NUOVE REGOLAZIONI DEL MERCATO DEI TABACCHI LAVORATI

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NUOVE REGOLAZIONI DEL MERCATO DEI TABACCHI LAVORATI
CENSIS
NUOVE REGOLAZIONI DEL MERCATO DEI TABACCHI LAVORATI:
LE POSIZIONI DEGLI ATTORI, IL RILIEVO ECONOMICO,
L’ATTEGGIAMENTO DEI CITTADINI
Roma, dicembre 2011
NUOVE REGOLAZIONI DEL MERCATO DEI TABACCHI LAVORATI:
LE POSIZIONI DEGLI ATTORI, IL RILIEVO ECONOMICO,
L’ATTEGGIAMENTO DEI CITTADINI
Roma, dicembre 2011
Lo studio è stato commissionato da British American Tobacco Italia.
1.
Il ruolo delle imposte sui tabacchi lavorati negli equilibri della
finanza pubblica in Italia
1.1. Il contribuito agli equilibri fiscali
1.2. L’incidenza sulle entrate tributarie e le spese pubbliche
1.3. L’andamento temporale del gettito
1.4. La minaccia del contrabbando
1.5. Il ruolo economico
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2.
Il contesto europeo
2.1. Introduzione
2.2. Le variazioni dei prezzi nell’ultimo decennio
2.3. L’andamento della distribuzione legale di sigarette
2.4. I consumi effettivi
2.5. Le variazioni del gettito fiscale
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3.
Casi nazionali
3.1. Introduzione
3.2. Il caso francese
3.3. Il caso irlandese
3.4. Il caso del Regno Unito
3.5. Il caso tedesco
3.6. Il caso spagnolo
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4.
Il ruolo dei mercati illegali
4.1. Il “circolo vizioso” degli strappi fiscali
4.2. Le evoluzioni dei mercati illegali
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53
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5.
Le opinioni degli italiani sulle ipotesi di inasprimento della
regolazione
5.1. L’indagine sulla popolazione
5.2. Fumo passivo e restrizioni
5.3. La tutela dei minori
5.4. La consapevolezza dei rischi e la libertà di scelta
5.5. Le opzioni “strategiche” delle politiche pubbliche
5.6. La valutazione dei pictorial warning
5.7. I giudizi sulle altre proposte di inasprimento della
regolazione
5.8. Pressione fiscale e contrabbando
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6.
Conclusioni
6.1. Lo scenario di riferimento
6.2. Il nodo fiscale
6.3. Le nuove proposte di regolazione
6.4. Gradualità e dialogo per strategie efficaci
1.
IL RUOLO DELLE IMPOSTE SUI TABACCHI
LAVORATI NEGLI EQUILIBRI DELLA FINANZA
PUBBLICA IN ITALIA
1.1. Il contribuito agli equilibri fiscali
Il contributo fornito dal commercio legale di sigarette e di altri tabacchi
lavorati agli equilibri della finanza pubblica italiana è tutt’altro che
marginale.
I quasi 14 miliardi di euro di gettito raccolti annualmente tramite le accise e
l’Iva costituiscono poco meno del 2% delle entrate complessive delle
amministrazioni pubbliche (tasse nazionali e locali, contributi sociali ed
altre entrate) e contribuiscono, quindi, a ridurre di quasi un punto
percentuale il cruciale rapporto deficit/Pil. Questo peso così significativo
deriva dall’elevatissima incidenza delle tasse sul prezzo di vendita (pari a
circa il 75%) che si è mantenuta stabile, e anzi è lievemente aumentata, nel
corso del tempo.
Pur in presenza di una significativa riduzione dei consumi effettivi (l’Italia
ha, secondo i dati “standardizzati” della World Health Organization, una
quota di fumatori sulla popolazione che si colloca a livello medio-basso
rispetto al contesto europeo) l’efficace azione di contrasto del contrabbando
ha fatto si che l’andamento delle quantità legalmente distribuite seguisse un
percorso decrescente fisiologico, senza le repentine cadute che si sono
verificare in altre grandi realtà continentali. Questa contenuta riduzione è
stata più che compensata dalla crescita dell’imposizione fiscale unitaria,
andata di pari passo con il progressivo incremento dei prezzi (raddoppiati in
termini reali negli ultimi venti anni), determinando un andamento crescente
del gettito, sia in termini di valore reale sia in termini d’incidenza sul totale
delle entrate pubbliche.
La sostanziale corrispondenza tra valori di competenza (accertamenti) e
flussi di cassa (incassi) nonché la “regolarità” di questi ultimi costituiscono
ulteriori elementi che, insieme all’elevato grado di “accettabilità sociale”,
1
concorrono ad assegnare a questa tipologia d’imposizione tributaria un ruolo
particolarmente significativo.
A quello fiscale si sovrappone il ruolo economico di una filiera che
complessivamente impiega oltre 200.000 persone in gran parte concentrate
nei due segmenti estremi (produzione agricola e commercio al dettaglio)
particolarmente delicati dal punto di vista sociale.
1.2. L’incidenza sulle entrate tributarie e le spese pubbliche
Per comprendere meglio il rilievo del gettito da tabacchi si può innanzitutto
osservare che i 13,5 miliardi di euro (valore calcolato da Nomisma con
riferimento al 2009) costituiscono il 3,3% dei 409 miliardi di euro
identificati dal Ministero delle Finanze come valore (accertamenti) delle
entrate tributarie erariali (dello Stato) nello stesso anno. In altri termini,
circa un trentesimo delle entrate è coperto dalle imposte immediatamente
riconducibili alla commercializzazione legale dei prodotti da tabacco (tab.
1.1): i proventi da tabacchi corrispondono a circa un dodicesimo (8,57%)
del gettito Irpef, sono superiori a un terzo (36,4%) delle entrate derivanti
dall’imposta sul reddito delle società, equivalgono a un ottavo (12,5%) degli
introiti da Iva (al netto di quella sui tabacchi), corrispondono a quasi i tre
quarti (72,6%) delle principali imposte sugli affari, a circa la metà (50,4%)
di quelle sugli idrocarburi e superano di un quinto (119,1%) i principali
proventi da giochi.
L’incidenza, ovviamente si riduce, ma rimane comunque significativamente
intorno al 2% se considerata in rapporto con l’insieme delle entrate delle
amministrazioni pubbliche (comprensive dei contributi sociali effettivi e
figurativi e delle altre entrate locali e nazionali).
Un ammontare di quasi 14 miliardi di euro, d’altra parte, corrisponde
indicativamente al gettito derivante da un ipotetico aumento di 1,5-2,0 punti
dell’aliquota media sul reddito delle persone fisiche. In termini di esborso
individuale il contributo fiscale versato mediamente da ciascuno dei 12
milioni di consumatori italiani (dato Istat, Indagine Multiscopo 2009) risulta
di poco inferiore a 1.150 euro annui (la stima è approssimata e al lordo degli
acquisti effettuati sul territorio nazionale dai non residenti). Spalmato sui 31
milioni di contribuenti Irpef effettivi (con imposta netta dichiarata superiore
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a zero) il calcolo dell’equivalenza del gettito da tabacchi darebbe come
risultato un aggravio pro capite di circa 450 euro.
Le imposte sui tabacchi lavorati costituiscono, dunque, un elemento di
notevole rilievo negli equilibri di finanza pubblica e questo spiega
l’attenzione che le autorità pubbliche, e in particolare quelle fiscali,
dedicano al loro andamento in particolare nelle fasi – come quella attuale –
particolarmente critiche perché caratterizzate dal ritorno a deficit consistenti
e conseguente necessità di ricorso a rilevanti misure correttive.
Tale attenzione è dovuta anche alle caratteristiche “socio-economiche” di
questo prelievo:
- trattandosi di un’imposta su un consumo (peraltro “voluttuario”) non
incide né sui costi di produzione né sui redditi e di conseguenza viene
considerata portatrice di limitati impatti negativi sull’andamento
economico generale;
- é un prelievo, entro certi limiti, “socialmente accettato”, e comunque
meno contestato di altre forme d’imposizione, perfino dagli stessi
consumatori, come indicano anche i risultati dell’indagine effettuata
nell’ambito di questo studio.
La rilevanza del gettito derivante dal commercio legale risulta, per certi
versi, ancora più evidente se paragonata alla consistenza delle spese
pubbliche al cui finanziamento indirettamente concorre.
Complessivamente, il gettito da tabacchi corrisponde all’1,7% del totale
delle spese delle amministrazioni pubbliche calcolate con riferimento al
2009 (799 miliardi) (tab. 1.2). Declinato rispetto alle singole funzioni,
risulta essere pari:
- a quasi una volta e mezzo (141,4%) la spesa pubblica per l’ambiente;
- a poco meno del totale (95,4%) di quella per abitazioni e assetto del
territorio,
- a circa la metà delle uscite per difesa (53,7%) e ordine pubblico (43,5%);
- a poco meno di un quinto (18,8%) delle spese per l’istruzione;
3
- a poco meno di un ottavo della spesa sanitaria (11,9%);
- a circa un ventitreesimo (4,4%) delle spese di protezione sociale.
Più in dettaglio il gettito considerato risulta paragonabile, e lievemente
superiore, ad alcuni grandi segmenti di spesa come la spesa pubblica per il
sistema universitario (12,2 miliardi di euro), l’ammontare delle pensioni
d’invalidità (12,3 miliardi di euro), la spesa sanitaria per la farmaceutica
convenzionata (11,2 miliardi di euro) (Fig.1.1).
Tab. 1.1 – Rapporto tra gettito fiscale da tabacchi lavorati ed entrate tributarie
erariali, 2009
Entrate
Valore in
Rapporto % tra
milioni di euro
gettito da
degli
tabacchi ed
accertamenti nel
entrata
2009
Ire (Irpef)
Ires (redditi società)
Altre dirette
Iva (esclusi tabacchi)
Imposte sugli affari (registro, bollo, assicurazioni,
ipotecaria, concessioni governative, diritti catastali,
ecc.)
Imposte idrocarburi ed energia (fabbricazione oli
minerali e gas, consumi gas e oli lub., energia
elettrica)
Altre consumi (canone Rai, tasse automobilistiche,
fabbricazione spiriti e birra)
Lotto e lotterie (proventi lotto e attività di gioco,
apparecchi e congegni, lotterie istantanee)
Altre indirette
Tabacchi (imp. sul consumo e Iva)
Totale entrate tributarie erariali
Fonte:
157.840
37.179
29.221
108.206
8,6
36,4
46,3
12,5
18.627
72,6
26.837
50,4
3.361
402,5
11.362
119,1
3.069
13.527
409.229
440,8
100,0
3,3
elaborazione Censis su dati Ministero dell’Economia e delle Finanze e Nomisma
4
Tab. 1.2 - Rapporto tra gettito fiscale da tabacchi lavorati e spese delle amministrazioni
pubbliche per funzione, 2009 (milioni di euro)
Spese
Spese
amm.centrali amm.locali
Protezione
dell'ambiente
Attività ricreative,
culturali e di culto
Abitazioni e assetto
del territorio
Difesa
Ordine pubblico e
sicurezza
Istruzione
Affari economici
Sanità
Servizi generali
Protezione sociale
Totale
Spese enti
Totale
Rapporto
previdenza amministrazioni
% tra
pubbliche
gettito da
tabacchi
e spese
pubbliche
2.373
7.192
-
9.565
141,4
5.075
8.730
-
13.805
98,0
1.562
25.205
11.514
-
1.099
-
14.175
25.205
95,4
53,7
27.245
52.198
36.726
1.510
100.420
7.273
259.587
3.827
19.575
39.010
112.053
33.994
11.550
247.445
214
290.572
291.885
31.072
71.773
75.736
113.777
134.414
309.395
798.917
43,5
18,8
17,9
11,9
10,1
4,4
1,7
Fonte: elaborazione Censis su dati Istat
Fig. 1.1 - Comparazione tra entrate da tabacchi e voci di spesa pubblica (anno 2009)
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Fonte: elaborazione Censis su dati Mef
5
1.3. L’andamento temporale del gettito
Le accise costituiscono la componente più rilevante (e meno “sostituibile”)
del concorso del commercio legale dei tabacchi lavorati agli equilibri di
finanza pubblica.
L’analisi dell’andamento degli incassi nell’ultimo ventennio mostra un trend
generale di crescita (con alcune articolazioni) sia in termini di valore reale
sia in termini d’incidenza sul totale delle entrate. Nel complesso dal 1990 al
2010 il valore reale è quasi raddoppiato passando da 5,7 a 10,8 miliardi di
euro e il peso sul totale degli incassi tributari erariali è salito da meno del
2,0% a più del 2,5% (fig. 1.2).
Questi risultati sono il frutto dell’incremento della tassazione unitaria
combinatosi con una riduzione meno che proporzionale delle quantità
legalmente distribuite. Nell’insieme del ventennio considerato il ritmo di
crescita della tassazione unitaria (accise e Iva) è stato di quasi il 4% medio
annuo in termini reali, il che ha portato l’importo a più che raddoppiare
passando dall’equivalente di 1,34 euro a pacchetto del 1990 a 2,86 euro a
pacchetto del 2010. Gli aumenti si sono susseguiti in modo graduale, con
poche particolari fasi di stasi e “strappi” sempre contenuti entro margini
abbastanza limitati (fig. 1.3).
Dal punto di vista dell’andamento del valore reale del gettito complessivo si
possono enucleare due fasi di crescita particolarmente sostenuta, frutto di
diverse combinazioni di fattori:
-
la prima è relativa al periodo che va dal 1992 al 2000 quando gli incassi
(espressi in euro 2010) sono saliti da meno di 5,3 miliardi a più di 9,2
(con un tasso di crescita di circa il 7% annuo);
-
la seconda è riferibile al periodo 2003-2007 quando gli introiti da accise
hanno ripreso a salire passando (sempre in euro 2010) da 9,1 a 10,6
miliardi (con un tasso di crescita superiore al 4% reale annuo).
La crescita riscontrata nella seconda parte degli anni ’90 è dovuta in una
prima fase a un “effetto prezzo” (aumento dell’imposizione unitaria a fronte
della stabilità delle quantità legalmente distribuite) e nella seconda a un
effetto “quantità” derivante dal concretizzarsi di azioni di contrasto al
contrabbando particolarmente efficaci (di cui è implicita testimonianza la
6
concentrazione della crescita delle quantità legalmente distribuite nelle aree
– Campania e Puglia – di tradizionale insediamento dei traffici illegali).
Il periodo a cavallo del 2000 ha rappresentato una fase di decisiva
modificazione del mercato italiano dei tabacchi dal punto di vista della
presenza dei traffici illeciti. In tale fase si combinano, infatti:
-
gli effetti sull’offerta delle azioni di contrasto al contrabbando derivanti
sia dal dispiegarsi degli interventi militari nell’Adriatico collegati al
conflitto dei Balcani sia dall’azione delle forze dell’ordine e della
magistratura;
-
una politica dell’imposizione fiscale e dei prezzi relativamente prudente
che ha contribuito al riorientarsi della domanda verso la distribuzione
legale favorendo l’abbandono di modalità di acquisizione “alternative”.
A valle di questa fase si è affermato un modello di comportamento sociale
che ha marginalizzato sia la propensione all’acquisto illegale sia la
tolleranza rispetto alle sue manifestazioni e creato i presupposti per
l’ottenimento di risultati positivi nella nuova fase d’incremento dei prezzi
reali avviatasi a partire dal 2003.
Secondo le elaborazioni dell’Istat l’indice dei prezzi al consumo dei prodotti
da tabacco è cresciuto del 2002 al 2007 del 43,5% a fronte di un incremento
dell’indice generale che non ha superato l’11,3% (di fatto il prezzo reale
delle sigarette è cresciuto a un tasso di oltre il 5% annuo). Tra la fine del
2002 e la fine del 2007, del resto, il “prezzo prevalente” (Mppc, prezzo della
tipologia di sigarette più venduta) risulta salito per un pacchetto da 20 da
2,30 a 3,40 euro a prezzi correnti, portando con sé un incremento
dell’introito da accise da 1,71 a 2,56 euro a pacchetto.
Gli incrementi del periodo 2003-2007 sono stati rilevanti e in grado di
incidere, insieme ad altri fattori, sulle abitudini di consumo; ma la loro
distribuzione nel corso di un intervallo di tempo abbastanza ampio (cinque
anni) e senza particolari “strappi” ha evitato di incentivare il ritorno a
modalità di acquisto “alternative”. In effetti, tra il 2002 ed il 2007 la
quantità di sigarette legalmente distribuite (che include quelle acquistate in
Italia da non residenti ed esclude quelle acquistate all’estero da residenti in
Italia) è scesa con gradualità ma con continuità passando da 105,2 miliardi
di unità a 92,8, facendo quindi registrare una riduzione di quasi il 12%
(tab.1.3).
7
Nello stesso periodo la quota di fumatori dichiarati rilevata dall’Istat sulla
popolazione residente con 14 anni e più si è ridotta dal 23,6% (valore già
basso rispetto alle medie europee) al 22,1% e, parallelamente, il numero
medio di sigarette fumate al giorno è diminuito da 14,4 a 13,4. Il calcolo
dell’andamento dei consumi dichiarati nel periodo fa quindi registrare,
tenendo conto della variazione della popolazione residente, un decremento
complessivo di oltre l’8% nel quinquennio.
Il limitato scarto tra le due variazioni percentuali sembra indicare che,
almeno nel periodo 2002-2007, la riduzione delle quantità legalmente
distribuite sia stata sostanzialmente l’espressione di una riduzione dei
consumi effettivi a sua volta determinata (almeno in parte) dal progressivo
ma graduale aumento dei prezzi rispetto al quale – grazie anche alle azioni
di sradicamento del contrabbando effettuate nel periodo precedente – non si
è determinato un ritorno significativo a modalità di acquisto “alternative”.
Com’è stato recentemente osservato (Ref. Tobacco Observatory, n.
19/2010), “fino al 2008 l’Italia, nell’ambito dei maggiori mercati Ue, è stato
l’unico a vantare un trend di decremento delle vendite legali sostenibile per
il mercato, andato di pari passo con una diminuzione costante ma graduale
dei consumi” giovandosi “del ruolo responsabile di tutti gli attori della
filiera, del contributo delle autorità di pubblica sicurezza e della
lungimiranza delle istituzioni preposte alla regolazione del mercato”.
Questo risultato era tutt’altro che scontato, soprattutto se si considera che
(come si vedrà meglio nei capitoli successivi) nel medesimo periodo in altri
grandi Paesi europei tradizionalmente considerati più “ordinati” (a partire da
Francia e Germania) aumenti dei prezzi di ampiezza complessivamente
simile, ma gestiti con tempistiche diverse (concentrazioni in brevi periodi)
hanno prodotto la crescita notevole delle modalità di acquisto alternative
(contrabbando e acquisti transfrontalieri) provocando il crollo del mercato
legale (e qualche difficoltà fiscale) senza determinare esiti
significativamente più ampi dal punto di vista della riduzione dei consumi
effettivi.
8
Fig. 1.2 - Andamento degli incassi da accise sui tabacchi lavorati in Italia, 1990-2010
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Fonte: elaborazione Censis su dati Mef
Fig. 1.3 - Introito fiscale su un pacchetto di sigarette, 1990-2010
(Mppc: euro a prezzi 2010)
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Fonte: elaborazione Censis su fonti varie
9
Tab. 1.3 - Andamento dei consumi legali e dichiarati in Italia, 2002-2010
Anno
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Sigarette legalmente
distribuite
Numero
Indice
sigarette
consumi
legalmente
legali
distribuite in 2002=100
miliardi di
unità
105,2
101,6
98,8
92,8
93,8
92,8
92,0
89,1
87,0
100,0
96,5
93,9
88,2
89,2
88,2
87,4
84,7
82,7
Consumi dichiarati dai residenti
% di
Numero di
fumatori
fumatori
dichiarati
sigarette
sulla
dichiarati
popolazione (in milioni)
di 14 anni e
più
Numero
medio di
sigarette
fumate al
giorno
Indice
consumi
dichiarati
2002=100
23,6
23,8
11,3
11,6
14,4
14,0
100,0
99,9
22,0
22,7
22,1
22,2
23,0
10,8
11,3
11,1
11,2
11,7
13,3
13,4
13,4
13,5
13,2
88,8
93,1
91,7
93,2
95,4
Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud e Istat
1.4. La minaccia del contrabbando
I risultati ottenuti appaiono particolarmente rilevanti tenendo conto della
particolare esposizione dell’Italia – per motivi geografici, storici e sociali –
al rischio del mercato illecito.
Ancora alla metà degli anni ’90 in alcune zone del Paese risultavano
diffusamente presenti traffici illeciti (sovente collegati alla criminalità
organizzata) e smercio quotidiano di prodotti di contrabbando, con evidenti
conseguenze tanto sugli introiti fiscali quanto sulla “accessibilità” delle
sigarette e quindi sui consumi. Come già ricordato, grazie alla concomitanza
dell’impatto del conflitto nei Balcani e del dispiegamento di una forte
azione investigativa e repressiva, all’inizio di questo decennio questi
fenomeni sono stati fortemente ridimensionati, in particolare sul versante
del consumo finale.
10
Oggi appare prevalente il ruolo di canale di transito verso i mercati del Nord
Europa. Il che testimonia, tuttavia, l’esistenza di una minaccia potenziale
ancora incombente. Qualche elemento di preoccupazione, in effetti, sussiste,
in parte collegato ai possibili aumenti dei traffici transfrontalieri con i Paesi
posti ai confini nordorientali (Slovenia) e al “pendolarismo” della
popolazione proveniente dai Paesi dell’ex Europa orientale, dove i prezzi
sono significativamente inferiori.
Nell’ultimo triennio è tornata a manifestarsi la divaricazione tra le stime dei
consumi effettivi (la cui riduzione sembra essersi arrestata forse anche in
virtù dell’impatto dell’ingresso di nuova popolazione residente che, per età e
caratteristiche socio-culturali, potrebbe avere una maggiore propensione al
consumo) e l’andamento della distribuzione legale (che prosegue il suo
declino) che rappresenta un segnale della possibile diffusione di modalità di
acquisto alternative.
I risultati dell’indagine sulla popolazione effettuata nell’ambito di questo
studio (più diffusamente presentati in un successivo capitolo) indicano,
inoltre, una presenza non irrilevante di contatti con il commercio illegale,
seppure ancora in forme prevalentemente occasionali. La recentissima
elaborazione da parte di Nomisma del primo rapporto sulla contraffazione di
sigarette in Italia quantifica in 2,9 miliardi di unità (corrispondenti al 3,4%
della distribuzione legale) l’incidenza di contraffazione e contrabbando sul
mercato italiano. Si tratta di una dimensione ancora modesta ma comunque
preoccupante.
Allo stato, tuttavia, l’andamento del gettito risulta ancora soddisfacente;
secondo quanto riportato dal Bollettino Entrate Tributarie del Ministero
delle Finanze nel corso del 2010 gli accertamenti delle entrate tributarie
relative alle imposte sul consumo dei tabacchi (accise) sono cresciuti
dell’1,2%; la stessa fonte, con riferimento ai primi quattro mesi del 2011
segnala un ulteriore incremento del 2% rispetto allo stesso periodo dell’anno
precedente.
1.5. Il ruolo economico
La minaccia del contrabbando non grava solo sulle entrate fiscali ma anche
sull’insieme delle attività economiche della filiera del tabacco e in
particolare sul segmento della distribuzione finale che ne costituisce la parte
11
più consistente essendo composto da oltre 55.000 rivendite autorizzate cui si
aggiungono più di 13.000 bar dotati di “patentini”.
Secondo i dati raccolti dall’Istat per le aziende del “commercio al dettaglio
dei tabacchi lavorati” (relativi a meno di 27.000 esercizi e riferiti al 2007) si
tratta di piccole imprese, con in media poco meno di due addetti, un
fatturato inferiore ai 140.000 euro e un valore aggiunto aziendale di circa
55.000 euro. Gli introiti derivanti dall’aggio sulla vendita di prodotti da
fumo, complessivamente circa 1,8 miliardi di euro, rappresentano quindi un
contributo fondamentale all’equilibrio economico di questi esercizi
commerciali capillarmente diffusi sul territorio nazionale.
Secondo le stime effettuate da Nomisma nel suo annuale rapporto sulla
filiera del tabacco il segmento delle rivendite al dettaglio impiega quasi
140.000 persone su un totale di più di 200.000 distribuito nella filiera (tab.
1.4). Un’ipotetica recrudescenza del contrabbando o una diffusione di altre
modalità di acquisto alternative (come i consumi transfrontalieri) anche
limitata a una dimensione del 10% del mercato legale (meno di quanto era
presente negli anni ’90 e meno di quanto si stima sia presente in altri grandi
Paesi) determinerebbe una caduta degli introiti degli esercizi al dettaglio di
circa 180 milioni di euro che potrebbe corrispondere a un impatto
occupazionale valutabile in circa 10.000 unità.
Anche l’altro estremo della filiera, quello della produzione agricola, ha in
Italia un peso rilevante con poco meno di 30.000 ettari di superficie agricola
lavorati da 6.500 aziende per un’occupazione che rimane tutt’ora vicina alle
60.000 unità. Un numero non trascurabile rispetto alle dimensioni
complessive dell’occupazione agricola italiana.
La rilevanza del gettito fiscale e la consistenza della dimensione
occupazionale costituiscono elementi da considerare nell’ambito della
valutazione delle politiche pubbliche. Non nei termini di un’impropria
contrapposizione tra obiettivi socio-sanitari e obiettivi economico-fiscali
quanto in quelli della necessità di un’attenta valutazione delle scelte che
tenga conto dell’effetto di spiazzamento determinato dal possibile ricorso
alle modalità di acquisto alternative, in grado di depotenziare i risultati
ottenibili sul versante socio-sanitario e di moltiplicare le conseguenze sugli
equilibri economici e finanziari.
12
Tab. 1.4 - Consistenza dell’occupazione nella filiera del tabacco, 2007-2009 (v.a.)
Tabacchicoltura
Prima trasformazione
Manifattura
Distribuzione all'ingrosso
Vendite al dettaglio
Altri
Totale
2007
2008
2009
59.500
7.500
900
3000
140.000
3.100
214.000
57.300
6.500
715
2.700
138.000
2.785
208.000
56.500
6.200
700
2.650
139.000
2.250
207.300
Fonte: Nomisma
13
2.
IL CONTESTO EUROPEO
2.1. Introduzione
Le osservazioni formulate con riferimento al ruolo del commercio legale dei
tabacchi, lavorati negli equilibri di finanza pubblica italiani acquistano un
più preciso significato se collocate nell’ambito dello scenario europeo. In
particolare è opportuno fare riferimento al gruppo dei Paesi “vecchi
membri”, per comodità indicati come Ue15, che hanno una storia
ventennale di “regole” e mercato comune e che sono maggiormente
comparabili dal punto di vista dei livelli di reddito e dei comportamenti di
consumo.
Le principali variabili da considerare per una seppure sintetica analisi di
contesto sono: variazioni dei prezzi, andamento della distribuzione legale,
stima dei consumi effettivi ed evoluzione del gettito fiscale.
2.2. Le variazioni dei prezzi nell’ultimo decennio
Per ricostruire un quadro complessivo dell’andamento degli Mppc (prezzi
prevalenti) nei Paesi dell’area Ue15 si è fatto riferimento preliminarmente a
tabelle riepilogative contenute in rapporti pubblicati dalla Commissione
europea relative rispettivamente alla situazione al gennaio 2000, al 2002 e al
2008.
La tab. 2.1 evidenzia come, in linea generale dal 2000 al 2008 nei Paesi
dell’area Ue15 a fronte dell’intensificazione della pressione fiscale si sia
determinata una crescita nominale degli Mppc mediamente superiore al
50%. I tassi d’incremento non sono però omogenei ed è possibile
distinguere tre gruppi di Paesi:
- il primo gruppo comprende Paesi nei quali la crescita è stata
particolarmente rilevante (superiore al 75%) e include sia Paesi
caratterizzati da livelli iniziali medio-alti (Paesi Bassi, Germania,
14
Francia), sia Paesi come Portogallo e Italia dove il livello iniziale era
medio-basso;
- più contenuti, ma comunque rilevanti (intorno al 50%) sono gli
incrementi osservabili in un gruppo di Paesi con livelli iniziali di prezzo
differenziati; bassi (Spagna e Grecia), medio-bassi (Lussemburgo e
Austria), medio-alti (Belgio) o elevati (Irlanda);
- al di sotto della media (in termini di variazione percentuale dell’Mppc) si
collocano quattro Paesi (Regno Unito, Svezia, Finlandia e Danimarca)
caratterizzati da valori iniziali più elevati.
Come si vedrà meglio esaminando i singoli casi nazionali, livello e
variazione complessiva del prezzo non sono sufficienti a definire le
caratteristiche e gli effetti rilevanti dell’andamento dei prezzi e delle
politiche fiscali ad essi sottostanti. Altrettanto importanti sono, infatti, la
distribuzione nel tempo degli aumenti e la comparazione con i Paesi
limitrofi (anche a causa dell’ingresso dei “nuovi membri” caratterizzati da
livelli di partenza significativamente inferiori).
15
Tab. 2.1 - Livello e variazione dei prezzi nei Paesi dell’area Ue15, 2000-2008 (Mppc:
euro per 20 sigarette)
Paesi
Nl
Pt
It
Fr
De
Ie
Lu
El
Be
At
Es
Uk
Se
Fi
Dk
2000 (1)
2002 (2)
2008 (3)
2,43
1,75
1,91
2,96
2,69
4,69
2,08
1,98
2,82
2,40
1,68
6,49
4,07
3,78
4,04
2,83
1,85
2,07
3,60
3,16
5,16
2,24
2,35
2,90
2,69
1,85
7,21
3,85
4,00
4,44
4,63
3,30
3,50
5,30
4,71
7,45
3,20
3,00
4,16
3,50
2,40
8,12
5,17
4,30
4,29
Var. % nominale
2000-2008 (4)
90,4
89,0
83,2
79,2
74,9
59,0
53,7
51,7
47,6
45,9
42,6
24,9 (35)
27,1 (34)
13,6
6,4 (7)
(1) Elaborazione su dati Unione europea
(2) Elaborazione su dati Ue Dg Taxud-Kpmg, 2005
(3) Elaborazione su dati Unione europea
(4) Tra parentesi la variazione in valuta nazionale
Fonte: elaborazione Censis su fonti varie
16
2.3. L’andamento della distribuzione legale di sigarette
La tabella 2.2 (tratta dai dati release for consumption pubblicati dalla
Commissione Europea e raccolti attraverso questionari ai Paesi membri)
evidenzia la rilevante riduzione (circa il 20%) della distribuzione legale di
sigarette verificatasi nei Paesi dell’area Ue15 tra il 2002 e il 2008.
Anche in questo caso si possono evidenziare tre fasce relative
rispettivamente a:
- Paesi con riduzione drastica (Germania, Francia, Irlanda e Portogallo);
- Paesi con riduzione intermedia (Lussemburgo, Regno Unito, Svezia,
Belgio, Austria, Italia e Paesi Bassi);
- Paesi con andamento oscillante dove non si osserva un particolare trend
di riduzione (Grecia, Spagna, Danimarca e Finlandia).
Come emerge comparando l’ampiezza delle variazioni dell’Mppc con quella
delle quantità legalmente distribuite in un periodo omogeneo (2002-2008)
gli impatti risultano assai differenziati. In particolare il crollo del mercato
legale registrato in Germania, Francia, Irlanda e Portogallo non trova
riscontro nella riduzione più contenuta osservata in Paesi come Italia e
Olanda, che pure presentano incrementi dei prezzi percentualmente
altrettanto ampi. Analoga differenziazione si verifica tra i casi di Regno
Unito e Svezia e quelli di Spagna e Grecia, anch’essi caratterizzati da un
medesimo ordine di grandezza percentuale degli aumenti di prezzo ma da
esiti sul mercato legale assai diversi.
Queste difformità mettono in luce l’impossibilità di spiegare le variazioni
delle quantità del mercato legale di ciascun Paese attraverso semplici
relazioni con le variazioni dei prezzi, evidenziandosi dei valori delle
“elasticità” totalmente differenti. Le variazioni dei traffici transfrontalieri e
quelle dell’ampiezza del mercato nero incidono, infatti, in modo tutt’altro
che marginale sulle risposte dei consumi legali agli aumenti di prezzo.
17
Tab. 2.2 - Andamento della distribuzione legale di sigarette nei Paesi dell’area Ue15,
2000-2008 (miliardi e var. %)
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Var. %
2002-2008
De
Fr
Ie
Pt
145,2
80,5
7,0
17,9
132,6
69,6
6,3
19,6
111,7
54,9
5,3
18,1
95,8
54,8
5,4
17,1
93,5
55,8
5,9
19,0
91,5
54,9
5,4
12,8
88,0
53,6
4,9
12,9
-39,4
-33,5
-29,6
-28,0
Lu
Uk
Se
Be
At
It
Nl
5,8
56,1
7,7
14,3
15,4
105,2
17,0
5,6
54,0
7,5
14,3
15,1
101,6
17,1
6,4
52,6
7,3
13,6
14,5
98,8
15,0
5,3
50,2
6,9
13,4
13,3
92,8
13,7
4,7
49,0
7,7
13,4
13,9
93,8
14,0
5,0
45,7
6,4
12,5
13,6
92,8
15,2
4,5
45,7
6,3
11,9
13,2
92,0
14,9
-22,2
-18,5
-17,6
-16,8
-14,1
-12,6
-12,4
El
Es
Dk
Fi
32,0
88,6
7,2
4,9
32,4
93,7
7,9
4,8
35,2
95,3
8,2
4,9
34,4
92,7
7,8
5,1
33,4
90,1
8,2
5,0
35,2
89,1
7,9
4,9
30,3
90,3
7,9
7,0 (a)
604,7
582,0
541,9
508,7
507,2
493,2
Ue15
(a)
483,4
-5,3
1,9
10,4
n.d.
-20,1
In alcuni casi, come per la Finlandia nel 2008, un singolo dato annuale risulta anomalo a
causa di concentrazioni di approvvigionamenti collegate a incrementi della tassazione
Fonte: elaborazione Censis su dati EC- Taxation and Custom Union
2.4.
I consumi effettivi
La misurazione attendibile, confrontabile e condivisa dei consumi effettivi
dovrebbe essere uno dei presupposti fondamentali per la valutazione delle
politiche pubbliche di carattere socio-sanitario. Allo stato attuale,
nonostante gli sforzi compiuti da alcune organizzazioni internazionali (in
primo luogo il Who) non si può dire che tale presupposto sussista, nemmeno
con riferimento alla proxy più comunemente considerata che è quella della
quota dei fumatori sul totale della popolazione (smoking prevalence).
18
Né le survey di carattere internazionale (per esempio quella realizzata
dall’Unione europea e pubblicata da Eurobarometro) né le operazioni di
raccolta e standardizzazione delle indagini nazionali (come quelle effettuate
da Who e Oecd) riescono oggi a fornire basi dati aggiornate che abbiano le
caratteristiche di accuratezza, omogeneità e indipendenza che le
renderebbero utilizzabili per confronti internazionali e intertemporali non
contestabili.
Ai fini di questo studio si è, pertanto, deciso di privilegiare, nell’esame dei
casi dei singoli Paesi, le indagini effettuate a livello nazionale da istituzioni
pubbliche (nell’ambito di indagini omnibus sugli stili di vita e/o di indagini
sulle condizioni sanitarie) che appaiono maggiormente solide sia dal punto
di vista della numerosità e rappresentatività del campione sia da quello delle
modalità di realizzazione dell’indagine.
I risultati ottenuti da tali indagini presentano tuttavia due limiti rilevanti dal
punto di vista della comparabilità:
- sono disponibili solo per alcuni anni, in genere diversi da Paese a Paese;
- sono disomogenee dal punto di vista della formulazione delle domande
se non addirittura da quello delle variabili rilevate (distinzioni tra
fumatori di sigarette e fumatori in generale e tra fumatori regolari e
occasionali).
Ciò nondimeno, nell’ambito di ciascun Paese, esse rappresentano la più
credibile stima disponibile dell’andamento (se non dell’esatta
quantificazione) dei consumi effettivi e possono quindi essere
ragionevolmente utilizzate:
- per comparare la variazione dei consumi effettivi con quello della
distribuzione legale al fine di individuare aree e periodi particolarmente
indiziabili di crescita del mercato nero;
- per confrontare gli andamenti (non i livelli) dei diversi Paesi al fine di
consentire una valutazione, almeno qualitativa, degli effetti differenziali
delle diverse politiche pubbliche.
In linea generale si osserva, con riferimento ai Paesi dell’area Ue15 e al
periodo 2000-2008, una generale tendenza alla riduzione (con alcune
rilevanti eccezioni) la cui articolazione non risulta conclusivamente
19
spiegabile né con le differenze nell’andamento dei prezzi né con le
differenze nelle politiche regolative.
Nella tabella 2.3 sono riportate, per i Paesi dell’area Ue15, le stime
pubblicate dal Who sulla quota standardizzata di fumatori per il 2006. Al di
là delle difformità di alcuni di questi valori rispetto a quelli riportati da altre
fonti si può osservare come la quota di fumatori in Italia risulti inferiore a
quella calcolata con riferimento alla maggior parte dei Paesi europei.
Comparando questo valore con un indice costituito rapportando il numero di
sigarette ufficialmente distribuite alla popolazione residente (al di sopra dei
quindici anni) si ha un ulteriore conferma dell’ampiezza delle possibili
discrasie tra consumi legali e consumi effettivi.
Tab. 2.3 - Ranking dei Paesi Ue15 secondo i valori dell’adult daily smoking
prevalence standardizzati dalla Who per il 2006
Val. %
Svezia
Regno Unito
Finlandia
Portogallo
Italia
Irlanda
Belgio
Paesi Bassi
Danimarca
Francia
Germania
Spagna
Grecia
Lussemburgo
Austria
15
18
21
21
23
24
25
25
26
27
27
28
30
31
41
Fonte: elaborazione Censis su dati Who
20
2.5. Le variazioni del gettito fiscale
La definizione da parte dei singoli Paesi delle accise relative ai tabacchi
lavorati (così come quelle relative agli alcolici e ad alcuni prodotti
energetici) è stata oggetto di regolazione da parte dell’Unione europea fin
dai primi anni ’90 in coincidenza con l’attivazione del mercato interno che
ha determinato l’abolizione dei controlli fiscali alle frontiere.
Nel corso degli ultimi venti anni si sono succedute diverse direttive in linea
generale finalizzate a promuovere un aumento dei prezzi e ad evitare
un’eccessiva diversificazione delle politiche fiscali nazionali che può
produrre (a causa degli acquisti transfrontalieri) una tendenziale
penalizzazione dei Paesi che praticano una più forte tassazione.
Attraverso l’analisi e la riclassificazione dei dati raccolti dalla Dg Taxud
dell’Ue sulla composizione delle entrate fiscali di ciascun Paese, è stato
possibile quantificare per ciascuna nazione oggetto di studio la consistenza
assoluta delle entrate derivanti dalle accise sui tabacchi (ma non dalle
imposte sul valore aggiunto), il peso rispetto alle entrate complessive e i
relativi andamenti nel corso del periodo oggetto di analisi.
Nella tabella 2.4 sono riportati per ciascun Paese dell’area Ue15 i valori
relativi:
- alla media aritmetica delle quote di entrate fiscali coperte dalle accise sul
tabacco calcolate nel periodo 2000-2008,
- alla variazione (nominale) dell’importo del gettito tra il 2000 e il 2008.
La quota delle entrate fiscali è un indicatore dell’importanza che hanno le
accise sui tabacchi negli equilibri di finanza pubblica di ciascun Paese. I dati
evidenziano l’esistenza di situazioni molto differenziate: rispetto al gruppo
“centrale” composto dai Paesi dove l’incidenza è compresa tra l’1,5% e il
2,0% (Spagna, Germania, Regno Unito e Italia) si riscontrano casi come
quelli di Irlanda e Portogallo, dove raggiunge il 2,5% o di Grecia e
Lussemburgo dove si aggira sul 4%, all’opposto l’incidenza media nel
periodo risulta inferiore e compresa tra l’1% e l’1,5% in Austria, Belgio e
Francia e si colloca intorno o al di sotto dell’1,0% in Danimarca, Paesi
Bassi, Svezia e Finlandia.
21
In teoria tanto maggiore è il peso di questa fonte di introiti tanto maggiore
dovrebbe essere l’attenzione delle amministrazioni pubbliche alla sua
salvaguardia. È evidente, infatti, che un calo del mercato legale ha
conseguenze molto più critiche in un Paese dove copre circa il 2% del
gettito (per non dire di quelli dove arriva al 4%) rispetto ad un Paese dove
copre meno dell’1%. Nell’ambito dei singoli casi nazionali saranno pertanto
riportati gli andamenti, anno per anno, di questa variabile critica.
Dall’esame delle variazioni del gettito nel periodo emerge un quadro di
sensibile diversificazione:
- tra i Paesi con crescita elevata si collocano Spagna, Olanda, Italia e
Grecia seguiti da Belgio e Svezia;
- appartengono alla fascia intermedia, con variazioni decisamente minori,
Francia, Irlanda, Germania, Austria e Portogallo;
- decisamente più critici dal punto di vista fiscale gli andamenti osservati
nel periodo in Lussemburgo, Finlandia, Regno Unito e Danimarca.
22
Tab. 2.4 - Indicatori del gettito fiscale da accise sul tabacco nei Paesi dell’area Ue15,
2000-2008
Quota sul totale delle entrate
media aritmetica delle
incidenze % 2000-2008
Andamento %
Variazione nominale 20002008 (*)
LU
EL
4,23
3,76
15,2
35,2
IE
PT
2,53
2,44
22,1
18,9
ES
UK
IT
DE
2,00
1,82
1,55
1,52
66,5
7,7
38,7
19,3
AT
FR
BE
1,30
1,24
1,21
19,0
22,8
33,3
DK
NL
FI
SE
1,02
1,01
0,88
0,66
-6,9
48,4
11,7
28,1
(*) In valuta nazionale per Danimarca, Svezia e Regno Unito.
Fonte: elaborazione Censis su dati Ec Taxation and Custom Union
23
2.6.
L’evoluzione recente
Tra il 2008 e il 2010 la distribuzione legale di sigarette nell’area Ue15 ha
subito un’ulteriore contrazione scendendo da 483 a 448 miliardi di unità;
una riduzione di oltre il 7% decisamente più sensibile di quella manifestatasi
nel triennio precedente.
Quasi la metà del calo è attribuibile alla Spagna, dove la distribuzione è
drasticamente calata da 90,3 a 72,4 miliardi di unità, e un’altra parte
consistente alla Grecia, dove si è scesi da 30,3 a 20,4 miliardi di unità. Tra
gli altri Paesi si segnalano la prosecuzione dei trend di riduzione tendenziale
in Italia e Germania mentre la Francia si mantiene sui livelli raggiunti nel
2004.
Dal punto di vista della consistenza delle entrate da accise sui tabacchi
lavorati tra i maggiori Paesi europei si confermano le dinamiche positive di
Italia (che passa da 10,388 a 10,621 miliardi di euro), Spagna (da 7,526 a
8,023 miliardi); appaiono in recupero la Francia (da 9,550 a 10,358 miliardi
di euro grazie all’apporto dei prodotti diversi dalle sigarette) e il Regno
Unito (da 8,171 a 9,050 miliardi di sterline) mentre prosegue la riduzione
del gettito in Germania (da 13,562 a 13,477 miliardi).
24
3.
CASI NAZIONALI
3.1. Introduzione
Nei paragrafi successivi saranno presentati una serie di casi nazionali di
Paesi dell’area Ue15 (Francia, Irlanda, Regno Unito, Germania e Spagna).
Per ciascun Paese saranno esaminati:
- le informazioni relative alle variazioni di politica fiscale e al conseguente
andamento dei prezzi (misurato attraverso le variazioni dell’Mppc);
- i dati relativi all’andamento delle vendite legali di sigarette tratti dalla
documentazione ufficiale Ue;
- le diverse stime dei consumi effettivi (o meglio della proxy costituita
dalle stime della quota di fumatori, ricavabili sia da indagini nazionali –
multiscopo o sanitarie sia da survey comparative internazionali – indagini
Eurobarometro, database di organizzazioni internazionali come Oecd e
Who) e del loro andamento;
- i dati relativi al gettito fiscale da accise, al suo andamento e all’incidenza
sul totale delle entrate fiscali di ciascun Paese (fonte database fiscale
della Ue Dg Taxud).
I risultati dell’analisi dei singoli casi nazionali saranno utilizzati per
disegnare lo schema di un modello interpretativo degli effetti delle politiche
d’inasprimento della tassazione e incremento dei prezzi sui comportamenti
dei consumatori che cerca di superare la contrapposizione di interpretazioni
semplificate ogni dominante.
I casi esaminati mettono, infatti, in evidenza la difficile sostenibilità sia
della tesi secondo la quale gli incrementi di prezzo non producono effetti
sulla diffusione del mercato illecito (che dipenderebbe solo dalle capacità di
contrasto delle autorità fiscali e doganali) sia di quella, altrettanto estrema,
secondo la quale essi produrrebbero esclusivamente un trasferimento di
domanda verso tale canale.
25
Lo schema di modello interpretativo proposto evidenzia in particolare il
ruolo cruciale che ha la distribuzione temporale degli aumenti,
argomentando che è soprattutto una crescita consistente e concentrata nel
tempo a determinare, sia dal punto di vista della domanda che da quello
dell’offerta, le condizioni per la diffusione di contrabbando e acquisti
transfrontalieri.
L’analisi sviluppata mette, inoltre, in luce come le nuove forme assunte dal
mercato illegale (con crescente peso dei prodotti contraffatti o non ufficiali
rispetto all’importazione illegale di prodotti ufficiali) aumenta l’impatto
negativo del mercato illecito non solo sul versante degli obiettivi fiscali ma
anche su quello delle politiche socio-sanitarie.
3.2.
Il caso francese
Andamento tasse e prezzi
La Francia è stata protagonista, nella prima parte di questo decennio, di una
politica particolarmente aggressiva sul fronte dei prezzi: in poco più di un
anno tra il dicembre 2002 e il gennaio 2004 il costo di un pacchetto di
sigarette maggiormente venduto è passato da 3,60 euro a 5,00 euro (fig.
FRA1). Un incremento estremamente significativo sia in termini assoluti
(1,40 euro) che in termini percentuali (quasi il 30% in più) che ha collocato
la Francia ai vertici della graduatoria continentale.
Nonostante negli anni successivi le variazioni siano state più contenute la
Francia ha mantenuto questo posizionamento. Secondo i dati recentemente
raccolti dalla Dg Taxud dell’Ue il prezzo “medio” di un pacchetto da 20
sigarette in Francia si colloca all’inizio del 2011 a 5,40 euro (di cui 4,35 di
quota fiscale), superato solo dai valori registrati nelle realtà insulari
dell’Irlanda (8,47 euro) e del Regno Unito (5,44 sterline); in tutti gli altri
Paesi europei il prezzo è inferiore ai 5 euro.
Distribuzione legale
L’impatto sulla distribuzione legale degli incrementi di prezzo del 2003 è
stato fortissimo. Per quanto riguarda le sigarette si è scesi dagli 80,5 miliardi
26
di unità del 2002 ai 54,9 miliardi del 2004, una contrazione di quasi un terzo
delle vendite ufficiali (fig. FRA2) solo marginalmente bilanciata
dall’incremento del fine cut tobacco passato da 5,7 a 7 milioni di chili. Le
quantità vendute sono rimaste sostanzialmente stabili negli anni successivi,
toccando un minimo di 53,6 miliardi nel 2008 e rimanendo comunque al di
sotto dei 55 miliardi nei due anni seguenti. La Francia presenta di
conseguenza un valore del numero di sigarette ufficialmente vendute per
abitante (maggiore di 15 anni) decisamente più basso della media europea
(meno di 1.050 contro più di 1.400) ma, come si vedrà meglio più avanti, a
questo non corrispondono indicazioni sui consumi effettivi similmente
caratterizzate.
Consumi effettivi
La straordinaria riduzione della distribuzione legale osservata tra il 2002 e il
2004 non trova infatti pieno riscontro nei risultati delle indagini sui
consumi.
Particolarmente accurate, anche perché basate su un numero molto elevato
di interviste (circa 30.000), sono le indagini Baromètre santè effettuate
dall’Institut National de Prévention et d’Education pour la Santé (Inpes)
disponibili per gli anni 2000, 2005 e 2010.
Secondo le indagini Inpes la quota di fumatori sulla popolazione tra i 12 ed i
75 anni in Francia si era ridotta dal 33,1% del 2000 (29,6% regolari e 4,6%
occasionali) al 29,9% del 2005 (24,9% fumatori regolari e 5,0% occasionali)
del 2005. Nel successivo quinquennio, peraltro, la percentuale è tornata ad
aumentare attestandosi nel 2010 (con riferimento alla fascia 15-75 anni) al
33,7% (Fig. FRA3).
Un andamento simile lo si ricava dall’analisi delle rilevazioni nazionali
riportate nella banca dati dell’Oecd secondo le quali la quota di fumatori è
scesa, infatti, dal 27,0% del 2001 al 23,4% del 2004 per poi risalire a circa il
26% negli anni successivi. Decisamente più accentuato il calo ricavabile a
partire dalle indagini dell’Eurobarometro secondo le quali la quota di
fumatori dichiarati in Francia si sarebbe ridotta dal 44% del 2002 al 33% del
2005 (per poi rimanere su tale quota nelle indagini successive). È da
osservare, tuttavia, che i dati dell’Eurobarometro della variazione 20022005 appaiono sistematicamente più elevati di quelli ricavabili dalle più
ampie indagini nazionali.
27
Assumendo dunque come riferimento l’indagine Inpes il calo della quota
osservato tra il 2000 ed il 2005 equivale (tenendo conto della variazione
complessiva della popolazione) ad una riduzione di meno del 10% del
numero complessivo di fumatori, una contrazione corrispondente a circa un
terzo della riduzione della distribuzione legale. Poiché l’indagine non
segnala significative riduzioni delle quantità medie di sigarette fumate, la
spiegazione di questa discrasia sviluppata dai ricercatori dell’Inpes fa
riferimento a tre diversi elementi:
- lo spostamento di parte della domanda verso altri prodotti da fumo meno
tassati (tabacco per sigarette fatte a mano, sigaretti etc.);
- il ricorso al mercato nero;
- la crescita degli acquisti transfrontalieri.
Il rapporto Baromètre santé 2005/ Attitudes et comportements de santé nel
capitolo “Les Français et la cigarette en 2005: un divorce pas encore
consommé” segnala che “Les donnés de vente de cigarettes offrent donc un
aperçu de plus en plus imparfait des compertements des fumeurs, parce que
ceux-ci ne fument pas que des cigarettes manufacturées et sont suscetibles
de se fournir à l’étranger, voire au marché noir”.
Più in generale, secondo gli esperti dell’Inpes “l’augmentation des prix a
bien eu un effet incitatif à l’arret du tabagisme, mais il semble que cet effet
soit relativement éphémère et que la motivation qu’elle suscite ne se
concrétise pas toujours par des arrêt reussi”. Più efficace sembra essere
l’effetto prezzi come deterrente all’entrata, come indica il fatto che “entre
2000 et 2005 le recul du tabagisme se concentre donc sur la population
adolescente”. È d’altra parte plausibile che, rispetto all’ingresso nel
mercato, ciò che conti sia il livello assoluto dei prezzi (e l’aspettativa del
loro andamento futuro) e non l’ampiezza della singola variazione.
Mercato irregolare
Particolare attenzione è stata dedicata in Francia all’analisi delle dinamiche
degli acquisti transfrontalieri a partire dalla constatazione che la riduzione
delle vendite legali ha avuto un andamento geograficamente fortemente
differenziato tra le regioni prossime ai confini (dove è stata di oltre il 40%)
e quelle interne (dove non è andata al di là del 30%). Il differenziale di
prezzo di circa un euro esistente rispetto ai Paesi confinanti a oriente
28
(Belgio, Lussemburgo, Svizzera, Italia e la stessa Germania) e di quasi due
euro rispetto alla Spagna ha determinato le condizioni sia per
comportamenti strettamente individuali (acquisto di modeste quantità per
uso personale) sia per la diffusione di un mercato grigio (acquisto
organizzato di quantità più consistenti per la rivendita).
Secondo le stime recentemente revisionate e pubblicate dall’Observatoire
Français des Drogues et des Tobaccomanies (Ofdt) nel periodo 2005-2007
possono essere calcolati acquisti transfrontalieri per una quantità superiore
alle 10.000 tonnellate anno, corrispondenti a circa un quinto delle vendite
legali.
Una conferma che la discrasia osservata tra enorme crollo delle vendite
legali e modesta contrazione dei fumatori dichiarati costituisca un rilevante
indizio della crescita dei consumi legati agli acquisti transfrontalieri, oppure
allo sviluppo di veri e propri traffici illegali, la si ha dallo studio effettuato
dalla Kpmg per conto della Dg Taxud dell’Ue e pubblicato nel 2005
secondo il quale:
“Cross-border shopping skyrockets in Member States (France and partly
Germany) drastically increasing their national excise duty rates, partly
mitigating and undermining the national excise policy of these Member
States. To the contrary, cross border shopping diminishes in case Member
States (Denmark and Finland) decrease or freeze their national excise duty
rates.”
Lo studio Kpmg-Dg Taxud presenta una stima della legitimate
circumvention per la Francia che passa da 0 nel 2002 a 5,9 miliardi di
sigarette nel 2004 e colloca la quota di mercato in elusione di imposta al
2004 al 15% del totale.
Il caso francese sembra dunque corroborare la tesi, sostenuta anche in un
recente studio dell’ International Tax and Investment Center secondo il
quale “sharp excise rates increases which lead to a sudden decline in
consumer affordability tend to be particular drivers of the emergence of
illicit trade”. Lo stesso studio colloca la Francia nella fascia dei Paesi dove
la quota di commercio illecito supera il 10%.
29
Risultati fiscali
Dal punto di vista delle politiche tributarie i risultati ottenuti dalla Francia
con la strategia dell’incremento repentino di tasse e prezzi non appaiono
particolarmente soddisfacenti. Secondo i dati raccolti dalla Dg Taxud,
infatti, l’incremento (a prezzi correnti) delle entrate da accise sui tabacchi
realizzato in Francia tra il 2001 e il 2004 è stato del 10% a fronte di una
crescita ottenuta nello stesso periodo dal fisco italiano del 19%; nel periodo
successivo (2004-2009) l’incremento nominale francese è stato del 7%
mentre quello italiano ha raggiunto il 20%.
Considerando poi la variabile fondamentale dal punto di vista delle politiche
fiscali ovvero l’incidenza delle accise sui tabacchi sul totale delle entrate
fiscali si osserva che il valore francese è più basso di quella osservato negli
altri grandi Paesi dell’area Ue15 ed ha fatto registrare un andamento
decrescente, diminuendo dall’1,32% del 2002 all’1,18% del 2008 (Fig.
FRA4).
Il già citato studio dell’Observatoire Français des Drogues et des
Tobaccomanies (Ofdt) valuta in più di due miliardi di euro l’anno la perdita
di introiti fiscali per lo Stato francese derivante dagli acquisti
transfrontalieri, una cifra corrispondente a circa un quinto delle entrate
effettive.
Conclusioni
A partire dal 2004 la politica fiscale francese è stata più prudente e gli
aumenti più contenuti ancorché certamente più elevati dell’inflazione (30
centesimi alla fine del 2007 e altri 30 centesimi alla fine del 2009). Tra il
2007 e il 2008, inoltre, sono state adottate le restrizioni al fumo negli spazi
pubblici. A fronte di questo la distribuzione legale è rimasta sostanzialmente
stabile (oscillando intorno ai 55 milioni di sigarette) e la quota dei fumatori
dichiarati è tornata a crescere.
L’ultima indagine, effettuata nel 2010 dall’Inpes mostra un’inversione di
tendenza con una crescita della quota dei fumatori quotidiani nella fascia
15-75 dal 27,3% al 29,1% dei fumatori regolari e dal 31,8% al 33,7% dei
fumatori complessivi. Questo incremento risulta parzialmente bilanciato
dalla riduzione delle quantità mediamente consumate (da 15,4 a 13,9
sigarette giorno) in parte attribuibile agli effetti delle misure di limitazione
30
del fumo nei luoghi pubblici. Le stesse rivelazioni dell’Eurobarometro
segnalano, a loro volta, un andamento eccentrico della Francia, dove la
quota dei fumatori rimane inalterata a fronte di una tendenza alla riduzione
prevalente nello stesso periodo nella maggior parte degli altri Paesi europei.
L’andamento sostanzialmente piatto negli anni successivi al 2005 sembra
dunque indicare che la concentrazione di forti aumenti in un breve lasso di
tempo possa aver determinato una riarticolazione del mercato che lo ha reso
poco sensibile a successivi, più contenuti, aumenti di prezzo. Questo può
essere spiegato con una sorta di “mitridatizzazione” del consumatore legale
che, una volta accettato un aumento notevole di prezzo, non reagisce più ad
aumenti di minore entità. Alternativamente si può ipotizzare che una volta
diffusi i comportamenti di acquisto “alternativi” questi si stabilizzano ed
anzi vengono rilanciati anche di fronte ad aumenti contenuti e che, una volta
attivati, i canali di distribuzione illegale di prodotti contraffatti o di
contrabbando questi si radicano nel territorio e si alimentano anche di
marginali modifiche nella convenienza economica.
In sintesi il caso francese sembra indicare che l’incremento repentino di
tasse e prezzi distribuisce i suoi effetti sia sulla caduta dei consumi effettivi
sia sullo spostamento verso consumi meno tassati (tabacco per sigarette non
confezionate e acquisti transfrontalieri) o non tassati affatto (contrabbando,
contraffazione) rendendo il “costo fiscale” dell’obiettivo dissuasivo più
elevato di quello sostenuto nel caso di strategie di aumento graduale. Nello
stesso tempo non sembrano emergere evidenze che indichino che una
strategia fiscale particolarmente aggressiva nel breve periodo produca, sul
fronte socio-sanitario, effetti più consistenti e duraturi di quelli ottenibili con
una strategia graduale.
Per quanto riguarda le iniziative di limitazione e dissuasione le valutazioni
effettuate in Francia sulla sorta dei dati relativi al confronto 2005-2010 sono
abbastanza articolate e problematiche. In uno studio pubblicato dall’Inpes
all’inizio del 2010 si sottolinea il ruolo di determinanti socio-economiche
nel grado di considerazione prestato dai cittadini nei confronti delle
campagne dissuasive. Queste sembrano risultare meno efficaci (e non meno
conosciute) negli strati di popolazione più disagiati che hanno una minore
attitudine ad un’auto proiezione positiva nel futuro ed un minore grado di
fiducia nelle istituzioni e nelle autorità in generale.
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Fig. FRA1- Andamento Mppc in Francia, 2001-2010
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Fonte: elaborazione Censis su fonti varie
Fig. FRA2 – Quantità di sigarette legalmente distribuite: confronto Francia-Ue15,
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Francia-Italia, 2000-2008 (val. %)
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Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud
33
3.3.
Il caso irlandese
Il caso Irlandese si presenta, per molti aspetti, simile a quello francese
accentuandone alcune caratteristiche:
anche in questo caso ci si trova di fronte a politiche pubbliche molto
aggressive sul fronte fiscale che si sono tradotte in forti incrementi di
prezzi, particolarmente accentuati in alcuni periodi;
anche in questo caso si manifestano forti effetti di riduzione della
distribuzione legale cui non corrispondono risultati altrettanto ampi e
univoci sui consumi effettivi ma che determinano criticità sul versante
degli introiti fiscali.
L’Irlanda, inoltre, si caratterizza per politiche regolative particolarmente
determinate. Tra il 2002 ed il 2004 sono state adottate norme restrittive sulle
promozioni, pubblicità e sponsorship ed a partire dal 2009 è vietata la
pubblicità nei punti vendita e limitata l’esposizione dei prodotti. Gli health
warning sui pacchetti sono obbligatori dal 2008 e le norme approvate nel
2009 prevedono l’introduzione dei pictorial warning. Le limitazioni al fumo
negli spazi pubblici previste dal 2002 sono state rese operative nel 2004 in
forme particolarmente estensive.
Andamento tasse e prezzi
L’andamento del Mppc (“prezzo prevalente”) in Irlanda nell’ultimo
decennio è illustrato nella figura IRL1. Partendo da una base di per sé molto
elevata, oltre 4,7 euro a pacchetto, la crescita del prezzo di vendita ha subito
una serie di accelerazioni legate agli incrementi dell’imposizione:
alla fine del 2002 quando il prezzo è passato da 5,16 a 5,71 euro;
alla fine del 2006 quando viene portato da 6,45 a 7,05;
tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 quando è cresciuto da 7,45 a 8,45
euro, raggiungendo il massimo livello tra i Paesi dell’area Euro.
Complessivamente il carico fiscale su un pacchetto è passato dai 3,8 euro
del 2001 ai 6,7 euro del 2009.
34
Distribuzione legale
Le conseguenze di questi aumenti sui volumi di sigarette legalmente
distribuiti sono state molto rilevanti, soprattutto nella prima fase. Secondo i
dati riportati nella nota della Dg Taxation and Custom Union della
Commissione europea la quantità di sigarette releases for consumption in
Irlanda è scesa dai 7 miliardi di unità nel 2002 ai 5,3 nel 2004 con una
riduzione del 24% decisamente superiore al 10% dell’insieme dei Paesi
dell’area Ue15 (Fig. IRL2). Nel biennio successivo la quantità di sigarette
distribuite legalmente è lievemente aumentata, per tornare a diminuire dopo
il 2006 fino a scendere a 4,1 miliardi di unità nel 2010 (con una riduzione
complessiva del 41% nell’arco 2002-2010 decisamente più ampia di quella
realizzata nella media Ue15 che è stata del 25%). Non si rilevano, se non nel
2009, significative variazioni nelle quantità di fine cut tobacco.
Consumi effettivi
Anche nel caso irlandese è molto difficile trovare valutazioni univoche
dell’andamento dei consumi effettivi o della proxy più utilizzata costituita
dalla quota di fumatori sul totale della popolazione (fig. IRL3). La
rilevazione che appare più solida è contenuta nella Survey of Lifestyle,
Attitudes and Nutrition in Ireland (Slan) effettuata per conto del Ministero
della Sanità attraverso interviste dirette ad un consistente campione
rappresentativo della popolazione irlandese (oltre 10.000 unità nel 2007).
Questa però fornisce dati relativi solamente agli anni 1998, 2002 e 2007. Il
confronto tra le tre annualità dell’indagine, che rileva la quota di current
smokers dichiarati nella popolazione residente di età superiore ai 18 anni,
mostra un calo (dal 33% al 27%) tra il 1998 ed il 2002 ed una risalita al 29%
nel quinquennio successivo. Quest'ultimo dato induce il Department of
Health and Children a dichiarare nel rapporto Smoking Patterns in Ireland
che:
“The success of Ireland’s smoking ban has primarily been in reduced risks
from passive smoking. There is no evidence that Ireland has achieved a
sustained downward trend in overall smoking rates.”
Il trend ricavabile dalla Slan non è del tutto coerente con i dati delle indagini
dell’Eurobarometro secondo le quali la quota di fumatori in Irlanda sarebbe
scesa dal 36% al 30% tra il 2002 ed il 2005 per poi risalire al 31% nel 2009.
Come già osservato, tuttavia, le rilevazioni Eurobarometer, si caratterizzano
35
per valori riferiti al 2002 sistematicamente più elevati di quelli ricavabili
dalle survey nazionali e conseguentemente con decrementi 2002-2005
particolarmente elevati. È da osservare che la riduzione irlandese (-6%)
risulta comunque inferiore a quella stimata da Eurobarometer per l’intera
area Ue15 (-7%) e che le due fonti concordano nell’individuare un
tendenziale incremento dei fumatori dichiarati nella seconda parte del
decennio.
Nel complesso si può osservare che alla forte riduzione del 2002-2004 delle
quantità legalmente distribuite non corrisponde una riduzione dei consumi
effettivi di analoga proporzione e che al progressivo declino delle quantità
legali del periodo 2006-2009 non fa riscontro una riduzione dei consumi.
Mercato irregolare
Come già evidenziato nel caso francese le discrasie tra andamenti della
distribuzione legale e dei consumi effettivi indicano tendenzialmente
l’espansione della quota di mercato illegale e/o dei consumi transfrontalieri.
Secondo lo studio dell’International Tax and Investment Center in Irlanda:
“In 2005, illegal (non duty paid) volume emerged in the market, reaching
approximately 8% of total consumption. However, the flow of contraband
products escalated rapidly, reaching an estimated 25% of the market in
2009, equivalent to 1.5 bilion stick”.
La recente pubblicazione di Europol Organised Crime Threath Assessment
(Octa 2011) segnala come
“Preferred destinations within the EU are countries with comparatively
high taxes on tobacco, such as the Scandinavian countries, Germany, Spain,
the UK and Ireland. Destination countries may also serve as transit points
to larger markets in other Member States, as in the case of Ireland, where
the land border with Northern Ireland is susceptible to smuggling into the
UK.
The economic impact of cigarette smuggling is significant: it represents a
substantial loss to national and EU budgets, estimated at around 10 billion
euros per year, and damages the interests of legitimate manufacturers and
retailers. Cheaper and smuggled products also constitute a marked threat to
EU efforts on tobacco control, and by extension the objective of reducing
consumption.”
36
Secondo l’associazione Retailers Against Smuggling, l’Irlanda è ormai
“vista dai contrabbandieri internazionali come un paradiso” per l’alto prezzo
ufficiale delle sigarette e la debolezza delle sanzioni. La stima delle vendite
illegali nel 2010 arriva a 1,6 miliardi di sigarette corrispondenti ad una
perdita di 758 milioni di euro di fatturato per i rivenditori autorizzati cui si
aggiungono 400 miliardi derivanti da cross purchases; la stima dei mancati
introiti fiscali supera il mezzo miliardo di euro.
Più contenute, ma comunque elevate, le valutazioni ufficiali. Secondo il
documento Revenue’s Strategy On Combating the Illicit Tobacco Trade
(2011 2013) dell’Irish Tax and Customs:
“While the measurement of the scale of the illicit trade is difficult in any
country, it is tentatively estimated that illicit cigarettes accounted for
approximately 14% of all cigarettes consumed in the State in 2009 based on
an independent survey carried out for Revenue and the Office of Tobacco
Control. This represents a potential loss of €200 million in excise duty for
the Irish Exchequer.”
Risultati fiscali
In effetti gli impatti fiscali delle politiche aggressive sulle accise sono stati
abbastanza critici. Dal 2001 al 2008 il gettito è passato da 1,14 ad 1,17
miliardi di euro (avendo toccato un minimo di 1,06 nel 2004) con una
crescita nominale inferiore al 2,6% (nello stesso periodo in Italia il valore a
prezzi correnti del gettito è cresciuto del 42,0%). Ciò ha determinato un
rilevante calo del contributo agli equilibri finanziari irlandesi facendo
diminuire la quota ricavata dalle accise sul tabacco dal 3,2% al 2,2% del
totale delle entrate (fig. IRL4).
37
Fig. IRL1- Andamento Mppc in Irlanda (2001-2010)
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Fonte: elaborazione Censis su fonti varie
Fig. IRL2 - Quantità di sigarette legalmente distribuite - Confronto Irlanda/ Ue15,
numeri indici 2002-2010
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Fig. IRL3 - Quota fumatori dichiarati sulla popolazione in Irlanda
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Fig. IRL.4 - Quota del gettito da accise sul tabacco sul totale introiti fiscali: confronto
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Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud
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3.4.
Il caso del Regno Unito
Evoluzione tasse e prezzi
Il Regno Unito ha anticipato gran parte dei Paesi europei nella strategia
dell’elevata tassazione sul tabacco (fig. UK1). All’inizio di questo decennio
il Mppc si collocava a quota £ 4,17 per un pacchetto di 20 sigarette
corrispondente ad un valore di quasi 6,85 euro. Nello stesso periodo il
prezzo in Francia era equivalente a circa 3,20 euro, in Germinia a 2,96 euro,
a 2,07 euro in Italia, a 1,68 in Spagna. L’elevato livello britannico era frutto
di una strategia continuativa che aveva però avuto due fasi di accelerazione:
tra la fine dell’89 e l’inizio del ’92 quando i prezzi erano aumentati di oltre
un terzo (da £1,65 a £2,23), tra la fine del ’97 e l’inizio del 2000 quando si
era determinato un altro aumento repentino di circa una sterlina a pacchetto
(da £3,17 a £4,17) l’80% del quale con destinazione fiscale.
Nel corso di questo decennio i prezzi hanno mantenuto un andamento
ascendente in qualche modo “fisiologico” fino al nuovo shock fiscale del
2008 che ha aperto un’altra fase di repentina crescita dei prezzi di vendita.
Distribuzione legale
Alle due fasi di inasprimento fiscale e accelerazione della crescita dei prezzi
hanno fatto riscontro altrettante fasi di caduta delle quantità legalmente
distribuite che si sono ridotte da 99 a 85,4 miliardi di pezzi tra 1990 e il
1993 e da 77,4 a 56,3 miliardi di pezzi tra il 1997 e il 2000.
Nel corso dell’ultimo decennio il mercato legale di sigarette ha continuato a
contrarsi ad un ritmo di circa 3 punti percentuali l’anno con un apparente
arresto della caduta a partire dal 2007 (fig. UK 2). A fronte di questo
andamento si osserva, a partire dalla fine degli anni ’90, una significativa
crescita delle vendite legali di tobacco RYO che sono sostanzialmente
raddoppiate in un decennio passando dalle 1.800 tonnellate del 1998 alle
oltre 3.600 del 2007 ed arrivando a superare, secondo i dati raccolti dalla
DG – Taxud, le 5.600 tonnellate nel 2010.
40
Consumi effettivi
Secondo il rapporto Smoking and drinking among adults pubblicato
dall’Office for National Statistics nel 2009, le indagini campionarie
sottostimano il consumo di sigarette e, in misura minore, la quota di
fumatori nella popolazione e in particolare tra i giovani per i quali si
adottano particolari tecniche di intervista. Posta questa premessa il
documento riporta il risultato dell’indagine effettuata nel 2009 nell’ambito
della General LifeStyle Survey (Glf) indagine omnibus/multiscopo che ha
coinvolto 8.000 famiglie e circa 15.000 cittadini di oltre 16 anni, in base alla
quale la quota di fumatori di sigarette si colloca nel 2009 al 21% della
popolazione, confermando sostanzialmente il livello raggiunto nel 2006, la
quota di fumatori totali risulta superiore di circa un punto percentuale.
La serie storica elaborata nel rapporto (che differisce lievemente da altre
elaborazioni dello stesso Ons) evidenzia due fasi di calo: una relativa ai
primi anni ’90 e l’altra tra il 2001 ed il 2006 (fig. UK3). Risulta ancora una
volta del tutto eccentrico il dato ricavabile dall’indagine Eurobarometer del
2002 (45% di fumatori contro il 28% rilevato da Ons) e di conseguenza non
trova riscontro il vertiginoso calo da questa evidenziato nel confronto 20022005.
La discrasia tra andamento del mercato legale e dei consumi effettivi che in
altri Paesi si manifesta nei dati relativi all’ultimo decennio nel caso
britannico è invece più rilevante in riferimento agli anni ’90. A fronte di un
calo della quantità di sigarette legalmente distribuite tra il 1990 ed il 2000 di
circa il 43% il numero di fumatori di sigarette “confezionate” risulta ridotto
al massimo del 20%. Maggiore coerenza tra l’andamento delle quantità
legalmente distribuite e quello dei fumatori di sigarette confezionate si
manifesta nel corso dell’ultimo decennio. Questa sommaria analisi dei dati
sembra dunque indicare che il caso britannico si differenzia da quelli
precedentemente esaminati per la diversa collocazione temporale
dell’incremento dei traffici non regolari, avvenuto negli anni 90
(presumibilmente in corrispondenza delle due fasi di accelerazione nella
crescita dei prezzi) e stabilizzatosi in questo decennio.
Tra il 1995 ed il 2000 il contributo delle accise agli introiti pubblici del
Regno Unito è, d’altra parte, drasticamente sceso dal 2,8% al 2,0%; dopo
una stabilizzazione nei primi anni 2000 si è nuovamente manifestata una
dinamica discendente che ha portato la quota a scendere sotto l’1,5% nel
2008 (fig. UK4).
41
Mercato irregolare
Il documento Tackling Tobacco Smuggling Together congiuntamente
predisposto dalla Hm Revenue & Customs e dalla Uk Border Agency nel
2008 costituisce una efficace sintesi delle analisi e delle valutazioni che le
istituzioni britanniche preposte alla lotta al contrabbando hanno potuto
sviluppare sulla scorta di un’esperienza storica particolarmente rilevante.
Il documento sottolinea in primo luogo come:
“In 2000, more than 1 cigarette in 5 smoked in the Uk was smuggled – an increase
of 50 per cent on the previous year – and this was predicted to rise to 1 in 3 within
a few years. Tobacco smuggling was costing over £3bn a year in lost tax revenue.”
Dopo un decennio caratterizzato da due fasi di crescita concentrate dei
prezzi, dunque, il contrabbando aveva raggiunto una dimensione pari al
25% del mercato legale britannico, provocando un danno fiscale di 3
miliardi di sterline anno, e rischiava di crescere ulteriormente fino a coprire
oltre un terzo del mercato complessivo (cioè a raggiungere una dimensione
pari al 50% di quello legale).
Individuato il contrasto al contrabbando come una priorità della politica
fiscale, le autorità del Regno Unito hanno dispiegato una strategia su più
fronti tra i quali particolare rilievo hanno assunto il potenziamento e la
razionalizzazione degli strumenti di controllo e la definizione di intese con
le imprese produttrici formalizzate con la sigla del Memoranda of
Understanding del 2002.
“The MoUs set out a framework which has resulted in the incidence of Ukmanufactured cigarettes being smuggled into the Uk falling markedly.
Building on the success of the original MoUs, they were strengthened in
2006 as part of the strategy refresh to improve the targeting of counterfeit
product and expand their scope to include Hrt”.
Se la cooperazione con i produttori ha consentito di ridurre fortemente la
quota di sigarette originali prodotte in Uk, esportate e quindi reimportate di
contrabbando, il mercato illegale ha virato verso altre tipologie:
“The brand mix found on the Uk illicit cigarette market has been
progressively diversifying. Initially, counterfeit cigarettes began to
represent a rapidly growing share of the illicit market and, more recently,
brands not sold on the legitimate Uk market, in particular so called “cheap
42
white” brands made by small independent tobacco companies are
representing a growing share of cigarette seizures.”
Secondo le autorità del Regno Unito la rapida crescita dello smercio di
prodotti contraffatti (arrivata quasi al 50% del mercato illegale) presenta
“rischi addizionali” essendo frutto di produzioni sviluppate in ambienti non
regolati e privi di controllo. Più recentemente risulta in crescita il fenomeno
delle cheap whites, ovvero sigarette con brand non riconosciuti
ufficialmente realizzate da produttori non classificati e immesse sul mercato
a prezzi particolarmente bassi.
Lo sviluppo di questa growing risk area risulta, secondo alcune analisi,
connesso all’indebolimento sul mercato dei brand regolarmente prodotti che
scontano, oltre al differenziale di prezzo, l’impatto delle politiche restrittive
sulla comunicazione.
Oltre alle tipologie di prodotto anche il modus operandi delle organizzazioni
dedite al contrabbando è in continua evoluzione come dimostra la rapida
modificazione delle quantità sequestrate secondo le diverse modalità di
ingresso.
In conclusione le istituzioni fiscali e doganali del Regno Unito sottolineano
la cruciale questione dell’impatto negativo rispetto agli obiettivi sociosanitari della diffusione e del consolidamento dei canali distributivi illegali:
“Despite the significant success of Hmrc and the Ukba in reducing
smuggling, the availability of cheap, illicit tobacco in communities
undermines the effectiveness of this policy and the Department of Health’s
efforts to reduce smoking prevalence, especially among young people and
those in routine and manual workers groups. Illicit tobacco products are
available in our communities at less than half the price of their duty paid
equivalent.”
43
Fig. UK1 – Andamento Mppc nel Regno Unito, 1985-2010
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Fig. UK3 - Quota fumatori dichiarati sulla popolazione nel Regno Unito
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Fonte: elaborazione Censis su fonti varie
Fig. UK.4 - Quota gettito da accise sul tabacco sul totale introiti fiscali: confronto
Regno Unito-Italia, 1995-2008
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Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud
45
3.5. Il caso tedesco
Attualmente il prezzo delle sigarette in Germania si colloca nella fascia
medio-alta dei Paesi dell’Europa continentale; l’Mppc per 1.000 sigarette è
pari a 247,37 euro e il Wap (prezzo medio ponderato) a 229,80. Valori
simili a quelli osservabili in Belgio, Olanda e Danimarca ma decisamente
superiori a quelli dei Paesi (Polonia e Repubblica Ceca in primo luogo)
posti ai confini orientali.
Anche la Germania è stata protagonista di una stagione di crescita dei prezzi
nella prima parte del decennio, seppure in forme meno accentuate e
concentrate di quanto avvenuto in Francia. La fase cruciale degli aumenti si
colloca nel biennio 2004-2005 quando l’Mppc (espresso per comodità di
confronto in riferimento ad un pacchetto da 20 sigarette) è passato dai 3,37
euro del gennaio 2004 ai 4,47 del settembre 2005 (fig. GER1).
Questi incrementi hanno determinato un’accentuazione della tendenza, già
presente, alla riduzione della distribuzione legale, che ha portato il numero
di sigarette legalmente distribuite a crollare dai 132,6 miliardi di unità del
2003 ai 95,8 del 2005. Negli anni successivi, contrariamente a quanto
avvenuto in Francia, il calo è proseguito portando la distribuzione legale a
scendere sotto gli 84 miliardi di unità nel 2010 (fig. GER2).
I consumi effettivi, indicativamente misurati dalla quota di fumatori sulla
popolazione con almeno quindici anni rilevata nell’indagine Microcensus
dell’Ufficio Statistico Federale, hanno seguito un andamento assai meno
eclatante. La quota risulta infatti diminuita tra il 1999 ed il 2003 (dal 28,3%
al 27,4%), stabile fino al 2005 (27,2%), nuovamente in riduzione nel 2009
(25,7%) (fig. GER3).
Anche in questo caso, dunque, si riscontra una discrasia tra andamento della
distribuzione legale e consumi dichiarati. Il crollo della prima tra il 2003 e il
2005 è facilmente collegabile all’effetto che l’incremento dei prezzi può
aver avuto sugli acquisti transfrontalieri (lo testimoniano indirettamente gli
andamenti delle vendite in Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) e sul
contrabbando. Questo ultimo si era insediato in Germania già negli anni ’90
(gli street vendors vietnamiti) ma ha subito una rilevante evoluzione
nell’ultimo decennio.
Secondo le stime, prudenziali, contenute nel già citato studio redatto dalla
Kpmg per la Dg Taxud del 2005, la quota di commercio non tassato era
46
passata dal 7% del 2002 al 14% del 2004, quando la Germania da luogo di
transito è diventata anche luogo di destinazione dei prodotti di
contrabbando.
Nel periodo “critico” la combinazione tra incremento della tassazione
unitaria e riduzione delle quantità aveva prodotto una sostanziale
stabilizzazione del gettito fiscale da accise sia in termini di valore nominale
(dai 13,8 miliardi di euro del 2002 ai 14,4 del 2005) sia in termini di quota
sull’insieme delle entrate pubbliche (dall’1,62% del 2002 all’1,64% del
2005) (fig. GER 4). Il consolidamento dei traffici illegali ha, tuttavia, fatto
sentire i suoi effetti negli anni successivi quando, pur in presenza di aumenti
di prezzo più contenuti, le vendite legali hanno continuato a diminuire
provocando la contrazione del gettito (sceso nel 2008 a 13,5 miliardi di euro
corrispondenti a meno dell’1,4% delle entrate).
Studi recenti, effettuati dall’associazione delle industrie del tabacco
tedesche collocano la quantità di sigarette non tassate consumate in
Germania nel 2010 oltre i 22 miliardi di unità; un ammontare pari a circa un
quinto dei consumi complessivi, che raggiunge quote di oltre il 40% nelle
regioni orientali, determinando una perdita di entrate per il fisco vicina ai 4
miliardi di euro.
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Fonte: elaborazione Censis su fonti varie
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2002-2010 (numeri indici: 2002=100)
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Fonte: elaborazione Censis su fonti varie
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Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud
3.6.
Il caso spagnolo
Fino al 2008 la Spagna è stata caratterizzata da un basso livello dei prezzi al
consumo con un andamento temporale caratterizzato da moderati
incrementi. Solo nell’ultimo periodo si è determinato un consistente
incremento che ha portato l’Mppc (e il prezzo medio) ad avvicinarsi, pur
rimanendo inferiore, ai livelli prevalenti negli altri Paesi dell’area Ue15
(Fig. SPA1).
I ridotti livelli dei prezzi al consumo hanno fatto si che la Spagna, già di per
sé importante meta turistica, fosse luogo di acquisti transfrontalieri in
particolare da parte di consumatori britannici e francesi. I livelli della
distribuzione legale, cresciuti grazie al contrasto al contrabbando negli anni
’90, sono quindi rimasti estremamente elevati fino al 2008 (quasi 83
49
miliardi di unità, corrispondenti a 2.335 pro annue per abitante over 15) per
poi scendere in modo consistente negli ultimi due anni (Fig. SPA2).
Nonostante la relativa stabilità dei prezzi, la quota dei fumatori, pur
rimanendo abbastanza elevata, è scesa notevolmente nella prima parte del
decennio dal 34,5% del 2001 al 29,5% nel 2007 (Fig. SPA3). I dati più
recenti non sembrano, per ora, evidenziare cadute dei consumi effettivi
conseguenti all’incremento dei prezzi i cui effetti sul commercio legale
possono, tuttavia, essere interpretati come conseguenza della caduta degli
acquisti da parte dei non residenti.
La combinazione tra incremento della tassazione unitaria e riduzione delle
quantità distribuite non ha, d’altra parte, provocato fino ad ora effetti
negativi sul gettito da accise (che rappresenta una quota di circa il 2% delle
entrate pubbliche, fig. SPA4) che è passato dai 7,5 miliardi di euro del 2005
agli 8,0 miliardi del 2010.
La Spagna viene spesso citata come esempio positivo per i risultati raggiunti
nella lotta al contrabbando negli anni ’90. I livelli dei prezzi inferiori a
quelli dei Paesi europei limitrofi costituiscono un indubbio vantaggio sul
fronte degli acquisti transfrontalieri (escluso il caso di Gibilterra). Qualche
preoccupazione più consistente è presente nei riguardi del contrabbando
come indicano alcune rilevanti operazioni effettuate nel 2010 che hanno
portato alla confisca di notevoli quantità di prodotti contraffatti di
provenienza asiatica.
Fig. SPA1- Andamento Mppc in Spagna, 2001-2010
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Fonte: elaborazione Censis su fonti varie
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2002-2010 (numeri indici: 2000=100)
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Fonte: elaborazione Censis su fonti varie
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Fig. SPA. 4 - Quota gettito da accise sul tabacco sul totale introiti fiscali – confronto
Spagna/Italia 2000-2008
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Fonte: elaborazione Censis su dati Ue Dg Taxud
52
4.
IL RUOLO DEI MERCATI ILLEGALI
4.1.
Il “circolo vizioso” degli strappi fiscali
In diversi casi nazionali esaminati si sono riscontrati dei processi
caratterizzati da dinamiche sostanzialmente simili che configurano una sorta
di “circolo vizioso” in cui rischiano di immettersi politiche pubbliche di
contrasto al fumo basate su interventi fiscali di tipo radicale.
Quando le autorità pubbliche decidono un incremento molto rilevante (o più
incrementi ravvicinati) della tassazione con finalità socio-sanitarie e fiscali
ciò si traduce, pressoché automaticamente data l’elevata incidenza delle
tasse, in un sensibile aumento dei prezzi.
Sul versante della domanda l’incremento sensibile dei prezzi determina un
ventaglio diversificato di reazioni da parte dei consumatori:
- una parte reagisce riducendo i consumi o rendendo effettiva l’intenzione
di smettere di fumare;
- un’altra parte si orienta verso la ricerca di alternative più economiche sia
rimanendo all’interno del mercato ufficiale (brand dal costo inferiore,
prodotti sostitutivi come l’hand rolling tobacco), sia oltrepassandone la
frontiera geografica (acquisti legali in altri Paesi con prezzi minori) o
psicologica (passaggio al mercato illegale). Queste scelte sono rafforzate
dal fatto che un aumento giudicato eccessivo dei prezzi è visto dal
consumatore come un “tradimento” che rompe il rapporto di fedeltà con
il prodotto e con il canale distributivo (e il rapporto di lealtà con
l’amministrazione pubblica).
La diffusione dei comportamenti del secondo tipo (acquisti all’estero e sul
mercato nero) determina una discrasia tra l’andamento della distribuzione
legale (che si riduce fortemente) e l’andamento dei consumi effettivi (che si
riducono assai di meno).
Rispetto agli obiettivi perseguiti dalle politiche pubbliche la divaricazione
tra distribuzione legale e consumi effettivi determina:
53
- effetti critici sugli introiti fiscali, con diminuzione (o minore incremento)
del gettito, la cui incidenza sul totale delle entrate fiscali diminuisce
generando problemi tanto più elevati quanto più è rilevante il ruolo degli
introiti da tabacco sugli equilibri di finanza pubblica;
- risultati sul versante socio-sanitario (riduzione del numero di fumatori e
delle quantità consumate effettive) che non appaiono significativamente
più consistenti di quelli ottenibili attraverso un più equilibrato mix di
politiche fiscali e dissuasive.
Le scelte “alternative” dei consumatori vengono favorite dal rafforzamento
dell’offerta irregolare. L’incremento sensibile dei prezzi modifica, infatti, le
condizioni di opportunità per gli operatori illegali, aumentando sia la
dimensione (per l’incremento della domanda) sia la redditività (possono
essere portati a livelli più elevati anche i prezzi dei prodotti illegali) del
mercato clandestino. Questa improvvisa modifica delle condizioni motiva
l’“investimento” necessario per la creazione (o il rafforzamento) delle reti
logistiche e distributive del commercio illegale. In un certo senso lo
scenario può essere assimilato a quello di un mercato oligopolistico con
barriere all’entrata, dove solo un consistente incremento dei prezzi da parte
degli operatori esistenti può determinare le condizioni per l’ingresso di
nuovi concorrenti.
Gli operatori illegali dispongono, d’altra parte, di diverse fonti di
approvvigionamento “primarie” che possono essere attivate con relativa
facilità e rapidità:
- distributori senza scrupoli, operanti ufficialmente in mercati a bassa
tassazione, che possono acquistare legalmente dai produttori per poi
trasferire sul mercato illegale di importazione nei Paesi ad alta tassazione
(mercato nero di brand ufficiali autentici);
- produttori border line operanti in aree marginali che destinano
all’esportazione verso i Paesi ad alta tassazione brand in essi
ufficialmente non presenti (mercato nero delle cheap white);
- filiere interamente illegali che producono e distribuiscono merci
contraffate (mercato nero di brand ufficiali non autentici).
L’incontro tra la maggiore propensione della domanda e la maggiore
disponibilità dell’offerta genera il consolidamento del mercato illegale,
determinando modifiche stabili nel comportamento dei consumatori,
54
strutturazione dei canali di vendita irregolari e rendendo più difficili le
azioni di contrasto. L’ampliamento del mercato illegale comporta, infatti, da
una parte la moltiplicazione dei suoi “operatori al dettaglio” (e quindi rende
più difficilmente perseguibile la distribuzione finale) dall’altra aumenta i
profitti fornendo alle organizzazioni criminali che gestiscono i traffici i
mezzi per approntare strategie flessibili di risposta alle azioni di contrasto
delle autorità pubbliche (variando le fonti di approvvigionamento e le
modalità di immissione nel territorio di destinazione).
La presenza di un canale illegale consolidato produce a sua volta effetti di
indebolimento delle politiche pubbliche successive finalizzate alla riduzione
dei consumi:
- aumenti di prezzo, anche marginali, possono tradursi più facilmente in
ulteriori spostamenti verso il mercato nero invece che in riduzioni
progressive dei consumi;
- i divieti di vendita ai minori risultano, ovviamente, del tutto inefficaci sul
mercato irregolare (al contrario il target giovanile è uno di quelli,
psicologicamente e operativamente, più facilmente avvicinabili dalla
distribuzione illegale);
- gli interventi sul packaging e sulla qualità dei prodotti colpiscono
esclusivamente la filiera legale rafforzando l’attrattività dei prodotti
illegali;
- le limitazioni alla comunicazione dei marchi, anche all’interno dei punti
vendita, indeboliscono il posizionamento competitivo dei prodotti
regolari.
L’analisi del circolo vizioso sopra presentata non implica che lo strumento
dell’incremento della pressione fiscale (e quindi dei prezzi) non possa essere
utilizzato per ottenere la riduzione dei consumi effettivi. Il punto critico del
processo descritto, l’innesco del circolo vizioso, sembra risiedere, infatti,
più nella rapidità dell’aumento che nella sua ampiezza. Lo stesso
incremento dei prezzi, realizzato attraverso una strategia di aumenti graduali
e diluiti nel tempo, non necessariamente produce gli stessi effetti. Sono
diverse, infatti, le reazioni dei consumatori e, di conseguenza, quelle degli
operatori illegali.
Il consumatore di tabacco dei Paesi ad alto reddito ha acquisito l’aspettativa
di una graduale crescita del prezzo reale del prodotto, in qualche modo l’ha
55
anche accettata, interiorizzando la convinzione dell’esistenza di un “costo
sociale” di questo tipo di consumo. Lievi aumenti del prezzo, ancorché
periodicamente ripetuti, non determinano di conseguenza eccessive rotture
né nel legame di fedeltà con il prodotto né del legame di lealtà con
l’amministrazione pubblica e il canale distributivo ufficiale che in questo
caso la rappresenta.
Un progressivo incremento della
connessi all’utilizzo di prodotti
promossa anche dalle autorità
direttamente interessati) rafforza
incrementi di prezzo contenuti ed
risolvere il più stringente vincolo
quantità consumate invece che
approvvigionamento alternativi.
consapevolezza sui rischi aggiuntivi
non ufficiali (che andrebbe peraltro
pubbliche oltre che dai produttori
tale legame, rende più tollerabili
orienta maggiormente i consumatori a
di budget mediante la riduzione delle
attraverso il ricorso a canali di
Il disincentivo all’ingresso di nuovi consumatori (in particolare giovani)
dipende, d’altra parte, dal livello del prezzo e dalle aspettative di variazione
di lungo periodo e non dalle variazioni immediate.
Questo minore stimolo al riorientamento della domanda rende a sua volta
meno favorevole il quadro di opportunità per gli operatori illegali che
devono decidere se investire per entrare nel mercato. Benché
l’approvvigionamento illegale dalle fonti primarie sia purtroppo, come già
osservato, relativamente semplice, la costruzione di un sistema logistico di
immissione in un nuovo Paese di destinazione e l’articolazione di una rete
capillare di vendita illegale sono, invece, processi costosi (e rischiosi) che
presumibilmente vengono effettuati in modo massiccio solo in presenza di
ragionevoli aspettative di guadagno consistente e immediato.
È l’esistenza di questi elevati “costi di avviamento” a diversificare le
reazioni degli operatori illegali e, di conseguenza, l’impatto di politiche
(fiscali e dissuasive) di contrasto del fumo in funzione della preesistenza o
meno di un diffuso commercio illegale. Dove il mercato nero già esiste
anche modesti aumenti di prezzo (o altre forme equilibrate di disincentivo
del consumo ufficiale) possono rafforzarlo, dove non esiste è difficile che lo
creino e dunque risultano alla fine molto più produttive sia sul versante
socio-sanitario che su quello fiscale.
La questione non è dunque che non debba essere alzata l’asticella del prezzo
da superare per accedere al consumo, ma che non vada alzata così tanto – e
così rapidamente – da rendere troppo facile l’alternativa di “passarci sotto”.
56
4.2. Le evoluzioni dei mercati illegali
Lo schema di interpretazione dell’impatto degli incrementi della tassazione
presentato nel paragrafo precedente si colloca nel quadro dei tentativi,
proposti in diversi studi, di superare una schematizzazione degli approcci
alla questione della tassazione che vede la contrapposizione di due posizioni
rigide:
- per gli assertori dell’inasprimento delle politiche fiscali, il più elevato
prezzo dei prodotti da tabacco è un forte deterrente del consumo (il che è
ovviamente vero) e non è un incentivo significativo al contrabbando (il
che è un po’ meno incontestabile);
- per i detrattori degli inasprimenti fiscali, al contrario, il maggiore carico
di tasse sui prezzi al consumo determina la crescita dei traffici illegali (il
che è probabilmente vero) e perciò non produce riduzioni del consumo
effettivo (e questa è una generalizzazione un po’ meno facilmente
sostenibile).
Il rapporto Global Epidemic del Who del 2008 contiene un paragrafo
intitolato “Higer taxes do not increase smuggling” nel quale si afferma (con
un po’ più di prudenza rispetto al titolo) che “contrary to tobacco industry
claims, increased smuggling do not automatically follow tax increases”. In
generale gli assertori di questa tesi la sostengono con l’affermazione che
l’ampiezza del contrabbando è determinata dall’efficienza delle politiche di
contrasto e che la principale tra di esse (la “tracciabilità” dei prodotti ed il
controllo della catena distributiva) chiama in causa in primo luogo le
competenze delle industrie produttrici, responsabili di una gestione
“disinvolta” che favorisce l’alimentazione dei canali illegali di distribuzione
dei prodotti ufficiali. Se le politiche di contrasto sono efficaci e se i
produttori non alimentano le “zone grigie” della distribuzione il
contrabbando non può affermarsi.
La prima parte di questa tesi contiene certamente una larga quota di verità.
È evidente che tanto più efficaci sono le politiche nazionali e internazionali
di contrasto ai traffici illeciti tanto più elevati sono per le organizzazioni
criminali i costi e i rischi del contrabbando. Ma come tutte le attività
economiche anche quelle criminali comparano costi e rischi ai benefici, e se
le azioni di contrasto devono necessariamente essere centrate
sull’innalzamento dei primi, le politiche generali devono tener conto degli
57
impatti sui secondi. Se i potenziali benefici economici crescono, cresce
anche la disponibilità a farsi carico di costi e rischi maggiori.
La seconda parte dell’argomentazione appare piuttosto datata, almeno per
quanto concerne l’area dell’Unione europea. Le maggiori imprese
produttrici sembrano ormai aver raggiunto la consapevolezza della necessità
di cooperare attivamente con le amministrazioni pubbliche nella lotta ai
traffici illeciti.
Gli effetti di questa cooperazione appaiono evidenti nei radicali
cambiamenti di peso delle diverse tipologie di prodotti nel mercato
irregolare. Secondo i dati forniti dall’Hmr&C britannico nel recente
Tackling Tobacco Smuggling-building on our success, pubblicato nell’aprile
2011, la quota di brand ufficiali nei sequestri effettuati è scesa dal 31% al
2004/2005 al 6% del 2009/2010 mentre quella dei brand non ufficiali è
salita dal 20% al 48% (la quota dei prodotti contraffatti è rimasta stabile al
48%). Ad analoghe conclusioni giunge il working paper elaborato dalla
Commission Anti-fraud Strategy dell’Ue e dedicato alla definizione
dell’Action plan to fighy against smuggling of cigarettes and alcohol along
the Eu Eastern border nel quale si afferma che:
“In the early 2000s, the problem of smuggling at the Eastern border of the
Eu related largely to the smuggling of genuine product. Today the situation
is somewhat different. The majority of cigarettes entering the Eu illegally
via the Eastern border are either cheap whites or counterfeit”.
Anche il recente rapporto dell’Europol (Octa 2011), dopo aver sottolineato
come “Organised crime groups based in the Eu area are increasingly active
in cigarette smuggling, seen as an actrative alternative to drug trafficking
because of its lower penalties and large profits”, articola l’analisi
distinguendo i flussi provenienti dall’est europeo (cheap white) da quelli
originato in Cina (prodotti contraffatti) e segnalando il rischio emergente
dello sviluppo di manifatture illegali all’interno dell’Ue (in particolare in
Polonia e negli stati baltici) che potrebbero svilupparsi in virtù della
maggiore difficoltà di identificare l’importazione illegale di tabacco grezzo
rispetto ai prodotti finiti.
D’altra parte anche la tesi secondo la quale ogni forma di inasprimento
fiscale e crescita dei prezzi si traduce esclusivamente in aumento del
mercato nero e sia perciò totalmente priva di efficacia sui consumi, appare
altrettanto forzata. Lo studio, molto equilibrato, elaborato dall’Inpes
sull’andamento dei consumi in Francia nel periodo 2000-2005
58
(caratterizzato dal forte incremento dei prezzi) distingue utilmente tra
rilevanti effetti dissuasivi all’ingresso nel mercato e più controversi effetti di
incentivo all’uscita, sottolineando come l’incremento dei prezzi costituisca
una “bonne source de motivation pour l’arrêt” tra coloro che hanno già
maturato l’intenzione di smettere. Come si è cercato di sintetizzare nel
paragrafo precedente, non tutti i consumatori reagiscono nello stesso modo e
non tutti gli aumenti sono percepiti nello stesso modo.
In sintesi, nella partita tra mercato legale e illegale come in ogni “gioco
oligopolistico” non contano solo i “livelli” dei prezzi ma anche come e
quando questi vengono variati. Non è un caso che nel documentato studio
dell’International Tax and Investment Center (già citato con riferimento al
caso irlandese) si definiscono “sharp” gli incrementi delle accise che
portando ad un repentino declino dell’accessibilità dei prodotti ufficiali
tendono ad essere tra le principali cause della emergenza dei commerci
illeciti. Similmente il rapporto Kpmg per l’Ue del 2005 rilevava come gli
acquisti transfrontalieri “skyrocket” dove le autorità procedevano
“drastically” all’incremento del carico fiscale.
Nel contesto dell’Ue, inoltre, non si può prescindere dalla considerazione
degli effetti incrociati delle variazioni dei prezzi tra Paesi limitrofi, vista la
legittimità degli acquisti transfrontalieri per uso personale e la difficoltà di
contenere le microattività di acquisto e rivendita. Lo scenario attuale vede i
27 Paesi dell’Unione divisi sostanzialmente in quattro grandi fasce.
La prima comprende i nuovi membri dell’area orientale dove il prezzo
medio (per pacchetto da 20) oscilla tra i 2,16 euro della Lituania e i 2,70
della Repubblica Ceca; è l’area di alimentazione degli acquisti
transfrontalieri verso i Paesi della fascia centrale (Germania in primo luogo)
che è tuttavia, a sua volta, sottoposta alla “concorrenza” delle aree extra Ue.
Della seconda, dove il prezzo medio varia tra i 3,13 euro della Grecia e i
3,79 dell’Austria, fanno parte i Paesi mediterranei (esclusa l’Italia) cui si
aggiungono la citata Austria e il Lussemburgo;
Nella terza fascia rientrano l’Italia (4,10 euro di prezzo medio) e può essere
estesa, comprendendo tutti i Paesi dell’Europa continentale (esclusa la
Francia), fino alla Svezia dove il prezzo medio raggiunge i 4,97 euro;
Oltre la soglia dei cinque euro si collocano Francia (5,40) Regno Unito
(prezzo medio corrispondente a 6,27 euro) e Irlanda (8,47).
59
Questa ampia articolazione dei prezzi, oltre a riflettere differenze nei redditi
e dei poteri di acquisto esprime scelte di politica fiscale che possono essere
più o meno fortemente condizionate dagli effetti di interferenza sia interni
che esterni (oltre le frontiere orientali dell’Ue i prezzi sono ancora più bassi
e si concentrano le produzioni destinate alle esportazioni illegali). La strada
della progressiva armonizzazione, attraverso l’innalzamento dei livelli
minimi di tassazione, rilanciata dall’Ue con la direttiva del 2010, è tarata sul
medio periodo e non può non essere affiancata da un’azione di
rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne e di coordinamento delle
politiche di contrasto.
La diffusione del contrabbando e della contraffazione, d’altra parte,
rappresenta un pericolo non solo dal punto di vista degli equilibri fiscali.
Il citato documento della Commission Anti-fraud Strategy fa rilevare come:
“The negative impact of the illicit trade in cigarettes is mainfold. From an
economic point of view it results in significant revenue losses and harms
legitimate business interests at both manufacturing and retail level. It is
also leading to sales and consumption of tobacco not complying with the
EU tobacco control legislation. From a health point of view it may result in
the rise in consumption of tobacco products and decrease public health
protection, especially involving vulnerable group such as young people”.
Ma la pervasività del commercio illegale rappresenta anche uno strumento
di diffusione dell’influenza del crimine organizzato e al tempo stesso di
comportamenti illeciti diffusi, una sorta di “assuefazione all’illegalità” che
rappresenta, per certi versi, una minaccia sociale più insidiosa degli stessi
comportamenti criminali.
60
5.
LE OPINIONI DEGLI ITALIANI SULLE IPOTESI DI
INASPRIMENTO DELLA REGOLAZIONE
5.1. L’indagine sulla popolazione
In questa sezione sono riportati i risultati della survey realizzata per conto
del Censis dalla società Gn-Research su un campione rappresentativo di
1.000 residenti in Italia.
Il campione è stato stratificato per sesso, classe d’età, residenza e abitudine
al fumo (assumendo come base la distribuzione rilevata dall’Istat
nell’indagine multiscopo “Aspetti della vita quotidiana”). Il questionario
aveva l’obiettivo di raccogliere le opinioni di italiani sul fumo e sui possibili
interventi di dissuasione/limitazione.
Nel complesso l’indagine ha restituito l’immagine di un’opinione pubblica
articolata ma che nei confronti della “questione fumo” ha prevalentemente
un atteggiamento equilibrato: per un verso fortemente consapevole dei
fattori di rischio per l’altro prudente verso iniziative di contrasto
eccessivamente radicali che le appaiono inutili se non controproducenti.
È importante osservare che l’articolazione delle opinioni non riflette
meccanicamente la divisione tra fumatori e non fumatori (anche se,
ovviamente questo fattore incide) il che indica la possibilità di evitare
contrapposizioni pregiudiziali e improduttive.
5.2. Fumo passivo e restrizioni
L’Italia è stata tra i primi Paesi europei ad adottare normative di limitazione
del fumo in luoghi pubblici chiusi (uffici, ristoranti, etc.) con la c.d. “legge
Sirchia” approvata nel 2003 e resa operativa nel 2005 con l’obiettivo di
ridurre l’esposizione al fumo passivo.
61
L’opinione pubblica italiana mostra di condividere le preoccupazioni che
stanno all’origine dell’intervento normativo: quasi il 60% degli intervistati
considera infatti “molto gravi” i “rischi per la salute collettiva” connessi
all’esposizione al fumo passivo (e un altro 31% li giudica “abbastanza
gravi”) (fig. 5.1). Lo scarto nella distribuzione delle risposte tra fumatori e
non fumatori è presente ma non così ampio come si sarebbe potuto
immaginare. È vero che la quota di coloro che giudicano molto gravi i rischi
scende tra i fumatori al 44%, ma questa riduzione è in parte compensata
dalla forte incidenza di coloro che li giudicano abbastanza gravi; la quota
dei fumatori “insensibili” risulta nel complesso non superiore al 15% (tab.
5.1).
Gli italiani, tuttavia, considerano altrettanto rilevanti i rischi derivanti
dall’utilizzo di sostanze nocive nelle produzioni alimentari (il 59% li
giudica “molto gravi”) e ancora più consistenti quelli connessi
all’inquinamento provocato da auto e altri veicoli (dove la quota di chi li
giudica “molto gravi” sale al 64%). Inferiori, ma comunque elevate, sono le
percentuali di intervistati che attribuiscono la qualifica di molto gravi ai
rischi per la salute collettiva derivanti dall’inquinamento elettromagnetico
(40%) e dalla presenza di impianti industriali (37%). I dati confermano una
generalizzata attitudine di grande attenzione nei confronti del benessere
fisico e di diffusa preoccupazione rispetto alle possibili minacce alle salute
che emerge frequentemente nelle indagini sulla opinione pubblica italiana.
Da tale orientamento non deriva però una spinta all’ampliamento delle
restrizioni oggi previste. Una consistente maggioranza degli intervistati
giudica infatti sufficienti le attuali limitazioni al fumo in aree pubbliche
chiuse: il 36% le considera “sostanzialmente giuste e da mantenere nelle
forme attuali”, il 16% ritiene che andrebbero accompagnate dalla “creazione
di spazi areati per fumatori” ed il 6% le giudica addirittura “eccessive”. Del
rimanente 42% la gran parte (28%) le considera sostanzialmente giuste ma
condivide l’idea di estensioni “mirate” (parchi per bambini, aree limitrofe
alle scuole) mentre solo il 14% ne vorrebbe un ampliamento diffuso e
generalizzato (fig. 5.2). In questo caso, com’è ovvio, le articolazioni in
ragione delle abitudini di consumo sono marcate: la quota dei sostenitori di
un’estensione generalizzata passa dal 20% tra i non fumatori al 12% tra gli
ex fumatori per precipitare al 4% tra i fumatori, d’altra parte la richiesta di
accompagnare le limitazioni con la creazione di spazi dedicati sfiora il 22%
tra i fumatori contro il 14% registrato nelle altre categorie (tab. 5.2).
62
Il risultato ottenuto appare in prima lettura discordante con quelli rilevati da
altre indagini (ad esempio quella commissionata dall’Istituto Superiore di
Sanità) secondo la quale circa il 28% degli italiani è molto favorevole alla
estensione del divieto di fumare in “giardini e parchi pubblici” e un ulteriore
29% è “abbastanza favorevole”. L’apparente discordanza può essere in parte
ricondotta alla diversa formulazione della domanda, delle possibilità di
risposta e delle modalità di somministrazione. La formulazione utilizzata in
questa sede non è quella della richiesta di un giudizio su una proposta
positivamente enunciata ma quella della valutazione, neutra, sulla situazione
esistente. Il fatto che la spinta autonoma a estensioni delle aree di
limitazione sia minoritaria non esclude, cioè, che vi possa essere un
consenso maggioritario rispetto ad interventi di estensione mirata.
Fig. 5.1 - "Quanto giudica gravi oggi in Italia i rischi per la salute collettiva connessi
ai seguenti fattori?"
"
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.
+
1
"!$ B " "B
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
63
Tab. 5.1 - Distribuzione delle valutazioni sulla gravità dei rischi dell'esposizione al
fumo passivo in base alle abitudini di consumo (valori %)
Giudizio sui rischi
Fumatori
Molto gravi
Abbastanza gravi
Poco gravi
Per nulla gravi
Totale
43,6
42,3
13,3
0,8
100,0
Abitudini di consumo
Ex fumatori
Non fumatori
60,2
29,0
8,7
2,1
100,0
Totale
66,4
27,4
4,8
1,4
100,0
59,4
31,4
7,8
1,4
100,0
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
Fig. 5.2 - "Secondo lei le restrizioni al fumo attualmente previste per i luoghi chiusi
(uffici, ristoranti, etc.) ..." (distribuzione % delle risposte)
1
1
%
.
2
.
%
.
2
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
64
Tab. 5.2 - Distribuzione delle opinioni sulle restrizioni al fumo attualmente previste
per i luoghi chiusi (valori %)
Giudizio
Fumatori
Sono troppo deboli e andrebbero estese
diffusamente ad altre aree anche all’aperto
Sono sostanzialmente giuste ma dovrebbero
essere estese ad altre aree particolari (es.
parchi per bambini, aree esterne delle scuole)
Sono sostanzialmente giuste e vanno
mantenute nelle forme attuali
Sono sostanzialmente giuste ma andrebbero
accompagnate con la creazione di spazi
areati per fumatori
Sono eccessive e andrebbero riviste
Totale
Abitudini di consumo
Non
Ex fumatori
fumatori
Totale
3,7
12,0
20,3
14,3
26,6
31,5
26,3
27,6
41,5
35,7
33,2
35,8
21,6
14,1
14,7
16,2
6,6
100,0
6,6
100,0
5,6
100,0
6,1
100,0
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
5.3. La tutela dei minori
Contrastare la diffusione del fumo tra i minori è una priorità unanimemente
condivisa, anche da chi sostiene il principio della “scelta responsabile”.
Chiamati a esprimersi sugli strumenti più efficaci per condurre questa
battaglia gli italiani concentrano le loro preferenze sul controllo dei canali di
approvvigionamento, cioè sulla “repressione del commercio illegale”
(giudicata molto efficace dal 54% degli intervistati) e su “maggiori controlli
e sanzioni per i rivenditori che non verificano l’età” (molto efficace per il
51%). La grande maggioranza degli intervistati è favorevole
all’innalzamento dell’età minima a 18 anni (poco meno del 50% la giudica
una misura molto efficace ed un altro 28% la considera abbastanza efficace).
Tra tutte le misure proposte il divieto di esposizione dei prodotti all’interno
delle tabaccherie è quella che raccoglie i minori consensi essendo
considerata “molto efficace” da meno del 30% degli intervistati (Fig. 5.3).
La distribuzione delle risposte per classe di età degli intervistati evidenzia
una minore fiducia negli interventi dissuasivi proprio da parte dei più
65
giovani. Solo le azioni di repressione del commercio illegale e
d’intensificazione dei controlli presso i rivenditori raccolgono nella fascia
d’età 18-29 anni una quota di valutazioni di elevata efficacia vicina a quella
raggiunta nella totalità del campione (52% e 46% rispettivamente); le altre
modalità d’intervento sono giudicate “molto efficaci” da una quota di
intervistati più giovani inferiore del 10%-15% rispetto al resto del
campione, in particolare solo un intervistato su cinque nella classe under30
attribuisce effetti rilevanti al divieto di esposizione dei prodotti nei punti
vendita (tab. 5.3).
Fig. 5.3 - "Come giudica l’efficacia dei seguenti interventi per ridurre il consumo di
tabacco tra i minori?"
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.
+
1
"!$ B " "B
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
66
Tab. 5.3 - Distribuzione delle valutazioni sull'efficacia degli interventi per ridurre il
consumo di tabacco tra i minori in base all'età degli intervistatati (frequenza % del
giudizio "molto efficace")
Interventi
18-29
anni
Vietare l’esposizione dei prodotti nelle
tabaccherie
Proibire i distributori automatici
30-44
anni
Classe di età
45-64
Over 65
anni
Totale
20,3
26,4
31,7
36,3
29,6
30,7
42,1
47,8
53,1
44,9
37,9
42,1
49,4
55,9
47,2
38,6
49,3
51,6
53,9
49,5
46,4
45,4
50,6
59,2
50,6
52,3
52,9
55,0
55,5
54,1
Investire in campagne di comunicazione
Portare l’età minima per l’acquisto a 18
anni
Maggiori controlli per i rivenditori
Investire nella repressione del commercio
illegale
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
5.4. La consapevolezza dei rischi e la libertà di scelta
I rischi per la salute personale derivanti del fumo attivo sono giudicati
“molto gravi” dai due terzi degli intervistati, un altro 30% li considera
“abbastanza gravi”, la quota di coloro che li reputano poco rilevanti è
inferiore al 4%.
La frequenza delle valutazioni di massima gravità dei rischi da fumo si
colloca a metà strada tra le frequenze rilevate nei confronti di
comportamenti come l’uso di sostanze stupefacenti e l’abuso di alcol (per i
quali le quote di coloro che considerano molto gravi i rischi per la salute si
collocano rispettivamente all’87% e all’81%) e quelle, per altro abbastanza
elevate, rilevate rispetto a comportamenti più “ordinari” come la “vita
sedentaria e assenza di attività fisica” e “l’alimentazione non corretta” (38%
e 39% rispettivamente) (Fig. 5.4).
Le valutazioni di pericolosità sono sistematicamente meno accentuate
presso gli intervistati appartenenti alla classe di età più giovane e questo
67
riguarda anche il consumo di sigarette e altri tabacchi (tab. 5.4); la quota di
coloro che ritengono il fumo poco o per nulla pericoloso rimane comunque
marginale (8,5%) anche tra gli intervistati di età inferiore ai 30anni.
Non si può quindi affermare che non vi sia consapevolezza diffusa dei rischi
potenziali. Seppure con proporzioni leggermente inferiori la consapevolezza
dei rischi è largamente diffusa anche tra i fumatori, il 94,2% dei quali
considera molto o abbastanza grave il rischio derivante dal fumo.
Sulla questione del grado effettivo di consapevolezza dei consumatori,
tuttavia, l’opinione pubblica risulta divisa sostanzialmente a metà: il 51,3%
degli intervistati ritiene che “fumare sia una scelta individuale che ormai i
fumatori fanno abbastanza informati delle possibili conseguenze” mentre il
48,7% condivide l’affermazione secondo la quale “i danni del fumo non
sono abbastanza considerati e chi fuma rischia molto più di quanto creda”
(fig. 5.5).
L’opzione che riconosce l’esistenza della consapevolezza individuale è più
diffusa tra gli attuali fumatori (dove raccoglie il 57% delle opzioni) ma è
tuttavia molto presente anche tra gli “ex” (50% delle risposte) e tra i non
fumatori (46,5%). La condivisione della tesi dell’insufficiente informazione
è, a sua volta, leggermente più alta nelle classi di età più elevate
collocandosi al 51,5% negli over 65enni e al 51% nella fascia 45-65 anni,
mentre si attesta al 46% nella fascia 30-45 anni e al 44,5% in quella 18-30.
È da osservare, inoltre, che non vi è diretta correlazione tra questa opinione
e le valutazioni dei rischi da fumo la distribuzione delle quali è
assolutamente simile tra coloro che ritengono i fumatori “abbastanza
informati” e coloro che non li ritengono tali (tab. 5.5). Le convinzioni
riguardo al grado di consapevolezza non dipendono quindi dalla
sottovalutazione o sopravvalutazione del rischio.
La spaccatura del campione si ripropone in proporzioni simili nella
valutazione delle avvertenze sanitarie oggi presenti sui pacchetti di sigarette:
il 45% degli intervistati le giudica “adeguate”, il 10% “eccessive” e il 45%
“insufficienti” (fig. 5.6).
La distribuzione delle risposte non varia in modo eclatante in base alle
abitudini di consumo: la quota di coloro che considerano gli attuali health
warning insufficienti oscilla, infatti, in modo relativamente contenuto tra il
48% dei non fumatori e il 40% dei fumatori (e si attesta su un intermedio
45% tra gli ex fumatori). Più pronunciata (ma non automatica) la
correlazione con le opinioni sul grado di consapevolezza: il 54% di coloro
68
che giudicano in generale i fumatori non sufficientemente informati ritiene
gli avvisi insufficienti mentre la percentuale scende al 38% tra coloro che
pensano che il consumo di tabacco sia una scelta consapevole (tab. 5.6).
Fig. 5.4 - "Quanto giudica gravi i rischi per la salute personale connessi ai seguenti
comportamenti individuali ?"
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
69
Tab. 5.4 - Distribuzione delle valutazioni sulla gravità dei rischi per la salute di alcuni
comportamenti in base all'età degli intervistatati (frequenza % del giudizio "molto
grave")
Comportamenti
Uso di droghe
e sostanze
stupefacenti
Abuso di alcol
Consumo di sigarette e altri tabacchi
Alimentazione non corretta
Vita sedentaria e assenza di attività
fisica
18-29
anni
30-44
anni
79,7
69,3
52,9
27,5
30,7
87,5
80,7
65,7
43,6
33,2
Classe di età
45-64
Over 65
anni
88,2
87,3
67,4
39,8
34,8
88,2
82,0
73,1
38,8
40,8
Totale
86,7
81,4
66,1
38,7
37,8
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
Fig. 5.5 - Opinione generale sul grado di consapevolezza (Distribuzione % delle risposte
alla domanda "Quale delle seguenti affermazioni condivide maggiormente")
,
2
(
3
2
4
5
"
2
2
2
%
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
70
Tab. 5.5 - Distribuzione delle valutazioni sulla gravità dei rischi del fumo in base alle
opinioni sul grado di consapevolezza dei fumatori (valori %)
Giudizio sui rischi
Fumare è una scelta
individuale che ormai i
fumatori fanno abbastanza
informati delle possibili
conseguenze
Molto gravi
Abbastanza gravi
Poco gravi
Per nulla gravi
Totale
65,3
30,0
3,7
1,0
100,0
Opinioni sulla
consapevolezza
I danni del fumo non sono
abbastanza pubblicizzati e
chi fuma rischia molto più
di quanto creda
66,9
30,4
1,0
1,6
100,0
Totale
66,1
30,2
2,4
1,3
100,0
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
Fig. 5.6 - "Secondo lei le avvertenze sui rischi del fumo oggi presenti sui pacchetti di
sigarette, sigari e tabacco sono ..." (distribuzione % delle risposte)
&
%
*
,
22
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
71
Tab. 5.6 - Distribuzione delle valutazioni sulle avvertenze sanitarie attualmente presenti sui
pacchetti in base alle opinioni sul grado di consapevolezza dei fumatori (valori %)
Valutazioni sulle avvertenze
Sostanzialmente adeguate per comunicare
ai consumatori i possibili danni del fumo
Insufficienti e andrebbero sostituite con
fotografie e immagini più grandi e più forti
Eccessive
perché
penalizzano
i
consumatori di tabacco rispetto ad altri
prodotti
potenzialmente
ugualmente
dannosi
Totale
Opinioni sulla consapevolezza
Fumare è una scelta
I danni del fumo non sono
individuale che ormai i
abbastanza pubblicizzati e
fumatori fanno
chi fuma rischia molto più
abbastanza informati
di quanto creda
delle possibili
conseguenze
Totale
50,7
38,0
44,5
37,6
53,8
45,5
11,7
8,2
10,0
100,0
100,0
100,0
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
5.5. Le opzioni “strategiche” delle politiche pubbliche
Dal punto di vista delle opzioni strategiche generali in base alle quali
affrontare la questione dei consumi di prodotti da tabacco il 18% degli
intervistati (poco meno di un quinto) sposa una linea “proibizionista” per cui
la vendita di prodotti da fumo dovrebbe essere “limitata e progressivamente
proibita per tutelare la salute”, quasi la metà degli italiani (46%) è attestata
sulla posizione “pragmatica” per cui a fronte dei rischi “è meglio che il
commercio sia legale, controllato e tassato” e, infine, più di un terzo
(35,3%) sceglie la linea della “autodeterminazione” secondo la quale “un
cittadino adulto e informato deve avere la possibilità di scegliere” (fig. 5.7).
I comportamenti di consumo svolgono un ruolo importante ma non
esclusivo nel determinare l’adesione alle diverse opzioni: la linea
proibizionista trova il consenso del 23% dei non fumatori mentre non va
oltre il 14% tra gli ex fumatori ed è limitatamente presente anche tra i
fumatori
(12%).
All’opposto
l’opzione
centrata
sul
valore
dell’autodeterminazione è particolarmente presente tra i fumatori (43%) e
gli ex fumatori (40%) ma raccoglie anche il consenso di una quota non
72
irrilevante di non fumatori (30%) (tab. 5.7). L’opzione pragmatica raccoglie
invece consensi abbastanza omogenei tra le diverse categorie; è da osservare
come si registri una minore consistenza di questa scelta nelle aree
meridionali del Paese (dove rimane al di sotto del 40%) rispetto a quelle
centro settentrionali (dove si avvicina al 50%).
Anche tra il giudizio sul grado di consapevolezza dei consumatori e la scelta
della scelta strategica c’è correlazione ma non corrispondenza meccanica.
Esiste infatti una quota, seppure minoritaria, di cittadini che pur ritenendo i
fumatori consapevoli dei rischi è comunque favorevole a un approccio
proibizionista e d’altra parte c’è chi pur considerando insufficiente il livello
d’informazione
predilige
comunque
l’opzione
fondata
sull’autodeterminazione (tab. 5.7.bis).
Le valutazioni della opinione pubblica sul tema del fumo e delle relative
politiche pubbliche esprimono dunque percorsi complessi non riconducibili
esclusivamente a schemi semplificati (“non fumatori-paternalistiproibizionisti” contro “fumatori-autodeterminazionisti-liberalizzatori”) ma a
forme di ragionamento articolato che, quando le questioni non sono poste in
forma tendenzialmente orientata, conducono a preferenze pragmatiche,
guidate più dalla concreta valutazione degli effetti che da orientamenti
pregiudiziali.
Fig. 5.7 - "Quale di queste affermazioni è più vicina alla sua opinione personale sul
commercio legale di prodotti da tabacco" (% sul totale delle risposte)
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Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
73
Tab. 5.7 - Distribuzione delle opinioni "strategiche" in base alle abitudini di consumo (val. %)
Opinione condivisa
Fumatori
Fumare è estremamente pericoloso e perciò la
vendita legale di prodotti da fumo dovrebbe
essere limitata e progressivamente proibita per
tutelare la salute
Fumare comporta rischi per la salute ma è megli
che il commercio sia legale, controllato e tassat
altrimenti si rischia di alimentare il merca
clandestino
Un cittadino adulto e informato deve avere la
possibilità di scegliere liberamente se acquistare
prodotti da tabacco o meno
Totale
Abitudini di consumo
Non
Ex fumatori
fumatori
Totale
12,0
14,1
23,4
18,4
45,2
46,1
46,9
46,3
42,7
39,8
29,7
35,3
100,0
100,0
100,0
100,0
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
Tab. 5.7.bis – Distribuzione degli intervistati in base alle risposte alle domande sulla
consapevolezza e sulla strategia
Fumare è estremamente pericoloso e perciò
la vendita legale di prodotti da fumo
dovrebbe
essere
limitata
e
progressivamente proibita per tutelare la
salute
Fumare comporta rischi per la salute ma è
meglio che il commercio sia legale,
controllato e tassato, altrimenti si rischia di
alimentare il mercato clandestino
Un cittadino adulto e informato deve avere
la possibilità di scegliere liberamente se
acquistare prodotti da tabacco o meno
Totale
Fumare è una scelta
individuale che ormai
i fumatori fanno
abbastanza informati
delle possibili
conseguenze
I danni del fumo non
sono abbastanza
pubblicizzati e chi
fuma rischia molto più
di quanto creda
Totale
8,4
10,0
18,4
24,6
21,7
46,3
18,3
17,0
35,3
51,3
48,7
100,0
Fonte: indagine Censis-Bat 2001
74
5.6. La valutazione dei pictorial warning
Nella percezione della “questione fumo” da parte della opinione pubblica
italiana non sembrano dunque avvertirsi i segni di una contrapposizione
“partigiana” di posizioni precostituite e pregiudizialmente orientate in base a
paradigmi “ideologici”. Questa articolazione pragmatica delle valutazioni si
riflette nelle opinioni sulle singole proposte di inasprimento della
regolazione.
Uno dei temi più dibattuti nell’ambito delle politiche pubbliche di
regolazione del mercato dei tabacchi è quello della cosiddetta “pack space
appropiation” (PSA) ovvero dell’introduzione di avvertenze sanitarie sui
rischi del fumo sui pacchetti di sigarette (generalizzata nei Paesi Ue) e della
loro sostituzione con fotografie o immagini particolarmente scioccanti e in
grado di ottenere un maggiore effetto dissuasivo.
Secondo il rapporto Who del 2008, “Health warnings on tobacco packages
increase smokers’ awareness of their risk. Use of pictures with graphic
depictions of disease and other negative images has greater impact than
words alone, and it is critical in reaching the large number of people
worldwide who cannot read”.
D’altra parte, uno studio recentemente condotto dalla Deloitte per conto di
Bat giunge alla conclusion che “Psa regulation, including increasing the
size of government health warnings and the presence of graphic images has
not had a statistically significant direct impact upon licit tobacco
consumption”.
Come già riportato in precedenza, la quota degli italiani intervistati che
ritengono le attuali avvertenze sanitarie sui pacchetti di sigarette
“insufficienti” e da sostituire con fotografie o immagini più forti è del
45,5%, il 44,5% ritiene invece gli attuali avvisi “adeguati” ed il residuo 10%
li considera “eccessivi”.
Le proporzioni cambiano ulteriormente a fronte della domanda con la quale
si è chiesto di valutare gli effetti dell’introduzione di “fotografie o immagini
più forti ed evidenti”: la maggioranza degli italiani si mostra scettica
sull’ampiezza dei risultati ottenibili e questo scetticismo coinvolge anche
parte di coloro che sono comunque favorevoli a tale intervento.
75
L’intervento è giudicato, infatti, “per nulla” efficace ai fini della riduzione
del fumo dal 18% degli intervistati e “poco” efficace da un altro 54%, solo il
28% ritiene che potrebbero ridurre “molto” il fumo (fig. 5.8). La quota di
coloro che nutrono forti aspettative sugli effetti di tale misura non varia
significativamente secondo le abitudini di consumo: il valore minimo viene
registrato tra i non fumatori (26,8%) ed è sostanzialmente analogo a quello
rilevato tra i fumatori (27,0%), anche tra gli ex fumatori (categoria in
qualche modo particolarmente sensibile al tema) la percentuale di chi ritiene
che la sostituzione delle attuali avvertenze sanitarie con fotografie o
immagini scioccanti abbia una grande efficacia non supera il 29,9%.
Particolare appare la distribuzione delle risposte per classi di età che fa
emergere, contrariamente alla tendenza generale, un maggiore scetticismo
da parte dei più anziani: solo il 23,3% degli over 65enni si aspetta che la
sostituzione delle scritte con le immagini riduca “molto” i consumi (tab.
5.8).
La differenza che si registra tra la quota di coloro che sono comunque
favorevoli all’introduzione delle foto (45%) e la quota di coloro che si
aspettano risultati rilevanti (28%) indica che anche tra i favorevoli non vi
siano grandi aspettative sui risultati.
Appare ragionevole, anche in questo caso, evitare generalizzazioni e prese
di posizioni sostanzialmente apodittiche. In primo luogo va considerato il
fatto ovvio che la questione si pone in termini assai diversi nei Paesi a
elevato livello di sviluppo e scolarizzazione dell’Ue rispetto a Paesi dove i
livelli di analfabetismo sono ancora elevati. In secondo luogo va forse
approfondito il tema, meno ovvio, di un impatto differenziato di determinati
interventi a seconda del contesto socio-culturale di riferimento dei diversi
gruppi in cui si articolano le società sviluppate. Come è stato osservato la
resistenza ai messaggi di allarme sanitario in alcuni segmenti della società
non deriva tanto dalla loro non evidenza quanto dalla sfiducia nei confronti
dell’autorità che li emette; una sfiducia che potrebbe perfino essere
alimentata da un’esasperazione delle caratteristiche comunicazionali del
messaggio.
76
Fig. 5.8 - "Secondo lei l’introduzione di fotografie e immagini più forti e più evidenti
sulle confezioni di sigarette e altri tabacchi venduti legalmente quanto ridurrebbe il
consumo effettivo?" (distribuzione % delle risposte)
%
6
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
Tab. 5.8 - Distribuzione delle valutazioni sull'efficacia degll'introduzione di fotografie
e immagini in base all'età degli intervistatati (distribuzione % delle risposte)
Valutazioni
Classe di età
18-29 anni 30-44 anni 45-64 anni
Over 65
Totale
Molto efficace
27,5
28,9
29,8
23,3
27,6
54,9
54,6
52,2
55,5
54,1
17,6
100,0
16,4
100,0
18,0
100,0
21,2
100,0
18,3
100,0
Poco Efficace
Per nulla efficace
Totale
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
77
5.7. I giudizi sulle altre proposte di inasprimento della
regolazione
Le altre proposte di inasprimento delle misure di regolazione attualmente in
esame in sede Ue che sono state sottoposte al giudizio del campione
rappresentativo della popolazione adulta sono:
- “obbligo di confezionare le sigarette in pacchetti anonimi”,
- “divieto di esposizione al pubblico dei prodotti nei punti vendita”,
- proibizione dell’uso di sostanze “che rendono i prodotti del tabacco più
gradevoli”.
Tali misure incontrano il consenso pieno di una minoranza di intervistati:
l’opzione “è giusto perché disincentivando l’acquisto riduce il numero di
fumatori” raccoglie infatti il 29% nel caso della limitazione degli
ingredienti, il 20% in quello del divieto di esposizione dei prodotti nelle
tabaccherie e solo il 13% rispetto all’ipotesi di confezioni senza marchi e
colori (fig. 5.9).
La quota prevalente dell’opinione pubblica italiana considera interventi di
questo tipo sostanzialmente “inutili” e non in grado di “scoraggiare in modo
significativo il consumo effettivo”. La percentuale che ha indicato questa
opzione raggiunge infatti il 59% sia con riferimento all’intervento sul
packaging sia a quello sull’esposizione dei prodotti e si attesta al 47% per
l’intervento sugli ingredienti.
Vi è poi una consistente quota, di ampiezza variabile dal 20% (esposizione
prodotti) al 24% (ingredienti) fino al 28% (pacchetti), che esprime una
contrarietà più netta, giudicando esplicitamente “sbagliati” tali interventi
perché “penalizzano libertà di scelta e il commercio legale a favore di quello
illegale”.
È da osservare come non vi siano grandissime differenze nella distribuzione
delle risposte tra fumatori e non fumatori a testimonianza del fatto che
l’articolazione delle opinioni non segue uno schema semplice di “difesa
degli interessi”. La quota di coloro che condividono l’intervento sugli
ingredienti è addirittura leggermente più elevata tra i fumatori che tra i non
fumatori e d’altra parte la percentuale di coloro che giudicano sbagliato il
78
divieto di esposizione nelle tabaccherie raggiunge il suo massimo tra gli ex
fumatori (tab. 5.9).
Va comunque rappresentato che questi risultati appaiono significativamente
diversi da quelli raccolti con la survey dell’Eurobarometro, promossa dalla
Dg Health and Consumers, del 2009 in cui si richiedeva agli intervistati di
dichiararsi “a favore o contro” una serie di misure di contrasto al consumo
di tabacco. Con particolare riferimento all’Italia l’indagine aveva riscontrato
livelli superiori al 60% di “accordo” con le diverse misure (fino al 75% per i
“picture health warning“).
D’altra parte esistono indicazioni opposte. Da un’indagine dell’Istituto
Populus realizzata nel Regno Unito su incarico della Tma (sempre nel 2009)
risultava che il 60% degli intervistati non condivideva l’opinione che “a
tobacco display ban in shops would reduce the amount that people smoke”.
Queste differenze rilevanti segnalano come, rispetto a tematiche socialmente
sensibili, il contesto del questionario e la specifica formulazione delle
domande possano influire sulla distribuzione delle risposte. Ma tali
oscillazioni esprimono anche l’esistenza, se non di un’incertezza,
quantomeno di uno scarso consolidamento delle opinioni, suscettibili di
variare a seconda dell’ottica con la quale si affrontano le questioni.
Ancora una volta, peraltro, l’opinione pubblica italiana si conferma
pragmatica e sensibile più agli effettivi risultati degli interventi regolativi
che alla loro astratta validità. L’elevata quota (circa i tre quinti) di
intervistati che classifica come “inutili perché non scoraggiano in modo
significativo il consumo effettivo” proposte come i pacchetti anonimi o il
divieto di esposizione in tabaccheria si manifesta, infatti, indipendentemente
dagli orientamenti strategici generali sulla questione; (anche tra i
“proibizionisti” tali percentuali si aggirano infatti sul 55%).
79
Fig. 5.9 - Giudizi sulle nuove proposte di regolazione (distribuzione % delle risposte)
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- *
*
Fonte: indagine Censis-Bat 2011
Tab. 5.9 - Distribuzione delle valutazioni sulle nuove proposte di regolazione in base
alle abitudini di consumo (frequenza % del giudizio "è giusto perché disincentivando
l'acquisto riduce il numero dei fumatori”)
Proposta
Fumatori
Abitudini di consumo
Ex
Non
fumatori
fumatori
Totale
Proibire l’utilizzo di sostanze che
rendono i prodotti da tabacco più
gradevoli
30,3
31,5
27,4
29,1
Proibire l’esposizione al pubblico
dei prodotti da tabacco all’interno
delle tabaccherie
18,3
21,6
21,0
20,5
14,1
14,9
10,8
12,6
100,0
100,0
100,0
100,0
Obbligare
i
produttori
a
confezionare le sigarette in
pacchetti anonimi (senza colori,
marchi o simboli)
Totale
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
80
5.8. Pressione fiscale e contrabbando
Le dimensioni, l’andamento e il ruolo della imposizione fiscale sui tabacchi
lavorati sono stati esaminati nei precedenti capitoli di questo studio.
L’indagine consente di sottolineare due ulteriori elementi:
l’opinione pubblica non ha la piena percezione dell’ampiezza del carico
fiscale sul prezzo finale,
gli orientamenti rispetto ai possibili inasprimenti sono molto articolati.
Circa il 30% degli intervistati non è in grado di esprimere un’indicazione su
quale sia l’attuale peso della tassazione sul prezzo di un pacchetto di
sigarette (la quota scende al 17% tra i fumatori). Tra quelli che rispondono
oltre i due terzi lo sottostimano collocandolo al di sotto del 60% del prezzo
di vendita (fig. 5.10).
La quota di coloro che non hanno fornito un’indicazione sale al crescere
dell’età passando dal 14,4% nella classe 18-29 anni al 38% degli over 65%;
tuttavia la maggior quota d’indicazioni espresse dai più giovani si traduce in
una maggior frequenza delle sottostime; la quota (sul totale degli
intervistati) di coloro che collocano la tassazione al di sotto del 60%
raggiunge infatti il 62% nella prima classe di età per scendere al 41% tra i
più anziani (tab. 5.10).
Molto articolati i giudizi sull’ipotesi di aumento della tassazione e dei prezzi
(fig. 5.11 e tab. 5.11) che risulta, comunque, condivisa dalla maggioranza
dell’opinione pubblica:
- il 31% (il 18% tra i fumatori) è favorevole a un incremento drastico (oltre
il 50%) “per scoraggiare l’acquisto”,
- il 28% (25% tra i fumatori) preferisce un percorso di piccoli aumenti
scaglionati nel tempo “per evitare di favorire il contrabbando”,
- il 27% (33% tra i fumatori) è contrario perché le tasse “sono già
adeguate”,
- il 14% (24% tra i fumatori) ritiene che la tassazione andrebbe ridotta.
81
In questo caso i risultati dell’indagine risultano abbastanza simili a quelli
della survey Eurobarometer del 2009 che faceva registrare un 64% di
italiani favorevoli all’incremento della tassazione. È importante tuttavia
sottolineare come, anche tra coloro che valutano positivamente un
inasprimento fiscale, sia consistente la quota di coloro che prediligono un
approccio prudente e consapevole dei rischi di effetti negativi che una
crescita drastica potrebbe avere sulla diffusione dei traffici illeciti.
Per quanto concerne questi ultimi qualche segnale negativo emerge dal fatto
che complessivamente il 12% degli intervistati dichiara di aver riscontrato
nelle proprie zone di residenza o lavoro la presenza episodica (8%) o
continua (4%) di commercio illegale di sigarette (fig. 5.12).
Queste percentuali non irrilevanti crescono significativamente nelle aree del
Nord-Est (10% episodica, 5% continua) e del Sud (8,5% episodica e 6%
continua) del Paese (tab. 5.12). Le prime sono maggiormente esposte ai
traffici transfrontalieri e le seconde hanno sperimentato più diffusamente,
fino allo scorso decennio, l’insediamento del contrabbando gestito dalle
organizzazioni criminali.
Oltre il 57% degli intervistati giudica le sigarette vendute nei canali
irregolari potenzialmente più pericolose di quelle legali, il 33% le giudica
“come quelle legali” ed il 10% (anche tra i fumatori) non sa rispondere (fig.
5.13). Appare preoccupante il fatto che la distribuzione dei giudizi si inverta
nella fascia d’età 18-29 anni dove la percentuale di coloro che considerano
le “sigarette provenienti illegalmente da Paesi extra Ue o contraffatte”
analoghe a quelle legali sale al 48,5% contro un 44,5% che ritiene “possano
essere più nocive” (tab. 5.13). Questo dato conferma la collocazione della
fascia giovanile come target privilegiato dei traffici illeciti.
82
Fig. 5.10- "Quanto pesano le tasse su un pacchetto di sigarette?" (distribuzione % delle
indicazioni tra coloro che hanno fornito una risposta)
# F $ D- *
+ *
D- *
. *
D+ *
%
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, *
. *
A !" $ , *
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
Tab. 5.10 - Distribuzione delle valutazioni sull'incidenza delle tasse sul prezzo delle
sigarette in base all'età degli intervistatati (distribuzione % del totale delle risposte)
18-29
anni
30-44
anni
Classe di età
45-64
anni
Over 65
anni
Totale
Più del 60%
23,5
18,9
21,4
21,2
21,0
Meno del 60%
62,1
55,7
44,8
40,8
49,5
Non indica
14,4
25,4
33,9
38,0
29,5
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Valutazioni
Totale
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
83
Fig. 5.11 - Variazione dei prezzi delle sigarette auspicata dagli intervistati
(distribuzione % delle risposte)
*
)
%
%
#
"
*
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
Tab. 5.11 - Distribuzione delle opinioni sull'incremento della tassazione in base alle
abitudini di consumo (valori %)
Giudizio
Fumatori
È giusto e dovrebbe essere drastico (tale da
aumentare di almeno il 50% il prezzo) per
scoraggiare l’acquisto
È giusto ma dovrebbe essere progressivo
(piccoli aumenti scaglionati nel tempo) per
evitare di favorire il contrabbando
È sbagliato perché le tasse sono già
adeguate
È sbagliato e anzi la tassazione andrebbe
ridotta
Totale
Abitudini di consumo
Ex fumatori Non fumatori
Totale
17,8
29,5
37,3
30,7
24,9
33,6
27,4
28,3
32,8
24,1
25,3
26,8
24,5
12,9
10,0
14,2
100,0
100,0
100,0
100,0
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
84
Fig. 5.12- "Nella sua zona di residenza/lavoro c’è commercio di sigarette di
contrabbando?" (Distribuzione % delle risposte)
1,
1
#
!
#7
"!
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
Tab. 5.12 - Distribuzione delle valutazioni sulla presenza di commerci illeciti in base
all'area di residenza degli intervistati (valori %)
Presenza
Sì, in modo continuo
Sì, ma episodicamente
No
Non risponde
Totale
Area geografica di residenza
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Totale
Sud e
Isole
2,2
5,6
81,0
11,2
4,7
10,4
74,6
10,4
1,0
7,0
82,4
9,5
5,9
8,5
77,9
7,6
3,7
7,8
79,0
9,5
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
85
Fig. 5.13 - "Secondo lei le sigarette provenienti illegalmente da Paesi fuori dall’Unione
Europea o contraffatte sono ..." (Distribuzione % del totale delle risposte)
#
%
8
4
5
5
"
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
Tab. 5.13 - Distribuzione delle valutazioni sulla pericolosità delle sigarette illegali in
base all'età degli intervistatati (distribuzione % delle risposte)
Valutazioni
18-29
anni
Possono essere più nocive di quelle
legali
Sono come quelle legali
Non sa, non risponde
Totale
30-44
anni
Classe di età
45-64
Over 65
anni
anni
Totale
44,4
48,4
7,2
56,1
33,6
10,4
56,2
31,4
12,4
67,3
23,3
9,4
57,1
32,6
10,3
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
Fonte: indagine Censis-Bat, 2011
86
6.
CONCLUSIONI
6.1. Lo scenario di riferimento
La public consultation promossa dalla Dg Health and Consumers della
Commissione europea sulle ipotesi di revisione della Tobacco Products
Directive del 2001 ha stimolato oltre 85.000 contributi, provenienti da
cittadini, rappresentanti delle imprese e delle loro associazioni, Ngo, ed
esponenti dei diversi livelli istituzionali. Come osservato nel report da poco
pubblicato: “It should be noted that no previous public consultation
launched by the European Commission had ever registered such significant
partecipation. The amount of participation clearly underlines the great
interest of both stakeholders and the general public in the policy making
process”.
In effetti, le politiche pubbliche di regolazione del mercato dei tabacchi
lavorati sono un ambito estremamente complesso dove si sovrappongono
diverse questioni di rilievo generale:
- obiettivi di carattere socio-sanitario (contrastare il consumo da parte dei
minori, tutelare i non fumatori dal fumo passivo, ridurre
complessivamente i consumi), che hanno assunto negli ultimi decenni un
ruolo primario soprattutto a valle dell’approvazione della WhoFramework Convention on Tobacco Control;
- obiettivi di carattere fiscale, di notevole rilievo nel contesto europeo dove
il solo gettito diretto delle accise copre dall’1% al 4% delle entrate di
bilanci pubblici permanentemente sottoposti a tensioni per la riduzione
dei deficit;
- vincoli di carattere socio-economico, legati alla notevole consistenza
produttiva e occupazionale della filiera soprattutto nei suoi segmenti
estremi (agricoltura e piccolo commercio al dettaglio) particolarmente
delicati dal punto di vista sociale;
- vincoli istituzionali di coerenza con i principi generali di libera
circolazione delle merci e sviluppo della concorrenza.
87
In questo scenario le istituzioni dell’Unione europea hanno proceduto e
procedono periodicamente a rivedere le norme sia sul versante delle
politiche fiscali (ultima la direttiva 12 del 2010) sia su quello delle politiche
di regolazione (dove la direttiva del 2001 è in corso di revisione).
Il confronto sugli interventi pubblici di regolazione investe vari livelli:
- “di principio”, dove si confrontano le opinioni sull’opportunità di
interventi finalizzati alla tutela della salute delle autorità pubbliche su
scelte di consumo e stili di vita di carattere individuale;
- “comparativo”, sulla specificità delle normative relative ai tabacchi
rispetto ad altri ambiti di comportamento/consumo rilevanti ai fini
dell’incremento dei rischi per la salute;
- “economico”, sugli impatti delle diverse opzioni sull’occupazione, la
creazione di reddito e gli equilibri fiscali;
- “funzionale”, sull’effettiva efficacia delle diverse misure proposte nel
raggiungere gli obiettivi prefissati (riduzione dei consumi effettivi e
quindi dei rischi per la salute).
La questione di principio non è di poco rilievo ma, come tutte le questioni di
principio, non è risolvibile in modo oggettivo trattandosi di un confronto tra
“valori” (la tutela della salute, la libertà di scelta) il cui ordinamento è, alla
fine, una questione che attiene alle differenti valutazioni soggettive.
La trattazione della questione “comparativa” esula dagli obiettivi di questo
studio. Si può però osservare che, a partire dagli orientamenti emersi
nell’indagine, esistono questioni che, nell’opinione degli italiani, hanno un
rilievo come minaccia “esogena” alla salute altrettanto elevato o maggiore
di quello del fumo passivo (per esempio l’inquinamento da veicoli) ovvero
costituscono un comportamento di consumo individuale considerato
altrettanto se non più rischioso (come l’abuso di alcol).
La problematica “economico-occupazionale” ha certamente un rilievo
notevole. Soprattutto nel contesto italiano dove il tabacco costituisce una
componente significativa della produzione agricola e dove la vendita legale
passa attraverso una rete diffusa di piccoli esercizi. Si tratta di circa 55.000
negozi per i quali il commercio di tabacchi lavorati ha spesso costituito uno
“zoccolo duro” che ne ha consentito la sopravvivenza anche in situazioni
(piccoli centri, aree periferiche) estremamente difficili per il conseguimento
88
degli equilibri economici degli esercizi di commercio al minuto. Secondo le
stime accurate e rinnovate periodicamente da un istituto autorevole come
Nomisma la filiera del tabacco conta in Italia quasi 207.000 addetti (più di
55.000 nella tabacchicoltura e quasi 140.000 nelle rivendite al dettaglio)
corrispondenti a poco meno dell’1% dell’occupazione interna.
In questo studio ci si è però concentrati sugli aspetti relativi al versante
fiscale della questione “economica” e sulle questioni attinenti l’effettiva
efficacia delle politiche di tipo socio-sanitario.
6.2. Il nodo fiscale
La scelta relativa alla misura del carico fiscale da far gravare sui fumatori
(al di là della scarsa consapevolezza esistente sulle effettive dimensioni
dell’incidenza attuale) non sembra generare una polarizzazione di
valutazioni estreme e contrapposte nell’opinione pubblica. L’opzione di
richiesta di un aumento drastico trova, infatti, un consenso consistente ma
minoritario in meno di un terzo degli intervistati (31%) e, all’opposto, la
richiesta di riduzione è fatta propria da meno del 15%. La maggioranza
dell’opinione pubblica si attesta su posizioni mediane che considerano
giusto il livello di tassazione attuale (27%) o ne vorrebbero una crescita
graduale (28%).
Come indica la ricognizione che è stata effettuata a livello europeo la
gestione degli inasprimenti fiscali è, peraltro, molto delicata.
In Italia il gettito direttamente proveniente dal commercio legale di tabacchi
lavorati (accise e Iva) si aggira attualmente sui 14 miliardi di euro ogni
anno; una cifra corrispondente a circa il 2% delle entrate totali delle
amministrazioni pubbliche (tasse più contributi sociali). Un ammontare
notevolissimo, la cui effettiva rilevanza risulta più evidente se paragonata ad
altre fonti di entrata (corrisponde al gettito derivante da una variazione di
circa due punti delle aliquote Irpef) o voci di spesa (supera il totale della
spesa pubblica per l’ambiente e rappresenta poco meno della metà di quella
per l’ordine pubblico). Nel corso degli ultimi venti anni il contributo del
commercio legale di sigarette agli equilibri della finanza pubblica è stato
consolidato grazie ad una combinazione di elementi (lotta ai traffici illeciti,
gestione accurata degli inasprimenti fiscali, politiche di prezzo dei
produttori) che ha permesso di raggiungere gli obiettivi di carattere fiscale
89
senza compromettere quelli di carattere socio-sanitario (l’Italia si trova nella
fascia medio-bassa della graduatoria per incidenza del numero di fumatori
ed è caratterizzata da un trend di moderata diminuzione).
Lo stesso non è avvenuto in quei Paesi (Francia, Irlanda) che hanno adottato
strategie centrate su inasprimenti fiscali consistenti e ravvicinati. Tali scelte
hanno determinato una massiccia diffusione dei canali di
approvvigionamento elusivi (acquisti transfrontalieri per uso personale) o
illegali (contrabbando di merci autentiche o contraffatte). Il risultato netto è
la divaricazione tra l’andamento delle vendite ufficiali (diminuite
drasticamente con ovvio impatto sulle entrate fiscali) e quello dei consumi
effettivi (che non presentano andamenti significativamente differenti da
quelli dei Paesi che hanno adottato strategie diverse).
La gravità della minaccia connessa al diffondersi del mercato illegale è
testimoniata da esperienze storiche come quella britannica dove alla fine
degli anni ’90 i traffici illeciti rischiavano (secondo documenti delle autorità
fiscali) di conquistare un terzo del mercato complessivo. Come osservato in
numerosi studi e documenti di istituzioni pubbliche preposte al contrasto
dell’illegalità una presenza pervasiva della distribuzione illegale non
rappresenta una minaccia solo per le entrate fiscali e gli interessi degli
operatori economici ufficiali, ma anche un rilevante fattore di
depotenziamento degli interventi finalizzati ad obiettivi sociosanitari. Il
commercio illegale non si cura certamente di rispettare il divieto di vendita
ai minori e i prodotti non ufficiali o contraffatti non rispettano le normative
relative a composizione e confezionamento.
Nonostante i progressi realizzati nel controllo dei percorsi dei prodotti
“ufficiali” (grazie anche al coinvolgimento dei maggiori produttori) le
nuove caratteristiche del mercato illecito (con la crescita dell’incidenza dei
prodotti contraffatti e dei brand non ufficiali) rendono tuttora la presenza del
contrabbando un fattore cruciale nella valutazione delle scelte delle
amministrazioni pubbliche europee.
Nel caso dell’Italia si tratta di tenere alta la guardia per consolidare i risultati
ottenuti, soprattutto nella prima parte di questo decennio, che hanno reso la
presenza dei traffici illegali sostanzialmente marginale. Tuttavia l’Italia
risulta essere ancora un’importante area di transito per prodotti destinati al
Nord Europa e vi sono alcuni segnali, emersi anche dall’indagine, di
presenze occasionali sul mercato interno.
90
L’analisi effettuata in questo studio conferma la tesi formulata anche in altre
ricerche secondo la quale la distribuzione temporale degli incrementi di
prezzo costituisce un fattore cruciale per l’insediamento del contrabbando.
Incrementi consistenti e ravvicinati tendono, infatti, a creare le condizioni
sia sul versante della domanda che su quello dell’offerta per l’ingresso e il
consolidamento della distribuzione illegale. Incrementi distribuiti in modo
più equilibrato nel corso del tempo sembrano, invece, avere un minore
impatto di stimolo al passaggio a modalità di acquisto “alternative” ed
effetti di riduzione dei consumi effettivi altrettanto ampi.
6.3. Le nuove proposte di regolazione
Nell’ambito della revisione della c.d. “direttiva prodotto” in sede di Unione
Europea sono state formulate una serie di proposte tese a perseguire
l’obiettivo socio-sanitario della riduzione dei consumi. Tra di esse
assumono particolare rilievo:
- quelle relative al packaging (sostituzione degli avvertimenti sanitari con
immagini o fotografie, eliminazione di colori e marchi dai pacchetti);
- quelle relative al contenuto dei prodotti (limitazione degli ingredienti);
- quelle relative alla rete distributiva (divieto di esposizione dei prodotti
nei punti vendita).
Tralasciando ogni considerazione “di principio” o “comparativa” su tali
proposte, l’indagine effettuata su un campione rappresentativo di
popolazione residente in Italia ha evidenziato la limitata convinzione
dell’opinione pubblica relativamente alla effettiva efficacia.
Solo il 28% degli intervistati ritiene che “l’introduzione di fotografie e
immagini più forti ed evidenti” sui pacchetti di sigarette potrebbe ridurre
“molto” il consumo effettivo (ma il 45,5% è comunque favorevole a tale
intervento); l’ipotesi di eliminare marchi e colori dai pacchetti viene
giudicata “inutile” (59%) o “sbagliata” (28%) dalla stragrande maggioranza
degli intervistati. Anche il divieto di esposizione dei prodotti nelle
tabaccherie riceve analoghe valutazioni risultando inutile per il 60% degli
italiani e sbagliato per un altro 20%; inoltre meno del 30% degli intervistati
lo considera “molto efficace” per la riduzione del fumo tra i minori. Più
91
articolate le risposte relative al controllo degli ingredienti dove la quota di
apprezzamento sale al 30%.
In effetti, appare plausibile sviluppare in relazione alle politiche regolative
un approccio di analisi in qualche modo affine a quello emerso per le
politiche fiscali. Secondo tale approccio esse sarebbero abbastanza efficaci
se introdotte con gradualità e moderazione (come, sostanzialmente, è stato
fatto sino ad ora) e meno se governate da una logica di shock che finirebbe
per penalizzare più il mercato legale che il consumo effettivo.
La fattispecie più evidente da questo punto di vista è relativa alla proposta di
divieto di esposizione all’interno delle tabaccherie. Un’indagine condotta
dall’istituto Populus per la Tma britannica nel 2009 ha rilevato che secondo
i tre quinti degli intervistati “a display ban on tobacco products would risk
increasing the black market in cigarettes”. Secondo questa interpretazione,
il “confinamento” dell’acquisto legale ad un contesto marginalizzato e
nascosto anche all’interno dei punti vendita dedicati, per un verso produce
effetti dissuasivi abbastanza limitati per l’altro riduce la distanza psicologica
tra l’acquisto legale e quello illegale, favorendo il superamento della
barriera comportamentale che tiene lontani dai prodotti di contrabbando sia i
consumatori sia gli stessi distributori.
6.4. Gradualità e dialogo per strategie efficaci
Il contrabbando è dunque il convitato di pietra delle discussioni sulle
politiche fiscali e di regolazione dei tabacchi lavorati. La sua presenza, o la
sua irruzione sulla scena, è in grado di rovesciare l’esito di misure prese per
accrescere il gettito fiscale o per diminuire i consumi effettivi, di
moltiplicare gli effetti negativi sull’occupazione regolare nella filiera e di
distorcere gli effetti sulla libera circolazione delle merci.
Di questo, in Italia, sembrano essere consapevoli sia le autorità pubbliche
(che hanno finora gestito sia le politiche fiscali che quelle socio-sanitarie
con l’accortezza propria di chi conosce i rischi della recrudescenza dei
traffici illegali) sia l’opinione pubblica (nella quale la componente
marcatamente proibizionista è minoritaria).
La gradualità e il dialogo con gli stakeholder sono stati i due elementi di
metodo che hanno caratterizzato il caso italiano consentendo di giungere
92
anche a scelte forti (si pensi all’anticipo delle norme sulla limitazione del
fumo dei luoghi pubblici o al trend di lungo periodo della crescita dei
prezzi) senza determinare rotture degli equilibri di un sistema che vede oggi
molti soggetti interessati (o interessabili) alla definizione di un percorso
condiviso che porti ad un ulteriore miglioramento dei risultati sia sul
versante fiscale che su quello socio-sanitario.
Di fatto esistono una serie di indirizzi che trovano il consenso della gran
parte dei soggetti in campo oltre che della stragrande maggioranza
dell’opinione pubblica:
- il contrasto al fumo minorile (essendoci convergenza sul fatto che i
minori non possono essere equiparati ai consumatori adulti, informati e
responsabili);
- la tutela dei non fumatori dalle possibili conseguenze del fumo passivo
(venendo meno in questo caso il presupposto che la scelta individuale
deve essere libera perché non incide sulla condizione di altri).
Sul primo fronte l’indagine effettuata mostra come gran parte dell’opinione
pubblica giudichi efficaci sia gli interventi di presidio dei canali di vendita
(repressione del commercio illegale, innalzamento dell’età minima a 18 anni
e maggiori controlli e sanzioni sui rivenditori che non la verificano), sia
quelli d’informazione/comunicazione; mentre meno consistente è la fiducia
nell’effetto di altri tipi d’intervento (eliminazione dei distributori automatici,
divieto dell’esposizione dei prodotti nei punti vendita). Le politiche di
contrasto del fumo giovanile costituiscono un potenziale punto di
applicazione prioritario di un’azione condivisa. La presenza di un 10,5% di
fumatori dichiarati rilevata dall’Istat nella fascia d’età 14-17 anni
rappresenta un indicatore di un’emergenza su cui far convergere l’impegno
di tutti coloro che sono coinvolti (a partire dalle case produttrici e dalla rete
distributiva). Proprio il target dei minori costituisce, peraltro, uno di quelli
più fortemente a rischio a fronte dell’espansione del mercato illegale.
Sul versante della tutela rispetto al fumo passivo vi è una sostanziale
condivisione della normativa vigente con quote significative di opinioni
favorevoli sia nei riguardi di estensioni mirate in particolari aree aperte sia
verso la creazione di spazi per fumatori negli ambiti chiusi. Non si ravvisa,
cioè, in Italia un clima di contrapposizione tra “fumatori” e “non fumatori”,
avendo i primi in larga misura compreso e accettato le limitazioni sul fumo
negli spazi chiusi ed essendo i secondi prevalentemente tolleranti verso
l’utilizzo degli spazi aperti con ragionevoli e limitate eccezioni.
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Per quanto concerne il consumo da parte degli adulti si può individuare nel
diritto (dei consumatori) e del dovere (dei produttori e dei distributori) a una
corretta informazione sulle possibili conseguenze sanitarie un punto di
partenza difficilmente contestabile. Il problema sta però nella concreta
declinazione di tale principio e nella individuazione dei limiti al di là dei
quali l’accentuazione di contenuti e forme dei messaggi non rischi di
apparire una forma di “stigmatizzazione sociale” la cui effettiva efficacia è
quanto meno incerta.
È una questione difficile da valutare, rispetto alla quale la stessa opinione
pubblica, si divide. Emerge, infatti, una distribuzione delle opinioni che
vede prevalere la scelta pragmatico-regolativa (“fumare comporta rischi per
la salute ma è meglio che il commercio sia legale”) che raccoglie il 46%
delle preferenze rispetto a quella più riconducibile a un approccio di
autodeterminazione (“un cittadino adulto e informato deve avere la
possibilità di scegliere liberamente se acquistare prodotti da tabacco o
meno”) che è comunque sostenuta da più di un terzo degli intervistati
(35,3%) e rispetto alla opzione che condivide un approccio di tutela molto
spinto (“la vendita legale di prodotti da fumo dovrebbe essere limitata e
progressivamente proibita per tutelare la salute”) che raccoglie meno di un
quinto dei consensi (18%).
La sensazione è che, almeno in Italia, il confronto di principio tra
“interventismo sanitario” e “autodeterminazione responsabile” più che
spaccare l’opinione pubblica in fronti omogenei e contrapposti sia
interiorizzato, ma non risolto, nella consapevolezza da parte dei singoli della
legittimità di entrambi i punti di vista che si traduce in un’articolazione
molto pragmatica delle opinioni sulle singole questioni.
Come in altri contesti gli italiani tendono a fare “arbitraggio individuale”
nell’adozione dei comportamenti e nell’adesione alle opinioni ricercando
autonomamente punti di equilibrio non ideologici e costruiti, peraltro, più
sulla base degli stimoli di prossimità (i comportamenti e le opinioni delle
persone che si frequentano) che dei messaggi o delle indicazioni calati
verticalmente dalle autorità che vengono comunque accolti con un certo
scetticismo.
Fino ad oggi questa attitudine collettiva ha consentito all’Italia di seguire un
percorso che per molti aspetti può essere considerato virtuoso: la
dimensione dei consumi effettivi è tra le più basse d’Europa e tende –
seppur lievemente- a continuare a ridursi, i traffici illeciti sono marginali e
l’andamento del gettito fiscale è consistente e regolare, le norme per la
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tutela dagli effetti del fumo passivo sono state introdotte puntualmente e
risultano largamente applicate senza eccessivi conflitti.
Questi risultati sono stati ottenuti anche grazie al fatto che l’intervento
pubblico ha saputo “accompagnare” le dinamiche spontanee della società
(crescita della consapevolezza dei rischi sanitari, marginalizzazione dei
comportamenti illegali) senza ricercare forzature e “rese dei conti” ma
piuttosto favorendo la diffusione “dal basso” del cambio di comportamenti.
La questione è se, in questo scenario, sia davvero necessario e utile
cambiare approccio attraverso operazioni d’inasprimento della
comunicazione sanitaria sui pacchetti o di occultamento dei prodotti nelle
tabaccherie.
Immagini brutali finalizzate a spaventare o disgustare i consumatori effettivi
o potenziali determineranno effettivamente una rinuncia al consumo o
all’opposto favoriranno la creazione di una “subcultura” dei fumatori
sempre più separata e refrattaria alla considerazione delle argomentazioni
sanitarie oggettive? Rendere semiclandestino l’acquisto delle sigarette nei
punti vendita ufficiali ridurrà gli acquisti o spingerà molti a rifornirsi
direttamente nel più economico (e alla fine addirittura meno
“imbarazzante”) mercato illegale?
Questa incertezza sulle valutazioni dovrebbe indurre, quantomeno, a
considerare legittime anche le opinioni non favorevoli all’inasprimento della
regolazione e più in particolare al loro irrigidimento a livello comunitario
che limiterebbe le possibilità dei singoli Paesi di graduarle in funzione delle
specifiche valutazioni ed esigenze.
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Roma, dicembre 2011