lourdes - Liberacittadinanza

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CINEMA EDISON D’ESSAI
12 - 20 APRILE 2011
LOURDES
Regia: Jessica Hausner; Sceneggiatura: Jessica Hausner; Foto-grafia: Martin Gschlacht;
Prodotto: Martin Gschlacht, Susanne Marian.
Austria, 2009 - Col. 99’
Interpreti: Sylvie Testud, Léa Seydoux, Bruno Todeschini, Elina Löwensohn.
Qualcuno sicuramente si sarà anche chiesto come mai Lourdes di Jessica Hausner sia stato
apprezzato dalla critica sia cattolica che laica. Si può pensare che ognuno abbia scelto quelle parti
del film che più si adattano a sostenere le proprie convinzioni lasciando perdere le altre che invece
le contraddicono. Si può anche pensare che la regista abbia lasciato allo spettatore la possibilità
di interpretare il suo film in funzione del punto di vista personale. E se invece la tesi del "politicamente
corretto" non si adattasse a un racconto di questo genere? E poi, siamo sicuri che sia un motivo
di merito ottenere consensi da due correnti di pensiero magari non contrapposte, ma certamente
non tanto vicine?
In effetti la struttura di Lourdes favorisce in un certo senso sia le tesi dell'uno che quelle dell'altro
partito. Tutti i personaggi camminano come sollevati a qualche centimetro da terra, non fanno
rumore, sono silenziosi anche nella disgrazia, non hanno nessuna sottolineatura, elargiscono
anche qualche banalità di troppo. Il mondo che circonda i pellegrini è piano, impalpabile, fatto
di gesti, di parole, di rituali sempre uguali e senza eco. Il tutto è immerso nel desolante apparato
commerciale e turistico da riviera estiva.
L'autrice racconta questo mondo con delicatezza, pudore e mano leggera, ma evita accuratamente
di "guardare" all'interno delle cose, delle persone, dei fatti.
Jessica Hausner ha dichiarato che voleva raccontare una storia per riflettere sull'idea del miracolo.
Sarebbe interessante conoscere anche che cosa effettivamente cercasse, dato che sull'argomento
miracolo non è che si possano trovare tanti motivi di discussione.
Alla fine, complice la voluta incompiutezza del film, non risulta necessario chiedersi che cosa sia
un miracolo né tanto meno capire se il miracolo sia avvenuto o no. In fin dei conti chi crede e va
pellegrino a Lourdes mette in conto anche la possibilità di assistere a un miracolo, chi invece non
crede, non è interessato ai miracoli e probabilmente non va nemmeno a Lourdes.
e.p.
CINEMA EDISON D’ESSAI
12 - 20 APRILE 2011
KADOSH
Regia: Amos Gitaï; Sceneggiatura: Amos Gitaï, Eliette Abecassis, Jacky Cukier;
Fotografia: Renato Berta; Prodotto: Mikado film - M.P. Productions - Agav hafakot, Rai.
Francia-Italia-Israele, 1999 - Col. 110’
Interpreti: Yael Abecassis, Sami Hori, Yoram Hattab, Meital Barda,
Lea Koenig, Rivka Michaeli, Yussuf Abu-Warda, Uri Klauzner.
Se un credente si alza al mattino, recita le sue preghiere e ringrazia il creatore di non averlo fatto
nascere donna, se poi va in sinagoga, incontra il rabbino che non manca di ricordargli che l'uomo
è stato creato per studiare e la donna per pulire la casa e allevare i figli, se tutto questo avviene
in un quartiere di Gerusalemme abitato da una comunità di ebrei ortodossi, non è forse lecito
chiedersi in quale secolo si svolge la vicenda? Ebbene, essendo Kadosh girato e ambientato nel
1999, il secolo in questione è quello da poco concluso, in anni situati nemmeno all'inizio, ma
addirittura nell'ultimo decennio. Non è sicuramente un secolo disperso in un imprecisato periodo
agli albori della civiltà.
Molte religioni, sappiamo, sono integraliste per loro stessa natura, lasciano ben pochi margini
di autonomia ai loro fedeli, alcune poi cercano di restringere sempre di più il campo delle scelte
personali (nel film si discute anche di come debba essere preparato il tè al sabato, se sia più
aderente alla legge versare nel bicchiere prima l'acqua calda e poi lo zucchero o viceversa), fornendo
un'interpretazione della scrittura alla lettera, dall'alto, senza possibilità di scampo. La conseguenza
di questo modo di pensare è quella di creare individui concentrati unicamente nella ricerca della
salvezza della propria anima, indifferenti all'umanità e alla società che li circonda.
Tutto si svolge in un quartiere visivamente deprimente, squallido, chiuso che riflette in modo
perfetto la qualità dei problemi affrontati dagli studiosi dei testi sacri, un mondo al di là del quale
se ne intravede un altro (vero, come dirà alla fine una delle protagoniste, forse l'unica persona
veramente "viva" del film). Tutto è raccontato con pacatezza, pudore, equilibrio, senza sentimentalismi,
sottolineando quanta fuga dalla realtà sia insita in un simile comportamento.
La fede religiosa, come libera scelta personale, è indubbiamente rispettabile, ma può esserlo anche
la sua imposizione? Qui si potrebbe parlare di un irrazionalismo esasperato, di un "dissolvimento
della ragione" che deriva da un ambiente in cui per il singolo individuo è impossibile affidarsi a
una volontà propria. Si potrebbe anche dubitare che, per molti, questo debba essere per forza e
inconsapevolmente il destino del pensiero umano.
e.p.
CINEMA EDISON D’ESSAI
12 - 20 APRILE 2011
IL DESTINO
Regia: Youssef Chahine; Sceneggiatura: Khaled Youssef, Youssef Chahine;
Prodotto: Humbert Balsam, Gabriel Khoury; Musica: Yehia El Mougy, Kamal El Tawil;
Fotografia: Mohsen Nasr.
Francia-Egitto, 1997; Col. 135’;
Personaggi e interpreti: (Averroè) Nour El Sherif, (Gypsy) Laila Eloui, (Abdallah)
Hani Salama, (Nasser) Khaled El Nabaoui, (Marwan) Mohammed Mounir.
Inizia con un rogo e finisce con un rogo Il destino di Youssef Chahine premiato al Festival di
Cannes nel 1997. All'inizio è il rogo che brucia una persona per combattere l'eresia perseguita
dall'Inquisizione, alla fine è il rogo che brucia una catasta di libri per combattere la libertà di un
pensiero troppo indipendente. In mezzo alcuni momenti della vita del filosofo arabo Averroè,
della sua famiglia, dei suoi allievi, dei suoi amici tra la Francia chiusa in un cristianesimo arretrato
e lo sfolgorante regno arabo di Andalusia del XII secolo.
Che l'integralismo religioso sia stato allora (e sia anche oggi) poco incline al dialogo si sapeva (e si
sa) e tuttavia la febbrile e visionaria narrazione di Chahine chiarisce molto bene l'impossibilità, in
un contesto simile, non solo l'imporsi ma addirittura il proporsi di un qualunque pensiero non
legato alla teoria e al fondamentalismo.
Averroè, pensatore, letterato e filosofo, cui dobbiamo i celebri commenti su Aristotele e un patrimonio
di opere fortunatamente ricopiate e messe in salvo dai suoi discepoli, alla fine è costretto all'esilio
perché la sua indipendenza di pensiero pur nel solco delle scritture, percepita dapprima come
fastidiosa dal potere, si trasforma nel tempo in pericolosa per i risvolti di autonomia non consentita
dai consiglieri del Califfo.
La sua vicenda dimostra come le verità rivelate (e soprattutto imposte) possano facilmente lasciare
dolorose conseguenze sullo spirito e malauguratamente persino sulla vita delle persone.
Forse Il destino è un film troppo poco rigoroso, pieno di generi e di intrighi: mescola generi
sentimentali e avventurosi, si disperde in intrighi di palazzo e di famiglia tali da distrarre lo
spettatore dal tema principale, ma tuttavia aiuta a rendersi conto quanto vitale possa essere per
la coscienza dell'uomo la consapevolezza e l'autonomia delle proprie scelte.
e.p.
CINEMA EDISON D’ESSAI
12 - 20 APRILE 2011
AGORÀ
Regia: Alejandro Amenábar; Sceneggiatura: Alejandro Amenábar, Mateo Gil;
Prodotto: Cinebiss, Himenóptero, Mod Producciones, Telecin-co Cinema;
Musica: Alejandro Amenábar; Fotografia: Xavi Giménez.
Spagna-USA, 2009; Col. 127’;
Interpreti: Rachel Weisz, Max Minghella, Oscar Isaac, Ashraf Barhoum, Michael Lon-sdale,
Rupert Evans, Homayoun Ershadi, Sami Samir, Richard Durden, Clint Dyer.
Non c'è da meravigliarsi che “Agorà” di Alejandro Amenábar abbia incontrato problemi di distribuzione
in Spagna e probabilmente anche in qualche altro paese a forte matrice cattolica.
In effetti, l'episodio relativo ad alcuni anni di vita di Ipazia, filosofa, astronoma e matematica
vissuta a cavallo fra il IV e il V secolo dopo Cristo, in un periodo in cui feroci guerre di religione
fra pagani, cristiani ed ebrei sconvolsero la feconda serenità di Alessandria d'Egitto, non può
essere certamente spendibile come esempio di bontà e di misericordia da parte della cristianità
del tempo. Se si considera poi che la storia è situata agli inizi del movimento religioso, lo scorrere
degli avvenimenti sembra tutt'altro che un buon auspicio per il futuro.
L'occupazione della biblioteca di Alessandria da parte dei cristiani e la successiva distruzione
dei libri gelosamente custoditi segna il punto di svolta della vicenda. Da quel momento l'integralismo
ha il sopravvento e tutto ciò che non si adegua deve subirne le conseguenze. Ancora una volta
appare evidente quanto sciagurata sia la lotta contro le persone non solo appartenenti a una fede
diversa, ma anche semplicemente sostenitori di un pensiero libero, critico, non imbrigliato dalle
tavole delle ideologie.
Le carneficine fra pagani e cristiani e fra cristiani ed ebrei, dimostrano quanto disastroso sia il
proselitismo perseguito con "le buone maniere". I cadaveri al seguito di queste azioni e successive
reazioni non si contano. Il tutto giustificato dal pulpito come parola divina.
Anche Ipazia, accusata dal vescovo Cirillo di empietà e stregoneria, alla fine sarà sopraffatta da
questa logica di furore e di "purificazione". Non accettando l'imposizione del battesimo per salvarsi
e rimanendo fedele alla propria coscienza e agli studi astronomici in aperto contrasto con la
teoria di Tolomeo, andrà incontro ad una punizione esemplare.
Ecco dunque il fanatismo che non ha dubbi, che non ha pause di riflessione, che ha solo certezze
e, quando può, emette sentenze sbrigative e definitive alle quali tutti devono sottomettersi.
Pur con qualche piccola concessione al sentimentalismo, Agorà si dimostra un'opera viva,
interessante che intende fare riflettere tutti, anche coloro che non "mettono in discussione ciò
in cui credono".
e.p.
CINEMA EDISON D’ESSAI
12 - 20 APRILE 2011
L'ORA DI RELIGIONE
Regia: Marco Bellocchio, Soggetto e sceneggiatura Marco Bel-locchio;
Fotografia: Pasquale Mari; Prodotto: Film Albatros - Rai Cinema.
Italia, 2002 - Col. 102’
Interpreti: Sergio Castellitto, Piera Degli Esposti, Jacqueline Lustig,
Chiara Conti, Alberto Mondini, Gigio Alberti.
Fin dai tempi del suo esordio, nel 1965 con “I pugni in tasca”, Marco Bellocchio ci ha abituato
a ricevere di tanto in tanto qualche "pugno nello stomaco" che non può lasciare indifferenti.
Anche “L'ora di religione” si innesta in questo filone con una storia dalla drammaticità evidente
ma contenuta e che alla fine lascia un sapore amaro di sgomento.
Il grottesco ritratto dei personaggi che a vario titolo ruotano intorno alla vicenda ne è la
dimostrazione evidente: sono situazioni e incontri che riflettono una umanità gretta e desolata,
fondata su principi che non esistono o che sconfinano nell'ipocrisia.
La notizia della pratica di beatificazione della madre uccisa da uno dei figli, richiuso poi in
manicomio, viene percepita dal protagonista, laico e ateo, come un colpo basso, una realtà che
tutti conoscevano da tempo, lui escluso. All'improvviso è travolto da atteggiamenti, parole e
fatti che non sente suoi e che anzi gli fanno violenza. In poco tempo ne esce una situazione
famigliare poco dignitosa e insopportabile. Tutti si attivano per sostenere nel migliore dei modi
le prove di santità richieste dalla Chiesa, per preparare un radioso futuro fatto di foto, santini
e gigantografie della morta (dopo tutto "una santa in casa fa comodo"). Il prestigio, il guadagno
economico, la visibilità sono gli unici obiettivi perseguiti da persone dalla religiosità posticcia e
interessata che la morale laica del protagonista non riesce a sopportare.
L'ora di religione è senza dubbio un film pungente, crudele senza essere cattivo, fuori da ogni
retorica, capace di muoversi con delicatezza per le architetture di Roma, di mostrare con rigore
la grigia atmosfera delle stanze vaticane e di indagare le persone attraverso la coscienza del
protagonista con un'analisi che si rivela sempre accurata ed impietosa.
È senza dubbio un piacere ritrovare un autore in grado di proporre un'opera sulla quale valga
la pena di spendere qualche parola, di chiedersi il perché delle così acute punte di ipocrisia che
può raggiungere l'animo umano.
e.p.