NUOVE REGOLAZIONI DEL MERCATO DEI TABACCHI LAVORATI
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NUOVE REGOLAZIONI DEL MERCATO DEI TABACCHI LAVORATI
CENSIS NUOVE REGOLAZIONI DEL MERCATO DEI TABACCHI LAVORATI: LE POSIZIONI DEGLI ATTORI, IL RILIEVO ECONOMICO, L’ATTEGGIAMENTO DEI CITTADINI Roma, dicembre 2011 NUOVE REGOLAZIONI DEL MERCATO DEI TABACCHI LAVORATI: LE POSIZIONI DEGLI ATTORI, IL RILIEVO ECONOMICO, L’ATTEGGIAMENTO DEI CITTADINI Roma, dicembre 2011 Lo studio è stato commissionato da British American Tobacco Italia. 1. Il ruolo delle imposte sui tabacchi lavorati negli equilibri della finanza pubblica in Italia 1.1. Il contribuito agli equilibri fiscali 1.2. L’incidenza sulle entrate tributarie e le spese pubbliche 1.3. L’andamento temporale del gettito 1.4. La minaccia del contrabbando 1.5. Il ruolo economico Pag. 1 “ 1 “ 2 “ 6 “ 10 “ 11 2. Il contesto europeo 2.1. Introduzione 2.2. Le variazioni dei prezzi nell’ultimo decennio 2.3. L’andamento della distribuzione legale di sigarette 2.4. I consumi effettivi 2.5. Le variazioni del gettito fiscale “ “ “ “ “ “ 14 14 14 17 18 21 3. Casi nazionali 3.1. Introduzione 3.2. Il caso francese 3.3. Il caso irlandese 3.4. Il caso del Regno Unito 3.5. Il caso tedesco 3.6. Il caso spagnolo “ “ “ “ “ “ “ 25 25 26 34 40 46 49 4. Il ruolo dei mercati illegali 4.1. Il “circolo vizioso” degli strappi fiscali 4.2. Le evoluzioni dei mercati illegali “ “ “ 53 53 57 5. Le opinioni degli italiani sulle ipotesi di inasprimento della regolazione 5.1. L’indagine sulla popolazione 5.2. Fumo passivo e restrizioni 5.3. La tutela dei minori 5.4. La consapevolezza dei rischi e la libertà di scelta 5.5. Le opzioni “strategiche” delle politiche pubbliche 5.6. La valutazione dei pictorial warning 5.7. I giudizi sulle altre proposte di inasprimento della regolazione 5.8. Pressione fiscale e contrabbando “ “ “ “ “ “ “ 61 61 61 65 67 72 75 “ “ 78 81 “ “ “ “ “ 87 87 89 91 92 6. Conclusioni 6.1. Lo scenario di riferimento 6.2. Il nodo fiscale 6.3. Le nuove proposte di regolazione 6.4. Gradualità e dialogo per strategie efficaci 1. IL RUOLO DELLE IMPOSTE SUI TABACCHI LAVORATI NEGLI EQUILIBRI DELLA FINANZA PUBBLICA IN ITALIA 1.1. Il contribuito agli equilibri fiscali Il contributo fornito dal commercio legale di sigarette e di altri tabacchi lavorati agli equilibri della finanza pubblica italiana è tutt’altro che marginale. I quasi 14 miliardi di euro di gettito raccolti annualmente tramite le accise e l’Iva costituiscono poco meno del 2% delle entrate complessive delle amministrazioni pubbliche (tasse nazionali e locali, contributi sociali ed altre entrate) e contribuiscono, quindi, a ridurre di quasi un punto percentuale il cruciale rapporto deficit/Pil. Questo peso così significativo deriva dall’elevatissima incidenza delle tasse sul prezzo di vendita (pari a circa il 75%) che si è mantenuta stabile, e anzi è lievemente aumentata, nel corso del tempo. Pur in presenza di una significativa riduzione dei consumi effettivi (l’Italia ha, secondo i dati “standardizzati” della World Health Organization, una quota di fumatori sulla popolazione che si colloca a livello medio-basso rispetto al contesto europeo) l’efficace azione di contrasto del contrabbando ha fatto si che l’andamento delle quantità legalmente distribuite seguisse un percorso decrescente fisiologico, senza le repentine cadute che si sono verificare in altre grandi realtà continentali. Questa contenuta riduzione è stata più che compensata dalla crescita dell’imposizione fiscale unitaria, andata di pari passo con il progressivo incremento dei prezzi (raddoppiati in termini reali negli ultimi venti anni), determinando un andamento crescente del gettito, sia in termini di valore reale sia in termini d’incidenza sul totale delle entrate pubbliche. La sostanziale corrispondenza tra valori di competenza (accertamenti) e flussi di cassa (incassi) nonché la “regolarità” di questi ultimi costituiscono ulteriori elementi che, insieme all’elevato grado di “accettabilità sociale”, 1 concorrono ad assegnare a questa tipologia d’imposizione tributaria un ruolo particolarmente significativo. A quello fiscale si sovrappone il ruolo economico di una filiera che complessivamente impiega oltre 200.000 persone in gran parte concentrate nei due segmenti estremi (produzione agricola e commercio al dettaglio) particolarmente delicati dal punto di vista sociale. 1.2. L’incidenza sulle entrate tributarie e le spese pubbliche Per comprendere meglio il rilievo del gettito da tabacchi si può innanzitutto osservare che i 13,5 miliardi di euro (valore calcolato da Nomisma con riferimento al 2009) costituiscono il 3,3% dei 409 miliardi di euro identificati dal Ministero delle Finanze come valore (accertamenti) delle entrate tributarie erariali (dello Stato) nello stesso anno. In altri termini, circa un trentesimo delle entrate è coperto dalle imposte immediatamente riconducibili alla commercializzazione legale dei prodotti da tabacco (tab. 1.1): i proventi da tabacchi corrispondono a circa un dodicesimo (8,57%) del gettito Irpef, sono superiori a un terzo (36,4%) delle entrate derivanti dall’imposta sul reddito delle società, equivalgono a un ottavo (12,5%) degli introiti da Iva (al netto di quella sui tabacchi), corrispondono a quasi i tre quarti (72,6%) delle principali imposte sugli affari, a circa la metà (50,4%) di quelle sugli idrocarburi e superano di un quinto (119,1%) i principali proventi da giochi. L’incidenza, ovviamente si riduce, ma rimane comunque significativamente intorno al 2% se considerata in rapporto con l’insieme delle entrate delle amministrazioni pubbliche (comprensive dei contributi sociali effettivi e figurativi e delle altre entrate locali e nazionali). Un ammontare di quasi 14 miliardi di euro, d’altra parte, corrisponde indicativamente al gettito derivante da un ipotetico aumento di 1,5-2,0 punti dell’aliquota media sul reddito delle persone fisiche. In termini di esborso individuale il contributo fiscale versato mediamente da ciascuno dei 12 milioni di consumatori italiani (dato Istat, Indagine Multiscopo 2009) risulta di poco inferiore a 1.150 euro annui (la stima è approssimata e al lordo degli acquisti effettuati sul territorio nazionale dai non residenti). Spalmato sui 31 milioni di contribuenti Irpef effettivi (con imposta netta dichiarata superiore 2 a zero) il calcolo dell’equivalenza del gettito da tabacchi darebbe come risultato un aggravio pro capite di circa 450 euro. Le imposte sui tabacchi lavorati costituiscono, dunque, un elemento di notevole rilievo negli equilibri di finanza pubblica e questo spiega l’attenzione che le autorità pubbliche, e in particolare quelle fiscali, dedicano al loro andamento in particolare nelle fasi – come quella attuale – particolarmente critiche perché caratterizzate dal ritorno a deficit consistenti e conseguente necessità di ricorso a rilevanti misure correttive. Tale attenzione è dovuta anche alle caratteristiche “socio-economiche” di questo prelievo: - trattandosi di un’imposta su un consumo (peraltro “voluttuario”) non incide né sui costi di produzione né sui redditi e di conseguenza viene considerata portatrice di limitati impatti negativi sull’andamento economico generale; - é un prelievo, entro certi limiti, “socialmente accettato”, e comunque meno contestato di altre forme d’imposizione, perfino dagli stessi consumatori, come indicano anche i risultati dell’indagine effettuata nell’ambito di questo studio. La rilevanza del gettito derivante dal commercio legale risulta, per certi versi, ancora più evidente se paragonata alla consistenza delle spese pubbliche al cui finanziamento indirettamente concorre. Complessivamente, il gettito da tabacchi corrisponde all’1,7% del totale delle spese delle amministrazioni pubbliche calcolate con riferimento al 2009 (799 miliardi) (tab. 1.2). Declinato rispetto alle singole funzioni, risulta essere pari: - a quasi una volta e mezzo (141,4%) la spesa pubblica per l’ambiente; - a poco meno del totale (95,4%) di quella per abitazioni e assetto del territorio, - a circa la metà delle uscite per difesa (53,7%) e ordine pubblico (43,5%); - a poco meno di un quinto (18,8%) delle spese per l’istruzione; 3 - a poco meno di un ottavo della spesa sanitaria (11,9%); - a circa un ventitreesimo (4,4%) delle spese di protezione sociale. Più in dettaglio il gettito considerato risulta paragonabile, e lievemente superiore, ad alcuni grandi segmenti di spesa come la spesa pubblica per il sistema universitario (12,2 miliardi di euro), l’ammontare delle pensioni d’invalidità (12,3 miliardi di euro), la spesa sanitaria per la farmaceutica convenzionata (11,2 miliardi di euro) (Fig.1.1). Tab. 1.1 – Rapporto tra gettito fiscale da tabacchi lavorati ed entrate tributarie erariali, 2009 Entrate Valore in Rapporto % tra milioni di euro gettito da degli tabacchi ed accertamenti nel entrata 2009 Ire (Irpef) Ires (redditi società) Altre dirette Iva (esclusi tabacchi) Imposte sugli affari (registro, bollo, assicurazioni, ipotecaria, concessioni governative, diritti catastali, ecc.) Imposte idrocarburi ed energia (fabbricazione oli minerali e gas, consumi gas e oli lub., energia elettrica) Altre consumi (canone Rai, tasse automobilistiche, fabbricazione spiriti e birra) Lotto e lotterie (proventi lotto e attività di gioco, apparecchi e congegni, lotterie istantanee) Altre indirette Tabacchi (imp. sul consumo e Iva) Totale entrate tributarie erariali Fonte: 157.840 37.179 29.221 108.206 8,6 36,4 46,3 12,5 18.627 72,6 26.837 50,4 3.361 402,5 11.362 119,1 3.069 13.527 409.229 440,8 100,0 3,3 elaborazione Censis su dati Ministero dell’Economia e delle Finanze e Nomisma 4 Tab. 1.2 - Rapporto tra gettito fiscale da tabacchi lavorati e spese delle amministrazioni pubbliche per funzione, 2009 (milioni di euro) Spese Spese amm.centrali amm.locali Protezione dell'ambiente Attività ricreative, culturali e di culto Abitazioni e assetto del territorio Difesa Ordine pubblico e sicurezza Istruzione Affari economici Sanità Servizi generali Protezione sociale Totale Spese enti Totale Rapporto previdenza amministrazioni % tra pubbliche gettito da tabacchi e spese pubbliche 2.373 7.192 - 9.565 141,4 5.075 8.730 - 13.805 98,0 1.562 25.205 11.514 - 1.099 - 14.175 25.205 95,4 53,7 27.245 52.198 36.726 1.510 100.420 7.273 259.587 3.827 19.575 39.010 112.053 33.994 11.550 247.445 214 290.572 291.885 31.072 71.773 75.736 113.777 134.414 309.395 798.917 43,5 18,8 17,9 11,9 10,1 4,4 1,7 Fonte: elaborazione Censis su dati Istat Fig. 1.1 - Comparazione tra entrate da tabacchi e voci di spesa pubblica (anno 2009) "! $ "! ( ! " ! $ ! & "! !' "! # ! "! $ ! ! $ % " Fonte: elaborazione Censis su dati Mef 5 1.3. L’andamento temporale del gettito Le accise costituiscono la componente più rilevante (e meno “sostituibile”) del concorso del commercio legale dei tabacchi lavorati agli equilibri di finanza pubblica. L’analisi dell’andamento degli incassi nell’ultimo ventennio mostra un trend generale di crescita (con alcune articolazioni) sia in termini di valore reale sia in termini d’incidenza sul totale delle entrate. Nel complesso dal 1990 al 2010 il valore reale è quasi raddoppiato passando da 5,7 a 10,8 miliardi di euro e il peso sul totale degli incassi tributari erariali è salito da meno del 2,0% a più del 2,5% (fig. 1.2). Questi risultati sono il frutto dell’incremento della tassazione unitaria combinatosi con una riduzione meno che proporzionale delle quantità legalmente distribuite. Nell’insieme del ventennio considerato il ritmo di crescita della tassazione unitaria (accise e Iva) è stato di quasi il 4% medio annuo in termini reali, il che ha portato l’importo a più che raddoppiare passando dall’equivalente di 1,34 euro a pacchetto del 1990 a 2,86 euro a pacchetto del 2010. Gli aumenti si sono susseguiti in modo graduale, con poche particolari fasi di stasi e “strappi” sempre contenuti entro margini abbastanza limitati (fig. 1.3). Dal punto di vista dell’andamento del valore reale del gettito complessivo si possono enucleare due fasi di crescita particolarmente sostenuta, frutto di diverse combinazioni di fattori: - la prima è relativa al periodo che va dal 1992 al 2000 quando gli incassi (espressi in euro 2010) sono saliti da meno di 5,3 miliardi a più di 9,2 (con un tasso di crescita di circa il 7% annuo); - la seconda è riferibile al periodo 2003-2007 quando gli introiti da accise hanno ripreso a salire passando (sempre in euro 2010) da 9,1 a 10,6 miliardi (con un tasso di crescita superiore al 4% reale annuo). La crescita riscontrata nella seconda parte degli anni ’90 è dovuta in una prima fase a un “effetto prezzo” (aumento dell’imposizione unitaria a fronte della stabilità delle quantità legalmente distribuite) e nella seconda a un effetto “quantità” derivante dal concretizzarsi di azioni di contrasto al contrabbando particolarmente efficaci (di cui è implicita testimonianza la 6 concentrazione della crescita delle quantità legalmente distribuite nelle aree – Campania e Puglia – di tradizionale insediamento dei traffici illegali). Il periodo a cavallo del 2000 ha rappresentato una fase di decisiva modificazione del mercato italiano dei tabacchi dal punto di vista della presenza dei traffici illeciti. In tale fase si combinano, infatti: - gli effetti sull’offerta delle azioni di contrasto al contrabbando derivanti sia dal dispiegarsi degli interventi militari nell’Adriatico collegati al conflitto dei Balcani sia dall’azione delle forze dell’ordine e della magistratura; - una politica dell’imposizione fiscale e dei prezzi relativamente prudente che ha contribuito al riorientarsi della domanda verso la distribuzione legale favorendo l’abbandono di modalità di acquisizione “alternative”. A valle di questa fase si è affermato un modello di comportamento sociale che ha marginalizzato sia la propensione all’acquisto illegale sia la tolleranza rispetto alle sue manifestazioni e creato i presupposti per l’ottenimento di risultati positivi nella nuova fase d’incremento dei prezzi reali avviatasi a partire dal 2003. Secondo le elaborazioni dell’Istat l’indice dei prezzi al consumo dei prodotti da tabacco è cresciuto del 2002 al 2007 del 43,5% a fronte di un incremento dell’indice generale che non ha superato l’11,3% (di fatto il prezzo reale delle sigarette è cresciuto a un tasso di oltre il 5% annuo). Tra la fine del 2002 e la fine del 2007, del resto, il “prezzo prevalente” (Mppc, prezzo della tipologia di sigarette più venduta) risulta salito per un pacchetto da 20 da 2,30 a 3,40 euro a prezzi correnti, portando con sé un incremento dell’introito da accise da 1,71 a 2,56 euro a pacchetto. Gli incrementi del periodo 2003-2007 sono stati rilevanti e in grado di incidere, insieme ad altri fattori, sulle abitudini di consumo; ma la loro distribuzione nel corso di un intervallo di tempo abbastanza ampio (cinque anni) e senza particolari “strappi” ha evitato di incentivare il ritorno a modalità di acquisto “alternative”. In effetti, tra il 2002 ed il 2007 la quantità di sigarette legalmente distribuite (che include quelle acquistate in Italia da non residenti ed esclude quelle acquistate all’estero da residenti in Italia) è scesa con gradualità ma con continuità passando da 105,2 miliardi di unità a 92,8, facendo quindi registrare una riduzione di quasi il 12% (tab.1.3). 7 Nello stesso periodo la quota di fumatori dichiarati rilevata dall’Istat sulla popolazione residente con 14 anni e più si è ridotta dal 23,6% (valore già basso rispetto alle medie europee) al 22,1% e, parallelamente, il numero medio di sigarette fumate al giorno è diminuito da 14,4 a 13,4. Il calcolo dell’andamento dei consumi dichiarati nel periodo fa quindi registrare, tenendo conto della variazione della popolazione residente, un decremento complessivo di oltre l’8% nel quinquennio. Il limitato scarto tra le due variazioni percentuali sembra indicare che, almeno nel periodo 2002-2007, la riduzione delle quantità legalmente distribuite sia stata sostanzialmente l’espressione di una riduzione dei consumi effettivi a sua volta determinata (almeno in parte) dal progressivo ma graduale aumento dei prezzi rispetto al quale – grazie anche alle azioni di sradicamento del contrabbando effettuate nel periodo precedente – non si è determinato un ritorno significativo a modalità di acquisto “alternative”. Com’è stato recentemente osservato (Ref. Tobacco Observatory, n. 19/2010), “fino al 2008 l’Italia, nell’ambito dei maggiori mercati Ue, è stato l’unico a vantare un trend di decremento delle vendite legali sostenibile per il mercato, andato di pari passo con una diminuzione costante ma graduale dei consumi” giovandosi “del ruolo responsabile di tutti gli attori della filiera, del contributo delle autorità di pubblica sicurezza e della lungimiranza delle istituzioni preposte alla regolazione del mercato”. Questo risultato era tutt’altro che scontato, soprattutto se si considera che (come si vedrà meglio nei capitoli successivi) nel medesimo periodo in altri grandi Paesi europei tradizionalmente considerati più “ordinati” (a partire da Francia e Germania) aumenti dei prezzi di ampiezza complessivamente simile, ma gestiti con tempistiche diverse (concentrazioni in brevi periodi) hanno prodotto la crescita notevole delle modalità di acquisto alternative (contrabbando e acquisti transfrontalieri) provocando il crollo del mercato legale (e qualche difficoltà fiscale) senza determinare esiti significativamente più ampi dal punto di vista della riduzione dei consumi effettivi. 8 Fig. 1.2 - Andamento degli incassi da accise sui tabacchi lavorati in Italia, 1990-2010 ,) /)+* ) /) * " -) ! $ $ ", ,).* +) )-* .) ),* 2 " * " ! 0 , - 1 + . , / , , 00 0- 01 0+ 0 0 0. ) * 0/ ) 00, )+* 00 ,) Fonte: elaborazione Censis su dati Mef Fig. 1.3 - Introito fiscale su un pacchetto di sigarette, 1990-2010 (Mppc: euro a prezzi 2010) /) ,) ,) ) ) ) , - + . , , 0- 0+ 0. 0, 00 ) Fonte: elaborazione Censis su fonti varie 9 Tab. 1.3 - Andamento dei consumi legali e dichiarati in Italia, 2002-2010 Anno 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Sigarette legalmente distribuite Numero Indice sigarette consumi legalmente legali distribuite in 2002=100 miliardi di unità 105,2 101,6 98,8 92,8 93,8 92,8 92,0 89,1 87,0 100,0 96,5 93,9 88,2 89,2 88,2 87,4 84,7 82,7 Consumi dichiarati dai residenti % di Numero di fumatori fumatori dichiarati sigarette sulla dichiarati popolazione (in milioni) di 14 anni e più Numero medio di sigarette fumate al giorno Indice consumi dichiarati 2002=100 23,6 23,8 11,3 11,6 14,4 14,0 100,0 99,9 22,0 22,7 22,1 22,2 23,0 10,8 11,3 11,1 11,2 11,7 13,3 13,4 13,4 13,5 13,2 88,8 93,1 91,7 93,2 95,4 Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud e Istat 1.4. La minaccia del contrabbando I risultati ottenuti appaiono particolarmente rilevanti tenendo conto della particolare esposizione dell’Italia – per motivi geografici, storici e sociali – al rischio del mercato illecito. Ancora alla metà degli anni ’90 in alcune zone del Paese risultavano diffusamente presenti traffici illeciti (sovente collegati alla criminalità organizzata) e smercio quotidiano di prodotti di contrabbando, con evidenti conseguenze tanto sugli introiti fiscali quanto sulla “accessibilità” delle sigarette e quindi sui consumi. Come già ricordato, grazie alla concomitanza dell’impatto del conflitto nei Balcani e del dispiegamento di una forte azione investigativa e repressiva, all’inizio di questo decennio questi fenomeni sono stati fortemente ridimensionati, in particolare sul versante del consumo finale. 10 Oggi appare prevalente il ruolo di canale di transito verso i mercati del Nord Europa. Il che testimonia, tuttavia, l’esistenza di una minaccia potenziale ancora incombente. Qualche elemento di preoccupazione, in effetti, sussiste, in parte collegato ai possibili aumenti dei traffici transfrontalieri con i Paesi posti ai confini nordorientali (Slovenia) e al “pendolarismo” della popolazione proveniente dai Paesi dell’ex Europa orientale, dove i prezzi sono significativamente inferiori. Nell’ultimo triennio è tornata a manifestarsi la divaricazione tra le stime dei consumi effettivi (la cui riduzione sembra essersi arrestata forse anche in virtù dell’impatto dell’ingresso di nuova popolazione residente che, per età e caratteristiche socio-culturali, potrebbe avere una maggiore propensione al consumo) e l’andamento della distribuzione legale (che prosegue il suo declino) che rappresenta un segnale della possibile diffusione di modalità di acquisto alternative. I risultati dell’indagine sulla popolazione effettuata nell’ambito di questo studio (più diffusamente presentati in un successivo capitolo) indicano, inoltre, una presenza non irrilevante di contatti con il commercio illegale, seppure ancora in forme prevalentemente occasionali. La recentissima elaborazione da parte di Nomisma del primo rapporto sulla contraffazione di sigarette in Italia quantifica in 2,9 miliardi di unità (corrispondenti al 3,4% della distribuzione legale) l’incidenza di contraffazione e contrabbando sul mercato italiano. Si tratta di una dimensione ancora modesta ma comunque preoccupante. Allo stato, tuttavia, l’andamento del gettito risulta ancora soddisfacente; secondo quanto riportato dal Bollettino Entrate Tributarie del Ministero delle Finanze nel corso del 2010 gli accertamenti delle entrate tributarie relative alle imposte sul consumo dei tabacchi (accise) sono cresciuti dell’1,2%; la stessa fonte, con riferimento ai primi quattro mesi del 2011 segnala un ulteriore incremento del 2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. 1.5. Il ruolo economico La minaccia del contrabbando non grava solo sulle entrate fiscali ma anche sull’insieme delle attività economiche della filiera del tabacco e in particolare sul segmento della distribuzione finale che ne costituisce la parte 11 più consistente essendo composto da oltre 55.000 rivendite autorizzate cui si aggiungono più di 13.000 bar dotati di “patentini”. Secondo i dati raccolti dall’Istat per le aziende del “commercio al dettaglio dei tabacchi lavorati” (relativi a meno di 27.000 esercizi e riferiti al 2007) si tratta di piccole imprese, con in media poco meno di due addetti, un fatturato inferiore ai 140.000 euro e un valore aggiunto aziendale di circa 55.000 euro. Gli introiti derivanti dall’aggio sulla vendita di prodotti da fumo, complessivamente circa 1,8 miliardi di euro, rappresentano quindi un contributo fondamentale all’equilibrio economico di questi esercizi commerciali capillarmente diffusi sul territorio nazionale. Secondo le stime effettuate da Nomisma nel suo annuale rapporto sulla filiera del tabacco il segmento delle rivendite al dettaglio impiega quasi 140.000 persone su un totale di più di 200.000 distribuito nella filiera (tab. 1.4). Un’ipotetica recrudescenza del contrabbando o una diffusione di altre modalità di acquisto alternative (come i consumi transfrontalieri) anche limitata a una dimensione del 10% del mercato legale (meno di quanto era presente negli anni ’90 e meno di quanto si stima sia presente in altri grandi Paesi) determinerebbe una caduta degli introiti degli esercizi al dettaglio di circa 180 milioni di euro che potrebbe corrispondere a un impatto occupazionale valutabile in circa 10.000 unità. Anche l’altro estremo della filiera, quello della produzione agricola, ha in Italia un peso rilevante con poco meno di 30.000 ettari di superficie agricola lavorati da 6.500 aziende per un’occupazione che rimane tutt’ora vicina alle 60.000 unità. Un numero non trascurabile rispetto alle dimensioni complessive dell’occupazione agricola italiana. La rilevanza del gettito fiscale e la consistenza della dimensione occupazionale costituiscono elementi da considerare nell’ambito della valutazione delle politiche pubbliche. Non nei termini di un’impropria contrapposizione tra obiettivi socio-sanitari e obiettivi economico-fiscali quanto in quelli della necessità di un’attenta valutazione delle scelte che tenga conto dell’effetto di spiazzamento determinato dal possibile ricorso alle modalità di acquisto alternative, in grado di depotenziare i risultati ottenibili sul versante socio-sanitario e di moltiplicare le conseguenze sugli equilibri economici e finanziari. 12 Tab. 1.4 - Consistenza dell’occupazione nella filiera del tabacco, 2007-2009 (v.a.) Tabacchicoltura Prima trasformazione Manifattura Distribuzione all'ingrosso Vendite al dettaglio Altri Totale 2007 2008 2009 59.500 7.500 900 3000 140.000 3.100 214.000 57.300 6.500 715 2.700 138.000 2.785 208.000 56.500 6.200 700 2.650 139.000 2.250 207.300 Fonte: Nomisma 13 2. IL CONTESTO EUROPEO 2.1. Introduzione Le osservazioni formulate con riferimento al ruolo del commercio legale dei tabacchi, lavorati negli equilibri di finanza pubblica italiani acquistano un più preciso significato se collocate nell’ambito dello scenario europeo. In particolare è opportuno fare riferimento al gruppo dei Paesi “vecchi membri”, per comodità indicati come Ue15, che hanno una storia ventennale di “regole” e mercato comune e che sono maggiormente comparabili dal punto di vista dei livelli di reddito e dei comportamenti di consumo. Le principali variabili da considerare per una seppure sintetica analisi di contesto sono: variazioni dei prezzi, andamento della distribuzione legale, stima dei consumi effettivi ed evoluzione del gettito fiscale. 2.2. Le variazioni dei prezzi nell’ultimo decennio Per ricostruire un quadro complessivo dell’andamento degli Mppc (prezzi prevalenti) nei Paesi dell’area Ue15 si è fatto riferimento preliminarmente a tabelle riepilogative contenute in rapporti pubblicati dalla Commissione europea relative rispettivamente alla situazione al gennaio 2000, al 2002 e al 2008. La tab. 2.1 evidenzia come, in linea generale dal 2000 al 2008 nei Paesi dell’area Ue15 a fronte dell’intensificazione della pressione fiscale si sia determinata una crescita nominale degli Mppc mediamente superiore al 50%. I tassi d’incremento non sono però omogenei ed è possibile distinguere tre gruppi di Paesi: - il primo gruppo comprende Paesi nei quali la crescita è stata particolarmente rilevante (superiore al 75%) e include sia Paesi caratterizzati da livelli iniziali medio-alti (Paesi Bassi, Germania, 14 Francia), sia Paesi come Portogallo e Italia dove il livello iniziale era medio-basso; - più contenuti, ma comunque rilevanti (intorno al 50%) sono gli incrementi osservabili in un gruppo di Paesi con livelli iniziali di prezzo differenziati; bassi (Spagna e Grecia), medio-bassi (Lussemburgo e Austria), medio-alti (Belgio) o elevati (Irlanda); - al di sotto della media (in termini di variazione percentuale dell’Mppc) si collocano quattro Paesi (Regno Unito, Svezia, Finlandia e Danimarca) caratterizzati da valori iniziali più elevati. Come si vedrà meglio esaminando i singoli casi nazionali, livello e variazione complessiva del prezzo non sono sufficienti a definire le caratteristiche e gli effetti rilevanti dell’andamento dei prezzi e delle politiche fiscali ad essi sottostanti. Altrettanto importanti sono, infatti, la distribuzione nel tempo degli aumenti e la comparazione con i Paesi limitrofi (anche a causa dell’ingresso dei “nuovi membri” caratterizzati da livelli di partenza significativamente inferiori). 15 Tab. 2.1 - Livello e variazione dei prezzi nei Paesi dell’area Ue15, 2000-2008 (Mppc: euro per 20 sigarette) Paesi Nl Pt It Fr De Ie Lu El Be At Es Uk Se Fi Dk 2000 (1) 2002 (2) 2008 (3) 2,43 1,75 1,91 2,96 2,69 4,69 2,08 1,98 2,82 2,40 1,68 6,49 4,07 3,78 4,04 2,83 1,85 2,07 3,60 3,16 5,16 2,24 2,35 2,90 2,69 1,85 7,21 3,85 4,00 4,44 4,63 3,30 3,50 5,30 4,71 7,45 3,20 3,00 4,16 3,50 2,40 8,12 5,17 4,30 4,29 Var. % nominale 2000-2008 (4) 90,4 89,0 83,2 79,2 74,9 59,0 53,7 51,7 47,6 45,9 42,6 24,9 (35) 27,1 (34) 13,6 6,4 (7) (1) Elaborazione su dati Unione europea (2) Elaborazione su dati Ue Dg Taxud-Kpmg, 2005 (3) Elaborazione su dati Unione europea (4) Tra parentesi la variazione in valuta nazionale Fonte: elaborazione Censis su fonti varie 16 2.3. L’andamento della distribuzione legale di sigarette La tabella 2.2 (tratta dai dati release for consumption pubblicati dalla Commissione Europea e raccolti attraverso questionari ai Paesi membri) evidenzia la rilevante riduzione (circa il 20%) della distribuzione legale di sigarette verificatasi nei Paesi dell’area Ue15 tra il 2002 e il 2008. Anche in questo caso si possono evidenziare tre fasce relative rispettivamente a: - Paesi con riduzione drastica (Germania, Francia, Irlanda e Portogallo); - Paesi con riduzione intermedia (Lussemburgo, Regno Unito, Svezia, Belgio, Austria, Italia e Paesi Bassi); - Paesi con andamento oscillante dove non si osserva un particolare trend di riduzione (Grecia, Spagna, Danimarca e Finlandia). Come emerge comparando l’ampiezza delle variazioni dell’Mppc con quella delle quantità legalmente distribuite in un periodo omogeneo (2002-2008) gli impatti risultano assai differenziati. In particolare il crollo del mercato legale registrato in Germania, Francia, Irlanda e Portogallo non trova riscontro nella riduzione più contenuta osservata in Paesi come Italia e Olanda, che pure presentano incrementi dei prezzi percentualmente altrettanto ampi. Analoga differenziazione si verifica tra i casi di Regno Unito e Svezia e quelli di Spagna e Grecia, anch’essi caratterizzati da un medesimo ordine di grandezza percentuale degli aumenti di prezzo ma da esiti sul mercato legale assai diversi. Queste difformità mettono in luce l’impossibilità di spiegare le variazioni delle quantità del mercato legale di ciascun Paese attraverso semplici relazioni con le variazioni dei prezzi, evidenziandosi dei valori delle “elasticità” totalmente differenti. Le variazioni dei traffici transfrontalieri e quelle dell’ampiezza del mercato nero incidono, infatti, in modo tutt’altro che marginale sulle risposte dei consumi legali agli aumenti di prezzo. 17 Tab. 2.2 - Andamento della distribuzione legale di sigarette nei Paesi dell’area Ue15, 2000-2008 (miliardi e var. %) 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 Var. % 2002-2008 De Fr Ie Pt 145,2 80,5 7,0 17,9 132,6 69,6 6,3 19,6 111,7 54,9 5,3 18,1 95,8 54,8 5,4 17,1 93,5 55,8 5,9 19,0 91,5 54,9 5,4 12,8 88,0 53,6 4,9 12,9 -39,4 -33,5 -29,6 -28,0 Lu Uk Se Be At It Nl 5,8 56,1 7,7 14,3 15,4 105,2 17,0 5,6 54,0 7,5 14,3 15,1 101,6 17,1 6,4 52,6 7,3 13,6 14,5 98,8 15,0 5,3 50,2 6,9 13,4 13,3 92,8 13,7 4,7 49,0 7,7 13,4 13,9 93,8 14,0 5,0 45,7 6,4 12,5 13,6 92,8 15,2 4,5 45,7 6,3 11,9 13,2 92,0 14,9 -22,2 -18,5 -17,6 -16,8 -14,1 -12,6 -12,4 El Es Dk Fi 32,0 88,6 7,2 4,9 32,4 93,7 7,9 4,8 35,2 95,3 8,2 4,9 34,4 92,7 7,8 5,1 33,4 90,1 8,2 5,0 35,2 89,1 7,9 4,9 30,3 90,3 7,9 7,0 (a) 604,7 582,0 541,9 508,7 507,2 493,2 Ue15 (a) 483,4 -5,3 1,9 10,4 n.d. -20,1 In alcuni casi, come per la Finlandia nel 2008, un singolo dato annuale risulta anomalo a causa di concentrazioni di approvvigionamenti collegate a incrementi della tassazione Fonte: elaborazione Censis su dati EC- Taxation and Custom Union 2.4. I consumi effettivi La misurazione attendibile, confrontabile e condivisa dei consumi effettivi dovrebbe essere uno dei presupposti fondamentali per la valutazione delle politiche pubbliche di carattere socio-sanitario. Allo stato attuale, nonostante gli sforzi compiuti da alcune organizzazioni internazionali (in primo luogo il Who) non si può dire che tale presupposto sussista, nemmeno con riferimento alla proxy più comunemente considerata che è quella della quota dei fumatori sul totale della popolazione (smoking prevalence). 18 Né le survey di carattere internazionale (per esempio quella realizzata dall’Unione europea e pubblicata da Eurobarometro) né le operazioni di raccolta e standardizzazione delle indagini nazionali (come quelle effettuate da Who e Oecd) riescono oggi a fornire basi dati aggiornate che abbiano le caratteristiche di accuratezza, omogeneità e indipendenza che le renderebbero utilizzabili per confronti internazionali e intertemporali non contestabili. Ai fini di questo studio si è, pertanto, deciso di privilegiare, nell’esame dei casi dei singoli Paesi, le indagini effettuate a livello nazionale da istituzioni pubbliche (nell’ambito di indagini omnibus sugli stili di vita e/o di indagini sulle condizioni sanitarie) che appaiono maggiormente solide sia dal punto di vista della numerosità e rappresentatività del campione sia da quello delle modalità di realizzazione dell’indagine. I risultati ottenuti da tali indagini presentano tuttavia due limiti rilevanti dal punto di vista della comparabilità: - sono disponibili solo per alcuni anni, in genere diversi da Paese a Paese; - sono disomogenee dal punto di vista della formulazione delle domande se non addirittura da quello delle variabili rilevate (distinzioni tra fumatori di sigarette e fumatori in generale e tra fumatori regolari e occasionali). Ciò nondimeno, nell’ambito di ciascun Paese, esse rappresentano la più credibile stima disponibile dell’andamento (se non dell’esatta quantificazione) dei consumi effettivi e possono quindi essere ragionevolmente utilizzate: - per comparare la variazione dei consumi effettivi con quello della distribuzione legale al fine di individuare aree e periodi particolarmente indiziabili di crescita del mercato nero; - per confrontare gli andamenti (non i livelli) dei diversi Paesi al fine di consentire una valutazione, almeno qualitativa, degli effetti differenziali delle diverse politiche pubbliche. In linea generale si osserva, con riferimento ai Paesi dell’area Ue15 e al periodo 2000-2008, una generale tendenza alla riduzione (con alcune rilevanti eccezioni) la cui articolazione non risulta conclusivamente 19 spiegabile né con le differenze nell’andamento dei prezzi né con le differenze nelle politiche regolative. Nella tabella 2.3 sono riportate, per i Paesi dell’area Ue15, le stime pubblicate dal Who sulla quota standardizzata di fumatori per il 2006. Al di là delle difformità di alcuni di questi valori rispetto a quelli riportati da altre fonti si può osservare come la quota di fumatori in Italia risulti inferiore a quella calcolata con riferimento alla maggior parte dei Paesi europei. Comparando questo valore con un indice costituito rapportando il numero di sigarette ufficialmente distribuite alla popolazione residente (al di sopra dei quindici anni) si ha un ulteriore conferma dell’ampiezza delle possibili discrasie tra consumi legali e consumi effettivi. Tab. 2.3 - Ranking dei Paesi Ue15 secondo i valori dell’adult daily smoking prevalence standardizzati dalla Who per il 2006 Val. % Svezia Regno Unito Finlandia Portogallo Italia Irlanda Belgio Paesi Bassi Danimarca Francia Germania Spagna Grecia Lussemburgo Austria 15 18 21 21 23 24 25 25 26 27 27 28 30 31 41 Fonte: elaborazione Censis su dati Who 20 2.5. Le variazioni del gettito fiscale La definizione da parte dei singoli Paesi delle accise relative ai tabacchi lavorati (così come quelle relative agli alcolici e ad alcuni prodotti energetici) è stata oggetto di regolazione da parte dell’Unione europea fin dai primi anni ’90 in coincidenza con l’attivazione del mercato interno che ha determinato l’abolizione dei controlli fiscali alle frontiere. Nel corso degli ultimi venti anni si sono succedute diverse direttive in linea generale finalizzate a promuovere un aumento dei prezzi e ad evitare un’eccessiva diversificazione delle politiche fiscali nazionali che può produrre (a causa degli acquisti transfrontalieri) una tendenziale penalizzazione dei Paesi che praticano una più forte tassazione. Attraverso l’analisi e la riclassificazione dei dati raccolti dalla Dg Taxud dell’Ue sulla composizione delle entrate fiscali di ciascun Paese, è stato possibile quantificare per ciascuna nazione oggetto di studio la consistenza assoluta delle entrate derivanti dalle accise sui tabacchi (ma non dalle imposte sul valore aggiunto), il peso rispetto alle entrate complessive e i relativi andamenti nel corso del periodo oggetto di analisi. Nella tabella 2.4 sono riportati per ciascun Paese dell’area Ue15 i valori relativi: - alla media aritmetica delle quote di entrate fiscali coperte dalle accise sul tabacco calcolate nel periodo 2000-2008, - alla variazione (nominale) dell’importo del gettito tra il 2000 e il 2008. La quota delle entrate fiscali è un indicatore dell’importanza che hanno le accise sui tabacchi negli equilibri di finanza pubblica di ciascun Paese. I dati evidenziano l’esistenza di situazioni molto differenziate: rispetto al gruppo “centrale” composto dai Paesi dove l’incidenza è compresa tra l’1,5% e il 2,0% (Spagna, Germania, Regno Unito e Italia) si riscontrano casi come quelli di Irlanda e Portogallo, dove raggiunge il 2,5% o di Grecia e Lussemburgo dove si aggira sul 4%, all’opposto l’incidenza media nel periodo risulta inferiore e compresa tra l’1% e l’1,5% in Austria, Belgio e Francia e si colloca intorno o al di sotto dell’1,0% in Danimarca, Paesi Bassi, Svezia e Finlandia. 21 In teoria tanto maggiore è il peso di questa fonte di introiti tanto maggiore dovrebbe essere l’attenzione delle amministrazioni pubbliche alla sua salvaguardia. È evidente, infatti, che un calo del mercato legale ha conseguenze molto più critiche in un Paese dove copre circa il 2% del gettito (per non dire di quelli dove arriva al 4%) rispetto ad un Paese dove copre meno dell’1%. Nell’ambito dei singoli casi nazionali saranno pertanto riportati gli andamenti, anno per anno, di questa variabile critica. Dall’esame delle variazioni del gettito nel periodo emerge un quadro di sensibile diversificazione: - tra i Paesi con crescita elevata si collocano Spagna, Olanda, Italia e Grecia seguiti da Belgio e Svezia; - appartengono alla fascia intermedia, con variazioni decisamente minori, Francia, Irlanda, Germania, Austria e Portogallo; - decisamente più critici dal punto di vista fiscale gli andamenti osservati nel periodo in Lussemburgo, Finlandia, Regno Unito e Danimarca. 22 Tab. 2.4 - Indicatori del gettito fiscale da accise sul tabacco nei Paesi dell’area Ue15, 2000-2008 Quota sul totale delle entrate media aritmetica delle incidenze % 2000-2008 Andamento % Variazione nominale 20002008 (*) LU EL 4,23 3,76 15,2 35,2 IE PT 2,53 2,44 22,1 18,9 ES UK IT DE 2,00 1,82 1,55 1,52 66,5 7,7 38,7 19,3 AT FR BE 1,30 1,24 1,21 19,0 22,8 33,3 DK NL FI SE 1,02 1,01 0,88 0,66 -6,9 48,4 11,7 28,1 (*) In valuta nazionale per Danimarca, Svezia e Regno Unito. Fonte: elaborazione Censis su dati Ec Taxation and Custom Union 23 2.6. L’evoluzione recente Tra il 2008 e il 2010 la distribuzione legale di sigarette nell’area Ue15 ha subito un’ulteriore contrazione scendendo da 483 a 448 miliardi di unità; una riduzione di oltre il 7% decisamente più sensibile di quella manifestatasi nel triennio precedente. Quasi la metà del calo è attribuibile alla Spagna, dove la distribuzione è drasticamente calata da 90,3 a 72,4 miliardi di unità, e un’altra parte consistente alla Grecia, dove si è scesi da 30,3 a 20,4 miliardi di unità. Tra gli altri Paesi si segnalano la prosecuzione dei trend di riduzione tendenziale in Italia e Germania mentre la Francia si mantiene sui livelli raggiunti nel 2004. Dal punto di vista della consistenza delle entrate da accise sui tabacchi lavorati tra i maggiori Paesi europei si confermano le dinamiche positive di Italia (che passa da 10,388 a 10,621 miliardi di euro), Spagna (da 7,526 a 8,023 miliardi); appaiono in recupero la Francia (da 9,550 a 10,358 miliardi di euro grazie all’apporto dei prodotti diversi dalle sigarette) e il Regno Unito (da 8,171 a 9,050 miliardi di sterline) mentre prosegue la riduzione del gettito in Germania (da 13,562 a 13,477 miliardi). 24 3. CASI NAZIONALI 3.1. Introduzione Nei paragrafi successivi saranno presentati una serie di casi nazionali di Paesi dell’area Ue15 (Francia, Irlanda, Regno Unito, Germania e Spagna). Per ciascun Paese saranno esaminati: - le informazioni relative alle variazioni di politica fiscale e al conseguente andamento dei prezzi (misurato attraverso le variazioni dell’Mppc); - i dati relativi all’andamento delle vendite legali di sigarette tratti dalla documentazione ufficiale Ue; - le diverse stime dei consumi effettivi (o meglio della proxy costituita dalle stime della quota di fumatori, ricavabili sia da indagini nazionali – multiscopo o sanitarie sia da survey comparative internazionali – indagini Eurobarometro, database di organizzazioni internazionali come Oecd e Who) e del loro andamento; - i dati relativi al gettito fiscale da accise, al suo andamento e all’incidenza sul totale delle entrate fiscali di ciascun Paese (fonte database fiscale della Ue Dg Taxud). I risultati dell’analisi dei singoli casi nazionali saranno utilizzati per disegnare lo schema di un modello interpretativo degli effetti delle politiche d’inasprimento della tassazione e incremento dei prezzi sui comportamenti dei consumatori che cerca di superare la contrapposizione di interpretazioni semplificate ogni dominante. I casi esaminati mettono, infatti, in evidenza la difficile sostenibilità sia della tesi secondo la quale gli incrementi di prezzo non producono effetti sulla diffusione del mercato illecito (che dipenderebbe solo dalle capacità di contrasto delle autorità fiscali e doganali) sia di quella, altrettanto estrema, secondo la quale essi produrrebbero esclusivamente un trasferimento di domanda verso tale canale. 25 Lo schema di modello interpretativo proposto evidenzia in particolare il ruolo cruciale che ha la distribuzione temporale degli aumenti, argomentando che è soprattutto una crescita consistente e concentrata nel tempo a determinare, sia dal punto di vista della domanda che da quello dell’offerta, le condizioni per la diffusione di contrabbando e acquisti transfrontalieri. L’analisi sviluppata mette, inoltre, in luce come le nuove forme assunte dal mercato illegale (con crescente peso dei prodotti contraffatti o non ufficiali rispetto all’importazione illegale di prodotti ufficiali) aumenta l’impatto negativo del mercato illecito non solo sul versante degli obiettivi fiscali ma anche su quello delle politiche socio-sanitarie. 3.2. Il caso francese Andamento tasse e prezzi La Francia è stata protagonista, nella prima parte di questo decennio, di una politica particolarmente aggressiva sul fronte dei prezzi: in poco più di un anno tra il dicembre 2002 e il gennaio 2004 il costo di un pacchetto di sigarette maggiormente venduto è passato da 3,60 euro a 5,00 euro (fig. FRA1). Un incremento estremamente significativo sia in termini assoluti (1,40 euro) che in termini percentuali (quasi il 30% in più) che ha collocato la Francia ai vertici della graduatoria continentale. Nonostante negli anni successivi le variazioni siano state più contenute la Francia ha mantenuto questo posizionamento. Secondo i dati recentemente raccolti dalla Dg Taxud dell’Ue il prezzo “medio” di un pacchetto da 20 sigarette in Francia si colloca all’inizio del 2011 a 5,40 euro (di cui 4,35 di quota fiscale), superato solo dai valori registrati nelle realtà insulari dell’Irlanda (8,47 euro) e del Regno Unito (5,44 sterline); in tutti gli altri Paesi europei il prezzo è inferiore ai 5 euro. Distribuzione legale L’impatto sulla distribuzione legale degli incrementi di prezzo del 2003 è stato fortissimo. Per quanto riguarda le sigarette si è scesi dagli 80,5 miliardi 26 di unità del 2002 ai 54,9 miliardi del 2004, una contrazione di quasi un terzo delle vendite ufficiali (fig. FRA2) solo marginalmente bilanciata dall’incremento del fine cut tobacco passato da 5,7 a 7 milioni di chili. Le quantità vendute sono rimaste sostanzialmente stabili negli anni successivi, toccando un minimo di 53,6 miliardi nel 2008 e rimanendo comunque al di sotto dei 55 miliardi nei due anni seguenti. La Francia presenta di conseguenza un valore del numero di sigarette ufficialmente vendute per abitante (maggiore di 15 anni) decisamente più basso della media europea (meno di 1.050 contro più di 1.400) ma, come si vedrà meglio più avanti, a questo non corrispondono indicazioni sui consumi effettivi similmente caratterizzate. Consumi effettivi La straordinaria riduzione della distribuzione legale osservata tra il 2002 e il 2004 non trova infatti pieno riscontro nei risultati delle indagini sui consumi. Particolarmente accurate, anche perché basate su un numero molto elevato di interviste (circa 30.000), sono le indagini Baromètre santè effettuate dall’Institut National de Prévention et d’Education pour la Santé (Inpes) disponibili per gli anni 2000, 2005 e 2010. Secondo le indagini Inpes la quota di fumatori sulla popolazione tra i 12 ed i 75 anni in Francia si era ridotta dal 33,1% del 2000 (29,6% regolari e 4,6% occasionali) al 29,9% del 2005 (24,9% fumatori regolari e 5,0% occasionali) del 2005. Nel successivo quinquennio, peraltro, la percentuale è tornata ad aumentare attestandosi nel 2010 (con riferimento alla fascia 15-75 anni) al 33,7% (Fig. FRA3). Un andamento simile lo si ricava dall’analisi delle rilevazioni nazionali riportate nella banca dati dell’Oecd secondo le quali la quota di fumatori è scesa, infatti, dal 27,0% del 2001 al 23,4% del 2004 per poi risalire a circa il 26% negli anni successivi. Decisamente più accentuato il calo ricavabile a partire dalle indagini dell’Eurobarometro secondo le quali la quota di fumatori dichiarati in Francia si sarebbe ridotta dal 44% del 2002 al 33% del 2005 (per poi rimanere su tale quota nelle indagini successive). È da osservare, tuttavia, che i dati dell’Eurobarometro della variazione 20022005 appaiono sistematicamente più elevati di quelli ricavabili dalle più ampie indagini nazionali. 27 Assumendo dunque come riferimento l’indagine Inpes il calo della quota osservato tra il 2000 ed il 2005 equivale (tenendo conto della variazione complessiva della popolazione) ad una riduzione di meno del 10% del numero complessivo di fumatori, una contrazione corrispondente a circa un terzo della riduzione della distribuzione legale. Poiché l’indagine non segnala significative riduzioni delle quantità medie di sigarette fumate, la spiegazione di questa discrasia sviluppata dai ricercatori dell’Inpes fa riferimento a tre diversi elementi: - lo spostamento di parte della domanda verso altri prodotti da fumo meno tassati (tabacco per sigarette fatte a mano, sigaretti etc.); - il ricorso al mercato nero; - la crescita degli acquisti transfrontalieri. Il rapporto Baromètre santé 2005/ Attitudes et comportements de santé nel capitolo “Les Français et la cigarette en 2005: un divorce pas encore consommé” segnala che “Les donnés de vente de cigarettes offrent donc un aperçu de plus en plus imparfait des compertements des fumeurs, parce que ceux-ci ne fument pas que des cigarettes manufacturées et sont suscetibles de se fournir à l’étranger, voire au marché noir”. Più in generale, secondo gli esperti dell’Inpes “l’augmentation des prix a bien eu un effet incitatif à l’arret du tabagisme, mais il semble que cet effet soit relativement éphémère et que la motivation qu’elle suscite ne se concrétise pas toujours par des arrêt reussi”. Più efficace sembra essere l’effetto prezzi come deterrente all’entrata, come indica il fatto che “entre 2000 et 2005 le recul du tabagisme se concentre donc sur la population adolescente”. È d’altra parte plausibile che, rispetto all’ingresso nel mercato, ciò che conti sia il livello assoluto dei prezzi (e l’aspettativa del loro andamento futuro) e non l’ampiezza della singola variazione. Mercato irregolare Particolare attenzione è stata dedicata in Francia all’analisi delle dinamiche degli acquisti transfrontalieri a partire dalla constatazione che la riduzione delle vendite legali ha avuto un andamento geograficamente fortemente differenziato tra le regioni prossime ai confini (dove è stata di oltre il 40%) e quelle interne (dove non è andata al di là del 30%). Il differenziale di prezzo di circa un euro esistente rispetto ai Paesi confinanti a oriente 28 (Belgio, Lussemburgo, Svizzera, Italia e la stessa Germania) e di quasi due euro rispetto alla Spagna ha determinato le condizioni sia per comportamenti strettamente individuali (acquisto di modeste quantità per uso personale) sia per la diffusione di un mercato grigio (acquisto organizzato di quantità più consistenti per la rivendita). Secondo le stime recentemente revisionate e pubblicate dall’Observatoire Français des Drogues et des Tobaccomanies (Ofdt) nel periodo 2005-2007 possono essere calcolati acquisti transfrontalieri per una quantità superiore alle 10.000 tonnellate anno, corrispondenti a circa un quinto delle vendite legali. Una conferma che la discrasia osservata tra enorme crollo delle vendite legali e modesta contrazione dei fumatori dichiarati costituisca un rilevante indizio della crescita dei consumi legati agli acquisti transfrontalieri, oppure allo sviluppo di veri e propri traffici illegali, la si ha dallo studio effettuato dalla Kpmg per conto della Dg Taxud dell’Ue e pubblicato nel 2005 secondo il quale: “Cross-border shopping skyrockets in Member States (France and partly Germany) drastically increasing their national excise duty rates, partly mitigating and undermining the national excise policy of these Member States. To the contrary, cross border shopping diminishes in case Member States (Denmark and Finland) decrease or freeze their national excise duty rates.” Lo studio Kpmg-Dg Taxud presenta una stima della legitimate circumvention per la Francia che passa da 0 nel 2002 a 5,9 miliardi di sigarette nel 2004 e colloca la quota di mercato in elusione di imposta al 2004 al 15% del totale. Il caso francese sembra dunque corroborare la tesi, sostenuta anche in un recente studio dell’ International Tax and Investment Center secondo il quale “sharp excise rates increases which lead to a sudden decline in consumer affordability tend to be particular drivers of the emergence of illicit trade”. Lo stesso studio colloca la Francia nella fascia dei Paesi dove la quota di commercio illecito supera il 10%. 29 Risultati fiscali Dal punto di vista delle politiche tributarie i risultati ottenuti dalla Francia con la strategia dell’incremento repentino di tasse e prezzi non appaiono particolarmente soddisfacenti. Secondo i dati raccolti dalla Dg Taxud, infatti, l’incremento (a prezzi correnti) delle entrate da accise sui tabacchi realizzato in Francia tra il 2001 e il 2004 è stato del 10% a fronte di una crescita ottenuta nello stesso periodo dal fisco italiano del 19%; nel periodo successivo (2004-2009) l’incremento nominale francese è stato del 7% mentre quello italiano ha raggiunto il 20%. Considerando poi la variabile fondamentale dal punto di vista delle politiche fiscali ovvero l’incidenza delle accise sui tabacchi sul totale delle entrate fiscali si osserva che il valore francese è più basso di quella osservato negli altri grandi Paesi dell’area Ue15 ed ha fatto registrare un andamento decrescente, diminuendo dall’1,32% del 2002 all’1,18% del 2008 (Fig. FRA4). Il già citato studio dell’Observatoire Français des Drogues et des Tobaccomanies (Ofdt) valuta in più di due miliardi di euro l’anno la perdita di introiti fiscali per lo Stato francese derivante dagli acquisti transfrontalieri, una cifra corrispondente a circa un quinto delle entrate effettive. Conclusioni A partire dal 2004 la politica fiscale francese è stata più prudente e gli aumenti più contenuti ancorché certamente più elevati dell’inflazione (30 centesimi alla fine del 2007 e altri 30 centesimi alla fine del 2009). Tra il 2007 e il 2008, inoltre, sono state adottate le restrizioni al fumo negli spazi pubblici. A fronte di questo la distribuzione legale è rimasta sostanzialmente stabile (oscillando intorno ai 55 milioni di sigarette) e la quota dei fumatori dichiarati è tornata a crescere. L’ultima indagine, effettuata nel 2010 dall’Inpes mostra un’inversione di tendenza con una crescita della quota dei fumatori quotidiani nella fascia 15-75 dal 27,3% al 29,1% dei fumatori regolari e dal 31,8% al 33,7% dei fumatori complessivi. Questo incremento risulta parzialmente bilanciato dalla riduzione delle quantità mediamente consumate (da 15,4 a 13,9 sigarette giorno) in parte attribuibile agli effetti delle misure di limitazione 30 del fumo nei luoghi pubblici. Le stesse rivelazioni dell’Eurobarometro segnalano, a loro volta, un andamento eccentrico della Francia, dove la quota dei fumatori rimane inalterata a fronte di una tendenza alla riduzione prevalente nello stesso periodo nella maggior parte degli altri Paesi europei. L’andamento sostanzialmente piatto negli anni successivi al 2005 sembra dunque indicare che la concentrazione di forti aumenti in un breve lasso di tempo possa aver determinato una riarticolazione del mercato che lo ha reso poco sensibile a successivi, più contenuti, aumenti di prezzo. Questo può essere spiegato con una sorta di “mitridatizzazione” del consumatore legale che, una volta accettato un aumento notevole di prezzo, non reagisce più ad aumenti di minore entità. Alternativamente si può ipotizzare che una volta diffusi i comportamenti di acquisto “alternativi” questi si stabilizzano ed anzi vengono rilanciati anche di fronte ad aumenti contenuti e che, una volta attivati, i canali di distribuzione illegale di prodotti contraffatti o di contrabbando questi si radicano nel territorio e si alimentano anche di marginali modifiche nella convenienza economica. In sintesi il caso francese sembra indicare che l’incremento repentino di tasse e prezzi distribuisce i suoi effetti sia sulla caduta dei consumi effettivi sia sullo spostamento verso consumi meno tassati (tabacco per sigarette non confezionate e acquisti transfrontalieri) o non tassati affatto (contrabbando, contraffazione) rendendo il “costo fiscale” dell’obiettivo dissuasivo più elevato di quello sostenuto nel caso di strategie di aumento graduale. Nello stesso tempo non sembrano emergere evidenze che indichino che una strategia fiscale particolarmente aggressiva nel breve periodo produca, sul fronte socio-sanitario, effetti più consistenti e duraturi di quelli ottenibili con una strategia graduale. Per quanto riguarda le iniziative di limitazione e dissuasione le valutazioni effettuate in Francia sulla sorta dei dati relativi al confronto 2005-2010 sono abbastanza articolate e problematiche. In uno studio pubblicato dall’Inpes all’inizio del 2010 si sottolinea il ruolo di determinanti socio-economiche nel grado di considerazione prestato dai cittadini nei confronti delle campagne dissuasive. Queste sembrano risultare meno efficaci (e non meno conosciute) negli strati di popolazione più disagiati che hanno una minore attitudine ad un’auto proiezione positiva nel futuro ed un minore grado di fiducia nelle istituzioni e nelle autorità in generale. 31 Fig. FRA1- Andamento Mppc in Francia, 2001-2010 +) ) ) .) .) /) /) ,) ,) Fonte: elaborazione Censis su fonti varie Fig. FRA2 – Quantità di sigarette legalmente distribuite: confronto Francia-Ue15, 2002-2010 (numeri indice: 2002=100) $% , ! 0 - " # 1 + . , , , / , . , , + , 1 &'% , - , 0 , ()* Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud 32 Fig. FRA3 - Quota fumatori dichiarati sulla popolazione in Francia . . / " % / + , , 00- 000 , # " $ & , " ) , ,, /, ., 31 !! , +, 1, $ 5 4 -, 0, 4 " " "6 )7 Fonte: elaborazione Censis su fonti varie Fig. FRA.4 – Quota del gettito da accise sul tabacco sul totale introiti fiscali: confronto Francia-Italia, 2000-2008 (val. %) 8 )- * )+ * ). * ), * ) * )- * )+ * ). * ), * ) * , , , , , / , . , , + , 1 , - Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud 33 3.3. Il caso irlandese Il caso Irlandese si presenta, per molti aspetti, simile a quello francese accentuandone alcune caratteristiche: anche in questo caso ci si trova di fronte a politiche pubbliche molto aggressive sul fronte fiscale che si sono tradotte in forti incrementi di prezzi, particolarmente accentuati in alcuni periodi; anche in questo caso si manifestano forti effetti di riduzione della distribuzione legale cui non corrispondono risultati altrettanto ampi e univoci sui consumi effettivi ma che determinano criticità sul versante degli introiti fiscali. L’Irlanda, inoltre, si caratterizza per politiche regolative particolarmente determinate. Tra il 2002 ed il 2004 sono state adottate norme restrittive sulle promozioni, pubblicità e sponsorship ed a partire dal 2009 è vietata la pubblicità nei punti vendita e limitata l’esposizione dei prodotti. Gli health warning sui pacchetti sono obbligatori dal 2008 e le norme approvate nel 2009 prevedono l’introduzione dei pictorial warning. Le limitazioni al fumo negli spazi pubblici previste dal 2002 sono state rese operative nel 2004 in forme particolarmente estensive. Andamento tasse e prezzi L’andamento del Mppc (“prezzo prevalente”) in Irlanda nell’ultimo decennio è illustrato nella figura IRL1. Partendo da una base di per sé molto elevata, oltre 4,7 euro a pacchetto, la crescita del prezzo di vendita ha subito una serie di accelerazioni legate agli incrementi dell’imposizione: alla fine del 2002 quando il prezzo è passato da 5,16 a 5,71 euro; alla fine del 2006 quando viene portato da 6,45 a 7,05; tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 quando è cresciuto da 7,45 a 8,45 euro, raggiungendo il massimo livello tra i Paesi dell’area Euro. Complessivamente il carico fiscale su un pacchetto è passato dai 3,8 euro del 2001 ai 6,7 euro del 2009. 34 Distribuzione legale Le conseguenze di questi aumenti sui volumi di sigarette legalmente distribuiti sono state molto rilevanti, soprattutto nella prima fase. Secondo i dati riportati nella nota della Dg Taxation and Custom Union della Commissione europea la quantità di sigarette releases for consumption in Irlanda è scesa dai 7 miliardi di unità nel 2002 ai 5,3 nel 2004 con una riduzione del 24% decisamente superiore al 10% dell’insieme dei Paesi dell’area Ue15 (Fig. IRL2). Nel biennio successivo la quantità di sigarette distribuite legalmente è lievemente aumentata, per tornare a diminuire dopo il 2006 fino a scendere a 4,1 miliardi di unità nel 2010 (con una riduzione complessiva del 41% nell’arco 2002-2010 decisamente più ampia di quella realizzata nella media Ue15 che è stata del 25%). Non si rilevano, se non nel 2009, significative variazioni nelle quantità di fine cut tobacco. Consumi effettivi Anche nel caso irlandese è molto difficile trovare valutazioni univoche dell’andamento dei consumi effettivi o della proxy più utilizzata costituita dalla quota di fumatori sul totale della popolazione (fig. IRL3). La rilevazione che appare più solida è contenuta nella Survey of Lifestyle, Attitudes and Nutrition in Ireland (Slan) effettuata per conto del Ministero della Sanità attraverso interviste dirette ad un consistente campione rappresentativo della popolazione irlandese (oltre 10.000 unità nel 2007). Questa però fornisce dati relativi solamente agli anni 1998, 2002 e 2007. Il confronto tra le tre annualità dell’indagine, che rileva la quota di current smokers dichiarati nella popolazione residente di età superiore ai 18 anni, mostra un calo (dal 33% al 27%) tra il 1998 ed il 2002 ed una risalita al 29% nel quinquennio successivo. Quest'ultimo dato induce il Department of Health and Children a dichiarare nel rapporto Smoking Patterns in Ireland che: “The success of Ireland’s smoking ban has primarily been in reduced risks from passive smoking. There is no evidence that Ireland has achieved a sustained downward trend in overall smoking rates.” Il trend ricavabile dalla Slan non è del tutto coerente con i dati delle indagini dell’Eurobarometro secondo le quali la quota di fumatori in Irlanda sarebbe scesa dal 36% al 30% tra il 2002 ed il 2005 per poi risalire al 31% nel 2009. Come già osservato, tuttavia, le rilevazioni Eurobarometer, si caratterizzano 35 per valori riferiti al 2002 sistematicamente più elevati di quelli ricavabili dalle survey nazionali e conseguentemente con decrementi 2002-2005 particolarmente elevati. È da osservare che la riduzione irlandese (-6%) risulta comunque inferiore a quella stimata da Eurobarometer per l’intera area Ue15 (-7%) e che le due fonti concordano nell’individuare un tendenziale incremento dei fumatori dichiarati nella seconda parte del decennio. Nel complesso si può osservare che alla forte riduzione del 2002-2004 delle quantità legalmente distribuite non corrisponde una riduzione dei consumi effettivi di analoga proporzione e che al progressivo declino delle quantità legali del periodo 2006-2009 non fa riscontro una riduzione dei consumi. Mercato irregolare Come già evidenziato nel caso francese le discrasie tra andamenti della distribuzione legale e dei consumi effettivi indicano tendenzialmente l’espansione della quota di mercato illegale e/o dei consumi transfrontalieri. Secondo lo studio dell’International Tax and Investment Center in Irlanda: “In 2005, illegal (non duty paid) volume emerged in the market, reaching approximately 8% of total consumption. However, the flow of contraband products escalated rapidly, reaching an estimated 25% of the market in 2009, equivalent to 1.5 bilion stick”. La recente pubblicazione di Europol Organised Crime Threath Assessment (Octa 2011) segnala come “Preferred destinations within the EU are countries with comparatively high taxes on tobacco, such as the Scandinavian countries, Germany, Spain, the UK and Ireland. Destination countries may also serve as transit points to larger markets in other Member States, as in the case of Ireland, where the land border with Northern Ireland is susceptible to smuggling into the UK. The economic impact of cigarette smuggling is significant: it represents a substantial loss to national and EU budgets, estimated at around 10 billion euros per year, and damages the interests of legitimate manufacturers and retailers. Cheaper and smuggled products also constitute a marked threat to EU efforts on tobacco control, and by extension the objective of reducing consumption.” 36 Secondo l’associazione Retailers Against Smuggling, l’Irlanda è ormai “vista dai contrabbandieri internazionali come un paradiso” per l’alto prezzo ufficiale delle sigarette e la debolezza delle sanzioni. La stima delle vendite illegali nel 2010 arriva a 1,6 miliardi di sigarette corrispondenti ad una perdita di 758 milioni di euro di fatturato per i rivenditori autorizzati cui si aggiungono 400 miliardi derivanti da cross purchases; la stima dei mancati introiti fiscali supera il mezzo miliardo di euro. Più contenute, ma comunque elevate, le valutazioni ufficiali. Secondo il documento Revenue’s Strategy On Combating the Illicit Tobacco Trade (2011 2013) dell’Irish Tax and Customs: “While the measurement of the scale of the illicit trade is difficult in any country, it is tentatively estimated that illicit cigarettes accounted for approximately 14% of all cigarettes consumed in the State in 2009 based on an independent survey carried out for Revenue and the Office of Tobacco Control. This represents a potential loss of €200 million in excise duty for the Irish Exchequer.” Risultati fiscali In effetti gli impatti fiscali delle politiche aggressive sulle accise sono stati abbastanza critici. Dal 2001 al 2008 il gettito è passato da 1,14 ad 1,17 miliardi di euro (avendo toccato un minimo di 1,06 nel 2004) con una crescita nominale inferiore al 2,6% (nello stesso periodo in Italia il valore a prezzi correnti del gettito è cresciuto del 42,0%). Ciò ha determinato un rilevante calo del contributo agli equilibri finanziari irlandesi facendo diminuire la quota ricavata dalle accise sul tabacco dal 3,2% al 2,2% del totale delle entrate (fig. IRL4). 37 Fig. IRL1- Andamento Mppc in Irlanda (2001-2010) 0 ! - 1 + % . / Fonte: elaborazione Censis su fonti varie Fig. IRL2 - Quantità di sigarette legalmente distribuite - Confronto Irlanda/ Ue15, numeri indici 2002-2010 &'% ,)- $% , 0 ! - " " # 1 + . , , , / , . , , + , 1 , - , 0 , Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud 38 Fig. IRL3 - Quota fumatori dichiarati sulla popolazione in Irlanda . / / ! " , + , 00- 000 , 9 ! "6 , )7 - , , , / 5 4 $ : , . , "6 , )7 + " , 1 , " - , 0 "6 )7 , Fonte: elaborazione Censis su fonti varie Fig. IRL.4 - Quota del gettito da accise sul tabacco sul totale introiti fiscali: confronto Irlanda-Italia, 2000-2008 (val. %) /) * /) * ,) * ,) * ) * ) * ) * ) * , , , , , / , . , , + , 1 , - 9 Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud 39 3.4. Il caso del Regno Unito Evoluzione tasse e prezzi Il Regno Unito ha anticipato gran parte dei Paesi europei nella strategia dell’elevata tassazione sul tabacco (fig. UK1). All’inizio di questo decennio il Mppc si collocava a quota £ 4,17 per un pacchetto di 20 sigarette corrispondente ad un valore di quasi 6,85 euro. Nello stesso periodo il prezzo in Francia era equivalente a circa 3,20 euro, in Germinia a 2,96 euro, a 2,07 euro in Italia, a 1,68 in Spagna. L’elevato livello britannico era frutto di una strategia continuativa che aveva però avuto due fasi di accelerazione: tra la fine dell’89 e l’inizio del ’92 quando i prezzi erano aumentati di oltre un terzo (da £1,65 a £2,23), tra la fine del ’97 e l’inizio del 2000 quando si era determinato un altro aumento repentino di circa una sterlina a pacchetto (da £3,17 a £4,17) l’80% del quale con destinazione fiscale. Nel corso di questo decennio i prezzi hanno mantenuto un andamento ascendente in qualche modo “fisiologico” fino al nuovo shock fiscale del 2008 che ha aperto un’altra fase di repentina crescita dei prezzi di vendita. Distribuzione legale Alle due fasi di inasprimento fiscale e accelerazione della crescita dei prezzi hanno fatto riscontro altrettante fasi di caduta delle quantità legalmente distribuite che si sono ridotte da 99 a 85,4 miliardi di pezzi tra 1990 e il 1993 e da 77,4 a 56,3 miliardi di pezzi tra il 1997 e il 2000. Nel corso dell’ultimo decennio il mercato legale di sigarette ha continuato a contrarsi ad un ritmo di circa 3 punti percentuali l’anno con un apparente arresto della caduta a partire dal 2007 (fig. UK 2). A fronte di questo andamento si osserva, a partire dalla fine degli anni ’90, una significativa crescita delle vendite legali di tobacco RYO che sono sostanzialmente raddoppiate in un decennio passando dalle 1.800 tonnellate del 1998 alle oltre 3.600 del 2007 ed arrivando a superare, secondo i dati raccolti dalla DG – Taxud, le 5.600 tonnellate nel 2010. 40 Consumi effettivi Secondo il rapporto Smoking and drinking among adults pubblicato dall’Office for National Statistics nel 2009, le indagini campionarie sottostimano il consumo di sigarette e, in misura minore, la quota di fumatori nella popolazione e in particolare tra i giovani per i quali si adottano particolari tecniche di intervista. Posta questa premessa il documento riporta il risultato dell’indagine effettuata nel 2009 nell’ambito della General LifeStyle Survey (Glf) indagine omnibus/multiscopo che ha coinvolto 8.000 famiglie e circa 15.000 cittadini di oltre 16 anni, in base alla quale la quota di fumatori di sigarette si colloca nel 2009 al 21% della popolazione, confermando sostanzialmente il livello raggiunto nel 2006, la quota di fumatori totali risulta superiore di circa un punto percentuale. La serie storica elaborata nel rapporto (che differisce lievemente da altre elaborazioni dello stesso Ons) evidenzia due fasi di calo: una relativa ai primi anni ’90 e l’altra tra il 2001 ed il 2006 (fig. UK3). Risulta ancora una volta del tutto eccentrico il dato ricavabile dall’indagine Eurobarometer del 2002 (45% di fumatori contro il 28% rilevato da Ons) e di conseguenza non trova riscontro il vertiginoso calo da questa evidenziato nel confronto 20022005. La discrasia tra andamento del mercato legale e dei consumi effettivi che in altri Paesi si manifesta nei dati relativi all’ultimo decennio nel caso britannico è invece più rilevante in riferimento agli anni ’90. A fronte di un calo della quantità di sigarette legalmente distribuite tra il 1990 ed il 2000 di circa il 43% il numero di fumatori di sigarette “confezionate” risulta ridotto al massimo del 20%. Maggiore coerenza tra l’andamento delle quantità legalmente distribuite e quello dei fumatori di sigarette confezionate si manifesta nel corso dell’ultimo decennio. Questa sommaria analisi dei dati sembra dunque indicare che il caso britannico si differenzia da quelli precedentemente esaminati per la diversa collocazione temporale dell’incremento dei traffici non regolari, avvenuto negli anni 90 (presumibilmente in corrispondenza delle due fasi di accelerazione nella crescita dei prezzi) e stabilizzatosi in questo decennio. Tra il 1995 ed il 2000 il contributo delle accise agli introiti pubblici del Regno Unito è, d’altra parte, drasticamente sceso dal 2,8% al 2,0%; dopo una stabilizzazione nei primi anni 2000 si è nuovamente manifestata una dinamica discendente che ha portato la quota a scendere sotto l’1,5% nel 2008 (fig. UK4). 41 Mercato irregolare Il documento Tackling Tobacco Smuggling Together congiuntamente predisposto dalla Hm Revenue & Customs e dalla Uk Border Agency nel 2008 costituisce una efficace sintesi delle analisi e delle valutazioni che le istituzioni britanniche preposte alla lotta al contrabbando hanno potuto sviluppare sulla scorta di un’esperienza storica particolarmente rilevante. Il documento sottolinea in primo luogo come: “In 2000, more than 1 cigarette in 5 smoked in the Uk was smuggled – an increase of 50 per cent on the previous year – and this was predicted to rise to 1 in 3 within a few years. Tobacco smuggling was costing over £3bn a year in lost tax revenue.” Dopo un decennio caratterizzato da due fasi di crescita concentrate dei prezzi, dunque, il contrabbando aveva raggiunto una dimensione pari al 25% del mercato legale britannico, provocando un danno fiscale di 3 miliardi di sterline anno, e rischiava di crescere ulteriormente fino a coprire oltre un terzo del mercato complessivo (cioè a raggiungere una dimensione pari al 50% di quello legale). Individuato il contrasto al contrabbando come una priorità della politica fiscale, le autorità del Regno Unito hanno dispiegato una strategia su più fronti tra i quali particolare rilievo hanno assunto il potenziamento e la razionalizzazione degli strumenti di controllo e la definizione di intese con le imprese produttrici formalizzate con la sigla del Memoranda of Understanding del 2002. “The MoUs set out a framework which has resulted in the incidence of Ukmanufactured cigarettes being smuggled into the Uk falling markedly. Building on the success of the original MoUs, they were strengthened in 2006 as part of the strategy refresh to improve the targeting of counterfeit product and expand their scope to include Hrt”. Se la cooperazione con i produttori ha consentito di ridurre fortemente la quota di sigarette originali prodotte in Uk, esportate e quindi reimportate di contrabbando, il mercato illegale ha virato verso altre tipologie: “The brand mix found on the Uk illicit cigarette market has been progressively diversifying. Initially, counterfeit cigarettes began to represent a rapidly growing share of the illicit market and, more recently, brands not sold on the legitimate Uk market, in particular so called “cheap 42 white” brands made by small independent tobacco companies are representing a growing share of cigarette seizures.” Secondo le autorità del Regno Unito la rapida crescita dello smercio di prodotti contraffatti (arrivata quasi al 50% del mercato illegale) presenta “rischi addizionali” essendo frutto di produzioni sviluppate in ambienti non regolati e privi di controllo. Più recentemente risulta in crescita il fenomeno delle cheap whites, ovvero sigarette con brand non riconosciuti ufficialmente realizzate da produttori non classificati e immesse sul mercato a prezzi particolarmente bassi. Lo sviluppo di questa growing risk area risulta, secondo alcune analisi, connesso all’indebolimento sul mercato dei brand regolarmente prodotti che scontano, oltre al differenziale di prezzo, l’impatto delle politiche restrittive sulla comunicazione. Oltre alle tipologie di prodotto anche il modus operandi delle organizzazioni dedite al contrabbando è in continua evoluzione come dimostra la rapida modificazione delle quantità sequestrate secondo le diverse modalità di ingresso. In conclusione le istituzioni fiscali e doganali del Regno Unito sottolineano la cruciale questione dell’impatto negativo rispetto agli obiettivi sociosanitari della diffusione e del consolidamento dei canali distributivi illegali: “Despite the significant success of Hmrc and the Ukba in reducing smuggling, the availability of cheap, illicit tobacco in communities undermines the effectiveness of this policy and the Department of Health’s efforts to reduce smoking prevalence, especially among young people and those in routine and manual workers groups. Illicit tobacco products are available in our communities at less than half the price of their duty paid equivalent.” 43 Fig. UK1 – Andamento Mppc nel Regno Unito, 1985-2010 1 ./ + %" . / %" %!! %!!" , % ( !33(3-+ ( !3-1 3-1 (3-( !3-0 3-0 (30 ( !30 30 (30, ( !30/ 30/ (30. ( !30 30 (30+ ( !301 301 (30( !300 300 (3 ( !3 3 (3 , ( !3 / 3 / (3 . ( !3 3 (3 + ( !3 1 3 1 (3 ( !3 0 3 0 (3 %!! Fonte: elaborazione Censis su fonti varie Fig. IRL2 - Quantità di sigarette legalmente distribuite: confronto Regno Unito Ue15, 2002-2010 (numeri indice: 2002=100) , 0 $% % 1 # + . , , , / , . , , '0 + , 1 , - , 0 , &'% Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud 44 Fig. UK3 - Quota fumatori dichiarati sulla popolazione nel Regno Unito . . / ! / ! ! " " + , , ; ! " & : : " "6 ( )7 "6 ; ! & : : "6 Fonte: elaborazione Censis su fonti varie Fig. UK.4 - Quota gettito da accise sul tabacco sul totale introiti fiscali: confronto Regno Unito-Italia, 1995-2008 : /) * ,) * ,) * ) * ) * ) * ) * 00 00+ 001 00- 000 , <! , $ = !($" , , , / , . , , + , 1 , - Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud 45 3.5. Il caso tedesco Attualmente il prezzo delle sigarette in Germania si colloca nella fascia medio-alta dei Paesi dell’Europa continentale; l’Mppc per 1.000 sigarette è pari a 247,37 euro e il Wap (prezzo medio ponderato) a 229,80. Valori simili a quelli osservabili in Belgio, Olanda e Danimarca ma decisamente superiori a quelli dei Paesi (Polonia e Repubblica Ceca in primo luogo) posti ai confini orientali. Anche la Germania è stata protagonista di una stagione di crescita dei prezzi nella prima parte del decennio, seppure in forme meno accentuate e concentrate di quanto avvenuto in Francia. La fase cruciale degli aumenti si colloca nel biennio 2004-2005 quando l’Mppc (espresso per comodità di confronto in riferimento ad un pacchetto da 20 sigarette) è passato dai 3,37 euro del gennaio 2004 ai 4,47 del settembre 2005 (fig. GER1). Questi incrementi hanno determinato un’accentuazione della tendenza, già presente, alla riduzione della distribuzione legale, che ha portato il numero di sigarette legalmente distribuite a crollare dai 132,6 miliardi di unità del 2003 ai 95,8 del 2005. Negli anni successivi, contrariamente a quanto avvenuto in Francia, il calo è proseguito portando la distribuzione legale a scendere sotto gli 84 miliardi di unità nel 2010 (fig. GER2). I consumi effettivi, indicativamente misurati dalla quota di fumatori sulla popolazione con almeno quindici anni rilevata nell’indagine Microcensus dell’Ufficio Statistico Federale, hanno seguito un andamento assai meno eclatante. La quota risulta infatti diminuita tra il 1999 ed il 2003 (dal 28,3% al 27,4%), stabile fino al 2005 (27,2%), nuovamente in riduzione nel 2009 (25,7%) (fig. GER3). Anche in questo caso, dunque, si riscontra una discrasia tra andamento della distribuzione legale e consumi dichiarati. Il crollo della prima tra il 2003 e il 2005 è facilmente collegabile all’effetto che l’incremento dei prezzi può aver avuto sugli acquisti transfrontalieri (lo testimoniano indirettamente gli andamenti delle vendite in Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) e sul contrabbando. Questo ultimo si era insediato in Germania già negli anni ’90 (gli street vendors vietnamiti) ma ha subito una rilevante evoluzione nell’ultimo decennio. Secondo le stime, prudenziali, contenute nel già citato studio redatto dalla Kpmg per la Dg Taxud del 2005, la quota di commercio non tassato era 46 passata dal 7% del 2002 al 14% del 2004, quando la Germania da luogo di transito è diventata anche luogo di destinazione dei prodotti di contrabbando. Nel periodo “critico” la combinazione tra incremento della tassazione unitaria e riduzione delle quantità aveva prodotto una sostanziale stabilizzazione del gettito fiscale da accise sia in termini di valore nominale (dai 13,8 miliardi di euro del 2002 ai 14,4 del 2005) sia in termini di quota sull’insieme delle entrate pubbliche (dall’1,62% del 2002 all’1,64% del 2005) (fig. GER 4). Il consolidamento dei traffici illegali ha, tuttavia, fatto sentire i suoi effetti negli anni successivi quando, pur in presenza di aumenti di prezzo più contenuti, le vendite legali hanno continuato a diminuire provocando la contrazione del gettito (sceso nel 2008 a 13,5 miliardi di euro corrispondenti a meno dell’1,4% delle entrate). Studi recenti, effettuati dall’associazione delle industrie del tabacco tedesche collocano la quantità di sigarette non tassate consumate in Germania nel 2010 oltre i 22 miliardi di unità; un ammontare pari a circa un quinto dei consumi complessivi, che raggiunge quote di oltre il 40% nelle regioni orientali, determinando una perdita di entrate per il fisco vicina ai 4 miliardi di euro. Fig. GER1- Andamento Mppc in Germania (*), 2001-2010 +) > & "!& "! ''" ? " ! & !" $ ! @ "$ , ( ) ) .) " .) /) " /) ,) ,) Fonte: elaborazione Censis su fonti varie 47 Fig. GER2 - Quantità di sigarette legalmente distribuite: confronto Germania-Ue15, 2002-2010 (numeri indici: 2002=100) $% , 0 % - " + " # 1 . , , , / , . , , &'% + , 1 , - , 0 , .&) Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud Fig. GER3 - Quota fumatori dichiarati sulla popolazione in Germania . / / " " " , + , 00- 000 , , A " ! ( $ 5 4 , , "6 , / 7 , . , , + $ , 1 , - , 0 , 4 " " "6 )7 Fonte: elaborazione Censis su fonti varie 48 Fig. GER.4 Quota gettito da accise sul tabacco sul totale introiti fiscali confronto Germania/Italia 2000-2008 ,) * ) * ) * ) * ) * , , , , , / , . , , + , 1 , - ; Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud 3.6. Il caso spagnolo Fino al 2008 la Spagna è stata caratterizzata da un basso livello dei prezzi al consumo con un andamento temporale caratterizzato da moderati incrementi. Solo nell’ultimo periodo si è determinato un consistente incremento che ha portato l’Mppc (e il prezzo medio) ad avvicinarsi, pur rimanendo inferiore, ai livelli prevalenti negli altri Paesi dell’area Ue15 (Fig. SPA1). I ridotti livelli dei prezzi al consumo hanno fatto si che la Spagna, già di per sé importante meta turistica, fosse luogo di acquisti transfrontalieri in particolare da parte di consumatori britannici e francesi. I livelli della distribuzione legale, cresciuti grazie al contrasto al contrabbando negli anni ’90, sono quindi rimasti estremamente elevati fino al 2008 (quasi 83 49 miliardi di unità, corrispondenti a 2.335 pro annue per abitante over 15) per poi scendere in modo consistente negli ultimi due anni (Fig. SPA2). Nonostante la relativa stabilità dei prezzi, la quota dei fumatori, pur rimanendo abbastanza elevata, è scesa notevolmente nella prima parte del decennio dal 34,5% del 2001 al 29,5% nel 2007 (Fig. SPA3). I dati più recenti non sembrano, per ora, evidenziare cadute dei consumi effettivi conseguenti all’incremento dei prezzi i cui effetti sul commercio legale possono, tuttavia, essere interpretati come conseguenza della caduta degli acquisti da parte dei non residenti. La combinazione tra incremento della tassazione unitaria e riduzione delle quantità distribuite non ha, d’altra parte, provocato fino ad ora effetti negativi sul gettito da accise (che rappresenta una quota di circa il 2% delle entrate pubbliche, fig. SPA4) che è passato dai 7,5 miliardi di euro del 2005 agli 8,0 miliardi del 2010. La Spagna viene spesso citata come esempio positivo per i risultati raggiunti nella lotta al contrabbando negli anni ’90. I livelli dei prezzi inferiori a quelli dei Paesi europei limitrofi costituiscono un indubbio vantaggio sul fronte degli acquisti transfrontalieri (escluso il caso di Gibilterra). Qualche preoccupazione più consistente è presente nei riguardi del contrabbando come indicano alcune rilevanti operazioni effettuate nel 2010 che hanno portato alla confisca di notevoli quantità di prodotti contraffatti di provenienza asiatica. Fig. SPA1- Andamento Mppc in Spagna, 2001-2010 .) /) " % /) ,) ,) ) ) ) ) Fonte: elaborazione Censis su fonti varie 50 Fig. SPA2 - Quantità di sigarette legalmente distribuite: confronto Spagna-Ue15, 2002-2010 (numeri indici: 2000=100) $% , % %! 0 %" - "! ! # 1 " + . , , , / , . , , + , 1 * 1 , - , 0 , &'% Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud Fig. SPA3 - Quota fumatori dichiarati sulla popolazione in Spagna . . / ! / + , , 00- 000 , " $ , , ,, & " ) + !! 5 4 /, " . , , +, $ 1, - , 0 , 4 " " "6 )7 Fonte: elaborazione Censis su fonti varie 51 Fig. SPA. 4 - Quota gettito da accise sul tabacco sul totale introiti fiscali – confronto Spagna/Italia 2000-2008 ,) * ,) * ) * ) * ) * ) * , , , , , / , . , , + , 1 , - # Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud 52 4. IL RUOLO DEI MERCATI ILLEGALI 4.1. Il “circolo vizioso” degli strappi fiscali In diversi casi nazionali esaminati si sono riscontrati dei processi caratterizzati da dinamiche sostanzialmente simili che configurano una sorta di “circolo vizioso” in cui rischiano di immettersi politiche pubbliche di contrasto al fumo basate su interventi fiscali di tipo radicale. Quando le autorità pubbliche decidono un incremento molto rilevante (o più incrementi ravvicinati) della tassazione con finalità socio-sanitarie e fiscali ciò si traduce, pressoché automaticamente data l’elevata incidenza delle tasse, in un sensibile aumento dei prezzi. Sul versante della domanda l’incremento sensibile dei prezzi determina un ventaglio diversificato di reazioni da parte dei consumatori: - una parte reagisce riducendo i consumi o rendendo effettiva l’intenzione di smettere di fumare; - un’altra parte si orienta verso la ricerca di alternative più economiche sia rimanendo all’interno del mercato ufficiale (brand dal costo inferiore, prodotti sostitutivi come l’hand rolling tobacco), sia oltrepassandone la frontiera geografica (acquisti legali in altri Paesi con prezzi minori) o psicologica (passaggio al mercato illegale). Queste scelte sono rafforzate dal fatto che un aumento giudicato eccessivo dei prezzi è visto dal consumatore come un “tradimento” che rompe il rapporto di fedeltà con il prodotto e con il canale distributivo (e il rapporto di lealtà con l’amministrazione pubblica). La diffusione dei comportamenti del secondo tipo (acquisti all’estero e sul mercato nero) determina una discrasia tra l’andamento della distribuzione legale (che si riduce fortemente) e l’andamento dei consumi effettivi (che si riducono assai di meno). Rispetto agli obiettivi perseguiti dalle politiche pubbliche la divaricazione tra distribuzione legale e consumi effettivi determina: 53 - effetti critici sugli introiti fiscali, con diminuzione (o minore incremento) del gettito, la cui incidenza sul totale delle entrate fiscali diminuisce generando problemi tanto più elevati quanto più è rilevante il ruolo degli introiti da tabacco sugli equilibri di finanza pubblica; - risultati sul versante socio-sanitario (riduzione del numero di fumatori e delle quantità consumate effettive) che non appaiono significativamente più consistenti di quelli ottenibili attraverso un più equilibrato mix di politiche fiscali e dissuasive. Le scelte “alternative” dei consumatori vengono favorite dal rafforzamento dell’offerta irregolare. L’incremento sensibile dei prezzi modifica, infatti, le condizioni di opportunità per gli operatori illegali, aumentando sia la dimensione (per l’incremento della domanda) sia la redditività (possono essere portati a livelli più elevati anche i prezzi dei prodotti illegali) del mercato clandestino. Questa improvvisa modifica delle condizioni motiva l’“investimento” necessario per la creazione (o il rafforzamento) delle reti logistiche e distributive del commercio illegale. In un certo senso lo scenario può essere assimilato a quello di un mercato oligopolistico con barriere all’entrata, dove solo un consistente incremento dei prezzi da parte degli operatori esistenti può determinare le condizioni per l’ingresso di nuovi concorrenti. Gli operatori illegali dispongono, d’altra parte, di diverse fonti di approvvigionamento “primarie” che possono essere attivate con relativa facilità e rapidità: - distributori senza scrupoli, operanti ufficialmente in mercati a bassa tassazione, che possono acquistare legalmente dai produttori per poi trasferire sul mercato illegale di importazione nei Paesi ad alta tassazione (mercato nero di brand ufficiali autentici); - produttori border line operanti in aree marginali che destinano all’esportazione verso i Paesi ad alta tassazione brand in essi ufficialmente non presenti (mercato nero delle cheap white); - filiere interamente illegali che producono e distribuiscono merci contraffate (mercato nero di brand ufficiali non autentici). L’incontro tra la maggiore propensione della domanda e la maggiore disponibilità dell’offerta genera il consolidamento del mercato illegale, determinando modifiche stabili nel comportamento dei consumatori, 54 strutturazione dei canali di vendita irregolari e rendendo più difficili le azioni di contrasto. L’ampliamento del mercato illegale comporta, infatti, da una parte la moltiplicazione dei suoi “operatori al dettaglio” (e quindi rende più difficilmente perseguibile la distribuzione finale) dall’altra aumenta i profitti fornendo alle organizzazioni criminali che gestiscono i traffici i mezzi per approntare strategie flessibili di risposta alle azioni di contrasto delle autorità pubbliche (variando le fonti di approvvigionamento e le modalità di immissione nel territorio di destinazione). La presenza di un canale illegale consolidato produce a sua volta effetti di indebolimento delle politiche pubbliche successive finalizzate alla riduzione dei consumi: - aumenti di prezzo, anche marginali, possono tradursi più facilmente in ulteriori spostamenti verso il mercato nero invece che in riduzioni progressive dei consumi; - i divieti di vendita ai minori risultano, ovviamente, del tutto inefficaci sul mercato irregolare (al contrario il target giovanile è uno di quelli, psicologicamente e operativamente, più facilmente avvicinabili dalla distribuzione illegale); - gli interventi sul packaging e sulla qualità dei prodotti colpiscono esclusivamente la filiera legale rafforzando l’attrattività dei prodotti illegali; - le limitazioni alla comunicazione dei marchi, anche all’interno dei punti vendita, indeboliscono il posizionamento competitivo dei prodotti regolari. L’analisi del circolo vizioso sopra presentata non implica che lo strumento dell’incremento della pressione fiscale (e quindi dei prezzi) non possa essere utilizzato per ottenere la riduzione dei consumi effettivi. Il punto critico del processo descritto, l’innesco del circolo vizioso, sembra risiedere, infatti, più nella rapidità dell’aumento che nella sua ampiezza. Lo stesso incremento dei prezzi, realizzato attraverso una strategia di aumenti graduali e diluiti nel tempo, non necessariamente produce gli stessi effetti. Sono diverse, infatti, le reazioni dei consumatori e, di conseguenza, quelle degli operatori illegali. Il consumatore di tabacco dei Paesi ad alto reddito ha acquisito l’aspettativa di una graduale crescita del prezzo reale del prodotto, in qualche modo l’ha 55 anche accettata, interiorizzando la convinzione dell’esistenza di un “costo sociale” di questo tipo di consumo. Lievi aumenti del prezzo, ancorché periodicamente ripetuti, non determinano di conseguenza eccessive rotture né nel legame di fedeltà con il prodotto né del legame di lealtà con l’amministrazione pubblica e il canale distributivo ufficiale che in questo caso la rappresenta. Un progressivo incremento della connessi all’utilizzo di prodotti promossa anche dalle autorità direttamente interessati) rafforza incrementi di prezzo contenuti ed risolvere il più stringente vincolo quantità consumate invece che approvvigionamento alternativi. consapevolezza sui rischi aggiuntivi non ufficiali (che andrebbe peraltro pubbliche oltre che dai produttori tale legame, rende più tollerabili orienta maggiormente i consumatori a di budget mediante la riduzione delle attraverso il ricorso a canali di Il disincentivo all’ingresso di nuovi consumatori (in particolare giovani) dipende, d’altra parte, dal livello del prezzo e dalle aspettative di variazione di lungo periodo e non dalle variazioni immediate. Questo minore stimolo al riorientamento della domanda rende a sua volta meno favorevole il quadro di opportunità per gli operatori illegali che devono decidere se investire per entrare nel mercato. Benché l’approvvigionamento illegale dalle fonti primarie sia purtroppo, come già osservato, relativamente semplice, la costruzione di un sistema logistico di immissione in un nuovo Paese di destinazione e l’articolazione di una rete capillare di vendita illegale sono, invece, processi costosi (e rischiosi) che presumibilmente vengono effettuati in modo massiccio solo in presenza di ragionevoli aspettative di guadagno consistente e immediato. È l’esistenza di questi elevati “costi di avviamento” a diversificare le reazioni degli operatori illegali e, di conseguenza, l’impatto di politiche (fiscali e dissuasive) di contrasto del fumo in funzione della preesistenza o meno di un diffuso commercio illegale. Dove il mercato nero già esiste anche modesti aumenti di prezzo (o altre forme equilibrate di disincentivo del consumo ufficiale) possono rafforzarlo, dove non esiste è difficile che lo creino e dunque risultano alla fine molto più produttive sia sul versante socio-sanitario che su quello fiscale. La questione non è dunque che non debba essere alzata l’asticella del prezzo da superare per accedere al consumo, ma che non vada alzata così tanto – e così rapidamente – da rendere troppo facile l’alternativa di “passarci sotto”. 56 4.2. Le evoluzioni dei mercati illegali Lo schema di interpretazione dell’impatto degli incrementi della tassazione presentato nel paragrafo precedente si colloca nel quadro dei tentativi, proposti in diversi studi, di superare una schematizzazione degli approcci alla questione della tassazione che vede la contrapposizione di due posizioni rigide: - per gli assertori dell’inasprimento delle politiche fiscali, il più elevato prezzo dei prodotti da tabacco è un forte deterrente del consumo (il che è ovviamente vero) e non è un incentivo significativo al contrabbando (il che è un po’ meno incontestabile); - per i detrattori degli inasprimenti fiscali, al contrario, il maggiore carico di tasse sui prezzi al consumo determina la crescita dei traffici illegali (il che è probabilmente vero) e perciò non produce riduzioni del consumo effettivo (e questa è una generalizzazione un po’ meno facilmente sostenibile). Il rapporto Global Epidemic del Who del 2008 contiene un paragrafo intitolato “Higer taxes do not increase smuggling” nel quale si afferma (con un po’ più di prudenza rispetto al titolo) che “contrary to tobacco industry claims, increased smuggling do not automatically follow tax increases”. In generale gli assertori di questa tesi la sostengono con l’affermazione che l’ampiezza del contrabbando è determinata dall’efficienza delle politiche di contrasto e che la principale tra di esse (la “tracciabilità” dei prodotti ed il controllo della catena distributiva) chiama in causa in primo luogo le competenze delle industrie produttrici, responsabili di una gestione “disinvolta” che favorisce l’alimentazione dei canali illegali di distribuzione dei prodotti ufficiali. Se le politiche di contrasto sono efficaci e se i produttori non alimentano le “zone grigie” della distribuzione il contrabbando non può affermarsi. La prima parte di questa tesi contiene certamente una larga quota di verità. È evidente che tanto più efficaci sono le politiche nazionali e internazionali di contrasto ai traffici illeciti tanto più elevati sono per le organizzazioni criminali i costi e i rischi del contrabbando. Ma come tutte le attività economiche anche quelle criminali comparano costi e rischi ai benefici, e se le azioni di contrasto devono necessariamente essere centrate sull’innalzamento dei primi, le politiche generali devono tener conto degli 57 impatti sui secondi. Se i potenziali benefici economici crescono, cresce anche la disponibilità a farsi carico di costi e rischi maggiori. La seconda parte dell’argomentazione appare piuttosto datata, almeno per quanto concerne l’area dell’Unione europea. Le maggiori imprese produttrici sembrano ormai aver raggiunto la consapevolezza della necessità di cooperare attivamente con le amministrazioni pubbliche nella lotta ai traffici illeciti. Gli effetti di questa cooperazione appaiono evidenti nei radicali cambiamenti di peso delle diverse tipologie di prodotti nel mercato irregolare. Secondo i dati forniti dall’Hmr&C britannico nel recente Tackling Tobacco Smuggling-building on our success, pubblicato nell’aprile 2011, la quota di brand ufficiali nei sequestri effettuati è scesa dal 31% al 2004/2005 al 6% del 2009/2010 mentre quella dei brand non ufficiali è salita dal 20% al 48% (la quota dei prodotti contraffatti è rimasta stabile al 48%). Ad analoghe conclusioni giunge il working paper elaborato dalla Commission Anti-fraud Strategy dell’Ue e dedicato alla definizione dell’Action plan to fighy against smuggling of cigarettes and alcohol along the Eu Eastern border nel quale si afferma che: “In the early 2000s, the problem of smuggling at the Eastern border of the Eu related largely to the smuggling of genuine product. Today the situation is somewhat different. The majority of cigarettes entering the Eu illegally via the Eastern border are either cheap whites or counterfeit”. Anche il recente rapporto dell’Europol (Octa 2011), dopo aver sottolineato come “Organised crime groups based in the Eu area are increasingly active in cigarette smuggling, seen as an actrative alternative to drug trafficking because of its lower penalties and large profits”, articola l’analisi distinguendo i flussi provenienti dall’est europeo (cheap white) da quelli originato in Cina (prodotti contraffatti) e segnalando il rischio emergente dello sviluppo di manifatture illegali all’interno dell’Ue (in particolare in Polonia e negli stati baltici) che potrebbero svilupparsi in virtù della maggiore difficoltà di identificare l’importazione illegale di tabacco grezzo rispetto ai prodotti finiti. D’altra parte anche la tesi secondo la quale ogni forma di inasprimento fiscale e crescita dei prezzi si traduce esclusivamente in aumento del mercato nero e sia perciò totalmente priva di efficacia sui consumi, appare altrettanto forzata. Lo studio, molto equilibrato, elaborato dall’Inpes sull’andamento dei consumi in Francia nel periodo 2000-2005 58 (caratterizzato dal forte incremento dei prezzi) distingue utilmente tra rilevanti effetti dissuasivi all’ingresso nel mercato e più controversi effetti di incentivo all’uscita, sottolineando come l’incremento dei prezzi costituisca una “bonne source de motivation pour l’arrêt” tra coloro che hanno già maturato l’intenzione di smettere. Come si è cercato di sintetizzare nel paragrafo precedente, non tutti i consumatori reagiscono nello stesso modo e non tutti gli aumenti sono percepiti nello stesso modo. In sintesi, nella partita tra mercato legale e illegale come in ogni “gioco oligopolistico” non contano solo i “livelli” dei prezzi ma anche come e quando questi vengono variati. Non è un caso che nel documentato studio dell’International Tax and Investment Center (già citato con riferimento al caso irlandese) si definiscono “sharp” gli incrementi delle accise che portando ad un repentino declino dell’accessibilità dei prodotti ufficiali tendono ad essere tra le principali cause della emergenza dei commerci illeciti. Similmente il rapporto Kpmg per l’Ue del 2005 rilevava come gli acquisti transfrontalieri “skyrocket” dove le autorità procedevano “drastically” all’incremento del carico fiscale. Nel contesto dell’Ue, inoltre, non si può prescindere dalla considerazione degli effetti incrociati delle variazioni dei prezzi tra Paesi limitrofi, vista la legittimità degli acquisti transfrontalieri per uso personale e la difficoltà di contenere le microattività di acquisto e rivendita. Lo scenario attuale vede i 27 Paesi dell’Unione divisi sostanzialmente in quattro grandi fasce. La prima comprende i nuovi membri dell’area orientale dove il prezzo medio (per pacchetto da 20) oscilla tra i 2,16 euro della Lituania e i 2,70 della Repubblica Ceca; è l’area di alimentazione degli acquisti transfrontalieri verso i Paesi della fascia centrale (Germania in primo luogo) che è tuttavia, a sua volta, sottoposta alla “concorrenza” delle aree extra Ue. Della seconda, dove il prezzo medio varia tra i 3,13 euro della Grecia e i 3,79 dell’Austria, fanno parte i Paesi mediterranei (esclusa l’Italia) cui si aggiungono la citata Austria e il Lussemburgo; Nella terza fascia rientrano l’Italia (4,10 euro di prezzo medio) e può essere estesa, comprendendo tutti i Paesi dell’Europa continentale (esclusa la Francia), fino alla Svezia dove il prezzo medio raggiunge i 4,97 euro; Oltre la soglia dei cinque euro si collocano Francia (5,40) Regno Unito (prezzo medio corrispondente a 6,27 euro) e Irlanda (8,47). 59 Questa ampia articolazione dei prezzi, oltre a riflettere differenze nei redditi e dei poteri di acquisto esprime scelte di politica fiscale che possono essere più o meno fortemente condizionate dagli effetti di interferenza sia interni che esterni (oltre le frontiere orientali dell’Ue i prezzi sono ancora più bassi e si concentrano le produzioni destinate alle esportazioni illegali). La strada della progressiva armonizzazione, attraverso l’innalzamento dei livelli minimi di tassazione, rilanciata dall’Ue con la direttiva del 2010, è tarata sul medio periodo e non può non essere affiancata da un’azione di rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne e di coordinamento delle politiche di contrasto. La diffusione del contrabbando e della contraffazione, d’altra parte, rappresenta un pericolo non solo dal punto di vista degli equilibri fiscali. Il citato documento della Commission Anti-fraud Strategy fa rilevare come: “The negative impact of the illicit trade in cigarettes is mainfold. From an economic point of view it results in significant revenue losses and harms legitimate business interests at both manufacturing and retail level. It is also leading to sales and consumption of tobacco not complying with the EU tobacco control legislation. From a health point of view it may result in the rise in consumption of tobacco products and decrease public health protection, especially involving vulnerable group such as young people”. Ma la pervasività del commercio illegale rappresenta anche uno strumento di diffusione dell’influenza del crimine organizzato e al tempo stesso di comportamenti illeciti diffusi, una sorta di “assuefazione all’illegalità” che rappresenta, per certi versi, una minaccia sociale più insidiosa degli stessi comportamenti criminali. 60 5. LE OPINIONI DEGLI ITALIANI SULLE IPOTESI DI INASPRIMENTO DELLA REGOLAZIONE 5.1. L’indagine sulla popolazione In questa sezione sono riportati i risultati della survey realizzata per conto del Censis dalla società Gn-Research su un campione rappresentativo di 1.000 residenti in Italia. Il campione è stato stratificato per sesso, classe d’età, residenza e abitudine al fumo (assumendo come base la distribuzione rilevata dall’Istat nell’indagine multiscopo “Aspetti della vita quotidiana”). Il questionario aveva l’obiettivo di raccogliere le opinioni di italiani sul fumo e sui possibili interventi di dissuasione/limitazione. Nel complesso l’indagine ha restituito l’immagine di un’opinione pubblica articolata ma che nei confronti della “questione fumo” ha prevalentemente un atteggiamento equilibrato: per un verso fortemente consapevole dei fattori di rischio per l’altro prudente verso iniziative di contrasto eccessivamente radicali che le appaiono inutili se non controproducenti. È importante osservare che l’articolazione delle opinioni non riflette meccanicamente la divisione tra fumatori e non fumatori (anche se, ovviamente questo fattore incide) il che indica la possibilità di evitare contrapposizioni pregiudiziali e improduttive. 5.2. Fumo passivo e restrizioni L’Italia è stata tra i primi Paesi europei ad adottare normative di limitazione del fumo in luoghi pubblici chiusi (uffici, ristoranti, etc.) con la c.d. “legge Sirchia” approvata nel 2003 e resa operativa nel 2005 con l’obiettivo di ridurre l’esposizione al fumo passivo. 61 L’opinione pubblica italiana mostra di condividere le preoccupazioni che stanno all’origine dell’intervento normativo: quasi il 60% degli intervistati considera infatti “molto gravi” i “rischi per la salute collettiva” connessi all’esposizione al fumo passivo (e un altro 31% li giudica “abbastanza gravi”) (fig. 5.1). Lo scarto nella distribuzione delle risposte tra fumatori e non fumatori è presente ma non così ampio come si sarebbe potuto immaginare. È vero che la quota di coloro che giudicano molto gravi i rischi scende tra i fumatori al 44%, ma questa riduzione è in parte compensata dalla forte incidenza di coloro che li giudicano abbastanza gravi; la quota dei fumatori “insensibili” risulta nel complesso non superiore al 15% (tab. 5.1). Gli italiani, tuttavia, considerano altrettanto rilevanti i rischi derivanti dall’utilizzo di sostanze nocive nelle produzioni alimentari (il 59% li giudica “molto gravi”) e ancora più consistenti quelli connessi all’inquinamento provocato da auto e altri veicoli (dove la quota di chi li giudica “molto gravi” sale al 64%). Inferiori, ma comunque elevate, sono le percentuali di intervistati che attribuiscono la qualifica di molto gravi ai rischi per la salute collettiva derivanti dall’inquinamento elettromagnetico (40%) e dalla presenza di impianti industriali (37%). I dati confermano una generalizzata attitudine di grande attenzione nei confronti del benessere fisico e di diffusa preoccupazione rispetto alle possibili minacce alle salute che emerge frequentemente nelle indagini sulla opinione pubblica italiana. Da tale orientamento non deriva però una spinta all’ampliamento delle restrizioni oggi previste. Una consistente maggioranza degli intervistati giudica infatti sufficienti le attuali limitazioni al fumo in aree pubbliche chiuse: il 36% le considera “sostanzialmente giuste e da mantenere nelle forme attuali”, il 16% ritiene che andrebbero accompagnate dalla “creazione di spazi areati per fumatori” ed il 6% le giudica addirittura “eccessive”. Del rimanente 42% la gran parte (28%) le considera sostanzialmente giuste ma condivide l’idea di estensioni “mirate” (parchi per bambini, aree limitrofe alle scuole) mentre solo il 14% ne vorrebbe un ampliamento diffuso e generalizzato (fig. 5.2). In questo caso, com’è ovvio, le articolazioni in ragione delle abitudini di consumo sono marcate: la quota dei sostenitori di un’estensione generalizzata passa dal 20% tra i non fumatori al 12% tra gli ex fumatori per precipitare al 4% tra i fumatori, d’altra parte la richiesta di accompagnare le limitazioni con la creazione di spazi dedicati sfiora il 22% tra i fumatori contro il 14% registrato nelle altre categorie (tab. 5.2). 62 Il risultato ottenuto appare in prima lettura discordante con quelli rilevati da altre indagini (ad esempio quella commissionata dall’Istituto Superiore di Sanità) secondo la quale circa il 28% degli italiani è molto favorevole alla estensione del divieto di fumare in “giardini e parchi pubblici” e un ulteriore 29% è “abbastanza favorevole”. L’apparente discordanza può essere in parte ricondotta alla diversa formulazione della domanda, delle possibilità di risposta e delle modalità di somministrazione. La formulazione utilizzata in questa sede non è quella della richiesta di un giudizio su una proposta positivamente enunciata ma quella della valutazione, neutra, sulla situazione esistente. Il fatto che la spinta autonoma a estensioni delle aree di limitazione sia minoritaria non esclude, cioè, che vi possa essere un consenso maggioritario rispetto ad interventi di estensione mirata. Fig. 5.1 - "Quanto giudica gravi oggi in Italia i rischi per la salute collettiva connessi ai seguenti fattori?" " ! !$ !2 ! !" " 8 " !' !" ! (! " "$ ' !2 ! ! " " ! ! !" ! " , *$ ! @ / . + 1 "!$ B " "B Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 63 Tab. 5.1 - Distribuzione delle valutazioni sulla gravità dei rischi dell'esposizione al fumo passivo in base alle abitudini di consumo (valori %) Giudizio sui rischi Fumatori Molto gravi Abbastanza gravi Poco gravi Per nulla gravi Totale 43,6 42,3 13,3 0,8 100,0 Abitudini di consumo Ex fumatori Non fumatori 60,2 29,0 8,7 2,1 100,0 Totale 66,4 27,4 4,8 1,4 100,0 59,4 31,4 7,8 1,4 100,0 Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 Fig. 5.2 - "Secondo lei le restrizioni al fumo attualmente previste per i luoghi chiusi (uffici, ristoranti, etc.) ..." (distribuzione % delle risposte) 1 1 % . 2 . % . 2 Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 64 Tab. 5.2 - Distribuzione delle opinioni sulle restrizioni al fumo attualmente previste per i luoghi chiusi (valori %) Giudizio Fumatori Sono troppo deboli e andrebbero estese diffusamente ad altre aree anche all’aperto Sono sostanzialmente giuste ma dovrebbero essere estese ad altre aree particolari (es. parchi per bambini, aree esterne delle scuole) Sono sostanzialmente giuste e vanno mantenute nelle forme attuali Sono sostanzialmente giuste ma andrebbero accompagnate con la creazione di spazi areati per fumatori Sono eccessive e andrebbero riviste Totale Abitudini di consumo Non Ex fumatori fumatori Totale 3,7 12,0 20,3 14,3 26,6 31,5 26,3 27,6 41,5 35,7 33,2 35,8 21,6 14,1 14,7 16,2 6,6 100,0 6,6 100,0 5,6 100,0 6,1 100,0 Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 5.3. La tutela dei minori Contrastare la diffusione del fumo tra i minori è una priorità unanimemente condivisa, anche da chi sostiene il principio della “scelta responsabile”. Chiamati a esprimersi sugli strumenti più efficaci per condurre questa battaglia gli italiani concentrano le loro preferenze sul controllo dei canali di approvvigionamento, cioè sulla “repressione del commercio illegale” (giudicata molto efficace dal 54% degli intervistati) e su “maggiori controlli e sanzioni per i rivenditori che non verificano l’età” (molto efficace per il 51%). La grande maggioranza degli intervistati è favorevole all’innalzamento dell’età minima a 18 anni (poco meno del 50% la giudica una misura molto efficace ed un altro 28% la considera abbastanza efficace). Tra tutte le misure proposte il divieto di esposizione dei prodotti all’interno delle tabaccherie è quella che raccoglie i minori consensi essendo considerata “molto efficace” da meno del 30% degli intervistati (Fig. 5.3). La distribuzione delle risposte per classe di età degli intervistati evidenzia una minore fiducia negli interventi dissuasivi proprio da parte dei più 65 giovani. Solo le azioni di repressione del commercio illegale e d’intensificazione dei controlli presso i rivenditori raccolgono nella fascia d’età 18-29 anni una quota di valutazioni di elevata efficacia vicina a quella raggiunta nella totalità del campione (52% e 46% rispettivamente); le altre modalità d’intervento sono giudicate “molto efficaci” da una quota di intervistati più giovani inferiore del 10%-15% rispetto al resto del campione, in particolare solo un intervistato su cinque nella classe under30 attribuisce effetti rilevanti al divieto di esposizione dei prodotti nei punti vendita (tab. 5.3). Fig. 5.3 - "Come giudica l’efficacia dei seguenti interventi per ridurre il consumo di tabacco tra i minori?" ! ! "! $ " " % ( A (( " #" D % ! ! ! #" C D "! " !$ " D 2 " (! $ " $ " ' "! $ - !! ! " "$" ! ' "! " " ! ! ! , *$ ! @ / . + 1 "!$ B " "B Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 66 Tab. 5.3 - Distribuzione delle valutazioni sull'efficacia degli interventi per ridurre il consumo di tabacco tra i minori in base all'età degli intervistatati (frequenza % del giudizio "molto efficace") Interventi 18-29 anni Vietare l’esposizione dei prodotti nelle tabaccherie Proibire i distributori automatici 30-44 anni Classe di età 45-64 Over 65 anni Totale 20,3 26,4 31,7 36,3 29,6 30,7 42,1 47,8 53,1 44,9 37,9 42,1 49,4 55,9 47,2 38,6 49,3 51,6 53,9 49,5 46,4 45,4 50,6 59,2 50,6 52,3 52,9 55,0 55,5 54,1 Investire in campagne di comunicazione Portare l’età minima per l’acquisto a 18 anni Maggiori controlli per i rivenditori Investire nella repressione del commercio illegale Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 5.4. La consapevolezza dei rischi e la libertà di scelta I rischi per la salute personale derivanti del fumo attivo sono giudicati “molto gravi” dai due terzi degli intervistati, un altro 30% li considera “abbastanza gravi”, la quota di coloro che li reputano poco rilevanti è inferiore al 4%. La frequenza delle valutazioni di massima gravità dei rischi da fumo si colloca a metà strada tra le frequenze rilevate nei confronti di comportamenti come l’uso di sostanze stupefacenti e l’abuso di alcol (per i quali le quote di coloro che considerano molto gravi i rischi per la salute si collocano rispettivamente all’87% e all’81%) e quelle, per altro abbastanza elevate, rilevate rispetto a comportamenti più “ordinari” come la “vita sedentaria e assenza di attività fisica” e “l’alimentazione non corretta” (38% e 39% rispettivamente) (Fig. 5.4). Le valutazioni di pericolosità sono sistematicamente meno accentuate presso gli intervistati appartenenti alla classe di età più giovane e questo 67 riguarda anche il consumo di sigarette e altri tabacchi (tab. 5.4); la quota di coloro che ritengono il fumo poco o per nulla pericoloso rimane comunque marginale (8,5%) anche tra gli intervistati di età inferiore ai 30anni. Non si può quindi affermare che non vi sia consapevolezza diffusa dei rischi potenziali. Seppure con proporzioni leggermente inferiori la consapevolezza dei rischi è largamente diffusa anche tra i fumatori, il 94,2% dei quali considera molto o abbastanza grave il rischio derivante dal fumo. Sulla questione del grado effettivo di consapevolezza dei consumatori, tuttavia, l’opinione pubblica risulta divisa sostanzialmente a metà: il 51,3% degli intervistati ritiene che “fumare sia una scelta individuale che ormai i fumatori fanno abbastanza informati delle possibili conseguenze” mentre il 48,7% condivide l’affermazione secondo la quale “i danni del fumo non sono abbastanza considerati e chi fuma rischia molto più di quanto creda” (fig. 5.5). L’opzione che riconosce l’esistenza della consapevolezza individuale è più diffusa tra gli attuali fumatori (dove raccoglie il 57% delle opzioni) ma è tuttavia molto presente anche tra gli “ex” (50% delle risposte) e tra i non fumatori (46,5%). La condivisione della tesi dell’insufficiente informazione è, a sua volta, leggermente più alta nelle classi di età più elevate collocandosi al 51,5% negli over 65enni e al 51% nella fascia 45-65 anni, mentre si attesta al 46% nella fascia 30-45 anni e al 44,5% in quella 18-30. È da osservare, inoltre, che non vi è diretta correlazione tra questa opinione e le valutazioni dei rischi da fumo la distribuzione delle quali è assolutamente simile tra coloro che ritengono i fumatori “abbastanza informati” e coloro che non li ritengono tali (tab. 5.5). Le convinzioni riguardo al grado di consapevolezza non dipendono quindi dalla sottovalutazione o sopravvalutazione del rischio. La spaccatura del campione si ripropone in proporzioni simili nella valutazione delle avvertenze sanitarie oggi presenti sui pacchetti di sigarette: il 45% degli intervistati le giudica “adeguate”, il 10% “eccessive” e il 45% “insufficienti” (fig. 5.6). La distribuzione delle risposte non varia in modo eclatante in base alle abitudini di consumo: la quota di coloro che considerano gli attuali health warning insufficienti oscilla, infatti, in modo relativamente contenuto tra il 48% dei non fumatori e il 40% dei fumatori (e si attesta su un intermedio 45% tra gli ex fumatori). Più pronunciata (ma non automatica) la correlazione con le opinioni sul grado di consapevolezza: il 54% di coloro 68 che giudicano in generale i fumatori non sufficientemente informati ritiene gli avvisi insufficienti mentre la percentuale scende al 38% tra coloro che pensano che il consumo di tabacco sia una scelta consapevole (tab. 5.6). Fig. 5.4 - "Quanto giudica gravi i rischi per la salute personale connessi ai seguenti comportamenti individuali ?" Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 69 Tab. 5.4 - Distribuzione delle valutazioni sulla gravità dei rischi per la salute di alcuni comportamenti in base all'età degli intervistatati (frequenza % del giudizio "molto grave") Comportamenti Uso di droghe e sostanze stupefacenti Abuso di alcol Consumo di sigarette e altri tabacchi Alimentazione non corretta Vita sedentaria e assenza di attività fisica 18-29 anni 30-44 anni 79,7 69,3 52,9 27,5 30,7 87,5 80,7 65,7 43,6 33,2 Classe di età 45-64 Over 65 anni 88,2 87,3 67,4 39,8 34,8 88,2 82,0 73,1 38,8 40,8 Totale 86,7 81,4 66,1 38,7 37,8 Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 Fig. 5.5 - Opinione generale sul grado di consapevolezza (Distribuzione % delle risposte alla domanda "Quale delle seguenti affermazioni condivide maggiormente") , 2 ( 3 2 4 5 " 2 2 2 % Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 70 Tab. 5.5 - Distribuzione delle valutazioni sulla gravità dei rischi del fumo in base alle opinioni sul grado di consapevolezza dei fumatori (valori %) Giudizio sui rischi Fumare è una scelta individuale che ormai i fumatori fanno abbastanza informati delle possibili conseguenze Molto gravi Abbastanza gravi Poco gravi Per nulla gravi Totale 65,3 30,0 3,7 1,0 100,0 Opinioni sulla consapevolezza I danni del fumo non sono abbastanza pubblicizzati e chi fuma rischia molto più di quanto creda 66,9 30,4 1,0 1,6 100,0 Totale 66,1 30,2 2,4 1,3 100,0 Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 Fig. 5.6 - "Secondo lei le avvertenze sui rischi del fumo oggi presenti sui pacchetti di sigarette, sigari e tabacco sono ..." (distribuzione % delle risposte) & % * , 22 Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 71 Tab. 5.6 - Distribuzione delle valutazioni sulle avvertenze sanitarie attualmente presenti sui pacchetti in base alle opinioni sul grado di consapevolezza dei fumatori (valori %) Valutazioni sulle avvertenze Sostanzialmente adeguate per comunicare ai consumatori i possibili danni del fumo Insufficienti e andrebbero sostituite con fotografie e immagini più grandi e più forti Eccessive perché penalizzano i consumatori di tabacco rispetto ad altri prodotti potenzialmente ugualmente dannosi Totale Opinioni sulla consapevolezza Fumare è una scelta I danni del fumo non sono individuale che ormai i abbastanza pubblicizzati e fumatori fanno chi fuma rischia molto più abbastanza informati di quanto creda delle possibili conseguenze Totale 50,7 38,0 44,5 37,6 53,8 45,5 11,7 8,2 10,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 5.5. Le opzioni “strategiche” delle politiche pubbliche Dal punto di vista delle opzioni strategiche generali in base alle quali affrontare la questione dei consumi di prodotti da tabacco il 18% degli intervistati (poco meno di un quinto) sposa una linea “proibizionista” per cui la vendita di prodotti da fumo dovrebbe essere “limitata e progressivamente proibita per tutelare la salute”, quasi la metà degli italiani (46%) è attestata sulla posizione “pragmatica” per cui a fronte dei rischi “è meglio che il commercio sia legale, controllato e tassato” e, infine, più di un terzo (35,3%) sceglie la linea della “autodeterminazione” secondo la quale “un cittadino adulto e informato deve avere la possibilità di scegliere” (fig. 5.7). I comportamenti di consumo svolgono un ruolo importante ma non esclusivo nel determinare l’adesione alle diverse opzioni: la linea proibizionista trova il consenso del 23% dei non fumatori mentre non va oltre il 14% tra gli ex fumatori ed è limitatamente presente anche tra i fumatori (12%). All’opposto l’opzione centrata sul valore dell’autodeterminazione è particolarmente presente tra i fumatori (43%) e gli ex fumatori (40%) ma raccoglie anche il consenso di una quota non 72 irrilevante di non fumatori (30%) (tab. 5.7). L’opzione pragmatica raccoglie invece consensi abbastanza omogenei tra le diverse categorie; è da osservare come si registri una minore consistenza di questa scelta nelle aree meridionali del Paese (dove rimane al di sotto del 40%) rispetto a quelle centro settentrionali (dove si avvicina al 50%). Anche tra il giudizio sul grado di consapevolezza dei consumatori e la scelta della scelta strategica c’è correlazione ma non corrispondenza meccanica. Esiste infatti una quota, seppure minoritaria, di cittadini che pur ritenendo i fumatori consapevoli dei rischi è comunque favorevole a un approccio proibizionista e d’altra parte c’è chi pur considerando insufficiente il livello d’informazione predilige comunque l’opzione fondata sull’autodeterminazione (tab. 5.7.bis). Le valutazioni della opinione pubblica sul tema del fumo e delle relative politiche pubbliche esprimono dunque percorsi complessi non riconducibili esclusivamente a schemi semplificati (“non fumatori-paternalistiproibizionisti” contro “fumatori-autodeterminazionisti-liberalizzatori”) ma a forme di ragionamento articolato che, quando le questioni non sono poste in forma tendenzialmente orientata, conducono a preferenze pragmatiche, guidate più dalla concreta valutazione degli effetti che da orientamenti pregiudiziali. Fig. 5.7 - "Quale di queste affermazioni è più vicina alla sua opinione personale sul commercio legale di prodotti da tabacco" (% sul totale delle risposte) <! " 2 $ !" $ " !&" %$ ( "$" $ 8 " " (" @ "! " " ! 8 ? !$ ( $ "$ ! "" @ " ") " " !" ? ) @ $ !" ( ! !$ ! "" " E "$" $ & " $" "( ! " % Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 73 Tab. 5.7 - Distribuzione delle opinioni "strategiche" in base alle abitudini di consumo (val. %) Opinione condivisa Fumatori Fumare è estremamente pericoloso e perciò la vendita legale di prodotti da fumo dovrebbe essere limitata e progressivamente proibita per tutelare la salute Fumare comporta rischi per la salute ma è megli che il commercio sia legale, controllato e tassat altrimenti si rischia di alimentare il merca clandestino Un cittadino adulto e informato deve avere la possibilità di scegliere liberamente se acquistare prodotti da tabacco o meno Totale Abitudini di consumo Non Ex fumatori fumatori Totale 12,0 14,1 23,4 18,4 45,2 46,1 46,9 46,3 42,7 39,8 29,7 35,3 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 Tab. 5.7.bis – Distribuzione degli intervistati in base alle risposte alle domande sulla consapevolezza e sulla strategia Fumare è estremamente pericoloso e perciò la vendita legale di prodotti da fumo dovrebbe essere limitata e progressivamente proibita per tutelare la salute Fumare comporta rischi per la salute ma è meglio che il commercio sia legale, controllato e tassato, altrimenti si rischia di alimentare il mercato clandestino Un cittadino adulto e informato deve avere la possibilità di scegliere liberamente se acquistare prodotti da tabacco o meno Totale Fumare è una scelta individuale che ormai i fumatori fanno abbastanza informati delle possibili conseguenze I danni del fumo non sono abbastanza pubblicizzati e chi fuma rischia molto più di quanto creda Totale 8,4 10,0 18,4 24,6 21,7 46,3 18,3 17,0 35,3 51,3 48,7 100,0 Fonte: indagine Censis-Bat 2001 74 5.6. La valutazione dei pictorial warning Nella percezione della “questione fumo” da parte della opinione pubblica italiana non sembrano dunque avvertirsi i segni di una contrapposizione “partigiana” di posizioni precostituite e pregiudizialmente orientate in base a paradigmi “ideologici”. Questa articolazione pragmatica delle valutazioni si riflette nelle opinioni sulle singole proposte di inasprimento della regolazione. Uno dei temi più dibattuti nell’ambito delle politiche pubbliche di regolazione del mercato dei tabacchi è quello della cosiddetta “pack space appropiation” (PSA) ovvero dell’introduzione di avvertenze sanitarie sui rischi del fumo sui pacchetti di sigarette (generalizzata nei Paesi Ue) e della loro sostituzione con fotografie o immagini particolarmente scioccanti e in grado di ottenere un maggiore effetto dissuasivo. Secondo il rapporto Who del 2008, “Health warnings on tobacco packages increase smokers’ awareness of their risk. Use of pictures with graphic depictions of disease and other negative images has greater impact than words alone, and it is critical in reaching the large number of people worldwide who cannot read”. D’altra parte, uno studio recentemente condotto dalla Deloitte per conto di Bat giunge alla conclusion che “Psa regulation, including increasing the size of government health warnings and the presence of graphic images has not had a statistically significant direct impact upon licit tobacco consumption”. Come già riportato in precedenza, la quota degli italiani intervistati che ritengono le attuali avvertenze sanitarie sui pacchetti di sigarette “insufficienti” e da sostituire con fotografie o immagini più forti è del 45,5%, il 44,5% ritiene invece gli attuali avvisi “adeguati” ed il residuo 10% li considera “eccessivi”. Le proporzioni cambiano ulteriormente a fronte della domanda con la quale si è chiesto di valutare gli effetti dell’introduzione di “fotografie o immagini più forti ed evidenti”: la maggioranza degli italiani si mostra scettica sull’ampiezza dei risultati ottenibili e questo scetticismo coinvolge anche parte di coloro che sono comunque favorevoli a tale intervento. 75 L’intervento è giudicato, infatti, “per nulla” efficace ai fini della riduzione del fumo dal 18% degli intervistati e “poco” efficace da un altro 54%, solo il 28% ritiene che potrebbero ridurre “molto” il fumo (fig. 5.8). La quota di coloro che nutrono forti aspettative sugli effetti di tale misura non varia significativamente secondo le abitudini di consumo: il valore minimo viene registrato tra i non fumatori (26,8%) ed è sostanzialmente analogo a quello rilevato tra i fumatori (27,0%), anche tra gli ex fumatori (categoria in qualche modo particolarmente sensibile al tema) la percentuale di chi ritiene che la sostituzione delle attuali avvertenze sanitarie con fotografie o immagini scioccanti abbia una grande efficacia non supera il 29,9%. Particolare appare la distribuzione delle risposte per classi di età che fa emergere, contrariamente alla tendenza generale, un maggiore scetticismo da parte dei più anziani: solo il 23,3% degli over 65enni si aspetta che la sostituzione delle scritte con le immagini riduca “molto” i consumi (tab. 5.8). La differenza che si registra tra la quota di coloro che sono comunque favorevoli all’introduzione delle foto (45%) e la quota di coloro che si aspettano risultati rilevanti (28%) indica che anche tra i favorevoli non vi siano grandi aspettative sui risultati. Appare ragionevole, anche in questo caso, evitare generalizzazioni e prese di posizioni sostanzialmente apodittiche. In primo luogo va considerato il fatto ovvio che la questione si pone in termini assai diversi nei Paesi a elevato livello di sviluppo e scolarizzazione dell’Ue rispetto a Paesi dove i livelli di analfabetismo sono ancora elevati. In secondo luogo va forse approfondito il tema, meno ovvio, di un impatto differenziato di determinati interventi a seconda del contesto socio-culturale di riferimento dei diversi gruppi in cui si articolano le società sviluppate. Come è stato osservato la resistenza ai messaggi di allarme sanitario in alcuni segmenti della società non deriva tanto dalla loro non evidenza quanto dalla sfiducia nei confronti dell’autorità che li emette; una sfiducia che potrebbe perfino essere alimentata da un’esasperazione delle caratteristiche comunicazionali del messaggio. 76 Fig. 5.8 - "Secondo lei l’introduzione di fotografie e immagini più forti e più evidenti sulle confezioni di sigarette e altri tabacchi venduti legalmente quanto ridurrebbe il consumo effettivo?" (distribuzione % delle risposte) % 6 Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 Tab. 5.8 - Distribuzione delle valutazioni sull'efficacia degll'introduzione di fotografie e immagini in base all'età degli intervistatati (distribuzione % delle risposte) Valutazioni Classe di età 18-29 anni 30-44 anni 45-64 anni Over 65 Totale Molto efficace 27,5 28,9 29,8 23,3 27,6 54,9 54,6 52,2 55,5 54,1 17,6 100,0 16,4 100,0 18,0 100,0 21,2 100,0 18,3 100,0 Poco Efficace Per nulla efficace Totale Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 77 5.7. I giudizi sulle altre proposte di inasprimento della regolazione Le altre proposte di inasprimento delle misure di regolazione attualmente in esame in sede Ue che sono state sottoposte al giudizio del campione rappresentativo della popolazione adulta sono: - “obbligo di confezionare le sigarette in pacchetti anonimi”, - “divieto di esposizione al pubblico dei prodotti nei punti vendita”, - proibizione dell’uso di sostanze “che rendono i prodotti del tabacco più gradevoli”. Tali misure incontrano il consenso pieno di una minoranza di intervistati: l’opzione “è giusto perché disincentivando l’acquisto riduce il numero di fumatori” raccoglie infatti il 29% nel caso della limitazione degli ingredienti, il 20% in quello del divieto di esposizione dei prodotti nelle tabaccherie e solo il 13% rispetto all’ipotesi di confezioni senza marchi e colori (fig. 5.9). La quota prevalente dell’opinione pubblica italiana considera interventi di questo tipo sostanzialmente “inutili” e non in grado di “scoraggiare in modo significativo il consumo effettivo”. La percentuale che ha indicato questa opzione raggiunge infatti il 59% sia con riferimento all’intervento sul packaging sia a quello sull’esposizione dei prodotti e si attesta al 47% per l’intervento sugli ingredienti. Vi è poi una consistente quota, di ampiezza variabile dal 20% (esposizione prodotti) al 24% (ingredienti) fino al 28% (pacchetti), che esprime una contrarietà più netta, giudicando esplicitamente “sbagliati” tali interventi perché “penalizzano libertà di scelta e il commercio legale a favore di quello illegale”. È da osservare come non vi siano grandissime differenze nella distribuzione delle risposte tra fumatori e non fumatori a testimonianza del fatto che l’articolazione delle opinioni non segue uno schema semplice di “difesa degli interessi”. La quota di coloro che condividono l’intervento sugli ingredienti è addirittura leggermente più elevata tra i fumatori che tra i non fumatori e d’altra parte la percentuale di coloro che giudicano sbagliato il 78 divieto di esposizione nelle tabaccherie raggiunge il suo massimo tra gli ex fumatori (tab. 5.9). Va comunque rappresentato che questi risultati appaiono significativamente diversi da quelli raccolti con la survey dell’Eurobarometro, promossa dalla Dg Health and Consumers, del 2009 in cui si richiedeva agli intervistati di dichiararsi “a favore o contro” una serie di misure di contrasto al consumo di tabacco. Con particolare riferimento all’Italia l’indagine aveva riscontrato livelli superiori al 60% di “accordo” con le diverse misure (fino al 75% per i “picture health warning“). D’altra parte esistono indicazioni opposte. Da un’indagine dell’Istituto Populus realizzata nel Regno Unito su incarico della Tma (sempre nel 2009) risultava che il 60% degli intervistati non condivideva l’opinione che “a tobacco display ban in shops would reduce the amount that people smoke”. Queste differenze rilevanti segnalano come, rispetto a tematiche socialmente sensibili, il contesto del questionario e la specifica formulazione delle domande possano influire sulla distribuzione delle risposte. Ma tali oscillazioni esprimono anche l’esistenza, se non di un’incertezza, quantomeno di uno scarso consolidamento delle opinioni, suscettibili di variare a seconda dell’ottica con la quale si affrontano le questioni. Ancora una volta, peraltro, l’opinione pubblica italiana si conferma pragmatica e sensibile più agli effettivi risultati degli interventi regolativi che alla loro astratta validità. L’elevata quota (circa i tre quinti) di intervistati che classifica come “inutili perché non scoraggiano in modo significativo il consumo effettivo” proposte come i pacchetti anonimi o il divieto di esposizione in tabaccheria si manifesta, infatti, indipendentemente dagli orientamenti strategici generali sulla questione; (anche tra i “proibizionisti” tali percentuali si aggirano infatti sul 55%). 79 Fig. 5.9 - Giudizi sulle nuove proposte di regolazione (distribuzione % delle risposte) ;< 4 # " ' "! !( $ ! ! " # @ < 9 ;9 !% " " ' "! "$" !"! 4 ! % * %! ! ! , * . * + * - * * Fonte: indagine Censis-Bat 2011 Tab. 5.9 - Distribuzione delle valutazioni sulle nuove proposte di regolazione in base alle abitudini di consumo (frequenza % del giudizio "è giusto perché disincentivando l'acquisto riduce il numero dei fumatori”) Proposta Fumatori Abitudini di consumo Ex Non fumatori fumatori Totale Proibire l’utilizzo di sostanze che rendono i prodotti da tabacco più gradevoli 30,3 31,5 27,4 29,1 Proibire l’esposizione al pubblico dei prodotti da tabacco all’interno delle tabaccherie 18,3 21,6 21,0 20,5 14,1 14,9 10,8 12,6 100,0 100,0 100,0 100,0 Obbligare i produttori a confezionare le sigarette in pacchetti anonimi (senza colori, marchi o simboli) Totale Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 80 5.8. Pressione fiscale e contrabbando Le dimensioni, l’andamento e il ruolo della imposizione fiscale sui tabacchi lavorati sono stati esaminati nei precedenti capitoli di questo studio. L’indagine consente di sottolineare due ulteriori elementi: l’opinione pubblica non ha la piena percezione dell’ampiezza del carico fiscale sul prezzo finale, gli orientamenti rispetto ai possibili inasprimenti sono molto articolati. Circa il 30% degli intervistati non è in grado di esprimere un’indicazione su quale sia l’attuale peso della tassazione sul prezzo di un pacchetto di sigarette (la quota scende al 17% tra i fumatori). Tra quelli che rispondono oltre i due terzi lo sottostimano collocandolo al di sotto del 60% del prezzo di vendita (fig. 5.10). La quota di coloro che non hanno fornito un’indicazione sale al crescere dell’età passando dal 14,4% nella classe 18-29 anni al 38% degli over 65%; tuttavia la maggior quota d’indicazioni espresse dai più giovani si traduce in una maggior frequenza delle sottostime; la quota (sul totale degli intervistati) di coloro che collocano la tassazione al di sotto del 60% raggiunge infatti il 62% nella prima classe di età per scendere al 41% tra i più anziani (tab. 5.10). Molto articolati i giudizi sull’ipotesi di aumento della tassazione e dei prezzi (fig. 5.11 e tab. 5.11) che risulta, comunque, condivisa dalla maggioranza dell’opinione pubblica: - il 31% (il 18% tra i fumatori) è favorevole a un incremento drastico (oltre il 50%) “per scoraggiare l’acquisto”, - il 28% (25% tra i fumatori) preferisce un percorso di piccoli aumenti scaglionati nel tempo “per evitare di favorire il contrabbando”, - il 27% (33% tra i fumatori) è contrario perché le tasse “sono già adeguate”, - il 14% (24% tra i fumatori) ritiene che la tassazione andrebbe ridotta. 81 In questo caso i risultati dell’indagine risultano abbastanza simili a quelli della survey Eurobarometer del 2009 che faceva registrare un 64% di italiani favorevoli all’incremento della tassazione. È importante tuttavia sottolineare come, anche tra coloro che valutano positivamente un inasprimento fiscale, sia consistente la quota di coloro che prediligono un approccio prudente e consapevole dei rischi di effetti negativi che una crescita drastica potrebbe avere sulla diffusione dei traffici illeciti. Per quanto concerne questi ultimi qualche segnale negativo emerge dal fatto che complessivamente il 12% degli intervistati dichiara di aver riscontrato nelle proprie zone di residenza o lavoro la presenza episodica (8%) o continua (4%) di commercio illegale di sigarette (fig. 5.12). Queste percentuali non irrilevanti crescono significativamente nelle aree del Nord-Est (10% episodica, 5% continua) e del Sud (8,5% episodica e 6% continua) del Paese (tab. 5.12). Le prime sono maggiormente esposte ai traffici transfrontalieri e le seconde hanno sperimentato più diffusamente, fino allo scorso decennio, l’insediamento del contrabbando gestito dalle organizzazioni criminali. Oltre il 57% degli intervistati giudica le sigarette vendute nei canali irregolari potenzialmente più pericolose di quelle legali, il 33% le giudica “come quelle legali” ed il 10% (anche tra i fumatori) non sa rispondere (fig. 5.13). Appare preoccupante il fatto che la distribuzione dei giudizi si inverta nella fascia d’età 18-29 anni dove la percentuale di coloro che considerano le “sigarette provenienti illegalmente da Paesi extra Ue o contraffatte” analoghe a quelle legali sale al 48,5% contro un 44,5% che ritiene “possano essere più nocive” (tab. 5.13). Questo dato conferma la collocazione della fascia giovanile come target privilegiato dei traffici illeciti. 82 Fig. 5.10- "Quanto pesano le tasse su un pacchetto di sigarette?" (distribuzione % delle indicazioni tra coloro che hanno fornito una risposta) # F $ D- * + * D- * . * D+ * % %" , * . * A !" $ , * Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 Tab. 5.10 - Distribuzione delle valutazioni sull'incidenza delle tasse sul prezzo delle sigarette in base all'età degli intervistatati (distribuzione % del totale delle risposte) 18-29 anni 30-44 anni Classe di età 45-64 anni Over 65 anni Totale Più del 60% 23,5 18,9 21,4 21,2 21,0 Meno del 60% 62,1 55,7 44,8 40,8 49,5 Non indica 14,4 25,4 33,9 38,0 29,5 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Valutazioni Totale Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 83 Fig. 5.11 - Variazione dei prezzi delle sigarette auspicata dagli intervistati (distribuzione % delle risposte) * ) % % # " * Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 Tab. 5.11 - Distribuzione delle opinioni sull'incremento della tassazione in base alle abitudini di consumo (valori %) Giudizio Fumatori È giusto e dovrebbe essere drastico (tale da aumentare di almeno il 50% il prezzo) per scoraggiare l’acquisto È giusto ma dovrebbe essere progressivo (piccoli aumenti scaglionati nel tempo) per evitare di favorire il contrabbando È sbagliato perché le tasse sono già adeguate È sbagliato e anzi la tassazione andrebbe ridotta Totale Abitudini di consumo Ex fumatori Non fumatori Totale 17,8 29,5 37,3 30,7 24,9 33,6 27,4 28,3 32,8 24,1 25,3 26,8 24,5 12,9 10,0 14,2 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 84 Fig. 5.12- "Nella sua zona di residenza/lavoro c’è commercio di sigarette di contrabbando?" (Distribuzione % delle risposte) 1, 1 # ! #7 "! Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 Tab. 5.12 - Distribuzione delle valutazioni sulla presenza di commerci illeciti in base all'area di residenza degli intervistati (valori %) Presenza Sì, in modo continuo Sì, ma episodicamente No Non risponde Totale Area geografica di residenza Nord Ovest Nord Est Centro Totale Sud e Isole 2,2 5,6 81,0 11,2 4,7 10,4 74,6 10,4 1,0 7,0 82,4 9,5 5,9 8,5 77,9 7,6 3,7 7,8 79,0 9,5 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 85 Fig. 5.13 - "Secondo lei le sigarette provenienti illegalmente da Paesi fuori dall’Unione Europea o contraffatte sono ..." (Distribuzione % del totale delle risposte) # % 8 4 5 5 " Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 Tab. 5.13 - Distribuzione delle valutazioni sulla pericolosità delle sigarette illegali in base all'età degli intervistatati (distribuzione % delle risposte) Valutazioni 18-29 anni Possono essere più nocive di quelle legali Sono come quelle legali Non sa, non risponde Totale 30-44 anni Classe di età 45-64 Over 65 anni anni Totale 44,4 48,4 7,2 56,1 33,6 10,4 56,2 31,4 12,4 67,3 23,3 9,4 57,1 32,6 10,3 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: indagine Censis-Bat, 2011 86 6. CONCLUSIONI 6.1. Lo scenario di riferimento La public consultation promossa dalla Dg Health and Consumers della Commissione europea sulle ipotesi di revisione della Tobacco Products Directive del 2001 ha stimolato oltre 85.000 contributi, provenienti da cittadini, rappresentanti delle imprese e delle loro associazioni, Ngo, ed esponenti dei diversi livelli istituzionali. Come osservato nel report da poco pubblicato: “It should be noted that no previous public consultation launched by the European Commission had ever registered such significant partecipation. The amount of participation clearly underlines the great interest of both stakeholders and the general public in the policy making process”. In effetti, le politiche pubbliche di regolazione del mercato dei tabacchi lavorati sono un ambito estremamente complesso dove si sovrappongono diverse questioni di rilievo generale: - obiettivi di carattere socio-sanitario (contrastare il consumo da parte dei minori, tutelare i non fumatori dal fumo passivo, ridurre complessivamente i consumi), che hanno assunto negli ultimi decenni un ruolo primario soprattutto a valle dell’approvazione della WhoFramework Convention on Tobacco Control; - obiettivi di carattere fiscale, di notevole rilievo nel contesto europeo dove il solo gettito diretto delle accise copre dall’1% al 4% delle entrate di bilanci pubblici permanentemente sottoposti a tensioni per la riduzione dei deficit; - vincoli di carattere socio-economico, legati alla notevole consistenza produttiva e occupazionale della filiera soprattutto nei suoi segmenti estremi (agricoltura e piccolo commercio al dettaglio) particolarmente delicati dal punto di vista sociale; - vincoli istituzionali di coerenza con i principi generali di libera circolazione delle merci e sviluppo della concorrenza. 87 In questo scenario le istituzioni dell’Unione europea hanno proceduto e procedono periodicamente a rivedere le norme sia sul versante delle politiche fiscali (ultima la direttiva 12 del 2010) sia su quello delle politiche di regolazione (dove la direttiva del 2001 è in corso di revisione). Il confronto sugli interventi pubblici di regolazione investe vari livelli: - “di principio”, dove si confrontano le opinioni sull’opportunità di interventi finalizzati alla tutela della salute delle autorità pubbliche su scelte di consumo e stili di vita di carattere individuale; - “comparativo”, sulla specificità delle normative relative ai tabacchi rispetto ad altri ambiti di comportamento/consumo rilevanti ai fini dell’incremento dei rischi per la salute; - “economico”, sugli impatti delle diverse opzioni sull’occupazione, la creazione di reddito e gli equilibri fiscali; - “funzionale”, sull’effettiva efficacia delle diverse misure proposte nel raggiungere gli obiettivi prefissati (riduzione dei consumi effettivi e quindi dei rischi per la salute). La questione di principio non è di poco rilievo ma, come tutte le questioni di principio, non è risolvibile in modo oggettivo trattandosi di un confronto tra “valori” (la tutela della salute, la libertà di scelta) il cui ordinamento è, alla fine, una questione che attiene alle differenti valutazioni soggettive. La trattazione della questione “comparativa” esula dagli obiettivi di questo studio. Si può però osservare che, a partire dagli orientamenti emersi nell’indagine, esistono questioni che, nell’opinione degli italiani, hanno un rilievo come minaccia “esogena” alla salute altrettanto elevato o maggiore di quello del fumo passivo (per esempio l’inquinamento da veicoli) ovvero costituscono un comportamento di consumo individuale considerato altrettanto se non più rischioso (come l’abuso di alcol). La problematica “economico-occupazionale” ha certamente un rilievo notevole. Soprattutto nel contesto italiano dove il tabacco costituisce una componente significativa della produzione agricola e dove la vendita legale passa attraverso una rete diffusa di piccoli esercizi. Si tratta di circa 55.000 negozi per i quali il commercio di tabacchi lavorati ha spesso costituito uno “zoccolo duro” che ne ha consentito la sopravvivenza anche in situazioni (piccoli centri, aree periferiche) estremamente difficili per il conseguimento 88 degli equilibri economici degli esercizi di commercio al minuto. Secondo le stime accurate e rinnovate periodicamente da un istituto autorevole come Nomisma la filiera del tabacco conta in Italia quasi 207.000 addetti (più di 55.000 nella tabacchicoltura e quasi 140.000 nelle rivendite al dettaglio) corrispondenti a poco meno dell’1% dell’occupazione interna. In questo studio ci si è però concentrati sugli aspetti relativi al versante fiscale della questione “economica” e sulle questioni attinenti l’effettiva efficacia delle politiche di tipo socio-sanitario. 6.2. Il nodo fiscale La scelta relativa alla misura del carico fiscale da far gravare sui fumatori (al di là della scarsa consapevolezza esistente sulle effettive dimensioni dell’incidenza attuale) non sembra generare una polarizzazione di valutazioni estreme e contrapposte nell’opinione pubblica. L’opzione di richiesta di un aumento drastico trova, infatti, un consenso consistente ma minoritario in meno di un terzo degli intervistati (31%) e, all’opposto, la richiesta di riduzione è fatta propria da meno del 15%. La maggioranza dell’opinione pubblica si attesta su posizioni mediane che considerano giusto il livello di tassazione attuale (27%) o ne vorrebbero una crescita graduale (28%). Come indica la ricognizione che è stata effettuata a livello europeo la gestione degli inasprimenti fiscali è, peraltro, molto delicata. In Italia il gettito direttamente proveniente dal commercio legale di tabacchi lavorati (accise e Iva) si aggira attualmente sui 14 miliardi di euro ogni anno; una cifra corrispondente a circa il 2% delle entrate totali delle amministrazioni pubbliche (tasse più contributi sociali). Un ammontare notevolissimo, la cui effettiva rilevanza risulta più evidente se paragonata ad altre fonti di entrata (corrisponde al gettito derivante da una variazione di circa due punti delle aliquote Irpef) o voci di spesa (supera il totale della spesa pubblica per l’ambiente e rappresenta poco meno della metà di quella per l’ordine pubblico). Nel corso degli ultimi venti anni il contributo del commercio legale di sigarette agli equilibri della finanza pubblica è stato consolidato grazie ad una combinazione di elementi (lotta ai traffici illeciti, gestione accurata degli inasprimenti fiscali, politiche di prezzo dei produttori) che ha permesso di raggiungere gli obiettivi di carattere fiscale 89 senza compromettere quelli di carattere socio-sanitario (l’Italia si trova nella fascia medio-bassa della graduatoria per incidenza del numero di fumatori ed è caratterizzata da un trend di moderata diminuzione). Lo stesso non è avvenuto in quei Paesi (Francia, Irlanda) che hanno adottato strategie centrate su inasprimenti fiscali consistenti e ravvicinati. Tali scelte hanno determinato una massiccia diffusione dei canali di approvvigionamento elusivi (acquisti transfrontalieri per uso personale) o illegali (contrabbando di merci autentiche o contraffatte). Il risultato netto è la divaricazione tra l’andamento delle vendite ufficiali (diminuite drasticamente con ovvio impatto sulle entrate fiscali) e quello dei consumi effettivi (che non presentano andamenti significativamente differenti da quelli dei Paesi che hanno adottato strategie diverse). La gravità della minaccia connessa al diffondersi del mercato illegale è testimoniata da esperienze storiche come quella britannica dove alla fine degli anni ’90 i traffici illeciti rischiavano (secondo documenti delle autorità fiscali) di conquistare un terzo del mercato complessivo. Come osservato in numerosi studi e documenti di istituzioni pubbliche preposte al contrasto dell’illegalità una presenza pervasiva della distribuzione illegale non rappresenta una minaccia solo per le entrate fiscali e gli interessi degli operatori economici ufficiali, ma anche un rilevante fattore di depotenziamento degli interventi finalizzati ad obiettivi sociosanitari. Il commercio illegale non si cura certamente di rispettare il divieto di vendita ai minori e i prodotti non ufficiali o contraffatti non rispettano le normative relative a composizione e confezionamento. Nonostante i progressi realizzati nel controllo dei percorsi dei prodotti “ufficiali” (grazie anche al coinvolgimento dei maggiori produttori) le nuove caratteristiche del mercato illecito (con la crescita dell’incidenza dei prodotti contraffatti e dei brand non ufficiali) rendono tuttora la presenza del contrabbando un fattore cruciale nella valutazione delle scelte delle amministrazioni pubbliche europee. Nel caso dell’Italia si tratta di tenere alta la guardia per consolidare i risultati ottenuti, soprattutto nella prima parte di questo decennio, che hanno reso la presenza dei traffici illegali sostanzialmente marginale. Tuttavia l’Italia risulta essere ancora un’importante area di transito per prodotti destinati al Nord Europa e vi sono alcuni segnali, emersi anche dall’indagine, di presenze occasionali sul mercato interno. 90 L’analisi effettuata in questo studio conferma la tesi formulata anche in altre ricerche secondo la quale la distribuzione temporale degli incrementi di prezzo costituisce un fattore cruciale per l’insediamento del contrabbando. Incrementi consistenti e ravvicinati tendono, infatti, a creare le condizioni sia sul versante della domanda che su quello dell’offerta per l’ingresso e il consolidamento della distribuzione illegale. Incrementi distribuiti in modo più equilibrato nel corso del tempo sembrano, invece, avere un minore impatto di stimolo al passaggio a modalità di acquisto “alternative” ed effetti di riduzione dei consumi effettivi altrettanto ampi. 6.3. Le nuove proposte di regolazione Nell’ambito della revisione della c.d. “direttiva prodotto” in sede di Unione Europea sono state formulate una serie di proposte tese a perseguire l’obiettivo socio-sanitario della riduzione dei consumi. Tra di esse assumono particolare rilievo: - quelle relative al packaging (sostituzione degli avvertimenti sanitari con immagini o fotografie, eliminazione di colori e marchi dai pacchetti); - quelle relative al contenuto dei prodotti (limitazione degli ingredienti); - quelle relative alla rete distributiva (divieto di esposizione dei prodotti nei punti vendita). Tralasciando ogni considerazione “di principio” o “comparativa” su tali proposte, l’indagine effettuata su un campione rappresentativo di popolazione residente in Italia ha evidenziato la limitata convinzione dell’opinione pubblica relativamente alla effettiva efficacia. Solo il 28% degli intervistati ritiene che “l’introduzione di fotografie e immagini più forti ed evidenti” sui pacchetti di sigarette potrebbe ridurre “molto” il consumo effettivo (ma il 45,5% è comunque favorevole a tale intervento); l’ipotesi di eliminare marchi e colori dai pacchetti viene giudicata “inutile” (59%) o “sbagliata” (28%) dalla stragrande maggioranza degli intervistati. Anche il divieto di esposizione dei prodotti nelle tabaccherie riceve analoghe valutazioni risultando inutile per il 60% degli italiani e sbagliato per un altro 20%; inoltre meno del 30% degli intervistati lo considera “molto efficace” per la riduzione del fumo tra i minori. Più 91 articolate le risposte relative al controllo degli ingredienti dove la quota di apprezzamento sale al 30%. In effetti, appare plausibile sviluppare in relazione alle politiche regolative un approccio di analisi in qualche modo affine a quello emerso per le politiche fiscali. Secondo tale approccio esse sarebbero abbastanza efficaci se introdotte con gradualità e moderazione (come, sostanzialmente, è stato fatto sino ad ora) e meno se governate da una logica di shock che finirebbe per penalizzare più il mercato legale che il consumo effettivo. La fattispecie più evidente da questo punto di vista è relativa alla proposta di divieto di esposizione all’interno delle tabaccherie. Un’indagine condotta dall’istituto Populus per la Tma britannica nel 2009 ha rilevato che secondo i tre quinti degli intervistati “a display ban on tobacco products would risk increasing the black market in cigarettes”. Secondo questa interpretazione, il “confinamento” dell’acquisto legale ad un contesto marginalizzato e nascosto anche all’interno dei punti vendita dedicati, per un verso produce effetti dissuasivi abbastanza limitati per l’altro riduce la distanza psicologica tra l’acquisto legale e quello illegale, favorendo il superamento della barriera comportamentale che tiene lontani dai prodotti di contrabbando sia i consumatori sia gli stessi distributori. 6.4. Gradualità e dialogo per strategie efficaci Il contrabbando è dunque il convitato di pietra delle discussioni sulle politiche fiscali e di regolazione dei tabacchi lavorati. La sua presenza, o la sua irruzione sulla scena, è in grado di rovesciare l’esito di misure prese per accrescere il gettito fiscale o per diminuire i consumi effettivi, di moltiplicare gli effetti negativi sull’occupazione regolare nella filiera e di distorcere gli effetti sulla libera circolazione delle merci. Di questo, in Italia, sembrano essere consapevoli sia le autorità pubbliche (che hanno finora gestito sia le politiche fiscali che quelle socio-sanitarie con l’accortezza propria di chi conosce i rischi della recrudescenza dei traffici illegali) sia l’opinione pubblica (nella quale la componente marcatamente proibizionista è minoritaria). La gradualità e il dialogo con gli stakeholder sono stati i due elementi di metodo che hanno caratterizzato il caso italiano consentendo di giungere 92 anche a scelte forti (si pensi all’anticipo delle norme sulla limitazione del fumo dei luoghi pubblici o al trend di lungo periodo della crescita dei prezzi) senza determinare rotture degli equilibri di un sistema che vede oggi molti soggetti interessati (o interessabili) alla definizione di un percorso condiviso che porti ad un ulteriore miglioramento dei risultati sia sul versante fiscale che su quello socio-sanitario. Di fatto esistono una serie di indirizzi che trovano il consenso della gran parte dei soggetti in campo oltre che della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica: - il contrasto al fumo minorile (essendoci convergenza sul fatto che i minori non possono essere equiparati ai consumatori adulti, informati e responsabili); - la tutela dei non fumatori dalle possibili conseguenze del fumo passivo (venendo meno in questo caso il presupposto che la scelta individuale deve essere libera perché non incide sulla condizione di altri). Sul primo fronte l’indagine effettuata mostra come gran parte dell’opinione pubblica giudichi efficaci sia gli interventi di presidio dei canali di vendita (repressione del commercio illegale, innalzamento dell’età minima a 18 anni e maggiori controlli e sanzioni sui rivenditori che non la verificano), sia quelli d’informazione/comunicazione; mentre meno consistente è la fiducia nell’effetto di altri tipi d’intervento (eliminazione dei distributori automatici, divieto dell’esposizione dei prodotti nei punti vendita). Le politiche di contrasto del fumo giovanile costituiscono un potenziale punto di applicazione prioritario di un’azione condivisa. La presenza di un 10,5% di fumatori dichiarati rilevata dall’Istat nella fascia d’età 14-17 anni rappresenta un indicatore di un’emergenza su cui far convergere l’impegno di tutti coloro che sono coinvolti (a partire dalle case produttrici e dalla rete distributiva). Proprio il target dei minori costituisce, peraltro, uno di quelli più fortemente a rischio a fronte dell’espansione del mercato illegale. Sul versante della tutela rispetto al fumo passivo vi è una sostanziale condivisione della normativa vigente con quote significative di opinioni favorevoli sia nei riguardi di estensioni mirate in particolari aree aperte sia verso la creazione di spazi per fumatori negli ambiti chiusi. Non si ravvisa, cioè, in Italia un clima di contrapposizione tra “fumatori” e “non fumatori”, avendo i primi in larga misura compreso e accettato le limitazioni sul fumo negli spazi chiusi ed essendo i secondi prevalentemente tolleranti verso l’utilizzo degli spazi aperti con ragionevoli e limitate eccezioni. 93 Per quanto concerne il consumo da parte degli adulti si può individuare nel diritto (dei consumatori) e del dovere (dei produttori e dei distributori) a una corretta informazione sulle possibili conseguenze sanitarie un punto di partenza difficilmente contestabile. Il problema sta però nella concreta declinazione di tale principio e nella individuazione dei limiti al di là dei quali l’accentuazione di contenuti e forme dei messaggi non rischi di apparire una forma di “stigmatizzazione sociale” la cui effettiva efficacia è quanto meno incerta. È una questione difficile da valutare, rispetto alla quale la stessa opinione pubblica, si divide. Emerge, infatti, una distribuzione delle opinioni che vede prevalere la scelta pragmatico-regolativa (“fumare comporta rischi per la salute ma è meglio che il commercio sia legale”) che raccoglie il 46% delle preferenze rispetto a quella più riconducibile a un approccio di autodeterminazione (“un cittadino adulto e informato deve avere la possibilità di scegliere liberamente se acquistare prodotti da tabacco o meno”) che è comunque sostenuta da più di un terzo degli intervistati (35,3%) e rispetto alla opzione che condivide un approccio di tutela molto spinto (“la vendita legale di prodotti da fumo dovrebbe essere limitata e progressivamente proibita per tutelare la salute”) che raccoglie meno di un quinto dei consensi (18%). La sensazione è che, almeno in Italia, il confronto di principio tra “interventismo sanitario” e “autodeterminazione responsabile” più che spaccare l’opinione pubblica in fronti omogenei e contrapposti sia interiorizzato, ma non risolto, nella consapevolezza da parte dei singoli della legittimità di entrambi i punti di vista che si traduce in un’articolazione molto pragmatica delle opinioni sulle singole questioni. Come in altri contesti gli italiani tendono a fare “arbitraggio individuale” nell’adozione dei comportamenti e nell’adesione alle opinioni ricercando autonomamente punti di equilibrio non ideologici e costruiti, peraltro, più sulla base degli stimoli di prossimità (i comportamenti e le opinioni delle persone che si frequentano) che dei messaggi o delle indicazioni calati verticalmente dalle autorità che vengono comunque accolti con un certo scetticismo. Fino ad oggi questa attitudine collettiva ha consentito all’Italia di seguire un percorso che per molti aspetti può essere considerato virtuoso: la dimensione dei consumi effettivi è tra le più basse d’Europa e tende – seppur lievemente- a continuare a ridursi, i traffici illeciti sono marginali e l’andamento del gettito fiscale è consistente e regolare, le norme per la 94 tutela dagli effetti del fumo passivo sono state introdotte puntualmente e risultano largamente applicate senza eccessivi conflitti. Questi risultati sono stati ottenuti anche grazie al fatto che l’intervento pubblico ha saputo “accompagnare” le dinamiche spontanee della società (crescita della consapevolezza dei rischi sanitari, marginalizzazione dei comportamenti illegali) senza ricercare forzature e “rese dei conti” ma piuttosto favorendo la diffusione “dal basso” del cambio di comportamenti. La questione è se, in questo scenario, sia davvero necessario e utile cambiare approccio attraverso operazioni d’inasprimento della comunicazione sanitaria sui pacchetti o di occultamento dei prodotti nelle tabaccherie. Immagini brutali finalizzate a spaventare o disgustare i consumatori effettivi o potenziali determineranno effettivamente una rinuncia al consumo o all’opposto favoriranno la creazione di una “subcultura” dei fumatori sempre più separata e refrattaria alla considerazione delle argomentazioni sanitarie oggettive? Rendere semiclandestino l’acquisto delle sigarette nei punti vendita ufficiali ridurrà gli acquisti o spingerà molti a rifornirsi direttamente nel più economico (e alla fine addirittura meno “imbarazzante”) mercato illegale? Questa incertezza sulle valutazioni dovrebbe indurre, quantomeno, a considerare legittime anche le opinioni non favorevoli all’inasprimento della regolazione e più in particolare al loro irrigidimento a livello comunitario che limiterebbe le possibilità dei singoli Paesi di graduarle in funzione delle specifiche valutazioni ed esigenze. 95 Roma, dicembre 2011