La cultura e gli insegnamenti retorici latini nell´Alta Terra di Lavoro

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La cultura e gli insegnamenti retorici latini nell´Alta Terra di Lavoro
Testis Temporum
Collana di
Fonti e Studi sul Medioevo dell’Italia Centrale e Meridionale
diretta da Fulvio Delle Donne
3
Volume pubblicato col patrocinio di:
Comune di Arce
Comune di Colfelice
Regione Lazio - Assessorato Cultura, Spettacolo, Sport
Amministrazione Provinciale di Frosinone
Agenzia Provinciale per il Turismo
XV Comunità Montana “Valle del Liri” - Arce
Con la partecipazione di:
In copertina:
particolare degli stemmi posti sulla facciata est della Torre di Sant’Eleuterio (Arce)
Progettazione ed elaborazione grafica di
Marco D’Emilia
Suavis terra, inexpugnabile castrum
L’Alta Terra di Lavoro dal dominio svevo
alla conquista angioina
prefazione di
Raffaele Licinio
a cura di
Fulvio Delle Donne
© 2007 Nuovi Segnali
Via Corte Vecchia, 36 – 03032 Arce (FR)
Tel: 0776 523260 - 333 6315590
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ISBN 88-89790-02-4
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Nessuna parte può essere riprodotta (fotocopia, microfilm o altro mezzo)
senza l’autorizzazione esplicita dell’Editore o degli Autori
Fulvio Delle Donne
La cultura e gli insegnamenti retorici latini
nell’Alta Terra di Lavoro
Se capita di riflettere sulla cultura letteraria del Regno in epoca
sveva e primo-angioina, il pensiero tende a catalizzarsi verso
l’istituzione che avrebbe dovuto costituire il suo centro promotore, ovvero l’Università, o meglio lo Studium di Napoli, fondato
nel 1224 da Federico II1. Poi si può pensare alla cosiddetta
“scuola poetica siciliana”; al limite, a Guido delle Colonne, autore di un’Historia destructionis Troiae2, o a Pietro da Eboli3, o
1
Sulla storia dello Studium di Napoli in epoca sveva e angioina cfr. almeno
F. TORRACA, Le origini - L’età sveva, in Storia dell’Università di Napoli, Napoli 1924, pp. 1-16; G.M. MONTI, L’età angoina, ivi, pp. 17-150; ID., Per la
storia dell’università di Napoli. Ricerche e documenti, Napoli - Genova - Firenze - Città di Castello 1924; G. ARNALDI, Fondazione e rifondazioni dello
studio di Napoli in età sveva, in La fondazione fridericiana dell’Università di
Napoli, Napoli 1988, p. 38 (il saggio è stato pubblicato per la prima volta in Università e società nei secoli XII-XVI, Pistoia 1982, pp. 81-105, e poi in Il Pragmatismo degli intellettuali. Origini e primi sviluppi dell’istituzione universitaria,
a c. di R. Greci, Torino 1996, pp. 109-23); ID., Studio di Napoli, in Federico II.
Enciclopedia fridericiana, II, Roma 2005, pp. 803-808; L. CAPO, Federico II
e lo Studium di Napoli, in Studi sul Medioevo per Girolamo Arnaldi, a c. di
G. Barone - L. Capo - S. Gasparri, Roma 2001, pp. 25-54; F. VIOLANTE, Federico II e la fondazione dello ‘Studium’ napoletano, «Quaderni Medievali»,
54 (dic. 2002), pp. 29-33. Inoltre, F. DELLE DONNE, Un’inedita epistola sulla
morte di Guglielmo de Luna, maestro presso lo Studium di Napoli e le traduzioni prodotte alla corte di Manfredi di Svevia, «Recherches de théologie et
philosophie médiévales», in corso di stampa; ID., Un’inedita lettera relativa
allo Studium di Napoli in epoca sveva, in corso di stampa in un volume miscellaneo pubblicato dall’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo.
2
L’unica edizione del testo latino è quella curata da N.E. Griffin, Cambridge Mass. 1936. Esistono, però, numerosi volgarizzamenti, di cui qui se ne
segnala solo uno in italiano Libro de la destructione de Troya, ed. N. de Blasi,
Roma 1986.
3
Dell’opera di Pietro da Eboli ci si è occupati più specificamente nel primo
volume di questa collana, “Ianua Regni”: il ruolo di Arce e del castello di
Rocca d’Arce nella conquista di Enrico VI di Svevia, Convegno di studi,
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Fulvio Delle Donne
ancora a qualche altro storico e cronista4. Se, però, vogliamo
prendere in esame la cultura letteraria che, in quel periodo, si
sviluppò nell’ambito geografico più specifico della Terra di Lavoro, incorriamo in maggiori difficoltà nel reperire opere o autori, perché si tende, quasi meccanicamente ed esclusivamente, a
identificare la letteratura con la poesia o con la prosa narrativa.
Questo perché si tende a separare i più significativi esiti della
produzione artistica da ciò che ne costituisce il sostrato formativo, che, in genere, viene preso in considerazione solo per comprendere il percorso evolutivo dell’autore. Quindi, si compie
quasi uno sforzo a pensare che anche la trattatistica retorica e la
connessa manualistica esemplificativa – finalizzate proprio alla
formazione e all’istruzione di livello più o meno alto – possano
essere espressione di cultura letteraria, o, addirittura, possano
essere “letteratura” a tutti gli effetti. E se questo sforzo può essere relativamente meno faticoso per chi si occupa di letteratura
classica, perché, magari, può trovare un significativo punto
d’appoggio negli esempi offerti da Cicerone, risulta sicuramente
più arduo per chi si occupa di letteratura basso-medievale, soprattutto perché la trattatistica retorica diventa piuttosto tecnica
e legata in particolar modo alla struttura compositiva e alle regole formali da osservare nella scrittura, soprattutto quella delle
epistole5. Eppure, proprio le epistole costituirono uno degli ambiti di produzione maggiormente praticati dai letterati di area italiana del XIII secolo. Del resto, la produzione epistolografica,
già da qualche tempo, era tornata a tale livello di raffinatezza stilistica e godeva di tanta considerazione, da fare in modo che si
ritagliasse, all’interno della più generale normativa retorica, uno
specifico ambito di regolamentazione e di applicazione. Nacque,
così, l’ars dictaminis o anche ars dictandi, la quale finì per rappresentare il quasi esclusivo ambito di riflessione retorica, tanto
Rocca d’Arce 3 luglio 2005, a c. di F. Delle Donne, Arce 2006, a cui si rimanda per indicazioni su edizioni e studi.
4
Si veda il saggio di Marino Zabbia in questo stesso volume.
5
Sulle implicazioni di tale questione, piuttosto complessa, si può rimandare, almeno, a A. BATTISTINI, E. RAIMONDI, Retoriche e poetiche dominanti, in
Letteratura italiana. Le forme del testo, I, Teoria e poesia, Torino 1984, pp.
5-30.
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che, appunto, dictamen divenne quasi sinonimo di elaborato
componimento retorico6.
Tale produzione epistolografica può risultare, forse, poco interessante per chi cerca nella letteratura l’espressione più alta
dell’ingegno e della fantasia creatrice dell’artista, ma offre
senz’altro un’angolatura prospettica assai significativa per chi
vuole comprendere la cultura che, nel corso del XIII secolo, si
andò diffondendo in Italia e soprattutto nella zona della Terra di
Lavoro. Da quest’ambito geografico, infatti, provenivano, in
grandissimo numero, i notai della cancelleria papale e di quella
imperiale, ovvero i prosatori più preparati dell’epoca, che influenzarono con il loro stile e con il loro gusto retorico tutta la
produzione letteraria di quell’età; anche quella degli indiscussi
padri della letteratura che, come Dante, si confrontarono, e non
solo nel periodo della formazione, con i trattati di ars dictaminis
e con i preziosi dictamina contenuti nelle numerose e diffuse
raccolte epistolari7.
6
Sull’ars dictaminis cfr. soprattutto J.J. MURPHY, La retorica nel Medioevo,
Napoli 1983 (ed. or. Berkeley 1974), pp. 223-304; M. CAMARGO, Ars dictaminis, ars dictandi, (Typologie des sources du Moyen Âge occindental 60),
Turnhout 1991, p. 17. Cfr. anche H.M. SCHALLER, Ars dictaminis, Ars dictandi, in Lexikon des Mittelalters, I, München-Zurich 1980, coll. 1034-1035.
Per la bibliografia sull’argomento cfr. J.J. MURPHY, Medieval Rhetoric: a selected bibliography, Toronto 1971. Cfr. anche F.J. WORSTBROCK, Die Anfänge der mittelalterlichen Ars dictandi, «Frühmittelalterliche Studien», 23
(1989), pp. 1-42. Per una rassegna di studi cfr. anche V. SIVO, Studi recenti
sull’ars dictaminis mediolatina, «Quaderni Medievali», 28 (1989), pp. 220233. Un repertorio dei testi è in F.J. WORSTBROCK - M. KLAES - J. LUTTEN,
Repertorium der Artes dictandi des Mittelalters. I. Von den Anfängen bis um
1200, München 1992. Un repertorio dei manoscritti è in E.J. POLAK, Medieval and Renaissance Letter treatises and Form Letters. A Census of Manuscripts Found in Eastern Europe and the Former U.S.S.R., Leiden - New
York - Köln 1993; ID., Medieval and Renaissance Letter treatises and Form
Letters. A Census of Manuscripts Found in Part of Western Europe, Japan,
and the United States of America, Leiden - New York - Köln 1994.
7
Cfr. G. NENCIONI, Tra grammatica e retorica, Torino 1983, pp. 108-131;
M. PAZZAGLIA, Ars dictaminis, in Enciclopedia Dantesca, I, Roma 1970, ad
vocem; F. BAETHGEN, Dante und Petrus de Vinea, «Sitzungsberichte der Bayer. Akad. der Wiss. Phil. - hist. Kl.», 1955, 3, pp. 36-37; E. PARODI, Lingua e
letteratura, a c. di G. Folena, II, Venezia 1957, p. 350; E. PARATORE, Pier del-
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Insomma, particolarmente interessante e significativa risulta
essere la produzione retorico-epistolare dei letterati della Terra
di Lavoro. Tanto che lo stile usato dai dictatores, ovvero dai maestri esperti di dictamen che si formarono in quella regione, fu
talmente peculiare da essere riconosciuto come il frutto di una
specifica “scuola” retorica, chiamata “capuana”. Una “scuola” –
o, forse, si farebbe meglio a definirla “tradizione retorica” – che
presenta contorni non ancora ben definiti, sia dal punto di vista
dell’individuazione dei suoi rappresentanti, sia dal punto di vista
dei suoi caratteri distintivi. Tuttavia, a parlarne per la prima volta in maniera più o mena esplicita fu, a partire dal 1910, Karl
Hampe, che in un manoscritto della Bibliothèque Nationale di
Parigi, il Lat. 11867, riconobbe una raccolta “capuana” di epistole composte tra il 1198 e il 12168. Da quel momento, si è cominciato a parlare di “scuola capuana” in maniera sempre più
diffusa, anche se non altrettanto precisa: e a farlo sono stati soprattutto, nel 1912, Hans Niese9, poi ancora, nel 1928, Charles
la Vigna nel canto XIII dell’“Inferno”, in Atti del convegno di studi su Dante
e la Magna Curia, Palermo 1967, pp. 250-263; l’Introduzione a NICOLA DA
ROCCA, Epistolae, ed. F. Delle Donne, (Edizione Nazionale dei Testi Mediolatini 9, Serie 1, 5), Firenze 2003, p. XI.
8
Cfr. K. HAMPE, Über eine Ausgabe der Capuaner Briefsammlung des
Cod. lat. 11867 der Pariser Nationalbibliothek, «Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften. Phil. - hist. Kl.», 1910, 8; ID., Mitteilungen aus der Capuaner Briefsammlung I, II, «Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften. Phil. - hist. Kl.», 1910, 13; ID., Mitteilungen aus der Capuaner Briefsammlung III, «Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften. Phil. - hist. Kl.», 1911, 13; ID. - F.
BAETHGEN, Mitteilungen aus der Capuaner Briefsammlung IV, «Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften. Phil. - hist. Kl.»,
1912, 14. Poi, sempre Hampe riconobbe anche alcune propaggini di quella
scuola: cfr. ID., Beiträge zur Geschichte der letzten Staufer. Ungedruckte
Briefe aus der Sammlung des Magisters Heinrich von Isernia, Leipzig 1910,
pp. 34 s., 55.
9
Cfr. H. NIESE, Zur Geschichte des geistigen Lebens am Hofe Kaiser Friedrichs II., «Historische Zeitschrift», 108 (1912), pp. 523-533, che, tuttavia,
non attribuisce sempre esplicitamente l’appellativo di “capuana” alla scuola
retorica di cui parla.
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Homer Haskins10, e, nel 1927, Ernst Kantorowicz11. Soltanto nel
1953, però, Karl Pivec12 – poi seguito e corretto con maggiori
precisazioni, nel 1957-1958 da Hans-Martin Schaller13 – si sforzò di dare una caratterizzazione più analitica dello stile adottato
da questa “scuola capuana”, riconoscendone gli elementi maggiormente distintivi nell’accumulo degli aggettivi esornativi,
nella predilezione per le assonanze e i giochi di parole, ma soprattutto nell’uso delle clausole metriche, il cursus, tanto frequente che le loro composizioni, per questo aspetto, possono gareggiare con le orazioni di epoca classica.
Tale stile retorico è stato definito “capuano”, perché generalmente si è ritenuto che esso facesse capo principalmente, ma
non esclusivamente, a Capua, che fu una delle più importanti
città della Terra di Lavoro, e costituì il punto di irradiazione più
rilevante di una fiorente tradizione culturale e retorica14, in pieno sviluppo fin oltre l’epoca di Federico II15. La consapevolezza, tra i contemporanei, che ci fossero elementi che legavano tra
loro determinati dictatores sembrerebbe, del resto, postulata da
molte lettere in cui il relatore si dichiara allievo di qualche eminente retore, e in particolare di Pier della Vigna, il celebre protonotario e logoteta imperiale, che fu appunto di Capua. Ad e10
Cfr. C.H. HASKINS, Latin Literature under Fredrick II, «Speculum», 3
(1928), pp. 138 ss. (il saggio fu ripubblicato in ID., Studies in Medieval Culture, Oxford 1929, pp. 124-147).
11
E. KANTOROWICZ, Federico II imperatore, Milano 1976, pp. 274 s., 360
(ed. or. Berlin 1927-1930).
12
K. PIVEC, Der Diktator Nicolaus von Rocca. Zur Geschichte der Sprachschule von Capua, in Ammann-Festgabe, I, Innsbruck 1953, p. 146. Pivec
fornisce anche altri spunti sulle tecniche particolari e sulle tematiche più adoperate dalla scuola di Capua.
13
H.M. SCHALLER, Die Kanzlei Kaiser Friedrichs II. Ihr Personal und ihr
Sprachstil, «Archiv für Diplomatik», 4 (1958), pp. 282-289; la prima parte di
questo saggio è in «Archiv für Diplomatik», 3 (1957), pp. 207-286.
14
F. GRANATA, Storia civile della fedelissima città di Capua, I, Napoli
1752, p. 118, ci dice che nell’antica Capua esisteva un «famoso Ginnasio, o
sia Colosso, ove varie scienzie, molte arti liberali a’ giovani del pubblico insegnar si faceano con molte comodità, ed esattezza».
15
H.M. SCHALLER, Die Kanzlei, cit., 4 (1958), p. 288, dice che la storia della scuola di Capua finisce con la vittoria degli Angioini.
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sempio in una lettera scritta da un maestro Giovanni, sempre di
Capua, a due segretari imperiali per la morte di un loro collega
si dice così:
«Scio magistrum nostrum et unicum benefactorem magistrum P. de
Vinea de tanti amici casu fuisse concussum, quum ingentes affectus
animo non sine causa conceperit quod vinea sua tres palmites ex una
vite fertili protulisset et dignos in Cesaris praesentia stiparet e cariorum suorum gremio tres adultos, honestatis et vitae suae tres aemulos
et sequaces, eosque ex tanto praeceptore unam eamdemque pariter habuisse doctrinam, unum affectum in tribus coaluisse personis et nescii
16
quaererent et conscii mirarentur» .
«So che il nostro maestro e unico benefattore, il maestro Pier della
Vigna, è stato colpito dalla sorte di un così grande amico, dal momento che aveva concepito nel suo animo grandi affetti, non senza motivo,
per il fatto che la sua vigna aveva prodotto da una sola fertile vite tre
tralci e che collocava alla presenza del Cesare tre degni adulti generati
dal grembo dei suoi più cari, tre imitatori e seguaci della sua onestà e
della sua vita, e che gli ignari domandavano e gli informati consideravano con ammirazione il fatto che essi avessero conseguito da un così
prestigioso maestro, allo stesso modo, una sola identica dottrina, che
un unico affetto avesse attecchito in tre persone».
Un altro maestro, poi, Nicola da Bari, rivolgendosi a Pier della Vigna, celebra la «felix prorsus Capua, que vos genuit, scola
felicior, que nutrivit»17; cioè la «senz’altro felice Capua, che vi
ha generato, e più felice scuola che vi ha allevato». Ed Enrico di
Isernia, un dictator che fu attivo anche presso la corte di Ottocaro II di Boemia, parla esplicitamente della «tuba Capuana»18.
16
J.L.A. HUILLARD-BREHOLLES, Vie et correspondance de Pierre de la Vigne, Paris 1865, nr. 34, p. 335 (rist. anast., Aalen 1966).
17
Cfr. R. M. KLOOS, Nikolaus von Bari, eine neue Quelle zur Entwicklung
der Kaiseridee unter Friedrich II., in Stupor Mundi, a c. di G. Wolf, Darmstadt 1982², p. 149. Questo saggio era apparso in precedenza in «Deutsches
Archiv», 11 (1954/55), pp. 166-90, e nella prima ed. del vol. Stupor Mundi,
Darmstadt 1966, pp. 365-95.
18
Cfr. K. HAMPE, Beiträge zur Geschichte der letzten Staufer, cit., p. 34.
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Anche Nicola da Rocca senior, un altro maestro di cui torneremo a parlare, celebra il magistero del capuano Pier della Vigna,
nell’elogio scritto in suo onore:
«Hec fuit itaque vinea, quam philosophie manus multo sudore plantavit et coluit…: in qua tabernaculum eruditionis erexit, ut ex eo mentes
19
indocte doctrine reciperent spiritum» .
«Questa fu dunque la vigna che la mano della filosofia ha piantato e
coltivato con molto sudore...: in cui eresse il tabernacolo dell’erudizione, così che da lui le menti incolte ricevessero lo spirito della dottrina».
Anche lo stesso Pier della Vigna si definisce talvolta educatore dei giovani: «Quis sic sectam diligit novae prolis? Quis sic
educat providos?»20, cioè: «Chi ama tanto il gruppo della nuova
prole? Chi li educa così accorti?».
Tuttavia, non sono attestate, né a Capua, né altrove, sedi istituzionalmente e stabilmente costituite per l’apprendimento delle
tecniche utili a donare pregio e ricercatezza al dictamen prosastico. Tanto più, che, contestualmente con l’istituzione dello Studium di Napoli, vennero vietate tutte le scuole locali: già nelle
generales litterae di fondazione del 5 giugno o 5 luglio 1224, infatti, Federico II ordinava a tutti i suoi ufficiali di fare in modo
«ut nullus scolaris legendi caussa exire audeat extra Regnum, nec infra Regnum aliquis audeat addiscere alibi vel docere, et qui de Regno
sunt extra Regnum in scolis, sub pena predicta eorum parentibus, iniungatis ut usque ad festum S. Michelis nunc proximum revertan21
tur» ;
19
Cfr. NICOLA DA ROCCA, Epistolae, ed. cit., nr. 15, p. 33.
J.L.A. HUILLARD-BREHOLLES, Vie et correspondance, cit, p. 313.
21
La lettera è riportata al cap. XI del libro III dell’epistolario di Pier della Vigna, consultabile nell’edizione di J.R. Iselius (Iselin), Petri de Vineis iudicis aulici et cancellarii Friderici II imperatoris epistularum libri VI, Basilea 1740
(rist. an., Hildesheim 1991); è pubblicata anche in A. HUILLARD-BRÉHOLLES,
Historia Diplomatica Friderici II, II, Paris 1852, p. 450; e in RYCCARDUS DE
SANCTO GERMANO, Chronica, ed. C.A. Garufi, (RIS² VII, 2), Bologna 193620
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«che nessun uomo di scuola osi uscire dal Regno per istruirsi, e nessuno, all’interno del Regno, osi apprendere o insegnare in altro luogo,
e che ingiungiate ai sudditi del Regno che si trovano nelle scuole fuori
del Regno, sotto la minaccia della pena stabilita per i loro parenti, che
ritornino entro il giorno di San Michele prossimo venturo (cioè entro
il 29 settembre)».
E tale divieto venne ribadito anche in seguito, almeno da
Manfredi, come si legge nell’inciso «particularibus scolis ubique
per regnum generaliter interdictis» («essendo state vietate generalmente le scuole particolari in ogni parte del regno») contenuto
nel documento per la riapertura dello Studium, avvenuta forse
nel 125822. Dunque, anche se tali espliciti divieti ci rendono
consapevoli del fatto che scuole locali comunque esistevano,
non sappiamo, tuttavia, di che tipo esse fossero. Comunque, a
quei divieti Manfredi concesse alcune deroghe, come si evince
da un documento, probabilmente sempre del 1258, in cui, pur ribadendo l’interdizione di scuole locali, si fa un’eccezione per i
fanciulli «qui iacentes in cunabulis artis grammatice suis uberibus lactabuntur»23; «che giacendo nelle culle dell’arte grammaticale saranno allattati alle sue mammelle». Dunque, erano consentite deroghe solo per le scuole di livello inferiore. E questo
assunto è esplicitamente confermato anche da un mandato di
Manfredi, probabilmente sempre dello stesso anno, in cui si dice:
1938, pp. 113-116, la cui edizione è generalmente preferita. Tuttavia, qui si è
fornito un testo ricavato da una escussione diretta dei manoscritti. Cfr. J.F.
BÖHMER - J. FICKER - E. WINKELMANN, Regesta imperii, V, Innsbruck 18811901, e le aggiunte di P. ZINSMAIER, Köln - Wien 1983, nr. 1537.
22
Questo documento è pubblicato, al nr. 173, in Una silloge epistolare della
seconda metà del XIII sec. proveniente dall’Italia Meridionale. I dictamina
del ms. Paris, Bibl. Nat. Lat. 8567, ed. F. Delle Donne, in corso di stampa
nell’Edizione Nazionale dei Testi Mediolatini, per la SISMEL di Firenze.
23
E. WINKELMANN, Acta imperii inedita, I, Innsbruck 1880, nr. 496, p. 414.
Cfr. J.F. BÖHMER - J. FICKER - E. WINKELMANN, Regesta imperii, V, cit., nr.
4678.
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«nostre tamen intentionis non fuit sic loca quelibet depauperare doctoribus, ut artis saltem grammatice rudimenta noviciis velut lactantis
matris ubera famelicis infantibus precidantur, sed ad illos tantum extendi volumus nostre Serenitatis edictum, qui, adiutoribus suis ruditate
deposita, in facultatibus aliis ingenia potiora petentibus cibos iam pos24
sint scientie solidos ministrare» ;
«non fu, tuttavia, nostra intenzione privare di insegnanti tutti i luoghi,
così che gli inesperti venissero lasciati senza neppure i rudimenti della
grammatica, come se agli infanti famelici venissero sottratte le mammelle della madre che li allatta, ma vogliamo che l’editto della nostra
Serenità si estenda soltanto a coloro che, superata la rudezza iniziale
per merito dei loro aiutanti, possono già somministrare i solidi cibi
della scienza a coloro che cercano di rafforzare l’ingegno nelle altre
facoltà».
Il fatto che questo mandato fosse indirizzato al giustiziere di
Terra di Lavoro ci fa comprendere che le scuole locali di livello
inferiore e di tipo grammaticale fossero diffuse soprattutto in
quella regione.
Ma esistevano solo le scuole di livello inferiore? Forse ufficialmente ed istituzionalmente sì, tuttavia, se consideriamo l’altissimo numero di eccelsi e rinomati dictatores provenienti dalla
Terra di Lavoro, siamo spinti ad altre considerazioni. È ipotizzabile, piuttosto, che l’insegnamento retorico di livello più alto venisse tramandato in altro modo; magari, innanzitutto, attraverso
il comune senso di appartenenza a quella particolare tradizione
stilistica, che per comodità possiamo continuare a definire “capuana”. Infatti, molti dictatores impiegati nelle più importanti
cancellerie dell’epoca provenivano da Capua, o più generalmente dalla Terra di Lavoro. E ciò fu, forse, determinato, oltre che
dalla loro alta preparazione stilistico-retorica, anche dal fatto che
24
L’epistola è contenuta nel cap. XIII del libro III dell’epistolario di Pier
della Vigna; ed è leggibile anche in A. HUILLARD-BRÉHOLLES, Historia Diplomatica Friderici II, II, cit. p. 453. Tuttavia, qui si è fornito un testo ricavato
dalla lettura diretta dei manoscritti. Cfr. J.F. BÖHMER - J. FICKER - E.
WINKELMANN, Regesta imperii, V, cit., e le aggiunte di P. ZINSMAIER, cit., nr.
4680.
142
Fulvio Delle Donne
alcuni dictatores della Terra di Lavoro riuscirono ad ottenere così grande influenza all’interno della cancelleria papale o imperiale, che, probabilmente, raccomandarono e favorirono i propri
concittadini, così come si può ricavare dal gran numero di lettere
di tipo commendatizio che si possono leggere nei loro epistolari.
In ogni caso, la tradizione stilistica trasmessa attraverso persone legate a Capua, o più in generale alla Terra di Lavoro, sembra trovare un inizio verso il principio del sec. XIII25. Come suo
più antico rappresentante, infatti, può essere riconosciuto Rinaldo da Capua, che prima di entrare nella cancelleria imperiale aveva lavorato nella cancelleria papale: infatti, è riscontrabile una
certa somiglianza tra lo stile delle sue lettere e quello della coeva cancelleria papale, consistente nell’ariosità artistica della sintassi e nell’ampio impiego della Vulgata26. Poi, con il cardinale
Tommaso di Capua, uno dei più insigni dictatores della cancelleria papale, la tradizione capuana riceve nuovo slancio, anche
grazie agli influssi provenienti dai più importanti centri di elaborazione retorica dell’Italia Settentrionale e d’Oltralpe27: egli, del
resto, nonostante che nel suo importante trattato sul dictamen affermi di imitare lo stile della curia romana28, cita espressamente
come modello Ugo Primate, e nelle lettere è riscontrabile l’influsso di Alano di Lilla29; e sono rilevabili non poche rispondenze tra l’esposizione delle sue teorie e quelle di Guido Faba e
Boncompagno da Signa30, o, ancora, di maestro Bene fiorenti-
25
Cfr. E. KANTOROWICZ, Federico II, cit., p. 274.
H.M. SCHALLER, Die Kanzlei, cit., 4 (1958), p. 285.
27
Cfr. soprattutto H.M. SCHALLER, Die Kanzlei, cit., 4 (1958), p. 284.
28
E. HELLER, Die Ars dictandi des Thomas von Capua, «Sitzungsberichte
der Heidelberger Akademie der Wissenschaften. Phil. - hist. Klasse», 192829, p. 11: «Ea propter Romanae curiae vestigiis inherentes, eius stili non indigne magisterium imitamur…»; ovvero «Perciò, seguendo le orme della curia romana, non indegnamente imitiamo il magistero del suo stile». Sul personaggio e sulla sua produzione epistolare, comunque, cfr. soprattutto H.M.
SCHALLER, Studien zur Briefsammlung des Kardinals Thomas von Capua,
«Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters», 21 (1965), pp. 371-518.
29
Ibidem. Su questi influssi si veda anche H. NIESE, Zur Geschichte des
geistigen Lebens, cit., p. 518.
30
Cfr. le notazioni di E. HELLER, Die Ars dictandi, cit., passim.
26
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143
no31. Ancora nuove spinte, la tradizione “capuana” le ricevette
grazie all’attività di Pier della Vigna, il più insigne e più noto tra
i dictatores della cancelleria federiciana: con lui il linguaggio e
la gestione sintattica arrivarono all’ampollosità e al sovraccarico
espressivo tipici del più alto stilus supremus, pur se – secondo
Schaller – l’organizzazione del periodo risulta priva del ritmo
sintetico e della chiarezza che contraddistingueva il dettato di
Tommaso di Capua32. L’influenza di Tommaso di Capua e di
Pier della Vigna sicuramente si irradiò, poi, o direttamente o attraverso la diffusione dei loro dictamina, su altri dictatores collegati con la tradizione retorica della Terra di Lavoro, come
Tommaso da Gaeta33, Pietro da Prezza34, Giacomo di Capua35,
Taddeo da Sessa36, Terrisio di Atina37 (sul quale avremo ancora
31
Si veda le note a BENE FLORENTINUS, Candelabrum, ed. G.C. Alessio,
Padova 1983, passim.
32
H.M. SCHALLER, Die Kanzlei, cit., 4 (1958), p. 286. H. NIESE, Zur Geschichte des geistigen Lebens, cit., p. 529, afferma che lo stile di Pier della
Vigna subisce alla base influssi francesi attraverso la mediazione dell’Italia
settentrionale.
33
Sul personaggio cfr. soprattutto P. KEHR, Das Briefbuch des Thomas von
Gaeta, «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», 8 (1905), pp. 1-76; H.M. SCHALLER, Die Kanzlei, cit., 3 (1957), pp.
283-284.
34
Cfr. soprattutto E. MÜLLER, Peter von Prezza, ein Publizist der Zeit des
Interregnums, Heidelberg 1913; R.M. KLOOS, Petrus de Prece und Konradin,
«Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», 34
(1954), pp. 88-108.
35
Cfr. soprattutto F. DELLE DONNE, Giacomo, vescovo di Patti ed
arcivescovo di Capua, in Dizionario Biografico degli Italiani, LIV, Roma
2000, pp. 195-199.
36
Per l’attività e la bibliografia su questo importante personaggio si può
consultare, ora, W. STÜRNER, Friedrich II. Der Kaiser 1220-1250, Darmstadt
2000, ad indicem.
37
Sul personaggio cfr. soprattutto F. TORRACA, Maestro Terrisio di Atina,
«Archivio storico per le province napoletane», 36 (1911), pp. 231-253; H.M.
SCHALLER, Zum Preisgedicht des Terrisius von Atina auf Kaiser Friedrich II.,
in Stauferzeit, cit., pp. 85-101 (il saggio è apparso per la prima volta in Geschichtsschreibung und geistiges Leben im Mittelalter, a c. di K. Hauck - H.
Mordek, Köln-Wien 1978, pp. 503-518); F. DELLE DONNE, Il potere e la sua
legittimazione. Letteratura encomiastica in onore di Federico II di Svevia,
Arce 2005, pp. 131-156.
144
Fulvio Delle Donne
modo di tornare), Berardo da Napoli38, Goffredo da Cosenza39 e
i già menzionati Enrico d’Isernia e Nicola da Rocca40.
Insomma, la circostanza che molti retori provenienti dalla
Terra di Lavoro, o legati a dictatores che lì si erano formati, fossero attivi presso le più importanti cancellerie del tempo, soprattutto quella imperiale e quella papale, può spiegare la percezione, comunemente sentita, che essi appartenessero a un “gruppo”,
anche, eventualmente, in mancanza di luoghi istituzionalmente e
stabilmente designati all’istruzione. A sopperire a tale mancanza,
del resto, potevano intervenire altri modi di propagazione e trasmissione di norme ed abitudini retorico-epistolari. Probabilmente, il più semplice ed efficace consisteva nella condivisione
degli strumenti di lavoro, ovvero le epistole stesse, soprattutto
quelle dei più insigni maestri locali, che, attraverso i loro moduli
esemplificativi, potevano servire come modello e, allo stesso
tempo, come strumento didattico: non sono rare, infatti, le lettere in cui si parla di manoscritti dati o chiesti in prestito41. Ma la
trasmissione degli insegnamenti tipici della tradizione retorica
della Terra di Lavoro potette avvenire anche tramite contatti epistolari diretti tra dictatores, grazie ai quali l’apprendista finiva
con l’appropriarsi delle tecniche specifiche del proprio maestromodello. In questo caso, anche se dovette esistere una generale
tradizione “capuana”, dovettero soprattutto svilupparsi circoli di
influenza letteraria e stilistica intorno ai più eminenti dictato-
38
Su questo personaggio cfr. soprattutto E. FLEUCHAUS, Die Briefsammlung des Berard von Neapel. Überlieferung - Regesten, (MGH Hilfsmittel
17), München 1998.
39
Su questo personaggio cfr. F. DELLE DONNE, Goffredo da Cosenza, in Dizionario Biografico degli Italiani, LVII, Roma 2001, pp. 539-541.
40
Cfr. H. NIESE, Zur Geschichte des geistigen Lebens, cit., pp. 524 ss. e 530
ss.; E. KANTOROWICZ, Federico II, cit., pp. 274 ss. e 360 ss.; sui retori più
tardi si veda K. HAMPE, Beiträge zur Geschichte der letzten Staufen, cit.
41
Cfr., ad es., NICOLA DA ROCCA, Epistolae, ed. cit., nrr. 135-137, pp. 15556. Cfr. anche F. DELLE DONNE, “Cipriani martiris epistolare opus offero ad
scribendum”. Un’attestazione della trasmissione e della ricezione dell’opera
di Cipriano alla fine del XIII secolo, «Italia Medievale e Umanistica», 45
(2004), pp. 115-136.
La cultura nell’Alta Terra di Lavoro
145
res42. Magari intorno a Pier della Vigna, come abbiamo già visto, ma anche intorno ad altri maestri di retorica. Pertanto, il
commercio epistolare tra i dictatores può essere inteso come un
mezzo da loro usato per perseguire non solo un intento formale,
di ricerca della pura bellezza espressiva, ma anche un intento
pedagogico, di insegnamento delle raffinatezze stilistiche.
Tuttavia, sappiamo con certezza di maestri della Terra di Lavoro che tennero veri e propri corsi di dictamen. Innanzitutto
corsi istituzionali, presso lo Studium di Napoli, come maestro
Terrisio di Atina, che fu anche notaio imperiale, del quale ci sono pervenute tre lettere umoristiche relative all’attività didattica43. In una di esse, due meretrici, «carnalium voluptatum cathedrales magistre», ovvero «maestre cattedratiche di piaceri
carnali», si rivolgono ai maestri dello Studium di Napoli, affermando che se questi ultimi badano alla formazione degli studenti di giorno, esse vi badano di notte, pur essendo pronte ad estendere l’orario di “servizio”; quindi chiedono che sia equamente ripartita la giurisdizione sugli scolari, per evitare che
venga danneggiata la loro attività, dato che gli studenti, ormai
privati di denaro dai maestri, non portano più oro, argento o libri
da rivendere, per pagare le lezioni notturne. Nella seconda lettera, Terrisio fa rispondere i maestri dello Studium, che ribattono,
invece, che sono proprio le meretrici a spogliare del loro denaro
gli studenti, e le invitano a farsi da parte, perché «nec in una sede morantur philosophia et luxuria, que contradictorio modo sibi
ad invicem adversantur», ovvero «non si attardano nello stesso
luogo filosofia e lussuria, che si avversano vicendevolmente in
modo da contrastarsi». Nella terza lettera, infine, il maestro Terrisio, «cui nomen est terroris», cioè «che ha nome di terrore», ri-
42
Cfr. F. DELLE DONNE, Le consolationes del IV libro dell’epistolario di
Pier della Vigna, «Vichiana», s. III, 4 (1993), pp. 287-290.
43
Le lettere sono state pubblicate da G. PAOLUCCI, Il parlamento di Foggia
del 1240 e le pretese elezioni di quel tempo nel Regno di Sicilia, «Atti della
R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo», s. III, 4 (1897), pp.
45-47; e da F. TORRACA, Maestro Terrisio di Atina, cit., pp. 248-251. Tuttavia, il testo è stato ricontrollato direttamente sul manoscritto (Palermo, Bibl.
della Soc. Siciliana di Storia Patria, I B 25) ed emendato.
146
Fulvio Delle Donne
chiama gli studenti alla «onestissima» abitudine di fare doni al
maestro, e conclude con questi versi:
«Est honestum et est bonum
Ut magistro fiat donum in hoc carniprivio,
Qui nos pascit et repascit in suo convivio.
Ipse prebet lectiones,
Et nos pingues huic capones aportemus singuli,
Ut a fonte fecundemur nos qui sumus rivuli.
Ergo, quale bonum, sibi fiant dona caponum,
44
Per que ferventem possimus habere docentem» .
«È cosa onesta e buona che in questo carnevale sia fatto un dono al
maestro, che ci nutre e ci rinutre al suo convivio. Egli ci dà le lezioni,
e noi tutti portiamogli grassi capponi, così che siamo rinvigoriti dalla
fonte, noi che ne siamo i rivoli. Dunque, per il bene, gli siano dati
capponi come doni, grazie ai quali possiamo avere un appassionato
docente».
Dunque, Terrisio di Atina fu maestro presso lo Studium di
Napoli, e attorno a lui si dovette senz’altro costituire un circolo
di allievi, pronti anche allo scherzo. Forse tra questi, magari per
contiguità geografica dei luoghi di provenienza, ci fu anche Nicola da Rocca45, che veniva da Rocca Guglielma, paese corri44
Per questi versi cfr. H. WALTHER, Initia carminum ac versuum medii aevi
posterioris Latinorum, Göttingen 1959, nr. 5695.
45
E. KANTOROWICZ, Federico II, cit., p. 360, definisce Nicola della Rocca
‘scolaro’ di Pier della Vigna, così come A. DE STEFANO, La cultura alla corte
di Federico II imperatore, Bologna 1950, p. 179. Sicuramente i rapporti tra
Pier della Vigna e Nicola della Rocca furono molto stretti, ma successivi
all’ingresso di quest’ultimo nella cancelleria imperiale, come si ricava dalle
lettere 2 e 3 pubblicate in NICOLA DA ROCCA, Epistolae, cit., pp. 7-12; soprattutto a p. 10 si dice: «Inter tot excelsa virorum ingenia quos in aula Cesarea
fecunda rhetorice diutius ubera lactaverunt, extendens manum ad aratrum,
Nicolaus rhetor incognitus nobis occurrens…»; ovvero: «Tra i tanti eccelsi
ingegni degli uomini che le feconde mammelle della retorica allattarono a
lungo nella reggia di Cesare, stendendo la mano verso l’aratro, il retore Nicola venendo a noi sconosciuto...»; quindi, Nicola, che allora era registratore di
cancelleria, non era ancora amico di Pier della Vigna.
La cultura nell’Alta Terra di Lavoro
147
spondente a una frazione dell’attuale Esperia46. Del resto, nel
manoscritto che conserva la maggior parte delle sue epistole
(Paris, Bibl. Nat. Lat. 8567), c’è una brevissima lettera di un
«Roccanus discipulus», che potrebbe essere Nicola, a un «magistrum Atinensem», che potrebbe esser Terrisio47. Comunque, anche Nicola, che fu uno dei più rinomati dictatores del tempo, sicuramente ebbe modo, o almeno l’intenzione di insegnare dictamen, almeno per il periodo estivo, in una scuola locale, così
come si evince da una sua lettera, nel cui finale si dice:
«Cum igitur in proprii natalis partibus, instinctu quorumdam scolarium, in arte dictaminis proposuerim aliquid implicitum explicare et
estivi temporis dies, qui mihi ad requiem post cotidianos labores hyemis conceduntur, ad communem utilitatem studentium consumare, per
vestre peto discretionis gratiam, a cetu doctorum omnium mihi licentiam impetrari, ut, licet particularia studia sint penitus interdicta, mihi
ad gratiam, cum tempus nunc instet, generalis studii, docendi reme48
dium concedatur» .
«Essendomi proposto, su richiesta di alcuni scolari, di spiegare qualcosa di non chiaro nell’ars dictaminis, nelle parti della mia terra natale, e di impiegare per la comune utilità degli studenti i giorni del periodo estivo che mi sono concessi per riposarmi dopo le quotidiane fatiche dell’inverno, chiedo in grazia della vostra discrezione di ottenere
il permesso dal collegio di tutti i dottori, così che, nonostante siano
stati assolutamente vietati gli studi nelle scuole locali, mi sia concessa,
per il vantaggio dello Studium generale, permettendolo ora il tempo,
la remissione dell’insegnamento».
Dunque, da questo testo, veniamo a sapere, innanzitutto, che
Nicola doveva essere riconosciuto come un valente maestro di
46
Veniamo a sapere della sua provenienza da un documento papale del 31
ottobre 1254. Cfr. Les registres d’Innocent IV, ed. E. Berger, Paris 1884-97,
nr. 8122 (Reg. Vat. 23, anno XII di pontificato, c. 183v). Sulla vita del personaggio cfr. soprattutto l’introduzione a NICOLA DA ROCCA, Epistolae, cit., pp.
XII-XVIII.
47
Cfr. NICOLA DA ROCCA, Epistolae, ed. cit., nr. 150, p. 166.
48
Cfr. NICOLA DA ROCCA, Epistolae, ed. cit., nr. 29, p. 49.
148
Fulvio Delle Donne
dictamen, e non solo dagli scolari, ma anche dai più alti rappresentanti istituzionali dello Studium di Napoli. Infatti, la lettera
era destinata molto probabilmente a Pietro de Hibernia, che nel
1253 venne incaricato da re Corrado IV di curare la riapertura
dello Studium di Napoli49. Tra l’altro, l’espressione finale «docendi remedium» dovrebbe farci supporre che Nicola, oltre a essere uno dei più apprezzati notai della cancelleria sveva, sia stato anche maestro dello Studium. Quell’espressione, infatti, potrebbe, innanzitutto, avere, ellitticamente, il senso di «rimedio
alle manchevolezze dell’insegnamento»: e, in questo caso, se
non avesse tenuto lo stesso Nicola il “manchevole” corso generale, la sua richiesta sarebbe stata piuttosto inopportuna e boriosa. Ma, più probabilmente ancora, quell’espressione ha il senso
che abbiamo preferito attribuirgli nella traduzione, dal momento
che «remedium» viene usato anche nel senso di “remissione”,
“esenzione”50, e, quindi, potrebbe anche avere quasi il senso di
“aspettativa” o “congedo”. Questo confermerebbe proprio che
Nicola fosse magister dello Studium: del resto, non a caso, egli
chiede l’autorizzazione, con l’intermediazione del destinatario
della lettera, del cetus doctorum, che doveva, quindi, avere qualche competenza riguardo a questa autorizzazione, giustificabile
solo se Nicola stesso era uno di loro. E a rafforzare questa ipotesi interviene anche una lettera di Nicola in cui invita i suoi corrispondenti a pregare per la salute di Salvo, che fu maestro di decretali presso lo Studium51.
Non sappiamo se il permesso chiesto da Nicola sia stato accordato, e se, quindi, una delle deroghe al divieto generale di insegnamento nelle scuole locali – di cui abbiamo parlato più sopra – sia stata concessa proprio a Nicola. In ogni caso, ci sono
49
Cfr. C. BAEUMKER, Petrus de Hibernia, «Sitzungsberichte der Bayer. Ak.
der Wiss. Pilos. - philol. und hist. Kl.», München 1920; M. GRABMANN, Mittelalterliches Geistesleben, München 1926, pp. 246-65. Il mandato inviato a
Pietro de Hibernia probabilmente nel 1253 è compreso nell’epistolario di Pier
della Vigna, III, 10: cfr. Cfr. J.F. BÖHMER - J. FICKER - E. WINKELMANN, Regesta imperii, V, cit., e le aggiunte di P. ZINSMAIER, cit., nr. 4601.
50
Cfr. SALVIANUS MASSILIENSIS, De gubernatione Dei, IV, 6 e V, 8, in Patrologia Latina, ed. J.P. Migne, LIII, Parisiis, coll. 76 e 101.
51
Cfr. NICOLA DA ROCCA, Epistolae, ed. cit., nr. 9, pp. 21-23.
La cultura nell’Alta Terra di Lavoro
149
tramandate anche altre lettere in cui anonimi maestri invitano allievi ai propri corsi, sia pure occasionali, di dictamen. In una si
dice così:
«Presentis estatis tempora, que, labore postposito hyemali, mihi ad requiem sunt concessa, in dictandi negotio proposui consumare. Cuius
te volens participio sociari, ad id diligentius presens littera te invi52
tat» .
«I tempi della presente estate, che, messo da parte il lavoro invernale,
mi sono concessi per riposarmi, ho deciso di trascorrerli nell’attività
retorica. Volendotene rendere partecipe, la presente lettera, con molta
diligenza, a questo ti invita».
A dire il vero, qui non si parla di insegnamenti veri e propri,
ma non possono non colpire le espressioni relative alla fatica invernale e al riposo estivo, che si vuole dedicare al dictamen, che
sono molto simili a quelle usate da Nicola da Rocca in quella richiesta di permesso. D’altro canto, questa lettera è trasmessa
proprio dallo stesso manoscritto in cui è conservata la maggior
parte delle epistole di Nicola, e non è improbabile che tale manoscritto costituisca una copia di quello che poteva essere una
sorta di “scartafaccio” di minute conservate da Nicola da Rocca
o da qualche suo parente o amico che lo aveva ricevuto in eredità: uno scartafaccio concepito, all’incirca, come un manuale di
retorica, contenente degli esempi di bello stile a cui attingere
quando ne sorgeva la necessità.
In quel manoscritto sono, poi, conservate anche altre lettere
dello stesso tipo. In una si dice così:
«Ut de alto fonte dictaminis possim aliquid ad utilitatem studentium
exhaurire, assumpsi dictandi pondera, et presentis estatis spatium prefixi terminum ad dictandum. Ad cuius efficaciam, cum te propensius
53
diligam, duxi confidentius invitandum» .
52
Questa breve lettera è pubblicata, come il doc. nr. 199, in Una silloge epistolare, ed. cit.
53
Cfr. Una silloge epistolare, ed. cit., nr. 200.
150
Fulvio Delle Donne
«Perché possa attingere qualcosa all’alta fonte del dictamen per
l’utilità degli studenti, mi sono assunto il peso del dictare, e ho fissato
nel periodo di questa estate il termine per dictare. Per la sua efficacia,
dal momento che ti apprezzo come persona particolarmente adatta,
con molta fiducia ho deciso di invitarti».
A voler essere precisi, neppure qui si parla esplicitamente di
corsi o di scuole, ma il contesto interpretativo diventa più chiaro
leggendo anche quest’altra breve lettera:
«Requisitus nuper a pluribus ut qualemqualem gustum propinem dictaminis quo licet non refici possit, tamen exuriens anhelitum mitigari,
eorum nolens precibus contraire, proposui hoc tempore labori quod est
otii comodare, ac in dictaminis studio me audire volentibus exponere
servitorem. Ad cuius proximas nuptias, cum te sperem non redire in54
glorium, inviteris» .
«Essendomi stato recentemente chiesto da molti che io faccia sentire
un qualche gusto del dictamen – con cui sebbene non possa essere saziato, tuttavia venga almeno mitigato il desiderio intenso – non volendomi sottrarre alle loro preghiere, ho deciso, in questo tempo, di assegnare alla fatica ciò che appartiene all’ozio, e di offrirmi servitore a
chi mi vuole ascoltare nello studio del dictamen. Ritieniti invitato a
queste prossime nozze, sperando che tu non torni senza gloria».
E anche quest’altra lettera è dello stesso tenore:
«Ars artium mater omnium, placatio dominorum, furoris cuiuslibet
extintiva, excelsa videlicet dictandi peritia, in quantum ministrat ingenii parvitas, per me petit, hoc tempore, me audire volentibus reserari.
Ad cuius melliflua pocula, quam cito venire poteris, te sentias invita55
tum» .
«L’arte madre di tutte le arti, quella che placa i potenti e che estingue
ogni furore, cioè l’eccelsa perizia retorica, chiede per mezzo mio, per
54
55
Cfr. Una silloge epistolare, ed. cit., nr. 201.
Cfr. Una silloge epistolare, ed. cit., nr. 202.
La cultura nell’Alta Terra di Lavoro
151
quanto lo concede la pochezza del mio ingegno, che, in questo periodo, venga aperta la porta a coloro che mi vogliono ascoltare. Sentiti
invitato a venire il più presto possibile a bere dalle sue dolci coppe».
Tuttavia, sempre nello stesso manoscritto, ci sono anche lettere più esplicite, in cui ci si rivolge a un valente dictator perché si
possa godere dei vantaggi del suo insegnamento. Così, un anonimo scrive a un maestro:
«Paucis utor, dum in paucis comprehendere multa vos autumo et pauca vobis sufficere sapienti, prompta prece devotionis exposcens, quatenus … latorem presentium habere velitis sub vestre doctrine ferula
commendatum, ut effectu precaminum me vobis per ea obligetis ad
56
grates» .
«Mi servo di poche parole, dal momento che stimo che voi comprendiate molto con poco e che a voi sapiente basti un piccolo accenno, nel
chiedere con pronta preghiera di devozione che vogliate ritenere raccomandato alla bacchetta della vostra dottrina ..., latore della presente,
così che, per l’effetto delle preghiere, mi obblighiate con esse a ringraziarvi».
Qui si è parlato solo di gratitudine, ma diverso è il discorso in
quest’altra lettera di un padre:
«De probitatis vestre fama, que litteralis scientie honore prefulget,
dumtaxat ex auditu confisus, discretioni vestre pro … filio dilecto mihi affectuosas porrigo preces, quatenus, si placet, ipsum dura castigatione prematis ad tam efficacem in litterali studio curam et sollicitudinem exhibendam, ut, Eius gratia mediante, que bonis adicit meliora,
filius subveniat voto patris. Vobis enim integre, qualibet dubitatione
57
sublata, quicquid merces vestra poposcerit, erogabo» .
«Confidando, almeno da ciò che sento, nella fama della vostra probità,
che rifulge per l’onore della scienza epistolare, rivolgo alla vostra di56
57
Cfr. Una silloge epistolare, ed. cit., nr. 204.
Cfr. Una silloge epistolare, ed. cit., nr. 203.
152
Fulvio Delle Donne
screzione preghiere affettuose riguardo a ..., figlio a me diletto, perché, se vi piace, con duro rigore lo spingiate a dimostrare tanto efficace cura e sollecitudine nello studio delle lettere, che, col favore della
grazia di Dio, che aggiunge cose migliori alle buone, il figlio esaudisca il desiderio del padre. Infatti, eliminato ogni ritardo, vi darò interamente tutto ciò che il vostro onorario richiederà».
Insomma, per fruire dell’alta dottrina di un rinomato insegnante, si era disposti a spendere qualsiasi cifra, forse nella considerazione che il possesso di una formazione e di una preparazione tecnica adeguata costituiva il presupposto essenziale per
innalzarsi a più alto rango sociale, grazie all’ingresso nell’amministrazione cancelleresca58: del resto, la fondazione dello Studium di Napoli, voluta da Federico II soprattutto per formare
una schiera di amministratori fedeli, contribuiva a offrire proprio
opportunità di questo genere59. Tuttavia, bisogna anche dire che
tali biglietti – da considerare come dei formulari, o quasi come
dei moduli precompilati – erano sicuramente scritti da maestri,
e, quindi, rispecchiavano il loro punto di vista e rispondevano
più ai loro interessi (soprattutto economici) che a quelli di coloro che li avrebbero firmati.
Dunque, da queste lettere sappiamo che in Terra di Lavoro
erano diffuse scuole, più o meno organizzate, in cui venivano
impartiti insegnamenti di dictamen, e che, molto spesso, tali insegnamenti erano di tipo occasionale, come si può evincere in
maniera evidente anche da una lettera con cui il già menzionato
Enrico di Isernia si scusa con Nicola da Rocca, per il fatto che:
58
Cfr. F. DELLE DONNE, Nobiltà minore e amministrazione nel Regno di
Federico II. Sulle origini e sui genitori di Pier della Vigna, «Archivio storico
per le Province Napoletane», 116 (1998), pp. 8-9.
59
Cfr. soprattutto G. ARNALDI, Fondazione e rifondazioni, cit., pp. 90 ss.; F.
DELLE DONNE, La fondazione dello Studium di Napoli: note sulle circolari
del 1224 e del 1234, «Atti dell’Accademia Pontaniana», 42 (1993), pp. 189
ss.; F. VIOLANTE, Federico II e la fondazione dello Studium, cit., pp. 65 ss.
La cultura nell’Alta Terra di Lavoro
153
«vobis in Ponte Curvo manentibus meum servicium specialiter non
obtuli, ut videlicet, quos habetis, ad me docendos liberos mitteret, ve60
stre scientie profluens scaturigo» ;
«non ho offerto in maniera particolare a voi, che stavate a Pontecorvo,
il mio servizio, così che avrebbe potuto mandare da me, perché venissero istruiti, i vostri figli, scaturigine feconda della vostra scienza».
Insomma, gli insegnamenti potevano essere impartiti anche
quando il maestro o gli allievi erano disponibili per poco tempo,
così come abbiamo visto anche nelle lettere sull’attività didattica
estiva di Nicola da Rocca.
È difficile dire se le attestazioni dell’occasionalità di tali insegnamenti siano relative solo ad alcuni maestri particolarmente
apprezzati, che del resto già svolgevano impegnativi incarichi di
tipo cancelleresco, oppure se il carattere di temporaneità fosse
tipico dell’insegnamento di tutti i maestri. In ogni caso, non va
dimenticato che le scuole locali erano proibite: pertanto, la mancanza di sistematicità dell’insegnamento poteva essere, forse, un
sistema per aggirare i divieti. Ma probabilmente l’abitudine di
improvvisare corsi era diffusa e radicata: e questo potrebbe farci
comprendere anche perché i divieti vennero sistematicamente
rinnovati dall’amministrazione imperiale e regia. Tuttavia, si potrebbe anche pensare che le scuole locali siano sorte soprattutto
in concomitanza con le ripetute chiusure dello Studium di Napoli61.
Forse, però, si trattava soltanto di insegnamenti di livello inferiore, gli unici consentiti, nonostante il tenore retorico riscontrabile in quelle lettere non sia proprio elementare. In ogni caso,
sia che in quelle scuole e in quei corsi si apprendessero solo i
rudimenti, sia che ci si confrontasse anche con le più alte ricercatezze del dictamen, il perfezionamento avveniva attraverso la
60
Cfr. Cfr. J. EMLER, Regesta diplomatica nec non epistolaria Bohemiae et
Moraviae, II, Annorum 1253-1310, Pragae 1882, p. 1119, nr. 2583. La lettera,
comunque, è stata controllata direttamente sul manoscritto che la contiene, il
nr. 3143 della Österreichische Nationalbibliothek.
61
Cfr. G. ARNALDI, Fondazione e rifondazioni, cit., pp. 81-105.
154
Fulvio Delle Donne
pratica, ovvero attraverso i contatti epistolari diretti tra gli stilisti, grazie ai quali i corrispondenti si tenevano in esercizio e raffinavano la propria tecnica. Non sono rari, infatti, gli scambi epistolari, di natura privata, tra illustri dictatores. Gli argomenti
potevano essere assai vari, come nel certame epistolare tra Giovanni di Capua, notaio pontificio, e Giordano di Terracina, cardinale e vicecancelliere papale, in cui si parte con le lamentele di
Giovanni, che si dichiara talvolta affaticato dalla sua «squalida
senectus»62, o angustiato dalla «suspiriosa paupertas» e dalla
«singultuosa sarcina debitorum»63, nonché dalla sorte, che non
ha voluto concedere benefici né a lui né ai suoi familiari64; ma
poi si passa a trattare di argomenti teologici e metafisici, come
nelle ultime tre lettere del certame, in cui si discute dell’«abyssus fulgoris»65.
Tuttavia, tali certami potevano avere anche natura completamente diversa, ed essere usati come occasione di distrazione o di
svago dalle fatiche del lavoro, come capita in quello che vide
coinvolti Pier della Vigna e Nicola da Rocca. Nelle otto epistole
di questo certame, cominciato da Pier della Vigna, che, non rivelando il proprio nome, subito viene rimbeccato da Nicola, i due
interlocutori si sfidano a colpi di ardite invenzioni retoriche e artificiose costruzioni sintattiche in uno scontro in cui entrambi
dichiarano invitta l’arte del contendente. Evidentemente, lo scopo era quello di dimostrare la propria alta capacità letteraria, così da essere onorati e celebrati, così come capita per Nicola da
Rocca, che così viene elogiato, attraverso la menzione della sua
patria:
«O Rocca felix, excelsi montis elata cacumine, que talem et tantum filium genuisti, qui sapientie verus amator, speculator amatus ab omnibus, inter ceteros redolens ut lilium inter flores, et inter sidera lucifer
66
mentis illustratione corruscans, te sedem securitatis elegit» .
62
P. SAMBIN, Un certame dettatorio tra due notai pontifici. Lettere inedite
di Giordano di Terracina e di Tommaso di Capua, Roma 1955, p. 39 (I 17).
63
P. SAMBIN, Un certame dettatorio, cit., p. 26 (I 5).
64
P. SAMBIN, Un certame dettatorio, cit., pp. 25 ss. (I 5), e pp. 38 s. (I 16).
65
P. SAMBIN, Un certame dettatorio, cit., pp. 41-49 (I 19-21).
66
Cfr. NICOLA DA ROCCA, Epistolae, ed. cit., nr. 1, p. 6.
La cultura nell’Alta Terra di Lavoro
155
«O felice Rocca, elevata sulla sommità dell’alto monte, che generasti
un tale e tanto grande figlio, il quale, vero amante della sapienza, indagatore amato da tutti, che profuma tra gli altri come il giglio tra i
fiori, e tra le stelle stella mattutina, che splende per la lucidità della
mente, te scelse come sede di sicurezza».
Del resto, la celebrazione di Rocca, che abbiamo appena letto, è costruita simmetricamente a quella di Capua e della Terra
di Lavoro fatta da Nicola da Rocca per esaltare Pier della Vigna:
«O felix vinea, que, felicem Capuam tam suavis fructus ubertate reficiens, Terram Laboris irradians, et remotos orbis terminos instantia
67
tue fecunditatis irradiare non cessas» .
«O felice vigna, che, rinvigorendo la felice Capua con la fecondità di
un frutto così soave, irradiando la Terra di Lavoro, non cessi di irradiare con la premura della tua fecondità anche i remoti termini della
terra».
Questa menzione celebrativa della Terra di Lavoro ci rende
consapevoli, dunque, del ruolo assunto da quella regione nell’evoluzione culturale del Tardo Medioevo. Proprio lì, del resto,
l’ars dictaminis venne formalizzata per la prima volta, intorno al
1080, da Alberico, un monaco e maestro dell’abbazia di Montecassino, che con il suo Breviarium de dictamine offriva i rudimenti dell’arte di scrivere epistole. E sempre lì trovò così ampio
sviluppo e così attenta considerazione da costituire una parte decisamente preponderante di tutta la produzione letteraria.
L’insegnamento retorico, infatti, finì per diventare, soprattutto in Italia, insegnamento precipuo di ars dictaminis, e ciò avvenne, molto probabilmente, perché rispondeva a nuove esigenze politiche, che facevano sentire la necessità di reclutare funzionari che sapessero non solo adempiere mansioni amministrative, ma che fossero anche capaci di dare forma adeguata ai
messaggi che dovevano trasmettere attraverso la loro produzione
scritta. In tale contesto, un ruolo preponderante fu svolto dalla
67
Cfr. NICOLA DA ROCCA, Epistolae, ed. cit., nr. 15, p. 32.
156
Fulvio Delle Donne
tradizione retorica della Terra di Lavoro, dove trovarono natali e
formazione i dictatores che abbiamo già menzionato e altri ancora, come Stefano di San Giorgio o Giovanni di Castrocielo,
che furono, l’uno insigne consigliere presso le corti inglese, papale e angioina; l’altro potente vescovo di Benevento e cardinale68. Tutti, comunque, furono innanzitutto esperti di dictamen e,
nella maggior parte dei casi, notai delle più importanti cancellerie dell’epoca, come quella papale o imperiale.
Tuttavia, questi dictatores attivi negli uffici di cancelleria non
si dedicavano solo alla compilazione dei documenti ufficiali, che
dovevano scrivere in nome di papi, imperatori o sovrani. Anzi,
come abbiamo visto, ci è stato tramandato un grandissimo numero di loro lettere di tipo privato e amichevole, che pure sono
caratterizzate dall’estrema cura ed elaborazione formale: forse
perché, in quel modo, essi davano espressione al loro desiderio
di dimostrare in ogni occasione la propria maestria e la propria
alta competenza retorico-letteraria; forse perché era proprio
quello il loro paradigma culturale, che non permetteva di uscire
al di fuori di determinati orizzonti concettuali. Così, anche
quando la parola poteva costituire oggetto di svago, quello svago poteva sussistere solo entro i limiti del lusus retorico. Del resto, simile funzione ebbe anche, in linea di massima, la produzione poetica di quegli ufficiali della cancelleria sveva, con cui
nacque la scuola poetica siciliana.
In ogni caso, le lettere di cui abbiamo parlato ci permettono
di ampliare le nostre conoscenze sul XIII secolo. Senza la loro
lettura, infatti, avremmo una visione piuttosto alterata dell’epoca. E non solo dal punto di vista delle strutture sociali, o di quelle politico-amministrative, ma anche da quello degli sviluppi
culturali, in cui la Terra di Lavoro, appunto, ricoprì un ruolo assolutamente preponderante. Fu proprio grazie alle scuole locali
della Terra di Lavoro, per quanto legate alla disponibilità occasionale di questo o quel prestigioso maestro e per quanto aperte,
forse, a ristretti gruppi di amici, che, non solo per tutta l’epoca
68
Su questi due personaggi si veda soprattutto l’introduzione a Una silloge
epistolare, cit.; F. DELLE DONNE, “Cipriani martiris epistolare opus offero ad
scribendum”, cit., pp. 115 ss.
La cultura nell’Alta Terra di Lavoro
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sveva, ma anche nel primo periodo della dominazione angioina,
si tenne alto il livello letterario dell’arte epistolare del Regno.
Un livello che raggiunse vertici tali, che i dictamina dei maestri
della Terra di Lavoro, con la loro armonia ritmica, con i loro
preziosismi verbali, con le loro ardite costruzioni sintattiche,
vennero riconosciuti a lungo come modelli assoluti di perfezione, non solo in Italia, ma in tutta Europa69.
69
Sulla diffusione europea di quei dictamina cfr. soprattutto E.H.
KANTOROWICZ, The Prologue to Fleta, cit., pp. 167-183; ID., Petrus de Vinea
in England, in ID., Selected Studies, cit., pp. 213-246 (il saggio apparve la
prima volta in «Mitteilungen des Österreichischen Instituts für Geschichtsforschung», 51, 1937, pp. 43-88); H. WIERUSZOWSKI, Politics and culture in
medieval Spain and Italy, Roma 1971, pp. 373-374, 433-435. Su questi problemi, da ultimo, si è a lungo soffermato Benoît GRÉVIN nella sua tesi di dottorato, molto ben documentata, discussa a Parigi nel 2005, su Les Lettres de
Pierre de la Vigne. Histoire sociale d’un style médiéval XIIIe-XVe siècle. Questo lavoro dovrebbe andare in stampa tra poco per i tipi dell’École Française
di Roma, col titolo Histoire sociale d’un style médiéval. Les Lettres de Pierre
de la Vigne, l’ars dictaminis sud-italienne et la transformation du langage
politique médiéval XIIIe-XVe siècle.