gestione delle espatriate mast er ru o 2013/14
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GESTIONE DELLE ESPATRIATE MASTER RUO 2013/14 Candidati: Daniela Carrozza Antonio De Pascali Marica Di Marino Marika Gurnale Bianca Traina 1 Indice Introduzione .................................................................................................................................. 3 Capitolo 1 Processi di internazionalizzazione: il rapporto tra casa madre e sussidiarie 1.1 Modalità operativa per gestione delle relazioni inter-aziendali ............................................. 5 1.2 La diffusione della corporative culture ................................................................................. 6 Capitolo 2 Expatriates management: reclutamento e selezione 2.1 Tecniche di selezione .......................................................................................................... 7 2.2 Reclutamento e selezione: i casi aziendali .......................................................................... 8 Capitolo 3 Formazione multiculturale (cross-cultural training) 3.1 Il culture shock .................................................................................................................. 11 3.2 Le tecniche di formazione.................................................................................................. 12 3.3 Dalla teoria alla pratica: i case studies ............................................................................... 13 Capitolo 4 La gestione operativa degli espatriati 4.1 I sistemi salariali ................................................................................................................ 15 4.2 La politica retributiva ......................................................................................................... 16 4.3 Politiche di neutralità fiscale .............................................................................................. 17 4.4Trattamento economico in sede estera .............................................................................. 18 Capitolo 5 Il rientro nel Paese d’origine: superare il re-entry shock e portare valore all’organizzazione 5.1 Il processo di riadattamento .............................................................................................. 19 5.2 Il supporto organizzativo alla gestione del rientro .............................................................. 20 Conclusioni ................................................................................................................................ 22 Allegati ........................................................................................................................................ 23 Bibliografia ................................................................................................................................. 25 2 INTRODUZIONE FORME DI ESPATRIO: LO SVILUPPO DI CARRIERA IN UN CONTESTO GLOBALE L’IHRM viene oggi considerata come una delle principali attività aziendali per il successo delle strategie internazionali, infatti nel corso dell’ultimo decennio si è assistito ad uno sviluppo sempre maggiore degli studi della gestione delle risorse umane in missioni internazionali. Molteplici sono le ragioni che spingono a studiare questo fenomeno, prime tra tutte la crescita della competizione globale che ha portato ad un incremento delle aziende multinazionali e, di conseguenza, ad uno sviluppo e diffusione del concetto di “mobilità” (infatti alcune aziende che precedentemente non erano coinvolte nei fenomeni di internazionalizzazione oggi lo sono). Le tematiche fondamentali sono, dunque, connesse ai problemi legati alla gestione delle persone inviate in missione all’estero da organizzazioni internazionali e si dividono principalmente tra selezione e reclutamento, formazione e sviluppo, sistemi di remunerazione, trattamento fiscale e giuslavoristico in sede estera. A queste si devono poi aggiungere quegli elementi di complessità che derivano dai diversi contesti nazionali e dalle differenze linguistiche e culturali in campo aziendale. L’ambiente economico globale è molto cambiato negli ultimi decenni grazie a diversi fattori quali le molteplici opportunità offerte dalla tecnologia e i nuovi canali distributivi, la crescita della capacità produttiva nei Paesi emergenti e l’apertura di nuovi mercati, ma soprattutto la consapevolezza di essere parte di un inesorabile processo di internazionalizzazione. La crescita internazionale delle imprese, dunque, richiede sempre più la capacità di formare “manager globali” che siano in grado di confrontarsi con contesti culturali, organizzativi e competitivi diversi, e di conseguenza il management ha dovuto rapidamente attrezzarsi per far fronte alla portata dei cambiamenti. La gestione delle risorse umane infatti è stata chiamata, da un lato, a fronteggiare la necessità di avere personale qualificato, dall’altro, a coordinare flussi sempre più importanti non solo di persone ma anche di idee e competenze. La più grande sfida che la gestione delle risorse umane deve affrontare è quella di standardizzare il più possibile e, al tempo stesso, riuscire ad adattarsi ai nuovi mercati e ai contesti socio-politici, al fine di conservare un alto livello di competitività. In questo panorama, la gestione del personale espatriato resta un elemento fondamentale e in campo internazionale rappresenta ancora un importante pratica di HRM, che dovrebbe essere sempre congruente con la strategia aziendale. Nell’espatrio tradizionale, il lavoratore si trasferisce in modo semi-permanente nel paese di destinazione, portando con sé il partner e/o la famiglia per un periodo di tempo medio-lungo, con conseguenti problemi di adattamento sia nella fase di partenza che in quella di rientro. Gli espatri tradizionali comportano un notevole investimento di cui è difficile misurare i ritorni. I costi elevati associati a questo tipo di incarico hanno perciò portato alla ricerca di soluzioni alternative, ovvero forme di espatrio meno costose per le aziende: Espatrio a breve termine. Può variare a seconda delle aziende, ma in generale si definisce come una missione più lunga rispetto ad un semplice viaggio di lavoro ma di durata inferiore a un anno, che generalmente non prevede l’espatrio della famiglia. Tali incarichi vengono generalmente realizzati per risolvere problemi temporanei o per trasferire conoscenze, effettuare controlli sulle sussidiarie, sviluppare qualità manageriali o realizzare progetti specifici. Essi hanno il vantaggio di incrementare flessibilità ed efficienza dello spostamento, eliminando i costi monetari e psicologici del trasferimento della famiglia. Le difficoltà consistono in problemi di tassazione, relativi al prolungato distacco dalla famiglia e nelle difficoltà di stabilire relazioni efficaci con i colleghi e i clienti locali. Espatrio frequent flyer o International Business Traveller (IBT). Si tratta di persone per le quali il viaggio di lavoro è una componente essenziale dell’incarico. Questa forma di espatrio permette di ottenere i vantaggi della relazione diretta senza gli svantaggi derivanti dalla necessità di trasferire fisicamente i manager e le loro famiglie con tutti i problemi che ne conseguono. Tuttavia, viaggi molto frequenti incrementano lo stress e perciò diventa difficile il bilanciamento della vita privata con quella lavorativa. 3 Pendolari e incarichi a rotazione. Si definiscono pendolari quei dipendenti che lavorano sia nel paese d’origine, sia in quello ospitante, trasferendosi da un luogo all’altro una o due volte la settimana; si parla di incarichi a rotazione, invece, quando vi è alternanza di brevi periodi in entrambe le sedi. In tal modo vengono mantenute strettissime relazioni sia con l’headquarters che con la sede estera. Pur avendo il vantaggio di evitare le difficoltà dovute alla ricollocazione del nucleo familiare, vi sono problematiche legate allo stress e a difficili relazioni interpersonali tra un Paese e l’altro. Global virtual team. Questi sono gruppi di lavoro internazionali virtuali che si compongono di un team di persone collocate in aree geograficamente distanti tra loro che operano e coordinano il lavoro attraverso l’uso delle ICT. Le persone così impiegate, pur restando nel Paese d’origine, hanno la responsabilità di gestire il personale dislocato all’estero. Questi team hanno il difetto di non poter essere utilizzati in attività in cui è richiesta una comunicazione face to face. In conclusione, l’aumento di complessità dovuto al sovrapporsi di diverse forme di espatrio richiede alle Direzioni Risorse Umane di adeguarsi sia in termini di gestione amministrativa e burocratica sia in termini di politiche e di pratiche di supporto attivo. 4 1. PROCESSI DI INTERNAZIONALIZZAZIONE: IL RAPPORTO TRA CASA MADRE E SUSSIDIARIE 1.1 MODALITA’ OPERATIVE PER LA GESTIONE DELLE RALAZIONI INTER-AZIENDALI La struttura di una multinazionale si presenta caratterizzata da un tipo di burocrazia con una forte funzione di comando centrale e di controllo su una struttura geograficamente disomogenea ma unificata dal punto di vista organizzativo. In tale scenario, il controllo informale e gli aspetti gerarchici sono divenuti un tema fondamentale, che ha consentito alle aziende di possedere, al contempo, una funzione di integrazione e una imprenditoriale. Di conseguenza, la casa madre può orientarsi verso economie di scala, essere in grado di valorizzare le sussidiarie capaci e far leva sulla conoscenza distribuita in azienda. I processi di internazionalizzazione cambiano in base al grado di centralizzazione o decentralizzazione dell’azienda. Nel primo caso si tende a mantenere la cultura dominante e il controllo centrale, mentre nel secondo viene lasciata autonomia e spazio alle sussidiarie. Le modalità di gestione del rapporto tra casa madre e sussidiarie influenzano notevolmente anche le scelte inerenti al personale stesso. In merito a ciò, infatti, sono stati emersi vari approcci che determinano un peculiare tipo di “atteggiamento” dell’azienda rispetto ai processi di internazionalizzazione. Gli studiosi Howard V. Perlmutter e David H. Heenan (1979), esperti in sviluppo delle imprese internazionali, hanno ideato l’EPGR Model, il cui acronimo è appunto basato sui tre mindsets fondamentali di un IHR manager: Approccio etnocentrico: le posizioni più rilevanti nelle filiali estere sono ricoperte da personale proveniente dalla casa madre (PCN: Parent-Country Nationals). Questo si presenta caratterizzato da: - diretto controllo della filiale estera; - impossibilità di sviluppare manager locali; - rischio di uno scarso adattamento e performance poco produttiva dell’espatriato. Tale approccio si riscontra principalmente nei casi in cui il Paese ospitante non offre competenze manageriali al livello locale capaci di garantire il controllo della sussidiaria. Pertanto, la figura dell’espatriato risulta la soluzione più efficace per esportare la metodologia lavorativa dell’azienda e la cultura e i valori che appartengono ad essa. Approccio policentrico: le posizioni chiave della sussidiaria sono selezionate dal Paese ospitante (HNC: Host-Country Nationals). - Sono fortemente valorizzate le differenze culturali per poter aiutare i manager locali a gestire al meglio le caratteristiche dei mercati e dei Paesi in cui opera l’azienda. - Presenta numerosi vantaggi economici derivanti dall’assunzione in loco e fa si che si riducano di gran lunga i problemi di comunicazione interculturale. Approccio globale: si va oltre ogni distinzione culturale perché mira al reclutamento dei profili migliori prescindendo dalla nazionalità (Third Country Nationals). - Permette la creazione di un team perfettamente internazionale giacché casa madre e sussidiare collaborano costantemente nella trasmissione di politiche e pratiche di risorse umane; - Può rivelasi particolarmente dispendioso. Approccio regiocentrico: prevede che all’interno di una stessa area geografica vi siano persone di nazionalità della casa madre, del posto e provenienti da Paesi terzi. Le attività sono dunque divise per area geografica. La scelta tra questi tipi di approccio dipende dal livello di internazionalizzazione dell’azienda ma anche dal suo orientamento culturale e dai tipi di settore e mercati serviti. 5 In allegato 1 si presenta uno schema utile per comprendere le conseguenze nei processi decisionali di una organizzazione in base al livello di autorità dell’headquarter. 1.2 LA DIFFUSIONE DELLA CORPORATE CULTURE Nell’insieme degli elementi che caratterizzano il processo di internazionalizzazione la letteratura tende ad attribuire sempre maggiore importanza alla cosiddetta corporate culture, ovvero alla “cultura aziendale” intesa come vero e proprio DNA dell’impresa. Tale caratterizzazione si rivela particolarmente determinante per la definizione delle scelte strategiche sia in un contesto locale che in ambito internazionale. Pertanto, le imprese multinazionali stanno imparando a trasferire gli elementi culturali oltre i confini nazionali per creare quella che sarà la propria cultura uniforme, efficace in tutto il mondo. Portare la corporate culture in un Paese straniero rappresenta un sfida per l’impresa poiché gli orientamenti del core strategico non possono affatto determinare le politiche delle unità periferiche, né i sistemi di gestione interni possono rimanere totalmente radicati alla cultura d’origine. La capacità di gestire questi rapporti si realizza attraverso un processo in continua evoluzione, basato sul grado di collaborazione e di coordinamento tra le varie unità coinvolte. A tal proposito si possono individuare alcuni aspetti problematici della gestione internazionale delle risorse umane nei rapporti tra casa madre e sussidiarie, tra cui: - la difficoltà nel costruire un rapporto di fiducia; - l’equilibrio tra decentramento e accentramento organizzativo e decisionale; - le complessità nei processi di comunicazione. In questo processo di trasmissione di valori culturali, la figura dell’espatriato svolge una funzione di “ponte” giacché ha come missione anche quella di sviluppare le specificità locali senza perdere di vista la prospettiva globale. Un studio effettuato da AIDP (Associazione italiana per la direzione del personale) riguardo la relazione tra HQ straniero e la sua sede locale cinese, rileva come, talvolta, per trovare le qualità di adattabilità al contesto sia preferibile inviare “in frontiera” manager giovani, di potenziale, che però spesso non possiedono doti di leadership ben consolidate. Questi, allo stesso tempo, mostrano buone capacità di adattamento che permettono loro di decodificare al meglio le rispettive realtà e di fare da ponte di collegamento nelle dinamiche aziendali, “parlando lo stesso linguaggio della corporate”. Oltre a possedere competenze tecniche, chiaramente richieste dalla tipologia d’impiego, l’International manager deve possedere la capacità di far comprendere le differenze culturali, fornire informazioni sul modo in cui un’organizzazione può coordinare tali variazioni, assicurarsi che gli altri manager abbiano competenze cross-cultural e ovviamente comprendere il marketing e la finanza internazionale. Ѐ dunque interessante analizzare come quelle che si definiscono soft skills quali la sensibilità alle differenze culturali, la curiosità o la predisposizione all’ascolto, possano facilitare non soltanto la relazione tra personale straniero e locale ma anche quella tra sede locale e casa madre. 6 2. EXPATRIATE MANAGEMENT: RECLUTAMENTO E SELEZIONE 2.1 TECNICHE DI SELEZIONE La gestione delle risorse umane internazionali (IHRM) evidenzia come esista un elemento senza il quale nessun modello di business, strategia aziendale e innovazione può essere attivata: “le persone”. Nello specifico, “avere le persone giuste al posto giusto” è un classico tema per le Risorse Umane che si arricchisce di elementi quali le caratteristiche dei Paesi di destinazione, il coordinamento e il controllo tra la sussidiaria locale e la casa madre, la conoscenza e lo sviluppo di talenti globali che sostengano le diversità interculturali. Il successo di un IHRM necessita di un sistema coerente tra strategia, struttura e reclutamento (Holtbrugge, Mohr, 2011): non esistono metodi di recruitment, compensation e sviluppo di per sé eccellenti, ma l’ eccellenza è dovuta al fatto che essi siano collegati tra loro e con gli altri elementi dell’organizzazione, in modo da rispondere in maniera tempestiva alle opportunità offerte dalla globalizzazione. La coerenza tra le diverse attività delle risorse umane internazionali diventa complessa, essendo mossa da due esigenze apparentemente opposte quali la personalizzazione delle proprie prassi di selezione e la necessità di avere degli standard globali di riferimento. La letteratura scientifica sul tema della selezione delle espatriate evidenzia quali possano essere gli standard principali su cui riflettere. Gli elementi che consentono una performance di successo sono raggruppabili in macrocategorie quali: Tecnical and Managerial Skills Le competenze tecniche e manageriali sono spesso il primo, talvolta anche l’unico, criterio di selezione delle aziende. La scelta della persona avviene attraverso la valutazione delle capacità, delle conoscenze e delle abilità relative allo svolgimento tecnico della mansione richiesta. Le competenze tecniche sono tipiche per ogni specifica professione e sebbene si correlino positivamente con performance di eccellenza, tendono tuttavia ad essere un criterio sopravvalutato: il fatto di saper svolgere il proprio lavoro non è sufficiente a comprendere se la persona sia adatta un incarico internazionale (Caligiuri et all, 2009). Personality Traits Questi sono considerati come caratteristiche psicologiche, cioè tendenze individuali relativamente stabili e durature dal punto di vista emotivo e comportamentale. Il modello del “Big Five” risulta essere la tassonomia più utilizzata per evidenziare quali caratteristiche psicologiche siano predittive di performance di successo. Tale modello evidenzia 5 macrofattori: Estroversione; valuta la tendenza ad avere numerosi ed intensi rapporti interpersonali, agevolando nel formare legami più forti con locali, con altri espatriati e le persone in genere (Shaffer, et all 2006). Amabilità: intesa come capacità di prendersi cura degli altri, essere di supporto permette agli espatriati di gestire situazioni conflittuali in termini più collaborativi, si sforzano di promuovere la comprensione reciproca e sono meno competitivi, favorendo il successo dell’ incarico (Pranstraller, 2010). Coscienziosità: fa riferimento a caratteristiche come la precisione, l’accuratezza e la volontà di aver successo. Stabilità emotiva: intesa come capacità di gestione delle proprie emozioni. Apertura mentale: fa riferimento all'apertura verso nuove idee, verso i valori degli altri favorisce il vivere in un ambiente nuovo, ambiguo e scarsamente familiare. I fattori evidenziati sono predittivi di un adattamento positivo dell’ espatriato al contesto cross-culturale, ma non di sicuro successo nel raggiungimento degli obiettivi del lavoro. 7 Family situation Presenta diverse sfaccettature quali il trasferimento di un eventuale coniuge e dei figli, che devono cambiare scuola ed inserirsi in nuovo contesto sociale. Questi, talvolta, sono tra i principali motivi di fallimento di un incarico internazionale (Hill, 2013). Un sistema di selezione dovrebbe includere una valutazione della situazione familiare, in termini di adattabilità, motivazione al trasferimento (Halsberger, Brewester, 2008) caratteristiche di personalità del coniuge (Mol, 2007) e brackground nazionale e culturale familiare: essere parte fin dalla nascita di una famiglia multiculturale è predittore di successo in incarichi internazionali (Caligiuri, Tarique, 2009). International motivation. Riguarda la reale motivazione di un lavoratore a intraprendere un percorso di carriera internazionale, che determina la probabilità di accettare un incarico e vivere in un Paese differente. Per ovviare all’ indagine motivazionale dei candidati, la maggior parte delle multinazionale, prevede che siano gli stessi candidati ad auto valutarsi ed auto candidarsi per posizioni internazionali (Mol et all, 2005). Tolerance for uncertainty. Riguarda la tendenza individuale ad accettare la possibilità di eventi negativi, e permetta di essere proattivi nonostante il presentarsi di difficoltà dal punto di vista personale e lavorativo (Buhr & Dugas, 2002). Cultural Intelligence. Si riferisce alla capacità di vivere realtà differenti dal punto di vista culturale, di costumi, usanze e stili di pensiero (Earley & Ang, 2003). Il costrutto presenta una dimensione cognitiva, riguardo le conoscenze di norme, pratiche e convenzioni delle differenti culture (Ang et al. 2007); una dimensione metacognitiva, che riguarda la capacità di riflettere sulle informazioni acquisite dalla nuova cultura, per lo sviluppo, il monitoraggio e la modifica di modelli mentali basati sulle nuove norme culturali (Ng & Earley, 2006); una dimensione motivazionale che riflette il desiderio di vivere una nuova cultura (Ang et al., 2007) ed infine una componente comportamentale per lo sviluppo di comportamenti in linea con i valori locali e le specificità del contesto ambientale (Templer, Tay, & Chandrasekar, 2006). Language Ability Ѐ intesa come conoscenza della lingua della casa madre, che è la stessa in tutti i Paese (generalmente la lingua inglese), per reportistica, procedure e comunicazione interne, affiancata dalla lingua locale come elemento di maggiore valorizzazione per una più rapida integrazione ( Bhaskar-Shrivinas et al., 2005). 2.2 RECLUTAMENTO E SELEZIONE: CASI AZIENDALI La coerenza tra le diverse attività delle IHRM e l’ unicità di ogni organizzazione evidenzia come non ci sia una “one best way” per le attività di recruitment e selection, ma come ci possano essere casi di eccellenza nella gestione delle carriere internazionali. CASO ENI Le risorse umane internazionali in ENI sono una popolazione eterogenea, composta per un 10% da espatriati e per un altro 5-10% da International staff in mobilità. ENI è una multinazionale che presenta oltre il 50% del personale collocato fuori dal territorio nazionale della casa madre, con un business prevalentemente generato dalle attività estere. Ogni espatrio dura in media 2/3 anni, ma stanno prendendo vita nuove forme di mobilità, più flessibili e di breve durata (6 mesi) come il virtual assignment, double desk. Il reclutamento in ENI, avviene in base ai piani strategici del business, che è principalmente 8 orientato verso realtà quali l’Africa Sud-Sahariana e parte del Medio Oriente. Se il reclutamento avviene tramite canale interno, la linea generalmente individua i candidati con prassi di scambio di feedback e consensi, arrivando all’ assegnazione. La popolazione di ENI, presenta un ampio bacino di potenziali espatriati il cui profilo professionale prevede una disponibilità diffusa al movimento internazionale. Qualora si decidesse di attingere da fonti esterne per le espatriate, nel caso di missioni di durata di circa 2/3 anni, si procede con gli Assessement Days. Lo screening dei curricula (si privilegia quelli pervenuti presso la banca dati delle autocandidature, sezione “Lavora con Noi”) è seguito da una intervista telefonica per comprendere la reale disponibilità del candidato in base alla posizione aperta. L’ assessement è caratterizzato da una intervista tecnica, un role playing di gruppo, test di lingua (generalmente inglese) e una prova “In Basket”. In seguito, le figure migliori per la posizione ricercata vengono convocate per un colloquio finale al quale partecipa una commissione composta dal personale di riferimento per la posizione desiderata e personale HR. In prospettiva, le priorità del gruppo sono quelle di selezionare e sviluppare sempre più risorse locali in un’ ottica di talent pool globale. Per questo, le attività degli HR locali, si occupano non solo della gestione delle singole sussidiare, ma sono attive nelle fasi di recruitment, formazione e sviluppo. CASO LUXOTTICA Il gruppo Luxottica, leader mondiale nel settore degli occhiali di fascia alta, di lusso e sportivi, è una realtà globale con una distribuzione in circa 140 paesi nei cinque continenti, contando su 62.000 dipendenti. Il portafoglio marchi di Luxottica è il più proficuo del settore, poiché a importanti marchi globali affianca marchi Leader a livello regionale o in determinati segmenti di mercato e nicchie. La strategia si basa su un bilanciamento ottimale tra marchi propri ed in licenza, cosi da coniugare la stabilità e i volumi associati dai primi con il prestigio e l’ elevata marginalità dei grandi nomi della moda e del lusso. Il modello di business globale è animato da un’ azienda verticalmente integrata. Il processo di internazionalizzazione prevede un’ esecuzione allineata, in cui le decisioni e la loro esecuzione vengono delegate primariamente alle organizzazioni locali nei vari Paesi e in seguito l’azienda svolge attività di controllo ed indirizzo centrale per un’ ottimizzazione di prassi e procedure. I principali flussi di espatri riguardano Italia e Cina per la produzione, per l’ingegneria ed innovazione di prodotto; tra Italia e mercati emergenti (Brasile, India, Cina, Sud Africa, Emirati) per le start up e tra Italia e Stati Uniti per lo sviluppo delle carriere. Il processo di selezione ed individuazione dei candidati per incarichi internazionali è formale e strutturato e prende in esame soft skills e valori aziendali condivisi: imprenditorialità, immaginazione, passione, semplicità e velocità. Ogni anno viene svolta una mappatura delle competenze dei talenti aziendali, in cui viene preso in esame il potenziale di internazionalità, in modo da avere un pool di profili su base mondiale per le posizioni internazionali. Il lavoro in questa direzione ha permesso di individuare le 11 dimensioni soft che sono i filtri di selezione dei candidati sia per il reclutamento interno ed esterno: la capacità di cercare opportunità di apprendimento; l’ integrità nell’azione; l’ adattabilità alle differenze culturali; l’ impegno nel fare la differenza; la capacità di aumentare le proprie conoscenze riguardo al business; la capacità di lavorare con le persone; la capacità di mettere a fuoco i problemi e di vederli da angolazione nuove; il coraggio di assumere rischi; l’ abilità di cercare e dare rischi; la capacità di apprendere dagli errori; l’ apertura alle critiche. 9 Le 11 dimensioni vengono inoltre valutate in base alla coerenza del profilo con le caratteristiche della cultura del Paese di arrivo e la reale disponibilità al trasferimento. Tale modalità di recruitment e succession management ha permesso al gruppo di non incorrere negli errori del passato, laddove il fallimento di alcune espatriate è stato attribuito all’ incapacità del manager di adattarsi ad una nuova cultura diversa, derivante da un processo di selezione poco strutturato e basato sulle necessità di ricoprire posizioni senza preavviso e pianificazione. CASO BARILLA Barilla, azienda nata dal 1877 come negozio di pane e pasta a Parma, è tra i leader mondiali della pasta, leader europeo dei sughi e primo attore in Scandinavia nei pani croccanti. Il gruppo ha oltre 15000 dipendenti di cui 4755 unità in Italia e 10292 unità all’ estero e nel 2009 ha fatturato oltre 4,1 miliardi di euro. Il gruppo esporta i propri prodotti in oltre 150 Paesi e opera direttamente in 20 Paesi. L’attenzione dell’ azienda verso i temi legati all’internazionalizzazione delle Risorse Umane è testimoniata dall’ edizione del Barilla Global Players Forum & Workshops, due giornate in cui si discute di espatri e carriere internazionali. Tale iniziativa prende vita dall’ implementazione da parte del Barilla Lab for Knowledge and Innovation di una nuova figura professionale nel gruppo, quali i Barilla Global Players, circa 80 dipendenti. La fase di selezione per i BGP è principalmente affidata ad uno strumento di La fase di selezione per gli espatri è principalmente affidata ad uno strumento di assessement del potenziale internazionale “TIP” (The International Profiler), che privilegia il reclutamento interno. Lo strumento prende in esame 10 dimensioni principali quali Openness, Flexibility, Autonomy, Emotional Strenght, Perceptiveness, Listening orientation, Trasparency, Influencing, Synergy. Il test è una misura standardizzata, il cui campione corrisponde a 1620 soggetti di circa 76 nazionalità, tra cui il 23% Inglese, 20% Tedesca ed il 13% Italiana. La coerenza interna è medio-alta (Alpha Cronbach= 0.6). Lo strumento viene utilizzato per valutare le abilità suddette, al fine di predisporre un piano di sviluppo internazionale e sessioni di coaching personalizzati. Tale attività è svolta con l’ obiettivo di una prossima entrata in nuovi mercati emergenti come Brasile e Cina, in modo da avere una squadra di persone preparate e motivate al successo. DISCUSSIONE DEI CASI Le procedure di recruitment e selection delle tre realtà organizzative presentano sostanziali differenze ed evidenziando come non esista un profilo di manager internazionale ideale e una prassi condivisa di selezione. Nella fase di reclutamento interna ENI e LUXOTTICA si avvalgono di sistemi di Job Posting, che pubblicizzano le posizioni ricercate (Job Description, Job Demand) in modo che i dipendenti possano manifestare il proprio interesse tramite autocandidature. Ogni dipendente può avere informazioni dettagliate sulla posizione ricercata e compiere in prima istanza un’autovalutazione riguardo le proprie competenze e quelle richieste, misurando la realistica disponibilità verso l’ espatrio (sulla base di eventuali problematiche personali, familiari, lavorative). In Barilla il sistema di reclutamento interno non risulta strutturato, il gruppo dei Barilla Global Players appare come un gruppo chiuso, il cui accesso sembra avvenire tramite processi decisionali informali (es. “coffeemachine system”, Brewster, 1999). ENI, dopo aver reclutato i candidati interni, si avvale dell’assessement di competenze tecniche e precedenti esperienze internazionali per l’individuazione del profilo migliore. Se il reclutamento è avvenuto tramite canale esterno, ENI utilizza un percorso strutturato (Assessement Days). In Luxottica tramite mappature costanti del potenziale di internazionalità, si è riusciti ad identificare quelle che sono le specifiche variabili soft per espatriate di successo (oltre a competenze tecniche e conoscenza della lingua inglese), che si ancorano ai valori aziendali condivisi quali imprenditorialità, immaginazione, passione e semplicità. Tale modalità di assessement è utilizzata sia per il reclutamento da canale esterno che interno, favorendo una massima integrazione tra valori aziendali e prassi organizzative, riducendo il rischio di fallimento di incarichi internazionali ed aumentando il grado di attrattività verso carriere internazionali. Barilla, che predilige il recruiting interno (analisi competenze tecniche, esperienze internazionali) utilizza le pratiche di assessement nell’ ottica di colmare il gap tra competenze 10 attese e competenze presenti nei Global Manager (profilo TIP). Tra le tre realtà aziendali, Luxottica appare come un sistema aperto, che utilizza prassi formalizzate e standardizzate per la selezione di figure internazionali, sia che provengano dal canale interno che esterno, promuovendo un elevato livello di coerenza tra le prassi di selezioni, sia che provengano dal canale interno che esterno, valori organizzativi e strategia aziendale. ENI e Barilla, sebbene si affidino a metodologie parzialmente affidabili per la selezione (competenze tecniche, esperienze internazionali, Assessement Day, TIP) presentano un basso livello di integrazione tra i valori aziendali e le pratiche di valutazione del potenziale internazionale. Eni sembra più interessata alla promozione di una mentalità internazionale, in un’ottica di “talent global manager”, che da un lato favorisce una continua mobilità internazionale, dall’altro aumenta il rischio di turnover, riscontrabile nella fase di rimpatrio a causa di prassi che non valorizzano la coerenza tra gestione delle espatriate e valori organizzativi (Kreng, Huang, 2009). Tra i valori organizzativi denunciati sono presenti ad esempio la sostenibilità e la cultura, valori che sono assenti nelle pratiche di selezione (es. la misura dell’ atteggiamento ecologico dei propri dipendenti sarebbe una misura in linea con i valori dichiarati). Le prassi di assessement per i Global Players in Barilla, utilizzando uno strumento standardizzato per il profilo internazionale (TIP) risultano altamente strutturate, con il vantaggio di poter compiere delle comparazioni con profili internazionali simili del campione normativo, ma con lo svantaggio di non individuare le soft skills tipiche del gruppo Barilla per incarichi internazionali. 3. FORMAZIONE MULTICULTURALE (CROSS CULTURAL TRAINING) La crescita internazionale delle imprese, spinta dal bisogno di confrontarsi con contesti culturali e organizzativi emergenti, richiede la capacità di formare “manager globali”, puntando a cogliere vantaggi competitivi nei Paesi esteri e valorizzando, al contempo, l’esperienza internazionale dell’espatriato. A tal fine, le aziende necessitano di progettare sistemi di supporto e formazione alla multiculturalità (cross cultural training) unitamente a piani di sviluppo di carriera, aventi l’ obiettivo di sviluppare una mentalità globale (global mindset) [Perlmutter 1969], facilitare le interazioni culturali e ridurre al minimo il rischio di disadattamento al Paese ospitante. 3.1 IL CULTURE SHOCK Chi espatria non ha soltanto la necessità di adattarsi ad un luogo nuovo ma deve anche interagire ed entrare in contatto con una cultura che non gli appartiene. Per questo motivo, se la formazione alla nuova realtà non viene effettuata adeguatamente, l’interazione con background culturali diversi può risultare difficile o essere una vera e propria fonte di stress, con conseguente perdita di riferimenti nella vita emotiva cognitiva e pratica: quello che viene chiamato culture shock. Partendo da queste premesse, Taft (1977) ha suddiviso il culture shock in cinque aspetti distintivi: 1. 2. 3. 4. 5. Difficoltà di adattamento alla nuova cultura; Senso di perdita; Confusione nelle aspettative di ruolo e nell’identità del soggetto; Sentimento di rigetto da parte degli appartenenti alla nuova cultura; Ansietà e senso di impotenza dovuti all’incapacità di far fronte al nuovo ambiente. Mentre da un lato questo fenomeno approfondisce la sfera emotiva dell’individuo, dall’altro analizza il processo evolutivo di adattamento degli espatriati, a seconda che le fasi comprendano anche il momento di rientro nel Paese d’origine (modello della curva a U o W) [Allegato 2]. Da una prima fase in cui il nuovo arrivato si sente euforico e affascinato da tutte le novità (“luna di miele”) si passa ad una seconda fase nella quale l’espatriato incontra difficoltà nella vita quotidiana e nella comunicazione (“la negoziazione”). I sintomi si accentuano laddove la cultura di arrivo è molto diversa e le differenze più ostiche da metabolizzare. Il passaggio, come è facile intuire, può essere 11 lungo e doloroso ed è spesso accompagnato da sentimenti di insoddisfazione personale. La fase che spesso va dai 6 ai 12 mesi è comunemente riconosciuta come la fase di “adattamento”: in questo stadio la persona comincia a sviluppare routine e capacità che lo aiutano ad interagire con la nuova cultura (adattamento socio-culturale o culture learning perspective) e a mobilitare risorse psicologiche ed emotive legate alle sue caratteristiche individuali (adattamento psicologico o stress and copying perspective). La familiarità con il nuovo ambiente genera un nuovo senso di appartenenza, si ristabilisce un equilibrio con se stessi e l’individuo inizia a scoprire tutti gli aspetti positivi e negativi insiti nella nuova cultura. L’ultimo step (re-entry shock o reverse cultural shock) riguarda la fase di riadattamento nel momento di rientro nel Paese d’origine e può essere avvertito in maniera più o meno intensa dall’individuo, in relazione al grado di adattabilità alla cultura ospite. 3.2 LE TECNICHE DI FORMAZIONE Alla base di quanto sopra esposto, la formazione alla multiculturalità, il training pre-partenza e il supporto aziendale divengono strumenti efficaci nel rendere maggiormente affrontabile questa esperienza di cambiamento. Tarique e Caligiuri (2003) individuano alcuni elementi che rientrano nella valutazione sui metodi di apprendimento come ad es. identificare e determinare gli specifici fabbisogni per il tipo di incarico internazionale; stabilire gli obiettivi e le misure; sviluppare e mettere in atto un programma di formazione interculturale e infine valutarne l’efficacia. Il fattore che merita una maggiore riflessione è sicuramente la durata dell’incarico, poiché gli incarichi di lungo periodo, a differenza degli incarichi a breve termine, richiedono l’uso di tecniche specifiche accanto ad un programma di orientamento culturale. Per assistere le persone che assumono un incarico internazionale è sicuramente importante che le aziende avviino una solida formazione pre-partenza nel paese di origine, attraverso corsi di lingua e briefing informali , al fine di consolidare una solida formazione alla sensibilità culturale; studi di area che consistono in programmi di documentazione su geografia, economia, storia sociopolitica etc.; formazione a distanza (e-learning) attraverso sistemi di intranet dedicata agli espatriati con l’obiettivo di generare una community per veicolare contenuti formativi a costi relativamente bassi. A integrazione dei piani di formazione formale è possibile che le aziende organizzino altre forme di supporto da effettuarsi nel Paese ospitante quali: Visite pre-partenza: consentono di arrivare in un Paese avendo una minima conoscenza del contesto e di prendere i primi contatti con la comunità locale; Affiancamenti: ad appannaggio delle posizioni manageriali più elevate, consentono un rapido passaggio di consegne e la possibilità di essere presentati ai clienti più importanti; Shadowing: letteralmente la possibilità di seguire “come un ombra” i temi più importanti attraverso report, risultati e comunicazioni, incontrando i membri dello staff locale quando sono in casa madre; Coaching culturale: mediante l’utilizzo di consulenti, si assiste l’espatriato e si offre uno spazio confidenziale per un percorso di apprendimento che porti alla risoluzione dei problemi. A questo intervento si affianca un supporto di e-coaching attraverso l’email, il telefono e Skype. Nonostante la maggior parte dei programmi di formazione si tengano prima della partenza, l’azienda fornisce all’individuo, ed eventualmente alla sua famiglia, un orientamento al momento dell’arrivo al Paese ospitante, che comporta il disbrigo di alcune pratiche burocratiche e l’assistenza di prima necessità quali pagamenti, scolarizzazione di bambini, le creazione di un conto bancario locale, ulteriori visite mediche e idoneità della patente. Durante il periodo dell’incarico, una figura di mentore (mentoring culturale), individuata nei senior manager dell’organizzazione, manager locali o ex espatriati, consigliano e seguono l’operato dell’espatriato su questioni legate al lavoro, con l’effetto positivo in termini di socializzazione e organizzazione del lavoro stesso. 12 3.3 DALLA TEORIA ALLA PRATICA. I CASE STUDY: Unicredit, Generali, Eni. Esattamente come nelle procedure di recruitment e selection, anche per la formazione non esiste un metodo standardizzato e universalmente valido: il metodo non solo differisce da azienda ad azienda, ma varia soprattutto in funzione delle necessità individuali dei manager di una determinata organizzazione e soprattutto delle implicazioni sociali che il trasferimento comporta. Ѐ il caso di Unicredit, che è diventata nel giro di pochi anni uno dei maggiori gruppi finanziari internazionali con oltre 160 mila dipendenti, che operano in 22 Paesi europei. Per il gruppo Unicredit la mobilità internazionale è diventata un opportunità vantaggiosa dal punto di vista professionale e, specialmente nell’ultimo periodo, ha cercato di trovare un punto di equilibrio tra piani di mobilità e gestione e sviluppo dei talenti. Questo si è risolto con politiche di cambiamento riguardanti non solo la durata media di un espatrio (dai 5/7 anni ai 4/3 anni) ma soprattutto attraverso un reclutamento di giovani sotto i 30 anni. Altro punto di eccellenza rispetto ad aziende dello stesso comparto, è rappresentato da una maggiore predisposizione culturale alla mobilità delle donne (quasi il 32%). In linea con questa visione, una grande rilevanza è stata data dalla creazione e inserimento di una mentalità multiculturale e della gestione della diversità: a questo scopo, Unicredit ha proposto un modulo di formazione denominato “Cross culture, diversity and inclusion” in cui viene affrontato un percorso specifico per gestire a distanza team interculturali e piani di formazioni specifici per gli espatriati come il “Cross culture learning lab” avviato nel 2010. Nell’ambito della formazione pre-partenza e durante l’assegnazione dell’incarico, Unicredit non offre solo corsi di lingua ma anche un career tutoring e un servizio di networking, per agevolare l’inserimento dell’espatriato e curare ogni aspetto che riguarda la dimensione familiare. Anche il rimpatrio è fortemente curato, considerando le esigenze aziendali e lo sviluppo della risorsa con una forte attenzione alla sfera emotiva dell’individuo. Particolarmente attenta alla formazione risulta essere il gruppo Generali, presente in oltre 60 Paesi in Europa con una media di 82 mila persone con una mobilità internazionale presente a livello globale. La struttura formativa del gruppo è la Generali Group Innovation Academy che, dalla sua fondazione nel 2005, ha fornito un ingente numero di ore di formazione (circa 168mila) per gli impiegati di ogni livello, provenienti da società di gruppo operanti sia in Italia che all’estero. Grazie alla collaborazione della International Mobility Team presso il Corporate Centre di Trieste e di alcuni Local Mobility manager, Generali ha sviluppato un corso di formazione, denominato Marco Polo, che ha saputo fondere teoria, pratica e procedimenti, fornendo ai partecipanti un bagaglio di conoscenze funzionali ad affrontare con successo le missioni all’estero. In seguito, nel 2011, ha avviato un programma di formazione parallelo, Pangea, specificatamente rivolto ai manager e team che ospitano gli expatriates. In questo caso, poiché la platea di utilizzatori sarebbe stata di gran lunga più vasta, Generali ha pensato che una piattaforma e-learning sarebbe risultata più efficace con costi più accessibili. Concentrandosi su quattro aree chiare,(1. Aspetti di business della “diversità”; 2.Le generali nel mondo; 3.La teoria della dimensione culturale; 4.L’inclusione) il programma punta all’acquisizione di una mentalità internazionale, condividere conoscenze fra unità operative e fra Paesi e creare una forza lavoro diversificata al servizio di una clientela sempre più diversificata. Da quanto appena detto, risulta chiaro che la formazione del gruppo Generali risulta finalizzato ad una formazione di tipo settoriale e specifico, mirante da un lato a formare e supportare l’espatriato con i colleghi e stakeholders dei Paesi ospitanti e dall’altro a creare un pool di dirigenti altamente professionali, capaci di gestire l’intera gamma di funzioni internazionali. Con Eni il canale per il recruitment e la formazione per il personale operante in Italia e all’ Estero è affidato a Eni Corporate University, che contribuisce alla valorizzazione e allo sviluppo della conoscenza, promuovendo sistemi di Knowledge Management e garantendo la diffusione e lo sviluppo della corporate identity. Parallelamente, la continua formazione in azienda mira a raggiungere standard di eccellenza, accompagnando e aiutando la persona a costruire un'identità professionale solida e dinamica. Nello specifico, la formazione in Eni si rivolge principalmente alla realizzazione di iniziative a supporto dei processi di business, con particolare riferimento ai progetti estero. Nella fase di pre-partenza l’azienda dapprima invia per e-mail una lista di informazioni utili 13 circa il Paese di destinazione, con l’obiettivo di motivare e coinvolgere i partecipanti; poi invita gli espatriati ad una giornata informativa con un programma di briefing, riguardante le politiche salariali, il processo di adattamento, un servizio di tutoraggio e consulenza per i coniugi; le normative e le politiche culturali; tematiche riguardanti la pensione, sicurezza e assicurazione. La formazione pre-partenza ha di per sé un carattere generale e prepara l’espatriato ad affrontare situazioni pratiche; pertanto, non contiene alcuna formazione specifica al Paese ospitante, né è specializzata all’individuo o all’attività che esso dovrà svolgere. Solo in seguito, al momento dell’arrivo, tutti gli espatriati e i membri della famiglia verranno registrati e viene fornito loro un manuale con contatti di emergenza e informazioni utili, al fine di facilitare l’inserimento nel tessuto sociale e culturale ( trasporti pubblici, ospedali, scuole, farmacie). In seguito, l’espatriato riceverà da un HR locale un programma più dettagliato relativo all’incarico lavorativo e un programma di sostegno familiare, unitamente ad un Induction medico-comportamentale e linguistica. La presenza del dipartimento HR non si limita solo a supporti iniziali, specialmente se il periodo di permanenza per l’espatriato è considerevole: infatti sono costantemente monitorati al fine di prevenire stati di disadattamento alla cultura locale, incentivando attività serali nelle quali anche le famiglie possono sentirsi parte integrante di una cultura nuova e aumentare la loro rete sociale. Sembra dunque evidente come una politica formativa basata su questi principi abbia il duplice obiettivo di aumentare la possibilità di una elevata prestazione, supportando l’espatriato ad una più integrata presenza sul territorio. La vera strategia competitiva per l’azienda, dunque, si gioca sul piano della mobilità internazionale, come strumento di integrazione culturale e sviluppo delle risorse; un ampio spettro di interventi è stato dedicato alla valorizzazione delle persone locali, con l'obiettivo di aumentare nel tempo la loro presenza in posizioni manageriali: lo dimostra il programma di “nazionalizzazione delle posizioni manageriali” lanciato da Saipem, che assicura all’azienda un rapido trasferimento delle politiche dalla casa madre all’azienda locale e una gestione ottimale delle politiche di adattamento. Il programma ha l'obiettivo di sviluppare professionalità nel campo dell' Oil&Gas, in modo da affiancare gli “espatriati” con personale locale, a tutti i livelli dell'organizzazione. Ad esempio, in Nigeria, nel 2000, nelle tre compagnie controllate da Eni il personale era formato da 890 persone locali e 170 espatriati. A sostegno di questa visione globale, un altro esempio è dato dall'accordo di cooperazione siglato nel febbraio 2010 fra Saipem Contracting Algérie e l'Université des Sciences e Technologies di Orano (Algeria), volta a formare risorse locali verso le professionalità di più difficile reperimento sul territorio algerino. Dai case study effettuati emerge come la forte globalizzazione e la conseguente apertura di nuovi mercati abbia portato le aziende a rafforzare la propria spinta internazionale in un contesto dinamico e competitivo, ad “abbattere le barriere” culturali e a potenziare il settore delle risorse umane. Se per Unicredit e Generali la consapevolezza culturale e la diversità ha rappresentato una chiave di successo per la costruzione di una solida policy internazionale, che punti a consolidare la sua presenza sullo scenario mondiale, Eni ha gestito un business incentrato sulla mobilità internazionale, investendo sulla formazione del personale italiano e implementando il potenziale proveniente dall’estero, attraverso piani di sviluppo locali e programmi di internazionalizzazione manageriali, che ha consentito di esportare saperi e valori aziendali, al fine di creare un bacino di risorse di particolare valore professionale. In uno stadio multinazionale, come in Eni, non solo il fabbisogno di formazione diventa altamente specializzato, concentrandosi sulla gestione delle operations a livello globale ma è attribuita maggiore attenzione allo scambio di informazioni e al trasferimento di valori, aventi lo scopo di promuovere una mentalità internazionale in un’ ottica di talent global manager. 14 4. LA GESTIONE OPERATIVA DEGLI EXPATRIATES La crescente mobilità internazionale del personale, per periodi di durata variabile, ha determinato un progressivo sviluppo delle problematiche connesse alla gestione operativa degli expatriates. In tale ambito la scelta del pacchetto retributivo da parte dell’azienda non riguarda soltanto la remunerazione delle competenze tecniche della risorsa espatriata ma anche l’aspetto risarcitorio riconosciuto al dipendente. Pertanto per definire una politica retributiva degli espatriati l’azienda può tenere in considerazione quattro fattori: Equità: ha lo scopo di assicurare al dipendente che le sue condizioni non peggioreranno rispetto a quelle acquisite nel Paese di provenienza. Contenimento dei costi: influenza sempre di più la scelta salariale applicabile alla forza lavoro espatriata. In base a quanto dichiarato dalle aziende, è evidente come l’attenzione ai costi dell’espatrio sai un elemento di peso crescente. Competitività: è mossa dalla forte esigenza, da parte delle aziende, di confrontare il costo delle varie ipotesi di reclutamento. Globalizzazione: accresce sempre di più l’esigenza da parte delle aziende di armonizzare i sistemi retributivi. I principali sistemi di remunerazione del personale espatriato sono stati esaminati dall’ECA International attraverso l’indagine intitolata “Expatriate Salary Management Survey 2009”(Allegato 3), allo scopo di analizzare le tendenze nel trattamento economico del personale all’estero a livello internazionale. 4.1 I SISTEMI SALARIALI Tra i principali sistemi salariali quattro si presentano come i più significativi con le seguenti caratteristiche: - Home Country Based Approach (o build up): Prende come riferimento la retribuzione nel Paese d’origine dell’espatriato; Base di partenza per il computo è lo stipendio figurativo percepito in patria. Tale importo viene poi adeguato al costo della vita e al carico fiscale e contributivo nel Paese di destinazione; Tale sistema utilizza la retribuzione al netto degli oneri fiscali e previdenziali del Paese di origine e attraverso queste operazioni ottiene come risultato finale il cosiddetto “netto di assegnazione”. - Host Based Approach (o market rate): La retribuzione dell’espatriato è basata su livelli salariali pagati nel Paese di destinazione, per lavori di equivalente livello o valutazione; Vengono aggiunte indennità e benefit che compensano oneri finanziari tipici degli espatriati; Ѐ particolarmente adottato per assegnazioni di lungo termine. Selected Country La retribuzione si basa su un’unica struttura salariale valida per tutti, indipendentemente dal fatto che questa sia legata al Paese di origine o di destinazione; In genere questo sistema si usa per garantire lo stesso standard all’intera forza lavoro espatriata. 15 Hybrid – Dual Based Approach Prevede la suddivisione del trattamento in due parti distinte, legate sia alla realtà del Paese di origine che a quella di destinazione; questa influenzerà i trattamenti “esteri” che quindi saranno equivalenti per tutte le persone, di qualunque origine, che operano in un determinato Paese; La realtà del Paese di provenienza sarà la base per un importo fissato nella valuta di quel Paese, per coprire le spese sostenute e destinate all’incentivazione Dall’applicazione di questo sistema deriva un importo che viene calcolato distinguendo due elementi: - Riflette lo stile di vita del Paese d’origine tenendo conto di un pacchetto di consumi aziendale espresso in valuta locale Fissa l’importo in valuta nazionale comprendendo gli incentivi e gli impegni finanziari legati al Paese di provenienza. 4.2 LA POLITICA RETRIBUTIVA Gestione operativa: scelta contrattuale e gestione fiscale dell’espatriato. Una delle tematiche più complesse connessa alla movimentazione internazionale di personale concerne due aspetti di fondamentale importanza, che ruotano attorno alla gestione operativa dell’espatriato, riconducibili alle scelte di natura giuslavoristica e fiscale. Struttura contrattuale. Tra le principali scelte che la società si trova ad affrontare quando decide di trasferire una risorsa all’estero, vi è quella relativa alla struttura contrattuale. Tale scelta non può prescindere da alcuni fattori come la durata dell’assegnazione, il tipo di attività che il dipendente andrà a svolgere nello Stato estero, la forma contrattuale prescelta, l’esistenza o meno di accordi fra le società coinvolte. Per quanto riguarda la gestione dell’assegnazione di personale dipendente all’estero il sistema giuridico italiano individua tre fondamentali strutture contrattuali: Trasferta: costituisce la temporanea assegnazione ad una diversa unità produttiva per far fronte ad esigenze aziendali occasionali e contingenti (business trip); Trasferimento: si concretizza nella modifica definitiva del luogo di prestazione lavorativa (permanent transfer); Distacco: si presenta quando il datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente il lavoratore a disposizione di un altro soggetto per l’esecuzione di una specifica attività lavorativa (secondment/assignment – short term / long term). Occorre fare alcune precisazioni in merito all’ipotesi in cui il lavoratore sia già occupato in Italia e viene trasferito all’estero. Se si tratta di un trasferimento a breve termine non è obbligatoria per legge la stipula di un particolare contratto, qualora invece la permanenza sia prolungata (come nei casi di trasferimento e di distacco) è opportuna la redazione di pattuizioni scritte ai fini del corretto assoggettamento fiscale dei redditi prodotti all'estero. Quando, invece, il lavoratore è assunto appositamente per essere inviato all'estero è obbligatorio per il datore di lavoro formalizzare per iscritto le condizioni d'ingaggio. Nella prassi in entrambi i casi le parti stipulano una specifica pattuizione che regola il rapporto di lavoro fuori dai confini nazionali e definisce il trattamento economico e normativo del lavoratore. 16 Gestione fiscale In Italia, le disposizioni fiscali del rapporto di lavoro prestato all’estero hanno un’origine interna e convenzionale. Da un punto di vista interno sono rilevanti le norme contenute nel TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), che tengono conto del principio del World Wide Income (principio della tassazione su base mondiale). Dal punto di vista transnazionale invece si ricorre a sistemi convenzionali, tra i quali rientra il modello elaborato dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico - altrimenti OECD) in materia di doppie imposizioni, a causa delle problematiche relative alle “sovrapposizioni” derivanti da differenti ordinamenti normativi. Per cui aspetto prioritario da considerare ai fini della tassazione del reddito prodotto all’estero è il principio generale della residenza fiscale. Sotto l’aspetto formale, la residenza dipende dall’iscrizione all’anagrafe di Stato. Nell’ipotesi di cancellazione da tale registro e di iscrizione all’AIRE (Associazione Italiani residenti all’estero), si deve adeguare tale concetto ai sensi del codice civile quando la sede dei propri affari e interessi morali, affettivi, personali (domicilio) o il fatto di dimorare abitualmente sia mantenuta nello stato italiano. La residenza fiscale secondo l’Art. 2 c. 2 TUIR La residenza fiscale secondo il modello l’OCSE Sono considerate fiscalmente residenti in Ha lo scopo di dirimere il conflitto di doppia Italia le persone che per la maggior parte del residenza. periodo di imposta (183 giorni) sono: Se la persona fisica, per le normative interne, risulta residente fiscale in entrambi gli Stati, si dovranno considerare quattro Iscritte nell’anagrafe della popolazione criteri noti come tie-breaker rules: residente Hanno il domicilio in Italia Abitazione principale Hanno la residenza in Italia Centro degli interessi E’ sufficiente anche solo una delle condizioni Soggiorno abituale menzionate per essere considerati residenti Nazionalità in Italia. Per quanto riguarda l’ambito temporale il legislatore fa riferimento alla “maggior parte del periodo di imposta”, che nel caso degli espatriati è riconducibile al concetto dei 183 giorni, la cui regola, di base fa riferimento al periodo di imposta di 365 giorni divisi successivamente per due (Allegato 4). Secondo il presupposto oggettivo, in base all’Art.3,c.1 TUIR, l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto formato: per i residenti in Italia da tutti i redditi posseduti per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato. 4.3 POLITICHE DI NEUTRALITA’ FISCALE L’assegnazione all’estero di un dipendente per un periodo medio-lungo comporta il radicamento dello stesso nella realtà socio-culturale del Paese di destinazione con la conseguenza che lo Stato estero possa chiamare il lavoratore a contribuire alla spesa pubblica mediante la riscossione delle imposte sui redditi prodotti. In tale circostanza, è sempre emersa la necessità da parte delle aziende di individuare dei sistemi in grado di neutralizzare, in termini di impatto fiscale, eventuali differenze che potrebbero determinare oneri fiscali aggiuntivi rispetto al Paese di origine. Le società generalmente adottano politiche di neutralità fiscale in virtù delle quali al lavoratore verranno trattenute solo le imposte dovute in Italia. Così la società provvederà a liquidare il debito tributario locale nei modi che riterrà più opportuni, nel rispetto della normativa fiscale locale. Al 17 termine dell’anno fiscale potranno quindi essere effettuati conguagli fra le imposte estere e quelle italiane e le eventuali differenze verranno trattenute o rimborsate sulla prima retribuzione utile. Tra i principali sistemi si possono individuare: Tax Equalization Il dipendente è tenuto a sostenere un onere fiscale pari a quello che avrebbe sostenuto se avesse continuato a lavorare nel Paese di origine. L’applicazione pratica di questo principio avviene attraverso l’effettuazione di una ritenuta fittizia (Hypothetical Withholding Tax) operata dal datore di lavoro, per un ammontare pari all’ordinario debito fiscale cui il lavoratore sarebbe stato soggetto se avesse continuato a svolgere la sua attività nel Paese di origine. Al momento della liquidazione delle imposte nello Stato estero, la società utilizzerà l’ammontare trattenuto al dipendente a tal fine ed eventuali differenze tra gli importi effettivamente versati e gli importi trattenuti rimarranno a carico/beneficio della stessa. Tax Protection Il lavoratore non dovrà sopportare alcun danno economico a seguito della sua assegnazione all’estero. Il lavoratore sosterrà l’imposta minore tra l’Hypotetical tax e l’imposta estera effettivamente dovuta sull’intero trattamento economico. Nel caso in cui costui debba versare delle imposte nel Paese di assegnazione sui redditi di lavoro dipendente, queste saranno rimborsate o sostenute direttamente dalla società. Mentre le imposte derivanti dai redditi personali saranno a carico del dipendente. Per quanto riguarda le imposte sul reddito di lavoro dipendente dovute nel Paese di assegnazione potranno essere liquidate in base a due diversi metodi: - Metodo del gross up che prevede il versamento delle imposte da parte della società mediante ritenuta diretta; - Metodo del roll over attraverso cui il versamento delle imposte da parte della società avviene mediante dichiarazione dei redditi e successivo rimborso. Gross - Net – Gross Una politica di “Gross-net-Gross” si traduce in una preventiva determinazione del “Trattamento economico netto di sede estera” da garantire al dipendente distaccato, calcolato come sommatoria tra le voci retributive italiane Ran Estera (retribuzione annua lorda italiana al netto delle imposte e contributi italiani) e l’Indennità Netta.Tali importi vengono successivamente lordizzati sulla base delle aliquote di imposta locali e dei contributi italiani (ed esteri qualora dovuti) e definiti contrattualmente come importi lordi. Netto Garantito La politica del Netto Garantito ha origine dalla Tax Equalization e dal Gross-Net-Gross e si caratterizza per il fatto di garantire un netto che non subirà variazioni a prescindere da qualsiasi evento di carattere fiscale che possa verificarsi successivamente. In genere, il Netto garantito è stabilito contrattualmente assicurando quindi al dipendente un importo netto che non subirà eventuali variazioni. 18 4.4 TRATTAMENTO ECONOMICO IN SEDE ESTERA Il trattamento economico che viene riconosciuto all’espatriato è dato dalla sommatoria di una serie di elementi. Oltre la retribuzione base, che è data dall’importo della retribuzione annua lorda percepita dal dipendente in base alla sua qualifica nel Paese di partenza prima dell’assegnazione all’estero, si devono considerare gli elementi retributivi corrisposti in maniera continuativa con esclusione degli eventuali benefit e dei pagamenti “una tantum” erogati a titolo di incentivazione allo scopo di incoraggiare alla mobilità e premiare la disponibilità del lavoratore e della eventuale famiglia. I principali incentivi che vengono riconosciuti al personale all’estero sono: Indennità di espatrio/indennità di servizio estero Compensare i dipendenti e la loro famiglia per lo “sradicamento” dal Paese di origine; La sua misura non varia a seconda della località di destinazione; È calcolata come percentuale del salario lordo di partenza. Indennità di disagio Compensare i dipendenti e la loro famiglia per le disagiate condizioni di vita al di fuori dell’ambiente di lavoro; La sua misura dipende dalla specifica situazione ambientale della località di destinazione e al suo rapporto con la località di provenienza; Dal livello di disagio si ricava la percentuale da applicare al salario di partenza determinando così l’ammontare. Indennità costo vita Adeguare il differenziale del costo di vita rispetto al Paese di origine; Lo strumento utilizzato è quello degli indici di differenziale costo vita; Nel caso in cui il livello del costo della vita nel paese estero dovesse risultare superiore a quello del paese di origine, si riconosce al lavoratore un importo addizionale che lo indennizzi dei maggiori costi a parità di consumi rispetto alla situazione di partenza. Indennità di prima sistemazione Coprire le spese legate, per esempio, all’acquisto di mobilio o vestiario, trasporto di bagaglio e masserizie, lavori di sistemazione abitativa ecc; Alcune società pagano direttamente, in alternativa, le spese di trasferimento. Altri tipi di indennità Possono consistere: In una indennità supplementare riconosciuta ad un certo punto della carriera in poi; In una indennità supplementare per le assegnazioni di lunga durata, esclusa per le assegnazioni temporanee; In una indennità “pionieristica” per le località in Paesi sottosviluppati o in caso di nuove attività. 19 5. IL RIENTRO NEL PAESE D’ORIGINE: SUPERARE IL RE-ENTRY SHOCK E PORTARE VALORE ALL’ORGANIZZAZIONE. Il momento del rientro in patria dopo un incarico internazionale si presenta spesso come uno dei momenti più duri del processo di espatrio, sia per l’azienda che per l’espatriato stesso. Ancora oggi questa fase è generalmente sottovalutata nonostante provochi molte conseguenze sulla capacità di trasferire e utilizzare le conoscenze accumulate dal dipendente, così come sulla possibilità di attrarre altri candidati per l’espatrio in futuro. Da un’analisi della letteratura dell’International human resource management emerge come il momento conclusivo dell’espatrio sia uno dei temi più attuali e che ha ancora molti spunti di analisi da approfondire. Partendo da una caratterizzazione del processo conclusivo dell’espatrio si possono distinguere tre fasi principali: una fase pre-partenza durante la quale l’azienda e il manager definiscono l’incarico e chiariscono le proprie aspettative e disponibilità (in questa fase si dovrebbe anche creare un sistema di comunicazione con il dipendente affinché sia costantemente aggiornato sui cambiamenti nella casa madre che si possono verificare in sua assenza); una fase intermedia in cui si cerca di prevedere le attività di scambio continuo di informazioni relative al lavoro e agli sviluppi degli Headquarters; una fase finale in cui l’azienda fornisce assistenza soprattutto alla ricollocazione lavorativa e alla reintegrazione aziendale. 5.1 IL PROCESSO DI RIADATTAMENTO Così come avviene nel processo di avvio dell’esperienza nel Paese ospite anche nella fase di rientro si possono individuare due principali dimensioni del riadattamento al Paese d’origine: quello al lavoro vero e proprio e quello all’ambiente e alla cultura generale (Black e Gregersen, 1991). Studi di casi aziendali rivelano come per chi rientra la situazione professionale spesso non è soddisfacente, tanto che si riscontra un’alta percentuale d’individui che una volta rientrati a casa lasciano l’azienda che li ha mandati in missione (i dati di turnover al rientro variano tra il 22 e il 39% tra il primo e il secondo anno dal rientro). Le problematiche per i manager espatriati nascono, prevalentemente, dallo scostamento tra le aspettative dell’individuo e la realtà aziendale con cui si trovano a fare i conti una volta rientrati. Infatti chi espatria si aspetta che la propria esperienza venga trattata come un arricchimento per l’organizzazione e che di conseguenza tutti gli sforzi effettuati per compiere la missione vengano riconosciuti e valorizzati in termini di carriera. In realtà diversi studi dimostrano che i manager rimpatriati restano profondamente delusi su questo fronte, soprattutto perché al momento dell’accettazione di un incarico internazionale, una delle motivazioni più forti che li spinge alla partenza è proprio lo sviluppo di carriera. Infatti l’ansietà legata alla propria posizione dopo il rientro è provocata da vari fattori legati sia alla personalità del singolo che all’azienda stessa, quali: una mancanza di garanzia di rimpiego al termine dell’incarico (non sempre le aziende sono in grado di garantire una posizione adeguata al momento del rientro); eccessive aspettative da parte dell’espatriato che si aspetta un passaggio di carriera al suo rientro; perdita di visibilità legata all’assenza (questo avviene principalmente quando gli incarichi non sono pianificati come parte del percorso di sviluppo della carriera ma semplicemente come copertura di posizioni per rispondere ad esigenze in filiali estere); perdita di reddito ( è frequente il ridimensionamento della retribuzione al rientro); mancata valorizzazione dell’esperienza all’estero; riadattamento alla cultura e alle pratiche manageriali della casa madre (chi rimpatria può trovare difficile il riadattamento alla cultura organizzativa e alle pratiche lavorative dell’organizzazione di partenza). 20 Per quanto riguarda invece il riadattamento emotivo e culturale bisogna considerare che di regola l’espatriato non si aspetta di incontrare difficoltà nel riadattarsi alla propria cultura d’origine. Ma la realtà è ben diversa, infatti gli individui passano attraverso una nuova fase di assestamento che è definita reverse culture shock (sembrerebbe inoltre che coloro che si sono adeguati meglio alla cultura ospite abbiano poi maggiori difficoltà a riadattarsi a quella d’origine). Se è vero che molti fattori quali la conoscenza della lingua, le esperienze precedenti, la propensione al cambiamento, il supporto familiare influiscono sulla durata e l’intensità del processo di adattamento, allora sarà anche vero che l’individuo reagirà in maniera differente alle influenze culturali eterogenee: secondo il modello di Berry, l’espatriato o si converte alle norme, valori e comportamenti della nuova cultura (Assimilazione) o le rifiuta rafforzando le norme della cultura di origine (Separazione). Ci sono casi in cui l’individuo non si senta di appartenere né all’una né all’altra cultura (Marginalizzazione) oppure divenga un soggetto multiculturale e si senta a suo agio in entrambe (Integrazione). La psicologa Nam A. Sussmann (2001) ha studiato un modello che rivela quattro tipologie d’identità culturale sviluppate in seguito all’adattamento nel Paese ospite e in relazione a queste vi è un diversa reazione al processo di rientro. Una è l’identità affermativa porta che ad un rafforzamento dei sentimenti positivi verso il Paese d’origine e quindi ad un processo di rimpatrio positivo; altre sono quella sottrattiva e quella additiva che appartiene ad individui ben intergrati che quindi avranno un’esperienza di rientro dura; infine vi l’identità di tipo globale, quella meno problematica, giacché è abituata ad affrontare culture diverse a causa di ripetuti spostamenti all’estero e quindi non subisce lo shock né nella fase di adattamento e ancor meno in quella di rientro. 5.2 IL SUPPORTO ORGANIZZATIVO ALLA GESTIONE DEL RIENTRO Generalmente le aziende non adottano un atteggiamento particolarmente attento rispetto alla gestione del rientro e quindi sostanzialmente rispetto all’esigenza di avviare programmi specifici. Una delle ragioni la si può individuare nel fatto che le aziende non usano l’espatrio come strumento di sviluppo di carriera e perciò tendono a dimenticare che gli espatriati fanno parte di un management team. Infatti quasi sempre la valutazione della performance è delegata all’organizzazione ospite. Alla luce delle problematiche rilevate nel processo di riassestamento sono state individuate in letteratura alcune misure tra le più applicate dalle aziende per favorire un buon rientro riducendo dunque l’impatto (Poe, Solomon, Jasawalla, Dowling): pianificare il rientro ancora prima della partenza, dunque nel processo di selezione; fornire programmi di riorientamento al manager e anche alla sua famiglia; alleviare i problemi di chi rimpatria attraverso l’assegnazione di un mentore; stabilire una linea di comunicazione costante tra la casa madre e l’espatriato durante l’espatrio; stabilire procedure e politiche che valutino sistematicamente le abilità acquisite cosicché non venga tralasciata la fase di valorizzazione della performance. Tali misure sono finalizzate a diminuire l’ansia e le incertezze di chi espatria prevenendo quali saranno le condizioni di rientro ed evitando di creare un effetto “sorpresa” nel momento del ritorno alla posizione originaria. Tali misure si traducono in costi per le aziende, infatti alcune (principalmente le piccole e medie imprese) adottano consulenti esterni, altre, se si trovano ad affrontare gli stessi problemi, condividono in network le proprie risorse. Oltre all’organizzazione anche i rimpatriati e le loro famiglie devono contribuire a minimizzare l’impatto attraverso alcune strategie proattive come per esempio trovare il modo di condividere la propria esperienza con chi ci è già passato in modo da poter ottenere suggerimenti sullo stress o mantenere i contatti con amici e parenti in modo da attutire il distacco emotivo oppure conservare un interesse costante verso il paese d’origine documentandosi o anche semplicemente mantenendo alcune delle abitudini che si avevano precedentemente. Questi piccoli atteggiamenti benché possano apparire banali sono la base per evitare quella sensazione d’intolleranza tipica di un espatriato che rientra “a casa”. 21 Pare evidente dunque come non vi siano politiche standard in termini di “organizzazione del rientro” e ogni caso richiede che ne venga studiata una appositamente. CONCLUSIONI Lo scopo finale di un’azienda con forte spinta all’internazionalizzazione è quello di diffondere le conoscenze e le competenze attraverso diversi Paesi e culture: in questo contesto la figura dell’espatriato svolge un ruolo determinante. Costui infatti ha anche il compito di comprendere come le differenze culturali e i molteplici “codici etici” possano rivelarsi un fattore determinante per ottenere una performance di successo. Un’attenta analisi della gestione operativa nel suo complesso (reclutamento, selezione, formazione, rimpatrio e aspetti burocratici) permette dunque di rilevare quali siano le chiavi di successo e d’insuccesso per gli expatriates. La buona riuscita di una missione internazionale non dipende soltanto dalle competenze tecniche, manageriali e dalle soft skills, ma anche da fattori personali come una situazione familiare favorevole o da una forte spinta motivazionale ad intraprendere una carriera internazionale. Spesso, infatti, le ragioni del fallimento risiedono nell’incapacità del manager, e talvolta della sua famiglia, di adattarsi alla cultura locale e all’ambiente lavorativo o anche nella scarsa volontà di caricarsi di un eccesso di responsabilità. Ci sono anche casi in cui l’insuccesso di una espatriata nasce dalla cattiva gestione da parte dell’organizzazione stessa. Si assiste a pratiche di selezione opache, una formazione frenetica ed un orientamento talvolta inesistente che non possono soddisfare i bisogni di un incarico internazionale. La trattazione svolta per la gestione delle espatriate, vuol essere un contributo per il supporto e la creazione di prassi aziendali che tendano ad interrompere il circolo vizioso dell’improvvisazione di soluzioni ad hoc, in favore di un virtuosa gestione delle risorse umane internazionali. 22 ALLEGATI: Allegato 1 PROCESSI DECISIONALI NELLE ORGANIZZAZIONI SUSSIDIARIE (adattamento da Tennenbaum): TRA HQ E Area di controllo dell’headquarter Area di controllo a livello locale Management Management di HQ I manager locali I manager locali di HQ prende prende le decisioni e presentano problemi prendono le decisioni le decisioni e le raccomanda ai e soluzioni all’HQ per e informano l’HQ informa i le decisioni manager locali manager Management di HQ locali HQ e manager locali I manager locali prende le decisioni e si consultano sulle prendono le decisioni le “vende” al decisioni e le “vendono” all’HQ manager delle sussidiarie Allegato 2 Culture shock - Modello a curva a U o W 23 Decentralizzato Autorità dell’unità locale/sussidiaria Autorità dell’headquarter Centralizzato INTERNAZIONALI Allegato 3 : ECA Italia è una Società costituita nel 1994 per iniziativa di un gruppo di professionisti italiani accomunati da un'esperienza ventennale nella gestione delle risorse umane, e di ECA International - società leader a livello mondiale nella consulenza per la gestione degli espatriati - operante nel mercato internazionale dal 1971. La mission è quella di garantire supporto personalizzato, continuo e qualificato, interpretando e anticipando le esigenze delle aziende, chiamate ad affrontare la sfida dell'internazionalizzazione, attraverso un'attività di orientamento e consulenza per la gestione del personale espatriato in & out. ECA Italia vuole essere la migliore scelta per creare una partnership strategica che garantisca l'ottimizzazione della gestione delle risorse Umane internazionali. I consulenti di eca entrano in contatto con le Direzioni Risorse Umane diventando un riferimento tecnico gestionale funzionale all'analisi e soluzione di problemi operativi, permettendo l'organizzazione del processo di espatrio di risorse aziendali attraverso tecniche manageriali corrette e nel rispetto delle normative nazionali ed internazionali. ECA Italia si avvale anche di una propria consociata – Expatriates Key Solutions (EKS)– per fornire servizi di outsourcing funzionali alla gestione e all’amministrazione del personale espatriato e del personale internazionale. ECA fornisce dunque fornisce sistemi di consulenza, international data provider, outsouricing and compliance services, formazione ed editoria. Allegato 4 Concetto di Residenza fiscale: 24 BIBLIOGRAFIA: Ang, S., Van Dyne, L., Koh, C., Ng, K.Y., Templer, K.J., Tay, C., & Chandrasekar, N.A. ( 2007). “Cultural Intelligence: Its measurement and Effects on Cultural Judgment and Decision Making, Cultural Adaptation, and Task Performance”, Management and Organization Review , 3 (3), 335-371. Berry, J. W., “Acculturation : Living succefully in two countries”, International Journal of Intercultural Relation, 29(6), 697-712. Berry, J. W., “Acculturation and Adaptation”, in J.W. Berry (et al.) (ed), Handbook of Cross-Cultural Psychology, Vol. 3, (pp. 291-326). 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