimento CMS a LHC 3 1.1 Il collisionatore LHC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 1.2 Il rivelatore CMS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1.2.1 Il magnete e il rivelatore per muoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 1.2.2 I calorimetri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 1.3 Il sistema tracciante 1.4 La fisica a LHC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 1.4.1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Il bosone di Higgs . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 2 I rivelatori al silicio 2.1 21 Proprietà del silicio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 2.1.1 Silicio intrinseco e drogato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 2.1.2 La giunzione pn . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 2.2 Perdita di energia di una particella carica in un materiale . . . . . . . . . . 29 2.3 Descrizione dei rivelatori a microstrisce di silicio . . . . . . . . . . . . . . . 31 2.4 2.3.1 Principio di funzionamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 2.3.2 Il processo di fabbricazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 Descrizione dei rivelatori in esame . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 2.4.1 Caratteristiche geometriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 2.4.2 Differenze nel processo di produzione . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 3 Caratterizzazione dei rivelatori a microstrisce di silicio 3.1 43 Apparato di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 3.1.1 La stazione di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 3.1.2 Generatori di tensione e misuratori di corrente . . . . . . . . . . . . 45 3.1.3 Il misuratore LCR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 iii 3.1.4 Il misuratore di resistenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 3.1.5 La matrice di interruttori 3.1.6 Misure in camera climatica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 3.2 Le misure nella stazione di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 3.2.1 La caratteristica tensione-corrente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 3.2.2 La tensione di svuotamento e la capacità del substrato . . . . . . . 56 3.2.3 La capacità di disaccoppiamento dell’ossido . . . . . . . . . . . . . 62 3.2.4 La misura delle resistenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 3.2.5 Le capacità tra le strisce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 4 Misure su rivelatori irraggiati 75 4.1 Danneggiamento da radiazione ai rivelatori a microstrisce di silicio . . . . . 76 4.1.1 Effetti del danneggiamento in superficie e nel substrato . . . . . . . 76 4.1.2 La dose assorbita in fluenza equivalente di neutroni da 1 MeV . . . 78 4.1.3 Il modello di Amburgo per la concentrazione efficace dei droganti . 79 4.2 Irraggiamento dei rivelatori a microstrisce di silicio . . . . . . . . . . . . . 82 4.2.1 Irraggiamento al ciclotrone della Catholic University di Louvain-laNeuve . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 4.2.2 Calcolo della fluenza equivalente in neutroni da 1 MeV . . . . . . . 84 4.3 Risultati delle misure sui rivelatori irraggiati . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 4.3.1 La caratteristica tensione-corrente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 4.3.2 La tensione di svuotamento e la capacità del substrato . . . . . . . 91 4.3.3 La capacità di disaccoppiamento dell’ossido . . . . . . . . . . . . . 93 4.3.4 La misura delle resistenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 4.3.5 Le capacità tra le strisce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 5 Valutazione delle prestazioni del modulo 5.1 L’elettronica di front-end e il sistema di acquisizione 99 . . . . . . . . . . . . 100 5.2 L’analisi del segnale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 5.2.1 Valutazione del segnale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 5.2.2 Le sorgenti di rumore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 5.2.3 I moduli rφ non irraggiati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108 5.2.4 Il modulo irraggiato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 Conclusioni 113 iv Bibliografia i Ringraziamenti v v vi Introduzione I rivelatori a semiconduttore sono stati utilizzati in esperimenti di fisica delle particelle elementari fin dall’inizio degli anni ’70. Per le buone prestazioni e l’affidabilità di funzionamento il loro uso è cresciuto enormemente passando da qualche unità a decine di migliaia per esperimento. L’utilizzo di tali dispositivi ha portato a un continuo progresso nella tecnologia del silicio, accompagnato da un abbattimento dei costi. Al momento, i rivelatori di particelle cariche al silicio sono impiegati nei sistemi traccianti dei principali esperimenti di alte energie perché assicurano le prestazioni richieste in termini di alta risoluzione spaziale e buona separazione tra due tracce, insieme ad un tempo di raccolta di carica estremamente basso. Nel corso di questa tesi sono state studiate alcune tipologie di rivelatori a microstrisce di silicio, prototipi dei dispositivi che costituiranno il sistema tracciante dell’esperimento CMS che sarà installato nell’acceleratore LHC (Large Hadron Collider ) del CERN di Ginevra. LHC entrerà in funzione nel 2005 e produrrà la collisione di fasci di protoni di 7 TeV di energia ad una frequenza di 40 MHz e una luminosità di 1034 cm−2 s−1 . Nel primo capitolo saranno descritti LHC e l’esperimento CMS. L’esperienza ha dimostrato che un buon sistema tracciante e un forte campo magnetico sono potenti mezzi per l’identificazione di muoni, elettroni e fotoni e la misura di precisione dei parametri ad essi relativi, su un ampio intervallo di energie. Questi sono i principi su cui si basa CMS per l’identificazione degli eventi di maggiore interesse e di cui sarà data una breve descrizione nella parte finale del capitolo. Nel secondo capitolo sarà illustrato il principio di funzionamento dei rivelatori a microstrisce di silicio e il loro processo di fabbricazione. Nel corso della tesi ho avuto modo di visitare personalmente lo stabilimento della CSEM (Neuchatel) in cui sono stati prodotti i rivelatori studiati e di cui sarà data una descrizione alla fine del capitolo. Questi rivelatori differiscono per geometria, tipo di substrato e tecnologia. In questa fase di studio prototipale assume una grande importanza la caratterizzazione di tali dispositivi da un punto di vista elettrico per la scelta dei parametri che ne garantiscano le migliori prestazioni. Nel terzo capitolo saranno quindi riportati i risultati delle misure effettuate a questo scopo, con una descrizione degli apparati di misura utilizzati. Parte del lavoro di tesi ha riguardato infatti la messa a punto di questi apparati, nonché l’in1 troduzione di nuove misure per una sempre più completa e veloce caratterizzazione dei rivelatori al silicio. L’elevata energia dei fasci e l’alta luminosità ad LHC produrranno in 10 anni di attività una fluenza di 1014 neutroni/cm2 nella parte più interna del tracciatore a silicio. I rivelatori subiranno una forte degradazione a causa dei danni provocati dalle radiazioni. Dopo un’introduzione sul tipo di danni prodotti e sui modelli utilizzati per la descrizione del comportamento dei rivelatori danneggiati, nel quarto capitolo sarà descritto l’irraggiamento con neutroni che alcuni dei rivelatori studiati hanno subito e a cui ho partecipato attivamente presso il Cyclotron Research Centre a Louvain-la-Neuve (Belgio). Su questi rivelatori sono state ripetute parte delle misure descritte nel terzo capitolo per studiare il cambiamento dei parametri elettrici che si verificheranno nel periodo di attività ad LHC. I risultati saranno riportati nel capitolo. A conclusione del lavoro di caratterizzazione dei rivelatori svolto nel corso della tesi, il quinto capitolo riporta le misure delle prestazioni dei rivelatori equipaggiati con l’elettronica di lettura. Dopo un breve cenno su questa elettronica sarà esposta la schematizzazione adottata per l’individuazione delle principali sorgenti di rumore e la valutazione del loro contributo. Ciò è stato fatto anche nel caso di un dispositivo irraggiato. Le previsioni fatte in base alle misure effettuate sui singoli parametri elettrici sono poi state confrontate con quelle ottenute sottoponendo i rivelatori ad una sorgente radioattiva β. 2 Capitolo 1 L’esperimento CMS a LHC Nel 2000 LEP (Large Electron Positron Collider ), collisionatore elettroni-positroni situato presso il Centro Europeo per la Ricerca Nucleare (C.E.R.N.) nei pressi di Ginevra, cesserà la sua attività iniziata nel 1989. Gli esperimenti qui condotti in questo arco di tempo hanno contribuito allo studio della fisica delle interazioni elettrodeboli e forti, fornendo importanti conferme sperimentali del Modello Standard [1] e gettando le basi per la ricerca di nuove particelle, oltre che per lo studio di eventi noti ma non pienamente compresi. Nei 27 Km di tunnel sotterraneo che oggi ospita LEP, a partire dal 2005 entrerà in funzione il nuovo collisionatore adronico LHC. Nel centro di massa sarà disponibile un’energia mai raggiunta negli esperimenti passati, quindi potranno essere osservati nuovi canali di decadimento ed auspicabilmente particelle non ancora scoperte. Inoltre la statistica di eventi sarà cosı̀ elevata da consentire misure di alta precisione sia delle grandezze già note che di quelle nuove. I fasci di particelle di LHC saranno costituiti, in una prima fase, da protoni che verranno accelerati fino ad un’energia di 7 TeV, dopo di che si incroceranno ad una frequenza di 40 MHz. In tre dei quattro punti di collisione saranno posti gli esperimenti CMS, ATLAS e LHC-b (fig.1.1). Successivamente fasci di ioni di piombo collideranno presso il rivelatore ALICE con un’energia nel centro di massa di 1312 TeV. 1.1 Il collisionatore LHC Grazie all’azione di un acceleratore lineare, un ProtoSincrotone e un SuperProtoSincrotone, i fasci di protoni saranno iniettati nell’anello di LHC ad un’energia di 450 GeV, successivamente verranno accelerati da cavità risonanti [2] e forzati a percorrere una traiettoria circolare da 1238 dipoli magnetici superconduttori capaci di generare un campo magnetico di circa 8.4 T. Saranno disposti lungo tutta la circonferenza anche 386 3 quadrupoli, 360 sestupoli e 360 ottupoli che focalizzeranno il fascio e ne controlleranno le dimensioni. Figura 1.1: L’anello di LHC ed i suoi 4 esperimenti La luminosità è definita come la costante di proporzionalità tra il numero di eventi prodotti di un certo tipo e la corrispondente sezione d’urto. Dal momento che quest’ultima varia come 1/E 2 , dove E è l’energia nel centro di massa, per mantenere un’elevata statistica di eventi è necessario aumentare rispetto a LEP la luminosità. Questa dipende dalle caratteristiche dei fasci e nel caso di un collisionatore assume l’espressione [2]: L= N1 N2 nb f 4πσx σy (1.1) dove nb è il numero di pacchetti (bunches) di particelle che compongono un fascio, N1,2 è il numero di particelle per ciascuno di essi, f è la loro frequenza di rivoluzione e σx e σy sono le dimensioni rispettivamente orizzontali e verticali della loro sezione, approssimando questa con un’ellisse. Nella prima fase di LHC ogni fascio sarà costituito da 2835 pacchetti di 1011 protoni, con σx e σy pari a circa 16 µm e con un tempo di rivoluzione di circa 90 µs, assumendo che la velocità delle particelle sia prossima a quella della luce. La luminosità sarà 4 L 1034 cm−2 s−1 , da confrontare con quella di LEP due ordini di grandezza inferiore. In realtà LHC inizialmente lavorerà a L 1033 cm−2 s−1 e verrà gradualmente aumentata negli anni. Per la seconda fase di LHC, quando saranno usati fasci di ioni pesanti, è prevista invece una luminosità di L 1027 cm−2 s−1 [3]. Ad LHC l’interazione primaria sarà di tipo adronico con interazioni di coppie di quark, di gluoni oppure di un quark e un gluone. La sezione d’urto totale pp, σtot ∼100 mb, è responsabile, alla luminosità di LHC, di 25 interazioni per ogni incrocio dei fasci che daranno origine a qualche centinaio di tracce cariche all’interno dei rivelatori traccianti. A questi è quindi richiesta un’elevata risoluzione spaziale per la ricostruzione e la separazione delle tracce. L’alta frequenza di collisione dei fasci ad LHC, 40 MHz, da confrontarsi con i 45 KHz di LEP, richiede inoltre un’elevata velocità di risposta dei rivelatori. Dal momento che la frequenza massima di scrittura degli eventi su disco magnetico è di 100 Hz, è necessaria una procedura di selezione degli eventi (trigger ) estremamente veloce ed efficiente. Un’ulteriore complicazione dovuta all’elevata luminosità e all’alta frequenza di collisione dei fasci è il livello di radiazione particolarmente elevato per i rivelatori più vicini al punto di collisione dei fasci. Alla luce di queste problematiche può essere compresa la scelta di un impiego dei rivelatori al silicio molto più esteso rispetto a quanto fatto per gli esperimenti a LEP. Essi infatti assicurano le prestazioni richieste in termini di risoluzione spaziale e rapidità di risposta, e i recenti studi sui danni provocati dalle radiazioni hanno consentito la realizzazione di dispositivi particolarmente resistenti a tali danneggiamenti. Sistemi traccianti come le camere a fili non si adattano più a una frequenza di eventi e ad una densità di tracce cosı̀ elevate, e vengono quindi sostituite da dispositivi a semiconduttore, non più confinati in una ristretta zona intorno al punto di interazione. 1.2 Il rivelatore CMS L’apparato CMS (Compact Muon Solenoid ) sarà, insieme ad ATLAS, il primo dei 4 esperimenti che verranno costruiti lungo l’anello di LHC. Il suo obiettivo è la misura dell’energia di e, µ e γ con una precisione dell’1% su un ampio intervallo di impulsi, lavorando in condizioni di alta luminosità. In questo modo sarà possibile identificare chiaramente gli eventi che caratterizzano una nuova fisica. Come tutti i rivelatori di alte energie, anche CMS presenta al suo interno un campo magnetico sotto la cui azione una particella carica percorre una traiettoria elicoidale. 5 Figura 1.2: Il rivelatore CMS. Questa è ricostruita dal sistema tracciante e, combinando le informazioni dedotte dal segno e dal raggio di curvatura, si misurano la carica e l’impulso della particella. I calorimetri poi assorbono completamente le particelle che interagiscono con essi e ne misurano l’energia. I neutrini e i muoni sono le uniche particelle che raggiungono la parte più esterna del rivelatore. I µ vengono rivelati dalle camere per muoni, mentre i neutrini sfuggono completamente alla rivelazione. Le misure relative ad essi sono quindi dedotte imponendo le leggi di conservazione dell’energia e dell’impulso totali. L’interazione primaria ad LHC avviene a livello dei singoli costituenti i protoni, aventi una frazione variabile dell’energia totale del fascio. Il sistema di riferimento del laboratorio non coincide quindi con quello del centro di massa, come per LEP in cui la collisione avviene sempre tra particelle e+ e− di uguale energia. Perde quindi di significato l’utilizzo delle coordinate angolari θ e φ per la descrizione delle accettanze dei rivelatori, in quanto uno stesso evento fisico darà un numero di particelle sempre diverso all’interno di un fissato angolo solido. È stato allora introdotto il parametro rapidità y, in un intervallo del quale il numero di particelle prodotte ha una distribuzione piatta [3]. In realtà il parametro che viene utilizzato è la pseudorapidità η, facilmente calcolabile dall’espressione θ η = −ln tan 2 (1.2) dove θ = arcos(pz /p) in cui p è il modulo dell’impulso di una particella e pz la sua proiezione lungo la direzione di propagazione dei fasci. Si dimostra che la pseudorapidità 6 coincide con la rapidità nei limiti in cui p m e θ 1/γ, verificati a LHC [3]. CMS è nato dall’esigenza di un rivelatore per LHC di dimensioni contenute, ma capace di fornire misure di alta precisione. La misura dell’impulso trasverso pt di una particella in un campo magnetico è ricavata da quella del raggio di curvatura della relativa traiettoria. ∆pt pt è inversamente proporzionale all’intensità del campo magnetico e al quadrato della lunghezza della traccia, mentre dipende linearmente da pt . Per ottimizzare le prestazioni di un rivelatore è possibile quindi aumentarne l’intensità del campo oppure le dimensioni. Gli esperimenti a LEP, per esempio, sono caratterizzati da un campo magnetico non particolarmente intenso, 0.5 T nel caso di L3, ma da grandi dimensioni. Data l’energia nel centro di massa ad LHC, gli impulsi delle particelle saranno più elevati rispetto a quelli misurati a LEP, ma la precisione richiesta nella loro misura deve essere altrettanto buona. Per mantenere le dimensioni dell’esperimento relativamente contenute, nel caso di CMS è stato scelto un campo magnetico di intensità 4 T generato da un solenoide superconduttore. Il raggio di curvatura di una particella sarà sufficientemente piccolo da non richiedere peraltro una risoluzione spaziale dei rivelatori per muoni particolarmente spinta. (a) (b) Figura 1.3: a)Sezione longitudinale del rivelatore CMS. b)Sezione rφ perpendicolare all’asse dei fasci. In fig.1.2 è mostrata una rappresentazione tridimensionale del rivelatore CMS che ne descrive la struttura interna. In fig.1.3a) e b) ne sono riportate le viste longitudinale e trasversale. Le dimensioni totali del rivelatore sono 21.6 m di lunghezza per 15 m di diametro ed è previsto un peso di 12500 tonnellate. La sua struttura centrale, a barile, è detta barrel ed è costituita, procedendo dall’e7 sterno verso l’interno, dai rivelatori per muoni, dal magnete, dal calorimetro adronico, da quello elettromagnetico e dal tracciatore, contenente, in prossimità del punto di collisione dei fasci, il rivelatore di microvertice. Dal momento che il magnete è collocato nella zona più esterna di CMS, tutti i rivelatori sono immersi nel campo magnetico da esso generato. Oltre al tracciatore, quindi, anche gli altri dispositivi potranno contribuire alla ricostruzione della traccia di una particella. Le strutture laterali, i tappi, sono chiamate end-cap e sono costituite da rivelatori con la stessa struttura del barrel. Al loro esterno si trovano i calorimetri in avanti, calorimetri adronici necessari per la misura dell’energia delle particelle uscenti con un piccolo angolo rispetto all’asse dei fasci. 1.2.1 Il magnete e il rivelatore per muoni Il magnete di CMS è costituito da un solenoide superconduttore della lunghezza di 12.5 m, il cui diametro più interno è 5.9 m. Al suo interno è generato un campo magnetico di 4 T e vi sono alloggiati i calorimetri e il sistema tracciante. La parte esterna è costituita dal rivelatore per muoni, formato da quattro cilindri coassiali nella zona del barrel, che copre la regione con |η| < 1.3, e tre dischi paralleli concentrici in quella degli end-cap, per 0.9 < |η| < 2.4, separati da strati di ferro dolce che hanno la duplice funzione di giogo per il ritorno del campo magnetico, e di materiale assorbitore per i muoni. In questa zona il campo magnetico ha la stessa direzione di quello interno al solenoide, ma verso opposto e intensità di 1.8 T. È quindi possibile effettuare una misura dell’impulso dei muoni indipendente da quella ottenuta dal sistema tracciante. Combinando le informazioni di entrambi i rivelatori, insieme con il vincolo del punto di interazione, si ottiene una miglior risoluzione dell’impulso e un abbattimento del fondo. Il barrel del rivelatore è suddiviso in dodici settori di 30o di ampiezza, contenenti quattro moduli. Ognuno di questi è formato da un piano di camere a deriva [4], capaci di individuare il punto di passaggio della particella con una precisione di ∼100 µm, e uno di camere a piatti piani resistivi (rpc) [4] che verranno utilizzate per generare un segnale di trigger di primo livello, in quanto hanno una velocità di risposta di ∼1 ns, paragonabile a quella di uno scintillatore plastico. Ciascun piano di camere a deriva è formato da otto strati di tubi paralleli alla direzione dei fasci e quattro perpendicolari. Anche nella zona degli end-cap sono presenti quattro piani formati da sei strati di camere a strisce catodiche [4], in cui i fili sono disposti radialmente per la misura della coordinata azimutale, e camere a piatti piani resistivi. 8 L’obiettivo di questo rivelatore è l’identificazione dei muoni e la misura del loro impulso da pochi GeV fino a qualche TeV. Nella regione di pseudorapidità |η| < 2.5, la risoluzione sulla misura dell’impulso dei muoni è stata stimata migliore del 3% a 0.4 TeV e dell’ordine del 5% a 2 TeV, mentre per particelle a basso impulso ( < 100 GeV) la precisione raggiunta sarà ∼1% [5]. 1.2.2 I calorimetri I calorimetri adronico (HCAL) ed elettromagnetico (ECAL) si collocano all’interno del solenoide e conservano la simmetria cilindrica dell’intero rivelatore. Interagendo con essi, tutte le particelle, con l’eccezione dei muoni e dei neutrini, irraggiano formando sciami di particelle secondarie. Nell’ipotesi in cui questi si esauriscano all’interno dei calorimetri stessi, è possibile misurare l’energia totale rilasciata dalla particella primaria. Gli elettroni ed i fotoni sono caratterizzati da una lunghezza di radiazione1 inferiore rispetto a quella degli adroni, per cui alla loro individuazione è dedicato il calorimetro elettromagnetico più vicino al punto di interazione dei fasci, mentre esternamente è collocato quello adronico. All’interno del solenoide il calorimetro elettromagnetico si estende per l’intervallo di pseudorapidità |η| ≤ 2.6, mentre quello adronico assicura la copertura della regione con |η| ≤ 3.0. A 11 m dal punto di interazione lungo l’asse dei fasci sono posti due calorimetri in avanti che consentono la copertura della zona di pseudorapidità 3.0 ≤ |η| ≤ 5.0. La risoluzione energetica di un calorimetro viene espressa dalla somma in quadratura di tre termini secondo la relazione [5]: a σN σE = √ ⊕ ⊕b E E E (1.3) dove E è l’energia misurata espressa in GeV, a un termine stocastico legato ai processi di formazione del segnale, σN l’energia equivalente di rumore associata all’elettronica di lettura, b una costante. Per l’ottimizzazione della risoluzione energetica, il rivelatore deve essere realizzato in maniera tale da mantenere i tre termini piccoli e dello stesso ordine di grandezza. I parametri necessari per il calcolo della risoluzione energetica di entrambi i calorimetri sono riportati in tab.1.1. Il calorimetro elettromagnetico riveste un’importanza particolare per la ricerca del bosone di Higgs, poiché i suoi canali di decadimento più probabili presentano nello stato finale due fotoni, oppure 4l± . Questo calorimetro è costituito da cristalli di tungstanato 1 La lunghezza di radiazione di una particella dipende dal mezzo in cui si trova e corrisponde allo spessore del materiale attraversato che riduce di un fattore e la sua energia. 9 ECAL HCAL a b σN ≤ 0.03 0.005 0.15 0.8 ≤ 0.03 1.0 Tabella 1.1: Coefficienti per il calcolo della risoluzione energetica dei due calorimetri. di piombo (PbWO4 ), scelto per le sue proprietà chimiche e fisiche che assicurano, oltre a una buona resistenza ai danni da radiazione, una lunghezza di radiazione X0 e un raggio di Molière2 piccoli, rispettivamente 0.89 cm e 2 cm, insieme a un tempo di risposta breve (∼10 ns). Oggi è inoltre possibile la rapida crescita di cristalli di buona qualità grazie all’esperienza acquisita su questo materiale. Gli 80.000 cristalli hanno la forma di un tronco di piramide a base quadrata e sono disposti in modo da realizzare una struttura uniforme intorno al tracciatore. Ognuno di essi ha una lunghezza di 23 cm (26 X0 ) nel barrel e 22 cm negli end-cap. Queste dimensioni sono state scelte per ottimizzare la ricostruzione di uno sciame relativo a una singola particella. Il decadimento che contribuisce in maniera decisiva al fondo è π 0 → γγ, che può essere ricostruito come un singolo fotone se le dimensioni laterali del cristallo non sono abbastanza ridotte da permettere la distinzione dei due sciami. Tuttavia, fissato l’impulso trasverso del π 0 , nella regione degli end-cap i fotoni sono maggiormente collimati rispetto a quella del barrel, quindi per assicurare la risoluzione spaziale necessaria sono stati posti due piani ortogonali di rivelatori a microstrisce di silicio, dietro uno spessore di ∼3X0 di piombo. I calorimetri adronici sono invece realizzati alternando strati di materiale assorbitore (rame spesso 50 mm) a strati di scintillatori (4 mm). Nelle zone maggiormente colpite dalle radiazioni il rame è stato sostituito con l’acciaio che ne sopporta meglio gli effetti. Le sue caratteristiche più importanti sono una buona granularità, la copertura di un’ampia porzione di angolo solido intorno al punto di interazione dei fasci e una profondità sufficiente a contenere gli sciami di particelle. I calorimetri adronici rivestiranno un ruolo fondamentale nello studio di tutti gli eventi caratterizzati dalla presenza di canali di decadimento adronici, per esempio quark t e particella τ , oltre che della Cromodinamica quantistica (QCD). 2 Il raggio di Molière quantifica l’estensione trasversale degli sciami elettromagnetici all’interno di un materiale. 10 1.3 Il sistema tracciante Il sistema tracciante è la parte del rivelatore CMS più vicina al punto di collisione delle particelle ed è costituito interamente da dispositivi al silicio. È stato progettato per assicurare un’alta qualità della risoluzione degli impulsi, anche in seguito al pesante irraggiamento a cui verrà sottoposto nel corso degli anni. In particolare la ricostruzione delle tracce degli elettroni e dei muoni con alto impulso trasverso pt dovrà essere maggiore del 98%, con una risoluzione nella misura di pt migliore di ∆pt /pt = 0.15pt , in cui l’impulso è espresso in TeV/c, nell’intero intervallo di rapidità |η| ≤ 2.5. Per quanto riguarda l’efficienza di ricostruzione di tracce non isolate, il tracciatore dovrà raggiungere un’efficienza migliore del 90% nel caso di pt ≥ 2 GeV [6]. Figura 1.4: Nella figura di sinistra sono riportati il numero di punti con cui una traccia sarà ricostruita nel tracciatore, al variare di |η|, escludendo quelli relativi al rivelatore a pixel. La curva più in alto si riferisce al numero di punti totale. Procedendo verso il basso sono evidenziati i contributi dovuti ai moduli costituiti da rivelatori a doppia faccia, da wafer sottili e da wafer spessi. Nella figura di destra è riportata la frazione di lunghezza di radiazione di un fotone all’interno del tracciatore, al variare di |η|. Anche in questo caso è escluso il contributo del rivelatore a pixel [8]. Il pesante irraggiamento a cui andrà incontro il tracciatore sarà dovuto in parte alle particelle generate nella collisione tra protoni, in parte ai neutroni riflessi in seguito al11 l’interazione di queste col materiale del calorimetro elettromagnetico. Si calcola che la parte del tracciatore più vicina al punto di interazione primario andrà incontro in dieci anni di attività ad LHC, per una luminosità integrata di 5·105 pb−1 , ad una fluenza di ∼1014 cm−2 per quanto riguarda i neutroni, e ∼1015 cm−2 nel caso di particelle cariche e kaoni neutri. Livelli di radiazione cosı̀ alti hanno richiesto grandi sforzi nella ricerca di materiali che potessero garantire le prestazioni richieste all’esperimento durante tutto il periodo di attività. Sarà comunque indispensabile mantenere l’intero tracciatore ad una temperatura di -10o C per motivi che saranno più chiari nei prossimi capitoli. A causa dell’elevata densità di tracce e dell’alta frequenza di incrocio dei fasci, per una chiara identificazione delle tracce relative ad un evento significativo sono richiesti al tracciatore un breve tempo di raccolta del segnale, un’alta granularità e un numero di punti sufficiente per la ricostruzione di una traccia. Quest’ultima condizione deve comunque garantire una buona efficienza di rivelazione del calorimetro elettromagnetico, soprattutto nel canale di decadimento del bosone di Higgs H → γγ. In altre parole lo spessore di materiale presente all’interno del tracciatore attraversato da un fotone deve essere minore di una lunghezza di radiazione, affinché lo sciame elettromagnetico da esso generato sia interamente contenuto nel calorimetro. In fig.1.4 sono riportati, al variare della pseudorapidità η, il numero di punti con cui una traccia potrà essere ricostruita e la frazione di lunghezza di radiazione di un fotone all’interno del tracciatore. Entrambe le figure escludono il rivelatore a pixel. Figura 1.5: Sezione longitudinale del tracciatore di CMS che mostra la disposizione dei moduli dei rivelatori a microstrisce di silicio. Le grandezze sono espresse in mm [8]. 12 Il disegno originale del sistema tracciante dell’esperimento CMS proponeva la combinazione di una parte interna, prossima al punto di interazione delle particelle, costituita da rivelatori a pixel, circondata da rivelatori a microstrisce di silicio, ed una parte esterna costituita da MSGC (Micro Strip Gas Chamber ). Nel dicembre del 1999 questo progetto è stato abbandonato in favore di un sistema tracciante basato interamente su rivelatori al silicio [7]. La descrizione del tracciatore presente in questo capitolo è quella riportata nella referenza [8]. Il tracciatore conserva la struttura cilindrica dell’intero rivelatore intorno alla direzione di fasci, suddivisa nel barrel e negli end-cap laterali. In prossimità del punto di collisione sarà alloggiato il rivelatore di vertice, costituito da dispositivi di silicio a pixel, mentre al suo esterno si trovano i rivelatori a microstrisce di silicio. Entrambi sono formati da strati cilindrici coassiali nella zona del barrel, e da dischi paralleli e coassiali nella zona degli end-cap. In fig.1.5 è rappresentata una sezione longitudinale della parte del tracciatore costituita dai soli rivelatori a microstrisce di silicio. Il rivelatore di vertice è formato da due strati cilindrici coassiali posti entro un raggio di 20 cm dalla direzione dei fasci, e da 4 dischi laterali che costituiscono i due end-cap. Figura 1.6: Particolare di un elemento dei rivelatori a pixel [6]. In fig.1.6 è riportato un particolare di un elemento di un dispositivo a pixel : su un substrato di tipo n spesso 250 µm, vengono realizzati degli impianti n+ quadrati, di lato 150 µm, collegati all’elettronica di lettura per mezzo della saldatura a gocce di indio (Bump Bonding). 13 La scelta di questo tipo di dispositivo dipende dalla necessità di individuare con elevata precisione entrambe le coordinate rφ e z del punto di passaggio di una particella. La presenza del campo magnetico favorisce la divisione delle cariche generate dal passaggio di una particella tra più pixel. Posizionando opportunamente i rivelatori rispetto alla direzione del campo magnetico e ricostruendo il punto di passaggio della particella sfruttando le informazioni relative alla carica raccolta dai vari pixel, si raggiungono risoluzioni spaziali che variano tra i 10 µm e i 15 µm. La parte del tracciatore realizzata interamente da rivelatori a microstrisce di silicio (fig.1.5) è costituita da una struttura interna a barrel, una esterna anch’essa a barrel e dagli end-cap. L’unità fondamentale è il singolo rivelatore a microstrisce di silicio, di cui verrà data una descrizione nel prossimo capitolo. Due sensori di silicio sono incollati su una struttura in fibra di carbonio a formare un modulo. Questo materiale è stato scelto per la sua alta rigidità meccanica, per la sua trasparenza e la sua buona conducibilità termica, in quanto sottrae calore al silicio e all’elettronica di lettura con cui ogni modulo è equipaggiato. Il collegamento tra le strisce dei rivelatori e gli ingressi dei canali di lettura avviene attraverso un adattatore di passo realizzato con delle metallizzazioni su un supporto di vetro. La connessione tra una striscia di metallo su un cristallo e la corrispondente sull’altro avviene attraverso una microsaldatura, come pure quella necessaria per il collegamento col canale di lettura. Un modulo è in grado di indicare una delle coordinate del punto di passaggio di una particella. Gli strati di rivelatori indicati in nero nella fig.1.5 sono costituiti da rivelatori a doppia faccia, capaci di determinare il passaggio della particella in due dimensioni. A queste informazioni devono poi essere aggiunte quelle legate alla posizione spaziale del modulo. Come mostrato in fig.1.5, il barrel interno è formato da 4 strati collocati ad un raggio dall’asse dei fasci variabile tra 239 mm e 515 mm, per un totale di 2808 moduli. Quello esterno è invece formato da 5928 moduli organizzati in 6 strati compresi tra una distanza di 605 mm e 1055 mm dall’asse dei fasci. Gli end-cap sono costituiti da 12 dischi per ogni lato, posti a diverse distanze dal punto di collisione dei fasci, per un totale di 7216 moduli. In fig.1.7a) è mostrata una ruota di supporto degli end-cap su cui sono alloggiati i moduli. In fig.1.7b) è invece riportata la disposizione completa dei moduli sul disco. Essi hanno una forma trapezoidale, a differenza dei moduli del barrel rettangolari. I rivelatori studiati nel corso di questa tesi sono i prototipi di quelli che formeranno i moduli dei 14 (a) (b) Figura 1.7: a)Rappresentazione della struttura di supporto e della disposizione dei moduli di rivelatori al silicio in un disco degli end-cap. b) Veduta frontale dello stesso disco e, in basso, possibili disposizioni radiali dei moduli [8]. dischi laterali. La carica raccolta da un rivelatore in seguito al passaggio di una particella aumenta con lo spessore, mentre il rumore sul segnale in uscita dall’elettronica di lettura aumenta con la lunghezza delle strisce del rivelatore (vedi cap.5). Le dimensioni dei moduli aumentano all’aumentare della distanza dall’asse, e con esse le lunghezze delle strisce. Per garantire uno stesso livello di prestazione in termini di rapporto segnale/rumore per tutti i moduli, i rivelatori della struttura esterna del barrel e quelli dei tre anelli più esterni dei dischi degli end-cap hanno uno spessore di 500 µm, mentre gli altri sono spessi circa 320 µm. L’elettronica con cui sono equipaggiati i moduli è costituita da circuiti integrati APV25, realizzati in tecnologia 0.25 µm [6]. Ognuno dei 78616 APV gestisce 128 canali di lettura. 1.4 La fisica a LHC In questi ultimi anni siamo stati testimoni di grandi progressi nella comprensione dei meccanismi che regolano le interazioni tra le particelle. Gli esperimenti condotti principalmente presso i laboratori CERN (Svizzera), DESY (Germania) e Fermilab (USA) 15 hanno portato all’osservazione diretta e indiretta3 di tutti i fermioni previsti dal Modello Standard, nonché dei bosoni di gauge mediatori delle forze forte ed elettrodebole. Rimangono comunque irrisolte numerose domande a cui LHC cercherà di rispondere. Problema prioritario è l’esistenza del bosone di Higgs, richiesto dalla teoria elettrodebole per dare massa sia ai bosoni di gauge W e Z che ai fermioni. È necessaria poi la verifica della consistenza del Modello Standard o delle sue estensioni, in special modo del Modello Standard Supersimmetrico Minimale, lo studio della fisica del quark top e dei mesoni B. Con questo nuovo acceleratore saranno cercate anche nuove forme di materia come i lepto-quark, i leptoni eccitati, mentre con la produzione di un plasma di quark e gluoni è auspicabile una maggiore comprensione della QCD. 111 000 111 000 0 1 0 1 0 1 0 1 Figura 1.8: Dipendenza dall’energia delle sezioni d’urto di alcuni processi pp [10]. 3 Il neutrino ντ è l’unico dei 12 fermioni fondamentali non ancora osservato. In realtà questo anno si è avuta una prima evidenza diretta della sua esistenza nell’esperimento DONUT (Direct Observation of the Nu Tau) a Fermilab [9]. 16 In fig.1.8 sono riportati gli andamenti delle sezioni d’urto di alcuni processi osservabili ad LHC in funzione dell’energia nel centro di massa dei protoni, e la loro frequenza aspettata ad una luminosità di 1034 cm−2 s−1 . Una sezione d’urto totale di ∼100 mb sarà responsabile di ∼25 interazioni per ogni incrocio dei fasci. Una stima più accurata, ottenuta per estrapolazione dai risultati degli esperimenti condotti in passato, attribuisce alla sezione d’urto totale, alle energie di LHC, il valore di σtot = (110 ± 20) mb, mentre il rapporto aspettato tra le sezioni d’urto elastica e totale risulta σel /σtot = 0.26 [11]. Da un confronto tra la sezione d’urto totale e quelle relative agli eventi cercati, almeno tre ordini di grandezza inferiori, è comprensibile la necessità di una luminosità cosı̀ elevata ad LHC. Le interazioni produrranno prevalentemente eventi non significativi a basso impulso trasverso, che aumenteranno l’occupazione nei rivelatori al silicio e degraderanno la risoluzione dei calorimetri elettromagnetici. Ciò ostacolerà il riconoscimento di canali a singolo elettrone o fotone, utilizzati come selezione principale nella ricerca di decadimenti di nuove particelle. In fig.1.8 osserviamo come la sezione d’urto del processo di produzione di coppie bb̄ aumenti con l’energia. Ad LHC sarà raggiunta una frequenza di ∼106 eventi al secondo, proprietà che renderà questa macchina unica nel suo genere per lo studio della fisica relativa ai mesoni B. Ciò che interessa principalmente è la verifica della violazione di CP (Charge-Coniugation Parity)4 nei decadimenti che coinvolgono particelle contenenti il quark b. Questo fenomeno, scoperto nel 1964, è stato analizzato in maniera estesa soltanto nel caso dei mesoni strani K 0 K̄ 0 , ma non esistono verifiche sperimentali della violazione di CP in altri decadimenti tuttavia prevista dalla teoria. 1.4.1 Il bosone di Higgs Il Modello Standard è costruito su una teoria di gauge SU(3) ⊗ SU(2) ⊗ U(1). Per rendere locale tale simmetria è necessario introdurre dei bosoni vettoriali, particelle associate ai campi di gauge, che nel caso dell’interazione elettrodebole sono W + , W − , Z 0 e γ. È importante preservare l’invarianza di gauge di una teoria, poiché essa garantisce la sua rinormalizzabilità, cioè la possibilità di estrarre risultati finiti a qualunque ordine del suo sviluppo perturbativo. Costruendo la teoria come teoria di gauge, i bosoni vettoriali responsabili delle interazioni hanno naturalmente massa nulla, risultato in aperto 4 L’operatore CP è la composizione degli operatori Parità(P) e Coniugazione di Carica(C) che trasformano la funzione d’onda di una particella rispettivamente in quella ottenuta per inversione spaziale degli assi e in quella della corrispondente antiparticella. L’interesse in questo operatore risiede nel fatto che la violazione di CP comporta necessariamente anche quella dell’operatore di Inversione Temporale(T) a causa dell’esistenza del teorema della conservazione di CPT [1]. 17 contrasto con le osservazioni sperimentali. Se il termine di massa nella lagrangiana dell’interazione fosse introdotto esplicitamente l’invarianza di gauge sarebbe rovinata, e cosı̀ la rinormalizzabilità della teoria. Affinché questa sia preservata è necessario invece introdurre un campo di Higgs, la cui interazione con i bosoni di gauge da’ origine alle masse cercate attraverso il meccanismo della rottura spontanea della simmetria, ma da’ anche luogo a una nuova particella chiamata bosone di Higgs [1]. La ricerca di questa particella è quindi di primaria importanza per la coerenza del Modello Standard, ma la realizzazione di esperimenti mirati alla sua scoperta sono ostacolati dal fatto che la massa del bosone rimane un parametro libero della teoria. Il risultato più recente della collaborazione dei quattro esperimenti di LEP esclude un valore per mH inferiore a 114.2 GeV al 95% del livello di confidenza [12], mentre il limite superiore imposto dalla teoria è di circa 1 TeV. Figura 1.9: Diagrammi di Feynman dei principali processi di produzione del bosone di Higgs a LHC. I principali meccanismi di produzione del bosone di Higgs ad LHC sono la fusione tra una coppia di gluoni, di W o Z, di quark t, oppure come radiazione di bremsstrahlung di un W o di una Z 0 , rappresentati in fig.1.9. I rivelatori di LHC sono stati appositamente progettati al fine di ottimizzare la ricerca di questo bosone nell’intero intervallo di masse previsto, con particolare attenzione ai segnali che caratterizzano ogni specifico canale di decadimento. In tab.1.2 sono riportati i canali principali, suddivisi in base al valore di mH . In fig.1.10 sono rappresentati in funzione di essa alcuni dei rapporti di decadimento calcolati. Il canale che fornisce il miglior segnale è quello che prevede nel suo stato finale 4 leptoni, ma sfortunatamente è sfavorito da una bassa probabilità. È necessaria quindi un’elevata 18 mH (GeV) 2mZ < mH < 800 ∼130 < 2mH < 2mZ fino a ∼ 900 ∼ 1 TeV 100 < mH < 150 80 < mH < 130 decadimento H → ZZ → 4l± H → ZZ ∗ → 4l± H → ZZ → llνν H → W W /ZZ → ll jetjet H → γγ H → γγ da W H(ZH) → lνγγ Tabella 1.2: Canali di decadimento del bosone di Higgs studiati a LHC. Figura 1.10: Rapporti di decadimento dei principali canali di decadimento del bosone di Higgs. Per mH < mZ (mW ) il valore indicato nelle curve relative a ZZ (W W ) si riferisce a ZZ ∗ (W W ∗ ). luminosità, quale sarà quella di LHC, per raggiungere in tempi ragionevoli un’alta statistica di eventi. La fig.1.11 mostra questo decadimento nel caso in cui mH > 2mZ e nello stato finale si osservano 4 µ provenienti dal decadimento di due Z. Nonostante vi siano molti eventi concorrenti che presentano gli stessi µ nello stato finale, principalmente tt̄ → 4µ, il fondo può essere notevolmente ridotto imponendo che la massa invariante delle due coppie di µ sia quella della Z, che i µ siano isolati e apportando opportuni tagli cinematici. Eventi analoghi si presentano nel caso in cui mH < 2mZ , con la differenza che il bosone decade in una coppia ZZ ∗5 . Il fondo può essere ridotto richiedendo leptoni isolati e 5 Z ∗ sta indicare una particella Z virtuale. 19 (a) (b) Figura 1.11: a)Rappresentazione dell’evento H → ZZ → 4µ+ µ− per mH =150 GeV; b)Simulazione dell’evento nel rivelatore CMS. imponendo restrizioni cinematiche, ma la frequenza di decadimento si riduce rapidamente e già per masse inferiori a ∼140 GeV è troppo piccola perché il canale sia oggetto di studio. Per bassi valori della massa dell’Higgs vengono privilegiati i canali H → γγ e H → bb̄. Entrambi presentano un alto fondo di eventi, ma mentre il primo ha un basso rapporto di decadimento, il secondo è di difficile ricostruzione a partire dallo stato finale. Alcune estensioni del Modello Standard, per esempio quella basata sulla teoria supersimmetrica [13], prevedono uno spettro dei bosoni di Higgs molto più complicato. È importante, per la completezza del modello, estendere la loro ricerca intorno ai valori di massa previsti da queste teorie, studiarne i relativi canali di decadimento, nonché accertare l’esistenza delle nuove particelle che alcuni di essi richiedono. Il calcolo teorico delle correzioni alle osservabili del Modello Standard dovute all’introduzione del bosone di Higgs nella teoria rende necessaria una elevata precisione nella misura dei parametri che caratterizzano il modello, come le masse delle particelle. Il valore della massa delle W , ad esempio, risente delle correzioni radiative di ordine superiore al primo in potenze di αem , costante di accoppiamento elettromagnetica. Tali correzioni dipendono da m2t (con mt massa del quark top) e log(mH ) (con mH massa del bosone di Higgs). Poiché misure precise di osservabili elettrodeboli sono sensibili a queste correzioni, è possibile fornire una stima di mH e mt attraverso un fit [14]. 20 Capitolo 2 I rivelatori al silicio I dispositivi a semiconduttore sono stati introdotti nella fisica delle alte energie intorno agli anni ’70, ma soltanto un decennio più tardi hanno subito, con l’introduzione della tecnologia planare [15], un grande sviluppo che ha determinato il largo impiego che ne viene fatto oggigiorno. La maggior parte degli esperimenti condotti ai collider presentano infatti almeno una parte del sistema tracciante costituita da rivelatori al silicio, ma un utilizzo cosı̀ esteso come nell’esperimento CMS non si era ancora verificato. 2.1 2.1.1 Proprietà del silicio Silicio intrinseco e drogato Il silicio è un elemento appartenente al IV gruppo della tavola periodica degli elementi. Per la realizzazione dei rivelatori impiegati nella fisica delle alte energie viene utilizzato nella forma di cristalli cresciuti artificialmente. Un cristallo puro di silicio è costituito da un reticolo ben ordinato di atomi che si dispongono ai vertici di un cubo mettendo in compartecipazione i loro quattro elettroni di valenza attraverso dei legami covalenti. Come tutti i materiali che presentano una struttura cristallina, gli elettroni più esterni degli atomi di silicio si dispongono in bande di energia continue, separate tra loro da bande proibite (gap). I livelli di energia più alti sono nella banda di conduzione, separata dalla banda di valenza da una banda proibita di energia Eg = Ec − Ev = 1.14 eV, come è mostrato in fig.2.1. Allo zero assoluto la banda di conduzione è completamente vuota. Per T > 0 K invece alcuni elettroni della banda di valenza acquistano un’energia sufficiente per passare in quella di conduzione, lasciando al loro posto una lacuna che si comporta come una carica positiva. Questa caratteristica è comune a tutti i semiconduttori (come germanio e arseniuro di gallio), le cui bande proibite hanno generalmente un’energia inferiore a 2 eV, ma distingue 21 Vuoto E Si Si Si Si Si Si 11111111111111111111 00000000000000000000 e00000000000000000000 11111111111111111111 Banda di conduzione 00000000000000000000 11111111111111111111 00000000000000000000E 11111111111111111111 11111111111111111111 00000000000000000000 c Banda proibita Eg Si Si E=0 EF 11111111111111111111 00000000000000000000 00000000000000000000E v 11111111111111111111 00000000000000000000 11111111111111111111 lacuna Banda di valenza 00000000000000000000 11111111111111111111 00000000000000000000 11111111111111111111 11111111111111111111 00000000000000000000 Semiconduttore intrinseco Si (a) (b) Figura 2.1: Rappresentazione a) del reticolo cristallino e b) delle bande energetiche di un semiconduttore intrinseco per T > 0 K. questi in maniera netta dai metalli, in cui le bande energetiche possono anche sovrapporsi, e dagli isolanti, per i quali la gap è troppo grande (5 eV) perché la banda di conduzione possa popolarsi. In un semiconduttore intrinseco, cioè un cristallo puro, il meccanismo di creazione di coppie elettrone-lacuna richiede che la densità di cariche libere di conduzione sia la stessa per gli elettroni e per le lacune. Indicando queste concentrazioni rispettivamente con n0 e p0 si ha [16]: Em n0 = NE (E)fD (E)dE (2.1) Ec dove Ec e Em sono le energie minima e massima della banda di conduzione, NE è la densità degli stati permessi all’interno di essa e fD esprime la probabilità che uno stato di energia E sia occupato da un elettrone e segue la distribuzione di Fermi-Dirac: 1 fD (E) = (2.2) F 1 + exp E−E KT dove K è la costante di Boltzmann, T la temperatura assoluta e EF il livello di Fermi, energia alla quale la probabilità di occupazione di uno stato da parte di un elettrone è esattamente 1/2, indipendentemente dalla temperatura. Nell’ipotesi in cui (Ec − EF ) KT , che equivale a richiedere che soltanto pochi degli stati permessi nella banda di conduzione siano occupati, la (2.1) può essere risolta in: Ec − EF n0 = Nc exp − KT 22 (2.3) dove Nc è una densità degli stati efficace proporzionale a T 3/2 . Nel caso delle lacune si ottiene l’analoga espressione: EF − Ev p0 = Nv exp − KT (2.4) con lo stesso significato dei simboli. Il silicio ha per T = 300 K n0 = p0 ∼1010 cm−3 , da confrontarsi con ni ∼1023 cm−3 del rame, indipendente dalla temperatura, dove ni è la densità di portatori di carica. Poiché n0 = p0 a temperatura ambiente, il livello di Fermi si colloca in prossimità del centro della banda proibita ed è chiamato livello di Fermi intrinseco Ei . Moltiplicando le densità dei portatori di carica si ottiene la cosiddetta legge di azione di massa: n2i Eg = n0 p0 = Nc Nv exp − KT (2.5) Questa legge rimane verificata anche nel caso in cui vengano alterate le concentrazioni dei portatori di carica nel modo in cui verrà descritto. Un semiconduttore intrinseco non viene mai utilizzato principalmente perché è estremamente costoso e difficile da ottenere. I cristalli vengono anzi drogati con elementi del III o V gruppo della tavola periodica, ottenendo materiali comunemente chiamati di tipo p o n. Il drogaggio di un cristallo di silicio consiste nella sostituzione di un atomo del reticolo con un altro avente un elettrone di valenza in più o in meno rispetto a quello originario, cosı̀ da creare un eccesso di elettroni o di lacune. Per esempio in un cristallo di silicio di tipo n vengono introdotti nel reticolo degli atomi del V gruppo detti donatori, tipicamente fosforo, aventi un elettrone di valenza in più rispetto al silicio. Una volta saturati i legami covalenti con gli atomi di silicio vicini, un elettrone del donatore rimane debolmente legato al suo atomo ed è facilmente ionizzabile per merito dell’agitazione termica. Promosso quindi nella banda di conduzione aumenta la concentrazione di portatori di carica negativi, mentre nel reticolo rimane uno ione positivo. Valori tipici delle concentrazioni di impurità ND introdotte in materiali di tipo n variano tra 1012 e 1015 cm−3 . Essendo ND ni e indicando con n e con p le nuove concentrazioni di elettroni e di lacune si ha: n ND (2.6) p n2i ND 23 Si Si Si 00000000000000000000 11111111111111111111 11111111111111111111 00000000000000000000 Banda di conduzione 00000000000000000000 11111111111111111111 00000000000000000000 E c 11111111111111111111 11111111111111111111 00000000000000000000 EF + + + + + + + + + + Si P Si Si Si Si ED Eg Ev Banda proibita 11111111111111111111 00000000000000000000 00000000000000000000 11111111111111111111 Banda di valenza 00000000000000000000 11111111111111111111 00000000000000000000 11111111111111111111 00000000000000000000 11111111111111111111 Semiconduttore di tipo n (a) (b) Figura 2.2: Rappresentazione a) del reticolo cristallino e b) delle bande energetiche di un semiconduttore di tipo n. Nei materiali di tipo n le impurezze introducono un livello energetico ED nella banda proibita in cui si collocano gli elettroni ionizzati dagli atomi donatori. Questo livello di energia è prossimo a quello della banda di conduzione, nel caso di drogaggi con fosforo nel silicio si ha Ec − ED 45 meV. Il livello di Fermi viene a collocarsi tra questo nuovo livello energetico e la banda di conduzione. Si Si Si 11111111111111111111 00000000000000000000 00000000000000000000 11111111111111111111 Banda di conduzione 00000000000000000000 11111111111111111111 00000000000000000000 E c 11111111111111111111 00000000000000000000 11111111111111111111 Banda proibita Si B Si Si Si Si Eg Ev EA 11111111111111111111 00000000000000000000 00000000000000000000 11111111111111111111 Banda di valenza 00000000000000000000 11111111111111111111 00000000000000000000 11111111111111111111 00000000000000000000 11111111111111111111 EF Semiconduttore di tipo p (a) (b) Figura 2.3: Rappresentazione a) del reticolo cristallino e b) delle bande energetiche di un semiconduttore di tipo p. In un silicio di tipo p vengono introdotte impurezze, tipicamente boro, caratterizzate da un elettrone di valenza in meno rispetto al silicio. Il legame covalente non saturato 24 all’interno del reticolo cristallino porta alla formazione di una lacuna, che è appunto il tipo di portatore di carica maggioritario in questo tipo di materiale. Se l’atomo accettore cattura un elettrone del reticolo, la lacuna entra in movimento, mentre esso diviene uno ione negativo. Nei materiali di tipo p si ha: p NA (2.7) n n2i NA in cui NA indica la concentrazione di atomi accettori. Il livello energetico EA introdotto da questo tipo di impurezze è questa volta vicino alla banda di valenza, per il boro EA − Ev 45 meV, e, analogamente al caso precedente, il livello di Fermi introdotto si colloca tra di essi. La resistività in generale si esprime come: ρ= 1 q(µn n + µp p) (2.8) dove µ è la mobilità elettrica1 che, in condizioni di saturazione, vale 1350 cm2 /Vs per gli elettroni e 480 cm2 /Vs nel caso delle lacune. Nel caso di materiali drogati, ad esempio di tipo n, assume la forma: ρn 1 qµn ND (2.9) Per i materiali di tipo p si ottiene un’espressione analoga dalle (2.7) e (2.8). In un cristallo di silicio intrinseco la resistività è 235 KΩcm a temperatura ambiente, e diminuisce nel caso di materiali drogati raggiungendo tipici valori dell’ordine del Ωcm fino a qualche KΩcm. 2.1.2 La giunzione pn Immaginiamo di porre idealmente a contatto intimo due cristalli di silicio di diverso tipo p e n. Supponiamo di realizzare una cosiddetta giunzione “a gradino” in cui si ha un brusco passaggio dal materiale di un tipo all’altro. Una schematizzazione di questo tipo rappresenta in prima approssimazione una giunzione reale. Per il fenomeno della diffusione, le cariche libere in un tipo di materiale penetrano all’interno dell’altro, neutralizzandosi con quelle di segno opposto. All’interfaccia dei 1 La mobilità elettrica esprime la facilità con cui una carica si muove sotto l’azione di un campo elettrico ε: v = µε , dove v è la velocità della carica. 25 materiale p - - - + + + + - - - + + + + + materiale n + + + + + + + + + + - - - - - + + + + + + - - - - - - Ec eφ accettore ionizzato + donatore ionizzato lacuna - elettrone giunzione pn + + - + + - + + - + - + - + + - + + + + - + + - EF Ev + + - + + - - zona p zona n zona svuotata (a) (b) Figura 2.4: a)Rappresentazione di una giunzione “a gradino” tra un silicio di tipo n e uno di tipo p e la conseguente formazione di una zona svuotata dalle cariche di conduzione. b)Rappresentazione dei livelli energetici della giunzione. due materiali si forma quindi una regione svuotata dalle cariche libere di conduzione. Il meccanismo di diffusione si arresta quando il campo elettrico generato dagli ioni fissi del reticolo è tale da contrastarlo. In tal modo si raggiunge una situazione di equilibrio. Da un punto di vista energetico il processo descritto consiste in un allineamento dei livelli di Fermi dei due materiali. In fig.2.4b) è mostrato il profilo che assumono all’equilibrio i livelli energetici caratteristici della giunzione. Con φ è indicata la differenza di potenziale che si stabilisce tra i due tipi di materiale da un estremo all’altro della giunzione. Esso ha un valore di qualche centinaia di mV a temperatura ambiente, per drogaggi tipici come ND ∼1015 cm−3 e NA ∼1017 cm−3 . Nel caso in cui la concentrazione dei droganti nei due tipi di materiale sia diversa, la zona svuotata si estende maggiormente nel tipo di materiale in cui è minore. In fig.2.5 si fa riferimento ad una giunzione unilaterale p+ -n, in cui il materiale di tipo p è maggiormente drogato rispetto a quello di tipo n. La densità di carica ρ per una giunzione a gradino è nulla all’esterno della zona svuotata, mentre al suo interno vale eND nel materiale di tipo n e -eNA in quello p. Con la linea tratteggiata è stata rappresentata ρ nel caso di una giunzione reale. Poiché la carica elettrica totale della zona svuotata deve essere neutra NA xp = ND xn . Risolvendo l’equazione di Poisson, imponendo ε(−xp ) = ε(xn ) = 0, il campo elettrico risulta nullo all’esterno della zona svuotata, mentre all’interno di essa 26 ρ eND - xp xn 0 x eNA ε - x 0 V φ x 0 zona p+ zona n Figura 2.5: Densità di carica, campo elettrico e potenziale di una giunzione p+ -n a gradino, in cui il materiale di tipo p è maggiormente drogato rispetto all’altro. assume la forma: eNA − (xp + x) per − xp ≤ x ≤ 0 ε(x) = eND − (xn − x) per 0 < x ≤ xn (2.10) dove - = -0 -r è la costante dielettrica. Imponendo la continuità all’interfaccia dei due materiali e la condizione al contorno V (−xp ) = 0, il potenziale all’interno della zona svuotata risulta: eNA (xp + x)2 per − xp ≤ x ≤ 0 2 V (x) = − eN2D (xn − x)2 + φ per 0 < x ≤ xn φ = e (N x2 + N x2 ) 2 A p (2.11) D n Tenuto conto della neutralità della carica elettrica della zona svuotata, dall’ultima equazione si deriva l’espressione della larghezza della zona svuotata, che nel caso in cui NA ND si riduce a: W = 27 2-φ eND (2.12) Nei dispositivi comunemente usati nella fisica delle particelle, le giunzioni (solitamente unilaterali, per esempio p+ n) vengono contropolarizzate, è cioè applicata una differenza di potenziale Vp agli estremi che segue il verso di φ. Le lacune lasciano il materiale n per raggiungere quello p e gli elettroni lasciano il materiale p per raggiungere quello n. Ai bordi della zona svuotata si ha cosı̀ una mancanza di cariche minoritarie. Le condizioni di lavoro ottimali, come sarà mostrato, sono quelle per le quali la zona svuotata si estende all’intero cristallo. Le equazioni precedenti rimangono verificate se a φ viene sostituita la somma: Vtot = φ + Vp Vp (2.13) Naturalmente esiste un valore della tensione di polarizzazione Vp per il quale la zona svuotata è massima: Vs = 2 eND Wmax −φ 2- (2.14) Vs è detta tensione si svuotamento. La sua misura permette la conoscenza della densità ND e quindi anche della resistività del materiale dalla (2.9). La corrente totale che attraversa la giunzione, detta corrente di fuga, dipende dalla diffusione dei portatori di carica minoritari e da fenomeni di generazione e ricombinazione all’interno della zona svuotata. Per una giunzione p+ n il modulo della densità di corrente assume la forma [16]: Vp KT − 1 J = J e s J = e Dp · s τp (2.15) n2i ND + e niτW dove e è la carica dell’elettrone, Dp è la costante di diffusione delle lacune (portatori minoritari nel materiale n) legata alla mobilità elettrica dalla relazione Dp = KT µp , e τn e τ sono le vite medie rispettivamente di una lacuna e di una coppia elettrone-lacuna. In condizioni di contropolarizzazione la densità di corrente tende ad un valore di saturazione Js a cui contribuisce un primo termine dovuto alla diffusione delle cariche minoritarie nella regione neutra, ed un secondo legato ai fenomeni di generazione e ricombinazione all’interno della zona svuotata. La capacità totale della giunzione per unità di superficie è definita come [16]: C= dQ dQ dW = · dVp dW dVp 28 (2.16) dove dW è l’allargamento della zona svuotata in seguito ad un aumento di tensione dVp che determina una variazione di carica dQ in entrambi i lati della giunzione. L’espressione che si ottiene nel caso di una giunzione p+ n è: eND 2Vtot per Vp < Vs C= (2.17) per Vp ≥ Vs Wmax √ in cui è importante notare la dipendenza di C da 1/ Vtot prima del completo svuotamento. Sostituendo la (2.14) al posto di Vtot nella prima espressione si ottiene la seconda. Questa mostra come la giunzione sia assimilabile ad un condensatore a facce piane e parallele poste alla distanza Wmax tra cui si trova un dielettrico con costante dielettrica -. 2.2 Perdita di energia di una particella carica in un materiale La perdita di energia da parte di particelle cariche in un materiale avviene principalmente per ionizzazione ed eccitazione degli atomi del mezzo che attraversano. In quest’ultimo caso gli elettroni atomici ricadono allo stato fondamentale con emissione di fotoni. Inoltre nel caso di particelle relativistiche, l’emissione di fotoni (irraggiamento per bremsstrahlung) costituisce il meccanismo di perdita di energia più importante. La perdita di energia per ionizzazione ed eccitazione nel caso di particelle pesanti cariche è descritta dall’equazione di Bethe-Bloch [17]: 1 dE 1 2me c2 γ 2 β 2 Emax C 2 2 2 Z 2 − 2β − δ − 2 − · = 2πNa re me c z · · 2 · ln ρ dx A β I2 Z (2.18) dove z è la carica della particella incidente di velocità βc, γ = (1 − β 2 )−1/2 , Z e A sono rispettivamente il numero atomico e il peso atomico del materiale attraversato di densità ρ, me è la massa dell’elettrone, re il suo raggio classico, Na è il numero di Avogadro, Emax è la massima energia trasferibile ad un elettrone in una singola collisione. I è il potenziale di eccitazione medio ed è legato alla frequenza orbitale media degli elettroni. I valori di I si trovano tabulati per i diversi materiali e nel caso del silicio è 173 eV. I parametri δ e C sono delle correzioni alla formula importanti rispettivamente nel caso di alte e basse energie [17]. La (2.18) è valida al % anche per particelle relativistiche, mentre non è più corretta per particelle lente (β < 0.1), nel qual caso la perdita di energia diviene proporzionale a β. Nel caso di un protone nel silicio si ha (-dE/dx) = 61.2·β GeVg−1 cm2 per β < 5·10−3 . 29 Figura 2.6: Perdita di energia per diverse particelle in funzione della loro energia cinetica descritta dalla (2.18). Il minimo cade intorno β = 0.96 per le particelle aventi la stessa carica a cui si fa riferimento col nome di mip (minimum ionising particle) [17]. In fig.2.6 è riportata la perdita di energia descritta dalla formula di Bethe-Bloch per diverse particelle in funzione della loro energia cinetica. Per basse energie domina il termine 1/β 2 , mentre ad alte energie si osserva una risalita relativistica proporzionale a 2lnγ, attenuata comunque dall’effetto densità. Normalizzando la perdita di energia per la densità del mezzo, in corrispondenza del minimo essa è ∼2 MeVg−1 cm2 per tutti i materiali leggeri con Z/A 0.5 e per tutte le particelle con la stessa carica. Poiché tale minimo cade intorno ad un valore β ∼0.96, sempre indipendente dal tipo di materiale o dalla particella purché abbia carica ±1, si è soliti far riferimento a particelle con energia corrispondente a esso col nome di mip (minimum ionizing particle). Nel caso in cui le particelle incidenti siano elettroni o positroni la formula di BetheBloch deve essere modificata in quanto cade l’ipotesi di particelle pesanti (cioè con massa m me ). Inoltre la nuova espressione deve descrivere l’interazione tra particelle identiche. Data la loro massa comunque, già per energie dell’ordine delle decine di MeV la perdita di energia per radiazione è sicuramente il contributo più importante. La distribuzione della perdita di energia attraverso assorbitori sottili è descritta dalla teoria di Landau [17]. In fig.2.7 è riportata tale distribuzione nel caso di una mip in uno spessore di silicio di 300 µm, ottenuta dalle misure effettuate con l’apparato descritto in 30 Figura 2.7: Distribuzione di Landau relativa alla perdita di energia di una mip in un rivelatore di silicio ottenuta dai dati sperimentali. fig.5.2. Il fit mostrato in figura è stato realizzato con una semplificazione della distribuzione di Landau, nota come distribuzione di Moyal, quindi i rivelatori a microstrisce di silicio possono essere considerati degli assorbitori sottili. Essa è data da: f (λ) = λ= √A 2π · exp − 12 (λ + e−λ ) (2.19) ∆E−∆Emax ξ dove A è un fattore di normalizzazione, ∆Emax è la perdita di energia più probabile, ξ dipende dalla larghezza della distribuzione ed è legato alle caratteristiche del materiale attraversato ed alla velocità della particella [18]. La distribuzione di Moyal, come quella di Landau, è asimmetrica, quindi la perdita di energia più probabile è minore di quella media a causa di eventi rari in cui avvengono grossi trasferimenti di energia agli elettroni atomici. 2.3 Descrizione dei rivelatori a microstrisce di silicio Consideriamo un diodo contropolarizzato, ossia una giunzione pn a cui è applicata una tensione di polarizzazione tale da creare una zona svuotata dalle cariche libere di conduzione al suo interno. Se una particella attraversa il diodo, perde energia per collisione e ionizzazione degli atomi della giunzione come previsto dalla (2.18). Nel caso in cui questo 31 avvenga in una zona del diodo non svuotata, le coppie di elettroni e lacune generate vanno incontro ad una rapida ricombinazione. Al contrario, se la zona interessata al passaggio della particella è quella svuotata, le coppie elettrone-lacuna migrano sotto l’azione del campo elettrico e vengono raccolte ai capi del diodo. Dal segnale ottenuto si identifica il passaggio di una particella. Un rivelatore a microstrisce di silicio può essere schematizzato come un insieme di diodi contropolarizzati posti l’uno accanto all’altro. Quando una particella lo attraversa, le cariche da essa generate sono raccolte da uno o più diodi, ai cui capi viene letto il segnale. La posizione spaziale di questi diodi indica il punto di passaggio della particella attraverso il rivelatore. 2.3.1 Principio di funzionamento Al lato giunzione Ossido + 300 µ m Nitruro p+ p+ + p+ + - Substrato di tipo n n+ lato ohmico mip Al Figura 2.8: Schematizzazione di un rivelatore a microstrisce di silicio attraversato da una particella al minimo di ionizzazione. In fig.2.8 è riportata una schematizzazione di un rivelatore a microstrisce di silicio, attraversato da una mip. Esso è costituito da un substrato (bulk ) di tipo n dello spessore di 300 µm. Su di un lato (lato giunzione) vengono create per impiantazione delle strisce p+ (strip), mentre sull’altro (lato ohmico) viene realizzato con la stessa tecnica uno strato di silicio n+ , ricoperto da una metallizzazione di alluminio. Gli impianti sul lato giunzione sono separati dalle relative metallizzazioni da uno strato di ossido SiO2 e uno di nitruro Si3 N4 . Questi hanno la funzione di disaccoppiare l’elettronica di lettura del segnale dal rivelatore. Gli impianti sono connessi attraverso delle resistenze in polisilicio ad un unico anello di polarizzazione che li circonda. La tensione di polarizzazione viene applicata tra esso 32 e la metallizzazione del lato ohmico (tensione positiva per la contropolarizzazione delle giunzioni); gli impianti si collocano ad una tensione prossima a quella dell’anello grazie alle resistenze. Per una corrente media di fuga di 1 µA, in un rivelatore con 512 strisce polarizzato con 500 V, la corrente che scorre attraverso ogni resistenza è circa 2 nA, per cui, supponendo che queste abbiano un valore di circa 2 MΩ, si ha una differenza di potenziale ai loro capi di 4 mV, trascurabile rispetto alle tensioni di polarizzazione utilizzate normalmente. Il valore della resistenza deve essere sufficientemente alto da ridurre il contributo al rumore termico introdotto sull’elettronica di lettura (vedi par.5.2.2), ma allo stesso tempo non deve causare una caduta di tensione troppo elevata tra l’anello di polarizzazione e gli impianti p+ , specialmente in seguito ai danni prodotti dalla radiazione che aumenteranno notevolmente la corrente di fuga dei rivelatori. Intorno all’anello di polarizzazione si trova un anello di guardia che ostacola l’affluire delle correnti generate presso i bordi del rivelatore nella regione degli impianti, detta regione attiva. L’energia persa nel substrato dalla particella per ionizzazione e eccitazione porta alla creazione di coppie elettrone-lacuna all’interno di un cilindro avente come asse la direzione di moto e un diametro di qualche µm. I rivelatori a microstrisce di silicio operano ad una tensione di polarizzazione maggiore di quella di svuotamento, in modo da massimizzare il volume attivo per la raccolta di cariche generate al passaggio della particella. Le cariche prodotte migrano sotto l’azione del campo elettrico. Gli elettroni sono raccolti dal lato ohmico, mentre le lacune dagli impianti sul lato giunzione. La metallizzazione relativa ad ogni impianto è collegata ad un ingresso di un canale di lettura, per cui è possibile ricostruire una coordinata spaziale relativa al passaggio della particella. La perdita di energia media di una mip all’interno del silicio è 390 eV/µm. Dal momento che sono necessari 3.6 eV per la creazione di una coppia elettrone-lacuna, in uno spessore di 300 µm di silicio vengono generate circa 32500 coppie. In realtà ciò che interessa è il numero più probabile di coppie generate, che si discosta da esso come visto nel par.2.2. La perdita di energia più probabile per una mip è circa 288 eV/µm, che porta alla creazione di circa 24000 coppie elettrone-lacuna. 2.3.2 Il processo di fabbricazione La moderna tecnica di produzione dei rivelatori a microstrisce di silicio si è sviluppata a partire da quella ben più consolidata utilizzata per i circuiti integrati (IC). Essi sono basati 33 principalmente su strutture superficiali, mentre nel caso dei rivelatori il substrato intero costituisce la parte attiva del dispositivo. Assumono quindi un’importanza fondamentale per la produzione dei rivelatori lo spessore, il grado di purezza, l’uniformità nel drogaggio e l’orientazione del cristallo. La delicatezza delle operazioni necessarie per la fabbricazione rende costosi tali dispositivi e solo un largo uso, come previsto in CMS, ha permesso la diminuzione dei costi di produzione e quindi la possibilità di equipaggiamento di grandi aree. Storicamente la scelta dell’orientazione del cristallo dei rivelatori ha sempre preferito lo <111> allo <100>. La principale differenza tra i due è la maggior carica all’interfaccia ossido-silicio presente nei primi. Il motivo di questa scelta è dovuto al fatto che substrati <111> risultavano di una migliore qualità, ma oggigiorno il processo di produzione ha superato questa differenza. È necessario quindi studiare le prestazioni dei rivelatori con entrambi i tipi di substrato per determinare quello con le caratteristiche più adatte per l’esperimento CMS. I cristalli di silicio vengono fatti crescere con determinate orientazioni del cristallo, resistività, dimensioni, dopo di che vengono tagliati in fette (wafer ) e levigati fino ad ottenere lo spessore e la finitura superficiale richiesti. Successivamente le industrie produttrici, nel caso dei dispositivi studiati nel corso di questa tesi la CSEM (Neuchatel, CH), realizzano i rivelatori a microstrisce di silicio attraverso varie fasi di pulizia del wafer, crescita termica dell’ossido, fotolitografia, deposizione di vari strati di materiale come nitruro e polisilicio, oltre che di metallo. Gli studi condotti presso la CSEM hanno mostrato come un’attenta pulizia iniziale del wafer ripetuta dopo i vari processi a cui va incontro, sebbene allunghi i tempi di produzione, riduca la presenza di difetti come i fori nell’ossido di disaccoppiamento [19]. Sul wafer grezzo viene fatto crescere uno strato di ossido ad una temperatura tra gli 800oC e i 1250oC, in un’atmosfera contenente ossigeno (secca) o vapore (umida) in un gas inerte. Il suo spessore aumenta col tempo di ossidazione. Per ogni µm di ossido cresciuto vengono consumati 0.45 µm di silicio. La velocità di ossidazione dipende, oltre che dalla temperatura e dalla pressione, dalla orientazione del cristallo e risulta maggiore nel caso di orientazione <111>. D’altra parte proprio in questo tipo di cristallo l’ossido risulta di una peggiore qualità a causa della presenza in esso di un maggior numero di cariche fisse e trappole in prossimità dell’interfaccia ossido-silicio. Uno strato di ossido può anche essere depositato ad una temperatura di 450o C at34 traverso la reazione: SiH4 + 2O2 −→ SiO2 + 2H2 O (2.20) In realtà l’ossido cosı̀ formato ha una peggiore qualità rispetto a quello prodotto per ossidazione termica e non ne costituisce una valida alternativa. Esso viene utilizzato piuttosto nei casi in cui le temperature richieste per l’ossidazione termica non possono essere tollerate dal dispositivo, per esempio successivamente alla deposizione delle metallizzazioni, oppure quando si richiede la presenza di uno strato isolante, ma non è disponibile sulla superficie del silicio da ossidare. Nel caso in cui non sia richiesta un’alta qualità dell’ossido, la sua deposizione è sicuramente un processo più veloce della sua crescita per ossidazione termica. Con l’utilizzo di appositi plasmi la deposizione dell’ossido, come pure quella di altri materiali come polisilicio e nitruro, può essere effettuata a temperature ancora inferiori, col vantaggio di lavorare sulla singola faccia del wafer interessata. Nel substrato di tipo n vi sono delle strutture e delle zone di diverso drogaggio, in particolare le strisce, l’anello di polarizzazione e quello di guardia sono di tipo p+ , mentre la zona prossima alla linea di taglio e al lato ohmico sono di tipo n+ . Queste vengono realizzate per impiantazione degli ioni droganti all’interno del substrato per mezzo di un acceleratore. La sua tensione di accelerazione può variare dalle migliaia ai milioni di Volt, consentendo una penetrazione degli ioni all’interno del substrato fino a diverse centinaia di Ångstrom. Per la realizzazione dei rivelatori studiati sono state utilizzate energie di 60 KeV e 140 KeV, rispettivamente per le impiantazioni p+ e n+ . L’impiantazione ionica comporta un danneggiamento della struttura cristallina che può essere in parte contenuto se avviene attraverso un sottile strato di ossido superficiale. Perché siano raggiunte maggiori profondità nel drogaggio, solitamente l’impiantazione è seguita da un processo di diffusione termica. Questa consiste nel riscaldamento del substrato, che porta alla diffusione dei droganti da zone ad alta a zone a bassa concentrazione. I tempi necessari per la sua realizzazione possono variare da qualche minuto a molte ore. La diffusione termica è influenzata, oltre che dalla temperatura (sulla quale è richiesto un controllo di ±1o ), dalla concentrazione dei droganti, dall’ambiente ossidante e dall’orientazione del cristallo; si ha infatti una maggiore diffusione dei droganti in un cristallo <100> rispetto ad uno <111>. Questo processo è sempre accompagnato dall’ossidazione termica poiché avviene in ambiente ricco di ossigeno. 35 La deposizione di strati come quelli di nitruro o polisilicio avviene con le stesse modalità descritte per l’ossido, attraverso le reazioni: ∼600o C SiH4 −→ Si + 2H2 (2.21) ∼800o C 3SiCl2 H2 −→ Si3 N4 + 6HCl + 6H2 (2.22) e l’utilizzazione di un apposito plasma può ridurre la temperatura necessaria per la deposizione del nitruro fino a 300o C. Il polisilicio è costituito da grani di silicio che si dispongono l’uno accanto all’altro. Alle interfacce si formano delle zone svuotate dalla cui profondità e dal cui numero dipende la resistività. Questa è quindi strettamente dipendente dal processo di deposizione, che definisce la grandezza dei grani. Le zone svuotate vengono successivamente saturate con l’idrogeno che viene introdotto, generalmente sotto forma di silano SiH4 , al momento della passivazione (spiegata in seguito), e modificano il valore della resistività che viene quindi a dipendere principalmente dalla densità di drogante nel polisilicio, introdotto per impiantazione oppure per diffusione. Il polisilicio è stato scelto per la realizzazione delle resistenze di polarizzazione dei rivelatori di CMS grazie alla sua alta tolleranza ai danni provocati dalle radiazioni. Radiazione ultravioletta maschera resina ossido wafer (a) (b) (c) (d) Figura 2.9: Schematizzazione del processo fotolitografico per la realizzazione di uno strato di materiale, in questo caso ossido, con una geometria definita: a) la pellicola viene impressionata con radiazione ultravioletta, b) la resina impressionata è rimossa, c) l’ossido scoperto viene anch’esso rimosso, d) geometria finale dello strato di ossido. Gli strati depositati sul wafer assumono una precisa geometria realizzata con l’utilizzo di tecniche fotolitografiche. In fig.2.9 ne è riportata una schematizzazione. La superfi36 cie del wafer viene ricoperta da una resina fotosensibile dello spessore di qualche µm, costituita da polimeri plastici che hanno la proprietà di sciogliersi se illuminati da radiazione ultravioletta. In questo stato possono essere rimossi da un attacco chimico. Tra il wafer e la sorgente della radiazione, in prossimità di quest’ultima, viene frapposta una maschera di vetro. Questa è opaca all’ultravioletto nelle zone in cui la pellicola non deve essere impressionata e quindi rimossa; qui lo strato sottostante depositato in precedenza, è protetto dall’attacco chimico. Spesso la pellicola protegge semplicemente un lato del wafer nel caso in cui i disegni debbano essere realizzati soltanto sull’altro. L’attacco chimico dello strato sottostante alla pellicola impressionata può essere realizzato per mezzo di una soluzione acquosa oppure di un plasma. Quest’ultimo viene preferito per la sua tendenza a privilegiare una direzione nella corrosione. Ciò riduce le possibilità che il materiale protetto della resina venga attaccato lateralmente e quindi anch’esso rimosso. Se l’attacco dipendesse unicamente dalla sua durata, sarebbe estremamente difficoltoso evitare che esso coinvolga gli strati ancora più interni. Per questo vengono scelte sostanze che abbiano velocità di corrosione molto diverse per i materiali di cui sono costituiti lo strato da rimuovere e quello sottostante. Le metallizzazioni possono essere realizzate sia per evaporazione che per sputtering 2 . I materiali utilizzati sono generalmente l’alluminio e le sue leghe, ma anche il titanio e il tungsteno con le relative leghe. Per ottenere un buon contatto tra il silicio e il metallo è necessario un trattamento termico che permetta la diffusione degli atomi di un materiale nell’altro. Nel caso dell’alluminio la temperatura richiesta è intorno ai 400o C. Le resistività raggiunte sono sufficientemente basse perché il contributo al rumore sull’elettronica di lettura dovuto alle strisce sia estremamente contenuto (vedi par.5.2.2). Una volta realizzate le metallizzazioni, si procede alla passivazione: il rivelatore viene ricoperto da uno strato di ossido protettivo, in cui vengono praticate delle aperture per permettere il contatto elettrico del rivelatore. In fig.2.10 sono rappresentate alcune delle fasi necessarie alla realizzazione di un rivelatore a microstrisce di silicio. In seguito alla formazione di uno strato di ossido per ossidazione termica (1), viene formato per impiantazione uno strato n+ sul lato ohmico 2 Processo durante il quale il metallo viene direttamente spruzzato sulla superficie. 37 SiO2 Substrato n n+ (1) (2) 11111111111 00000000000 11 000000 00 111111 11111111111 00000000000 (3) 11111111111 00000000000 (4) SiO2 SiO2 00p 111111 11 000000p + + 11111111111 00000000000 (5) resina fotosensibile impressionata 11 000000 00 111111 00n+ 000000 11 111111 11111111111 00000000000 11111111111 00000000000 11 000000 00 111111 11 000000 00 111111 11111111111 00000000000 11111111111 00000000000 11111111111 00000000000 11 00 111111 000000 00000000000 11111111111 1010000000 1111 1010 0000 11 00 111111 01 00 11 00000000000 11111111111 11111111111 00000000000 (9) 00000000000 11111111111 11111111111 00000000000 (10) polisilicio (6a) (6) (7) (8) Si 3 N4 metallo 0 1 1111 1 0000 0 11 00 111111 000000 0 1 00 1 1 00 11 10111111 1111 1010 0000 11 00 01 00 10000000 11 00000000000 11111111111 11111111111 00000000000 (11) passivazione (12) Figura 2.10: Rappresentazione schematica delle principali fasi necessarie alla realizzazione di un rivelatore. 38 del wafer (2). Successivamente la deposizione di uno strato di ossido (3) avrà la duplice funzione di proteggere il lato ohmico fino al momento della sua metallizzazione e preparare il lato giunzione per l’impiantazione. Utilizzando le tecniche fotolitografiche e l’attacco chimico per mezzo di un plasma, sono create le aperture per la successiva impiantazione p+ (5), e, come spiegato precedentemente, la superficie del silicio viene protetta da un sottile strato di ossido che viene fatto crescere per ossidazione termica (4). Le impiantazioni p+ vengono realizzate anche nelle zone in cui l’impiantazione necessaria è quella n+ , come per esempio la regione prossima alla linea di taglio. La resina fotosensibile protegge ora le zone del wafer non interessate all’impiantazione n+ . L’energia e la dose di quest’ultima sono scelte in modo non solo da compensare la concentrazione di atomi accettori dovuti alla precedente impiantazione, ma da generare l’alta densità di donatori necessaria per la realizzazione dell’impianto n+ (6a). Per quanto riguarda invece la realizzazione della resistenza in polisilicio, uno strato di polisilicio (3500 Å) viene depositato sul wafer (6). Perché sia raggiunta la resistività richiesta, il polisilicio sul lato giunzione viene impiantato con fosforo attraverso un sottile strato di ossido protettivo generato per mezzo di un trattamento termico che permette anche la diffusione degli impianti creati in precedenza. Le estremità delle resistenze, definite per mezzo delle tecniche fotolitografiche, sono impiantate con una dose maggiore di fosforo (7) per un migliore contatto con i metalli dell’anello di polarizzazione e delle strisce p+ . Successivamente vengono definite le resistenze attraverso un delicato attacco chimico che non deve danneggiare gli strati di ossido (8). Per ossidazione termica viene formato un sottile strato di ossido in modo tale che lo spessore complessivo al di sopra degli impianti p+ raggiunga circa 2100 Å, dopo di che viene depositato uno strato di nitruro spesso 1250 Å(9). Sul nitruro vengono realizzate le aperture (10) che permetteranno il contatto, attraverso il metallo, di una estremità della resistenza in polisilicio con l’anello di polarizzazione, dell’altra con le strisce p+ (11). Sul lato giunzione viene depositato uno strato protettivo di 1 µm di ossido che permette la lavorazione sul lato ohmico. Gli strati qui finora depositati non sono mai stati rimossi per una maggior protezione dell’impiantazione n+ , i cui difetti hanno una forte influenza sulle correnti di fuga del dispositivo. Per lo stesso motivo l’attacco chimico per la rimozione di questi strati è altamente selettivo, per evitare che insieme all’ossido non venga rimosso anche il silicio. In seguito viene realizzata la metallizzazione del lato ohmico. Con un ultimo processo fotolitografico vengono realizzate le aperture per i contatti elettrici del rivelatore (12). 39 Il processo di fabbricazione si conclude con un trattamento termico per una migliore adesione del metallo al silicio, che abbassa la resistenza dei contatti. 2.4 Descrizione dei rivelatori in esame 2.4.1 Caratteristiche geometriche I rivelatori studiati nel corso di questa tesi possono essere classificati in tre diversi gruppi da un punto di vista geometrico, descritti nella tab.2.1. Si osservi che i rivelatori di tipo f4 e quelli di tipo f6 differiscono unicamente nella quantità. Essi hanno una forma trapezoidale in quanto prototipi dei moduli che costituiranno i dischi degli end-caps del tracciatore di CMS. Nome f4 f5 f6 f7 no strisce 512 512 512 256 p(µm) 116.5 130.9 116.5 261.2 w/p wm (µm) 0.215 33 0.191 33 0.215 33 0.191 58 l(cm) 6.601 5.642 6.601 5.642 Vol. att.(cm3 ) 1.178 1.135 1.178 1.135 Quantità 23 24 24 23 Tabella 2.1: Parametri geometrici medi che descrivono i rivelatori su cui sono state effettuate le misure. Il passo tra le strisce è indicato con p, l è la loro lunghezza, mentre con w e wm sono indicate le larghezze rispettivamente degli impianti p+ e delle metallizzazioni sul lato giunzione. È riportato infine il volume della regione attiva del cristallo, assumnedo uno spessore di 300 µm per il substrato. Le coppie di cristalli f4-f5 e f6-f7 formano i moduli rispettivamente chiamati rφ e stereo. In fig.2.11a) è schematizzato il prototipo di un modulo di tipo rφ realizzato in una delle geometrie studiate nel corso di questa tesi, mentre in fig.2.11b) ne è mostrato il particolare di un angolo. Per la determinazione delle coordinate bidimensionali del passaggio di una particella, un modulo stereo viene posto dietro un modulo rφ in modo tale che la direzione delle proprie strisce sia leggermente ruotata rispetto alle altre, cosı̀ da formare un reticolo. Per un errore nel processo di produzione gli f6 hanno 512 strisce invece di 256, per cui non è stato possibile realizzare un modulo stereo. 2.4.2 Differenze nel processo di produzione I rivelatori studiati nel corso di questa tesi presentano delle differenze nel tipo di substrato e in alcune fasi del processo di produzione. In tab.2.2 sono riportate le principali differenze. 40 lato giunzione 124µ m passo Anello di guardia Anello di polarizzazione 73.12 mm F5 58.87 mm 137µ m passo Resistenze di polarizzazione Piazzole in DC . . . 512 124 µ m passo F4 109µ m passo 68.45 mm strisce p+ Piazzole in AC 57.97 mm (a) (b) Figura 2.11: a)Schematizzazione di un modulo formato da due cristalli f4 e f5 e descrizione delle dimensioni fisiche. b)Particolare di un angolo di un rivelatore. I rivelatori sono classificati innanzitutto in base all’orientazione del cristallo. Le resistività del substrato misurate dopo il processo di fabbricazione sono risultate dell’ordine di 6 KΩcm e 1 KΩcm nel caso indicato rispettivamente con alta e bassa. Per quanto riguarda la tecnologia utilizzata, le differenze sono concentrate sostanzialmente nella realizzazione delle resistenze di polarizzazione. La principale difficoltà incontrata nella realizzazione delle resistenze in polisilicio è il fatto che il nitruro blocca la diffusione dell’idrogeno introdotto al momento della passivazione, cosicché le zone svuotate presenti all’interfaccia dei grani di polisilicio vengono saturate soltanto nei punti in cui il suo strato è più sottile. Come mostrato in fig.2.12, lo spessore dello strato di nitruro può dipendere dalla forma dei bordi delle resistenze, e quindi dall’attacco chimico utilizzato per la rimozione del polisilicio in eccesso. Ciò comporta una disomogenità del valore delle resistenze appartenenti ad un unico rivelatore. Un tale fenomeno è indipendente dal tipo di substrato e dalla sua resistività. Per ovviare a questo problema esistono varie soluzioni. È possibile impiantare dell’idrogeno che vada a saturare le trappole alla fine del processo dal momento che l’idrogeno cosı̀ intro41 Geometria f4 f4 f5 f5 f6 f7 cristallo <111> <100> <111> <100> <100> <100> resistività alta bassa alta bassa bassa bassa tecnologia 1 2 1 2 3 3 Quantità 12 11 11 13 24 23 Tabella 2.2: Caratteristiche fisiche del substrato e tecnologie dei rivelatori su cui sono state effettuate le misure. Si3 N4 H2 H2 Resistenza di polisilicio Figura 2.12: Schematizzazione di una resistenza in polisilicio e dello strato di nitruro depositato al di sopra di essa. Nella figura di sinistra il caso ideale in cui essa abbia una forma regolare e il nitruro sia omogeneo su di essa. Nella figura di destra possibili deformazioni ai bordi della resistenza che determinano poi una disomogenità nello spessore del nitruro. dotto non è bloccato dal nitruro. Alternativamente il nitruro depositato sopra le resistenze in polisilicio può essere rimosso, per far si che la passivazione riacquisti il suo effetto benefico, oppure si agisce sui grani del polisilicio, aumentandone le dimensioni cosı̀ da ridurre il numero delle trappole. La tecnologia descritta precedentemente è stata utilizzata dalla CSEM per la realizzazione dei rivelatori. I processi variano comunque in alcuni dettagli come la qualità del nitruro e quella del polisilicio, oltre che il metodo adottato per la risoluzione del problema precedentemente descritto. Nel par.3.2.4 saranno mostrati i risultati delle misure effettuate sulle resistenze in polisilicio per le tre diverse soluzioni tecnologiche utilizzate. 42 Capitolo 3 Caratterizzazione dei rivelatori a microstrisce di silicio Le prestazioni di un modulo di rivelatori al silicio in termini di rapporto segnale/rumore dipendono dal comportamento elettrico dei sensori che lo costituiscono, oltre che dal tipo di elettronica di front-end utilizzata. Come sarà mostrato nel cap.5, quest’ultima determina il contributo maggiore al rumore e dipende in parte dai parametri elettrici propri di un sensore. Di questi saranno comunque mostrati e calcolati i contributi propri. In questa fase di CMS è quindi particolarmente importante una loro caratterizzazione, che permetterà la scelta delle geometrie e delle tecnologie che garantiranno i migliori risultati. Durante il mio lavoro di tesi ho studiato il comportamento di alcuni prototipi di rivelatori a microstrisce di silicio per il tracciatore di CMS, individuandone le grandezze più significative per una completa caratterizzazione. È stata cercata una loro dipendenza dalle varie geometrie e dalle tecnologie utilizzate per la realizzazione dei dispositivi di cui disponevamo, al fine di ottimizzare quei parametri da cui dipendono le prestazioni dell’intero rivelatore. Gran parte del lavoro di tesi ha riguardato la messa a punto di apparati che consentano una misura sufficientemente pulita delle grandezze in gioco, riducendo al minimo i danni meccanici al rivelatore, che compromettono in maniera significativa le sue prestazioni. 3.1 Apparato di misura Le misure sono state effettuate in una camera pulita (classe1 10000) in quanto la presenza di molecole di polvere o grasso su di essi può degradarne in maniera irreversibile le proprietà elettriche. È quindi necessario l’utilizzo di guanti puliti nel toccarli, oltre ad 1 Grandezza che indica il numero di particelle di polvere per unità di volume 43 un’attenta pulizia degli strumenti impiegati. Dal momento che i rivelatori contengono delicate microstrutture, gli strumenti non devono provocare graffi. Il materiale più indicato per la loro realizzazione è il teflon, di cui sono fatte le pinze, le bacchette e i supporti comunemente utilizzati. La stanza utilizzata inoltre è dotata di climatizzatore per poter controllare continuamente la temperatura e l’umidità. 3.1.1 La stazione di misura Per le misure effettuate a temperatura ambiente è stata utilizzata una stazione di misura (probe-station) Alessi, modello REL5000 (fig.3.1). Il dispositivo sotto test, eventualmente munito di supporto in teflon, viene posizionato su una piattaforma circolare metallica (chuck ) che ne permette il bloccaggio per mezzo del vuoto. La piattaforma può effettuare movimenti in tre direzioni e ruotare sul suo asse per facilitare il posizionamento del rivelatore. Un microscopio al di sopra di essa, dotato di tre diversi ingrandimenti, di cui il maggiore è un 200×, e una telecamera collegata ad un monitor esterno, permettono l’osservazione delle strutture su cui devono essere effettuate le misure. Figura 3.1: La stazione di misura. I contatti elettrici necessari sono realizzati con delle punte di tungsteno del diametro di pochi micrometri, di cui sono dotati i manipolatori (probe). Quest’ultimi alloggiano su un piano (platen) che circonda il chuck, libero di muoversi in direzione verticale, e 44 possono effettuare movimenti micrometrici in tutte le direzioni. Ad essi sono collegati, tramite cavi schermati, gli strumenti di misura. In particolari tipi di misure i manipolatori possono essere sostituiti, almeno in parte, da una scheda (probe-card ) provvista di 40 punte micrometriche posizionate ad un passo costante l’una dall’altra. Queste vengono utilizzate in misure automatiche nel caso in cui si vogliano contattare tutte le strisce del rivelatore in un tempo relativamente breve. Data la loro funzione sono state costruite su misura dalla ditta Wentworth Deutschland (Monaco di Baviera) in base alla geometria del dispositivo a cui si devono adattare. La scheda viene inserita al livello del platen in un connettore che provvede al collegamento elettrico delle 40 punte coi relativi cavi. La stazione può essere comandata tramite un joy-stick collegato ad un personal computer oppure direttamente attraverso un PC. Le probe vengono invece posizionate manualmente. La corrente nei dispositivi a semiconduttore è generata attraverso meccanismi di creazione di coppie elettrone-lacuna, come descritto nel capitolo precedente. Dal momento che anche la radiazione luminosa può dare vita a tali meccanismi, le misure devono essere effettuate in assenza di luce, affinché le correnti misurate siano dovute unicamente alle proprietà elettriche del rivelatore. L’intera stazione di misura è perciò contenuta all’interno di una scatola metallica connessa alla massa comune cosı̀ da fornire anche una schermatura per le misure di capacità. Data la precisione con cui devono essere fatti i contatti e la delicatezza delle punte, la probe-station è isolata dalle vibrazioni provocate nell’ambiente esterno. Un computer Macintosh colloquia tramite un’interfaccia IEEE488 con i vari strumenti e con la stazione di misura. Sono stati realizzati quindi dei programmi che permettono l’impostazione dei parametri necessari per la realizzazione di alcune misure semiautomatiche, i cui risultati saranno mostrati successivamente. Alla fine di ogni misura la tensione di polarizzazione viene riportata a 0 V in modo graduale per evitare danni al rivelatore provocati da improvvisi salti di tensione. 3.1.2 Generatori di tensione e misuratori di corrente La differenza di potenziale necessaria per la polarizzazione del rivelatore è generata da un High Voltage Source Unit Keithley 237. Questo strumento può fornire una tensione massima di 1000 V, con una risoluzione di 100 µV e una precisione nella misura della lettura della corrente di 100 fA. Inoltre è possibile impostare un limite nella corrente 45 + A GNDU - SMU HVU + V - 0V (a) (b) Figura 3.2: Schema di funzionamento delle unità a) GNDU b) MPSMU oppure HVU dell’HP 4142B. erogabile dal rivelatore (compliance) per evitare un suo danneggiamento. Tale limite è fissato comunemente a 1 mA e, nel caso in cui venga raggiunto, la tensione programmata non viene impostata, mentre dal dispositivo viene erogata una corrente costante. Nella configurazione utilizzata il terminale relativo alla bassa tensione è stato cortocircuitato con la massa di riferimento, cosicché un unico cavo schermato porta nel conduttore centrale il segnale dell’alta tensione e sulla calza quello della bassa. Nelle misure in cui è stata utilizzata una probe card la tensione è stata fornita da un HP 4142B Modular DC Source/Monitor. Al suo interno sono collocate 5 unità, di cui una fornisce una connessione con la massa (GNDU) (fig.3.2a)), tre sono HP 41421B Medium Power Source/Monitor Unit (MPSMU), mentre l’ultima è un HP 41423A High Voltage Source/Monitor Unit (HVU). L’impostazione dei parametri e l’esecuzione delle misure sono controllati direttamente dal Macintosh attraverso un’interfaccia HP Interface Bus. L’HVU è stata utilizzata per fornire l’alta tensione necessaria alla polarizzazione del rivelatore. Questa unità è infatti capace di fornire una differenza di potenziale fino ad un massimo di 1000 V, con una risoluzione di 100 mV. La tensione impostata viene inoltre riletta con una risoluzione di 20 mV (fig.3.2b)). La corrente massima erogabile è 10 mA, sufficiente dal momento che la compliance è stata impostata su 1 mA come nel caso del Keithley, ed ha la stessa modalità di funzionamento. L’accuratezza della misura di corrente dipende dall’intervallo in cui si colloca il suo valore, selezionato in maniera automatica dallo strumento. Le MPSMU si comportano in maniera analoga all’unità precedente, ma la tensione massima applicabile è 100 V, con una risoluzione di 5 mV nell’impostazione, una preci46 sione nella successiva lettura di 2 mV, e una corrente massima erogabile di 20 mA. In presenza di correnti particolarmente basse è stato talvolta utilizzato un picoamperometro Keithley 480, che ne consente la misura in un intervallo tra 1 pA e 2 mA, con una sensibilità di 10 fA. 3.1.3 Il misuratore LCR Un HP 4284A LCR Meter misura il modulo e la fase delle impedenze complesse sotto studio. Sullo schermo grafico possono essere direttamente visualizzate queste grandezze, oppure quelle relative ad una determinata schematizzazione come, per esempio, la capacità e la resistenza di un CR serie oppure un CR parallelo. Il misuratore LCR è dotato di 4 terminali (Hp, Hc, Lp, Lc), ma è sempre stato utilizzato cortocircuitando insieme gli H (high) e i L (low ), per cui in uscita vi sono due soli terminali. Questi raggiungono, attraverso dei cavi coassiali, le probe ai capi delle cui punte viene a trovarsi l’impedenza incognita. Il terminale H applica un segnale in alternata, con frequenza impostabile tra 20 Hz e 1 MHz, di ampiezza anch’essa variabile; nel caso delle misure effettuate sui rivelatori questa è stata impostata generalmente sui 100 mV, fino ad un massimo di 300 mV nel caso di valori particolarmente instabili. Tale valore deve comunque rimanere sufficientemente basso da non alterare la polarizzazione del rivelatore. Il terminale L legge lo stesso segnale all’altro estremo dell’impedenza, misurandone l’attenuazione e la variazione di fase, da cui si ricavano i valori cercati. La principale caratteristica di questo strumento è il poter escludere dalla misura tutte le capacità presenti tra l’impedenza studiata e la massa. Un voltmetro misura infatti la tensione a cui si trova il terminale H rispetto alla massa di riferimento, mentre il contatto L viene mantenuto ad una massa virtuale da un apposito amplificatore reazionato. In tal modo si tiene conto dell’attenuazione del segnale dovuta alla presenza di capacità parassite connesse con l’H che quindi vengono escluse, mentre in quelle connesse al terminale L non si ha passaggio di corrente dal momento che sono comprese tra due punti equipotenziali. Il valore dell’impedenza viene calcolato dal rapporto tra la tensione letta dal voltmetro e la corrente ricevuta al terminale L. Questa proprietà rende l’LCR Meter particolarmente adatto per la misura di un’impedenza che deve essere isolata da una complessa rete capacitiva come nel caso dei rivelatori a microstrisce di silicio. Per tener conto delle capacità parassite introdotte invece dai contatti delle punte e dai 47 cavi che portano il segnale dalle probe fino allo strumento di misura, l’LCR Meter è dotato di un processo di correzione che deve essere sempre eseguito quando viene realizzata una nuova configurazione di misura. Tale processo consiste in due correzioni distinte. La open, che viene effettuata alzando la punta relativa al terminale L, e la short, nella quale i due terminali sono cortocircuitati. Cosı̀ facendo vengono compensati gli errori dovuti a induttanze parassite che si sommano in parallelo e in serie all’entrata dell’LCR Meter. Se la differenza di potenziale ai capi dell’impedenza su cui sono posti i terminale del misuratore LCR è maggiore di ±42 V, lo strumento si danneggia. Nelle misure in cui è necessario raggiungere un valore ben più alto, viene utilizzato un dispositivo ausiliario a cui sono connessi sia i terminali dell’LCR Meter, che quello del Keithley. Esso disaccoppia i due strumenti e presenta in uscita due terminali che portano rispettivamente la somma degli H e quella degli L. Le calze dei terminali di entrambi gli strumenti sono connesse al L del Keithley. 3.1.4 Il misuratore di resistenze Le misure di resistenza sono state realizzate con un HP 4145B Semiconductor Parameter Analyzer. È costituito da quattro unità programmabili dette SMU (Source/Monitor Unit) ognuna delle quali ha tre differenti configurazioni: generatore di tensione e misuratore di corrente, come in effetti sono sempre state utilizzate, generatore di corrente e misuratore di tensione e il comune. Le tensioni e le correnti possono essere mantenute costanti, oppure possono variare in maniera lineare o logaritmica. Sullo schermo grafico appare la caratteristica VI dell’impedenza misurata. Nel caso delle resistenze questa assume naturalmente un andamento lineare, per cui è possibile estrapolare i loro valori da un fit sui punti misurati, che esegue lo strumento stesso, opportunamente comandato. Gli intervalli entro cui misurare la caratteristica e il passo tra le varie tensioni applicate possono essere impostati, cosı̀ come la corrente massima che può scorrere sull’impedenza, in modo tale da proteggerla da correnti eccessive che potrebbero deteriorarla. 3.1.5 La matrice di interruttori I cavi relativi alle 40 punte della probe-card raggiungono 4 schede Keithley 7158 Low Current Scanner Card da 10 canali l’una, inserite in una matrice di interruttori Keithley 7002 Switch Sistem. Le schede sono dotate ognuna di due uscite, utilizzate per la connessione in serie tra loro e con lo strumento di misura. Le punte della carta sono a contatto 48 con le strisce del rivelatore, ma normalmente i canali dell’interruttore sono aperti. In questo stato le punte sono connesse al comune. Quando si vuole creare il collegamento tra uno strumento e una o più strisce, un comando manuale o automatico ne chiude i relativi canali. L’uscita dalla matrice è comunque unica, per cui le strisce possono essere messe in comunicazione, contemporaneamente o in successione, con un solo strumento durante l’esecuzione di una misura. Generalmente la matrice è comandata da un programma automatico che provvede allo spostamento e al posizionamento della probe-card sulle strisce del rivelatore e, successivamente, alla chiusura dei canali in successione. 3.1.6 Misure in camera climatica I rivelatori danneggiati per irraggiamento con neutroni presentano, a temperatura ambiente, correnti di fuga prossime a 1 mA per una polarizzazione di pochi Volt. Le misure su di essi sono state quindi effettuate all’interno di una camera climatica che può essere impostata su una temperatura variabile tra 135o C e -50o C. Tale temperatura è mantenuta costante con una precisione di 0.2o . I rivelatori sono posti all’interno di essa su un supporto di teflon e i contatti elettrici sono realizzati tramite delle microsaldature che connettono le strutture del rivelatore ad alcune piazzole esterne di kapton dorato incollate sul supporto. Su queste sono saldati anche i cavi collegati agli strumenti, che fuoriescono dalla camera climatica attraverso un’apposita apertura. I risultati di queste misure saranno esposte nel prossimo capitolo. 3.2 Le misure nella stazione di misura Tra le varie misure effettuate sui rivelatori a microstrisce di silicio, ve ne sono alcune ripetute per tutti i dispositivi in quanto ne permettono una prima classificazione. Queste sono le caratteristiche IV e CV, dalle quali è possibile individuare i rivelatori che hanno correnti di fuga troppo elevate e conoscere le tensioni di svuotamento per ognuno di essi. Sulla base di queste misure è stato selezionato un campione ristretto su cui ne sono state effettuate altre, ripetute su rivelatori diversi per geometria e tecnologia, al fine di determinare la correlazione che lega i risultati ottenuti alle varie proprietà elettriche. 3.2.1 La caratteristica tensione-corrente Un buon rivelatore è sicuramente caratterizzato da una bassa corrente di fuga, dal momento che da essa dipende il rumore granulare presente sul segnale in uscita dall’elettronica 49 Keithley 237 generatore di tensione H L Alluminio Ossido Resistenza di polarizzazione Anello di polarizzazione Piazzola di polarizzazione ~ 60 mm Anello di guardia Impianto p+ 0.3 mm Piazzola in AC Piazzola in DC Silicio n Silicio n+ Alluminio (a) (b) Figura 3.3: a)Schema di misura per la corrente di fuga di un rivelatore. b)Andamento della corrente di fuga in funzione della tensione di polarizzazione. La misura si riferisce a un rivelatore f5 a bassa resistività dopo il taglio del cristallo. di lettura, come sarà mostrato nel par.5.2.2. Inoltre una corrente elevata provoca il riscaldamento del dispositivo che, se non efficacemente raffreddato, incrementa la generazione di coppie elettrone-lacuna, e quindi la corrente stessa. Il meccanismo cosı̀ instaurato porta il rivelatore in una condizione di non operabilità. Questa corrente dipende dalla concentrazione di impurità presenti all’interno del cristallo, per cui una sua misura può indicare la qualità del processo di fabbricazione. Nel modulo completo, ogni striscia è disaccoppiata dall’ingresso del preamplificatore tramite il condensatore realizzato tra impianto e metallizzazione sul sensore ed è collegata all’amplificatore tramite una piazzola in AC ricavata agli estremi delle strisce metalliche. La corrente di fuga di ogni striscia si ripercuote in termini di rumore granulare sui canali dell’elettronica. Per valutare correttamente il suo contributo al rumore è necessario quindi misurarla. È inoltre utile individuare la presenza di strisce difettose caratterizzate da un’alta corrente di fuga, cosı̀ da evitarne il collegamento all’elettronica di lettura. Il numero di tali difetti deve essere contenuto entro l’1% perché un dispositivo sia selezionato per l’esperimento. Con l’apparato descritto in fig.3.3a) viene effettuata la misura della corrente totale che scorre nel rivelatore, contenente quella relativa alle singole strisce. Il generatore di tensione (Keithley 237) fornisce la differenza di potenziale Vp necessaria alla polarizzazione del 50 rivelatore. Questa viene applicata tra il contatto posteriore (back ), posto ad alta tensione, e l’anello di polarizzazione, connesso a massa, a cui affluiscono, scorrendo attraverso le resistenze in polisilicio, le correnti raccolte dai singoli impianti. In figura viene illustrata anche la schematizzazione del rivelatore che sarà utilizzata per la descrizione delle misure. Naturalmente il disegno non è in scala, ma sono indicate le dimensioni del cristallo. In fig.3.3b) viene mostrato l’andamento della corrente totale in funzione della tensione di polarizzazione. Una volta svuotato completamente il silicio, la corrente rimane pressoché costante. In realtà si osserva una leggera deriva dovuta alle correnti di superficie che si generano ai bordi del cristallo e delle impiantazioni p+ , oltre che all’iniezione di cariche dal contatto posteriore. Queste correnti provocano, intorno a 950 V, un brusco aumento della corrente (breakdown). Responsabile di questo fenomeno è il campo elettrico particolarmente intenso presente in quelle zone. Sono state studiate diverse geometrie che comportano la presenza di più anelli esterni a quello di polarizzazione, per ridurre gradualmente l’intensità del campo elettrico dal bordo del cristallo ad esse [6]. Tali configurazioni non hanno però condotto a chiari miglioramenti sulle prestazioni dei rivelatori specialmente dopo l’irraggiamento e quindi non sono state utilizzate. I rivelatori studiati in questa tesi hanno un solo anello esterno a quello di polarizzazione, detto anello di guardia. 33µm 25µm metallo 1 0 0 1 0 1 0 1 0 1 0 1 0 1 0 1 0 1 0 1 0 1 0 1 0 1 impianto p + Figura 3.4: Schematizzazione di una striscia in cui la larghezza della metallizzazione è maggiore di quella dell’impianto. A differenza di altri prototipi studiati in precedenza, quelli sui cui sono stati effettuate queste misure sono caratterizzati da una larghezza delle strisce di metallo maggiore rispetto a quella degli impianti, come mostrato in fig.3.4. Questo fa si che le linee del campo elettrico si allontanino dagli impianti per entrare nel più robusto strato di ossido, in cui il valore del campo che può provocare un breakdown è circa 600 V/µm, a differenza di quello nel silicio che è soltanto 30 V/µm [20]. In fig.3.5 vengono riportate le distribuzioni delle tensioni a cui la corrente di fuga raggiunge il valore di 1 mA. Gli istogrammi 3.5a) e b) si riferiscono ai cristalli interi, prima di essere tagliati nella forma trapezoidale. Essi hanno una forma circolare di dia51 metro 10 cm e presentano, intorno a ciò che costituirà poi il rivelatore, delle strutture di controllo, come per esempio diodi. Gli istogrammi 3.5c) e d) si riferiscono invece alle misure effettuate dopo il taglio. Dal confronto tra i comportamenti dei rivelatori prima e dopo il taglio (le misure sono state effettuate nelle stesse condizioni esterne e con lo stesso apparato già descritto) si osserva come le correnti generatesi all’esterno della struttura principale (rimosse in seguito al taglio) provochino, in generale, un breakdown intorno a 500 V, mentre, successivamente al taglio, l’80% dei rivelatori può sostenere una tensione di polarizzazione maggiore di 500 V. È importante che un rivelatore possa operare ad una tensione di polarizzazione di 500 V in quanto questa assicura che un cristallo con una resistività del tipo utilizzato, sia sempre completamente svuotato, anche in seguito ad un pesante irraggiamento quale sarà quello che dovrà subire durante l’operazione ad LHC. Come sarà più chiaro nel prossimo capitolo, infatti, la tensione alla quale il cristallo è svuotato cambia con la dose di radiazione assorbita, ma è stato calcolato che in base alle resistività dei substrati utilizzati, ai livelli di radiazione che verranno raggiunti nell’esperimento e alla durata di quest’ultimo, una tensione di 500 V dovrebbe garantire tale condizione operativa. È quindi importante che le dimensioni fisiche del rivelatore siano prossime a quelle della regione attiva, cosı̀ da ridurre le correnti che si generano esternamente ad essa. I rivelatori che raggiungono la compliance per basse tensioni di polarizzazione (≤ 500V) dopo il taglio, hanno subito dei danneggiamenti in seguito a questa operazione, oppure non hanno mutato comportamento perché il contributo dominante alla corrente è dovuto ad un difetto interno alla regione attiva. I risultati delle misure sono stati divisi per rivelatori con un substrato avente un’alta resistività e un’orientazione del cristallo <111> (3.5a) e c)), da quelli a bassa resistività e orientazione <100>, ma il comportamento osservato è lo stesso. Negli istogrammi 3.5c) e d) sono contenuti nel canale relativo a 1000 V (valore massimo dello strumento) tutti quei rivelatori che non hanno raggiunto 1 mA di corrente entro tale tensione. Questi sono ben il 52%, statistica molto elevata rispetto ai prototipi studiati in precedenza in cui la larghezza delle strisce di metallo non superava quelle degli impianti. Per completezza in fig.3.6 sono riportate le stesse misure effettuate per gli f6 e f7 dopo il taglio del cristallo. La CSEM (ditta fornitrice) li ha consegnati soltanto dopo questa operazione, quindi non sono state effettuate misure sui rivelatori interi. Soltanto il 55% dei rivelatori ha una corrente di fuga minore di 1 mA dopo i 500 V, e di questi soltanto l’8.5% raggiunge i 1000 V di polarizzazione. Le motivazioni di queste differenze rispetto 52 (a) (b) (c) (d) Figura 3.5: Distribuzioni delle tensioni alle quali la corrente di fuga raggiunge 1 mA per i rivelatori a)f4 e f5 ad alta resistività e b) f4 e f5 a bassa resistività, prima del taglio. c) f4 e f5 ad alta resistività e d) f4 e f5 a bassa resistività, dopo il taglio. Nel canale relativo a 1000 V sono compresi anche quei rivelatori che entro tale tensione non hanno raggiunto la compliance. 53 Figura 3.6: Distribuzioni delle tensioni alle quali la corrente di fuga raggiunge 1 mA per i rivelatori f6 e f7 (bassa resistività) dopo il taglio. Analogamente alla fig.3.5 nel canale relativo a 1000 V sono compresi anche quei rivelatori che entro tale tensione non hanno raggiunto la compliance. agli altri rivelatori sono da ricercarsi in un maggior numero di difetti nell’impianto n+ del lato ohmico che rendono le correnti di fuga di alcune strisce particolarmente elevate. L’83% dei rivelatori di cui disponevamo in totale avevano, infatti, un andamento della corrente di fuga in funzione della tensione di polarizzazione analogo a quello in fig.3.7a), in cui si osserva un brusco aumento della corrente per una Vp = 300 V. Talvolta sono presenti un numero di tali salti più grande di uno in un unico rivelatore, soprattutto ad alte tensioni, il che indica dunque una crescita del numero di difetti del dispositivo con essa. La misura della corrente di fuga delle singole strisce (il cui apparato è descritto in fig.3.8) è di aiuto per la comprensione di questo comportamento. Misurando infatti la corrente di fuga di tutte le strisce di un rivelatore ad una tensione di polarizzazione maggiore di quella a cui è avvenuto il salto di corrente, si osserva la presenza di una o più strisce difettose caratterizzate da una corrente più elevata rispetto alle altre. Nel caso del rivelatore mostrato in fig.3.7 la misura è stata effettuata ad una Vp = 350 V e rivela come la corrente di fuga di una striscia, la 85, sia oltre tre ordini di grandezza maggiore delle altre. Essa costituisce il principale contributo all’intera corrente del rivelatore. Le ragioni microscopiche di un tale comportamento sono dovute ad un assottigliamento dell’impianto n+ . La sua funzione è infatti quella di creare una barriera per il passaggio di elettroni provenienti dalla metallizzazione del contatto posteriore nel cristallo. È stato visto che in corrispondenza delle strisce difettose lo spessore dell’impianto n+ è minore 54 (a) (b) Figura 3.7: a)Andamento in funzione della tensione di polarizzazione della corrente di fuga di un rivelatore avente una striscia difettosa. b)Misura delle correnti di fuga delle strisce di un rivelatore per una tensione di polarizzazione di 350 V. Le misure si riferiscono ad un f5 a bassa resistività dopo il taglio. [21]. In quei punti gli elettroni, con l’aumentare della tensione di polarizzazione, possono raggiungere un’energia tale da innescare una corrente di striscia che quindi si manifesta improvvisamente soltanto una volta raggiunta la tensione di soglia. Poiché lo spessore dell’impianto n+ in corrispondenza dei difetti ha un valore casuale, anche le tensioni a cui di soglia variano, ma la probabilità di osservare queste correnti aumenta per alte tensioni di polarizzazione, in quanto gli elettroni hanno un’energia maggiore. In fig.3.9 sono riportate le distribuzioni del valore delle densità di corrente di fuga per unità di volume dei rivelatori per una tensione di polarizzazione di 500V. Il valore della corrente di fuga di un rivelatore che non possiede strisce difettose, come quello mostrato in fig.3.3, ad una tensione di polarizzazione di 500 V è dell’ordine del µA o addirittura inferiore nel caso degli f4 e f5 con substrato a bassa resistività. Questi rivelatori “buoni” sono circa il 20% del totale per tutte le tipologie di rivelatore, il che significa che il problema dell’iniezione di carica da parte del contatto posteriore è un problema diffuso. Questa fase di studio prototipale è anche rivolta alla identificazione di un processo tecnologico che permetta la riduzione di questo problema. Il numero di rivelatori aventi una corrente di fuga molto elevata, sempre per Vp = 500 V, è però 55 HP 4142B HVU MPSMU MPSMU H L L Keithley 7002 matrice di interruttori Probe Card Figura 3.8: Schema di misura per la corrente di fuga delle strisce di un rivelatore un cui esempio è dato in fig. 3.7b). maggiore nel caso degli f6 e f7 rispetto agli altri, per esempio per quasi l’80% di essi la densità di corrente è maggiore di 0.1 mA/cm3 , mentre per le altre tipologie questo valore si aggira intorno al 50%. La connessione col terminale dell’alta tensione, necessaria alla polarizzazione del rivelatore, può essere realizzata, anziché sulla metallizzazione del lato ohmico, sulla piazzola di polarizzazione, chiamata anche pozzo, mostrata in fig.3.3a). Le misure riportate in fig.3.10 mostrano come i due contatti siano del tutto equivalenti. Questo non sarà più vero una volta che il rivelatore avrà subito danni da radiazione, come verrà mostrato nel prossimo capitolo, per cui questa alternativa per la polarizzazione del rivelatore, anche se risulterebbe più agevole da un punto di vista pratico, non è stata utilizzata. 3.2.2 La tensione di svuotamento e la capacità del substrato I rivelatori a microstrisce di silicio devono operare in condizioni di completo svuotamento per massimizzare l’efficienza di raccolta di carica, per cui è fondamentale conoscere la tensione per la quale tale stato viene raggiunto. Il suo valore è inversamente proporzionale alla resistività del substrato in base alle relazioni (2.9) e (2.14). La capacità tra una singola striscia del rivelatore e il contatto posteriore è detta capacità del substrato Cb e contribuisce in modo significativo al rumore dell’amplificatore, per cui è importante conoscerne il valore ed il comportamento. 56 Figura 3.9: Distribuzioni delle densità delle correnti di fuga per ogni tipologia di rivelatore, per una tensione di polarizzazione di 500 V. Nel canale relativo a 1 mAcm−3 sono contenuti anche quei rivelatori che hanno raggiunto tale valore per una tensione inferiore a 500 V. Assimilando il rivelatore a strisce ad una combinazione di condensatori a facce piane e parallele, si osserva come soltanto quando il cristallo è completamente svuotato dalle cariche di conduzione le due armature ideali raggiungono la massima distanza l’una dall’altra, e quindi il valore della capacità è minimo in base alla relazione (2.17). Questo valore può essere derivato dalla misura della capacità totale del rivelatore, oppure essere misurato indipendentemente. In fig.3.11 viene mostrato come questi due metodi siano equivalenti: la capacità di substrato totale del rivelatore, infatti, non è altro che la somma di quelle relativa alle singole strisce, in parallelo tra loro. Supponendo che quest’ultime siano tutte uguali, è sufficiente dividere il valore della capacità totale per il numero delle strisce per ottenere la misura della capacità di ognuna di esse. La leggera discrepanza può essere imputata agli effetti di bordo nella misura della capacità totale. Dal momento che quest’ultima ha, per quanto detto, un valore molto più grande, la sua misura risulta sperimentalmente meno soggetta all’influenza da parte di capacità parassite, per cui viene preferita all’altra. Gli apparati di misura sono infatti leggermente diversi, come si vede dalle fig.3.12. 57 Figura 3.10: Confronto della caratteristica IV di un rivelatore f5 a bassa resistività nel caso in cui l’alta tensione sia connessa alla metallizzazione del lato ohmico oppure alla piazzola di polarizzazione, detta anche pozzo. Nella misura della capacità totale del rivelatore l’anello di polarizzazione viene connesso col terminale L del misuratore LCR, a cui è collegato, attraverso un sistema di disaccoppiamento, anche il terminale L del generatore di tensione (fig.3.12 a)). Nell’altra misura, questo contatto viene realizzato sulla piazzola in DC della striscia (fig.3.12 b)). In particolare, in questa misura le piazzole in AC delle strisce prime vicine a quella di cui si vuol conoscere il valore della capacità del substrato, devono essere connesse a massa, come pure l’anello di polarizzazione. Come già descritto, infatti, il misuratore LCR ha la caratteristica di escludere dalla misura tutte le impedenze che si collocano tra il suo terminale L e la relativa calza, posta a massa. Cosı̀ facendo, quindi, il contributo delle capacità della striscia verso le prime vicine viene eliminato. Per lo stesso motivo viene contattata la piazzola in DC della striscia dalla parte della resistenza di polarizzazione, che viene quindi a trovarsi tra il terminale L del misuratore LCR e l’anello di polarizzazione a massa. Solitamente il valore che viene rappresentato è 1/Cb2 in funzione della tensione di polarizzazione, in quanto cresce linearmente con essa fino al completo svuotamento del substrato, dopo di che rimane costante. Dall’intersezione dei fit lineari mostrati in fig.3.11b) si ottiene il valore della tensione di svuotamento del cristallo. Sempre dalla fig.3.11b) si osserva una deviazione dall’andamento lineare per i primi 58 (a) (b) Figura 3.11: a)Andamento della capacità del substrato totale per un rivelatore f5 con substrato ad alta resistività in funzione della tensione di polarizzazione e il confronto con quella relativa ad una sua sola striscia moltiplicata per 512, numero delle strisce del rivelatore. b)Andamento di 1/Cb2 in funzione della tensione di polarizzazione. Le misure sono state effettuate ad una frequenza di 1 KHz. 10 V di polarizzazione. Il motivo è da ricercarsi nel fatto che la relazione (2.12) è valida in una schematizzazione in cui la zona svuotata è unica e si muove verso il lato ohmico unidirezionalmente. In realtà questa approssimazione è valida soltanto in seguito all’unione delle singole zone svuotate. Inizialmente, come è mostrato in fig.3.13, queste si sviluppano in tutte le direzioni (1) fino alla loro unione (2), dopo di che si comportano come un unico fronte che avanza verso il lato ohmico. Questo effetto risulta infatti maggiormente accentuato nel caso degli f7, in cui le strisce sono più lontane tra loro. In fig.3.14 sono riportate le distribuzioni delle tensioni di svuotamento sia per i rivelatori con substrato ad alta resistività che per quelli a bassa resistività. I valori medi ottenuti sono rispettivamente (54 ± 10) V e (240 ± 30) V, dove gli errori sono gli scarti quadratici medi. Da queste distribuzioni sono esclusi tutti quei rivelatori che hanno raggiunto il limite della corrente di fuga di 1 mA prima del completo svuotamento, in quanto per essi è impossibile ottenere un grafico del tipo 3.11. Ripetiamo per comodità le relazione (2.9) e (2.14) nella forma ρ= Ws2 2-Vs µ 59 (3.1) Keithley 237 Generatore di tensione L H HP 4284A Misuratore LCR Keithley 237 Generatore di tensione H L H H L Sistema di disaccoppiamento Sistema di disaccoppiamento H L HP 4284A Misuratore LCR H L L Piazzola in AC Ossido Impianto p+ Anello di polarizzazione Cb Cb (a) (b) Figura 3.12: Schema di misura della capacità di substrato a) totale b) di una singola striscia. in cui -r per il silicio è 11.9, Ws è lo spessore del cristallo che sappiamo essere 300 µm, mentre il valore della conducibilità elettrica µ è quella degli elettroni dal momento che costituiscono i portatori maggioritari. Otteniamo una resistività di (5.8 ± 1.1) KΩcm per i rivelatori con substrato ad alta resistività e (1.13 ± 0.16) KΩcm per quelli a bassa resistività. Dalla relazione (2.14) possiamo stimare la densità dei donatori Nd all’interno del substrato: Nd = 2-Vs eWs2 (3.2) con lo stesso significato dei simboli e dove e è la carica dell’elettrone. Otteniamo quindi (7.90 ± 1.5)·1011 cm−3 per il substrato ad alta resistività e (35 ± 4)·1011 cm−3 per quello a bassa. In fig.3.15 è mostrato l’andamento della capacità del substrato in funzione della frequenza del segnale del misuratore LCR: per basse frequenze si mantiene costante per poi diminuire intorno a 10 KHz. La fase misurata è ∼-90o per basse frequenze ed aumenta fino a -45o. La schematizzazione scelta per l’impedenza è stata allora un CR parallelo, la cui parte capacitiva a basse frequenze costituisce la capacità del substrato. La misura è 60 1 2 3 Figura 3.13: Con l’aumentare della tensione di polarizzazione le zone svuotate delle singole strisce si allargano in tutte le direzioni fino ad unirsi. Geometria Cristallo F4 <111> F5 <111> F4 <100> F5 <100> F6 <100> F7 <100> Cb−tot (pF) Cb−s (pF/cm) 1280 0.38 1195 0.414 1300 0.385 1255 0.434 1267 0.375 1070 0.74 ∆C (%) C 3 1.5 1.3 1.4 1.4 6 Tabella 3.1: Capacità del substrato totale Cb−tot e delle singole strisce Cb−s . Questi ultimi valori sono stati normalizzati in base alla lunghezza delle strisce. stata effettuata ad 1 KHz in condizioni di completo svuotamento del cristallo su tutti i rivelatori. I valori delle capacità riportati in tab.3.1 sono le medie con i relativi scarti quadratici medi delle misure effettuate per ogni tipologia di rivelatore. Con Cb−s è indicata la capacità del substrato di una singola striscia, normalizzata in base alla sua lunghezza media. Nel caso degli f4 con orientazione del cristallo <111> l’errore è maggiore rispetto agli altri, riflettendo la dispersione che si osserva anche nei valori della tensione di svuotamento in fig.3.14a). Ciò indicherebbe una maggiore disomogenità nello spessore del cristallo tra questi rivelatori. Un’analoga spiegazione può essere data nel caso degli f7. Dai valori ottenuti si osserva la dipendenza della capacità del substrato Cb−s dalla geometria: gli f4 e gli f6 sono infatti identici tra loro da questo punto di vista, come pure i due tipi di f5. I valori delle capacità per quest’ultimi risulta maggiore in quanto gli impianti sono più distanti tra loro. Questo andamento è confermato dagli f7 per i quali il passo è addirittura doppio rispetto agli f5, ed infatti la capacità risulta circa il doppio di quella degli f5. 61 (a) (b) Figura 3.14: Distribuzione delle tensioni di svuotamento per rivelatori con substrato a)ad alta resistività, b)a bassa resistività. 3.2.3 La capacità di disaccoppiamento dell’ossido L’ossido non strutturato tra gli impianti e le strisce in metallo è stato usato con lo scopo di evitare che le correnti di fuga si riversassero direttamente sui canali dell’elettronica di lettura. La capacità di disaccoppiamento Cac dovuta alla presenza del dielettrico si viene a trovare in serie all’entrata dell’amplificatore e da essa dipende l’efficienza di raccolta della carica rilasciata dal passaggio di una particella. Come verrà mostrato nel cap.5 questa e’ tanto maggiore quanto più la Cac è grande rispetto alla capacità totale che l’impianto vede verso massa attraverso il rivelatore. Gli strati di dielettrico sono due, uno di SiO2 cresciuto a contatto col substrato, l’altro di Si3 N4 depositato, in quanto riducono la probabilità di formazione di fori nell’ossido. Questi difetti sono stati individuati con l’apparato descritto in fig.3.16a), in cui il rivelatore è polarizzato direttamente con la tensione di 1 V. Questa polarizzazione è sufficiente a generare una corrente di striscia molto elevata. Contattando le punte della probe card con le piazzole in AC del rivelatore, viene misurata la corrente in uscita che in un rivelatore ideale dovrebbe essere nulla. Se la striscia in metallo è a diretto contatto con l’impianto a causa della presenza di un foro nell’ossido, la corrente misurata è molto elevata. La presenza di questi difetti nell’ossido viene quindi rivelata in maniera netta, come è possibile 62 Figura 3.15: Andamento della capacità di substrato totale per un rivelatore f5 con substrato a bassa resistività in funzione della frequenza del segnale del misuratore LCR. La misura è stata effettuata ad una tensione di polarizzazione che garantisse il completo svuotamento del substrato. osservare dalla fig.3.16b), in cui sono osservabili ben 13 strisce anomale. Un’indagine visiva della zona interessata rileva la presenza di alcuni graffi nell’ossido, fatti durante la fase di costruzione del rivelatore, prima della deposizione delle strisce di metallo, che quindi si sono trovate a contatto con l’ossido. La presenza di fori nell’ossido è comunque un fenomeno contenuto, in quanto su tutti gli f4 e f5 misurati è stata rilevata una tale difettosità minore dell’1%. Durante la misura riportata in fig.3.16b) è stato impostato un limite nella corrente erogabile dalle strisce di 100 µA. L’andamento periodico che si osserva nel livello della corrente è dovuto al rumore introdotto dalla matrice di interruttori e dalla probe card, come si deduce dalla misura riportata in grigio, effettuata alzando le punte dal rivelatore. La corrente misurata è quindi praticamente nulla tranne che nel caso delle strisce difettose che, in fase di costruzione dei moduli, non sono state connesse all’elettronica di lettura. In fig.3.17 è riportato lo schema di misura della capacità di disaccoppiamento. I terminali H e L del misuratore LCR sono posti a contatto rispettivamente con le piazzole in AC e DC di una striscia, cosicché risultano separati dall’ossido. In particolare la piazzola in DC contattata è quella dalla parte della resistenza in polisilicio, in modo da escluderla dalla misura, come già descritto nel caso della misura della capacità di una striscia verso il substrato. Per lo stesso motivo le piazzole in AC delle prime vicine sono state connesse 63 HP 4142B-MPSMU Generatore di tensione L H Keithley 7002 Matrice di interruttori Probe Card I Foro (a) (b) Figura 3.16: a) Apparato per la rivelazione di fori nell’ossido e b) il risultato della misura su un f5 ad alta resistività. In grigio la stessa misura effettuata senza il contatto tra le punte e il rivelatore, da cui deduciamo il rumore introdotto dall’apparato. alla massa di riferimento, come pure la calza del terminale L dell’LCR Meter. La tensione di polarizzazione a cui è stata effettuata la misura garantiva il completo svuotamento del cristallo; d’altra parte la capacità di disaccoppiamento non ha una forte dipendenza da essa, ed è sufficiente applicare una tensione di pochi Volt perché raggiunga un valore stabile. La schematizzazione dell’impedenza utilizzata è un CR serie. La motivazione di questa scelta sta nell’osservare che, come mostrato in fig.3.18, in ogni striscia sia l’impianto che il metallo possono essere schematizzati come una serie di resistenze collegate tra loro dalle capacità dovute all’ossido. Si viene quindi a formare una complessa rete il cui comportamento dipende dalla frequenza. Per basse frequenze Z= R 1 + 3 jwC (3.3) in cui R è la somma della resistenze della striscia di metallo e dell’impianto, mentre C è la capacità di disaccoppiamento. Ad alte frequenze invece la fase diviene 45o , per cui la parte reale e quella immaginaria dell’impedenza sono uguali: Z=√ R (1 − i) 2wCR 64 (3.4) HP 4284A Misuratore LCR H Keithley 237 Generatore di tensione L L H (a) (b) Figura 3.17: a)Apparato di misura della capacità di disaccoppiamento dell’ossido e b) il risultato della misura nel caso di un rivelatore f6. SiO2 + Si3N4 Piazzola in AC Piazzola in DC Metallo Anello di polarizzazione Impianto p+ Figura 3.18: Schematizzazione circuitale di una striscia di un rivelatore. con lo stesso significato dei simboli. La frequenza di riferimento in base alla quale viene distinta una zona di alta e una di bassa frequenza è quella data dalla costante di tempo (R/3)C [21]. Nel caso riportato in fig.3.17b) C = 255 pF, R = 605 KΩ da cui si ottiene una frequenza di taglio f 3.1 KHz. Il valore della capacità che deve essere introdotto nei calcoli relativi al rumore si può ricavare dalla relazione (3.3) in bassa frequenza [21]. In tab.3.2 sono riportati i valori misurati per i diversi rivelatori, suddivisi per tecnologia e geometria, della capacità di disaccoppiamento. Nella colonna di destra i valori sono stati normalizzati in base alla differente lunghezza delle strisce. La distribuzione del valore della capacità per le diverse strisce di uno stesso rivelatore è stata osservata con una misura riportata nel prossimo paragrafo e descritta in fig.3.19b). La misura ha permesso lo studio dell’andamento del valore della capacità di disaccoppia65 Geometria F4 F5 F4 F5 F6 F7 Cristallo <111> <111> <100> <100> <100> <100> Cac (pF) Cac (pF/cm) 220 33.3 185 32.8 255 38.6 220 39.0 255 38.6 4100 727 Tabella 3.2: Capacità di disaccoppiamento dell’ossido. mento dell’ossido che è risultato costante entro l’1% per tutte le strisce di uno stesso rivelatore (escludendo le strisce difettose). Inoltre è stata verificata la presenza dei fori nell’ossido poiché, in corrispondenza di essi, il valore della capacità aumenta di oltre 2 ordini di grandezza. Il risultato anomalo ottenuto nel caso degli f7 è da imputarsi ad un difetto di fabbricazione che ha determinato una cattiva qualità dell’ossido e del nitruro. Escludendo quindi il caso degli f7, osserviamo che il valore della capacità di disaccoppiamento dipende dall’orientazione del cristallo nel substrato. Questo fattore influenza infatti la crescita dell’ossido, come descritto nel par.2.3.2. Lo spessore dello strato di ossido formato su un substrato con orientazione del cristallo <100> risulta più sottile rispetto a quello cresciuto su un <111> di circa il 20%, e questo spiega perché le capacità di disaccoppiamento in quest’ultimo caso risultino più alte. Una stima della capacità di disaccoppiamento si ottiene assimilando una striscia ad un condensatore a facce piane e parallele riempito con due strati di dielettrico. L’espressione della capacità per unità di lunghezza che si ottiene è: C = -0 w( -1 -2 ) -1 d2 + -2 d1 (3.5) dove w è la larghezza dell’impianto pari a 25 µm per tutti i rivelatori tranne che per gli f7 in cui è il doppio, -1,2 sono le costanti dielettriche del SiO2 e del Si3 N4 , d1,2 sono gli spessori dell’ossido e del nitruro, rispettivamente 0.210 µm (substrato <111>) e 0.125 µm. Sostituendo questi valori per i rivelatori con la larghezza dell’impianto minore, otteniamo Cac ∼31 pF/cm, sostanzialmente in accordo con i dati sperimentali. Nel caso dei rivelatori con orientazione del cristallo <100> si ha Cac ∼36 pF/cm, anch’esso in accordo con le misure riportate in tab.3.2. 66 3.2.4 La misura delle resistenze Come descritto nei par.2.3.1 e 2.3.2, per mezzo delle resistenze in polisilicio, è sufficiente applicare la tensione di polarizzazione tra il contatto posteriore e l’anello più interno perché anche i singoli impianti si collochino praticamente alla stessa tensione di quest’ultimo. Il valore delle resistenze è il risultato di un compromesso tra un basso contributo al rumore sull’elettronica di lettura, e un salto in tensione contenuto tra l’anello di polarizzazione e gli impianti. Prima dell’introduzione delle resistenze in polisilicio, la stessa funzione veniva svolta da altri meccanismi. È stato però introdotto questa tecnologia per la sua maggiore resistenza ai danni provocati dalle radiazioni. L’uniformità del campo elettrico all’interno del rivelatore dipende da quella dei valori delle resistenze in polisilicio, per cui è importante studiarne l’andamento. In particolare la presenza di due strisce vicine collocate a diverse tensioni l’una rispetto all’altra, può provocare una ripartizione della carica rilasciata da una particella nel substrato diversa da quella che avremmo nel caso ideale in cui i valori delle resistenza sono tutte uguali. Keithley 237 Generatore di tensione H L HP 4142B Misuratore di resistenze L H HP 4142B Generatore di tensione H L HP 4248A Misuratore LCR H L Keithley 7002 Matrice di interruttori Probe Card (a) (b) Figura 3.19: a)Schema di misura delle resistenze di polarizzazione. b) Schema di misura dell’impedenza tra l’anello di polarizzazione e la piazzola in AC di ogni striscia. Con l’apparato descritto in fig.3.19a) sono state effettuate le misure delle resistenze di polisilicio per diversi gruppi di strisce, distribuiti su tutto il rivelatore. Le misure sono state ripetute per più rivelatori di una stessa tipologia. I risultati delle misure sono riassunti in tab.3.3 per tutte le tipologie. In essa vi sono riportati i valori medi delle resistenze misurate. Le variazioni intorno al valor medio, calcolate con lo scarto 67 quadratico medio, sono del 5% nel caso delle tecnologie 1 e 2, mentre raggiungono il 10% nel caso della tecnologia 3. (a) (b) Figura 3.20: a)Misura delle resistenze Rpi = Rpoli + 1/3 · Rimp per un f5 realizzato con la tecnologia 2, effettuata con l’apparato descritto in fig.3.19b). b)Distribuzione delle resistenze cosı̀ misurate a cui è stato sottratto il contributo dovuto a 1/3 · Rimp . La misura riporta quindi l’effettivo valore di Rpoli . Il grafico di sinistra si riferisce ai rivelatori realizzati con la tecnologia 1, mentre quello di destra alla 2. Con l’apparato descritto in fig.3.19b) è stato possibile studiare l’andamento del valore delle resistenze lungo tutto il rivelatore con una misura automatizzata. Per ogni striscia è stata misurata l’impedenza tra l’anello di polarizzazione e la piazzola in AC. Dal momento che il parallelo tra l’impianto p+ e la relativa metallizzazione si comporta come una linea di trasmissione resistiva (par.3.2.3), l’impedenza è stata schematizzata come un CR serie in cui la capacità è quella di disaccoppiamento dell’ossido, mentre la resistenza è Rpi = Rpoli + 1/3 · Rimp , trascurando quella del metallo. Il valore della resistenza dell’impianto è costante entro l’1% per tutte le strisce di un rivelatore ed è circa 600 KΩ, mentre quello della resistenza di polisilicio è circa 2 MΩ; l’andamento che si osserva nei valori misurati è dominato quindi dal valore di quest’ultime. Un tipico risultato di questa misura è riportato in fig.3.20a), nel caso di un f5 realizzato con la tecnologia 2. Si distinguono le resistenze relative alle strisce pari il cui valore decresce da 3 MΩ a 1.7 MΩ, dalle altre il cui valore oscilla intorno a 2.3 MΩ. Le resistenze in 68 polisilicio relative a questi due gruppi sono infatti collocate alle estremità opposte del rivelatore. Quello che si osserva quindi è una disomogenità nel valore delle resistenze di polarizzazione non solo dal lato destro al lato sinistro del rivelatore, ma anche da quello in alto a quello in basso. Un tale comportamento è dovuto ad una saturazione delle zone svuotate all’interfaccia dei grani di polisilicio non omogenea (par.2.3.2). In fig.3.20b) sono riportate le distribuzioni delle misure di Rpoli, effettuate con lo stesso apparato, per alcuni rivelatori realizzati con la tecnologia 1 (a sinistra) e con la 2 (a destra). Al valore di Rpi è stato sottratto il contributo dovuto ad un terzo della resistenza di impianto. Per quanto riguarda la distribuzione relativa agli f4 e f5 con substrato ad alta resistività, realizzati con la tecnologia 1, il valore medio della resistenza è risultato 1.7 MΩ, con uno scarto quadratico medio di 0.3 MΩ. Il valore ottenuto è consistente con quello misurato con l’apparato in fig.3.19 e riportato in tab.3.3. La distribuzione in grigio si riferisce ad uno dei rivelatori su cui sono state effettuate le misure. Questo presenta un gruppo di resistenze distribuite intorno ad un valore più basso della media, dovuto probabilmente ad un difetto nel processo di fabbricazione oppure nel substrato. Eliminando il contributo di questo rivelatore lo scarto quadratico medio diviene 0.2 MΩ. Nel caso degli f4 e f5 con substrato a bassa resistività, tecnologia 2, il valore medio ottenuto è 2.2 MΩ, con scarto quadratico medio è 0.2 MΩ, anch’esso consistente con la misura riportata in tab.3.3. Ne caso dei rivelatori f6 e f7, tecnologia 3, la distribuzione è risultata molto più allargata perché il valore medio su cui sono distribuite le resistenze di un unico rivelatore varia da un dispositivo ad un altro da ∼6 MΩ a ∼10 MΩ. Lo scarto quadratico medio per ognuno di essi è risultato di 1 MΩ. La media totale calcolata come per le tecnologie precedenti è risultata 8.5 MΩ, con scarto quadratico medio di 1.8 MΩ. Alla luce di questi risultati possiamo concludere che la misura delle resistenze in polisilicio per mezzo dell’apparato descritto in fig.3.19b) ha diversi vantaggi rispetto al metodo tradizionale di fig.3.19a). Dato l’accordo tra i valori delle resistenze ottenute con i due apparati possiamo considerare le due misure equivalenti. L’utilizzo della probe-card permette la misura di tutte le resistenze presenti su un rivelatore. Ciò consente di raggiungere una statistica ampia, oltre che mettere in luce difetti localizzati su un rivelatore (fig.3.20b)), oppure evidenziare particolari andamenti nel valore delle resistenze lungo il rivelatore (fig.3.20a)). Inoltre in un tempo relativamente breve è possibile effettuare queste misure su un campione di rivelatori molto più ampio, mettendo in luce possibili variazioni nel 69 Geometria Tecnologia F4/F5 1 F4/F5 2 F6 3 F7 3 Rpoli (MΩ) 1.76 2.17 6.3 6.3 Rimp (KΩ/cm) 89.5 88.3 91.3 31.9 Rmet (Ω/cm) 6.7 6.5 6.5 4.5 Tabella 3.3: I valori delle resistenze in polisilicio, di impianto e dei metalli per i diversi tipi di rivelatore. Quest’ultime sono state normalizzate per le differenti lunghezze delle strisce. valore delle resistenze da un dispositivo ad un altro, come nel caso degli f6 e f7. Questo apparato permette inoltre la misura della capacità di disaccoppiamento delle varie strisce, con gli stessi vantaggi descritti nel caso delle resistenze, oltre che l’individuazione dei fori nell’ossido. Sono state misurate le resistenze degli impianti e delle strisce di metallo per tutti i tipi di rivelatori con l’apparato mostrato in fig.3.21, in cui le linee tratteggiate si riferiscono alle seconde. I risultati sono riassunti nella tab.3.3, in cui al solito il valore delle resistenze è stato normalizzato in base alle lunghezze delle strisce per i rivelatori aventi diverse geometrie. HP 4145B Misuratore di resistenze H L Keithley 237 Generatore di tensione L H Figura 3.21: Apparato di misura per la resistenza dell’impianto. Le linee tratteggiate si riferiscono alla misura dalla resistenza della metallizzazione della striscia, per la quale non è necessaria la polarizzazione del rivelatore. Le misure sono state effettuate su gruppi di strisce distribuiti lungo un rivelatore, sono poi state ripetute per più rivelatori di uno stesso tipo. I valori riportati in tab.3.3 70 sono le medie delle misure delle resistenze calcolate in questo modo per ogni tecnologia di rivelatore. Per quanto riguarda le resistenze di impianto, le variazioni dal valor medio, calcolate dallo scarto quadratico medio, sono dell’ordine dello 0.5% per ogni tipologia di rivelatore. Si osservi che il basso valore della resistenza nel caso degli f7 rispetto agli altri rivelatori è legato al fatto che le strisce hanno una larghezza doppia. Nel caso delle resistenze della metallizzazione delle strisce lo scarto quadratico medio è risultato circa 1 Ω/cm per tutte le tecnologie dei rivelatori. 3.2.5 Le capacità tra le strisce Come verrà mostrato nel cap.5, il valore della capacità tra gli impianti di due strisce vicine interviene nel calcolo del rumore sull’elettronica di lettura, come pure quella tra le strisce di metallo, per cui queste grandezze sono state misurate per le diverse tipologie di rivelatore. Il loro valore è dell’ordine di qualche pF, quindi è necessario eliminare il contributo alla misura di qualsiasi impedenza parassita, che ne pregiudicherebbe il risultato. HP 4284A Misuratore LCR H L Keithley 237 Generatore di tensione H L Keithley 237 Generatore di tensione L H Cimp Cmet (a) HP 4284A Misuratore LCR L H Cimp (b) Figura 3.22: Apparato di misura a)per la capacità tra gli impianti e b)per il parallelo tra la capacità tra i metalli e quella tra gli impianti. Le linee tratteggiate si riferiscono invece alla misura della capacità totale tra due strisce in metallo adiacenti, la cosı̀ detta Cmetmet . In fig.3.22a) è riportato lo schema di misura della capacità tra gli impianti Cimp di due strisce adiacenti. I terminali del misuratore LCR sono posti sulle piazzole in DC ai capi della Cimp che deve essere misurata. La piazzola in AC della striscia relativa al terminale 71 L deve essere posta a massa in quanto, per la proprietà dello strumento di escludere dalla misura tutte le impedenze collocate tra questo terminale e la massa, il contributo delle capacità come quella di disaccoppiamento oppure quella tra i metalli viene cancellato. Per lo stesso motivo devono essere contattate le piazzole in DC dalla parte delle resistenze in polisilicio. (a) (b) Figura 3.23: a)Andamento della capacità tra gli impianti in funzione della tensione di polarizzazione nel caso di un f5 con substrato a bassa resistività. b)Andamento in funzione della frequenza della capacità tra gli impianti Cimp misurata con l’apparato in fig.3.22a) e del parallelo tra questa e quella tra i metalli misurato con entrambi gli apparati riportati in fig.3.22b). Per la misura della capacità tra gli impianti l’impedenza è stata schematizzata come un CR serie, in quanto gli impianti possono essere trattati analogamente al caso della fig.3.18. In fig.3.23a) si osserva l’andamento della capacità in funzione della tensione di polarizzazione nel caso di un f5 con substrato a bassa resistività. Essa cresce fino al completo svuotamento del substrato, dopo di che rimane costante. In fig.3.23b) è riportato l’andamento di questa capacità in funzione della frequenza, nel caso di un f5 con substrato ad alta resistività. Il valore della capacità tra le strisce di metallo è troppo piccolo perché possa essere misurato direttamente con l’LCR Meter. Viene allora ricavato dalla misura del parallelo 72 Piazzola in AC Cmet Cac Cimp Piazzola in DC Figura 3.24: Schematizzazione delle capacità la cui impedenza totale è misurata dalle misure riportate in fig.3.23b) Geometria F4 F5 F4 F5 F6 Cristallo <111> <111> <100> <100> <100> Cimp (pF) Cimp (pF/cm) 1.50 0.227 1.16 0.206 1.47 0.223 1.17 0.207 1.52 0.230 Cmet (pF) 0.53 0.42 0.53 0.42 0.50 Cmet (pF/cm) 0.080 0.074 0.080 0.074 0.077 Tabella 3.4: Capacità tra le strisce per diverse tipologie di rivelatore. descritto in fig.3.24, la cui impedenza è misurata con l’apparato riportato in fig.3.22b). Oltre a contattare, come al solito, le piazzole in DC dalla parte delle resistenze in polisilicio, è importante porre a massa le piazzole in AC delle strisce prime vicine. Cosı̀ facendo viene eliminato dalla misura il contributo dovuto alle capacità verso queste strisce. Indicando con Cmis la capacità misurata, il valore della capacità tra i metalli si ricava dalla relazione: Cmet = Cmis − Cimp 1 − 2( Cmis −Cimp ) Cac (3.6) che si riduce alla differenza Cmis − Cimp dal momento che Cac (Cmis − Cimp ). Per quanto detto, dalla fig.3.23b) otteniamo un valore della capacità tra le strisce di metallo di Cmet = 0.44 pF ad una frequenza di 1 KHz. Le misure effettuate nel caso degli f4 ad alta resistività e degli f6 sono risultate uguali entro gli errori sperimentali, quindi è stato assunto che Cmet dipenda unicamente dalla geometria. Le misure di Cmet non sono quindi state effettuate nel caso degli f4 e f5 con substrato a bassa resistività. In tab.3.4 sono riportati i valori delle capacità tra gli impianti e quelle tra i metalli per diverse tipologie di rivelatore. Questi sono stati stimati da una media tra le misure effettuate su più rivelatori di uno stesso tipo. Nel caso delle prime, le variazioni nei valori osservate sono dell’ordine del 3% sia per le misure effettuate tra diverse coppie di strisce 73 dislocate su uno stesso rivelatore, che per quelle effettuate su differenti rivelatori. Inoltre anche dalla misura riportata in fig.3.23b) si osserva come le oscillazioni del valore della capacità, una volta raggiunto lo svuotamento, siano di questo ordine. Dalla tabella si osserva come la capacità interstrip di un rivelatore dipenda unicamente dalla sua geometria e sia indipendente dalla resistività del substrato oppure dall’orientazione del cristallo. I valori di queste capacità, normalizzati per la diversa lunghezza delle strisce, sono infatti uguali entro gli errori per rivelatori aventi la stessa geometria, e diminuiscono con l’aumentare della distanza tra le strisce. Per quanto riguarda la capacità tra le strisce di metallo, l’errore sulla sua misura è dell’ordine del 10%, essendo la differenza tra due quantità piccole. Non è possibile stabilire quindi relazioni con la geometria del rivelatore, in quanto tutti i valori ottenuti sono compatibili l’uno con l’altro. Nella fig.3.23b) è riportata anche la misura della cosı̀ detta Cmetmet , il cui schema è riportato in fig.3.22b) in linee tratteggiate. I terminali del misuratore LCR contattano le piazzole in AC di due strisce adiacenti, mentre quelle delle prime vicine sono a massa. In questo modo viene misurata nuovamente l’impedenza rappresentata in fig.3.24; dalla misura riportata in figura risulta che il suo valore in alta frequenza è costante e coincide con quello della misura della Cmet+imp in bassa frequenza. 74 Capitolo 4 Misure su rivelatori irraggiati I rivelatori a microstrisce di silicio che opereranno ad LHC saranno esposti ad elevati livelli di radiazione. Si calcola che in 10 anni di funzionamento i dispositivi più vicini al punto di interazione nell’esperimento CMS riceveranno una fluenza totale equivalente a circa 1.6·1014 neutroni/cm2 in neutroni da 1 MeV1 . I danni maggiori saranno provocati dalle particelle prodotte nelle collisioni tra i protoni e dai neutroni riflessi dal calorimetro elettromagnetico che circonda il sistema tracciante. I conseguenti danni al cristallo e alla superficie dei rivelatori determineranno un cambiamento dei parametri elettrici discussi nel par.3.2. È importante sapere quali saranno le prestazioni dei rivelatori in seguito all’esposizione a cosı̀ alti livelli di radiazione per una corretta valutazione degli eventi osservati e una ricerca delle condizioni operative ottimali. I cambiamenti che si osservano a livello macroscopico si manifestano principalmente in un aumento della corrente di fuga e in una variazione nella tensione di svuotamento. Perché i rivelatori operino sempre nelle condizione di massima efficienza in termini di raccolta di carica, e quindi di rapporto segnale/rumore, è importante che il substrato sia completamente svuotato e che le correnti di fuga non siano troppo alte da coprire il segnale dovuto al passaggio di una particella. La temperatura e la tensione di polarizzazione utilizzate saranno allora tali da garantire queste condizioni. Alcuni dei rivelatori caratterizzati in questo lavoro sono stati esposti ad un flusso di neutroni presso il ciclotrone della Catholic University di Louvain-la-Neuve (Belgio). Dopo l’esposizione sono state effettuate nuovamente le misure delle grandezze più significative, per una valutazione dei danni e dei cambiamenti nei parametri elettrici. La scelta di neutroni come particelle con cui irraggiare i rivelatori è dovuta al fatto che essi costituiranno la principale fonte di radiazione e sicuramente la più dannosa nella zona di operazione dei rivelatori a microstrisce di silicio. 1 Grandezza con cui si esprime la dose assorbita. Vedi par.4.1.2. 75 Durante il periodo dell’irraggiamento i rivelatori non sono stati polarizzati, in quanto l’azione di un neutrone su un cristallo non è influenzata dal campo elettrico al suo interno. 4.1 Danneggiamento da radiazione ai rivelatori a microstrisce di silicio 4.1.1 Effetti del danneggiamento in superficie e nel substrato I danni provocati dalle radiazioni sui rivelatori a microstrisce di silicio si dividono in due categorie: quelli di superficie e quelli nel substrato. I primi consistono principalmente nella formazione di livelli energetici profondi all’interfaccia ossido-silicio, dove si ha un accumulo di carica positiva fissa e la conseguente formazione di uno strato di elettroni al di sotto dell’ossido. La capacità tra gli impianti è il parametro che più risente di questi tipi di danni. Come verrà mostrato nel par.4.3.5, il suo comportamento in funzione della tensione di polarizzazione subisce un cambiamento radicale in seguito all’irraggiamento. Quando le particelle incidenti urtano con un atomo del reticolo cristallino (detto PKA, primary knock-on atom), il trasferimento di energia cinetica è tale che quest’ultimo può essere rimosso dalla sua posizione. L’energia di soglia perché ciò avvenga è circa 25 eV, ben al di sotto della comune energia delle particelle incidenti. Il legame covalente che esso formava con gli altri atomi non è più saturato e quindi si forma una lacuna. Quindi questo tipo di difetto si comporta come un accettore. L’atomo rimosso assume poi una posizione irregolare rispetto al reticolo cristallino e il suo elettrone di valenza può essere promosso alla banda di conduzione, per cui in questo caso si ha la formazione di un’impurità del tipo donatore. I difetti introducono quindi dei livelli di energia all’interno della banda proibita del cristallo di silicio, e possono essere più o meno profondi a seconda della loro posizione all’interno di essa. Data l’alta energia delle particelle iniziali, gli atomi urtati e rimossi dal proprio sito hanno un’energia cinetica sufficiente per spostare a loro volta nuovi atomi incontrati lungo il cammino. Questi sono estremamente mobili a temperatura ambiente per cui si ricombinano velocemente. Altrimenti possono muoversi verso la superficie o formare agglomerati di difetti stabili nel tempo. Gran parte dell’energia dei PKA viene comunque persa sotto forma di ionizzazione, cosicché soltanto una frazione di quella iniziale contribuisce all’effettivo spostamento degli 76 atomi. Le interazioni di tipo non ionizzante prevalgono invece al momento in cui un atomo si arresta e in quel punto si viene a formare un denso agglomerato di difetti. Al suo interno questi possono essere sia di tipo accettore che donatore e la maggior parte di essi va incontro ad una ricombinazione. Nel caso in cui ciò non accada si verifica lo spostamento dei difetti in superficie, oppure la formazione di complessi stabili. La conseguenza più diretta della formazione di questi difetti è la variazione della concentrazione degli elementi droganti all’interno del cristallo. Gli studi condotti su dispositivi irraggiati [22] [23] mostrano come i danni provocati dai neutroni siano i peggiori per i rivelatori a microstrisce di silicio e ciò è alla base della scelta di un irraggiamento di questo tipo per i rivelatori di cui disponevamo. Figura 4.1: Andamento delle correnti di fuga per unità di volume in funzione della fluenza ricevuto per rivelatori diversi per tipo di substrato e tecnologia [24]. Uno degli effetti più evidenti del danno provocato dalle radiazioni in un dispositivo al silicio è l’aumento della corrente di fuga I, dovuto alla creazione di difetti che favoriscono la creazione di coppie elettrone-lacuna. È stato verificato che tale incremento è proporzionale alla fluenza secondo la relazione [24]: ∆I = αφ V olume (4.1) in cui φ è la fluenza equivalente in neutroni da 1 MeV e α è la cosı̀ detta costante di danneggiamento. La corrente di fuga di un rivelatore non irraggiato, per una tensione di polarizzazione di 500 V, è dell’ordine di 1 µA a temperatura ambiente, quindi scenderebbe 77 di circa un ordine di grandezza per T = −10o C, in base alla relazione [25]: 2 1 T2 Eg 1 (4.2) · exp − − I(T1 ) = I(T2 ) · T1 2K T2 T1 dove Eg = 1.12 eV e K è la costante di Boltzmann. Dal momento che la corrente di fuga Ii per un rivelatore irraggiato è maggiore di 0.1 mA, come sarà mostrato nel par.4.3.1, possiamo assumere che ∆I Ii . In fig.4.1 è mostrata la corrente di fuga per unità di volume in funzione della fluenza equivalente ricevuta per alcuni rivelatori diversi per tipo di substrato e tecnologia [24]. La costante di danneggiamento α risulta indipendente da questi fattori. 4.1.2 La dose assorbita in fluenza equivalente di neutroni da 1 MeV Come mostrato nel paragrafo precedente, i danni da radiazione prodotti sui rivelatori di silicio consistono nel trasferimento di energia non ionizzante delle particelle incidenti agli atomi del reticolo cristallino. Gli effetti di questi danni dipendono dal tipo di particelle incidenti e dalla loro energia. Ciò impedisce però il confronto tra i danni prodotti con differenti tipi di irraggiamento. Per questo si è soliti esprimere la dose assorbita in termini di fluenza equivalente in neutroni da 1 MeV, cioè in termini della fluenza di neutroni aventi 1 MeV di energia che avrebbe prodotto lo stesso danno. Il suo calcolo si basa sull’ipotesi dell’equivalenza della perdita di energia non ionizzante (NIEL scaling) [26]. Alla base di questa ipotesi c’è l’assunzione che i danni provocati nel reticolo dalle particelle incidenti dipendono unicamente dalla loro energia persa al momento della collisione, e non dalla distribuzione spaziale dei difetti introdotti o dalla temperatura a cui è stato posto il rivelatore successivamente all’irraggiamento. Indichiamo con ER l’energia acquistata da un atomo del reticolo in seguito alla collisione con una particella incidente di energia E. La frazione di ER che viene depositata sotto forma di dislocazione di altri atomi del reticolo dipende da ER stessa, in base alla funzione di partizione di Lindhard P (ER ) [26]. Con essa è possibile calcolare la perdita di energia non ionizzante di una particella incidente, che si esprime attraverso la sezione d’urto di danneggiamento D(E): σk (E) dER fk (E, ER )P (ER ) D(E) = (4.3) k dove σk (E) è la sezione d’urto di ogni singola interazione k non ionizzante della particella incidente nel reticolo, fk (E, ER ) è la distribuzione energetica degli atomi dislocati, aventi energia ER . 78 Figura 4.2: Andamento della funzione di danneggiamento D(E) normalizzata a 95MeVmb nel caso di neutroni, elettroni e pioni incidenti su un cristallo di silicio con la loro energia [26]. La funzione D(E) dipende dal tipo di particella incidente e dal materiale sui cui atomi va a collidere. In fig.4.2 è rappresentata questa funzione nel caso dei neutroni, degli elettroni e dei pioni che incidono su un cristallo di silicio. La sezione d’urto di danneggiamento si trova tabulata per diversi materiali in funzione delle energie delle particelle incidenti. Per una generica fluenza φ, indicando φ1eqMeV la relativa fluenza equivalente in neutroni da 1 MeV, si ha: φ1eq MeV = kφ = k φ(E)dE (4.4) dove φ(E) è la distribuzione energetica della fluenza. Il fattore k è indice dell’entità dell’irraggiamento ed è definito come: 1 · k= D(En = 1 MeV) D(E)φ(E)dE φ(E)dE (4.5) In accordo con gli standard della ASTM (American Society for Testing and Materials), la sezione d’urto di danneggiamento per neutroni da 1 MeV è assunta 95 mb. 4.1.3 Il modello di Amburgo per la concentrazione efficace dei droganti In questi ultimi anni sono stati condotti numerosi studi sulla concentrazione efficace dei droganti all’interno dei cristalli di silicio sottoposti a radiazione, ed in particolare ne è stata cercata la dipendenza dalla dose assorbita, dalla temperatura e dal tempo. 79 Non esiste comunque un modello definitivo che descriva il comportamento dei rivelatori irraggiati e delle proprie caratteristiche. Quello a cui si fa riferimento in questo paragrafo è il cosı̀ detto Hamburg Model [24] [27], che fino ad ora è risultato in accordo con la maggior parte dei risultati sperimentali. In base a questo modello, la variazione nella concentrazione di droganti in un rivelatore, in seguito ad un irraggiamento, può essere identificata in tre contributi principali: ∆Nef f = Nef f,0 − Nef f = Nc (φ) + Na (φ, t, T ) + NY (φ, t, T ) (4.6) in cui Nef f,0 e Nef f sono le concentrazioni effettive di droganti rispettivamente prima e dopo l’irraggiamento, φ è la fluenza dell’irraggiamento, t il tempo trascorso da esso, T la temperatura assoluta del silicio durante il periodo di studio. inversione di tipo tipo p tipo n Figura 4.3: Variazione della concentrazione efficace di droganti dovuta al termine Nc in funzione della fluenza dell’irraggiamento. È riportato anche il fit relativo all’eq.(4.7) [24]. Il primo termine Nc rappresenta il contributo dovuto ai difetti che rimangono stabili nel tempo. Di questi, quelli del tipo donatore diminuiscono esponenzialmente con la fluenza, mentre quelli del tipo accettore aumentano linearmente con essa: Nc (φ) = Nc,0 (1 − exp(−cφ)) + gc φ (4.7) Nc,0 può essere interpretato come il numero di donatori presenti inizialmente nel cristallo e che possono essere rimossi, mentre c e gc sono i parametri che indicano rispettivamente la rimozione dei donatori e la creazione di accettori. 80 In fig.4.3 sono riportate le misure delle concentrazioni efficaci di droganti, effettuate su rivelatori irraggiati con neutroni ed elettroni in funzione della fluenza utilizzata. Le linee rappresentano i fit sui dati sperimentali con l’eq.(4.7), che quindi mostra un buon accordo. Dalla figura si osserva come la concentrazione di droganti diminuisca con l’aumentare della fluenza dell’irraggiamento fino a che il silicio diviene di tipo intrinseco, dopo di che, con l’aumentare dei difetti di tipo accettore, si ha l’inversione del tipo di materiale da n a p. La principale conseguenza di questo fenomeno è lo spostamento della giunzione dalla parte del contatto posteriore n+ , mentre il contatto ohmico è fatto ora dalle strisce p+ . Quindi la zona svuotata si origina in prossimità del contatto n+ , e si estende, con l’aumentare della tensione di polarizzazione, verso gli impianti p+ . I rivelatori verranno fatti operare fin dall’inizio dell’esperimento ad una tensione di polarizzazione tale che garantisca sempre il completo svuotamento del cristallo, anche in seguito al pesante irraggiamento previsto. Il secondo termine della (4.6) descrive la ricombinazione dei difetti di tipo accettore creati durante l’irraggiamento, da qui il nome di annealing benefico. Per t = 0 esprime il numero di difetti di questo tipo creati durante l’irraggiamento e dipende linearmente dalla fluenza assorbita. Decade esponenzialmente in funzione del tempo con una costante di tempo che può variare da circa 2 giorni per T = 20o C, a 250 giorni per T = −10o C. L’ultimo termine dell’eq.(4.6) descrive il cosı̀ detto reverse annealing ed ha un comportamento opposto al termine prima discusso. Per t=0 è nullo, per crescere successivamente fino a saturare ad un valore NY,∞ proporzionale anch’esso alla fluenza. La costante di tempo dipende dalla temperatura e ha un valore di circa 2 anni a temperatura ambiente. A causa di questo fenomeno i rivelatori sono stati mantenuti ad una temperatura al di sotto di 0o C una volta irraggiati. In fig.4.4 è mostrato il caso di alcuni rivelatori irraggiati con una fluenza di 1.4·1013 n/cm2 e mantenuti in seguito ad una temperatura di 60o C. Sono riportate le misure di ∆Nef f nel tempo, ed è stato evidenziato il contributo di ogni termine. Si osserva un minimo nella variazione della concentrazione efficace di droganti, dopo circa 80 minuti. A questa concentrazione corrisponde anche un minimo nella corrente di fuga di un qualunque dispositivo indipendentemente dalla dose assorbita, purché sottoposto ad un annealing di 80 minuti a 60o C. Per questo motivo molti articoli fanno riferimento a questa particolare condizione per il calcolo, ad esempio, della fluenza di radiazione a cui è stato sottoposto. 81 Figura 4.4: Andamento della concentrazione ∆Nef f in funzione del tempo trascorso dall’irraggiamento, per una temperatura di 60o C per un campione di rivelatori irraggiati con una fluenza di 1.4·1013 n/cm2 [24]. 4.2 Irraggiamento dei rivelatori a microstrisce di silicio Durante il mio lavoro di tesi ho partecipato all’irraggiamento presso il ciclotrone della Catholic University di Louvain-la-Neuve (Belgio) di alcuni dei rivelatori studiati, insieme ad altre strutture di controllo, come i diodi che sono serviti per la dosimetria. La fluenza nominale scelta per l’irraggiamento è stata 1.6·1014 n/cm2 , che equivale ad una fluenza equivalente in neutroni da 1 MeV di ∼1·1014 n/cm2 , come verrà calcolato nel par.4.2.2. Questa garantisce l’inversione del tipo di substrato da n ad p, come sarà mostrato nel par.4.3. 4.2.1 Irraggiamento al ciclotrone della Catholic University di Louvain-la-Neuve Il Ciclotrone installato presso la Catholic University di Louvain-la-Neuve è capace di accelerare protoni, particelle α e ioni pesanti con diverse energie. La linea utilizzata per l’irraggiamento dei rivelatori a microstrisce di silicio è quella che produce un alto flusso di neutroni veloci, in cui un fascio primario di deuterio da 50 MeV incide su un bersaglio di berillio spesso 1 cm e produce neutroni attraverso la reazione 9 Be(d,n)X. Un schematizzazione semplificata della parte finale della linea utilizzata è mostrata in fig.4.5. Il fascio di deuterio è stato centrato e focalizzato agendo sui quadrupoli presenti nella linea principale e in quella secondaria. La sua immagine è fornita da una telecamera che 82 Misuratore di corrente Integratore di corrente Fascio di deuterio 40 cm 1 cm 2 cm Fascio di neutroni Collimatore 1 cm 2 cm Filtro Rivelatori Bersaglio di berillio Figura 4.5: Schema della parte finale della linea utilizzata per l’irraggiamento dei rivelatori presso il ciclotrone della Catholic University di Louvain-la-Neuve. inquadra un quarzo su cui esso va ad incidere. Una volta compiuta questa operazione sia la telecamera che il quarzo sono rimossi, per cui l’unico sistema di monitoraggio possibile è la misura della corrente su un collimatore dal diametro di 2 cm posto in prossimità del bersaglio di berillio. In realtà la corrente su di esso è dovuta principalmente agli elettroni riflessi dal bersaglio. La corrente su quest’ultimo viene invece soltanto integrata ed è stata regolata su un valore di 10 µA, limite imposto dalla resistenza al calore del bersaglio, dotato comunque di un sistema di raffreddamento. È poi monitorato il rapporto tra le correnti del fascio di deuterio sulla linea principale e su quella secondaria, in quanto uno spostamento significativo da 1 di questo valore implicherebbe una dispersione del fascio. Oltre ai neutroni, nella reazione 9 Be(d,n)X sono prodotte altre particelle fermate da un filtro. Questo è costituito da uno spessore di 1 cm di polistirene, un foglio di cadmio e uno di piombo entrambi di 1 mm. Le misure effettuate sulla contaminazione del fascio hanno dimostrato che il filtro è capace di ridurre a livelli trascurabili il numero di particelle estranee presenti in esso e di neutroni termici, ma non è altrettanto efficace nel caso dei raggi gamma, la cui frazione è ridotta a circa il 10% del totale. I neutroni prodotti hanno un’energia media di circa 20 MeV. La distanza a cui sono stati posti i rivelatori rispetto alla sorgente è stata determinata in base alle dimensioni della superficie che doveva essere irraggiata. Indicando con d il diametro della sezione del fascio al cui interno il flusso risulta sufficientemente omogeneo, e con x la relativa distanza dalla sorgente del fascio, si ha d = x4 + 2 per x ≤ 70 cm, dove le grandezze sono espresse in centimetri. La relazione è il risultato di un fit sui dati relativi 83 ad apposite misure di calibrazione. Date le dimensioni dei rivelatori, è stato richiesto un irraggiamento omogeneo su un cerchio di diametro d = 12 cm, per cui i rivelatori sono stati posti ad una distanza dalla sorgente di x = 40 cm. Il calcolo della durata della seduta di irraggiamento è basato su una misura del flusso effettuata in passato, con la stessa corrente del fascio di deuterio e una distanza di 9 cm tra la sorgente e i dispositivi da irraggiare [28]. È stato misurato che φ9cm = 7.3·1010 n/cm2 s, quindi φ40cm = 9.2·109 n/cm2 s dal momento che il flusso è inversamente proporzionale all’area della sezione del fascio. Il contenitore di cartone al cui interno sono stati posti i rivelatori e le diverse strutture di controllo ha uno spessore di 1 cm. Quindi si assume che i rivelatori siano stati irraggiati con lo stesso flusso con un’incertezza inferiore al 4%. D’altra parte questi valori sono del tutto indicativi, in quanto il flusso è stato misurato a posteriori, come verrà mostrato nel prossimo paragrafo. L’irraggiamento è durato circa 6 ore. Una volta terminato è stata misurata una corrente integrata di 0.206 C, per cui il flusso integrato con cui sono stati irraggiati i rivelatori è circa 1.9·1014 n/cm2 . 4.2.2 Calcolo della fluenza equivalente in neutroni da 1 MeV Sono stati irraggiati 6 rivelatori, uno per ogni tipologia disponibile, insieme a 10 delle lunette laterali dei cristalli di silicio che vengono rimosse al momento del taglio, anch’esse appartenenti a diverse tipologie di sensore. Su queste vi sono varie strutture, tra cui di particolare utilità sono i diodi, utilizzati per la dosimetria. Inoltre è stato irraggiato anche un rivelatore appartenente ad un lotto per il quale era già stata misurata la costante di danneggiamento α, che è servito anch’esso per la dosimetria. In questo modo è stato possibile stimare la fluenza equivalente in neutroni da 1 MeV con due metodi indipendenti. Dalla relazione (4.1) si osserva che la variazione della corrente di fuga in un dispositivo irraggiato risulta essere proporzionale alla fluenza equivalente in neutroni da 1 MeV ricevuta. La costante di danneggiamento α a temperatura ambiente per dispositivi al silicio che siano stati sottoposti ad un annealing di 80 minuti a 60o C è α = 4.0·10−17 A/cm, misurata con una precisione del 5% [24]. Questa è indipendente dal tipo di tecnologia e substrato utilizzati, quindi è la stessa per tutti i tipi di diodi irraggiati. La corrente dei diodi è stata misurata con l’apparato descritto in fig.4.6a). La tensione 84 Keithley 237 Generatore di tensione H L Keithley 480 Picoamperometro L H (a) (b) Figura 4.6: a)Schema di misura della corrente di fuga dei diodo e b) relativo risultato. Con i cerchi è riportata la misura della corrente di fuga totale del diodo, mentre le altre si riferiscono a quella erogata dalla sola piazzola centrale. Da quest’ultime si osserva la diminuzione di corrente conseguente all’annealing. Queste misure sono state effettuate su un diodo con substrato ad alta resistività. di polarizzazione viene applicata tra l’anello di polarizzazione e il lato ohmico, mentre un picoamperometro misura la corrente in uscita dalla piazzola del diodo. La relazione (4.1) dipende dal volume del dispositivo del quale viene misurata la corrente di fuga, per cui è importante che esso sia ben definito. Nella figura il volume interessato è delimitato da linee tratteggiate. Nel par.3.2.1 è stato mostrato come la corrente di fuga di un cristallo intero sia più alta rispetto a quella misurata in seguito al taglio. Ciò dipende dal fatto che la corrente nel primo caso è raccolta da un volume maggiore rispetto a quello occupato dal solo rivelatore. La stessa situazione si presenta nel caso dei diodi, che occupano soltanto una minima parte del volume delle lunette su cui alloggiano. Connettendo a massa sia la piazzola che l’anello di polarizzazione del diodo, il contributo alla corrente dovuto al volume esterno ad esso viene raccolto dallo strumento connesso all’anello, quindi il picoamperometro misura la corrente generata nel solo volume del diodo. In fig.4.6b) i cerchi indicano la misura della corrente totale raccolta dal diodo in funzione della tensione di polarizzazione, da confrontare con quella rappresentata dai quadrati, che riporta il contributo dovuto al volume interessato. Queste due curve si riferiscono alle correnti del diodo precedentemente all’annealing di 80 minuti a 60o C, effettuato con un forno 85 presente in camera pulita. La misura eseguita in seguito è riportata con dei triangoli e, come previsto dalla teoria riportata nel par.4.1.3, la corrente è diminuita. I diodi su cui sono state effettuate le misure presentano la stessa forma e le stesse dimensioni, ma il numero e le larghezze degli anelli esterni a quello di polarizzazione variano. Per quanto detto in precedenza, il volume da cui la carica è raccolta è comunque quello determinato dalle dimensione della struttura centrale. La forma del diodo è un quadrato di lato (1.199 ± 0.003) mm, in cui il valore è il risultato di una media con scarto massimo delle misure effettuate con la stazione di misura su diversa strutture. L’impianto dell’anello di polarizzazione è collocato ad una distanza media di 0.023 mm da quello della piazzola. Il volume effettivo dal quale si assume che venga erogata la corrente di fuga del diodo è (0.440 ± 0.002) mm3 . Figura 4.7: Misure delle correnti dei diodi dopo l’annealing. Le misure delle correnti sono state effettuate ad una temperatura di -10o C su 5 diodi appartenenti a 4 differenti lunette. Come valore della corrente di fuga è stato considerato quello a 500 V di polarizzazione. Poiché la costante di danneggiamento si riferisce ad una temperatura di 20o C, sono state calcolate le relative correnti dall’equazione (4.2). Dalla relazione (4.1) si ottiene una fluenza equivalente in neutroni da 1 MeV di (0.96 ± 0.12)·1014 n/cm2 , risultato di una media con scarto massimo sui valori ottenuti dalle singole misure. Il motivo di un errore del 13% rispetto al 5% con cui era stata 86 misurata α è da ricercarsi nel fatto che l’irraggiamento non è risultato omogeneo, e quindi il valore riportato è in realtà una fluenza media. Durante l’irraggiamento i diodi sono stati disposti a differenti raggi dal centro ideale del fascio di neutroni e su piani aventi diverse distanze dalla sorgente. Confrontando la misura della fluenza di due diodi alloggiati sulla stessa lunetta, e quindi posti sullo stesso piano, ma alle sue estremità opposte, si osserva una variazione nella fluenza del 10%. Di questi diodi uno assumeva una posizione centrale rispetto al fascio, mentre l’altro era collocato ad una distanza di circa 2.5 cm da questo. Le misure effettuate sugli altri diodi confermano una variazione radiale del flusso di questo tipo, come è mostrato in fig.4.7: per un irraggiamento uniforme ci aspetteremmo lo stesso livello di corrente, mentre sono distinguibili tre diverse zone, relative a tre diverse posizioni radiali dei diodi. È stato irraggiato anche un rivelatore appartenente ad un vecchio lotto in cui alcuni cristalli erano stati irraggiati con neutroni. Per questi era stata calcolata la fluenza equivalente ricevuta [21]. Dalla relazione (4.1) si osserva come la corrente di fuga sia proporzionale alla fluenza, purché la costante di danneggiamento e il volume dei dispositivi siano gli stessi. Per quanto riguarda quest’ultimo, se si confrontano due rivelatori appartenenti allo stesso lotto, necessariamente deve essere uguale. La costante α dipende invece dal trattamento che hanno subito i rivelatori in seguito all’irraggiamento. In passato i rivelatori irraggiati sono stati mantenuti ad una temperatura di almeno 0o C, affinché la variazione della concentrazione efficace di droganti fosse trascurabile nel ristretto arco di tempo intercorso tra l’irraggiamento e la misura delle correnti. Lo stesso trattamento è stato adottato per l’ultimo rivelatore irraggiato. In fig.4.8 è riportata la caratteristica IV dei rivelatori per i quali è stato fatto il confronto, ad una temperatura di -10o C. La fluenza equivalente del rivelatore irraggiato in passato è di 0.97·1014 n/cm2 , stimata con un errore del 15%. Questo rivelatore è indicato in figura con dei quadrati. La sua corrente di fuga per 250 V di polarizzazione è di 0.198 mA, mentre quello di cui si vuol conoscere la dose, indicato coi triangoli, per la stessa tensione presenta una corrente di 0.270 mA. La fluenza equivalente con cui risulta irraggiato è dunque (1.3 ± 0.2)·1014 n/cm2 . 4.3 Risultati delle misure sui rivelatori irraggiati Come detto più volte, i rivelatori irraggiati presentano un’alta corrente di fuga che non permette di effettuarvi delle misure a temperatura ambiente. Con un limite di 1 mA nella 87 Figura 4.8: Misura delle correnti dei rivelatori appartenenti allo stesso lotto. Di quello indicato con i quadrati si conosce la fluenza equivalente in neutroni da 1 MeV ricevuta. corrente di fuga, infatti, non è possibile raggiungere neppure la tensione necessaria al suo svuotamento. Inoltre è opportuno mantenere i rivelatori irraggiati ad una temperatura inferiore a 0o C, per evitare un rapido aumento della concentrazione di difetti nel cristallo, come mostrato nel par.4.1.3. Le misure sono state effettuate in una camera climatica con l’apparato descritto nel par.3.1.6. Questo è risultato estremamente critico per le misure di piccole capacità come quelle tra le strisce per cui sono stati semplificati al massimo gli schemi circuitali. Inoltre non tutte le misure descritte precedentemente possono essere realizzate sui rivelatori irraggiati, per esempio la probe card può essere utilizzata soltanto all’interno della stazione di misura. È stata fatta quindi una scelta di quelle più significative che permettessero comunque una caratterizzazione completa dei dispositivi in seguito all’irraggiamento. La temperatura a cui sono state effettuate le misure è -10oC, se non specificato altrimenti. 4.3.1 La caratteristica tensione-corrente Le correnti di fuga dei rivelatori sono state misurate con un apparato analogo a quello riportato in fig.3.3a). Il valore della corrente per una temperatura di -10oC risulta circa 0.3 mA per una tensione di polarizzazione di 500 V per tutte le tipologie di rivelatori. 88 (a) (b) Figura 4.9: a)Caratteristica IV per varie tipologie di rivelatori in seguito ad irraggiamento. b)Confronto tra la corrente di fuga totale e quella relativa ad una striscia nel caso di un f4 a bassa resistività. Le caratteristiche IV sono riportate in fig.4.9a), dalla quale non è possibile evidenziare un comportamento anomalo per una particolare tipologia di rivelatore. Per alte tensioni di polarizzazione si osserva una deriva nella corrente, dovuta principalmente alla presenza di difetti localizzati. Ciò si deduce dalla fig.4.9b), in cui con i simboli quadrati è riportata la tipica caratteristica IV di una singola striscia non difettosa, mentre con i cerchi essa è stata moltiplicata per il numero delle strisce del rivelatore, in modo da permettere un confronto immediato con la caratteristica relativa alla corrente totale, riportata con i triangoli. Per tensioni di polarizzazioni maggiori di 500 V quest’ultima si discosta significativamente dalla corrente totale che il rivelatore avrebbe in assenza di strisce difettose. Per basse tensioni di polarizzazione la corrente totale sembrerebbe minore della somma di quella relativa alle singole strisce. Ciò dipende dal fatto che in seguito all’irraggiamento lo svuotamento del substrato ha inizio dal lato ohmico, per cui gli impianti non sono isolati l’uno dall’altro fintanto che esso non è completo. Quindi una frazione della corrente di fuga della singola striscia su cui è effettuata la misurata è dovuta in realtà al contributo degli impianti vicini. La misura della corrente di una singola striscia è stata realizzata con un apparato analogo a quello in fig.4.6a), in cui il terminale H del picoamperometro è però connesso 89 con la piazzola in DC della striscia dalla parte della resistenza in polisilicio, mentre il Keithley 237 fornisce la polarizzazione necessaria nel modo usuale. (a) (b) Figura 4.10: a)Confronto tra le caratteristiche IV di un rivelatore f7 irraggiato nel caso in cui l’alta tensione sia connessa al lato ohmico oppure al pozzo. b)In quest’ultimo caso è stata riportato l’andamento della tensione sul lato ohmico in funzione di quella applicata sul pozzo. In fig.4.10a) è stata ripetuta la misura descritta in fig.3.10 nel caso di un rivelatore irraggiato. Per esso la polarizzazione attraverso la connessione dell’alta tensione al pozzo non è più equivalente a quella realizzata sul lato ohmico. In particolare è stata misurata la variazione della differenza di potenziale tra l’anello di polarizzazione e il lato ohmico in funzione di quella applicata tra lo stesso anello e la piazzola di polarizzazione e viceversa. Mentre in quest’ultima misura le due tensioni sono risultate praticamente uguali, nel primo la tensione sul lato ohmico è risultata sempre inferiore, come si osserva in fug.4.10b). Quindi quando la corrente scorre attraverso la giunzione al di sotto del pozzo, questa non si comporta linearmente. Prima dell’irraggiamento non si era invece evidenziata alcuna differenza tra i due tipi di connessione. La polarizzazione del rivelatore attraverso la connessione del pozzo, benché risulti più comoda da un punto di vista pratico, non è quindi una alternativa valida a quella del lato ohmico. 90 4.3.2 La tensione di svuotamento e la capacità del substrato La variazione della concentrazione efficace di droganti ha come conseguenza immediata il cambiamento della tensione di svuotamento. Questa è stata misurata con lo stesso metodo descritto nel par.3.2.2 per varie tipologie di rivelatore ed i relativi valori sono riportati nella tab.4.1 insieme a quelli delle capacità del substrato totali e quella per una singola striscia, normalizzata in base alla sua lunghezza media. Osserviamo come i rivelatori con orientazione del cristallo <111>, ad alta resistività prima dell’irraggiamento, risultino avere adesso una tensione di svuotamento maggiore rispetto a quella dei rivelatori <100>. (a) (b) Figura 4.11: Misura della capacità del substrato per diverse temperature di un rivelatore f5 con orientazione del cristallo <111> in funzione a)della frequenza del segnale del misuratore LCR e b)della tensione di polarizzazione. In fig.4.11a) è riportato l’andamento della capacità del substrato di un rivelatore in funzione della frequenza del segnale del misuratore LCR al variare della temperatura. Le misure sono state effettuate ad una tensione di polarizzazione Vp = 300 V, che garantisce il completo svuotamento del substrato. A basse frequenze si osserva una forte dipendenza della capacità dalla temperatura, che si riduce al diminuire di questa e all’aumentare della frequenza. La fig.4.11b) mostra l’andamento della capacità del substrato in funzione della tensione 91 Geometria F4 F5 F4 F5 F7 Cristallo <111> <111> <100> <100> <100> Vs (V) 246 254 128 127 128 Cb−tot (pF) Ĉb−s (pF/cm) 1400 0.41 1300 0.45 1370 0.41 1350 0.48 1250 0.87 Tabella 4.1: Tensione di svuotamento, capacità totale Cb−tot e delle singole strisce Cb−s del substrato in seguito all’irraggiamento. Questi ultimi valori sono stati normalizzati in base alla lunghezza delle strisce. Le misure sono state effettuate per T = −10o C, f = 1KHz e Vp > 2Vs . di polarizzazione, ancora al variare dalla temperatura. La frequenza a cui sono state effettuate le misure è di 1 KHz. Per Vp = 300 V si ritrova la stessa differenza dei valori della capacità al variare della temperatura osservata nella fig.4.11a), ma gli andamenti tendono a convergere all’aumentare della tensione di polarizzazione. Il valore della capacità che interessa ai fini della valutazione del rumore sull’elettronica di lettura è quello relativo alle basse frequenze. Per ottenere un suo valore indipendente dalla temperatura è allora necessario effettuare la misura con alte tensioni di polarizzazione, indicativamente Vp > 2Vs è sufficiente. I valori della capacità riportati in tab.4.1 si riferiscono ad una temperatura di -10oC, una frequenza di 1 KHz e una tensione di polarizzazione Vp > 2Vs . La dipendenza del valore della capacità del substrato dalla temperatura sembra dovuta alla presenza di difetti caratterizzati da un livello di energia profondo nella banda proibita, la cui risposta al segnale del misuratore LCR per una certa frequenza dipende appunto dalla temperatura [29]. I valori delle capacità del substrato Cb−s riflettono lo stesso andamento osservato prima dell’irraggiamento: essa dipende dalla geometria, ha un valore più elevato nel caso degli f5 e f7 in cui il passo tra le strisce è maggiore rispetto a quello degli f4. In generale la capacità in seguito all’irraggiamento è aumentata di poco meno del 10% per tutti i rivelatori tranne che nel caso degli f7, in cui l’incremento risulta quasi del 20%. La concentrazione efficace di droganti è stata calcolata dalla formula (3.2) ed è risultata (3.66 ± 0.07)·1012 cm−3 nel caso dei rivelatori con orientazione del cristallo <111>, (1.868 ± 0.015)·1012 cm−3 per quelli <100>, dove i valori sono le medie con scarto massimo. In accordo con la teoria, a parità di dose ricevuta i rivelatori aventi inizialmente una concentrazione di donatori inferiore (<111>) risultano avere adesso una concentrazione 92 di accettori maggiore. 4.3.3 La capacità di disaccoppiamento dell’ossido Figura 4.12: Confronto della presenza di fori nell’ossido per uno stesso rivelatore prima e dopo l’irraggiamento. Le misure della capacità di disaccoppiamento effettuate sui rivelatori irraggiati non hanno riportato nessun segno che rilevasse un eventuale danneggiamento dell’ossido. Per quanto riguarda la presenza di fori su di esso, dalla fig.4.12 non si osserva nessun mutamento, in particolare non si è formato nessun nuovo difetto. La misura è stata effettuata a temperatura ambiente nella stazione di misura, anche nel caso del rivelatore irraggiato, in quanto non è richiesto lo svuotamento del substrato. L’andamento periodico che si osserva precedentemente all’irraggiamento nel livello della corrente causato dal rumore introdotto dalla probe card e dalla matrice di interruttori è notevolmente ridotto in seguito ad alcuni interventi sull’apparato sperimentale. Le altre misure sono state effettuate in camera climatica con gli stessi apparati descritti nel capitolo precedente. Nella fig.4.13 è riportato il confronto tra due diversi rivelatori f4 con orientazione del cristallo <111>, uno dei quali è stato irraggiato. La leggera differenza che si osserva nel valore della capacità a bassa frequenza rientra nell’incertezza dell’1% osservata nel par.3.2.3, come pure nelle misure effettuate sulle altre tipologie di rivelatore, riportate in tab.4.2. 93 (a) (b) Figura 4.13: Confronto tra le misure della capacità di disaccoppiamento dell’ossido in funzione a)della frequenza e b)della tensione di polarizzazione per gli f4 con substrato avente orientazione del cristallo <111> prima e dopo l’irraggiamento. Geometria F4 F5 F4 F5 F7 Cristallo <111> <111> <100> <100> <100> Cac (pF) Ĉac (pF/cm) 220 33.3 187 33.1 257 38.9 214 37.9 4110 728 Tabella 4.2: Capacità di disaccoppiamento dell’ossido in seguito all’irraggiamento dei rivelatori. Il diverso comportamento in funzione della tensione di polarizzazione è dovuto al fatto che, in seguito all’irraggiamento, la zona al di sotto dell’ossido è l’ultima a svuotarsi dalle cariche di conduzione. Le cariche che si accumulano all’interfaccia tra l’ossido e il cristallo a causa dei difetti qui indotti dall’irraggiamento, possono essere rimosse soltanto da un intenso campo elettrico che viene raggiunto per tensioni di polarizzazione maggiori a quella di svuotamento. Al di sotto dell’ossido si forma quindi una complessa rete di resistenze che determinano l’andamento mostrato nel valore della capacità. Poiché da essa dipende la frazione di carica raccolta dall’elettronica di lettura in seguito al passaggio di una particella carica, è necessario operare in condizioni tali che la capacità 94 di disaccoppiamento risulti massima, quindi in condizioni di sovrasvuotamento. 4.3.4 La misura delle resistenze Le misure delle resistenze sono state effettuate in camera climatica con gli stessi apparati descritti nel capitolo precedente. (a) (b) Figura 4.14: a)Misure dell’andamento della resistenza di polisilicio in funzione della tensione di polarizzazione per rivelatori con cristallo realizzati con la tecnologia 1 (<111>). Le misure si riferiscono a resistenze posizionate in zone diverse del rivelatore. b)La stessa misura per le resistenze di impianto dei rivelatori relativi alla tecnologia 2 (<100>). La misura della resistenza di polarizzazione è la prova più immediata dell’inversione del tipo di substrato da n a p, come è possibile osservare in fig.4.14a). Mentre prima dell’irraggiamento non era visibile alcuna dipendenza del valore della resistenza in polisilicio dalla tensione di polarizzazione, nel caso di un rivelatore irraggiato questa è evidente. La resistenza del substrato non ancora completamente svuotato dalle cariche di conduzione, si combina in parallelo a quella in polisilicio, cosicché la resistenza misurata risulta avere un valore più basso. Prima dell’irraggiamento, dal momento che lo svuotamento aveva inizio dal lato della giunzione, le resistenze risultavano isolate già per pochi Volt di polarizzazione. La disomogenità nel valore delle resistenze prima dell’irraggiamento è riconfermata 95 Geometria Tecnologia F4/F5 1 F4/F5 2 F7 3 Rpoli(MΩ) 2.49 3.23 9.75 Rimp (KΩ/cm) 88.9 87.3 31.9 Tabella 4.3: I valori delle resistenze in polisilicio di impianto e dei metalli per i diversi tipi di rivelatore. Quest’ultime sono state normalizzate per le differenti lunghezze delle strisce. dalla misura in fig.4.14a), in cui le varie curve si riferiscono a resistenze posizionate in diverse zone del rivelatore. In tab.4.3 sono riportati i valori medi delle misure effettuate sui rivelatori irraggiati. Si osserva un aumento nei valori delle resistenze in polisilicio rispetto alle medie misurate precedentemente all’irraggiamento dell’ordine del 45% nel caso delle tecnologie 1 e 2. Questo aumento supera le fluttuazioni osservate nei valori delle resistenze. Nel caso della tecnologia 3 era stata osservata nel par.3.2.4 una grande dispersione nei valori delle resistenze, all’interno di uno stesso dispositivo, ma soprattutto da un rivelatore ad un altro. La misura ottenuta nel caso del rivelatore irraggiato è consistente con queste, per cui non è possibile dire se ci sia stata una variazione nel valore delle resistenze. Per quanto riguarda la misura delle resistenze degli impianti la dipendenza dalla tensione di polarizzazione è meno marcata, come si vede dalla fig.4.14b), dal momento che essa è più piccola (Rpoli 5Rimp ). D’altra parte è necessaria una tensione di polarizzazione maggiore di quella allo svuotamento perché sia raggiunto un valore costante. Questo effetto, analogo a quello osservato per la capacità di disaccoppiamento, è dovuto allo strato di cariche all’interfaccia ossido-silicio che impedisce il completo isolamento degli impianti. I valori della resistenza, per Vp > 2Vs , non mostrano alcuna variazione conseguente all’irraggiamento, come si osserva dal confronto della tab.4.3 con la 3.3. A causa delle restrizioni imposte dall’apparato sperimentale, per i rivelatori irraggiati non è stata misurata la resistenza della metallizzazione delle strisce, ipotizzando che esse non abbiano riportato alcun mutamento. 4.3.5 Le capacità tra le strisce Queste misure sono state effettuate soltanto per i rivelatori con orientazione del cristallo <100>. Non è inoltre stata misurata la capacità tra i metalli, che assumiamo non essere cambiata in seguito all’irraggiamento. In fig.4.15a) è riportata la misura descritta in fig.3.22a) effettuata su un f5 irraggiato. 96 (a) (b) Figura 4.15: Confronto tra le misure della capacità tra gli impianti in funzione a)della frequenza e b)della tensione di polarizzazione per un f5 con orientazione del cristallo <100> prima e dopo l’irraggiamento. Per confronto è stata riportata anche la misura relativa ad un rivelatore dello stesso tipo non irraggiato. Lo strato di cariche che si forma all’interfaccia ossido-silicio in conseguenza ai danni dovuti alle radiazioni influenzano pesantemente la misura. In fig.4.15b) si osserva infatti un totale cambiamento nell’andamento della capacità in funzione della tensione di polarizzazione. difetti all’interfaccia Cimp +++++++++++++++++ - - - - - - - - - - - - - - - - - --- - - - - - elettroni Re Figura 4.16: Schematizzazione della capacità tra gli impianti e lo strato di cariche mobili che si forma all’interfaccia ossido-silicio. Il nuovo andamento osservato si spiega assimilando lo strato di cariche mobili all’interfaccia tra l’ossido e il cristallo con una resistenza Re tra due impianti vicini, come mostrato in fig.4.16. Re aumenta il proprio valore al crescere della tensione di polarizzazione, fino ad una tensione critica in cui questo è praticamente infinito. Fisicamente ciò è dovuto al fatto che le cariche mobili impediscono l’isolamento degli impianti. Con l’aumentare del campo elettrico nella zona al di sotto dell’ossido, queste vengono progressivamente 97 rimosse, fino a che gli impianti non sono isolati e quindi la resistenza tra di essi è molto grande. Come osservato nel capitolo precedente, l’impedenza misurata dall’LCR Meter deve essere schematizzata come un CR serie ed il valore della capacità cercato è quello relativo alle basse frequenze. Nel caso dei rivelatori irraggiati però, per quanto detto, quello che si misura non è una capacità pura a causa della presenza di Re in parallelo a Cimp . La capacità misurata Cmis risulta quindi: Cmis = 1 + (ωCimp Re )2 ω 2 Cimp Re2 (4.8) dove ω è la pulsazione. Per Re → ∞ si ha Cmis → Cimp , quindi per alte tensioni di polarizzazione il misuratore LCR misura la capacità effettivamente cercata. La fig.4.15 indica che tale tensione critica è intorno ai 500V perché la capacità assume un valore praticamente costante. Ciò d’altra parte è in accordo con quanto suggerito dalle misure della capacità di disaccoppiamento (fig.4.13b)) e della resistenza degli impianti (fig.4.14b)). Per tensioni inferiori Re diminuisce, per cui il valore della capacità misurata cresce. È possibile stimare il valore di tale resistenza per una tensione, ad esempio, di 150V, quindi oltre lo svuotamento che avviene intorno ai 130V. Cmis = 3.1 pF, mentre Cimp = 1.3 pF, valore oltre 500V; la misura è stata effettuata con una frequenza di 400 Hz, quindi Re = 260 MΩ. Il comportamento che si osserva per tensioni di polarizzazione inferiori a 100V è dovuto in parte al non completo svuotamento del substrato, che determina la formazione di una complessa rete di impedenze. Le capacità tra gli impianti misurate per gli f4 e gli f5 sono risultate rispettivamente 1.71 pF e 1.27 pF con un incertezza del 3%. Da un confronto coi valori delle capacità misurati precedentemente all’irraggiamento (tab.3.4) se ne osserva un aumento intorno al 10%. 98 Capitolo 5 Valutazione delle prestazioni del modulo Le misure effettuate sui rivelatori di silicio sono servite per la messa a punto della tecnologia di fabbricazione e sono utilizzate per una migliore comprensione delle prestazioni di tali rivelatori collegati all’elettronica di lettura. Una volta caratterizzati in laboratorio, alcuni cristalli di silicio vengono utilizzati per la costruzione dei moduli equipaggiati con la propria elettronica di lettura. È possibile quindi valutarne le prestazioni sottoponendoli a sorgenti radioattive. Dall’esperienza accumulata in passato presso gli esperimenti che facevano uso di rivelatori al silicio, per esempio CDF, è stato visto che è sufficiente mantenere il rapporto S/N ≥ 10 per avere un’efficienza di rivelazione del passaggio di una particella prossima al 100%, con la quasi totale eliminazione delle false identificazioni dovute alle fluttuazioni statistiche del rumore che rientrano nelle code della sua distribuzione. In base alle misure dei parametri elettrici effettuate sui rivelatori è stato possibile fornire una stima a priori delle prestazioni del modulo in termini di rapporto segnale/rumore. Sono inoltre stati valutati i contributi al rumore legati ai diversi parametri per individuare quelli sui quali agire per migliorare tale rapporto. È auspicabile che le prestazioni di un modulo non subiscano un grande peggioramento durante il periodo di attività di LHC. Gli alti livelli di radiazione portano ad un cambiamento dei parametri elettrici del rivelatore, perciò è importante poter fornire una stima delle prestazioni di un modulo anche in seguito al pesante irraggiamento. A questo scopo è stato costruito un modulo con i cristalli irraggiati. 99 5.1 L’elettronica di front-end e il sistema di acquisizione In questo paragrafo sono riportati soltanto dei cenni riguardanti l’elettronica con cui sono equipaggiati i moduli e l’apparato utilizzato per lo studio delle loro prestazioni. Le misure sono state effettuate su dei moduli equipaggiati con un circuito APV6 [6], versione prototipale dell’APV25. La carica rilasciata da una particella all’interno di un rivelatore viene raccolta dall’elettronica cosiddetta di front-end, collegata alle piazzole in AC delle strisce tramite un adattatore di passo. Ogni modulo è equipaggiato con un certo numero di circuiti APV6, in base al numero di strisce (4 per i moduli r-φ e 2 per quelli stereo) costruiti dalla HARRIS e disegnati dal Rutheford Appleton Laboratory (UK). Ogni APV6 è dotato di 128 canali di ingresso analogici e le sue dimensioni particolarmente ridotte (12.0 X 6.25 mm2 ) permettono la collocazione di più circuiti adiacenti alla base del modulo. Figura 5.1: Segnale in uscita dal formatore. Su di esso sono riportati i campionamenti relativi al funzionamento dell’APV6 in modo picco e in modo deconvoluzione. Ogni canale dell’APV6 è costituito da un preamplificatore di carica e da un formatore che restituisce un segnale in tensione di forma prossima a quella di un CR-RC con costante di formazione di 50 ns mostrato in fig.5.1. Questo viene campionato alla frequenza di incrocio dei fasci di LHC, 40 MHz, e le letture vengono immagazzinate in una memoria analogica contenente 160 locazioni (pipeline) per ognuno dei 128 canali. 100 Cosı̀ facendo sono disponibili 160 × 25 ns = 4 µs per il riconoscimento di un evento significativo. L’APV6 ha due modi di funzionamento chiamati picco e deconvoluzione. In modo picco viene acquisito un solo campionamento del segnale in corrispondenza del suo massimo. Nel modo deconvoluzione, invece, il segnale viene ricostruito applicando opportuni pesi a tre campionamenti consecutivi [30]. L’ampiezza del segnale in uscita dal formatore in seguito al passaggio di una particella torna a 0, compatibilmente col rumore, in circa 200 ns (da confrontarsi con l’intervallo di tempo tra due incroci dei fasci consecutivi di 25 ns). Poiché in presenza del trigger vengono acquisiti i segnali su tutte le strisce di ogni rivelatore, è importante distinguere i segnali relativi all’evento significativo dalle code di quelli generati nei precedenti 200 ns. Se l’APV6 lavora in modo picco effettua un unico campionamento e rivela il passaggio di una particella anche dove in realtà il segnale letto si riferisce ad un evento precedente a quello indicato dal trigger. Nel modo deconvoluzione invece l’ampiezza del segnale ricostruito è praticamente nulla se i tre campionamenti cadono successivamente a quelli mostrati in fig.5.1. In altre parole il segnale ricostruito in modo deconvoluzione ha un tempo di formazione di 25 ns e la sua ampiezza torna a 0 in soli 50 ns. Un ulteriore vantaggio del modo deconvoluzione rispetto a quello picco si ha nel caso in cui una stessa striscia sia interessata da due eventi significativi in un intervallo di tempo inferiore a 200 ns. In questo caso infatti il segnale in uscita dal formatore relativo al passaggio della seconda particella si somma a quello della prima. In modo picco l’altezza del secondo segnale risulta cosı̀ falsato. In modo deconvoluzione l’algoritmo matematico utilizzato per la ricostruzione del segnale è tale da sottrarre il contributo dovuto al precedente passaggio della particella. Per conoscere lo stato operativo in cui si trova l’APV6 ed eventualmente modificarlo, è possibile colloquiare con esso tramite l’interfaccia seriale (I2 C). I parametri di funzionamento vengono memorizzati in una serie di registri che permettono la loro calibrazione, l’impostazione delle tensioni e delle correnti che regolano l’amplificatore e il formatore, la scelta del modo di funzionamento, la conoscenza di un eventuale errore in cui è incorso l’APV6, l’impostazione della latenza. Quest’ultima è fondamentale per il corretto funzionamento del rivelatore: nell’intervallo di tempo che intercorre tra il riconoscimento di un evento significativo e la relativa comunicazione all’APV6 è possibile che siano stati effettuati nuovi campionamenti, per cui è necessario definire quale campionamento corrisponde al segnale di trigger ricevuto. D’altra parte il ritardo è dovuto a caratteri101 stiche intrinseche della catena elettronica, per cui sarà costante per ogni APV6 e quindi esprimibile tramite il registro di latenza. Per il funzionamento dell’APV6 sono necessari una coppia di segnali logici quali il clock, che regola la sua frequenza di lavoro sui 40 MHz, ed il trigger, che oltre alla funzione già descritta può inviare anche i comandi di calibrazione e di reset. I 128 campionamenti di un APV6 relativi ad un evento significativo sono inviati all’ADC in maniera seriale tramite un multiplexer. Nei laboratori di Firenze sono stati realizzati una catena elettronica e un sistema di acquisizione che permettono la valutazione delle prestazioni di un modulo tramite l’utilizzo di una sorgente di elettroni. L’apparato può essere utilizzato con qualsiasi tipo di modulo, purché equipaggiato con un circuito di front-end APV6. In fig.5.2 ne è riportato uno schema. VME Elettroni Tr Modulo 2 I C Scintillatore Ibrido 1111111 0000000 1111111 0000000 Kapton Scheda di interfaccia Fototubo Elettromagnete Sorgente β F E D C P U Uscita analogica Tr Ck Tr Ck Sequencer Figura 5.2: Apparato di misura per la valutazione delle prestazioni di un modulo tramite l’utilizzo di una sorgente β. I moduli sono contenuti, insieme alla scheda di interfaccia, all’interno di una scatola metallica affinché siano schermati dalla luce. In presenza di rivelatori che abbiano subito danni da radiazione le misure sono state effettuate all’interno di una camera climatica. Insieme al modulo vengono collocati una sorgente di raggi beta (90 Sr), un elettromagnete con cui è possibile selezionare gli elettroni di massima energia e uno scintillatore plastico che genera il trigger. Gli APV6 sono disposti su un ibrido e comunicano con la scheda di interfaccia tramite un sottile cavo piatto di kapton. Questa scheda comunica poi con un modulo I2 C gestito dalla CPU per l’impostazione e il controllo dei registri dell’APV6. La sua uscita analo102 gica è amplificata dalla scheda dell’interfaccia e trasmessa all’ingresso di un convertitore analogico-digitale. Il FED è la scheda dedicata alla conversione analogico digitale del segnale e comprende 8 ADC e il sistema di gestione e scrittura dati. Il FED riceve i segnali di clock e di trigger dal sequencer per effettuare il campionamento. Il sequencer genera il segnale di clock ad una frequenza di 40 MHz e riceve il trigger dal fototubo per poi inviare questi segnali al FED e agli APV6 tramite la scheda di interfaccia. La CPU gestisce l’intero sistema di acquisizione. 5.2 L’analisi del segnale 5.2.1 Valutazione del segnale 11 00 A 00 11 1 0 0 1 C met CAC CAC C met 1 0 0A 1 CAC B C imp C imp Cb Cb Cb lato ohmico Figura 5.3: Rappresentazione circuitale di un rivelatore di silicio. I punti bianchi rappresentano gli impianti, mentre i punti neri sono le strisce di metallo. La fig.5.3 illustra la complessa rete di capacità di cui dobbiamo tener conto nell’analisi di un segnale. La carica rilasciata da una particella all’interno del cristallo non sarà infatti raccolta interamente dall’elettronica di lettura perché condivisa con la capacià di disaccoppiamento e le capacità parassite quali, per esempio, la capacità tra gli impianti o quella del substrato. Nella figura sono indicati con cerchi neri i punti connessi all’entrata degli amplificatori, e perciò posti ad una massa virtuale, con cerchi bianchi gli impianti. Supponiamo che la striscia B sia interessata dal passaggio di una particella: la carica iniettata nell’elettronica di lettura sarà soltanto la frazione Cac Cac + Cstr 103 (5.1) dell’intera carica rilasciata dalla particella, dove Cstr è la somma delle capacità che il punto B “vede” verso massa: Cstr = Cb + 2 Cimp (Cac + Cb ) Cac + Cimp + Cb (5.2) Come si osserva dal confronto tra i valori riportati nelle tab.3.2 e 3.4, CAC Cimp per cui possiamo semplificare l’espressione precedente, commettendo un errore inferiore all’1%, ed esprimerla nella forma: Cstr Cb + 2Cimp (5.3) La capacità tra gli impianti e quella del substrato sono quindi importanti parametri ai fini di una corretta valutazione del rumore di un rivelatore e per questo deve essere posta particolare attenzione nella loro misura. Per tener conto del contributo a Cstr della capacità C2imp tra un impianto e quello delle strisce seconde vicine è sufficiente sostituire Cimp con 1.1·Cimp in quanto è stato misurato che C2imp 10% di Cimp [31]. La capacità totale che un canale dell’elettronica di lettura “vede” verso massa è: Ctot = 2Cmet + Cac Cstr Cac + Cstr (5.4) In questa espressione le capacità si riferiscono all’intera striscia del modulo. Dal momento che le strisce consecutive dei due cristalli costituenti un modulo sono collegate da una microsaldatura tra le piazzole in AC, e che allo stesso modo sono connessi anche i due anelli di polarizzazione e la metallizzazione del lato ohmico, le singole capacità di uno stesso tipo relative alla stessa striscia del modulo vengono a trovarsi in parallelo, per cui il loro valore deve essere sommato. L’andamento di Ctot in funzione della tensione di polarizzazione è riportato in fig.5.4 per i moduli con entrambe le orientazioni dei cristalli. Inoltre per quelli <100> sono mostrati gli andamenti nel caso di un modulo irraggiato e non. Per i moduli non irraggiati Ctot è minima e rimane praticamente costante per tensioni di polarizzazione maggiori di Vs (fig.3.14). La capacità totale dipende principalmente da quella di una striscia Cstr , che è a sua volta dominata dalla capacità tra gli impianti e quella del substrato. Dalle tab.3.1 e 3.4 è stato osservato come queste, precedentemente all’irraggiamento, dipendano principalmente della geometria, che per i due moduli <111> e <100> è la stessa. Ciò spiega come il valore di Ctot per essi sia cosı̀ vicini, una volta raggiunto il completo svuotamento del cristallo. La leggera differenza è dovuta ad una diversa capacità di disaccoppiamento, dipendente invece dall’orientazione del cristallo. 104 (a) (b) Figura 5.4: Andamento della capacità totale in ingresso all’elettronica di lettura in funzione della tensione di polarizzazione, per il modulo con orientazione del cristallo a) <111> e b) <100>. In questo secondo caso sono riportati i risultati sia per il modulo irraggiato che non. In seguito all’irraggiamento l’andamento della capacità totale in funzione della tensione di polarizzazione è mutato, rispecchiando l’analogo cambiamento osservato nella capacità tra gli impianti. In particolare si osserva, come già sottolineato nel capitolo precedente, che le condizioni ottimali per la minimizzazione della capacità totale in entrata all’elettronica di lettura, e quindi del rumore, si hanno per una tensione di polarizzazione Vp > 2Vs (nel caso del modulo irraggiato Vs è 128 V). 5.2.2 Le sorgenti di rumore Poiché i rivelatori al silicio misurano segnali di carica, si è soliti esprimere il rumore in elettroni equivalenti (ENC), che corrisponde alla carica che deve essere iniettata all’entrata di un amplificatore ideale, per avere in uscita un segnale uguale al valore quadratico medio delle fluttuazioni ottenute dall’amplificatore reale. In altre parole è la carica che produce un rapporto segnale/rumore uguale ad 1. Una particella al minimo di ionizzazione rilascia in uno spessore di 300 µm di silicio circa 24000 elettroni (par.2.3.1), ma la carica effettivamente raccolta dall’elettronica di lettura è soltanto la frazione (5.1). Il rapporto segnale/rumore ad essa relativo si ottiene 105 dal rapporto tra il numero degli elettroni effettivamente raccolti dall’elettronica di lettura e il rumore. Le prestazioni di un modulo sono tanto migliori quanto maggiore è tale rapporto. È importante allora individuare le singole sorgenti di rumore e valutarne il contributo. 1 0 0 1 If Vp R poli Cac R s B 11 00 en 11 00 00 11 Cstr C tot 11 00 00 11 in 11 00 00 11 APV6 1 0 0 1 (a) (b) Figura 5.5: a)Schema circuitale della connessione delle strisce all’elettronica di lettura, di cui è rappresentato solo l’integratore. b)Sorgenti di rumore nel rivelatore. Al fine di analizzare i contributi al rumore dipendenti dalle caratteristiche intrinseche del rivelatore e dalla catena elettronica che elabora il segnale, possiamo schematizzare la connessione di una singola striscia all’elettronica di lettura come in fig.5.5a), dove essa è rappresentata da un diodo a giunzione ideale con capacità Cstr , tratteggiata in figura, con in parallelo un generatore di corrente che tiene conto della corrente di saturazione inversa If . La tensione di polarizzazione arriva all’impianto p+ , in B, tramite la resistenza in polisilicio, mentre Rs è la resistenza in serie all’elettronica di lettura e assume l’espressione: Rmet (5.5) 3 è la resistenza dell’adattatore di passo tra il rivelatore e i canali dell’elettronica Rs = Rap + dove Rap (∼20 Ω), mentre la resistenza dei metalli delle strisce Rmet contribuisce soltanto con un terzo del suo valore a causa dell’effetto di linea di trasmissione resistiva già descritto nei capitoli precedenti. L’entrata dell’amplificatore rimane comunque isolata dal sistema attraverso la capacità di disaccoppiamento. In base a questo modello possiamo individuare le principali sorgenti fisiche di rumore: la corrente di fuga della striscia (rumore granulare), la resistenza in polisilicio e quella in serie all’amplificatore (rumore termico), oltre al rumore proprio dell’elettronica di lettura. Queste sorgenti di rumore sono schematizzabili con generatori di tensione o corrente come mostrati in fig.5.5b), che andranno a collocarsi rispettivamente in serie e in parallelo all’ingresso dei canali dell’elettronica. en è il generatore di tensione associato alla resistenza serie, mentre in è il generatore di corrente che 106 schematizza il rumore granulare della corrente di fuga e il rumore termico della resistenza di polarizzazione. Ctot rappresenta la capacità totale in entrata ai canali dell’APV6. Il rumore dipende dalla modalità di lavoro dell’APV6 e dalla forma del segnale in uscita dal formatore, che possiamo approssimare con un circuito CR-RC con costante di tempo di 50 ns. Esprimendo i singoli contributi in termini di ENC, in modo picco si ha: e2 2 2 (ENC)parallelo = 8q2 τ in (5.6) 2 in = 2qIf + 4KT /Rpoli dove e è la costante di Eulero, q è la carica dell’elettrone, τ la costante di formazione del segnale; il primo termine di i2n rappresenta il rumore granulare della corrente di fuga, mentre il secondo è il rumore termico legato alle resistenze di polarizzazione. e2 2 2 1 2 (ENC)serie = 8q2 Ctot τ en (5.7) e2n = 4KT Rs è il rumore termico dovuto alla resistenza serie Rs , con lo stesso significato dei simboli. Il principale contributo al rumore è comunque dovuto a quello introdotto dall’amplificatore, che può essere parametrizzato con: ENCa = a + bCtot (pF ) (5.8) in cui a = 510 e− e b = 36 e− /pF [6]. Il meccanismo della deconvoluzione equivale, da un punto di vista del rumore, all’utilizzo di una costante di formazione del segnale più breve [30]. Quindi si ha un aumento del rumore serie, mentre quello parallelo diminuisce. Quantitativamente si ha: picco deconv ENCparallelo = ENCparallelo × 0.45 picco deconv = ENCserie × 1.45 ENCserie (5.9) (5.10) Il rumore dovuto all’APV6 assume la stessa forma dell’equazione (5.8) in cui però a = 1000 e− e b = 46 e− /pF. Il rumore totale si ottiene sommando in quadratura i vari contributi. Per una temperatura di -10oC, quale sarà quella di lavoro di LHC, le espressioni (5.6) e (5.7) assumono la forma: ENCIf 107 · If (µA)τ (ns) e− 107 (5.11) ENCRpoli √ 2 · 23 · ENCRs 23 · Ctot · In ENCRpoli il termine √ τ (ns)/Rpoli (MΩ) e− Rs (Ω)/τ (ns) e− (5.12) (5.13) 2 nasce dalla somma in quadratura dei contributi dovuti alle resistenze di polarizzazione dei singoli cristalli. 5.2.3 I moduli rφ non irraggiati In fig.5.6 sono riportati i singoli contributi al rumore per i moduli con orientazione del cristallo <111> (a) e b)) e <100> (c) e d)) in funzione della tensione di polarizzazione, per una temperatura T = -10oC. Le figure a) e c) si riferiscono al modo picco e quelle b) e d) a quello deconvoluzione. Come emerge dalle figure, il contributo più importante al rumore è quello dovuto all’elettronica, che dipende da Ctot e quindi principalmente dalla capacità tra gli impianti e quella del substrato. Un aumento del passo delle strisce, se da una parte favorisce una diminuzione di Cimp , dall’altra provoca un aumento di Cb−s , ma dal momento che Ctot dipende da 2Cimp è sicuramente interessante lo studio di un modulo realizzato con un passo tra le strisce maggiore, come nel caso degli f7. Ciò comporta però una peggiore risoluzione spaziale, per cui è necessario raggiungere un compromesso tra questa e un alto rapporto segnale/rumore. Il contributo della corrente è praticamente trascurabile, come pure quello legato alla resistenza di polarizzazione. Il rumore introdotto dalla resistenza Rs costituisce invece il secondo contributo al rumore più importante. Il rumore in modo deconvoluzione risulta maggiore rispetto a quello in modo picco, per cui il rapporto segnale/rumore risulterà inferiore. D’altra parte nel par.5.1 sono già stati spiegati i vantaggi del modo deconvoluzione rispetto all’altro e la necessità di utilizzo del primo per poter lavorare alle frequenze di LHC. Diamo adesso una stima a priori del rapporto segnale/rumore dei due moduli rφ costruiti. Tale stima sarà poi confrontata con i valori ottenuti con le misure descritte nell’apparato in fig.5.2. In tab.5.1 sono riportati alcuni dei valori delle grandezze da cui dipendono i vari contributi al rumore per i due moduli utilizzati durante le misure con la sorgente β. Tali valori si riferiscono alla tensione di polarizzazione a cui esse sono state effettuate, rispettivamente 250 V per il modulo con orientazione del cristallo <111> e 400 V per quello <100>. 108 (a) (b) (c) (d) Figura 5.6: Calcolo dei diversi contributi al rumore espresso in elettroni equivalenti per i moduli con orientazione del cristallo a) e b) <111>, c) e d)<100> non irraggiati. Le figure a) e c) si riferiscono all’utilizzo dell’APV6 in modo picco, mentre quelle b) e d) al modo deconvoluzione. 109 Geometria Cristallo F4+F5 <111> F4+F5 <100> Rpoli(MΩ) 1.7 ± 0.3 2.2 ± 0.2 Rs (Ω) Ctot (pF) Vp (V) 47 ± 5 12.2 ± 0.4 250 47 ± 5 12.4 ± 0.4 400 Tabella 5.1: Valori delle grandezze da cui dipendono i contributi al rumore dei moduli <111> e <100>, per una tensione di polarizzazione rispettivamente di 250 V e 400 V. Geometria Cristallo F4+F5 <111> F4+F5 <100> S/N atteso picco deconv. 23.1 14.4 23.1 14.4 S/N misurato picco deconv. 20.1 11.9 18.3 11.5 Vp (V) 250 400 Tabella 5.2: Confronto tra i rapporti S/N attesi e misurati per i moduli con orientazione del cristallo <111> e <100> alle tensioni di polarizzazione specificate. La resistenza serie Rs è stata calcolata dall’espressione (5.5), in cui è l’incertezza su Rap è intorno al 5%. Le resistenze dei metalli e quelle in polisilicio sono i valori riportati nel par.3.2.4. In Ctot sono state incluse anche le capacità C2imp tra l’impianto di una striscia e quelli delle seconde vicine (par.5.2.1). In tabella non è riportata la corrente di polarizzazione inversa dei rivelatori. Dal momento che le strisce con alte correnti di fuga non sono state connesse all’elettronica di lettura, possiamo assumere che tutte quelle su cui viene letto il segnale abbiano una corrente di circa 4 nA a temperatura ambiente. In tab.5.2 sono riportati i valori del rapporto segnale/rumore (S/N) attesi e quelli misurati, sia in modo picco che in modo deconvoluzione. Le incertezze riportate in tab.5.1 dipendono dalle fluttuazioni dei parametri elettrici misurati da una striscia ad un’altra dei rivelatori. Queste determinano un’incertezza sul rapporto S/N aspettato dei due modi di circa il 4% per entrambi i moduli. Questa è dello stesso ordine dell’errore osservato sui valori misurati. Possiamo quindi assumere che questa incertezza sia dovuta alle distribuzioni dei parametri elettrici. La sovrastima dei rapporti S/N aspettati è da imputare piuttosto ad errori sistematici di vario genere legati in parte alle schematizzazioni adottate nella trattazione dell’errore, in parte all’apparato di misura delle prestazioni dei moduli con la sorgente β. Come è stato più volte sottolineato, non si evidenziano forti differenze nelle prestazioni aspettate dei due moduli in quanto i parametri che determinano maggiormente il rumore dipendono principalmente dalla geometria, e non dalla tecnologia con cui sono stati realizzati i cristalli. 110 5.2.4 Il modulo irraggiato Il modulo costituito da rivelatori irraggiati nel modo descritto nel par.4.2.1 ha orientazione del cristallo <100>. Su di esso sono state ripetute le stesse misure con la sorgente β effettuate sui moduli non irraggiati in una camera climatica alla temperatura di -10oC. In fig.5.7 sono riportati i vari contributi al rumore per questo modulo, per T = -10oC. (a) (b) Figura 5.7: Calcolo dei diversi contributi al rumore espresso in elettroni equivalenti per il modulo con orientazione del cristallo <100> irraggiato, relativi all’utilizzo dell’APV6 in modo a) picco e b) deconvoluzione. Anche in questo caso il contributo maggiore al rumore è quello dovuto all’elettronica di lettura, che rispecchia l’andamento di Ctot mostrato in fig.5.4b) con i simboli a triangolo. Si osservi l’importanza che ha acquistato nel modo picco il termine relativo alla corrente di fuga, che nel caso dei rivelatori non irraggiati risultava trascurabile (fig.5.6c)). È stato mostrato infatti che i danni introdotti nel cristallo dalle radiazioni determinano un aumento della corrente, che nel caso del modulo irraggiato ha raggiunto ∼1 µA per striscia a 500 V di polarizzazione. In modo deconvoluzione, in cui il termine ENCIf è soppresso dal fattore 0.45, l’aumento del rumore è fortemente ridotto. Come già anticipato nella discussione di Ctot , le condizioni di minimo rumore si hanno per tensioni di polarizzazione Vp > 2Vs , e non è più sufficiente il solo svuotamento del substrato. Questo comportamento è determinato dello strato di cariche che viene a formarsi 111 Geometria F4+F5 F4+F5 Φ(1014 n/cm2 ) 0. 1. Rpoli (MΩ) 2.17 3.23 Rs (Ω) 46.9 46.9 Ctot (pF) 12.4 14.0 If s (µA) Vp (V) o 0.004 (T = 23 ) 400 1.17 (T = -10o) 450 Tabella 5.3: Valori delle grandezze da cui dipendono i contributi al rumore dei moduli <100> prima e dopo l’irraggiamento ad una tensione di polarizzazione rispettivamente di 400 V e 450 V. 14 2 Geometria Φ(10 n/cm ) F4+F5 0. F4+F5 1. S/N atteso picco deconv. 23.1 14.4 17.4 13.4 S/N misurato picco deconv. 18.3 11.5 17.0 11.3 Vp (V) 400 450 Tabella 5.4: Confronto tra i rapporti S/N attesi e misurati per i moduli con orientazione del cristallo <100> irraggiati e non. all’interfaccia ossido-silicio durante l’irraggiamento. Lo studio dei mutamenti che i danni da radiazione determinano sui parametri elettrici dei rivelatori e le conseguenti variazioni nel rumore atteso è quindi importante per la scelta delle condizioni di lavoro dei moduli del tracciatore di CMS quali la tensione di polarizzazione o la temperatura. La condizione di lavoro ottimale è quella per cui il rapporto segnale/rumore si mantiene superiore a 10 durante l’intero periodo di attività dell’esperimento, senza che i danni provocati dalle radiazioni ne determino un forte cambiamento. In tab.5.3 sono riportati i valori da cui dipendono i vari contributi al rumore per il modulo irraggiato. Per confronto sono riportati anche i valori relativi al modulo <100> costituito da rivelatori non irraggiati. In tab.5.4 sono riportati i rapporti segnale/rumore per i moduli con rivelatori irraggiati e non per i due modi di funzionamento dell’elettronica, picco e deconvoluzione. Nel caso del modulo con rivelatori irraggiati si osserva come la misura ottenuta con la sorgente β riproduca in buona approssimazione i valori aspettati. Dal momento che S/N > 10 anche per quest’ultimo, ci aspettiamo che le prestazioni di un modulo rimangano buone anche in seguito ad un pesante irraggiamento quale quello presso gli esperimenti di LHC. Osserviamo oltretutto che esse non subiscono una grande variazione nel modo deconvoluzione che sarà quello di lavoro dell’APV25. 112 Conclusioni Questo lavoro di tesi si inserisce nello studio prototipale dei rivelatori a microstrisce di silicio che costituiranno gli end-cap del tracciatore dell’esperimento di CMS. I prototipi studiati presentavano differenze nella geometria, nel tipo di substrato e nel processo di fabbricazione. Sono stati messi a punto degli apparati di misura che ne consentissero una completa caratterizzazione in tempi ragionevolmente brevi. Sono stati quindi misurati i parametri elettrici che permettono la valutazione della qualità dei processi di fabbricazione. È stata poi studiata la dipendenza dei parametri elettrici misurati dalla tipologia di rivelatore per una migliore comprensione delle prestazioni ottenute. È stato introdotto l’uso della probe-card, che ha permesso l’individuazione dei difetti localizzati dell’ossido di disaccoppiamento e del substrato e una misura estesa e veloce delle resistenze di polarizzazione e delle capacità di disaccoppiamento. Le misure effettuate hanno messo in luce la dipendenza dei parametri elettrici caratterizzanti un modulo da: • geometria (capacità del substrato, capacità tra le strisce). • resistività del substrato (tensione di svuotamento). • orientazione del cristallo (capacità di disaccoppiamento). • tecnologia di fabbricazione (corrente di fuga, resistenze di polarizzazione). L’analisi dei contributi che essi determinano sul rumore presente sui canali dell’elettronica ha poi mostrato che questo è dominato da: • capacità tra gli impianti. • capacità del substrato. Queste osservazioni hanno permesso l’ottimizzazione della geometria dei moduli al fine di ottenere le migliori prestazioni in termini di rapporto segnale/rumore. Le misure hanno permesso inoltre un’analisi del tipo di substrato e delle tecnologie utilizzate, per la scelta dei materiali e dei processi coi quali realizzare i rivelatori che più 113 si adattano alle esigenze dell’esperimento. Alcuni rivelatori sono stati sottoposti ad una fluenza di neutroni di 1014 n/cm2 , equivalente all’irraggiamento massimo che subirà la parte più interna del tracciatore in 10 anni di attività ad LHC. I danni riportati nel substrato hanno determinato nei rivelatori: • un aumento della corrente di fuga. • un cambiamento della concentrazione efficace dei droganti, e quindi della tensione di svuotamento, la cui principale conseguenza è l’inversione del tipo di substrato da n a p e lo spostamento quindi della giunzione dal lato giunzione al lato ohmico del rivelatore. I danni di superficie si manifestano nella formazione di uno strato di cariche all’interfaccia ossido-silicio che influenza fortemente l’andamento della capacità tra gli impianti in funzione della tensione. Poiché questa capacità raggiunge un valore minimo per tensioni di polarizzazione Vp > 2Vs , dove Vs è la tensione di per la quale si ha il completo svuotamento del substrato dalle cariche di conduzione, anche il rumore sull’elettronica di lettura risulta minimo per tali tensioni. Queste misure hanno permesso quindi di investigare su quali siano le condizioni di lavoro ottimali per i moduli del tracciatore di CMS. Da un’analisi a priori delle prestazioni dei moduli il giudizio complessivo è risultato positivo in quanto: • il rapporto segnale/rumore aspettato è risultato largamente superiore a 10 anche nel caso del modulo irraggiato. • in modo deconvoluzione non sono attesi importanti cambiamenti nelle prestazioni del modulo in seguito al pesante irraggiamento. Entrambe le aspettative sono state confermate dalle misure effettuate mediante l’utilizzo di una sorgente β, indicando che la schematizzazione adottata per l’analisi del rumore descrive in maniera soddisfacente le reali prestazioni del modulo. 114 Bibliografia [1] F.Halzen and A.D.Martin, Quarks and Leptons, John Wiley & and Sons, New York, NY, 1984. [2] D.H.Perkins, Introduction to High Energy Physics, Addison-Wesley Publishing Company, 1997. [3] Particle Data Group, Review of Particle Physics, The European Physical Journal, Volume 15, numero 1-4 2000. [4] CMS Collaboration, CMS MUON Technical Design Report, CERN/LHCC 97-32, CMS TDR 3, 15 Dicembre 1997. [5] CMS Collaboration, The Compact Muon Solenoid Technical Proposal, CERN/LHCC 94-38, LHCC-P1, 15 Dicembre 1994. [6] CMS Collaboration, Tracker Technical Design Report, CERN/LHCC 98-6, CMS TDR 5, 15 Aprile 1998. 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