S E L E P A R O L E C A D O N O A T E R R A
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S E L E P A R O L E C A D O N O A T E R R A
Parrocchia S. Michele a Castello, via S. Michele a Castello, 14, 50141 Firenze, tel. 055451335 Lettera settimanale ai parrocchiani Anno Ventiseiesimo n. 8 11 dicembre 2016 SE LE PAROLE CADONO A TERRA Informazioni parrocchiali, non in commercio, riprodotto in proprio Ci sono dei momenti della storia in cui è facile guardare innanzi e intravedere i segni del cambiamento della società e dei rapporti tra gli uomini. Accade così al termine dell’inverno quando già la luce e i venti annunciano, nonostante il freddo e la pioggia, l’arrivo della nuova stagione e dappertutto occhieggiano i segni della vita che rifiorisce. Ci sono invece altri tempi in cui niente fa presagire un cambiamento, anzi tutto parla della fine di ogni speranza. Questo, probabilmente, era il dubbio che tormentava Giovanni il Battista in prigione. La “voce” era stata costretta a tacere; e colui che era sembrato doverne raccogliere l’eredità, colui che era stato annunciato come l’atteso, l’artefice dei tempi nuovi, il Messia, si stava incamminando con le sue scelte verso la medesima sconfitta di fronte al potere. Anche oggi il medesimo dubbio assale il credente. Dove? Quando? E come distinguerne i segni? Anche oggi molti dicono: “è qui!”. Altri invece: “è là!”. E si cercano i segni potenti del consenso, dell’egemonia culturale, del presenzialismo a tutti i costi... Eppure sono «beati» quelli che non «inciampano» nel Messia che ha scelto la povertà dei mezzi e la sconfitta di fronte al potere. Eppure è proprio questa la «conversione» che è richiesta. Eppure la fede è quella capacità che sa illuminare con i suoi segni “impossibili” l’inverno della sfiducia con la incrollabile certezza che la storia appartiene a Dio e che ci sarà da ral- legrarsi, non quando i potenti applaudiranno il Messia, ma quando saranno «i ciechi, i sordi e i poveri» a vederlo, udirlo e rallegrarsene. È questa la fede che fu necessaria a Giovanni il Battista per comprendere e che è necessaria oggi a ciascuno di noi. La fede che supplica e prega, la fede che sa che Dio non abbandona, la fede che non cerca le soluzioni dei potenti che spesso non solo non sono quelle di Dio, ma cercano di sostituire la scaltrezza all’intelligenza dei tempi. Papa Francesco nei suoi interventi ha indicato alcune direzioni perché il rinnovamento non sia un restauro conservativo, che riporti le cose come erano prima seguendo i modelli che ci provengono dal passato. Questi modelli hanno già mostrato la loro inadeguatezza. Le parole che si usano tradizionalmente e con le quali pensiamo la nostra fede sono ormai incomprensibili alle nuove generazioni e anche quelli che le hanno udite e non sono più giovani non sanno tradurle nel linguaggio dei loro figli e nipoti. Qualcuno ha detto che le nostre parole cadono in terra prima ancora di giungere agli orecchi di chi dovrebbe ascoltarle. Oggi ai discepoli di Cristo, a coloro che si chiamano suo corpo, alla chiesa intera viene fatta di nuovo la domanda del Battista: Sei tu quello che deve venire o dobbiamo aspettare un altro, così come fanno molti che si rivolgono a religiosità lontane, a credenze spesso superficiali e male orecchiate, a maestri o sedicenti tali, che non liberano, ma rendono ancora più schiavi. Quando Papa Francesco dice che la realtà è superiore alle idee non vuole distruggere le costruzioni del passato, ma afferma che oggi queste non sono più sufficienti a rendere ragione della speranza che proviene dalla buona notizia di Gesù Cristo. Una volta si pensava che fosse sufficiente riformare le strutture della chiesa, renderle più moderne e efficienti, ma senza toccare gli schemi ideologici e filosofici con i quali il vangelo è stato predicato nel corso dei secoli. Oggi ci accorgiamo, dobbiamo accorgerci, che non è più di un restauro che c’è bisogno, ma di un nuovo modo di vivere l’annuncio della buona notizia. Occorre ripensare a come Gesù si è rapportato al suo mondo, alla religione del tempio e come abbia rifondato dalle radici l’alleanza andando contro tutto quello che nel tempo si era consolidato nascondendone la vera sostanza (“Vi è stato detto, ma io vi dico...”). Occorre domandarci come rivivere i segni fatti da Gesù perché tutti li possano vedere e riconoscere, ma dobbiamo anche essere capaci di rinunciare a tutte le sovrastrutture che su questi segni il tempo, la storia e anche il potere hanno ammucchiato. Solo il vangelo e nulla più. Questo occorre ritrovare non isolandoci in una solitudine settaria, ma cercando di essere nella chiesa quel fermento che dà vita e vigore alla pasta. Un lavoro lungo, difficile e spesso incompreso. La sorte del Battista e dello stesso Gesù potrà essere anche la nostra sorte. Non a caso papa Bergoglio ha assunto il nome di Francesco. Il rimando al santo di Assisi può chiarire più che tante parole il cammino che ci sta davanti. don Paolo Aglietti PAROLE DELL’AVVENTO CONVERSIONE «Io vi battezzo con acqua per la conversione...» (Mt 3,11) La parola “conversione” traduce il termine greco metánoia, che proviene dal verbo meta-noéo che significa “cambiare-mente”, cambiare opinione e idee. Da qui deriva il significato di sentire rimorso, rammaricarsi, pentirsi. Nel mondo greco con metánoia, si indicava il cambiamento di mentalità, cioè un nuovo orientamento nella vita, una svolta tanto verso il bene che verso il male. Se leggiamo l’Antico Testamento nella versione greca, detta dei Settanta, ci accorgiamo che metánoia viene usata per tradurre il termine nakam, che significa rimpiangere qualcosa, rammaricarsi, detto sia dell’uomo che di Dio. In ebraico quella che noi chiamiamo “conversione” viene espressa dal termine shub, che significa “ritornare”. La conversione infatti viene intesa come ritorno a Dio e alla sua Legge: è l’appello che continuamente fanno i profeti (cfr. Is. 6,1, ecc.). Il Nuovo Testamento con la parola metánoia ha in pratica unito i due significati del Vecchio Testamento. L’accento non è posto solo sul “fare”, e quindi sul ritornare ad agire secondo la Legge, ma sul cambiamento del modo di pensare (=noéo), sulla volontà. In questo modo convertirsi è decisione fondamentale di tutto l’uomo, una scelta di campo e di prospettiva sia per il pensare che per l’agire. La conversione precede, in quanto scelta, le opere perché esse sono il frutto della conversione e non la causa. La causa è infatti il riconoscimento del Regno che sta per venire (Matteo 3,2). I termini metánoia/metanoéo non appaiono molto spesso, come potrebbe sembrare a prima vista, nei vangeli, non perché questo concetto sia mancante, ma perché, essendo per tutti gli evangelisti chiaro che la conversione è dono di Dio, essa si lega strettamente alla fede e al Regno che viene, anzi che è già venuto (Marco 1,15 in greco: “si è avvicinato”) per la presenza di Gesù. E’ per questa presenza e per la fede in Cristo che la conversione produce anche il cambiamento di vita e ottiene dalla misericordia di Dio il perdono dei peccati. FIGURE DELL’AVVENTO Nella liturgia dell’Avvento emergono alcune figure bibliche che danno una particolare tonalità a questo tempo: sono Maria, Giovanni Battista e Giuseppe. Essi incarnano con la loro vita il senso vero dell’attesa. GIOVANNI BATTISTA di Annamaria Fabri Giovanni, detto il Battista, è una figura importante del mondo palestinese al tempo di Gesù. Egli è il profeta che segna il passaggio dal vecchio al nuovo testamento. Profondamente legato alla fede del popolo di Israele, per la sua ansia di rinnovamento può essere considerato un testimone privilegiato della religiosità e dei fermenti che agitavano la società giudaica negli anni dell’inizio dell’era cristiana. Le informazioni su di lui ci provengono dai Vangeli, dagli Atti degli Apostoli e dagli scritti dello storico Giuseppe Flavio. I singoli evangelisti tratteggiano la figura e l’attività del Battista adattandola all’impianto e agli scopi della loro narrazione catechetica, sottolineando la sua funzione di annunciatore di Gesù. Secondo il vangelo di Luca era nato in Giudea da anziani genitori (Zaccaria ed Elisabetta) di discendenza sacerdotale ed era contemporaneo di Gesù e suo lontano parente. Ritroviamo Giovanni intorno all’anno 28 d. C. nella valle del Giordano a predicare la penitenza e la necessità di una conversione in vista dell’imminente giudizio di Dio. Giovanni si era formato nel deserto della Giudea e aveva avuto, con molta probabilità, contatti con i numerosi gruppi religiosi simili alla setta di Quram. Gruppi che in vario modo annunciavano la necessità di una purificazione del tempio e della fede dei Padri. Le folle accorrevano da Giovanni e si facevano battezzare, cioè immergere nell’acqua del Giordano, confessando i loro peccati. Di qui il titolo di Battezzatore. Gli evangelisti sono unanimi nel dire che anche Gesù fu tra coloro che accorsero da Giovanni per essere battezzati. Alcuni sostengono, sulla scorta del quarto vangelo, che Gesù per qualche tempo fosse stato fra i suoi discepoli. Gli evangelisti sottolineano anche i legami tra i due e l’ammirazione reciproca e ne uniscono le sorti dicendo che l’arresto e poi la morte del Battista da parte del Tetrarca Erode Antipa (figlio di Erode il Grande), di cui Giovanni denunciava i peccati e le ingiustizie, prelude in qualche modo alla morte di Gesù. Giovanni è la “Voce” che annuncia l’arrivo della novità, una novità che viene da lontano, come il popolo che attraverso il deserto ritrova la patria desiderata. Egli annuncia così un cambiamento che deve trovare persone pronte ad accogliere la novità, e a farla crescere. Guai a chi pensa che basti “essere figli di Abramo” per essere pronti per i tempi nuovi. Nella predicazione di Giovanni e nella sua personalità sono evidenti una chiara coscienza del giudizio imminente, il ritorno alla predicazione profetica, l’apertura universalistica e l’annuncio dell’arrivo del Messia. Egli rappresenta la sintesi di tutti i profeti e in particolare del profeta Elia: si veste come lui e nella sua predicazione usa toni che richiamano l’antico profeta. Tuttavia non si riconosce né come Elia, né come profeta, né come messia, ma semplicemente come “Voce”. La storia ci dice che i discepoli di Giovanni continuarono la sua missione alcuni mantenendosi fedeli al Battista, altri divennero discepoli di Gesù come narra il quarto vangelo. La liturgia dell’avvento ripropone la figura del Battista come “Voce” che chiede la conversione perché il Natale del Signore non sia solo una data da segnare sul calendario, ma diventi un vero rinnovamento della vita di ogni battezzato. L U C I D I AV V E N T O Antonella, da undici anni in Thailandia, vive attualmente a Naan, nel nord del Paese. Ricorda qui un episodio vissuto, nella periferia di Bangkok. ...ho conosciuto Bob, un giovane di 36 anni, molto intelligente, buddista, che da quando ne aveva 18 è paralizzato a letto per un incidente di moto, avvenuto cinque giorni dopo il suo matrimonio. Come potevo interagire con lui, come arrivare al suo cuore senza ascoltare anche il suo corpo immobilizzato, ferito da così lungo tempo? Come farmi vicina, senza mancare di rispetto o suscitare diffidenza, essendo una donna, occidentale, cristiana, e per di più “religiosa”? Così spesso non osavo neanche toccarlo. Per molto tempo il nostro dialogo è stato piuttosto formale, finché mi è sembrato di disturbarlo, che non si fidasse delle mie intenzioni, così smisi per un po’ di andarlo a visitare, mandandogli spesso i miei saluti. Un giorno però il parroco mi disse: “Perché non vai a trovare Bob? Sai, non l’ho visto bene: è molto giù”. Mi feci coraggio e andai, ma quel giorno non avevo molto da offrirgli, perché ero giù di morale anch’io, vista la fatica che facevo, dopo diversi anni, con la lingua e la cultura thailandese. Accadde che invece di consolarlo, come credevo, mostrai la mia fragilità, con le lacrime, che non riuscii a trattenere davanti a lui. In quel momento il suo viso si illuminò, mi sorrise e mi disse: “Prima che tu vada via oggi mi piacerebbe che mi abbracciassi, puoi farlo?”. È così che sulla soglia della debolezza, nell’incontro delle nostre fragilità, dove l’uomo riconosce il bisogno dell’altro, Gesù si è fatto presente, in quella relazione, per grazia. Non siamo sempre noi i modelli della compassione di Dio verso gli altri, ma la compassione può esserci mostrata proprio quando siamo anche noi a riceverla e accoglierla, a volte da un fratello non cristiano. AVVENTO DI FRATERNITÀ ► per le missioni delle Saveriane in Thailandia e Africa ► per far fronte ai debiti e alle spese della parrocchia VENERDÌ 16 DICEMBRE alle ore 21.15 Nell’Oratorio della Compagnia dei Battuti di S. Michele a Castello Ricordo del Cardinale Piovanelli un pastore con l’odore delle pecore e presentazione del libro-intervista “il parroco cardinale” di Marcello Mancini e Giovanni Pallanti CALENDARIO Domenica 11 dicembre: 3a di Avvento. Martedì 13 novembre: ore 21,15 Catechesi degli adulti in parrocchia. Mercoledì 14 dicembre: ore 17.45 Corso di Ebraico Biblico in parrocchia. Sabato 17 dicembre: ore 15.30 Liturgia penitenziale. Domenica 18 dicembre: 4a di Avvento. Castello_7 è anche a questo indirizzo: http://users.libero.it/don.paolo.aglietti e-mail: [email protected]