La Vergine Nera di Rocamadour

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La Vergine Nera di Rocamadour
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Il Santuario di Nostra Signora di Rocamadour
Nella regione del MidiPyrenei, in Francia, su un
altopiano calcareo tagliato
da una gola profonda
scavata dal fiume Alzou, si
erge il Santuario della
Madonna di Rocamadour.
Il piccolo borgo che porta
lo stesso nome, è costituito
da due file di antiche case
situate ai piedi di una
grande roccia. La
verticalità di questa parete
rocciosa è sorprendente: case, santuario, e chiese appaiono incredibilmente
aggrappati a queste falesie che racchiudono uno dei luoghi più sacri della
Cristianità e meta di numerosi pellegrinaggi.
Nel Medioevo quella vallata profonda, era chiamata “vallis tenebrosa” o
“valle di ombre” a sottolineare il luogo impervio che allora doveva essere.
Il nome Rocamadour deriva dal santo eremita Amadour che, secondo una
leggenda, vi costruì un oratorio nel quale trovò collocazione una Vergine
Nera portata con sé dalla Terrasanta.
Il culto della Vergine Nera è molto antico ed
ha profondi legami con una tradizione che
deriva dall’Oriente. Il colore “nero” trova
relazione con la “terra nera”, la terra vergine,
la terra che deve ancora partorire il “frutto”.
In Egitto la dea Iside veniva raffigurata con il
volto nero quando si voleva mettere in risalto il
suo aspetto più segreto, quello “notturno”,
quando ancora non aveva dato alla luce il
“figlio” Horus, il Sole che nasce.
Nella tradizione greca sarà la dea Cibele a
rivestire quel medesimo ruolo ed anche Cerere
(o Demetra per i Romani) verrà assimilata a
quella stessa immagine.
Nella tradizione cristiana, si parla di questo doloroso aspetto di “travaglio”
interiore, nell’Apocalisse di San Giovanni, quando appare nel cielo una
donna vestita di Sole, ma “incinta” e che grida “per le doglie e il travaglio
del parto”. A quest’immagine luminosa, ma al
tempo stesso dolente, nella visione di San
Giovanni, si contrappone un drago terribile
dalle sette teste che vorrebbe divorare il
bambino che la Vergine sta per mettere alla
luce.
Quel colore “nero” fa dunque riferimento ad un
tempo precedente la manifestazione della Luce,
quando prima di arrivare “all’opera al bianco”
degli alchimisti, vi è da combattere e vincere
quelle forze che si oppongono ad un profondo
lavoro di purificazione della propria essenza.
La stessa simbologia la troviamo in occidente
pressi i Druidi. Si racconta che i sacerdoti del popolo celtico, che si stanziò
in Francia tra l’VIII ed il V secolo a.C, svolgessero i loro riti sempre in un
bosco vicino ad una fonte sacra; quei riti erano
dedicati alla Dea-Madre, la “Virgo Pariturae” (la
Ve r g i n e c h e a n c o r a d e v e p a r t o r i r e ) ,
prefigurazione arcaica della Vergine Maria.
La diffusione delle madonne nere si ebbe al
tempo delle crociate ed in un secondo tempo, per
opera dell’Ordine Templare. I Templari, la cui
regola fu dettata da San Bernardo da Chiaravalle
tenevano molto in considerazione il culto della
Vergine Nera; sembra che la diffusione della sua
venerazione fosse dovuta all’importanza che il
Santo dedicava a questa immagine. San Bernardo
stesso scrisse un commento al Cantico dei Cantici
in cui chiamava “nigra sed formosa” la Sposa che
si prepara ad incontrare l’Amato. Quel colore
bruno di cui si parla, mette in risalto un fuoco
d’amore che la rende come “bruciata dal sole” e che
si esprime in tutta una serie di difficili operazioni di
trasformazione interiore.
Il culto della Vergine Nera prese campo soprattutto
in Francia, ed in modo particolare a Rocamadour.
Gli storici attribuiscono la piccola statua tutt’oggi
presente, al XII secolo; in quegli anni furono scoperte
anche le reliquie di San Amadour, il santo eremita, il
cui corpo fu ritrovato quasi intatto proprio nel cuore
del Santuario che era sorto in onore della Vergine.
Numerosi furono i miracoli a lei attribuiti. Nel
“De miraculis Sancte Marie de Rupe
Amatoris”(raccolta di miracoli attribuiti alla
Vergine Nera) si parla delle grazie che la
Madonna, attraverso quella sacra immagine,
avrebbe elargito in occasione di terribili
malattie o in caso di gravi pericoli. Si racconta
anche di una campana (di epoca carolingia)
sospesa sopra la statua della Vergine, che
suonava da sola, in ore e giorni diversi
dell’anno. Un giorno i monaci, incuriositi da
quello strano fenomeno, cominciarono ad
annotare la successione di quei suoni e con
stupore si accorsero che i movimenti della
campana corrispondevano sempre all’annuncio di qualche miracolo
avvenuto nel borgo.
Rocamadour da quel periodo (XII-XIII secolo)
divenne un luogo di grandi pellegrinaggi, fino a
diventare il Santuario più visitato della Francia
dopo Mont Saint Michel; il suo ospizio costituiva
una delle tappe più importanti sulla strada che
portava a Santiago di Compostela.
La città religiosa comprende in tutto 7 chiese che
risalgono a quel periodo, come pure la grande
chiesa situata, in forte pendenza, sullo strapiombo
che guarda la vallata. Passando dal borgo che
presenta lungo la via ben quattro porte fortificate,
si arriva davanti ai 216 scalini che portano nel
cuore del Santuario. Un tempo i pellegrini li
salivano in ginocchio, arrivavano al pianoro dove
sorge la città religiosa, poi giunti all’interno del Santuario, si fermavano a
pregare e lasciavano i loro ex voto;
quando ripartivano portavano con
loro una “sportelle”, una piccola
insegna di stagno o d’argento con
sopra raffigurata l’immagine della
Vergine.
Oggi vi è un ascensore che porta
direttamente in questo piccolo
piazzale, ma chi vuole percorrere
ancora a piedi quelle scale, arrivati
alla prima rampa, si troverà davanti
a d u n a t a rg a i n b ro n zo ch e
testimonia l’importanza che questo
pellegrinaggio rivestiva durante il
Medioevo e nei secoli successivi.
Continuando l’ascesa, si entra nella
cittadella (incredibilmente attaccata a
quello sperone di roccia) passando
dalla porta del palazzo fortificato dei
vescovi di Tulle, che ospita un museo
di oggetti d’arte sacra; poi
proseguendo, si arriva davanti alla chiesa romanica di San Salvatore (XII
secolo), antico ricovero per i pellegrini.
Questa chiesa consente l’accesso alla cappella miracolosa o cappella di Notre
Dame, fortemente annerita dal fumo dei ceri costantemente accesi.
All’interno, dentro una teca addossata alla parte absidale della cappella,
appare la statua lignea
della Vergine: intorno a
lei innumerevoli ex voto
e due grandi angeli in
pietra che sembrano
osservarla. Tra gli ex
voto,
fino a qualche
anno fa, erano presenti
due vascelli (di
differente foggia e proporzioni) sospesi su quella piccola navata,
probabilmente legati a due miracolosi salvataggi avvenuti per mare.
Il fatto che questo luogo singolare si trovi addossato e
scavato nella roccia assume un’importante simbologia.
L’idea della roccia, della “pietra”, fin dai tempi più
antichi, era strettamente legata ad un discorso alchemico.
In Alchimia, “fare la Pietra” assume il significato di
“compiere la Grande Opera”, espressione che trova
relazione con l’edificazione di un “tempio interiore”
possente, fondato sulla roccia, il cui simbolo è Gesù
Cristo. Costruire questo tempio interiore vuol dire,
costruire un tempio di Dio per l’eternità; i Vangeli
parlano di una casa da costruire sulla roccia, qualcosa che
rimanga stabile, potente e che si faccia da Lui condurre.
Guardando quel Santuario di Nostra Signora di
Rocamadour, così saldamente attaccato a quelle erte
falese, ritorna chiaro il concetto della “stabilità in Cristo” a cui tutta
l’umanità deve tendere. Quell’immagine della Vergine, intagliata nel legno
da mani forse inesperte ma cariche di grande forza espressiva, rimane
tutt’oggi il simbolo di quel travaglio interiore che l’anima deve superare per
diventare la vera “casa dell’Eterno”.