race – il colore della vittoria

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race – il colore della vittoria
CINEMA TEATRO OSOPPO
Via Osoppo 2
Milano
In collaborazione con:
Centro Culturale don Carlo Calori; Centro Culturale San Benedetto;
Fondazione Carlo Perini; Centro Culturale San Protaso
Presenta:
RACE – IL COLORE DELLA VITTORIA
Anno:
Genere:
Tem atiche:
Regista:
Attori
2016
Durata:
134 min
Biografico
amicizia, amore, atletismo, lealtà, nazismo,
razzismo, sport
Stephen Hopkins
Carice Van Houten, Jason Sudeikis, Jeremy
Irons, Stephan James, Tony Curran, William
Hurt
Valutazione
Uscito in anno di Olimpiadi, questo biopic dell’atleta olimpico Jesse Owens si inserisce con il suo piglio
volonteroso ma non sempre brillante nella scia dei vari film dedicati al pubblico di colore (uno dei target
un tempo trascurati e oggi tornato in auge, proprio come quello dei credenti), di cui Hollywood va a
riscoprire eroi più o meno trascurati (come il candidato all’Oscar dello scorso anno, Selma, da cui viene
l’attore qui protagonista). Questo per dire che Race, pur essendo un dignitoso film sportivo (con tutti i
cliché del genere), si trova anni luce lontano da capolavori come Momenti di gloria, capace di
trasfigurare l’agonismo atletico in poesia e di raccontare nello stesso tempo epoca, umanità e fede, e
più dalle parti dei film con la morale.
La vicenda di Owens, talento naturale che strabiliò prima l’America e poi il mondo intero ai Giochi
Olimpici di Berlino del 1936 (quelli che nelle intenzioni di Hitler e dei suoi avrebbero dovuto celebrare
le grandezze del nazismo e della razza ariana) si prestano bene al famigerato “dibattito”. Gli Stati Uniti,
dove all’epoca regnava – e avrebbe regnato ben oltre la Seconda Guerra Mondiale – un regime di
discriminazione pesante (come mostrato nel film, ai neri erano riservati posti separati non solo nei bus,
ma anche nei luoghi di allenamento; e allo stesso Owens, dopo le vittorie, fu proibito di entrare
dall’entrata principale nello stesso locale dove sarebbe stato celebrato), restarono a lungo incerti se
boicottare la manifestazione. Il film dà doverosamente conto da un lato delle discussioni in proposito
all’interno del Comitato Olimpico (come pure di compromessi e compromissioni con la Germania di
molti americani), dall’altro delle pressioni su Owens e altri atleti neri per un ritiro simbolico dalla
manifestazione.
Il giovane Jesse (in realtà James Cliveland, J.C., nome deformato da un’insegnante che non riusciva a
capire il suo dialetto dell’Alabama) è presentato come un ragazzo di buon cuore, che vive per correre e
per amore della fidanzata e madre della sua bambina. Notato dall’allenatore della scuola finisce
all’università per meriti sportivi e qui viene preso sotto l’ala burbera ma affezionata di Larry Snyder (un
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ottimo Jason Sudeikis, cui si affiancano in ruoli minori altri attori di buona fama), capace di incanalare il
suo talento e sostenerlo attraverso i dibattiti ideologici che rischiano di compromettere la sua
vocazione.
Il film, prima di giungere al fatidico 1936, si focalizza sul percorso dell’atleta, dalle sue lotte contro i
pregiudizi altrui alle (piccole) cadute dovute alla fama, fino alla grande occasione. Quando si sposta in
Germania la presenza in scena di Leni Riefenstahl (autrice del celeberrimo Olympia, lungometraggio
celebrativo dei Giochi che le diede imperitura per quanto ambigua fama) e tutta una serie di siparietti
con il ministro della Propaganda Goebbels spostano il confronto ideologico tra America democratica e
Germania ariana e antisemita. Anche in questo caso non si va molto per il sottile, mentre avrebbe forse
meritato più spazio il rapporto di amicizia, inaspettato e sorprendente, nato tra l’atleta americano e il
rivale di salto in lungo, il tedesco Carl Luz Long, protagonista di un gesto di grande fair play sportivo che
permise la vittoria di Owens (e che forse costò poi al tedesco l’arruolamento in guerra, dove morì).
Race dà doverosamente conto di questo come di una serie di altri episodi (la tanto discussa mancata
stretta di mano al vincitore da parte di Hitler, la partecipazione di Owens alla staffetta, in cui vinse il
quarto oro sostituendo un collega di origine ebraica), con il tono di un professore preoccupato più del
politically correct che di una robusta drammaturgia. Il risultato è più legnoso che davvero coinvolgente,
ma non spiacerà agli amanti dello sport: quelli che sanno che solo una cinquantina di anni dopo il figlio
del vento Carl Lewis fu in grado di eguagliare i quattro ori di Owens. Mentre agli altri finirà per sembrare
il solito piatto di broccoli, che fanno bene, ma che non hanno niente a che vedere con una bella razione
di popcorn.
Buona Visione