UN LAMPO D`EBANO CONTRO IL RAZZISMO
Transcript
UN LAMPO D`EBANO CONTRO IL RAZZISMO
[QUESTIONI DI FAMIGLIA] DI MARCO RONCALLI UN LAMPO D’EBANO CONTRO IL RAZZISMO Parla Gloria, figlia del grande campione: «Era un uomo di fede, per lui lo sport era onore e amicizia» L Qui sotto: Gloria Owens neonata in braccio alla madre Ruth. A destra: lo scatto di Jesse Owens 28 FEBBRAIO 2008 CLUB3 o chiamavano “lampo d’ebano”. E secondo un sondaggio mondiale è stato il più grande sportivo del Ventesimo secolo. Di certo la sua partecipazione alle Olimpiadi del 1936 a Berlino, dove vinse quattro medaglie d’oro (100 e 200 metri, staffetta 4x100 e salto in lungo), lo trasformò nel simbolo stesso di quei Giochi. Un appuntamento che, nelle intenzioni di Adolf Hitler, doveva far risaltare nell’Olympiastadion la superiorità della razza ariana, ma dove invece, davanti a 100 mila persone, brillò la stella di un nero di 23 anni: James Cleveland Owens, chiamato Jesse dalle iniziali J.C. Occorrerà attendere quasi mezzo secolo, fino alle Olimpiadi di Los Angeles (1984), per vedere Carl Lewis ripetere una simile impresa. Owens era nato a Oakville, in Alabama, nel 1913, e a otto anni s’era trasferito con la famiglia a Cleveland, nell’Ohio. Una storia, la sua, all’inizio uguale a quella di molti ragazzi neri cresciuti nel periodo della Depressione. Tanti lavoretti umili per vivere e studiare, ma con la passione per lo sport meno costoso: la corsa. Negli Usa, poi, perdurava allora la segregazione razziale, e il ventenne Jesse viveva fuori dal campus universitario, subendo le restrizioni degli altri afro-americani. Ben presto, però, cominciò a farsi notare. Due gli incontri determinanti: quello con Charles Riley, suo preparatore sportivo, e quello con Ruth, primo e unico amore di tutta la sua vita. E arrivò anche “il giorno dei giorni” (come scrisse nell’autobiografia) del quale si parlò anche oltreoceano. Il 25 maggio 1935, ai campionati del Middle West, reduce da un infortunio alla schiena, Jesse scende in pista all’ultimo istante ma eguaglia il record mondiale nei 100 metri, stabilisce quello nel salto in lungo (è il primo uomo a superare la misura degli 8 metri), vince la gara dei 200 metri e quella dei 200 metri a ostacoli. Quel che accadrà l’anno dopo alle Olimpiadi di Berlino l’abbiamo già ricordato: 4 medaglie d’oro in un giorno. Aveva ai piedi un nuovissimo tipo di scarpe marcate Dassler che il patron della griffe aveva confezionato per lui in un cuoio leggerissimo, quasi una seconda pelle. Ma qui piuttosto bisognerebbe aggiungere almeno un paio di note più importanti. La prima riguarda la leggenda su Hitler che rifiuta di stringergli la mano dopo la vittoria, episodio tramandato da storici e giornalisti che non considerarono mai le circostanze concrete. Secondo la versione dello stesso Owens, ma anche di testimoni come l’italiano Arturo Maffei (recordman del salto in lungo a Berlino, morto nel 2006 a 97 anni), Hitler trovatosi innanzi a Owens, gli fece il saluto nazista a braccio teso proprio nel momento in cui Jesse gli tendeva la mano per stringergliela; mentre quando il dittatore abbassò il braccio, Owens alzò il suo alla fronte per un saluto stile militare. Pochi istanti e Hitler passò oltre per congratularsi con gli altri. Che poi Owens, come lo stesso Hitler, le congratulazioni non le volesse, potrebbe essere pur vero. La seconda nota riguarda invece l’amicizia di Jesse con il tedesco Lutz Long, suo avversario nelle gare. Fu Long a suggerire a Owens, nel suo ultimo salto di qualificazione, di anticipare la sua battuta facendogli così passare il turno eliminatorio e conquistare l’oro. Non so씮 DUE RECORD DIVERSI 씰 Il record di quattro medaglie d’oro nella stessa edizione delle Olimpiadi (100, 200, 4x100 e salto in lungo) ha resistito da Jesse Owens (Berlino 1936) a Carl Lewis (Los Angeles 1984) quasi mezzo secolo. Quando l’atleta nero dell’Alabama detto “figlio del vento” riuscì nell’impresa, il paragone col grande predecessore fu inevitabile: chi era il più forte? Difficile stabilirlo, ogni atleta vale nella sua epoca, ma con una differenza tra le due imprese: Lewis gareggiò in casa, in un clima favorevole, Owens nella Berlino nazista e di Hitler che andò via indispettito per il successo contro il campione ariano Long. CLUB3 29 FEBBRAIO 2008 [QUESTIONI DI FAMIGLIA] “ ” Se non poteva esser presente alle nostre occasioni speciali, mandava fiori da tutto il mondo. Era il suo linguaggio d’amore 씮 lo. A fine gara i due si abbracciarono, trottando poi sulla pista mano nella mano sotto gli sguardi stupiti dei teorici della supremazia ariana. Sarebbero stati amici per sempre. Anche dopo la morte di Long in piena guerra mondiale, a Cassino nel 1943, Owens rintracciò la famiglia dell’amico e, secondo una disposizione di Long, spiegò al figlio rimasto orfano due cose: l’importanza dell’amicizia e il valore dell’etica dello sport. Chi è stato Jesse Owens, continua a raccontarcelo ora la figlia Gloria, nata nel 1932 a Cleveland, studi all’Università dell’Ohio, master in Scienze dell’educazione a Chicago, oggi vicepresidente della fondazione che porta il nome del padre: un’organizzazione no-profit aperta a tutti che promuove lo sviluppo dei giovani, creata da sua madre Ruth dopo la morte del marito nel 1980 (il 31 marzo, a Tucson nell’Arizona, quando Jesse, a 66 anni, fu Mio padre non parlava A destra: Owens fa il saluto militare a Berlino 1936; il suo nome inciso sul muro dell’Olympiastadion; il campione in una pausa dei Giochi olimpici 30 FEBBRAIO 2008 CLUB3 stroncato da un cancro ai polmoni). Gloria, che ha due figli adulti e risiede a Chicago con il marito Malcolm M. Hemphill, riannoda per noi il filo dei ricordi. Parte da lontano, Gloria. «Avevamo dei momenti di gioia estrema. Le gite alla piscina senza mai imparare a nuotare, nonostante lui cercasse disperatamente di insegnarmelo. La mia prima bicicletta e lui a farmela usare subito. L’attesa e l’emozione ogni volta che rientrava a casa dai suoi tanti viaggi. Era sempre come se fosse Natale, regali da ogni luogo visitato. E i fiori da tutto il mondo se non poteva esser presente a occasioni speciali. Era il suo linguaggio d’amore. Raccontava sempre le storie dei bambini incontrati: una bella lezione per capire le diverse culture. Dopo la guerra, nonostante i suoi successi, mio padre doveva guadagnarsi nio. Le lettere che mio padre mi ha scritto per esprimere la sua felicità per la nascita dei miei figli mi riempiono ancora il cuore di una gioia immensa». Molti ricordi belli…«Ne ho anche di tristi. Come le innumerevoli volte in cui era così malato da non poter respirare. Avrei voluto respirare per lui. L’ultima volta che abbiamo lasciato Chicago per andare a Phoenix, lui era su una sedia a rotelle e mentre eravamo all’aeroporto salutava tutti con la mano con il suo solito modo da “ciao campione”. Lo salutavano tutti e quando siamo arrivati al gate, si è alzato dalla sedia a rotelle e ha camminato orgoglioso sulle sue gambe fino all’aereo. Solo Dio può avergli dato la forza per farlo». Chiedo a Gloria cosa sa dell’episodio con Hitler a Berlino. «Ci sono state così tante interpretazioni della risposta di Hitler alle vittorie di mio padre a Berlino... Sinceramente, non mai di Hitler. da vivere preparando squadre sportive e persino correndo contro i cavalli… E io sempre a guardare baseball e pallacanestro: non mi piacevano, ma meno ancora mi piaceva vedere mio padre correre contro un cavallo e venir battuto ogni volta. Lui non avrebbe voluto farlo ma era un lavoro onesto e aveva una famiglia da mantenere. Era attaccatissimo a noi, a me. Come dimenticare il meraviglioso discorso che fece quando mi diplomai.... O quando mi accompagnò al ballo dell’ultimo anno fermandosi sulla porta. O la sua tensione e la felicità per la mia laurea. Diversa la tensione quando, mentre stavo imparando a guidare, sono andata a sbattere contro un idrante e contro la staccionata del vicino. E un altro genere di tensione quando abbiamo percorso insieme la navata della chiesa al mio matrimo- rant’anni dopo, nel 1967, ha ricevuto la Medaglia della Libertà dal presidente Ford, solo nel 1979 il presidente Carter l’ha insignito del Premio delle leggende viventi. Ed ero presente alla Casa Bianca nel 1990 quando il presidente Bush senior ha consegnato a mia madre la Medaglia d’oro del Congresso in onore di mio padre». Nella vita di Jesse Owens ha un posto speciale l’amicizia con Long….«Eccome! E se io non ho mai incontrato Lutz Long, ho però avuto il piacere di incontrare alcuni suoi familiari a Berlino, su invito del Governo tedesco, quando la strada che porta allo Stadio Olimpico è stata intitolata a mio padre. Sono persone molto care. Mia figlia, Gina Hemphill, e la nipote di Lutz Long hanno partecipato insieme a una manifestazione qualche anno fa per onorare i loro nonni e la loro amicizia». Mi accorgo che stiamo parlando poco di “ ” Mio padre era un uomo religioso, lo ha dimostrato. Dopo le Olimpiadi, nessuna pubblicità ma tanto lavoro con i bambini Diceva solo: «Sono andato in Germania per correre» so come si sentisse mio padre in proposito. Ho visto solo i filmati con le reazioni di Hitler e a volte una fotografia vale migliaia di parole. Che ci creda o no, nessuno parlava di Hitler in casa nostra. Mio padre disse solo: “Sono andato in Germania per correre e ho corso. Volevo rendere il mio Paese, la mia famiglia e il mio allenatore orgogliosi di me”. Personalmente, credo che abbia raggiunto il suo obiettivo. Ma è stato un vero peccato che dopo il grande successo alle Olimpiadi mio padre sia dovuto ritornare in un Paese dove in alcuni luoghi non poteva nemmeno sedersi nelle prime file sull’autobus». Insomma più che Hitler, fu il presidente americano dell’epoca, Franklin D. Roosevelt, a snobbarlo. Forse perché in quel periodo elettorale era preoccupato della reazione degli Stati del Sud… O no? «Non ho mai sentito di nessun riconoscimento da parte del presidente degli Stati Uniti. Ero una bambina, allora, e lui non ha mai più discusso di queste cose con noi quando siamo cresciuti. Solo qua- sport e che in Owens c’è stato davvero ciò che Gloria chiama una «sintonia fra la forza fisica e quella spirituale». Aggiunge: «Mio padre era un uomo religioso. Lo ha dimostrato con le scelte della sua vita. Tornato dalle Olimpiadi non si è lanciato in campagne pubblicitarie lucrative. Anche il lavoro di allenatore a Cleveland è stato solo il suo primo passo verso una vita intera di lavoro con giovani svantaggiati che gli ha dato molte soddisfazioni e di cui si parla poco. È stato direttore del Chicago Boys Club, ha aiutato più di 150.000 giovani, Commissario dello sport dello Stato dell’Illinois ma anche ambasciatore americano degli sport in India, a Singapore, in Malesia, nelle Filippine e in Costa d’Avorio. Parlava e lavorava con i bambini più sfortunati. Li motivava e divenne per loro un mezzo di contatto con il mondo esterno. Ed era consapevole che si educa anche attraverso lo sport». 왎 In alto: Owens in una delle ultime immagini. A sinistra: il francobollo dedicato alle sue imprese sportive CLUB3 31 FEBBRAIO 2008