Vincere il male con il bene

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Vincere il male con il bene
Vincere il male con il bene
di Carlo Molari
in “Oreundici” del settembre 2014
“Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male": scrive san Paolo al capitolo 12
(versetto 21) della lettera ai Romani, il suo capolavoro. Credo sia un'indicazione molto in sintonia
con il messaggio del Vangelo, che Paolo non aveva ascoltato da Gesù ma che, dopo la sua
conversione, aveva interiorizzato in modo profondo.
Qual è il significato di questa espressione?
il bene e il male
Per coglierlo in profondità partiamo dalla differenza tra il bene e il male. Per noi che crediamo in
Dio il bene è il dato costitutivo perché esiste in sé.
La riflessione che propongo si svolge nell'orizzonte della fede in Dio, che caratterizza il nostro
cammino. Quando parliamo di fede in Dio, non ci riferiamo tanto alla dottrina relativa a Dio, un
dato secondario che contiene sempre componenti provvisorie costituite dall'orizzonte culturale,
quanto piuttosto all'atteggiamento vitale di abbandono fiducioso. Vivere la fede in Dio vuol dire
affidarsi senza riserve al Bene di fondo, assoluto, ragione e fonte del processo in cui siamo inseriti.
All'inizio c'è il Bene e solo il Bene: questa è la convinzione che alimenta la fiducia e rende possibile
l'accoglienza. Noi però, come creature, non possiamo accogliere la forza del bene in modo totale e
compiuto in un solo istante perché non abbiamo gli spazi sufficienti per interiorizzarlo. Per questo il
tempo è una componente essenziale della nostra struttura di creature: nasciamo incompiuti e
imperfetti; diventiamo noi stessi solo nella successione delle esperienze storiche.
Dalla condizione temporale derivano l'imperfezione, l'insufficienza, l'inadeguatezza che ci
accompagnano dall'inizio lungo tutto il camino della vita. Il male quindi ci accompagnerà sempre
come un'ombra, espressione della nostra incapacità di accogliere, in un solo istante, compiutamente,
tutta la perfezione, che ci costituisce.
Il male e il bene quindi non fanno parte della nostra realtà allo stesso titolo e non hanno la stessa
portata: il bene infatti è originario, mentre il male è conseguenza del limite nella nostra accoglienza
del bene. Nell'antichità molti pensavano che fin dall'inizio esistessero due forze contrastanti, il bene
da una parte e il male dall'altra, che a volte venivano anche personificate in un dio buono e in un dio
cattivo. Nella prospettiva cristiana invece il male e il bene non stanno sullo stesso piano, perché il
dato fondamentale è il Bene. Per questo è possibile vincere il male con il bene. E se in certe
situazioni il male prevale, è perché il bene non è stato accolto in modo sufficiente e adeguato.
Dicendo che il bene è originale ed è radicale non vogliamo assolutamente negare che nella
creazione il bene cominci ad esprimersi in una forma molto imperfetta e molto limitata, perché la
struttura accogliente all'inizio è molto elementare e può trattenere soltanto informazioni appena
sufficienti ad avviare il processo. Solo con lo sviluppo delle strutture accoglienti la perfezione delle
creature cresce con il tempo e il Bene ha la possibilità di esprimersi in modo molto più profondo.
il mito degli inizi perfetti
Questa prospettiva contrasta con un modello che è stato prevalente nella cultura umana fino a non
molto tempo fa. Tutte le culture primitive che conosciamo possiedono il mito degli inizi perfetti,
(l'età dell'oro, il continente di Atlantide, il Paradiso terrestre..). Questa visione è infondata: non è
mai esistita una creazione in stato compiuto, né un'umanità perfetta, appunto perché tutte le creature
sono in grado di accogliere la perfezione solo a frammenti, nelle successione di situazioni
temporali. Alcuni psicologi e psicosociologi interpretano l'universalità dell'idea della perfezione
iniziale come residuo dell'esperienza che noi umani facciamo venendo al mondo: l'esperienza fetale
e la nascita abitualmente sono accompagnate da molto amore e armonia, da molta attenzione e cura.
È un'esperienza profondamente positiva che quasi tutti ci portiamo dentro, anche se non ne abbiamo
memoria esplicita.
Partendo da questo presupposto della perfezione iniziale, il male è stato per lungo tempo
considerato come un ostacolo all'ammissione di Dio come creatore: l'esistenza del male è stato uno
degli argomenti più frequenti contro la fede in Dio come principio positivo.
Nel romanzo postumo Roma senza Papa (Adelphi 1974) dove era di scena una chiesa che si perde
dietro bazzecole di teologia, Guido Morselli poneva domande angosciose ai teologi sul problema
del male: 'fatica inutile', non rispondono, nota amaramente lo scrittore. Ci sono troppe sofferenze
nel mondo ecco perché non posso credere. In una lettera a un professore dell'Istituto Leone XIII di
Milano, di cui era stato alunno scriveva: «Dio non esiste o è cattivo, oppure, come preferisco dire
io, è andato in pensione».
Voglio ricordare anche un volume intitolato Il monaco e il filosofo, scritto da Jean Franois Revel e
Mathieu Ricard.
Revel è un filosofo francese ateo, Mathieu Ricard è suo figlio, monaco tibetano. Il filosofo aveva
educato il figlio all'ateismo, ma a 26 anni questi lasciò una brillante carriera di biologo per diventare
monaco buddista. In questo libro il padre interroga il figlio per rendersi conto, dopo più di vent'anni,
delle motivazioni che lo hanno condotto a una scelta così radicale e strana ai suoi occhi e per
conoscere a fondo le sue convinzioni religiose. Uno dei temi affrontati è precisamente il problema
del male: «Ci si tormenta cercando di spiegare che l'apparizione del male nel mondo non è dovuta a
Dio stesso, ma a tutta una serie di fattori accidentali. Ora, delle due cose l'una: o è onnipotente e
allora è responsabile del male o non è onnipotente e allora non è Dio». Il filosofo riprende poi le
riflessioni di Voltaire in Candido, in occasione del terremoto che distrusse Lisbona nel 1755, che
l'autore considera come «illustrazione ironica ma impressionante di quello che è veramente un
problema insolubile». Il figlio buddista non parla di Dio, anzi è d'accordo col padre che il male sia
uno degli argomenti fondamentali per negare Dio: «È appunto uno dei ragionamenti utilizzati dal
buddismo per respingere l'idea di un creatore onnipotente».
Dobbiamo riconoscere che il problema del male visto in questo modo costituisce realmente uno
degli argomenti contro un'immagine di Dio che spesso, anche nella nostra storia, abbiamo
presentato e difeso.
gli argomenti contradditori dei credenti
D'altra parte i credenti in Dio hanno spesso addotto argomenti contradditori e insensati per spiegare
la presenza del male nella creazione e nella storia. Come se Dio con la sofferenza voglia mettere
alla prova l'uomo e la sua fedeltà. La stessa morte di Gesù è stata spesso presentata come offerta
fatta a Dio per il riscatto degli uomini.
Dobbiamo dire con chiarezza che Gesù ci ha redenti non perché ha sofferto, ma perché ha
continuato ad amare quando gli uomini lo uccidevano. Egli è giunto ad esprimere all'interno della
sofferenza una forza d'amore straordinaria. La morte di Gesù è un evento in se stesso malvagio,
contrario al volere di Dio, espressione di ingiustizia e di violenza.
Il citato Guido Morselli, morto suicida nella sua casa di Varese alla fine del luglio 1973, in un brano
del suo diario, pubblicato postumo con il titolo Perché non possiamo credere, espone la difficoltà in
modo molto lucido: «In conclusione siamo autorizzati a considerare sacrileghi e blasfemi tutti quelli
che ci tengono a dire che dobbiamo riconoscere la mano di Dio nelle sofferenze, nelle sventure che
incontriamo, che sarebbero mezzi di cui si vale per ottenere uno scopo buono finale. Quanti parlano
così sono nemici di Dio e della fede e attribuiscono alla divinità un modo di procedere di cui loro
stessi uomini si vergognerebbero, se sono uomini perbene».
Quanto all'argomento della onnipotenza anche dal punto di vista cristiano, non si deve dire che Dio
sia onnipotente nella creazione, per una ragione molto semplice: perché l'azione di Dio nella
creazione e nella storia si esprime sempre attraverso creature, quindi è sempre limitata. Non c'è
alcun evento storico che esprima una potenza divina nella creazione e nella storia. La perfezione è
in Dio, nelle dinamiche divine tutto viene comunicato e trasmesso, ma nella creazione e nella storia
tutto è limitato dalle strutture create. È nel compimento, quando Dio «sarà tutto in tutti» (1 Cor. 15,
28) che la perfezione sarà armonica e, soprattutto attraverso i rapporti, il dono verrà compiutamente
accolto e comunicato.
Chiarito questo punto, cioè che il male esiste come limite e non possiamo eliminarlo dalla storia,
chiediamoci ora cosa significhi e che cosa implichi da parte nostra, a livello personale e sociale,
l'espressione di Paolo «non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene».
non accogliere le dinamiche del male
Non lasciarsi vincere dal male significa non accogliere e assecondare le dinamiche del male, quindi
non imitarle. Noi siamo portati ad imitare ciò che vediamo. L'esperienza stessa ha messo in luce
questo dato fondamentale per la nostra educazione, cominciamo la vita imitando. Il problema è che
non sempre ciò che appare intorno a noi sviluppa e induce dinamiche buone, perché spesso la
violenza, la menzogna, l'ingiustizia prevalgono e in ogni caso il bene è sempre accompagnato da
limiti e da insufficienze. Ora non lasciarsi vincere dal male significa discernere chiaramente quali
sono le dinamiche positive e non assecondare o imitare quelle negative.
Sia il discernimento che la resistenza devono essere apprese, perché nella nostra azione le spinte
istintive precedono sempre quelle libere e quelle consapevoli. Le spinte istintive sono registrate nel
nostro cervello dai primi momenti, quando ancora non eravamo coscienti, quando sentivamo gelosia
dei fratelli e delle sorelle o reagivamo in modo inconsapevole a stimoli negativi. Allora si sono
insediate dentro di noi alcune dinamiche istintive che precedono sempre ogni scelta che facciamo.
Non lasciarsi vincere dal male significa prendere coscienza della imperfezione dei limiti delle
nostre reazioni: esse non corrispondono sempre alle esigenze del bene e allo sviluppo della vita.
Inoltre non lasciarsi vincere dal male significa non imitare il male che ora ci assale o che gli altri
compiono. Dobbiamo renderci conto delle nostre reazioni alle spinte del male. Perché se ne
assecondiamo le dinamiche o reagiamo nella stessa linea, noi di fatto moltiplichiamo il male.
Spesso capita che in questo modo amplifichiamo il male: se una persona ci offende e noi la
offendiamo a nostra volta o nutriamo sentimenti negativi nei suoi confronti amplifichiamo il male
che ci investe e lo moltiplichiamo. «Non lasciarti vincere dal male» implica che dobbiamo assumere
un atteggiamento diverso dallo stimolo che ci perviene. Assumere un atteggiamento diverso
consente di non lasciarci vincere ma di esprimere dinamiche positive quando ci investono spinte
negative.
Saremmo tentati di interpretare questa formula nel senso di poter eliminare radicalmente il male,
dalla storia o dalla nostra esistenza. Dobbiamo invece sapere che il male ci accompagnerà fino alla
fine. Il male continuamente fiorisce dal limite e dalla insufficienza della condizione creata. A livello
sociale le nuove situazioni sempre più complesse, spesso ambigue e ingiuste favoriscono gli errori e
moltiplicano le possibilità di male. Vincere il male non significa sopprimerlo ed eliminarlo dalla
storia ma redimerlo avvolgendolo di bene.
Come e perché è possibile vincere il male?
Qui entra in gioco l'orizzonte della fede in Dio, la fede in una forza più grande di quella che noi
attualmente abbiamo ma che possiamo accogliere ed esercitare. La nostra crescita personale è
costituita appunto dall'ampliamento della capacità di accoglienza delle forze del bene. Credendo in
Dio, riteniamo che nella nostra vita sia in gioco una forza di bene più grande delle nostre attuali
capacità operative. Possiamo accogliere energie nuove di vita e giungere ad esprimere capacità di
bene che non abbiamo ancora mai esercitato. Ma tutto questo richiede esercizio, capacità di
accoglienza che si acquista poco per volta, nel tempo.
Questo è il punto fondamentale: la necessità di un'educazione, di un allenamento, di un esercizio per
diventare capaci di bene. Non è una risorsa già in nostro possesso, ma da acquisire e possiamo
accoglierla perché esiste e si offre continuamente a noi.
Questa esperienza diventa la verifica della fede in Dio. Se noi non abbiamo verifiche di questo tipo
Dio diventa un fantasma, un punto di riferimento intellettuale o dottrinale, ma non un principio di
vita per noi. Al contrario, avere fede in Dio significa verificare che dando fiducia, aprendoci alla
forza della vita, a quella 'energia arcana' (come la chiama il Concilio nella Nostra Aetate n. 2) che
alimenta la nostra esistenza, siamo in grado di esprimere un bene che prima non esprimevamo: di
compiere atti amore, di manifestare forme di misericordia, di consegnare doni di consolazione, che
prima non eravamo in grado di realizzare.
Questa verifica della vita di fede ci è necessaria costantemente, perché le verifiche del passato non
bastano al futuro: ogni giorno dobbiamo scoprire che esiste una forza di vita per cui possiamo
vincere il male e crescere nel bene. La fede in Dio deve condurci pian piano a diventare capaci di
esprimere il bene in una modalità nuova. Ancora non totale e non completa, per cui dovremo ancora
sperimentare limiti e insufficienze, ma anche pian piano giungere ad una pienezza di relazione, ad
una ricchezza di vita che garantisce la continuità del cammino.
la preghiera
In questo senso anche la preghiera non è l'invocazione perché Dio faccia qualcosa al nostro posto.
Pregare non significa dire a Dio: «fa Tu quello che io non posso fare». No! pregare serve per
diventare noi capaci di fare quello che non siamo ancora in grado di fare. Ci immergiamo nel
silenzio, nell'energia vitale che ci avvolge, per esprimerla compiutamente in pensieri nuovi, in stati
d'animo inediti, in una attività creatrice.
Allora diventiamo capaci di vincere il male col bene. Certo, i modelli con cui nella Bibbia vengono
presentati i processi storici sono modelli che corrispondevano alla visione che loro avevano di Dio e
della sua azione, ma oggi non possiamo più esprimerla così. Dio non può combattere al nostro
posto, Dio non può operare accanto a noi o aggiungere qualcosa alla nostra azione. L'azione di Dio
ci rende capaci di vincere il male, ma non possiamo pretendere che Dio vinca il male per noi, al
nostro posto, perché nella storia solo le creature sono operanti.
In questa prospettiva si può capire bene che l'impegno della nostra vita spirituale è immergerci
nell'energia della vita, nella forza creatrice che ci avvolge, così da essere in grado pian piano di
esprimere delle potenze di bene sempre più profonde, più radicali, più purificate e più universali.