Ape ISISS N. 6 - Gobetti De Gasperi

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Ape ISISS N. 6 - Gobetti De Gasperi
MAGGIO 2012 - ANNO 3 – N. 6
Morciano, Largo Centro Studi 12/14
Magazine degli studenti dell’Istituto Gobetti - De Gasperi
INTERVISTE E
ATTUALITÀ
Da pagina 2
VOCI DAL
GOBETTI - DE GASPERI
Da pagina 9
www.isissmorciano.it
[email protected]
SPORT
Da pagina 16
IL LIBRO – IL FILM
Da pagina 14
PER NON DIMENTICARE
2
Interviste e attualità
Museo per la Memoria di Ustica
Uscita didattica a Bologna
Sabato 10 marzo 2012 noi studenti redattori
dell’Ape dell’ISISS (il giornalino scolastico
del Gobetti–De Gasperi di Morciano di
Romagna) ci siamo recati a Bologna
accompagnati dal Prof. Vanni per visitare il
Museo per la Memoria di Ustica. Partiti
dalla stazione di Cattolica alle 12.30, dopo
circa due ore di viaggio siamo arrivati in Via
di Saliceto 3/22, dove la struttura che un
tempo era un magazzino tramviario è stata
riadattata per ospitare i resti dell’aereo
recuperati dal fondale marino di Ustica.
Appena entrati siamo rimasti colpiti dalla
visione di un’opera unica nel suo genere: al
relitto dell’aereo si è riusciti a donare una
seconda vita attraverso l’installazione di 81 lampadine (le 81 vittime) e
di altrettanti specchi neri che racchiudono degli altoparlanti dai quali si
sentono i pensieri e i discorsi di persone comuni (i passeggeri periti nella
tragedia). Attraverso questa opera permanente, l’artista francese
Christian Boltanski ha voluto ricordare lo spirito delle persone
scomparse e il dramma di cui sono state sfortunatamente protagoniste.
Ad attenderci all’interno del museo c’era Daria Bonfietti, già senatrice e
presidente dell’Associazione dei parenti delle vittime della strage di
Ustica. Dopo aver visitato con noi l’area principale che custodisce lo
scheletro del velivolo, la Bonfietti ci ha condotto in una saletta nella
quale abbiamo visionato un filmato che raccontava le vicende inerenti la
costruzione del museo. Successivamente abbiamo avuto l’occasione di
intervistarla (vedi sotto): la senatrice è riuscita, rispondendo in maniera
esauriente alle nostre domande, a raccontarci tutti i dettagli della strage,
chiarendoci molti interrogativi. Finita l’intervista ci siamo congedati
dalla signora Bonfietti, dandoci appuntamento al concerto-evento di
Pippo Pollina in ricordo della strage di Ustica che si terrà al Teatro della
Regina di Cattolica il 4 maggio 2012.
Per tutti coloro che sono interessati a visitare il museo, riportiamo alcune
informazioni:
Museo per la Memoria di Ustica
Via di Saliceto 3/22 – ex magazzini ATC
40128 Bologna – www.mambo-bologna.org
Tel. +39 051 377680
Aperto venerdì, sabato e domenica dalle 10 alle 18. Ingresso gratuito.
Intervista a Daria Bonfietti
Presidente dell’associazione dei parenti
delle vittime della strage di Ustica
La difficile ricerca della verità
Quando cominciò la ricerca della verità sulle cause della caduta a
Ustica del DC9 Itavia partito da Bologna?
Dopo un mese dalla tragedia, il 2 agosto del 1980, ci fu un attentato alla
stazione di Bologna, tutta l’Italia si fermò, tutta Bologna si fermò e io
per prima ero al funerale dei parenti, noi invece in quanto familiari delle
vittime di Ustica non esistevamo. Non c’è stato nulla dopo l’incidente,
non ci sono state indagini per accertare le cause del disastro,
diversamente dalla strage alla stazione di Bologna. Non ci sono state
associazioni dei parenti delle vittime perché non ci conoscevamo, e
perché non c’era motivo di conoscersi, ancora. Nell’’86 riesco a fare
delle cose da sola, seguo un gruppo di intellettuali che scrivono una
lettera al Presidente della Repubblica perché io ero una normale
cittadina, non ero nessuno ancora. Ho dovuto fare quindi un percorso
affinché la notizia potesse essere ripresa e perché potessi raggiungere i
personaggi più rilevanti, tra cui l’ex Presidente della Corte
Costituzionale, le belle teste pensanti del nostro Paese, chiedendo che
venissero rimossi elementi che occultavano questa vicenda. Non se ne
era più parlato, nessuna magistratura era arrivata a dare conclusioni. Da
qui è partito tutto, io sono partita da qui quando sono riuscita ad avviare
un percorso verso la verità nonostante il dolore, la disperazione, la
volontà di rimuovere, e di non parlarne. Nell’85-86 io mi sono
“svegliata” e sono riuscita a chiedermi “ma mio fratello perché è
morto?” e ho trovato la forza di provare a rispondere alle mie domande,
che anche prima mi ero posta ma avevo rimosso. Nel tempo trascorso
dopo la tragedia se sentivo parlare alla televisione di questo fatto la
spegnevo. Da lì non mi sono più fermata. La magistratura iniziò ad
interessarsi e nell’87 decise di procedere al recupero del relitto in mare e
se ne incominciò a parlare. Nell’88 ritrovando in casa l’elenco delle
vittime, scritto a mano dall’ufficiale giudiziario di Palermo con accanto i
loro indirizzi, ho scritto delle lettere sperando che le famiglie fossero
ancora residenti nei dintorni, al fine di creare un’associazione dei parenti
delle vittime. Finalmente nel ‘90 il
giudice iniziò ad avviare un
procedimento che sarebbe dovuto
iniziare subito dopo l’accaduto,
indagò su ciò che poteva essere
successo, cercando di trovare il
responsabile di questa strage. Si
iniziò a chiedere se i radar quella
notte avessero captato qualche
segnale
della
presenza
di
quell’aereo, ma il responsabile di
questo controllo, misteriosamente
fino al ‘90, non aveva rilevato nulla.
Il giudice Priore conclude 19 anni
dopo con una sentenza di 5.400
pagine per descrivere tutto quello
che ha trovato, persone che ha
interrogato e la conclusione è che
l’aereo è stato abbattuto, non è caduto per caso, perché qualcuno con un
ordigno militare, un missile, quella notte è intervenuto nel momento in
cui questo aereo transitava. Guerra di fatto e non dichiarata, perché
nessuno nel 1980 ci aveva dichiarato guerra. Un processo durato anni
con la collaborazione della NATO, è la prima volta che nel nostro paese
un magistrato chiede al governo di contattare questi esperti internazionali
affinché gli decrittino un tabulato che i nostri militari non gli
decrittavano per una questione di segreto di stato. La presenza accertata
di altri aerei in quella notte sul Mar Tirreno smentisce la tesi di chi
afferma che l’aereo sia stato abbattuto da una bomba esplosa all’interno
dell’aereo stesso. Quando ho avuto la certezza di tutte queste presenze di
aerei sia libici, che francesi ed americani, ovviamente a “targa spenta”
perché in territorio “proibito”, il dubbio che l’aereo civile potesse essere
stato abbattuto da uno di questi è diventato sempre più inquietante. L’ex
Presidente della Repubblica Cossiga nel 2007, finiti tutti i processi, ha
incominciato a dire la sua verità, ammettendo attraverso le dichiarazioni
dell’ammiraglio Martini, capo del SISMI (servizi segreti) che in effetti
ad abbattere l’aereo furono i francesi, la cui intenzione era quella di
colpire quello di Gheddafi che in ogni sua conferenza, dagli anni ’90, ha
sempre “rivendicato” di essere lui la vittima designata. Il pilota
dell’aereo francese una volta tornato sulla portaerei si suicida, questo mi
ha permesso di ritornare dai PM romani e far riaprire l’indagine per la
strage.
Quanto tempo e lavoro sono serviti per costruire questo museo?
È dalla metà degli anni ‘90 che noi ci pensiamo, ma l’abbiamo visto
realizzato solamente nel 2007. L’arma del delitto una volta finito il
processo la si butta via, e l’idea che questo relitto potesse andare a finire
nel dimenticatoio ci ha fatto pensare a come fare quando il processo
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Interviste e attualità
sarebbe finito. Nel 2005 si era finito il secondo grado di processo nei
confronti dei militari e si poteva iniziare a chiedere se fosse possibile
spostare il relitto. Era stato fatto un protocollo d’intesa per fare questo
museo e il trasporto del relitto con il Ministero dei Beni Culturali e
quello
della
Giustizia, che
era
il
proprietario
dell’aereo, e i
nostri tre enti
locali.
La
maggior parte
dei fondi per
quest’opera
proviene
dal
Ministero dei
Beni culturali.
È
stata
accettata questa nostra proposta di creare questo museo. Un’altra cosa
che abbiamo aggiunto noi, quando si pensava fosse arrivato il momento
di far arrivare il relitto a Bologna, io i miei compagni e altri amici
abbiamo pensato che ci voleva qualcosa in più, la preoccupazione che
forse non sarebbe stato vissuto, se non all’inizio, dal pubblico. E quindi
ci è venuto in mente che bisognava fare quest’opera strana, naturale,
“dialogare” con un’opera d’arte. Abbiamo conosciuto, per le sue opere,
Christian Boltanski, artista contemporaneo, e ci piaceva pensare che con
il suo modo di esprimersi avrebbe potuto raccontare la vicenda accaduta.
Nel 2005 accettò.
Com’è nata l’idea di fare lo spettacolo del 4 maggio a Cattolica?
È nata dai vostri organizzatori, il signor Paolo Saracino, insieme a Pippo
Pollina.
Dopo questo progetto ha ancora in mente qualcosa da fare?
Sì, vorremmo che quel bellissimo parco che c’è di fuori dal Museo
diventi il giardino della memoria, luogo dove tutti i cittadini sanno che vi
è il Museo della Memoria di Ustica e che in questo giardino si possano
fare tante cose, spettacoli ed altre espressioni dell’arte con la possibilità
di ricordare le vittime.
La Redazione - Erika Santochirico, Serena Montrucchio, Debora
Sabba, Alessio Della Chiara 4°A
Piccola galleria fotografica della giornata trascorsa a Bologna
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Interviste e attualità
Abitare il Sogno
Pippo Pollina in concerto
Rimini, Teatro degli Atti, 30 gennaio 2012
purtroppo in Italia la musica dei cantautori non è più apprezzata, è una
musica “desueta”, che è ascoltata oramai da una minoranza di
ascoltatori. Questo tipo di musica ha perso il suo appeal, la sua valenza
popolare che aveva negli anni ‘70 e ‘80.
Cosa l’ha spinta ad abbandonare l’Università, la facoltà di
Giurisprudenza, per fare della musica?
Io sarei stato un pessimo avvocato! E’ successo, ho capito che la musica
mi faceva stare meglio! Mi portava in uno stato di felicità di cui io avevo
bisogno, perché volevo fare della mia vita una cosa che non soltanto mi
desse delle soddisfazioni da un punto di vista professionale ed
economico, ma anche da un punto di vista di uno stato in cui mi trovavo.
La musica è stata più forte, ed è stato meglio cosi!
La sera del 30 gennaio noi ragazzi della redazione del giornalino ci
siamo recati accompagnati dal Prof. Vanni al Teatro degli Atti di Rimini
per assistere al concerto del cantautore Pippo Pollina, “Abitare il
Sogno”. In questo spettacolo il cantautore palermitano ha ripercorso
diverse tappe della sua vita attraverso canzoni, brevi filmati storici e
interventi narrativi tratti dalla sua biografia: “vita e musica di Pippo
Pollina”. Durante lo spettacolo, il cantautore ha raccontato diversi
aneddoti su episodi personali passati, come l’esperienza di giornalismo
antimafia nell’inserto giovani de I Siciliani, la rivista diretta da Giuseppe
Fava, assassinato dalla mafia. Questo episodio che ha fortemente
condizionato la vita del cantante, è stato raccontato attraverso la visione
di un filmato che ritraeva il direttore Fava prima del tragico accaduto.
Pollina poi ha intrattenuto il suo pubblico cantando le prime canzoni che
aveva composto negli anni dell’abbandono dell’Italia verso i Paesi del
Nord Europa. Tutta la sua carriera ripercorsa in uno spettacolo di una
serata ha reso il pubblico molto interessato alle sue avventure, ai suoi
racconti, arricchiti dalle sue canzoni che trattano di diverse tematiche
come la vita, l’amore, il suo definitivo distacco dall’Italia e la nuova vita
intrapresa all’estero. Pippo Pollina è stato in grado di crearsi un nome e
una carriera di tutto rispetto soprattutto nei Paesi della Germania e della
Svizzera, ma oramai anche in Italia, dove “scende” spesso per dei
concerti come quello a cui abbiamo assistito a Rimini.
Intervista a Pippo Pollina
Da Abitare il Sogno a Orazione civile per Ustica
un viaggio attraverso 30 anni di carriera
Perché questo grande successo all’estero e
non in Italia?
Quante volte ho risposto a questa domanda…
non vivendo in Italia non posso alimentare il
processo di sviluppo della mia musica
venendoci tre o quattro volte all’anno per
svolgere quelle sei o sette date. Venendo qua
ho la possibilità di fare promozione della mia
musica, anche se ho scelto di vivere fuori, e
faccio un tipo di musica che non piace a tutti
e non può avere udienza in televisione,
perché non ci sono più programmi di un
certo tipo e quindi è il passaparola che è
diventato importante, da quando esiste internet anche, perché non
facendo musica che passa nei canali di comunicazione di massa, è
possibile comunque farsi un pubblico. Nelle città dove andiamo c’è un
tipo di utenza che non è scontato avere con i tempi che corrono. La mia
musica è ascoltata da appassionati. Bisogna aggiungere che
Qual è il messaggio che vuole trasmettere attraverso le sue canzoni?
(Ride!) Non è facile rispondere cosi…Io quando canto mi sento bene, ed
esprimo questo mio benessere attraverso la musica e cerco di comunicare
tutto questo, magari facendo riflettere su alcuni temi piuttosto che altri.
C’è poi chi ci trova all’interno di queste cose alcuni elementi piuttosto
che altri, poi dipende anche dall’auditorio e dall’ascoltatore. Ricevo
lettere di tenore diverso rispetto ad altre, proprio la musica dà la
possibilità a ciascuno di coglierne un aspetto diverso, quindi non c’è un
solo messaggio, non è un messaggio uniforme.
Noi siamo dei ragazzi, lei
invece è una persona
ormai
“arrivata”:che
consiglio vuole dare a
noi?
Pollina interviene dicendo:
“ma cosa vuol dire essere
arrivati?”
Noi:
“che
si
sente
realizzato…”
Ah… sai, essere realizzati
professionalmente è un
continuo divenire, nel senso che ci sono degli obbiettivi che hai
raggiunto, come poter vivere di questo mestiere, avere un pubblico,
incidere dischi… Ma la vita è continuamente segnata da obbiettivi che
cambiano di volta in volta quindi una volta che sei arrivato a un certo
punto guardi avanti e te ne poni automaticamente un altro di obbiettivo!
Quindi ecco che arrivare è una condizione che non mi appartiene… Non
mi sento vicino a questo modo di vedere la vita.
Cosa le manca di più dell’Italia visto che si è trasferito all’estero?
Mi manca… Mi mancano tante cose, ma il paradiso non esiste e quindi
non esiste neanche qui. Io cerco di stare bene là dove sono e di prendere
il buono che quel posto mi può dare e direi che quando sto in Belgio è
inutile che penso al punto di vista gastronomico… Voglio dire se sto in
Germania non ha senso andare a mangiare in una pizzeria, ma mangerò
un piatto tipico tedesco! Allo stesso modo dell’Italia mi manca la
cultura, la lingua italiana, il caffè… Il caffè come lo fanno in Italia non
lo fanno da nessuna parte! Mi manca la nostra leggerezza per certi versi
e i nostri paesaggi, il mare… Ma ci sono tante altre cose che non mi
mancano per niente!
Consiglierebbe ad un ragazzo oggi di fare il musicista, il cantautore
in Italia?
No, non glielo consiglierei. Glielo consiglierei a livello di passione, ma
non a livello di mestiere. Gli direi “curati questa passione, falla propria,
ma non pensare di guadagnarci da vivere in Italia”. Per come le cose
girano per ora non ne vale la pena. Solo tanti sacrifici, e forse dopo tanti
anni riuscirai a raccogliere qualche risultato, e forse a viverci, ma molto
forse! Io personalmente non lo avrei fatto… Ero cosciente di questo,
fossi rimasto in Italia non avrei mai fatto così perché sapevo che per
farlo bisognava fare tanti di quei compromessi che io non ero
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Interviste e attualità
disposto a fare. Ragion per cui oggi un ragazzo, per iniziare, deve
pensare “la musica la faccio per me, ma non per viverci, mi guadagno da
vivere in un altro modo, vendo il pane e poi la sera vado in cantina e
faccio la musica che piace a me”.
Come nascono le sue canzoni?
Le mie canzoni nascono perché c’è un’emozione che fa vibrare le corde
della creazione e dell’ispirazione, è come una sorta di antenna, c’è uno
stato in cui io mi sento fertile, un po’ come quando la donna è fertile in
quei famosi giorni… Ci sono giorni invece in cui non riuscirei mai a
scrivere.
Facciamo una domanda su Ustica:
Bhè questa è stata una delle più importanti esperienze sul piano artistico
ma anche umano, perché mi ha portato a contatto con delle persone che
hanno vissuto un dramma personale importante che è diventato anche un
pezzo di storia italiana, quindi un dramma collettivo che coinvolge non
soltanto i congiunti che hanno perso i propri cari in quell’aereo… Ma ha
coinvolto tutti noi Italiani che siamo stati ingannati dal nostro Stato, cioè
ci ha presi in giro, quindi questa coscienza che la nostra patria ci ha
traditi in quel momento, e questa consapevolezza che, soprattutto loro, i
parenti delle vittime della strage di Ustica, hanno portato con grande
dignità durante i 20 anni grazie alla eccezionale caparbietà di Daria
Bonfietti, presidente dell’associazione dei parenti delle vittime, hanno
ottenuto dei risultati che sono unici nella storia della Repubblica Italiana
dopo la guerra in poi, in considerazione di tutte le cose che sono state
poste contro chi cercava la verità, e quindi per me è stata una grande
esperienza… Ho dovuto pensarci molto prima di accettare questa sfida.
Quindi come hai strutturato lo
spettacolo del 4 maggio al Teatro della
Regina a Cattolica?
Artisticamente lo spettacolo è strutturato
su diversi piani narrativi, c’è la musica
sinfonica con l’orchestra che mi
accompagna e ci sono le canzoni, ma ci
sono gli attori, uno dei quali fa la parte
dell’aereo perché la chiave di
interpretazione che ho dato all’opera è
quella di porre al centro dell’attenzione
l’aereo che parla, racconta la sua
biografia, dice dove è nato, dove è
cresciuto, dove ha fatto le scuole e quindi
questa è stata l’idea che ho avuto, cioè
quella di fare una cosa diversa rispetto a
tutti gli altri che avevano composto delle opere su Ustica o che avevano
fatto dei film, documentari su questa storia. E poi ci sono altri attori che
di volta in volta interpretano ruoli di altre personaggi che hanno fatto la
storia di Ustica, quindi per esempio due passeggeri nel giorno della
strage oppure un giornalista e il comandante dei carabinieri e una serie di
personaggi.
Dopo l’uccisione di Fava lei ha continuato a scrivere sulla politica e
sulla mafia?
Ma se il giornale fosse continuato... Dovevamo chiudere perché non
avevamo più gli sponsor e quindi dovevamo trovare fondi, ci sta che
potevo continuare… Una volta finita quell’esperienza c’è un stato un po’
un “voto” per me… stavo per finire l’Università mi mancavano due
esami, con il gruppo con cui suonavo prima non c’era più quel feeling,
poi intendevo lasciare quell’esperienza e iniziarne un’altra, quindi mi
sono preso questa pausa di riflessione con l’idea poi di ritornare e
continuare… poi le cose sono andate diversamente proprio perché io mi
sono lasciato trascinare dalla vita, da quello che succedeva in quel
momento. Volevo vivere la vita senza progetti…
E in quel
momento,
l’uccisione di
Fava,
hai
avuto paura?
Io non ho
avuto nessuna
paura,
ho
avuto paura
per quelli che
mi
stavano
vicino.
Il
problema
lì
non era tanto
correre dei rischi tu, perché se fai una cosa corri dei rischi, e se li corri
vuol dire che il coraggio è superiore alla paura, altrimenti non lo fai. Più
che altro il mio problema era quello di creare dei problemi a chi mi stava
vicino perché da quel momento in poi io sapevo di non essere più
sicuro… E quindi automaticamente dovevo dire a chi stava vicino a me
“guarda, lo puoi fare, però fai attenzione perché può succedere qualcosa
e tu stai con me e io non posso prendermi questa responsabilità”.
Francamente era una cosa che mi creava dei problemi.
(Prof) Sul tuo racconto dell’Europa mi sono ritrovato molto perché
anche io ho girato con l’inter-rail, e vedevo queste persone che
suonavano per strada nei paesi di lingua tedesca, soprattutto, e tu
continui a girare l’Europa, quindi... in cosa la vedi cambiata rispetto
a quando hai incominciato a suonare in strada?... se è cambiata …!
Bhè bisogna fare una distinzione… E’ talmente diversa che non si può
paragonare la Mitteleuropa tedesca con la Francia, posti molto diversi
che hanno avuto cambiamenti molto diversi, come il Benelux, la
Scandinavia, un posto a parte… Per quanto riguarda il Centro Europa, le
città sono cambiate, tutti hanno fretta , non c’è più tempo per fermarsi un
attimo a vedere che cosa succede e … bisogna tenere conto che è
successa una cosa importante negli anni ‘80 nel Centro Europa, la
riunificazione della Germania e questo ha cambiato tutto, non era
solamente la riunificazione della nazione ma anche la fine della
contrapposizione dei blocchi , stravolgendo la vita europea totalmente; il
comunismo sovietico era crollato e quindi l’equilibrio, la geografia
internazionale è cambiata talmente tanto che le società sono cambiate e
questo fatto specifico della Germania ha prodotto una trasformazione a
livello politico notevolissima, che ha fatto addirittura cambiare il ruolo
della mafia, perché questa aveva una funzione politica prima della caduta
del muro, cioè quella di evitare che la sinistra in Sud Italia prendesse
tanti voti e quindi si aggiungesse ai tanti voti che riceveva al CentroNord … in modo tale che il partito comunista italiano non salisse al
governo negli anni 70/80, questo suo compito era sovvenzionato dal
governo americano . Venendo meno tutto ciò, anche Cosa Nostra ha
terminato il suo “ ciclo politico “ e ha dovuto ritrovare un altro ruolo in
termini di questo sistema . Per cui , pensa quanto tutto è legato … !
L’Europa è cambiata, ma non so se in meglio, però la cosa bella di questi
Paesi è che c’è posto per tutti , e hai il diritto e il diritto ti viene
riconosciuto e quindi c’è spazio per il merito
(Prof ) Quindi tu consiglieresti a loro, dopo la maturità, di
cambiare... ?
Di andarsene ??? … Di corsa !!! Per il momento qui è dura , e se ne
rendono tutti conto, anche all’estero e guardano questa involuzione
umanistica italiana, con grande preoccupazione e dispiacere , perché ci
vogliono tanto bene però non capiscono come ci si sia potuti ridurre a
questo livello e ci compatiscono , a me costa personalmente … gli ultimi
mesi dell’ultimo governo, venivano i gelatai veneti, che hanno
praticamente una sorta di monopolio delle gelaterie e ai miei concerti mi
dicevano che non vendevano più un gelato e si
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Interviste e attualità
chiedevano il perché! … Perché come protesta anti-berlusconiana i
tedeschi facevano di tutta un’erba un fascio e dimostravano la loro
indignazione non comprando più i gelati italiani … pensa che danno…
era quando era uscita l’intercettazione telefonica sulla Merkel in cui la
prendeva in giro perché aveva il “ culone “ … quindi i tedeschi si sono
offesi e hanno detto: “ noi non mangiamo più la pizza e non compriamo
più il gelato fintanto che c’è quello lì! “
Scusi, ma lei ci consiglia di scappare? Ma se nessuno rimane.. le cose
non cambieranno mai !
Scappare no… ma se io vivessi in Italia e mio figlio mi chiedesse di fare
un’esperienza all’estero, io gli direi di sì! E’ un’esperienza formativa ed
è una cosa che potrebbe darti delle prospettive, sebbene tu abbia ragione
ma bisogna cambiare le cose, perché se rimangono sempre così, che
senso ha ? Veramente però, non a bocca, a parole…che tutto bisogna
cambiarlo perché tutto rimanga com’è… Così l’Italia potrebbe rivivere
un nuovo Rinascimento, bellissimo per noi e per il mondo intero se
l’Italia riacquistasse la sua forza e la sua bellezza … come diceva
Peppino Impastato!
La Redazione – Erika Santochirico, Serena Montrucchio, Debora
Sabba; Alessio Della Chiara 4°A
Se solo fosse vero
Il libro di Marc Levy tratta una storia d’amore
su uno sfondo sempre di attualità, l’eutanasia
Due destini, un incontro incredibile e
un amore pronto a superare ogni
ostacolo, anche quello più temuto: la
morte. E’ questa la storia raccontata
nel romanzo di Levy.
Arthur è un giovane architetto
paesaggista trasferitosi da poco in un
nuovo appartamento. Una sera, mentre
si lascia trasportare da un bagno caldo
si accorge di non essere da solo in casa.
C’è qualcuno che proprio in quel
momento sta battendo il tempo con le
dita. Si tratta di Lauren, una giovane
donna
di
trent’anni,
anzi
momentaneamente è uno spirito il cui
corpo giace in coma semi-permanente
in ospedale. E cosi in poche settimane
da quell’ incredibile incontro, “incredibile” perché ben presto Arthur si
accorgerà che solo lui può vederla, sentirla e toccarla, Lauren e Arthur
erano diventati complici, amanti e compagni di vita. Ma proprio in quel
momento più bello, e cioè quando i due si innamorano sul serio, i medici
decidono di staccare le macchine che tengono in vita la giovane
dottoressa. Inizia così per Arthur una lotta contro il tempo per salvare la
donna amata, perché come dice lui stesso nel libro: “riuscire a riportare
te alla vita dà un senso alla mia”.
Questa è la frase che riassume tutto il romanzo, ma non è melensa e
sdolcinata come potrebbe apparire. Arthur, come ho detto, è un
architetto, e rappresenta secondo me molti dei ragazzi di oggi. Si
descrive sereno perché gli “ piace cercare le soluzioni per non avere
paura dei problemi”. E ciò lo fa risultare come un uomo che non ha
paura di niente, ma in realtà è molto dolce. “Non si amava, né si odiava,
gli piaceva il suo modo di essere libero e indipendente”. Frequentava la
gente e i luoghi che gli piacevano e se leggeva un libro, lo faceva perché
gli andava di leggerlo e non perché rientrava in quella lista di libri che
bisogna assolutamente aver letto”. E’ piuttosto impulsivo, uno spirito
libero appunto, che nella vita si “butta”, si lascia andare senza farsi
troppe domande, altrimenti non si spiegherebbe come faccia a credere
alla storia di Lauren. Ma accanto a questo aspetto sereno e quasi
rassicurante, se ne accosta uno fragile che si rivela in un momento
particolare della loro fuga romantica, nella vecchia casa dove Arthur
aveva vissuto la sua infanzia assieme alla madre, che purtroppo a causa
di una malattia lo aveva abbandonato ancora troppo piccolo. La madre
rimase una figura molto importante nella sua vita. Madre che, sebbene
avesse avuto poco tempo per stare accanto al suo bimbo, gli aveva
insegnato a vivere e a non sprecare neanche un attimo della vita, perché
poi non ti verrà più restituita. Lauren invece è una dottoressa che a causa
di un incidente stradale si trova da tre mesi in un letto d’ ospedale. Ma
stranamente la sua anima non è con lei e non si sentirà viva finché non
arriverà nel suo appartamento Arthur. Con lui parla dei vantaggi di
essere “un fantasma”, ma pensandoci bene si rende conto che esserlo è
più una croce che una gioia. Infatti dice: “tutto è diventato per me
accessibile ma anche impossibile”. E’ un personaggio originale e
inverosimile, ma molto divertente. Come dice anche Casper, il famoso
fantasma
dell’
omonimo film e
cartone animato, i
fantasmi
sono
persone morte che
hanno
una
questione irrisolta
sulla terra, qualcosa
in sospeso. E forse
Lauren è una specie
di fantasma, e la
sua
questione
irrisolta è Arthur, ovvero la sua vita non può essere interrotta perché
deve trascorrerla con il suo amato. Inoltre il fatto che Lauren insista tanto
a volere sapere il perché lui l’ aiuti, nonostante sia una follia che in pochi
sarebbero disposti a fare, data la soprannaturalità della storia, secondo
me lo fa assomigliare a molte di noi. Perché anche se sospettiamo
qualcosa sul sentimento dell’altro vogliamo proprio sentircelo dire in
faccia per farlo risultare molto più romantico. Il romanzo tratta diverse
tematiche, prima di tutte l’amore. Un amore ai limiti della realtà,
appassionante e tenero che cresce giorno per giorno e ricco di ironia e
fantasia, e che li porta alla fuga romantica. Tutto ciò avviene appunto
nella casa dove Arthur ha trascorso l’ infanzia. Una villa che dopo la
scomparsa della madre non aveva più avuto il coraggio e la forza di
aprire. Però decide di farlo per Lauren, per salvarle la vita. La casa infatti
servì a nascondere il corpo della donna, portato via clandestinamente da
Arthur e dal suo collega di lavoro dall’ ospedale per impedire ai medici
di porre fine all’esistenza di Lauren. Porre fine a una vita, ovvero
procurare intenzionalmente la morte di una persona a causa della sua
qualità di vita compromessa da un grave incidente o da una malattia.
Questa si chiama eutanasia ed è una questione sempre molto attuale che
fa nascere grandi discussioni. E’ giusto staccare le macchine che tengono
in vita una persona? E gli interrogativi che emergono sono tanti: e se
mentre stacchiamo la spina, si muovesse una mano o un piede o si
risvegliasse del tutto? Dovremmo sentirci in colpa per staccare tutto, o
degli “eroi”, perché poniamo fine soprattutto a uno stato irreversibile e
che crea solo sofferenza per il malato e la famiglia, che lo vede ogni
giorno immutato e si sente perciò più impotente?
Ma se da un lato il libro fa riflettere su questo aspetto molto delicato,
dall’ altro ci vuole fare capire l’ importanza della vita e di essere felici,
di vivere ogni attimo, ogni momento e di non sprecare niente. Insomma
vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo! Questo dice Lauren: per lei è
essenziale, perché sa che la sua attività cerebrale cala ogni giorno e
potrebbe scomparire da un momento all’ altro. Una delle frasi del libro
che mi è piaciuta tanto è: “ riconoscere la felicità quando è ai tuoi piedi,
avere il coraggio e la determinazione di abbassarti per prenderla tra le
braccia e custodirla. Questa è l’intelligenza del cuore. L’intelligenza
senza cuore non è altro che logica e non è un gran che”. L’ultima
tematica che ci fa riflettere è il fatto che la gente non ama la differenza,
espresso da Arthur in compagnia di Lauren in un ristorante. Perché la
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Interviste e attualità
verità è che uno che parla, gesticola mentre sta cenando da solo dà
fastidio. Della serie: non ti conosco. Purtroppo è così: tutti ti vengono
incontro, ti sostengono quando sei “normale”, uguale a loro, ma non
appena accenni un comportamento, un atteggiamento diverso dai loro
canoni ecco che quelli che pensavi fossero i tuoi amici ti si rivoltano
contro, come dei semplici sconosciuti; nel caso di Arthur , era in un
ristorante pieno di sconosciuti, questi che appunto nemmeno sanno il tuo
nome, si permettono di giudicarti. Sembra quasi che per vivere una
persona oggi debba assolutamente rispettare certi canoni. Chiunque o
quasi preferisce giudicarti subito e magari farlo male, piuttosto che
pensare un attimo e non dare immediatamente giudizi affrettati.
Comunque “Se solo fosse vero” è un romanzo romantico e allegro che fa
sognare. Concludo con una frase del padre di Lauren: “tutto è possibile,
ed è solo una questione di tempo, il tempo di comprendere in che modo
sia possibile”. E’ una frase di speranza, che non mette limiti al sogno,
molto simile a “volere è potere”. Per Arthur è stato proprio così,
nonostante le difficoltà e la gente che lo credeva matto, è riuscito nel suo
obiettivo: salvare la donna amata e riuscire a dirle la frase con cui lei ha
cominciato il suo racconto: “quello che sto per dire non è facile da
capire, ed è impossibile da ammettere, ma se vuole ascoltare la mia
storia, se vuole avere fiducia in me, allora forse mi crederà, ed è molto
importante, perché lei, senza saperlo, è la sola persona al mondo con la
quale possa condividere questo segreto”.
Erika Santochirico 4°A
Il dibattito tra scienza e fede
Evoluzione umana e ricerca della Verità
Fin dalle sue
origini l' uomo si
è sempre posto
alcune domande;
domande le cui
risposte
sono
state elaborate e
interpretate
in
modo
più
raffinato
in
seguito
allo
sviluppo e alla
miglioria
del
linguaggio,
nonché unica e
inequivocabile “tecnologia” in grado di creare le circostanze necessarie
affinché un individuo (nel suo ego o nella sua società) possa comunicare
ed evolversi. I primi a dare un nome a questa tecnologia furono i Greci,
che essi identificarono nel “Logos”, lo studio del pensiero e del
linguaggio e non solo: essi attribuivano ad esso non solo un significato
puramente tecnico, ma un motore primario che governava il mondo
secondo un modello ordinato e pulito, le cui leggi presentate secondo
uno schema entropico, ma con un consistente numero di analogie, erano
ignare all' uomo, che comunque era consapevole di questo suo limite.
Esso, dunque, era lo strumento che, attraverso ragionamenti logici e
modelli coerenti, permetteva di avvicinarsi alla conoscenza della “vera
natura delle cose”, intesa non solo come della loro natura “fisica”
(ovvero il suo significato originale), ma anche del “cuore”, o se meglio si
preferisce, della sua “anima”, l' elemento fondamentale che rendeva l'
oggetto appartenente al mondo perfetto a cui ho appena alluso, quello
che rispondeva all' ideale del “logos”. Esso corrisponde al “Verbum”
romano, l' appellativo che i latini diedero al loro Dio sceso sulla Terra: la
“luce”, la “giustizia”... la ”Verità”.
Ma cos' è la Verità?
La Verità non è un concetto definibile logicamente; essa può solamente
indicare ciò che è verificabile o dimostrabile secondo una sequenza di
ragionamenti coerenti che seguono un determinato “filo” logico a partire
da pilastri assiomatici.
La ricerca della Verità è un' avventura veramente entusiasmante e
coinvolgente per ogni uomo che compie tale “cammino”. Sebbene la
cultura orientale si basi ancora su un' intrinseca unione della natura fisica
e “spirituale” delle cose, la metodologia utilizzata dalla filosofia
occidentale in questo viaggio è piuttosto divergente, e vede una forte
avversità nella
conciliazione
dello studio
scientifico con
il
pensiero
religioso, in
particolare
quello
cristiano:
problema che
coinvolge le
due entità e
influenza tutta
la cultura del
mondo, dalla loro nascita ai giorni nostri. Tutte le religioni ritengono che
il mondo sia un mistero bisognoso di spiegazione; la scienza, d' altro
lato, lascia molti problemi insoluti e insolubili e sa fondatamente che
nulla può essere conosciuto nella sua intima essenza. Compito della
conoscenza è solo quello di classificare il nuovo entro una serie di
fenomeni già noti, facendo salva la coerenza dell' insieme. La nostra
conoscenza è sempre relativa, perché arriva a limiti non ulteriormente
spiegabili. Al di là di quanto è comprensibile c' è l' “Inconoscibile” a cui
si riferisce la religione. La filosofia deve purificare la religione dalle
forme più grossolane di espressione e offrire una conoscenza più
generale di quella scientifica, perché tende a fondere le varie
conoscenze. L' esperienza è un sapere non unificato; la scienza è un
sapere parzialmente unificato. Il criterio di verità è la salvaguardia della
coerenza dei vari elementi. Si deve perciò presupporre come
fondamentale l' attestazione della coscienza, che coglie la coerenza delle
affermazioni: pensare non significa, infatti, avere solo dei fatti di
coscienza, ma metterli in relazione tra loro. Ogni verità è frutto del
processo di adattamento tra le relazioni interne all' individuo cosciente (l'
insieme delle sue conoscenze, persuasioni, convinzioni...) e quelle
tipiche dell' ambiente circostante.
La Storia ci racconta molte
“battaglie” che videro in
campo scienza e fede: gli
ideali degli uomini mutavano
continuamente da periodo a
periodo e questi cambiamenti
non erano altro che un indice
della potenzialità dell' uomo e
della stima nei propri
confronti.
Medioevo,
Rinascimento,
Barocco,
Illuminismo, Romanticismo,
Positivismo... e cosi via, una
serie di “pacchetti” storici,
artistici, letterari e in generale
culturali che alternavano vicende che vedevano coinvolte le due parti,
radicalmente influenzate dagli eventi storici del loro tempo. In
particolare, nel corso dei miei studi di Storia, sono due gli eventi che mi
urge ricordare: lo scandalo astronomico della prima metà del Seicento e
quello evoluzionistico della prima metà dell' Ottocento che vide sul
“campo” la Chiesa e due dei più grandi uomini che la Scienza possa
8
Interviste e attualità
ricordare, rispettivamente Galileo Galilei e Charles Darwin, separati da
due secoli, ma accomunati da molte analogie tra cui il linguaggio
semplice e discorsivo delle loro divulgazioni e le appassionanti ricerche
ed esperimenti che li caratterizzavano; inoltre la spudorata quanto cieca
negazione da parte del Pontefice delle loro scoperte, o perlomeno delle
tesi
che
andavano
divulgando, poiché non
rispecchiavano
le
conoscenze classiche
aristoteliche riguardo l'
ordine
cosmologico
(nel caso galileiano),
oppure l' origine divina
dell' uomo raccontata
nella Bibbia (nel caso
darwiniano).
Tralasciando
i
particolari,
questo
discorso può facilmente
essere riportato all'
attualità, dove sebbene
lo scontro avvenga con
“armi più leggere”, non
mancano
forti
discussioni e contese
che
riaccendono
dibattiti teo-logici: la
clonazione, l' aborto, la fecondazione assistita, l' uso del profilattico...
sono solo alcuni degli argomenti più ardui per cui si combatte. Da una
parte la Scienza con i suoi enormi progressi (sarebbe più corretto dire
“sviluppi”, poiché dal “progresso” si evince un forte approccio finale
positivista) e le sue nuove invenzioni al fine di migliorare le condizioni
di vita della società e portare avanti la ricerca, dall' altra la Chiesa che
esorta i fedeli a seguire il “giusto” cammino senza deviare per strade
“comode”, ma per quelle che ti portano ad una pura salvezza morale e
spirituale.
I due sentieri della conoscenza non hanno niente di sbagliato: entrambi
sono alla continua ricerca della verità, ciò che li separa sono solamente i
pilastri di partenza. La società ha bisogno di istituzioni che la possano
guidare; essa ha paura di ciò che non conosce, ma è proprio questo che
rende l' ignoto così affascinante. E chi, se non la Chiesa o la Scienza, può
dare risposte certe sull' ignoto???... la risposta è molto semplice:
NESSUNO.
Nessuno potrà mai arrivare a quel livello di conoscenza tale da
permetterti di fermarti e dire che il tuo scopo nella vita è finito. La
conoscenza è un limite a cui tendere, un irraggiungibile fine o meta che
rincorrerai per tutta la tua vita.
Scienza e religione non troveranno mai un punto d' accordo fino a
quando non capiranno che il modo giusto di guidare la società è quello di
riuscire a far convergere in un unico ideale le rispettive dottrine. La
natura delle cose non la si ritrova solamente nello studio delle sue
proprietà fisico-chimiche, ma anche nell' anima che rivive all' interno di
esse. Queste due entità si sono separate nel momento in cui l' uomo
razionale ha iniziato a nominare, dividere, classificare e a ordinare
queste realtà, mentre l' uomo spirituale, altrettanto, ha fatto emergere
solamente il loro “pneuma” vitale con il grave errore di sprofondare in
concetti metafisici spiegati con quelle che vengono chiamate “semplici
parole a vuoto”. L' uomo ha bisogno di questa riconciliazione, il vero
scopo della sua vita è quello di ricercare la realtà che gli manca: questo
cammino può essere aiutato dalla Scienza o dalla Fede che gli vengono
insegnati, ma essi riempiono solamente quella che può essere definita
una conoscenza parziale della sua formazione e della sua moralità. La
vera realizzazione la si ritrova quando la “coscienza” umana lo porta a
capire quello che cerca. È un cammino individuale differente da uomo a
uomo, ma sicuramente porta ad un' unitarietà e ad una fusione della
mente con il corpo, dell' anima con il fisico, della componente scientifica
con quella spirituale: non è un caso che nell' atto cresimale del cristiano
praticante i sette doni ricevuti dallo Spirito Santo siano la Sapienza, l'
Intelletto,
il
Consiglio,
la
Fortezza,
la
Scienza, la Pietà
e il Timor di
Dio, dove quest'
ultimo
rappresenta
l'
Inconoscibile
che ci rimane
oscuro, ma che
ci dà la forza e
la grinta di
andare
avanti
nel nostro cammino.
I dettagli dell' esistenza non hanno un senso se vi neghiamo l' aspetto
spirituale: essi rimangono concetti fini a se stessi e l' esistenza
rimarrebbe un idioma senza un centro... in talune culture il processo di
scoperta di questo centro spirituale è semplicemente chiamato imparare
a essere umani.
Sanya Casadei 5J
Magazine degli studenti dell’Isiss Gobetti – De Gasperi, scaricabile dal sito
www.isissmorciano.it
Gli studenti che vogliono partecipare possono inviare i loro articoli in
formato Word all’indirizzo email
[email protected]
La Redazione:
Alessio Della Chiara 4°A, Serena Montrucchio 4°A, Erika Santochirico 4°A,
Debora Sabba 4°A, Alessia Masini 2°A, Valbona Jonuzi 2°A, Alessio
Carcaiso 2°A.
Coordinatore:
Prof. Giuseppe Vanni
9
Voci dal Gobetti- De Gasperi
De.Gas.Go.!!!
Alunni e docenti del Gobetti-De Gasperi
in concerto al Palafiera di Morciano
•
Mercoledì 14 marzo,
al
Palafiera
di
Morciano, è stato
tenuto
uno
spettacolo
organizzato
dai
docenti collaboratori
del
laboratorio
musicale
della
nostra scuola e dai
ragazzi partecipanti.
Insieme
hanno
dimostrato il loro
talento
in
una
calorosa esibizione, seguiti e acclamati dalle classi quarte e quinte. La
messa in scena dello spettacolo è stata possibile grazie alle prove svolte
due volte a settimana dai ragazzi, assistiti dai professori. Ogni mercoledì
e venerdì pomeriggio ci si ritrovava nella struttura scolastica a fare le
prove. I docenti si sono ritrovati quasi catapultati nel passato, tornando
agli anni giovanili, durante i quali coltivavano le proprie passioni con
l’allegria di chi fa qualcosa col cuore. Credo si siano divertiti molto,
come pure i ragazzi, e questa è la cosa più importante. Ai giovani, infatti,
nonostante la grande emozione, il
corso è piaciuto molto e sono stati
soddisfatti dello spettacolo atteso con
impazienza.
L’organizzazione è stata difficile e
complessa, anche perché il tempo a
disposizione è stato poco, ma alla fine
è stato ottenuto un buon risultato,
visibile anche dalla reazione del
pubblico.
Inoltre l’attività non è finita qui, ma
continuerà con altre esibizioni che si
terranno il 30 marzo al teatro Massari
di San Giovanni in Marignano e l’1
giugno, durante la festa di fine anno
scolastico, nel Palazzetto dello Sport.
Per la riuscita di questa attività è importante ringraziare la Provincia di
Rimini, la quale ha fornito i finanziamenti, il Preside, che ha
acconsentito con piacere alla realizzazione del corso musicale, i docenti,
che hanno deciso di voler adoperare il loro tempo per questo e i ragazzi,
che, con passione, si sono impegnati e, soprattutto, divertiti:
Queste le performance:
•
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•
Lisa Bretani, che ha interpretato “Il tempo di morire”, “Lonely
day”, “Perdere l’amore”, “Caruso”, in onore di Lucio Dalla, “I
will survive” e “Generale”(quest’ultima assieme ai professori
Galli Renzo e De Nunzio Francesco);
Federica, con “Gocce di memoria”, “Someone like you”,
“Bastava” (quest’ultima assieme a Sabrina);
Daniele Piccone, con “Ci sarai” e “I belong to you” (quest’ultima
assieme a Lisa Bretani);
Elisa, Sabrina, Valentina e Federica assieme per interpretare
“Distratto”;
Le stesse di prima, con l’aggiunta di Valbona, per “Benvenuto”;
“I gemelli Pire”, che si sono esibiti con una Break Dance;
I “Carena”, con “Vodoo Child” e “Paranoid”
Gli “Head Rush”, che hanno interpretato “Californication”,
“Smells like teen spirit”, “Time is running out” e “Blitzkrieg
bop”;
Serena, con “La notte”;
Sonia, con “Se telefonando”;
Tutti assieme con “Terra promessa”;
Inoltre fondamentale è stata la partecipazione delle due vallette e
di “Mr. Richard”, che, oltre a cantare “Voglio andare a
Liverpool”, ci ha intrattenuti per tutta la durata dello spettacolo.
Valbona Jonuzi 2°A
Una piccola galleria fotografica del concerto
10
Voci dal Gobetti –De Gasperi
FOR YOU AND FOR ME
UN CAPODANNO ALTERNATIVO
NEL CONTINENTE AFRICANO
Intervista a Gianluca Corbelli 4°A
1)Come si chiama il progetto
a cui hai partecipato?
Si chiama gruppo Africa ed è
un gruppo parrocchiale, di
Bellaria Monte.
2)Com’è nato questo gruppo?
È nato attraverso il viaggio di
un prete e un padre di famiglia i
quali
l’hanno
proposto
successivamente a dei ragazzi
che hanno poi accettato la
proposta
10)Come hai trovato la forza per accudire le persone nella missione?
In fondo si tratta di una cosa forte, non tutti sarebbero stati capaci…
Inizialmente le prime persone che si andava ad aiutare ci si trovava un
po’ impacciati anche a causa dell’odore che emanavano i reparti dove
queste persone erano alloggiate, però man mano che si aiutavano queste
persone si era spinti anche dai loro sorrisi di gratitudine e di
ammirazione.
11)E’ un’esperienza che rifaresti?
Sì, volentieri e magari accompagnando qualche mio coetaneo in questa
esperienza perché credo che possa essere un’ottima esperienza di vita
che ognuno di noi dovrebbe provare.
La Redazione - Debora Vitillo 4°A
I Masnadieri
4°A al Regina di Cattolica, ma questa volta
con un’opera dalla trama a suon di pistola…
3)In che paese sei andato?
In Etiopia in un villaggio a circa dodici ore di auto da Addis Abeba. Là
c’è una missione delle suore che ospita disabili sia mentali che fisici di
ogni età
4)Qual era il vostro compito all’interno della missione?
Il nostro compito era quello di far giocare i bambini ed aiutare nelle cose
di tutti i giorni: lavare gli ospiti della struttura, tagliargli le unghie delle
mani e dei piedi, sbarbarli e servigli i rispettivi pasti.
5)Quali emozioni ti ha trasmesso questa attività non del tutto
usuale?
Compassione e rabbia allo stesso tempo per le evidenti ingiustizie.
6)Come ti sei trovato con l’improvviso cambiamento climatico?
Mi sono trovato a mio agio (ero là tra Natale e Capodanno) anche perché
l’Etiopia è un enorme altopiano e quindi le temperatura risentivano delle
altitudini.
7)Avete portato qualcosa
da donare alla missione?
Il nostro bagaglio era metà
per noi e l’altra metà era
adibita
a
materiale
scolastico da donare, in più
abbiamo donato una somma
di denaro raccolta con
mercatini
equo-solidali
effettuati durante l’anno.
8)Guardando le fotografie che hai mostrato, siamo rimasti sconvolti
dalle case. Non pensavamo fossero ancora così rudimentali, e
comunque in generale da ciò che ci hai mostrato con le immagini si
evince una situazione di grande povertà.
Infatti non sono presenti strade asfaltate al di fuori della strada principale
che collega le città più importanti; le case sono prive di elettricità e
acqua corrente e anche noi ci siamo dovuti adattare a questa situazione,
per esempio usavamo dei secchi di acqua fredda e ce li rovesciavamo
addosso a vicenda. In un contesto simile per es. è difficile lavarsi i
capelli più di una volta la settimana.
9) Quindi in generale com’è stato l’impatto con l’Africa profonda?
Mi ha aiutato a capire e valorizzare le piccole cose, come il fatto di
potersi lavare con dell’acqua corrente sotto la doccia ed apprezzare
maggiormente ciò che già abbiamo.
Secondo appuntamento a teatro per la 4°A ITC accompagnata dai Proff.
Vanni e Rubini. Ma questa volta con una storia completamente diversa.
Si tratta dell’opera di Schiller, I Masnadieri. Un’interpretazione davvero
innovativa, moderna e piuttosto insolita rappresentata al teatro La Regina
di Cattolica. Noi ragazzi, abituati a canti melodici e ad abiti ottocenteschi
siamo rimasti sorpresi nel vedere attori giovanissimi indossare giacche di
pelle e nell’udire colpi di pistola sorprendentemente veri.
Ecco il comunicato stampa del Teatro della Regina:
I MASNADIERI
di Friedrich Schiller
regia di Gabriele Lavia
scene di Alessandro Camera
costumi di Andrea Viotti
musiche di Franco Mussida
luci di Simone De Angelis
La vicenda, tratta dal capolavoro del romanticismo tedesco Die Rauber,
ovvero i fuorilegge, i banditi, è la storia dei fratelli Moor: uno, Karl,
scapestrato ma generoso e affascinante, l’altro, Franz, invidioso e
deforme. Per rubare a Karl l’affetto del padre e della donna amata
subentrando così sia nell’eredità sia nelle grazie di questa, Franz diffama
cinicamente il fratello, il quale per disperazione diventa capo di una
banda di fuorilegge e commette delitti talmente atroci che quando la
verità viene a galla uccide padre e fidanzata perché non convivano con le
sue colpe. Eccessivo fino al delirio il testo, così pieno di coraggio, di
slancio, d'amore e di dolore e che oggi coinvolge come certi giochi di
11
Voci dal Gobetti – De Gasperi
playstation o certi cartoni animati giapponesi, col fascino di una
mancanza di limiti che, una
tantum, ci consentiamo di
contemplare: e bene fa
Lavia a lasciarlo parlare con
bella
chiarezza,
senza
prenderne le distanze ma
anzi
sollecitando
la
compagnia di giovani in
cuoio antracite e occhiali
scuri a darci dentro, con un
ritmo
incalzante
sottolineato dalle musiche
di Franco Mussida.I giovani
entrano nel gioco con gusto sull’esempio dello scelleratissimo Franz di
Francesco Bonomo, che parte a razzo e riesce a mantenere il tono fino
alla fine. Simone Toni (Karl), Gianni Giuliano (Moor), Cristina Pasino
(l’unica donna) e sedici altri reggono come lui senza cedimenti per le pur
non brevi due ore e mezza.
CENTO, CENTO, CENTO!!!
I giorni che mancano (mancavano, al 13 marzo…)
alla Maturità
Ma la giornata non è finita qui: alle ore 20:00 per chi voleva cenare e alle
ore 21:00 per chi voleva solo ballare, ritrovo di fronte alla scuola per la
navetta che ci avrebbe portati al Rio Grande, dove alcune classi hanno
anche deciso di cenare. Alla festa in locale hanno partecipato tutte le
scuole di Rimini, e sono stati organizzati giochi e concorsi di Mr e Miss
Cento Giorni e distribuzione di tante magliette colorate in ricordo della
festa, avvenuta dopo la cena. Dopo di ciò si è dato via alle danze e tutti i
ragazzi si sono divertiti ballando in compagnia, ridendo e scherzando
fino alle 4, quando la navetta ci aspettava per il ritorno a casa.
Tutti sono rimasti contenti della magnifica giornata, che per i ragazzi
delle classi quinte rappresenta un punto di traguardo ambito già dal
primo arrivo a scuola, in classe prima.
Certamente il 13 marzo rimarrà per tutti noi uno splendido ricordo di
questo ultimo anno di scuola e di tutto il percorso svolto finora.
Giulia Tasini 5°A
L’AZZURRA DELL’ISISS
MARTINA OLIVIERI, 4°A, NAZIONALE DI KARATE
CI RACCONTA IL SUO SPORT
1)Cosa ti ha spinto a iniziare
karate?
Possiamo dire che ho iniziato
questo sport,il karate, un po’
per caso. Un giorno mia madre
mi fece vedere un volantino
che era attaccato al finestrino
della sua macchina che
mostrava una scuola dove
insegnavano
questa
arte
marziale.
2)Da quanti anni pratichi
questo sport?
Ho iniziato all’età di cinque
anni e mezzo, e oggi sono ben
dodici anni e mezzo che
continuo ad avere la stessa
passione.
Dopo tanta trepidazione e crogiolante attesa, il 13 marzo le classi quinte
di tutto l’Istituto hanno festeggiato i Cento giorni all’esame di Stato.
Nonostante molti di noi sperino di non arrivare mai a quel fatidico
giorno di giugno, il festeggiamento del conto alla rovescia è stato accolto
con gran clamore da tutti: non è stato certo facile organizzare l’intera
giornata, ma alla fine grazie ai nostri rappresentanti d’Istituto e a tutti i
rappresentanti delle classi quinte la festa è riuscita molto bene!
Già dalla mattina all’arrivo a scuola i ragazzi si sono presentati chi in
tenuta elegante chi travestito in base al tema scelto dalla propria classe
(si sono visti ad esempio il cappellaio matto e il coniglio bisestile di
Alice nel paese delle meraviglie, e pure un’intera squadra di rugby!!!).
Dopo le prime due ore di lezione finalmente è suonata la campanella
della ricreazione, ed ecco che tutti i maturandi sono scesi in fretta e furia
dalle scale per dirigersi in cortile e partecipare al famoso corteo con il
grido “ Cento, cento, cento!!!”. Alle ore 12:50 siamo tutti usciti da
scuola per andare alla pasticceria Garden dove era pronto per noi un
rinfresco in occasione della festa: dolce, salato e infine torta e spumante
per festeggiare l’occasione.
3)Lo vedi più come un
hobby, uno sport, o un futuro lavoro?
L’ho sempre vista come una passione, ma crescendo ed arrivando a certi
livelli la mia opinione si è evoluta. Una volta finita la mia carriera
agonistica potrei iniziare a insegnare ai bambini e quindi trasformare
quella che è la mia passione in un futuro lavoro.
4)Hai partecipato a qualche gara? Se sì, a livello nazionale o
internazionale?
Sì, ho partecipato a gare sia di livello nazionale che internazionale.
5)Qual è il ricordo più bello delle tue gare?
Ogni vittoria è sempre emozionante, ma l’emozione più forte l’ho
provata vincendo il mio primo campionato italiano a squadre sociali. Le
gare a squadre sono delle competizioni dove partecipa tutta la squadra
formata da tre componenti del gruppo dove, disposti a triangolo, i
membri del gruppo si devono muovere in sincronia eseguendo uno dei
vari Katà(forme). Dopodiché si esegue il BUNKAI, cioè il
combattimento.
6)Oltre al karate hai altri interessi?
Gli altri interessi sono quelli che accomunano noi adolescenti, uscire con
gli amici, divertirmi, ascoltare musica, ma in sostanza la mia passione
più grande rimane quella del karate.
12
Voci dal Gobetti – De Gasperi
7)Hai dovuto rinunciare a qualcosa per dedicarti alla tua passione?
Tra scuola e sport durante la settimana mi rimane poco tempo per me,
quindi è normale che io debba rinunciare a qualcosa. Durante i week-end
spesso sono in ritiro con la squadra e ciò mi toglie del tempo per
frequentare i miei amici.
avvisava che ero stata convocata in nazionale. Li per lì la mia prima
reazione fu di grande gioia, era una cosa troppo importante per me.
Quindi nonostante i postumi dell’incidente non volli sentir ragioni e
andai con mio padre e altre componenti della mia squadra a Matera che
era il luogo fissato del raduno in azzurro.
8) Dove ti alleni? Ti trovi bene
in quell’ambiente?
Mi alleno al nuovo palazzetto
dello sport a Riccione, tre volte
alla settimana per un’ora e
mezza ciascuna. Si inizia con il
saluto: il karate è un’arte
marziale, quindi il rispetto è
fondamentale. Indossiamo un
Karategi (la tunica pantalone e
giacca bianca legate da una
cintura, nel mio caso nera)
Si inizia l’allenamento con un
riscaldamento
muscolare,
dopodiché si passa alla forma,
cioè a fare i Katà, cioè l’insieme
di quelle forme a “vuoto” che ne
costituisce l’essenza.
14) Quindi, concludendo, qual è lo stato attuale del tuo palmares?
Cinque titoli italiani a squadre, un terzo posto individuale al campionato
italiano, un terzo posto individuale a un torneo di Napoli valido per il
ranking nazionale, un semieuropeo a squadre in Austria, quinta a squadre
nell’importante open di Monza e altre minori.
La Redazione - Debora Vitillo 4°A
Ballando ballando
Martina Barbieri, 2°A, e la sua passione per la danza
9)Come sei diventata cintura
nera?
Solitamente
per
diventare
cintura nera si deve andare a
sostenere un esame a Bologna;
nel mio caso invece lo sono
diventata per diritto essendo arrivata settima al mio primo campionato
italiano individuale. Un altro bel risultato che ho ottenuto ai campionati
italiani è stato il terzo posto ottenuto sempre nel Katà che mi ha
permesso poi di iniziare una lunga serie di ritiri con la nazionale italiana.
10) Il karate è uno sport olimpico?
Ancora no. Lo dovrebbe diventare nel 2016.
11)Come viene strutturata la valutazione della giuria, in una gara di
karate/katà?
Ci sono cinque arbitri ai bordi del tatami(il tappeto su cui avviene la
gara) i quali hanno due bandierine ciascuno, di colore diverso: una rossa
e una blu. La rossa sta ad indicare la persona che inizia per prima, la blu
la seconda. Finito il katà l’arbitro centrale fischia e tutti e cinque gli
arbitri sollevano una delle due bandierine a seconda del contendente che
vogliono premiare.
12) Come ti sei trovata all’interno della
nazionale italiana?
Mi sono trovata molto bene perché è come
stare in una grande famiglia; gli allenamenti
sono molto “tosti” e quindi ti permettono di
crescere ancora di più e di affinare
ulteriormente le tecniche relative a questa
disciplina. Solitamente facciamo tre giorni
di stage in cui ci alleniamo due volte al
giorno per due ore ciascuno, una la mattina e
una al pomeriggio.
13)Come ti è arrivata la notizia della
convocazione azzurra? Come hai reagito?
Mi è arrivata in un momento particolare; ero in prima superiore ed avevo
appena avuto un incidente serio con lo scooter che tra le altre cose mi
aveva provocato un trauma cranico. Mi trovavo a casa ancora
convalescente quando mi arrivò la telefonata con cui la mia società mi
Da quanto tempo danzi?
Pratico danza da molto tempo, più precisamente da quando avevo 4 anni!
Piccola eh?!
Decisamente! Come e perché iniziasti?
Iniziai semplicemente perché tutte le mie amiche andavano lì e mia
mamma mi ci ha portata. Ero subito entusiasta, anche se da piccola,
essendo abbastanza timida, inizialmente un po’ mi vergognavo!
Ti vergogni ancora?
No, per niente, perché ormai mi sono abituata a ballare in pubblico e mi
trovo molto a mio agio perché quando ballo mi dimentico di tutto il
resto. Mi rinchiudo nel mio mondo per un po’ di tempo, e poi torno ad
una realtà diversa, ma comunque bella.
Che tipo di danza fai?
Classica e moderna da sempre, mentre c’è stato un periodo in cui ho
fatto anche hip hop.
Dove ti alleni?
Alla Plume di Morciano, di solito due volte a settimana. Il fatto che per
coltivare questa passione non debba fare tanti “sforzi” per spostarmi
allenandomi appunto a Morciano è uno dei tanti aspetti positivi di questo
sport.
Quali altri aspetti positivi ci sono ad esempio?
Come ho detto prima, uno degli aspetti positivi principali è che quando
ballo penso solo a quello, a ciò che mi piace. Mi piace infatti andare alle
lezioni, mi rilassa, mi fa sentire “libera”.
13
Voci dal Gobetti – De Gasperi
Ti è mai passata la voglia di danzare?
Proprio passata no, però diciamo che due anni fa c’è stato un periodo in
cui nella danza non riuscivo a trovare il solito svago e il solito
divertimento che vedevo precedentemente e che vedo tutt’oggi. Non so
come, non so perché ma oggi mi è totalmente passato questo momento di
“confusione” e non mi perdo più una lezione.
Favole da assaggiare
Lettura animata multisensoriale per bambini
ad opera dei ragazzi della 2°B
E’ difficile memorizzare i passi?
No, basta averli fatti due o tre volte e poi vengono da soli. Ma a parte
questo, anche se fosse difficile m’impegnerei per impararli perché con i
passi fai parlare il corpo, comunichi senza usare la voce e tutto ciò per
me è fantastico.
Riesci a conciliare
danza e studio?
Direi di sì, perché
ovviamente gli orari non
coincidono e le lezioni
durano o due o un’ora
quindi ho anche il
tempo di studiare.
Qualche “rumor” sui
prossimi spettacoli?
Il prossimo spettacolo
principale sarà “La
Carmen”, che si terrà in
Giugno al Teatro della
Regina a Cattolica.
L’ultimo spettacolo che
abbiamo fatto invece è
stato a San Gregorio al
Padiglione
Fieristico.
Inoltre
ne
faremo
altri per le varie
rappresentazioni
del
paese.
Per
vedere
gli
spettacoli si paga?
Per i teatri privati sì, ma
per le rappresentazioni
pubbliche come a San
Gregorio no.
In conclusione, consiglieresti quest’attività a qualcuno?
Per me questo è uno sport molto bello e ormai credo di non smettere più.
Lo consiglierei, ma non a tutti, perché non tutti hanno le qualità e le
capacità adatte per praticare la danza, ma per chi è portato consiglierei di
iniziare da piccoli per coltivare al meglio questa passione.
La Redazione – Alessio Carcaiso, Valbona Jonuzi,
Alessia Masini 2°A
Due favole a fare da cornice ad un pomeriggio tutto speciale, dedicato a
loro, i più piccoli, gli unici a cui ormai sembra essere rimasta la voglia e
la possibilità di sognare, in tutti i sensi. Pomeriggio a cura della
Professoressa Giambartolomei con la collaborazione degli alunni della
2°B dell’ITC Piero Gobetti di Morciano di Romagna, che si sono prestati
ad un compito speciale, quello di dare vita alle favole. Sì, perché spesso
le fiabe possono diventare realtà, poi se a farle diventare tali ci pensa una
coreografia animata ed interattiva tutto diventa più semplice. La chiave
di tutto resta comunque il divertimento, sia per gli studenti che si sono
cimentati in quella che per loro è stata un’esperienza nuova e sia per il
“grande pubblico“, che ha potuto ovviare alla solita storiella letta dalla
mamma sul lettone prima di addormentarsi . Quello di mercoledì 18
aprile è stato il primo appuntamento di una simpatica iniziativa che ne
vedrà altri con letture che affronteranno tematiche differenti, il tutto reso
possibile dalla concessione della Biblioteca Comunale di San Giovanni,
che ha messo a disposizione i suoi ambienti per l’occasione , visto che le
condizioni meteo non hanno reso possibile lo svolgersi dell’attività
all’aria aperta. Un autentico successo che, grazie alla combinazione
vincente personaggi-cibo, ha letteralmente incantato e lasciati pieni di
stupore i diretti interessati.
Infatti, come prima accennato, i personaggi, dalla carta si sono
materializzati in carne ed ossa,travestiti di tutto punto per rendere il tutto
ancor più reale, coinvolgendo direttamente gli spettatori in un’attività
sensoriale, facendo loro toccare con mano il cibo e facendoglielo
assaporare. Una delle due favole, infatti, andava a toccare un argomento
molto sensibile per i bambini, quello della frutta, alimento indispensabile
per la crescita. Gli organizzatori non si sono comunque limitati ad offrire
solamente le due favole al pubblico, ma hanno dato la possibilità, ai
piccoli ospiti, di passare qualche momento di ricreazione tutti assieme,
reso ancora più divertente dalla creazione di animaletti con i palloncini
da parte di alcune alunne e da una ricca merenda, ovviamente a base di
ottima frutta!
Alessio Della Chiara 4°A
14
Il libro – Il film
Radio Freccia
Un film generazionale sempre d’attualità
“Credo che non sia tutto
qua, però prima di
credere in qualcos'altro
dobbiamo fare i conti con
ciò che c'è qua. E allora
mi sa che crederò prima o
poi in un Dio.”
Frase
stupenda.
Ma
quant'è vera? Ve lo dico
io: tanto.
A volte le persone buone,
che hanno come unica
colpa quella di essere
ingenue e condizionabili,
e che magari sono anche
migliori di molte altre,
sono costrette a soffrire.
Chissà perché il mondo
va così. Forse il mondo è
cattivo. O forse Dio è
cattivo. Questo non lo
sappiamo,
però
probabilmente “lui” lo fa perché quelle persone gli servono. Come ha
detto la fidanzata di Sic al suo funerale: “Le persone troppo perfette non
sono fatte per stare con noi comuni mortali.” Forse è vero. Forse no. Il
mondo troppe volte va storto, però. Sembra che Dio ci abbia creati solo
per domandare, supporre e rimanere sempre nel dubbio, quando invece
non potremo mai sapere niente noi comuni esseri umani. È
un'ingiustizia! Magari dovrei essere come molti che non ci pensano
neanche a queste cose. Se ne fregano di tutto questo. Gli interessa solo
farsi “fighi” davanti ai loro amici e indossare ogni mattina, appena
svegli, la loro solita maschera, di cui parla anche Pirandello. Però io non
ci riesco. Non riesco a non pensare. Perché morire proprio per overdose?
È bruttissimo morire così. Senza alcun preavviso. Puff! E da un
momento all'altro non esisti più. Poi solo dolore. Dolore. Dolore. Dolore.
A tutti quelli che ti vogliono davvero bene regali un immenso dolore.
Eppure ancora moltissime persone, come Freccia, muoiono per uso di
stupefacenti. Dopo essere stati convinti da amici e ragazze cominciano a
farne uso, alcuni credendo di poter smettere quando vogliono. Ma non è
così. Anche loro in realtà lo sanno, però cominciano lo stesso. Spesso lo
fanno per sballo. Ok. Divertirsi va benissimo. È normale ogni tanto
svagarsi dalla solita routine, ma sarebbe meglio farlo in un altro modo.
Perché con le droghe non sai cosa può accaderti dopo quel momento (a
quel punto inutile) di grande allegria. Sicuramente qualcosa cambia. E a
quel punto il tuo corpo ne cerca ancora. E ancora. Fino a non riuscire più
a smettere. Questo è un meccanismo che probabilmente negli anni '70,
quando ancora non si sapeva molto sulle droghe, i ragazzi non
conoscevano. Ma ora? Ora che tutti sanno a cosa vanno incontro, perché
cominciano a fare uso di droghe? Secondo me la maggior parte delle
volte perché vengono condizionati, oppure per esibizionismo. Quasi che
drogarsi sia una cosa di cui vantarsi! Fatto sta che molte persone ci
cadono ancora. Oltretutto con il pensiero di provare il gusto dello
sballarsi, tanto meglio! Quasi tutti i giovani si trovano a non essere sobri
il sabato sera a causa di alcol o droghe. E questa cosa mi preoccupa.
Questa nuova “cultura dello sballo” mi preoccupa davvero tanto; ogni
tanto, per divagare, una “gatta”, come dicono i giovani, è accettabile. Ma
che senso ha passare l'unica serata alla settimana in cui ti puoi divertire a
vomitare a tutto spiano e il giorno dopo non ricordarsi niente? Io davvero
non capisco questa moda dell'alcol, importata di recente dai paesi del
Nord-Europa. Se prima nessuno aveva bisogno di bere fino a non
reggersi in piedi, perché ora molti non riescono a farne a meno? Chissà.
Forse un giorno lo capirò. Inoltre mi preoccupa anche il fatto che tanti
ragazzi, oltre alle droghe “tradizionali”, facciano uso sistematico di
sostanze eccitanti che, come pochi sanno, hanno degli effetti devastanti
per l'organismo. In questi casi spesso lo fanno per insicurezza, ma
secondo me quello che non capiscono è che non c'è bisogno di tutte
quelle sostanze per risultare migliori di fronte ad una ragazza. Secondo
me, se c'è vero amore fra due persone, non c'è bisogno di ricorrere a tutti
questi metodi. Basta solo avere accanto la persona desiderata e tutto il
resto
viene
da
sé.
Comunque io non faccio
uso
di
droghe,
fortunatamente.
Ma
questo è merito soprattutto
dei miei genitori, che mi
hanno fatto capire molte
cose di questa vita. Li
ringrazio e credo che non
smetterò mai di farlo.
Qualcuno
adesso
mi
definirebbe anche “brava figlia di papà”, ma a me non interessa. Ognuno
fa ciò che crede e ciò che si sente di fare. Io non costringo nessuno a non
bere o a non fare uso di droghe. Semmai un giorno lo suggerirò a mio
figlio, ma per ora non mi sento di costringere nessuno. Però c'è una cosa
che mi fa rabbia: quando qualcuno descrive delle persone come “sfigate”
e “diverse” perché non fanno qualcosa che tutti fanno, quelle persone a
volte si convincono e, per non essere giudicate, cominciano anche loro.
Bhé, io a quelle persone vorrei dire una cosa: essere diversi e
differenziarsi dalla massa non è né un difetto, né una colpa, ma il
contrario! Significa avere il coraggio e la forza per rispondere alle
critiche e non cambiare per gli altri. È qualcosa che in pochi riescono a
fare. Quello significa avere davvero personalità. Quindi non ascoltate più
di tanto la gente, che probabilmente è anche invidiosa. Siate padroni di
voi stessi!
Valbona Jonuzi 2°A
CITY OF ANGELS-LA CITTÀ DEGLI ANGELI
La recensione (in inglese!) di un
romantic fantasy drama del ‘98
“City of Angels” is a romantic
fantasy drama movie released
in 1998 directed by Brad
Silberling and set in Los
Angeles, a city which even in
its name evokes a special
condition of spirituality.
Maggie Rice is a respected
and talented heart-surgeon
who works in a big hospital in
Los Angeles. During a routine
procedure, the patient dies; she starts doubting her abilities and enters
into a deep crisis. In the hospital there’s Seth, too. He’s an immortal
angel dressed in black who has the task of offering comfort to sick
people and accompanying dying people during their last journey. When
he feels the special strength of Maggie and her despair, he falls in love
with her. Therefore he decides to manifest himself to the eyes of Maggie
to help her overcome the crisis, winning her trust and her heart.
But Maggie is still a bit perplexed about the boy, who chooses to give up
his status of otherworldly creature, to become a man to all effects and
purposes. Now he can finally love Maggie, who shares the same
15
Il libro – Il film
feelings. But destiny lies in wait for Seth, in the guise of a lorry which
breaks tragically his dream of love. In a bitter ending, he realizes that the
world and human life are wonderful even without the woman he loves,
and it is worth living them until the end.
I liked this movie very much, because it goes beyond space and
time, it makes you appreciate everything in
life, and it makes you understand the very
essence of many things. The end is baffling:
only people who look for real love face the
fear of falling. It is a movie which makes you
feel alive, because loving for a single
moment can fill your life forever.
The main characters in this movie are
Seth (Nicolas Cage) and Maggie Rice (Meg
Ryan). The soundtrack album was released
by “Warner Bros” in March 1998. It contains
the following songs:
"If God Will Send His Angels" by U2
"Uninvited" by Alanis Morissette
"Red House" by Jimi Hendrix
"Feelin' Love" by Paula Cole
"Mama, You Got A Daughter" by John Lee Hooker
"Angel" by Sarah McLachlan
"Iris" by the Goo Goo Dolls
"I Grieve" by Peter Gabriel
"I Know" by Jude
"Further On Up The Road" by Eric Clapton
"Angel Falls" (Gabriel Yared)
"Unfeeling Kiss" (Gabriel Yared)
"Spreading Wings" (Gabriel Yared)
"City Of Angels" (Gabriel Yared)
Anna Leardini 2°B
BIANCA COME IL LATTE
ROSSA COME IL SANGUE
Alessandro D'Avenia
Forse penso un po' troppo al futuro... e
delle volte finisco per confondermi sempre
più le idee, fino a creare una tale
confusione nella mia testa che se mia
madre la vedesse non si accorgerebbe
neanche di quello che c'è in camera mia!
Di certo. Però, questo libo non mi ha
aiutata in questo...
Racconta la storia straordinaria di un
sedicenne come tutti gli altri (o almeno
così potrebbe sembrare agli occhi di chi
non lo conosce): Leo, anzi, Leonardo. Per
lui esistono solo due colori. La vita
potrebbe essere dipinta in tutte le sue
sfumature semplicemente con due colori:
il bianco e il rosso. Le due facce della
moneta. Il bianco è il colore più spaventoso che possa esistere. E' il
colore della noia, della solitudine, del silenzio. Forse un po' ha ragione.
Persino questo foglio, così bianco, vuoto, va riempito al più presto
possibile. Riempito di parole, tutte attaccate le une alle altre, per far
passare l'inchiostro nero dalla penna a questo foglio maledettamente
bianco.
Poi però c'è il rosso... il colore dell'amore, della passione, del sangue che
scorre inesorabile nelle nostre vene, dell'adrenalina durante le partite di
calcetto e gli “sfidoni” nel suo “Bat cinquantino” con Niko, il suo
migliore amico. Rossi sono anche i capelli di Beatrice, la sua amata. Sì,
proprio come Dante. Anche lui è innamorato di Beatrice, così perfetta,
quasi irraggiungibile: il suo sogno! Poi c'è uno “sfigato”: il nuovo
supplente di storia e filosofia. Lui, però, è diverso. Non è semplicemente
“sfigato”, lui è il “Sognatore”. Una strana luce gli brilla negli occhi
quando spiega, quando sprona gli studenti a vivere, a Sognare. Proprio
per questo lui sarà fondamentale: la linfa vitale che aiuterà Leo a trovare
il suo sogno nonostante i ripetuti ostacoli del cammino. Il suo vero
sogno. Sicuramente non è facile per lui arrivati al punto di credere di
avere in mano la situazione, vedersi frantumare tutto quello che voleva
davanti ai propri occhi. Sì. Beatrice è morta. Morta e basta. Senza giri di
parole. E tutto a causa di quel bianco così presente, che lo rincorre
mentre lui cerca di scappare. Scappare dal mondo. Leucemia. Ecco la
malattia che ha portato via il suo sogno. Proprio quella. Leucemia:
leukos, bianco, e aima, sangue. Sangue bianco. Ma perché proprio a
Beatrice? Forse Beatrice è un angelo. Lei crede in Dio. Chissà. Dio
esiste? Ma se esiste... perché a volte fa soffrire le persone buone? Forse
c'è un motivo. E forse un giorno lo capirò e lo accetterò. Però in questo
libro il “Signor Dio” (denominato “Fin” dal T9 del telefono) c'entra
qualcosa. Non è un caso che proprio Beatrice dice a Leo quando gli
brillano gli occhi, quando il suo cuore si è accorto di qual' è il suo vero
destino: Silvia. Lei per Leo è
azzurra. Proprio come i suoi occhi
che fanno brillare anche quelli di
Leonardo. “Ci sono due modi per
guardare il volto di una persona. Una
è guardare gli occhi come parte del
volto. L'altro è guardare gli occhi e
basta, come se fossero il volto. E'
una di quelle cose che mettono paura
quando le fai. Perché gli occhi sono
la vita in miniatura”. È proprio così.
Loro due erano da molto tempo
amici. Lei è la sua ancora di
salvezza. Il suo porto sicuro. Le vuole bene, ma non avrebbe mai potuto
pensare che potesse andare a finire così. Come dice il “Sognatore”: “a
colui che attende giunge ciò che attendeva, ma a chi spera capita ciò che
non sperava”. E finalmente, dopo tanto dolore si può dire, come nelle
favole... e vissero felici e contenti! Un romanzo semplicemente
fantastico! Riesce davvero, secondo me, con quelle righe, fra il bianco di
quelle righe, a trasmetterti qualcosa. Qualcosa di davvero grande che in
certi momenti mi spaventa perfino. Tornavo a casa e al posto di
accendermi la TV o navigare su internet, correvo a prendere il libro e mi
sedevo sulla poltrona. E pagina per pagina la mia voglia di continuare a
leggerlo cresceva sempre più. È la prima volta che mi succede, ma mi
piace. Spero davvero di poter leggere un libro con il gusto di masticarlo
come questo. Perché dentro quei 250 fogli c'è la vita. Non si tratta solo di
una storia d'amore, ma c'è davvero tutto, stretto da una morsa, lì dentro.
Tutto il necessario per crescere. Come ha fatto Leo. Vita, morte, scuola,
amore, sogni, divertimento, amici, Dio … Tutto. Ogni pagina è una
sorpresa. È strano, però a volte mi sono anche ritrovata nel personaggio
di Leo. Lui dice di avere la memoria corta e quindi per ricordarsi deve
scrivere. Ogni sua scoperta deve essere annotata, perché se non lo
facesse potrebbe dimenticarla. Anche a me capita. Per ricordare devi
scrivere. Tutto ciò che pensi. Ci sono dei momenti in cui nasce una
strana voglia di scrivere. Un'ispirazione temporanea che va colta al volo.
Qualche giorno fa ero da mia zia e, non sapendo dove scrivere, ho preso
il telefono e ho scritto un MMM (messaggi mai mandati). Sono stata
occupata in quello per circa mezz'ora e mia zia non so cosa avrà
pensato!.
Per finire, un’ultima citazione: “la vita è un'interrogazione fatta per
estorcerti una verità che non sai e che farai finta di ricordare pur di non
soffrire ancora, fino a convincerti di quella menzogna, dimenticando che
l'hai inventata tu”.
Valbona Jonuzi 2°A
16
Sport
Il calcio oggi tra divertimento e scandali
Il gioco del calcio è il più seguito in Italia, ma negli ultimi
anni sta progressivamente perdendo popolarità a causa di
vicende negative che lo hanno coinvolto.
Il calcio è lo sport che
sicuramente ha più rilievo e
più seguaci nel nostro paese.
Certamente, tutti i tifosi e non,
tutti gli appassionati di questo
sport, rimangono spesso a
“bocca aperta” e sbalorditi da
un passaggio smarcante, da un
tiro che si infila sotto al sette o
dal modo in cui un giocatore
addomestica la palla. Per molti
rappresenta una vera e propria
passione, un sogno che inizia
da piccolissimi, fino a che, per
pochi privilegiati e talenti
cristallini, diventa realtà con l’entrata nel mondo del calcio
professionistico, del calcio che conta.
Ma il senso vero e proprio del calcio qual è? Probabilmente è quello
vissuto da un bambino, che vede il gioco del pallone come incontro con
gli amici, di mero divertimento e di svago, in cui la vittoria non deve
essere vista come un’affermazione sull’avversario, ma piuttosto come un
segno di una migliore condizione fisica o di un migliore allenamento.
Tutto questo negli ultimi anni sta progressivamente sparendo, lasciando
spazio agli interessi mediatici ed economici, alla violenza e a
manifestazioni di razzismo, senza dimenticare i più recenti scandali del “
calcio scommesse” e del doping. Se si parla di interessi economici, non
possiamo non essere indifferenti al rapporto tra televisione e sport: tutte
le squadre ricevono milioni di diritti televisivi, ma qui non si parla di
televisione in chiaro bensì di televisioni interattive, che permettono
tramite una carta prepagata o una smartcard di acquistare in anticipo le
competizioni della propria squadra, che si potranno comodamente vedere
sul proprio divano. Questo rende da un lato lo sport più visibile a tutti,
dall’altro fa perdere il contatto con lo stesso e priva di tutte quelle
emozioni che solo un “goal” allo stadio all’ultimo minuto può dare.
Sempre
più
spesso,
nei
fine settimana
vengono
raccontati
episodi
di
violenze e di
risse
legati
all’ambiente
calcistico.
Indubbiamente
certe volte le
decisioni
arbitrali sono
discutibili e di
difficile interpretazione, ma un conto è sollevare critiche motivate e
lecite, un altro è attaccare indistintamente tutti. Alcuni giocatori
simulano un fallo, ed è anche questo a livello etico e sportivo
riprovevole, ma non è per questo giusto scatenare una rissa contro le
tifoserie avverse. Non è concepibile che da una manifestazione sportiva
si arrivi a mettere a repentaglio la vita propria e altrui. Probabilmente, le
motivazioni vanno ricercate al dì fuori degli stadi e in ambienti ben
distinti da quello calcistico: disagio giovanile, aggressività, idee
estremistiche e xenofobe. Basti pensare alle decine di striscioni e fischi
razzisti che sistematicamente, ogni singola domenica, vengono messi in
scena negli stadi, soprattutto italiani.
Infine, non ci si può scordare della “ bufera doping” che si sta
abbattendo in maniera esponenziale sul mondo del pallone: sono sempre
di più, infatti, i casi di atleti risultati positivi al test dell’antidoping, da
cui, grazie al progresso tecnologico, è ormai impossibile sfuggire.
Tuttavia, questa grande macchina economica, rischia di implodere su se
stessa. I moderni scandali del “calcio scommesse”, partite truccate
tramite compagini asiatiche e tutto quello sopracitato, non fanno altro
che stancare gli amanti dello sport e i veri tifosi, certamente non quelli
che si accoltellano al dì fuori di uno stadio, ma quelli che vorrebbero
portare i propri figli allo stadio per vedere i loro idoli e non possono.
Un altro problema che ci si pone è proprio questo: i calciatori, forse per
l’enorme quantità di introiti economici e la loro popolarità immensa,
diventano delle vere e proprie “Star”, adorati e presi come modello di
vita dai più
giovani.
Probabilmen
te, se il
mondo del
calcio
è
questo, con
ultras
ventenni
riempiti di
pasticche
dalla testa ai
piedi
e
violenza, è
forse
conveniente
cambiare modelli di vita e godersi la festa da casa, in famiglia e
comodamente seduti sul divano, lasciando disperazione e rabbia ad altri.
Non bisogna, però, generalizzare questa questione. Ci sono ancora
calciatori che si distinguono dalla massa e ottengono i loro successi
sportivi grazie a duro allenamento e tanto sudore e tifosi che si recano
allo stadio per godersi in amicizia o in famiglia lo spettacolo che uno
sport, bello come il calcio, dovrebbe regalare.
Marco Ingrosso 4°B
Il più forte di sempre tra i più forti della storia
Fenomenologia di Lionel Messi, campione dei campioni
Spesso
ci
si
avvicina al calcio
da piccoli, e a 5 o
6 anni a meno che
non si abbia una
sorta di particolare
attaccamento
verso la squadra
della propria città,
si
finisce
per
“tifare” il più forte
e per affezionarcisi
veramente fino a
provare una sorta
di “amore sportivo” negli anni successivi. Fateci caso, ci sono molte
persone nate nei primi anni ‘90 che tifano Juve, perché hanno vissuto da
piccoli l’epopea della Juventus di Marcello Lippi. Molti ragazzini del
2000 tifano Inter, perché da piccoli hanno vissuto l’Inter di
17
Sport
Mancini e l’Inter del Triplete. Ma si sa, i cicli delle squadre vanno e
vengono: il Milan è rimasto ora l’unica italiana competitiva in
Champions, e 4 anni fa era in Europa League. L’Inter 2 anni fa vinceva
tutto, ora rischia di rimanere fuori dall’Europa per il prossimo anno.
Questi sono solo due esempi di come le cose nel mondo del calcio
cambino
radicalmente
in un batter
d’occhio,
ma c’è una
cosa
che
sembra non
voler
cambiare. E’
la classica
Road66: una
volta che ci
sei, non ne vedi la fine. E’ il ciclo del Barcellona, che con un allenatore
senza alcuna esperienza con una squadra così ricca di campioni è riuscito
a costruire dall’8 Maggio 2008 il gruppo più forte di sempre. E se tutti i
giovani appassionati di calcio sopracitati, fino a qualche anno fa
identificavano in Ronaldo (il fenomeno), Ronaldinho e Cristiano
Ronaldo i giocatori più forti di sempre per antonomasia, non avendo
visto Diego Armando Maradona, oggi si trovano tutti d’accordo in un
solo nome: Lionel Messi. I tifosi del Napoli e molti appassionati di
calcio di vecchia data sono “riluttanti” al sentire “Messi più forte di
Maradona”, e negli ultimi anni sempre più persone si stanno
interrogando su questo punto. E’ ormai argomento fisso de “In linea con
noi” di Mario Sconcerti su Sky Sport1 (e il bello è che in questa
trasmissione si DOVREBBE parlare quasi esclusivamente di Serie A con
qualche menzione alla Champions..), o argomento fisso dei vari talk
show calcistici pressappochisti (specialmente made in Rai dove
l’incompetenza regna sovrana), anche semplicemente perché non sanno a
che altro attaccarsi pur di discutere di argomenti che interessino al
pubblico. Ma dove sta la verità? Personalmente, ritengo che come nella
maggior parte dei casi, la verità sia in mezzo. Prendiamo per un attimo
Maradona e il periodo storico (calcisticamente parlando, ovviamente) in
cui ha giocato. Era un calcio più “sano”, non schiavo delle pay-tv, non
era sentito più di tanto il problema stadi perché tutto sommato era ancora
una situazione abbastanza
“vivibile” il rapporto tra
tifoserie ultras e semplici
persone
che
volevano
seguire la partita della
domenica. Non era il calcio
delle tv insomma, era il
calcio dello stare attaccati
alla radiolina tutta la
domenica pomeriggio e
aspettare le 18 con birra e
patatine per godersi 90°
minuto. Maradona in questo
contesto era un Dio, anzi
era D10S. La classe di
palleggiare
con
una
semplice cicca, una visione di gioco degna della miglior Play Station
VITA dei giorni nostri, e la capacità di vincere contro tutto e tutti. I
casini se li andava cercare lui e un po’ lo trovavano loro. A proteggerlo a
Napoli c’era l’allora DG Luciano Moggi, che lo difese fino all’ultimo
con le unghie per ogni sua “nota stonata”. S’intende ovviamente nota
stonata fuori dal campo, perché sul campo era più frequente la neve ad
agosto che Maradona in una giornata storta. Come faccio a saperlo se ai
tempi non c’ero? Mi sono documentato, perché stanco di sentire sempre
“Meglio Messi o Maradona?” ho voluto conoscere anche l’altra faccia
della medaglia.
E a proposito di “altra faccia”, pensiamo ad oggi.. Oggi è un calcio a dir
poco “asfissiante”, ogni giorno sappiamo nuove cose sull’uomo o il
campione del momento. Sappiamo che Balotelli fa le ore piccole in un
pub, sappiamo che Cassano manda a quel paese il presidente della
Sampdoria e fa le valigie, sappiamo almeno 12 delle 24 ore presenti nella
giornata di un calciatore. Messi è l’esatto contrario dei campioni
sopracitati, mai una frase fuori posto, mai un comportamento scorretto
fuori o dentro al campo, un santo? No, ma tanto umano non sembra con
il pallone tra i piedi.
C’è anche da dire che mentre Maradona vinceva da solo e creava un
solco abissale tra se stesso e i suoi pur bravi compagni del Napoli capace
di vincere 2 Scudetti e 1 Coppa Uefa, Messi ha alle sue spalle i mediani
più forti del mondo. Xavi e Iniesta sono come l’HD su Sky, non si
mostrano più di tanto né sono messi in risalto ma fanno una grandissima
differenza. Ma al di là del discorso dei palloni giocabili che questi gli
offrono, Lionel Messi si differenzia da Maradona per l’età (a 24 anni ha
già vinto 3 palloni d’oro, innumerevoli trofei di club con il Barça e gli
manca “solo” la consacrazione in nazionale avuta da Diego) e per la
storia. All’età di 12 anni infatti gli viene diagnosticata una forma di
Ipopituitarismo
che ne rende
complicata
la
crescita.
Il
Barça,
interessato
al
ragazzo, si offre
di pagargli le
cure
a
differenza del
River Plate che
non ne aveva i
soldi e da lì,
inizia un amore
culminato il 16
Ottobre
2004
nel debutto con
la
maglia
blaugrana contro i rivali cittadini dell’Espanyol. Negli anni successivi,
partito Ronaldinho verso il Milan, Messi si è affermato definitivamente
all’interno del club catalano raggiungendo un valore di mercato record di
100 Milioni di Euro, ma c’è anche chi sarebbe disposto a pagarne di più.
Messi però ha detto di non voler lasciare mai il Barça, almeno fino a fine
carriera per concluderla nella squadra di cui è tifoso, gli argentini del
Newell’s Old Boys. Ma nel frattempo continuerà a vincere con il suo
Barcellona del quale davvero “non se ne vede la fine” se persino un
ragazzino della cantera (Tello) al suo debutto in Champions riesce a
segnare una doppietta. Quindi, in conclusione, Messi o Maradona? Il
dibattito per alcuni resterà sempre aperto, io ora dico Barcellona. La
squadra più forte della storia che al suo interno ha oggi il più forte di
sempre.
Alessio Carcaiso 2A