Kasparhauser

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Kasparhauser
Kasparhauser
Transmoderno. Un nuovo paradigma
4 | 2013
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Kasparhauser
Transmoderno. Un nuovo paradigma
4 | 2013
A cura di Marco Baldino
Philosophical culture quarterly. Direzione: Marco Baldino, Francesca Brencio,
Giacomo Conserva, Jacopo Valli.. Hanno collaborato: Elena Ardito, Alberta
Battisti, Francesco Forini, Francesca Rizzi.
Pubblicazione on line protetta dal diritto d’autore. La distribuzione avviene a
mezzo rete ed è gratuita. Non è consentita la commercializzazione del materiale
qui raccolto.
Kasparhauser ISSN 2282-1031
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Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Indice
Introduzione
5
Rosa María Rodríguez Magda
Transmoderno. Un nuovo paradigma
9
Victoria Sendón de León
La ricerca di R. M. Rodriguez Magda
28
Carmen África Vidal Claramonte
Della traduzione transmoderna
36
Marc Luyckx Ghisi
Verso una trasformazione transmoderna della nostra
Società Globale
47
Marco Baldino
Transmoderno e post-storia
67
Jacob Taubes
Estetizzazione della verità nella post-storia
86
Dutton Kearney
Von Balthasar come transmoderno. Scritti recenti di
estetica teologica
Peter Lamborn Wilson
101
116
Il ritorno del paleolitico
Giacomo Conserva
Il Truman/Berlusconi Show. [A proposito di un libro di
Fulvio Carmagnola e Matteo Bonazzi]
3
121
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Bibliografia/sitografia
127
Gli autori
131
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Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Introduzione
di Marco Baldino
È possibile un dialogo ―reale‖ tra le varie forme di civiltà?
Questo è ciò che Henry Corbin si domandava nel 1977, a
Teheran, in occasione di un Colloquio Internazionale
organizzato dal Centro Iraniano per lo Studio delle Civiltà,
giusto un attimo prima che scoppiasse la rivoluzione
khomeinista. Oggi la rivoluzione khomeinista è solo un
residuo di civiltà tradizionale nel processo di
occidentalizzazione del mondo.
A noi spetta pertanto di attualizzare la domanda nel modo
seguente: è possibile un dialogo reale tra paradigmi? Il
postmoderno,
vale
a
dire
la
constatazione
dell‘incommensurabilità dei paradigmi, ci ha stancati. Che
cosa è accaduto, essenzialmente? Ci siamo saziati
dell‘ottimismo con cui il postmoderno predicava il
nichilismo? Certo, l‘estetica delle macerie è un po‘
stucchevole per chi si dispone a condurre la propria
esistenza razzolando tra le rovine. Ebbene, che cosa è
accaduto?
In primo luogo l‘avvento di una sorta di scambiabilità
illimitata di tutti i discorsi, di tutte le immagini, di tutti i
suoni, la comparsa di un equivalente universale astratto del
linguaggio esteso: il sistema binario. Il sistema binario,
combinato con l‘elettronica, permette di mappare in scala
uno-uno tutti i clic, tutti i pixel, tutti i campionamenti
presenti in rete e di elaborarli in tempi che chiamiamo
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Transmoderno. Un nuovo paradigma
―reali‖. La necessità di facilitare la comunicazione tra
culture attraverso poderosi lavori di traduzione, sembra
superata.
Lo stesso concetto di ―civiltà‖, con quel suo richiamo alla
forza segreta, invisibile, spiritualmente identitaria che lo
abita, non si può più dire che svolga un ruolo
determinante. Bastano effettivamente alcuni meccanismi
informatici ben programmati perché masse enormi di
utenti (ma è solo un altro modo di dire ―persone‖), si
scambino, oltre a transazioni economiche, quantità di
contenuti culturali. Lo zoccolo profondo delle civiltà,
l‘identità irriducibile e intraducibile che costituisce la loro
forma spirituale, appare piuttosto come una sorta di
―valore aggiunto‖: niente ci piace di più della spiritualità
tibetana, ma essenziale per noi sono la libertà politica ed
economica di quel paese, vogliamo poterci andare, poterci
fare affari — e non ameremmo affatto che quelle terra
martoriata venisse inghiottita da una qualche forma di
teocrazia.
Ciò che Corbin escludeva come eventualità meramente
contraddittoria, la riduzione del dialogo fra civiltà a mero
funzionamento tecnologico, si è avverato. Quella forza
segreta, invisibile, che sembrava costituire lo zoccolo
incomprimibile di una cultura, il suo carattere proprio,
irriducibile e intraducibile, si è sciolto nella traducibilità
illimitata della tecnica informatica. Il problema del dialogo
tra civiltà sarà forse emerso come scontro tra
secolarizzazione e sacralizzazione, ma si è risolto nella
diffusione
planetaria
della
Information
and
Communication Technology.
Il totalitarismo come sacralizzazione delle istituzioni non
sembra essere più all‘ordine del giorno. Le ultime
resistenze alla forza espansiva della secolarizzazione le
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Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
vediamo andare in pezzi con l‘apparizione, in Egitto e in
Tunisia, del movimento femen.
Ecco dunque che cosa è successo: se il postmoderno era la
scoperta e la presa d‘atto dell‘incommensurabilità dei
paradigmi e dell‘intraducibilità dei regimi di frasi, il
Transmoderno è la scoperta e la presa d‘atto della
intercambiabilità dei paradigmi e della scambiabilità a
morte di tutti gli enunciati, sulla base della loro riducibilità
binaria, sulla base della loro universale circolazione weberiana.
Si potrebbe dire che il concetto di ―implosione‖ proposto
da Baudrillard, ha avuto la meglio sul ―problema della
legittimazione‖ elaborato da Lyotard: gli effetti sono in
effetti quelli dell‘iperrealismo, dell‘osceno, della
reversibilità, dello scambio simbolico, ma in una forma
meno drammatica e ironica di come non appaiono sulla
pagina baudrillardiana. Lo scambio simbolico, per
esempio, assomiglia meno allo scontro a morte del signore
e del servo che non alla dinamica del riconoscimento
risolta nell‘ambito di un gioco socialmente e
pubblicamente regolato e regolabile, dagli effetti
mutuamente soddisfacenti. L‘osceno assomiglia meno
all‘ipervisibilità che uccide le passioni, l‘eros, il senso e il
sociale stesso, che non alla possibilità di modulare
l‘impatto del reale sulla nostra vita, attraverso lo schermo
del virtuale: il matrimonio tra gay ci appare plausibile
perché i loro comportamenti sessuali ci sono noti nei
particolari e, in definitiva, non differiscono, nemmeno
nell‘esagerazione pornografica (di cui possiamo renderci
sempre spettatori), da quelli eterosessuali: l‘arbitrio si
trasforma in diritto proprio grazie all‘ipervisibilità del
reale, proprio grazie all‘oscenità.
E tutto ciò va con il passaggio dal teologico al sociologico,
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Transmoderno. Un nuovo paradigma
che era una catastrofe per Corbin. Il sociale che si
sostituisce al theos. Bene, si tratta della catastrofe
costitutiva dell‘orizzonte di senso di questa nuova fase del
mondo, con buona pace di Corbin.
Il problema non è più quello di un dialogo fra civiltà,
perché le civiltà sprofondano, le differenze si stemperano
in una forma di civiltà, per così dire, globish. Il problema,
semmai, è quale pratica del pensiero, quali strategie
memoriali e quali forme politiche si accordino con
l‘intercambiabilità dei paradigmi e la traducibilità
implosiva degli enunciati. Il problema non è più cercare
ciò che ci unisce nel mare magnum di ciò che ci divide,
ma quello della messa a disposizione di un valore
aggiunto, differenziale (anche nel senso matematico del
―piccolo‖), che garantisca la mobilità turistica (nel senso
etimologico: tour-istico) delle persone.
Meravigliarsi di una piccola differenza è il motore di una
residua attività storica in un mondo sfebbrato e
convalescente dalla grande piressia del negativo. Il
turismo, le piccole differenze nelle forme di autogoverno e
nel modo di esprimere dissenso nel locale, le forme di
conservazione della memoria, l‘uso delle tradizioni di
pensiero, l‘intelligenza con cui, localmente, viene gestita
l‘intercambiabilità dei paradigmi, costituiscono il vero
residuo differenziale capace, forse, di accordarsi al
processo di omogeneizzazione globale e, per questo, forse,
di garantirci anche dallo sprofondare nel silenzio.
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Anno 2, Numero 4
Transmodernità: un nuovo
paradigma
di Rosa María Rodríguez Magda
Non so se ci si possa ergere a proprietari delle parole,
sotto qualsiasi forma; i termini emergono, si coniano e
circolano, con maggiore o minor fortuna. In questo caso,
dato che ne ho fatto il nucleo delle mie riflessioni per più
di vent‘anni, che ho sviluppato una teoria al riguardo e che
non mi risulta sia stato utilizzato prima in modo
apprezzabile, credo di poter reclamare la maternità di
questo concetto. Maternità nell‘accezione aperta che tale
processo possiede: concepimento nell‘interiorità di un sé,
parto, attenzione, cura e infine liberazione della creatura
affinché possa crescere nelle diverse interazioni che il
mondo le offre.
Come ho detto altrove1, il termine è nato da una
conversazione che ebbi con Jean Baudrillard nella sua casa
di Parigi, verso il 1987. Riflettendo sulla corrente
postmoderna, alla quale egli rifiutava di iscriversi. In
quell‘occasione osservai che se si prendevano in
considerazione le sue valutazioni sul ―transpolitco‖ e sulla
1
Si veda l‘«Introduzione» al mio volume Transmodernidad,
Anthropos, Barcelona 2004.
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Transmoderno. Un nuovo paradigma
―transessualità‖, a proposito delle sue tematizzazioni del
dominio della simulazione e dell‘iperrealtà, più che una
prospettiva ―post‖, avremmo avuto a che fare con una
prospettiva tale da consentirci di nominare la nostra epoca
―Transmodernità‖.
Con tale concetto ho preteso di demarcare ciò che, a mio
modo di vedere, costituisce un vero e proprio mutamento
di paradigma che può chiarire le relazioni gnoseologiche,
sociologiche, etiche ed estetiche del nostro presente. Così
cominciai a plasmarlo nel mio libro La sonrisa de Saturno.
Hacia una teoria transmoderna; altri aspetti ne sviluppai in
El modelo Frankenstein. De la diferencia a la cultura post
e infine giunsi ad una teorizzazione compiuta in
Transmodernidad.
Certamente una denominazione ottenuta attraverso
l‘aggiunta di un prefisso a un concetto come quello di
―modernità‖, così centrale nei dibattiti degli ultimi
decenni, sorge spontaneamente e in maniera indipendente
in diverse discipline e con diverse intonazioni ideologiche
(quantunque, ripeto, non abbia notizia che il termine sia
stato utilizzato prima che lo coniassi nel 1989, come nuova
configurazione teorica, con dei fondamenti strutturati, al di
là di un mero uso aleatorio e isolato). Ad ogni modo, se
vogliamo fare un una storia delle diverse accezioni del
termine, bisognerà citare il mio carissimo amico Enrique
Miret Magdalena che, anni fa, mi disse di aver utilizzato il
termine in una conferenza (non pubblicata) come un
modo per esemplificare una nuova fase sintetica.
Ciononostante, non lo riutilizzò fino al 2004, quando
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Anno 2, Numero 4
appare nel capitolo di uno dei suoi libri La vida merece la
pena de ser vivida. Anche Juri Talvet, ispanista estone, lo
ha occasionalmente utilizzato per nominare ciò che nella
poesia contemporanea tenta di sfuggire all‘esausto canone
postmoderno. Cito questi due casi tra i tanti che si sono
verificati e che, senza dubbio, continueranno a presentarsi.
Ciononostante, tre sono gli autori o correnti che, sempre
dopo il 1989, hanno tentato di applicare il concetto con
specifiche intenzioni teoriche:
1. Il filosofo argentino-messicano Enrique Dussel, che a
partire dal suo libro Postomdernidad, Transmodernidad
(1999) lo inscrive nel contesto della filosofia della
liberazione e nella riflessione sull‘identità latinoamericana,
intendendo per teorie transmoderne quelle teorie
provenienti dal terzo mondo che reclamano un proprio
posto di fronte alla modernità occidentale, incorporando
lo sguardo dell‘altro, postcoloniale e subalterno.
2. Con un significato diverso la nozione di
―transmodernità‖ è apparsa sporadicamente nella cornice
di incontri che fanno riferimento alla cultura della pace, al
dialogo interculturale e alla filosofia del diritto. In
particolar modo, Marc Luyckx Ghisi ha ripreso più volte il
concetto a partire dal 1998, quando lo utilizzò nel
seminario ―Gouvernance et Civilisations‖, che coordinò a
Bruxelles, organizzato dalla Forward Studies Unit della
Comunità Europea in collaborazione con la World
Academy of Arts and Sciences. Nel modo in cui egli lo
utilizza, la transmodernità vorrebbe costituire una sintesi
tra posizioni premoderne e moderne, dando consistenza
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Transmoderno. Un nuovo paradigma
ad un modello nel quale si accetta la coesistenza di
entrambe, con il fine di rendere compatibile la nozione di
progresso con il rispetto delle differenze culturali e
religiose e cercando con ciò di limitare il rifiuto,
principalmente da parte dei paesi islamici, della visione
occidentale della modernità. Con questo stesso senso lo
hanno utilizzato anche Ziauddin Sardar, Etienne Le Roy o
Christoph Eberhard.
3. Un terzo ambito in cui si è venuta sviluppando una
certa teorizzazione in questa senso è quello
dell‘architettura. Nel 2002 l‘Austrian Cultural Forum di
New York allestì la mostra: ―TransModernity. Austrian
Architects‖. E Marcos Novak, che ha codiretto, con Paul
Virilio, tra il 1998 e il 2000, la Fondation
Transarchitectures di Parigi, ha potenziato la nozione di
transarchitettura come architettura liquida del nuovo
spazio virtuale. Nonostante la vicinanza personale e
intellettuale di Virilio e Baudrillard, l‘utilizzo fatto da
Novak, per quanto incentrato in un ambito specifico,
risulta più affine alla visione del mondo dalla quale parto
io e che ho poi sviluppato.
Tutti questi casi credo dimostrino, ben al di là delle
differenze di accezione, una medesima percezione delle
contraddizioni della modernità e la ricerca di un nuovo
modello che dia conto dei cambiamenti che si verificano
nel nostro presente. Ed è a partire da questa percezione
comune che passo ora ad esporre il mio concetto di
transmodernità, nella convinzione che non solo dobbiamo
stare attenti alle trasformazioni attive nel panorama
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contemporaneo, ma che è anche necessario, al di là di
enunciazioni sparse e isolate, elaborare una teoria solida,
che definisca quello che, a mio modo di vedere, è un
effettivo mutamento di paradigma. Ridurre la
transmodernità a un dialogo tra civiltà o a un modello che
attenui le insufficienze della modernità occidentale
rappresenta una forma di volontarismo, lodevole senza
dubbio, ma ancora interno al paradigma moderno.
Dobbiamo partire, abbandonando antiche illusioni,
dall‘analisi della crisi della modernità, dalle critiche
postmoderne, per arrivare alla configurazione di un nuovo
paradigma concettuale e sociale. ―Trans‖ non è un
prefisso miracoloso, né il desiderio di un
multiculturalismo angelico, non è la sintesi di modernità e
premodernità, bensì la sintesi di modernità e
postmodernità. Rappresenta, in primo luogo, la
descrizione di una società globalizzata, rizomatica,
tecnologica, sviluppata dal primo termine, messa a
confronto con i suoi altri, mentre allo stesso tempo li
penetra e li assume e, in secondo luogo, lo sforzo per
trascendere questa chiusura avvolgente, iperreale e
realtivista. Come ho scritto: «La transmodernità non è una
ONG per il terzo mondo ed è bene che questo se ne
avveda quanto prima, allo stesso modo che noi dovremmo
comprendere chiaramente che non è neppure una nuova
utopia tecnologica e felice. È il luogo in cui stiamo, il
luogo precisamente in cui non stanno gli esclusi. Qualcosa
con cui avremo a che fare tutti» (Transmodernidad, p. 16).
Ciononostante dobbiamo sfumare il ―non essere‖ di
coloro che sostengono posizioni antimoderne, poiché
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Transmoderno. Un nuovo paradigma
mentre la modernità occidentale escluse determinate
culture, popoli, gruppi etnici e religiosi, la
modernizzazione disegna la mappa nella quale questi
emergono, producendo anche una paradossale sintesi tra
premodernità e postmodernità. Così, per esempio, il
fenomeno del terrorismo islamico sviluppa le sue armi di
spettacolarizzazione e strategia operativa in buona misura
grazie alla società mediatica e cibernetica. Senza voler
sottovalutare la tragedia reale delle vittime, gli attentati
dell‘11 settembre non avrebbero avuto il loro forte
impatto senza la trasmissione in diretta della distruzione
delle Torri Gemelle, né i comunicati di Al Quaeda la loro
inoculazione di pericolo indomabile ai margini della
diffusione di messaggi cifrati che l‘agilità della rete
permette. La sfida alla società occidentale non si esercita
da posizioni pre- e antimoderne come male radicale;
l‘Altro, alieno e inassimilabile, mentre tiene in pugno il
dominio della realtà con il suo disprezzo della morte,
circola trasmodernamente nelle vene della nostra società
transmoderna, si struttura fisicamente e specularmente alla
stessa forma reticolare, ed è questo che ci causa
un‘angoscia diffusa, un terrore inevitabile.
La cultura transmoderna che io descrivo parte dalla
percezione del presente comune a diversi autori, che
l‘hanno denominata in modi diversi offrendo anche
risposte variegate, come poterebbero essere ―il tardo
capitalismo‖ di Jameson, ―la modernità liquida‖ di
Bauman,
―la
seconda
modernità‖
di
Beck,
―l‘ipermoderno‖ di Lipovetsky o ―il deserto del reale‖ di
Žižek. E mentre alcuni constatano quanto vi sia di rottura
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Anno 2, Numero 4
con la fase moderna e postmoderna, altri non tralasciano
di postulare una continuità che, a mio avviso, appanna la
percezione del cambio di paradigma che deve servirci per
approntare le armi concettuali con le quali affrontare la
nostra contemporaneità.
La Modernità pretese di postularsi come un tutto
articolato, anche malgrado la sua eterogeneità, come una
scommessa di razionalità solida e progresso etico-sociale.
La conoscenza ha adottato il modello oggettivo e
scientifico, convalidato dall‘esperienza e dal progressivo
dominio della natura, e avallato dallo sviluppo della
tecnica. Parallelamente, si richiese un orizzonte accessibile
di emancipazione degli individui, di libertà e giustizia
sociale. In questo senso la Modernità afferma la necessità
e la legittimità dei discorsi globali o sistemici.
La crisi postmoderna denuncerà invece l‘impossibilità di
tali postulati. Come è ben noto, Lyotard, ne La condizione
postmoderna, proclamò la fine dei ―grandi racconti‖ e dei
paradigmi unitari, mostrando il presente come lo spazio
delle micrologie, della eterogeneità, della frammentazione
e dell‘ibridizzazione. Al riparo della nascita della Teoria e
dei Cultural Studies, grandi propagandisti negli Stati Uniti
della moda postmoderna, si diffuse nel mondo
accademico e mediatico la convinzione per cui, secondo
letture semplificate, il discorso è potere (Foucault), la
realtà è testo (Derrida), il soggetto è desiderio (Deleuze) e
tutto ciò simulacro (Baudrillard). Mancava solo che a ciò si
unisse Fukuyama proclamando la fine della storia. La
critica letteraria diffonde, come dogma scolare, a partire
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Transmoderno. Un nuovo paradigma
dagli anni Ottanta e fino ad oggi, quello che la filosofia
post-strutturalista elaborò, con infinito più vigore, anni fa.2
Però quando il pensiero si converte in una scolastica, in
luogo comune, tradisce lo slancio critico che illuminò il
sorgere di concettualizzazioni innovative. Sembra tempo di
valorizzare non già la rottura che rappresentò la
postmodernità, ma la sua stessa crisi, cioè la crisi della
crisi. Possiamo oggi, già iniziato il XXI secolo, continuare
a ripetere senza autocritica tutta la retorica post che fu di
rottura più di vent‘anni fa? La tesi fondante del pensiero
post era l'impossibilità delle Grandi Narrazioni, di una
nuova totalità teorica. Il postmodernismo sosteneva la
nascita di una molteplicità, frammentata e centrifuga,
gioiosamente non ricostruibile. E tuttavia, negli ultimi
tempi, questa miriade di particelle sparse sembra essersi
raggruppata in un tutto caotico, totalizzante, essendo sorto
un Nuovo Grande Racconto, di proporzioni
precedentemente insospettate: la Globalizzazione. Un
nuovo grande racconto che non sottostà allo sforzo teorico
o socialmente emancipatore delle metanarrazioni
moderne, ma all‘effetto inaspettato delle tecnologie della
comunicazione, della nuova dimensione del mercato e
della geopolitica. Globalizzazione economica, politica,
informatica, sociale, culturale, ecologica... in cui tutto è
interconnesso, configurando un nuovo magma fluttuante,
vago, ma inespugnabilmente totalizzante. È chiaro che mi
2
Si veda a questo proposito l‘eccellente libro di François Cusset,
French Theory, Foucault, Derrida, Deleuze et Cie et les mutations
de la vie intellectuelle aux Etats-Unis, Editions La Decouverte, Paris
2003 (trad. it., French theory. Foucault, Derrida, Deleuze & Co.
all‘assalto dell‘America, Il Saggiatore, Milano 2012).
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sto riferendo non a un certo discorso neoliberista, che altri
hanno definito pensiero unico, ma a una situazione reale,
di fatto, che include e implica tanto le incipienti
teorizzazioni in suo favore quanto le mobilitazioni no
global: il locus totalizzante nel quale emergono le
condizioni reali del nostro presente e i suoi connotati
esplicativi.
Questa ―politica mondiale policentrica‖, come la definisce
Rosenau, e allo stesso tempo globale, si caratterizza,
secondo Beck, per l‘emergente presenza dei seguenti
elementi: organizzazioni transnazionali (dalla Banca
Mondiale alle multinazionali, dalle ONG alla mafia...),
problemi transnazionali (crisi monetarie, cambiamento
climatico, le droghe, l‘AIDS, i conflitti etnici...), eventi
transnazionali (guerre, competizioni sportive, cultura di
massa, mobilitazioni di solidarietà...), comunità
transnazionali (basate sulla religione, stili di vita
generazionali, risposte ecologiche, identità razziali...),
strutture transnazionali (lavorative, culturali, finanziarie...).
Da tutto ciò sembra che si possa concludere quanto segue:
risulta
antiquata
l‘affermazione
postmoderna
dell‘impossibilità delle grandi narrazioni, esiste una nuova
grande narrazione, o meglio un nuovo grande fatto, che
deve avviare nuovi dispositivi teorici: la Globalizzazione,
pertanto
sarebbe
conveniente
considerare
la
configurazione del presente con le sue modificazioni a
partire da un nuovo paradigma. Più che ―post‖ sarebbe il
prefisso ―trans‖ quello più appropriato per caratterizzare la
nuova situazione, dato che connota il modo attuale di
trascendere i limiti della modernità, ci parla di un mondo
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Transmoderno. Un nuovo paradigma
in costante trasformazione, basato, come abbiamo
suggerito, non solo sui fenomeni transnazionali, ma anche
sul primato della trasmissibilità dell‘informazione in
tempo reale, attraversato dalla trans-culturalità, nella quale
la creazione rimanda a una trans-testualità e l‘innovazione
artistica si pensa come transavanguardia. Quindi, se alla
società industriale corrispondeva la cultura moderna, e alla
società postindustriale la cultura postmoderna, a una
società globalizzata corrisponde un tipo di cultura che
denomino transmoderna.
Per modellare le caratteristiche di questo nuovo
paradigma, riprenderò alcune delle valutazioni già esposte
nel mio libro La sonrisa de Saturno. Il Transmodernismo
prolunga, continua e trascende la modernità, è il ritorno,
la copia, la sopravvivenza di una modernità debole,
ridotta, light. La zona contemporanea per cui passano tutte
le correnti, i ricordi, le possibilità; trascendente e
apparente allo stesso tempo, volutamente sincretica nella
sua ―multicronia‖. Un ritorno distante, ironico, che accetta
la propria utile finzione. Il Transmodernismo è il
postmoderno senza il suo essere innocentemente di
rottura, è immagine, serie, fuga nel barocco e barocco
come fuga e autoreferenza, catastrofe, loop, reiterazione
frattale e insensata; entropia dell‘obeso, inflazione livida di
dati; estetica dello strapieno e della sua sparizione,
entropica, fatale. La sua chiave non è il post-, la rottura,
ma la transustanziazione vasocomunicante dei paradigmi.
La Transmodernità non è un desiderio o una meta,
semplicemente c‘è, complessa e aleatoria, non sceglibile;
non è buona né cattiva, benefica o intollerabile... ed è tutto
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Anno 2, Numero 4
ciò contemporaneamente... È l‘abbandono della
rappresentazione, il regno della simulazione, della
simulazione che si sa reale. (La sonrisa de Saturno. Hacia
una teoría, pp. 141-42).
Il primato del virtuale ci situa, dopo la morte dell‘antica
metafisica, nella sfida di una nuova ontologia cibernetica,
dell‘egemonia della ragione digitale. Ma non si tratta della
celebrazione allegra, senza impegno etico e politico, di una
supposta morte della realtà, ma della necessaria
considerazione di come la realtà materiale sia stata
amplificata dalla realtà virtuale. Ciò non può rinchiuderci
nel regno dei segni; dopo i contributi della semiotica, che
leggeva la realtà come insieme di significanti, deve aprirsi
tutto un campo alla ―semiurgia‖ o analisi di come i segni
generino realtà, sviluppando parimenti una ―simulocrazia‖,
cioè lo studio di come i simulacri producano spazi ed
effetti di potere.
Il prefisso ―trans-‖ connota non solo gli aspetti di
trasformazione che vengo segnalando da tempo, ma anche
la necessaria trascendenza della crisi della modernità,
riprendendo le sue sfide etiche e politiche irrisolte
(uguaglianza, giustizia, libertà...), e però assumendo le
critiche postmoderne. Gli enunciati della post-politica o
del post-dovere non possono risolversi nel nichilismo, ma
nella formulazione di un orizzonte che assuma il vuoto
ontologico come sfida razionale, creatrice e impegnata.
Per questo non abbiamo il bisogno della base incrollabile
del noumenico, la cui inaccessibilità già Kant constatava; il
regno dei fondamenti può essere sostituito da una
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Transmoderno. Un nuovo paradigma
fenomenologia dell‘assenza, che tuttavia, fattiziamente,
non si impantani nella inazione del relativismo. Può anche
essere sostituito da un uso regolativo, formale, dei valori e
delle idee, senza ricorrere a un essenzialismo metafisico,
dalla deliberazione e scelta delle regole del gioco per le
diverse pratiche, da parte di un soggetto strategico situato,
dall‘assunzione del compromesso ontologico delle scelte,
dalla difesa a oltranza dell‘individuo, da una certa ironia
scettica di fronte ai nuovi assalti dei fondamentalismi, ma
non a discapito dell‘ideale democratico illuministico come
orizzonte richiesto.
Ora, questa proposta l‘avevo già sviluppata nel mio libro
El modelo Frankenstein. De la diferencia a la cultura post.
La Transmodernità riprende le sfide della Modernità
dopo il fallimento del progetto illuministico. Non
rinunciare oggi alla Teoria, alla Storia, alla Giustizia
Sociale e all‘autonomia del Soggetto, assumendo le
critiche postmoderne, significa circoscrivere un possibile
orizzonte di riflessione che si sottrae al nichilismo, senza
compromettersi con progetti obsoleti, e tuttavia senza
dimenticarli. È necessario riprendere i valori, dopo la
perdita del loro fondamento metafisico, come ideali
regolativi, simulacri operativi concordati nella loro
necessità pragmatica, logica e sociale. Questi valori di
carattere pubblico non saranno forse universali, ma sono
universalizzabili. Parliamo dunque di trasformazione
sociale, di trascendenza dalla mera gestione pratica, di
compromessi argomentativi, di linee di speculazione che
attraversano, trasformandosi e trasformando, l‘indagine
razionale (cfr. p. 18).
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Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
La globalizzazione ci introduce nel primato della
simultaneità, la territorialità è sostituita dal cyberspazio
dove il globale e il locale coesistono, formando il glocale
(una azzeccata espressione di R. Robertson) offrendo un
panorama né post- né multi-, ma trans-culturale, al di là
della deriva reattiva postcoloniale che pare regredire a
verso una premodernità identitaria. A sinistra e destra
sembrano affilarsi le armi davanti a un pensiero debole
che avrebbe relativizzato i criteri. Ma penso che dobbiamo
essere cauti; la critica postmoderna ha evidenziato tutta
una serie di fallacie e di obiettivi non discussi. La necessità
di riprendere criteri solidi non ci può far dimenticare
queste precauzioni, riconducendoci al punto di partenza,
né i fondamentalismi, né la tradizione, né la teologia, né il
giusnaturalismo, né i comunitarismi possono offrire
un‘alternativa. Non si tratta di reazione, ma di futuro.
La Transmodernità si mostra come formula ibrida,
totalizzante, sintesi dialettica della tesi moderna e
dell‘antitesi postmoderna. Non c‘è rottura (da qui la
necessità di abbandonare il prefisso post-), ma un ritorno
fluido di una nuova configurazione delle tappe precedenti.
Un confronto delle caratteristiche dei tre momenti come
propedeutica approssimativa, anche con il rischio di
sembrare semplificativo, può darci una visione più
intuitiva del processo e del nostro momento attuale:
MODERNITÀ
POSTMODERNITÀ
TRANSMODERNITÀ
Realtà
Presenza
Omogeneità
Simulacro
Assenza
Eterogeneità
Virtualità
Telepresenza
Diversità
21
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Centralizzazione
Temporalità
Ragione
Conoscenza
Nazionale
Globale
Imperialismo
Dispersione
Fine della storia
Decostruzione
Antifondamentalismo
scettico
Postnazionale
Locale
Postcolonialismo
Cultura
Fine
Gerarchia
Innovazione
Economia
industriale
Territorio
Multicultura
Gioco
Anarchia
Sicurezza
Economia
postindustriale
Extraterritorialità
Città
Popolo/classe
Attività
Pubblico
Quartieri periferici
Individuo
Spossatezza
Privato
Sforzo
Edonismo
Spirito
Atomo
Sesso
Maschile
Cultura alta
Corpo
Quanto
Erotismo
Femminile
Cultura di massa
Avaguardia
Oralità
Opera
Narrativo
Cinema
Stampa
Galassia
Gutenberg
Postavanguardia
Scrittura
Testo
Visivo
Televisione
Mass-media
Galassia McLuhan
22
Rete
Istantaneità
Pensiero unico
Informazione
Transnazionale
Glocale
Cosmopolitismo
transetnico
Transculturale
Strategia
Caos integrato
Società del rischio
New economy
Ubicuo
transfrontaliero
Megacittà
Chat
Connettività statica
Oscenità
dell‘intimità
Individualismo
solidale
Cyborg
Bit
Cybersex
Transessuale
Cultura di massa
personalizzata
Transavanguardia
Schermo
Ipertesto
Multimedia
Computer
Internet
Galassia Microsoft
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Progresso/futuro
Revival/passato
Final Fantasy
(Transmodernidad, p. 34)
Osservando le tre colonne, percepiamo nella prima
l‘impulso del pensiero forte moderno; nella seconda la
rottura eterogenea e nella terza un cambio di registro che
unisce entrambe nel compimento di una totalità
incongruente, fittizia, ma reale. Non si tratta, ripeto, di una
proposta, ma di una descrizione. Si tratta di considerare
ciò che la situazione presente ha di proprio, di percepire
come questa configuri un paradigma differente. È il passo
precedente alla sua comprensione, la sua analisi e la sua
successiva trasformazione di quanto in essa ci risulta lesivo.
Analizziamo il processo più da vicino. Il pensiero
moderno non metteva in discussione la realtà ma la
considerava dinamica e suscettibile di essere trasformata
dagli attori sociali. L‘espressione linguistica postmoderna
potenziò la semiosfera, il segno acquistò predominio sul
referente, il mondo sembrava una serie di simulacri
consumabili di forma indolore. La transmodernità ci offre
una sintesi tra il materiale e la finzione. La realtà virtuale è
senza esistere, non si riduce a mera affabulazione, ma si
converte nella realtà vera. Il soggetto non si trova più
impantanato nel fisico, ma nemmeno rimane relegato alla
sua attenuazione passiva di fronte all‘eccesso di dati, è
telepresente e in tal modo interattivo. L‘impero dello
Stesso con la sua volontà moderna di sistema si rompe
nella frammentazione post dell‘eterogeneo, per, infine,
riconvertirsi in diversità assimilabili ‒ le identità
23
Transmoderno. Un nuovo paradigma
riappaiono come raggruppamenti specifici di consumatori.
È il proprio universo cibermediatico che dà loro visibilità,
siano essi minoranze etniche, sessuali, movimenti
antiglobalizzazione o organizzazioni terroristiche.
Di fronte all‘idea di un centro stabilizzante, la critica
postmoderna
si
pretese
rizomatica,
dispersa,
irreconciliabile; il presente transmoderno si articola
attorno alla metafora della rete, che istituisce una specie di
equilibrio, instabile ma interconnesso. La temporalità
moderna era progressiva e lineare. A essa si oppose la
―fine della storia‖. Oggi la celerità diviene quasi statica;
l‘istantaneità è un presente permanentemente attualizzato.
L‘Illuminismo ci restituito una Ragione autocritica ma
forte; il pensiero postmoderno ha operato una minuziosa
decostruzione; l‘era postmetafisica in questo momento
sembra tentata dall‘equivoca totalizzazione del pensiero
unico. L‘ideale di conoscenza moderna sostenuta dalla
ragione pretendeva di raggiungere l‘universalità. La critica
―post-‖ crebbe nel relativismo e nel contestualismo. La
transmodernità pretende di far rientrare (nel senso di
normalizzare)
la
miriade
di
informazioni
autodenominandosi quale ―società della conoscenza‖. Gli
stati moderni sono stati nazionali. La loro rottura generò
innanzitutto la postnazionalità, al di là della rottura, il
panorama che incontriamo oggi è decisamente
transnazionale. L‘economia, la cultura, la comunicazione,
il futuro dell‘ambiente naturale oggi sono concepiti come
una totalità interdipendente.
24
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Allo Stato moderno corrisponde un immaginario globale
semplice, e cioè un anelito universalista per quanto
riguarda la sua cultura e una vocazione imperialista per
quanto riguarda la sua espansione politica: tenta di
consolidare il proprio territorio e proiettarsi oltre esso.
Questo immaginario globale semplice fu duramente
criticato dal pensiero postmoderno: la momentanea
attrazione del locale resta presunta in questo insieme
avvolgente che include lo specifico, il Glocale. Il progetto
moderno fu contestato dalla creazione di un pensiero
postcoloniale che sempre più si arena in un
differenzialismo comunitarista, mentre la realtà sociale
impone una transetnicità transculturale che ancora deve
costruire un proprio cosmopolitismo.
Il progetto moderno delimitò le proprie finalità in un
ottimismo progressista, il disincanto ―post-‖, cullato nella
bambagia dello Stato sociale, esaltò lo yuppismo felice
dell‘individualismo edonista. Il presente ci offre un
panorama più insicuro e precario, l‘instabilità deve essere
gestita strategicamente. L‘innovazione tecnico-scientifica
non garantisce più la sicurezza della propria sostenibilità,
la contemporaneità transmoderna è una ―società del
rischio‖, dalla difficile geopolitica tra Oriente e Occidente
alla minaccia del cambiamento climatico.
Se l‘era moderna fu contemporanea della rivoluzione
industriale, la società postindustriale modificò i concetti di
produzione, consumo, classe, attore sociale, ma oggi è la
―new economy‖, basata sulla globalizzazione finanziaria e
sulle nuove tecnologie, configura un nuovo stadio. La
25
Transmoderno. Un nuovo paradigma
determinazione di un territorio proprio, insediamento
degli stati nazionali moderni, ha cessato di essere un fatto
palpabile. La città diventa megacittà e il modello spaziale
centro/periferia non rappresenta più un‘alternativa né di
uno stile di vita agiato, né di un‘analitica del potere.
L‘ubiquo transfrontaliero stabilisce una nuova cartografia.
La nozione di cittadinanza si sforza di prolungare la
formula moderna di azione politica. Ma al di là
dell‘individuo postmoderno rinchiuso nella propria bolla
edonista, spossato e indifferente, gli annunciati pericoli di
autismo sono stati annullati da nuove forme di relazione,
dai social network (come possono essere le chat,
Facebook, Twitter) da uno stile di connettività statica,
attraverso la quale i gruppi comunicano e interagiscono.
Un‘altra volta ci imbattiamo in una rischiosa sintesi
transmoderna nella quale l‘azione e il soggetto acquistano
un volto insospettato, a volte triviale, altre volte solidale o
battagliero. La realtà non è formata tanto da circolazione
di merci, di oggetti, quanto da pacchetti di informazione
(byte). Lo spirito, sostituito postmodernamente dalla
retorica del corpo, si converte per mezzo della tecnologia
in cyborg e il sesso si trasforma al di là dell‘erotismo in
cybersex, completando la conversione della cultura e della
controcultura in cybercultura. È un consumo della carta in
cui internet compie un salto qualitativo, vera egemonia
dello schermo, di un processo che, nato con la fotografia,
acquistò una nuova dimensione con il cinema e poi con la
televisione. Passa dalla Galassia Gutenberg di una
modernità che gira intorno alla stampa alla Galassia
McLuhan, simbolo postmoderno dei mass media,
26
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
giungendo infine all‘impero cibertecnologico che oggi
potremmo denominare Galassia Microsoft.
La globalizzazione come totalità avvolgente da forma,
quindi, ad una nuova situazione che richiede un rinnovato
paradigma concettuale. Non siamo più nel post- ma nel
trans-. È un perverso compimento dialettico che ingloba i
propositi che nascono di tirarsi fuori, dai discorsi
sull‘antiglobalizzazione al terrorismo integralista. Non c‘è
―fuori‖, dunque, poiché accade tutto in questo mondo, e
con le strategie e gli strumenti che ci fornisce il presente.
Accettarlo è il primo passo per pensare la sua complessità
geostrategica, economica, culturale. Le eruzioni arcaiche,
gli appelli postmoderni o antimoderni sono anch‘essi
frammenti di questo caos multiforme. La morte, la
distruzione, la sfida... sono presenti anche in Internet.
Questa è la condanna, ma anche la sfida che la
Transmodernità ci riserva, affilare le armi della ragione
nostro unico baluardo.
(Traduzione di Francesca Rizzi)
27
Transmoderno. Un nuovo paradigma
La ricerca di R. M. Rodriguez
Magda
di Victoria Sendón de León
Gli stessi discorsi che servono per disfarci dei miti antichi,
si convertono nella stessa maniera in nuovi miti ugualmente dannosi
(Rosa M. R. Magda)
I bagliori di una nuova epoca, con il loro appello a nuove
fondamenta teoriche, erano già presenti nel cammino
intrapreso da Rosa M. R. Magda nel 1989, quando
pubblicò La sonrisa de Saturno,3 il cui sottotitolo è
rivelatore: ―Verso una teoria transmoderna‖. Dunque già lì
erano gettate le basi ed era nominato ciò che più tardi
sarebbe divenuto il punto d‘approdo della sua ricerca:
Transmodernidad,4 un‘opera ricca di contenuto e pensiero
sistemico: se la Postmodernità costituisce il pensiero fin de
siècle, la Transmodernità mira ad una fenomenologia del
nuovo millennio.
Un lavoro come il suo, rispetto ad altri pensieri e
accadimenti culturali del nostro tempo, può essere solo il
risultato di una permanente attenzione portata sul
presente. E di ciò abbiamo testimonianza nel suo lavoro di
3
4
R. M. Rodriguez Magda, La sonrisa de Saturno, Anthropos,
Barcelona 1989.
R. M. Rodriguez Magda, Transmodernidad, Anthropos, Barcelona
2004.
28
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
direzione della rivista Débats,5 le cui presentazioni
presuppongono la conoscenza profonda di ogni singolo
caso trattato, nel quadro delle varie monografie. Senza
dimenticare le opere scritte tra l‘uno e l‘altro numero della
rivista6 e senza dimenticare il Seminario de investigación
che si svolge nella città di Valencia, da cui appare tutta la
curiosità intellettuale di R. Magda e le sue esemplari, per
non dire illuminanti, capacità analitiche.
Nel primo libro in cui è presente il riferimento al
transmoderno, è già anche presente una riflessione critica
nei confronti sia della Modernità, sia del pensiero debole
della Postmodernità, che si conclude con la provocazione
di Baudrillard: ―E se non si cercasse di opporre la verità
alla speranza generalizzata come il più vero del vero? E se
tutto questo non fosse né appassionante né esasperante
ma terribile?‖7 Tuttavia, per R. Magda, questa proposta,
davvero nichilista, era del tutto insufficiente. La superficie,
l‘apparenza, l‘artificio come ambito della seduzione, senza
altri retroscena, come se si trattasse di una successione di
sequenze filmiche che finiscono quando si spegne lo
schermo, accendono un segnale d‘allarme per la sua
ribellione intellettuale: ―Malgrado ciò, il film è reale‖ –
cosi dice l‘autrice, ed apre tutto un nuovo spessore di
ricerca.
All‘improvviso, invece di seguire una traiettoria lineare, mi
viene in mente di rilegge il finale della Transmodernidad
per cercare d‘intuire, di comprendere, il processo di
maturazione vissuto dalla nostra filosofa lungo tutto il suo
cammino. Effettivamente, il suo ultimo capitolo, lei lo
5
http://www.alfonselmagnanim.net/revista-debats
Si veda: http://rodriguezmagda.blogspot.com.es/search/label/
biobibliografia
7
R. M. Rodriguez Magda, La sonrisa de Saturno, cit., p. 155.
6
29
Transmoderno. Un nuovo paradigma
intitola: «Più niente del niente». In un primo momento mi
sorprendo, però ricordo che questo ‗niente‘ aveva un altro
senso che in Baudrillard. Mi concentro sulle mie
sottolineature, sulle annotazioni stese in un‘altra lettura e
scopro quello che lei chiama ―vacuità‖ dietro il ‗niente‘.
Sì, certamente si deve superare il nichilismo come forma
ingannevole che occulta e trivializza l‘esperienza radicale,
però più in là non comincia a lampeggiare, il reale ma il
niente stesso. (p. 190)
Alla fine del capitolo, R. Magda polemizza con la dualità
dell‘Occidente a fronte dell‘unità del pensiero orientale.
La dualità parmenidea dell‘origine — l‘Essere è, e il non
Essere non è — di fronte al non dualismo del Tao te King
di Lao Tse, il quale stabilisce l‘unità fra l‘Essere e il non
Essere. Nella tradizione orientale il non Essere non è il
Nulla occidentale, ma si riferisce ad un vuoto che eguaglia
tutti gli esseri in un‘unità sacra. Non in là ma in qua. Un
vuoto originale confermato dalla fisica attuale in ciò che si
è chiamato il campo punto zero.
In questo capitolo si passano in rassegna mistici cristiani,
filosofi come Heidegger, Sartre, Nietzsche, la tradizione
zen giapponese o il percorso del buddismo medio,
concludendo che ―ci situiamo più vicino a noi stessi nella
vacuità che non nell‘autocoscienza‖. Come sintesi
transmoderna propone una fenomenologia dell‘assenza,
concetto il cui senso negativo si riferisce alla nostalgia di
un Fondamento, all‘angoscia esistenziale o ad un
nichilismo nietzscheano, che devono essere dimenticati.
Nel senso positivo, postula l‘assenza come la vacuità che
sostiene l‘apparente consistenza delle cose. Un‘assenza
che nella nostra tradizione necessita di un ontologia, una
gnoseologia, una etica ed una estetica proprie.
30
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
In definitiva, la sintesi dialettica fra la Modernità e la
Postmodernità che, in questa fenomenologia dell‘assenza
che propone Rodríguez Magda, darebbe luogo alla
Transmodernità, porta più in la sua riflessione e cerca di
salvare il divario esistente fra la filosofia occidentale e
quella orientale.
La sintesi transmoderna
Il concetto di Transmodernità che R. Magda immette nel
dibattito attuale, viene concepito all‘interno dello scenario
globale, che l‘interconnessione converte in translocale.
Allo stesso tempo la cultura locale ed il cosmopolitismo si
fondono, non nel multiculturale, ma nel transculturale, a
mo‘ di sintesi dialettica. Anche la società dell‘informazione
si trasforma nella società della conoscenza, non nel senso
di scoprire la verità per mezzo dei fenomeni (adaequatio),
che ha costituito il fine della Filosofia dell‘Occidente, ma
nel senso che la conoscenza si misura dalla trasmissibilità
o quantità di conoscenza che si trasmette: ciò che non è
trasmissibile non conta. Si vanno delineando sradicamenti
epistemologici.
La transmodernità potremmo situarla nella sintesi che
partendo dalla tesi della Modernità e dall‘antitesi della
Postmodernità, supera entrambi i termini in un concetto
nuovo che è la Transmodernità. Un concetto che
indubbiamente corrisponde ad un tipo di società e di
cultura che si inscrivono nelle due tappe precedenti. Se
alla società industriale corrispose la Modernità e alla
postindustriale la Postmodernità è la transmodernità che
corrisponderebbe al nostro mondo globalizzato.
Se la Transmodernità ci appare come sintesi dialettica
della tesi moderna e l‘antitesi Postmoderna, certamente ciò
31
Transmoderno. Un nuovo paradigma
accade in modo light, ibrido e virtuale proprio dei nostri
tempi. Ironicamente, a fronte delle pretese hegeliane, non
come un dispiegamento dell‘Assoluto, ma costituendo il
suo onnipresente svuotamento; non come una vera realtà,
ma come virtualità reale; abbandona la struttura piramidale
e arborescente del Sistema, per adottare il modello
reticolare della appendice replicante.
8
Quanto alla sua formazione accademica l‘autrice è figlia di
una tradizione moderna, però la sua avventura intellettuale
s‘inscrive generazionalmente nella fioritura del
postmodernismo, situandosi in una posizione privilegiata
in rapporto ad entrambe le tappe. Andando così ad
analizzare lucidamente le basi teoriche sia dell‘una che
dell‘altra tradizione, separa ed analizza le insufficienze e le
contraddizioni di ambedue le correnti. Da questa
prospettiva Magda realizza un percorso critico per concetti
come ragione, libertà, uguaglianza, fraternità, i diritti ed i
doveri, la politica, la città, la cultura europea, l‘etica e
l‘estetica, tramutando così il suo libro Transmodernidad in
un caleidoscopio dai riflessi multipli, che mostra i diversi
aspetti del nostro mondo attuale: ―Descrivere il nostro
presente è l‘inizio di una diversa configurazione
epistemologica, di una serie di sradicamenti epistemici
generati da un nuovo paradigma‖. Se il nucleo
epistemologico della Modernità è stato la Ragione, e
quella della Postmodernità lo smantellamento delle grandi
narrazioni, il suo lavoro consiste nel risolvere l‘episteme
propria della novità che lei stessa chiama transmoderna.
La sfida di un nuovo paradigma
È chiaro che Rodríguez Magda opera una descrizione
8
Ivi, p. 33
32
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
fenomenologica degli sradicamenti epistemici che ci offre
l‘evoluzione dei nostri tempi, tuttavia la sua ricerca non
termina lì, ma si tratta di pianificare la ricerca del nuovo
paradigma che identificherebbe il contenuto che definirà
la transmodernità.
Insistiamo nel pensare politicamente ed eticamente con
nozioni moderne, ripetiamo sia culturalmente che
esteticamente i temi postmoderni, riflettiamo sulla
globalizzazione con la perplessità di questo andare e venire
tra entrambi i paradigmi finiti. La realtà è diversa, urge un
pensiero transmoderno, se vogliamo comprendere ciò che
sta succedendo è necessario pensare alla Globalizzazione
nel paradigma della Transmodernità.
9
Tuttavia, il traveling impeccabile con il quale la nostra
autrice ci mostra la fermentazione di un mondo che
cambia al ritmo della globalizzazione e della fibra ottica,
ha incontrato un ostacolo imprevedibile nel crash del
2008. A volte questa profonda crisi sembra interrompere il
corso di una storia che verosimilmente non procede
dialetticamente, ma in modo discontinuo, a causa
dell‘irruzione di ‗eventi‘ non previsti, come evidenzia
Foucault nella sua Archeologia del sapere.10 O forse
nessuna mappa coincide mai con il territorio. Sia quel che
sia, il cambio di paradigma, così come lo pianifica
l‘autrice, sta nel sentiero dell‘―oltre‖, quindi come afferma
in varie occasioni, ―è il momento delle trasformazioni‖.
Quello che si verifica è che questa trasformazione risulta
essere molto più profonda di ciò che abbiamo
immaginato.
Un paradigma, come lo definì Thomas Kuhn, è un
9
Ivi, p. 6.
M. Foucault, Arqueología del saber, Siglo XXI, Madrid 1979. (Trad.
it., L‘Archeologia del sapere, Rizzoli 1969).
10
33
Transmoderno. Un nuovo paradigma
modello scientifico che per un determinato periodo ci
serve per spiegare il mondo, per comprenderlo e gestirlo.
Chiaramente la nozione di paradigma è estendibile al
campo sociale, a quello politico, artistico, e culturale in
generale, per fortuna che il paradigma dà senso ad una
realtà e normalmente serve a varie generazioni.
Il paradigma che indica la transmodernità, senza dubbi
comporta sia elementi della modernità sia elementi della
postmodernità, però non tanto come sintesi, bensì come
mutazione, come metamorfosi globalizzata. Ciò significa
che nessuno dei presupposti che ci sono serviti per
transitare in un‘epoca si possa convertire come dogma di
una nuova, dove si trasformerebbe in mito, capace di
impedirci di continuare a pensare in modo critico nella
nuova fase.
Continuare a pensare
Qualunque siano le sfide presenti e future o gli effettivi
segnali dell‘identità transmoderna, nella crisi e oltre la
crisi, ciò che mi è chiaro è che ogni novità costituisce, per
la filosofa Rosa M. Rodríguez Magda, una sfida
intellettuale. So che non ella non tende ad adagiarsi su
idee già elaborate e che il suo concetto di Transmodernità
è sufficientemente aperto per pensare l‘‗inversione critica‘
del momento presente. Talvolta questa inversione la porta
ad approfondire la sua ontologia dell‘assenza, più
prossima alla trasformazione quantica che non alla sintesi
dialettica. Questo sarebbe un punto di partenza che, come
propone l‘autrice, ci porterebbe a concludere che l‘Essere
è, in ogni caso, un punto di arrivo, e che i nostri concetti di
realtà mancano di tocco di impermanenza, il che farebbe
del transmoderno un modello instabile e insostanziale
―secondo il quale pensiamo la microfisica, la cosmologia,
34
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
lo spazio mediatico, la macroeconomia, la geopolitica, la
società della conoscenza, cyberontologia e anche le
relazioni personali.‖11
Penso a Rosa M. R. Magda come a una ‗filosofa
sentinella‘, una ‗filosofa delle urgenze‘, che continuamente
osserva la realtà circostante e l‘analizza secondo parametri
sia logici sia intuitivi, alla ricerca di nuovi concetti, perché
questa è la vera funzione della Filosofia. E rimarrà sempre
questa:
I filosofi rinunciano a essere profeti, e ci rallegriamo, i
politici abbandonano le ideologie, i cittadini smettono di
credere nei politici, e il mercato sembra non abbia bisogno
né dei politici né degli Stati né delle grandi teorie. Intanto,
noi, una manciata di anacroni, ci riuniamo nelle università,
nei parlamenti, nelle pagine dei libri, a pensare che è
ancora necessario pensare…
12
(Traduzione di Francesco Forini)
11
12
Ivi, p. 213.
Ivi, p. 80.
35
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Della traduzione transmoderna
di Carmen África Vidal Claramonte
L‘universo è doppio. Due Santi reiterano la stessa liturgia che
s‘ignora come un rito, il quale esiste solo perché riflesso, e
nessuno contempla.
Rosa María Rodríguez Magda (1997, p. 43).
Tradizionalmente, il verbo ―tradurre‖ è stato rilegato in
una maniera quasi automatica alla ricerca dell‘equivalenza
assoluta e alla trascrizione fedele di ciò che veniva detto da
una lingua all‘altra.
Già da vari decenni tuttavia, grazie all‘evoluzione costante
degli Studi di Traduzione ma soprattutto grazie al fatto che
la traduzione è, una disciplina che si mescola e s‘impregna
di tutto ciò che la circonda e che s‘immerge nel mondo e
nei suoi cambiamenti, tradurre non è più la ricerca della
fedeltà assoluta bensì questa si è convertita in un‘attività
tanto appassionante quanto complessa, fintanto che si
compie una conversione in uno spazio liquido ed
extraterritoriale popolato da voci, le quali come i liquidi,
trasbordano schizzano e inondano tutto quello che
pretende esser solido (Baumann 2000; p. 9ss).
Il traduttore vive in una società globale che ha superato
ogni barlume di dialettica binaria, nella quale si afferma
l‘antipode della dialettica binaria, e al contrario si
36
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
compiace nel mescolare e unire e far collidere maniere
differenti di vedere il mondo.
Perciò mi sembra che sia davvero appropriato fondere le
concezioni teoriche attuali riguardo alla traduzione con le
riflessioni di Rodríguez Magda sulla transmodernità,
perché le seconde vanno indubbiamente ad arricchire le
prime, nella misura in cui ci spingono a costruire il testo
tradotto in funzione di un cambio di paradigma che
prende in considerazione le risposte dei teorici precedenti
per superarle a causa di grande sfida, quella di intendere il
nuovo Grande Racconto dei giorni nostri, la
globalizzazione, come la diffusione di ―un magma
fluttuante, diffuso però al contempo inespugnabilmente
totalizzatore‖, usando le parole di Rodríguez Magda.
Per il traduttore è un dovere essere e stare al mondo,
perché la traduzione è un lavoro inestricabilmente unito a
quanto accade nell‘ambiente che ci circonda. Per questo
nella percezione di un mondo transmoderno costruito
sulla base di spazi cosmopoliti nel senso di Appiah, spazi
dove ciò che incontriamo è ―universalità più differenza‖
(2006, p. 151), dove si accetta una verità ―universale‖ che è
al contempo relativa, pluralista e, paradossalmente,
fallace, ci avviciniamo più a questa realtà quotidiana che
crea il linguaggio attraverso le parole che sceglie il
traduttore.
Ϟ
Il punto di partenza della condizione transmoderna è
quella del traduttore contemporaneo, dato che questa
condizione impone la necessità di corrodere ciò che è
omogeneo, di ingoiare l‘universalismo e di rendere
possibili gli spazi limitrofi, la riterritorializzazione di una
nuova forma di pensiero e di conseguenza della
37
Transmoderno. Un nuovo paradigma
traduzione, secondo la quale la presunta comunità
razionale che le lingue universali presuppongo sia fuori
luogo. Tuttavia, non si tratta nemmeno, una volta assunta
la crisi moderna e con essa il progetto è illustrato, che sia
questa ―la scorciatoia per la mancanza di riflessioni o di
politiche regressive‖ (Rodríguez Magda 1989, p. 133).
Sapendo superata la possibilità stessa della riunificazione
della ragione nel momento in cui si traduce, non c‘è scusa
per sentirsi giudicati, in come traduttori, al caos
dell‘irrazionale (ivi. P. 134) fino ad arrivare ad assumere il
cambio effettivo di paradigma ―garantendo a sua volta una
nuova lettura della dell‘Illuminismo, un non abbandono
del progetto di emancipatore‖(ivi, p. 138). Però è un
ritorno ―distanziato, ironico, che accetta la sua utile
finzione… è la galleria museale della ragione… è proporre i
valori come freno o come favola, però senza dimenticare il
perché siamo saggi, perché‘ il nostro passato lo è stato (ivi,
p. 141). Si tratterebbe di vivere una transmodernità situata
―nell‘oltre‖, per dirlo nella maniera traduttologica di Homi
Bhabha, abitando uno spazio che è ―parte di un tempo
revisionista, un ritorno al presente per ridescrivere la
nostra contemporaneità culturale… In questo senso, allora,
quello spazio intervenuto oltre, diventa uno spazio
d‘intervento nel qui ed ora… Il lavoro di delimitazione
della cultura richiede un incoraggiamento con la ―novità‖
che non è parte del continuum di passato e presente. Ciò
crea un senso del nuovo nei termini di un atto nascente di
traduzione culturale‖ (Bhabha 1994, p. 7).
La nuova configurazione epistemologica sposta, quindi, gli
antichi paradigmi gnoseologici e ci spinge a una sintesi
dialettica di una tesi moderna e di un‘antitesi postmoderna
difronte a pretese hegeliane, ―non come un dispiegamento
dell‘Assoluto, al contrario costruendo il suo onnipresente
svuotamento; non come una vera realtà, ma come una
realtà virtuale; abbandona la struttura piramidale e
38
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
arborescente del Sistema, per adottare un modello
reticolare di un‘appendice replicante‖, riacquistando così
―la positività moderna e il vuoto postmoderno, un anelito
di unità del primo e la fragilità del secondo... in una totale
somma di contingenze, che dimentica il Fondamento e la
Definizione, convertendosi in una cristallografia
proliferante (Rodriguez Magda 2004, p. 33).
Considerati questi presupposti, il traduttore transmoderno
compie il suo operato in uno spazio testuale che non e‘
mai lineare, ma che si va formando in un numero infinito
di fili sempre intrecciati tra loro. Tutti questi non si
diramano mai in un unico senso, bensì, si delineano spazi
di molteplici dimensioni in cui si accordano e si
contrastano diverse scritture. La transmodernità ci insegna
che tutte le lingue si dirigono una verso l‘altra e
funzionano con sistemi in costante traduzione, senza
intenderla come una restituzione del senso ma come un
inevitabile aumento o dimiuzione di esso, fintanto che le
lingue sono sistemi aperti, esseri vivi e identità fluttanti
(Fabbri 1994).
L‘abitudine ci obbliga a convincerci di ciò che è
necessario, in questa società transmoderna, superare le
opposizioni binarie per difendere un modello che prenda
in considerazione tutti e ognuno dei molteplici fattori che
convertono l‘arte del tradurre in modo che il lettore
diventi produttore del testo insieme al traduttore, per
accedere cosi‘ pienamente al fascino del significante e alla
voluttuosità della scrittura (Barthes 1980 [1970], p. 2).
Il traduttore si nutre della gnoseologia del suo tempo, per
questo niente gli sembra estraneo. I testi che gli giungono
riflettono i valori di una società liquida nella quale la
traduzione opera la maggior parte delle volte in un
contesto di relazioni asimetriche tra le culture, e,
39
Transmoderno. Un nuovo paradigma
nell‘appropriarsi di beni culturali estranei e transformarli
nel discorso della cultura egemonica e incanalarsi in una
rete di complicità che portano a negare la differenza
culturale dell‘Altro, soprattutto se consideriamo che ciò
che esiste attualmente è una globalizzazione disuguale che
ha come rasoio livellatore quello che impongono le
potenze mondiali, da cui si diffonde la percezione stessa
della diversità, mentre aumentano gli abissi e i malintesi
interculturali. In questo contesto, i dibattiti sui temi come
la dipendenza delle lingue minoritarie rispetto a quelle
dominanti, le conseguenze della standardizzazione
linguistica o la globalizzazione del linguaggio del Potere
per antonomasia, l‘inglese, diventano tanto importanti
quanto l‘atto stesso del tradurre, perché sono fattori che il
traduttore prende in considerazione affinché il suo
operato sia il più etico possibile.
Considerato che al giorno d‘oggi la traduzione è inserita
più che mai in questa società globale, la ricerca nel nostro
campo inizia da una nuova concezione di traduzione che
si sta focalizzando ultimamente nell‘analisi della reciproca
influenza tra traduttori, globalizzazione e conflitti
internazionali nell‘era dell‘ibridizzazione, in cui la cartina
non è il territorio, dove le identità sono molteplici e fluide
e l‘incrocio delle razze finisce per essere la nostra matrice
culturale. In queste circostanze, la vita quotidiana è piena e
circondata da testi che sorgono da situazioni conflittuali,
che in molte occasioni hanno la sua origine nella
differenza, nell‘inevitabilità di doversi confrontare con
alcune forme del mondo che ci appaiono molto distanti.
Perciò le istituzioni e gli organismi internazionali iniziano a
prendere atto che, ogni volta che parliamo, tutti siamo
traduttori (Bauman 2002, p. 89). La traduzione è, perciò,
una metafora fondamentale per il XXI secolo, un secolo
caratterizzato da uno sradicamento su larga scala di
persone a causa delle guerre, della repressione dei governi
40
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
o semplicemente della povertà. Sono diverse migliaia
quelle che hanno dovuto abbandonare i propri luoghi
d‘origine, la propria cultura e la propria lingua in cerca di
una vita migliore, e in queste circostanze la traduzione si
converte in uno strumento indispensabile. La traduzione
quindi non è solo un lavoro intellettuale, teorico o pratico,
ma fondalmentalmente, visti i tempi che corrono, un
problema etico (Ricoeur 2005, p. 50).
In questo contesto, il concetto di significato che sviluppa la
transmodernità ci risulta estremamente utile, soprattutto
perché ci fa riflettere sul fatto che questo concetto di
significato è cambiato radicalmente: cerchiamo ora
significati, significati che hanno flussi di possibilità. In una
società transmoderna nella quale non c‘è solo un testo ma
molteplici, il primo operato del traduttore consisterà nello
smascherare la eteroglossia di questa rete che va tessendo
le parole che dispensano significati mai neutri. Il discorso,
qualsiasi discorso, è sempre il prodotto di determinati
interessi, perché il ―footing‖, come lo chiama Potter
(1996), à fondamentale per il risultato finale e per la
costruzione linguistica dei fatti. Per esempio, utilizzando la
tecnica che quest‘autore chiama ―esteriorità‖, si può,
mediante risorse grammaticali, arrivare a descrivere i fatti
in una forma più ―neutra‖, come se questi fatti fossero
indipendenti dall‘agente che li produce: dire ―si scoprì
che...‖ invece di ―scoprì che...‖, o usare nominalizzazioni
che non mettono in chiaro chi è l‘agente e evitano così che
il parlante si pronunci sulla responsabilità di una storia,
etc. Da qui una delle principali responsabilità etiche del
traduttore in una società trasmoderna sia considerare la
natura incerta e ambigua del linguaggio, considerare che il
linguaggio è molto di più che sole parole. Il significato del
testo d‘origine va aldilà della traduzione, e a sua volta si
permane in quella di un‘eteroglossia che si riflette nelle
parole che sceglie il traduttore, nella sua selezione e
41
Transmoderno. Un nuovo paradigma
nell‘enfasi che questa selezione porta con se‘: c‘è una
grande differenza nel significato che arriva al lettore se i
morti civili in un atto violento vengono tradotti in ―danni
collaterali‖, ―morti‖, ―insorti‖, ―martiri‖ o vittime‖,
esaminati tutti quelli che appaiono nei differenti protocolli
delle distinte visioni del mondo, da quella degli Stati Uniti
fino a quella di Al-Qaeda, tra le altre. È ciò che Rodriguez
Magda chiama ―semiurgia‖, la riflessione sui segni che
generano realtà (e non viceversa), che non riguarda quello
che Julia Kristeva ha chiamato ―etica della linguistica‖ in
un saggio del 1974 (ristampato nel 1980 inserito nel suo
noto libro Desire in Language: A Semiotic Approach to
Literature and Art), nel quale si propendeva a un‘etica e a
una liguistica non autoritaria che, al contrario,
permettessero il libero gioco della negatività, del desiderio
e la jouissance. Lungi dal dover scoprire la coerenza
interna delle strutture linguisitche, la linguistica ha il
dovere etico di stare attenta alle mutazioni contemporanee
del soggetto e della società, evitando così di essere una
disciplina anacronistica nella quale il problema della verità
resta slegato dalla questione del soggetto che parla.
L‘oggetto di studio ha una struttura di limiti mutevoli che
intende il linguaggio con l‘articolazione di processi
eterogenei, contrapponendosi affinché si limiti il gioco
della struttura, che neutralizzino l‘apertura e le aperture
dei testi attraverso la presenza di un centro, di una
presenza e di un‘origine fissa (Derrida 1989 [1967]).
Ciò che è rivelante nel tradurre non è arrivare al significato
ma alla comprensione del testo (Appiah 2000 [1993], p.
418), affinché, così, il non verbale appaia nel verbale
(Derrida 1990, p. 10). Una volta superati i concetti più
ingenui della Modernità, come la cieca fiducia nella
teleologia, con la conseguente credenza nel progresso, o la
fede habermasiana in una comunità ideale della
comunicazione, l‘epoca transmoderna nella quale viviamo
42
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
sorge in un clima in cui fiorisce questa cosiddetta filosofia
del sospetto che dalla sua nascita interrò concetti come
quelli del Soggetto, universalità, opposizione binaria o
equivalenza assoluta, dietro il superamento di qualsiasi
barlume di verità del cosiddetto Progetto Illuminista, e con
il distacco ironico, in cambio, di qualsiasi Grande
Racconto come ambito generale nel quale incorporare il
nostro presente. Viviamo in un‘epoca volontariamente
sincretica per la sua eteroglossia e apparentemente ibrida
ed ecclettica per la sua gnoseologia migratoria, che da‘
luogo a una galleria di sradicati che non ci permettono di
dimenticare la realtà si va costruendo in ogni momento.
La traduzione non può né deve dimenticare il mondo nel
quale s‘inserisce. Per questo i traduttori riprendono le
sfide della modernità accettando la crisi postmoderna per
iscriversi in questo impulso morale di una nuova era tanto
adeguatamente denominata ―transmodernità‖ (Rodrigrez
Magda 2003, p. 8). Tradurre nella transmodernità significa
essere coscienti che i testi sono in continua
trasformazione, che il significato di questi testi è dinamico,
reticolare, globale, eterogeneo e dispersivo, mai lineare ne‘
monocromatico, ma pluralistico, eteroglossico e carico di
sfumature. Tradurre nella transmodernità significa tener
sempre presente che, fortunatamente, non viviamo in un
mondo puro ma ibrido, in cui le lingue e le vite si
mescolano e si arricchiscono reciprocamente.
Ricorriamo così, da questa teoria nomatica e
transmoderna della traduzione, fino al monolinguismo
dell‘altro: per essere monolingue e parlare allo stesso
tempo una lingua che non è la nostra. Non si parla più
una sola lingua. Non si parla mai una sola lingua. Per
questo Derrida (1997, p 38), insiste che tutte le lingue
hanno bisogno dell‘altro (come non esiste la somiglianza
senza la differenza, il Se‘ Stesso senza l‘Altro ne‘ la
presenza senza l‘assenza), perché, nonostante si parli la
43
Transmoderno. Un nuovo paradigma
stessa lingua, gli esseri umani traducono continuamente e
utilizza la metafora del viaggio, della strada, dei percorsi,
per parlare della lingua materna: abitiamo, quasi senza
volerlo, la lingua dell‘altro, che nella realtà è l‘unica che
parliamo, molte volte con un accanimento monolingue,
sperando che rimanga distante, isolato e inabitabile; una
lingua dell‘altro che sentiremo, esploreremo e
reinventeremo senza itinerario ne‘ cartina ma
transmodernamente.
Oltrepassato quel pensiero che finì per convertirsi se non
altro in un stanco vagabondare tra gli spettri (Rodríguez
Magda 2004, p. 23) ma che nonostante ciò ci aiutò a
lasciare dietro le opposizioni binarie e gli universalismi, la
transmodernità di Rodriguez Magda è una felice
riproposizione/traduzione della dialettica hegeliana
(Rodríguez Magda 2004, p. 23ss), spogliata comunque di
tutta l‘essenzialità e spostata verso una nuova era liquida
che pone fine a qualsiasi paradigma unitari per aprire le
porte di volta in volta a molteplici micrologie, discorsi
contestualizzati, come sono le traduzioni, che offrono
panoramiche eterogenee, multiculturali e dispersive (ivi, p.
27). Perciò, secondo me, la transmodernità e tutta la
filosofia che ci offre, è il punto d‘inizio per tradurre al
giorno d‘oggi, quando tradurre non è dire lo stesso ma
dire la stessa cosa, tenendo ben presente che è il ―ciò‖,
questo è, che davanti a un testo non sappiamo ciò che
dobbiamo tradurre. E perché, in qualche caso, nutriamo
seri dubbi su ciò che vuole dire il dire (Eco 2008 [2003],
p.13).
Bibliografia
Kwame Anthony Appiah, Cosmopolitanism. Ethics in a World
of Strangers, Penguin, London 2006.
44
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Kwame Anthony Appiah, “Thick Translation”, apud The
Translation Studies Reader, Lawrence Venuti (a cura di)
Routledge, London and New York 2000 [1993], pp. 417-429
Juan Pablo Arias, “Adiós a los jabalíes y la cerveza. La versión
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investigación en torno de la traducción. Actas de los VI
Encuentros Complutenses, Universidad Complutense, Madrid
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1980 [1970]. (Trad. it. Einaudi, S/Z 1973).
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Roca, Paidós, Barcelona 2002. (Trad. it., Cultura come prassi,
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Zygmunt Bauman, Liquid Modernity, Polity Press, Oxford
2000. (Trad. it., Modernità liquida, Laterza, 2006).
Homi K. Bhabha, The Location of Culture, Routledge, London
and New York 1994. (Trad. it. I luoghi della cultura, Meltemi,
2001).
Jacques Derrida, El monolingüismo del otro o la prótesis del
origen, trad. di Horacio Pons, Manantial, Buenos Aires 1997.
(Trad. it., Il monolinguismo dell’altro o la protesi dell’origine,
Cortina, 2004). Jacques Derrida, “Las artes espaciales. Una
entrevista con Jacques Derrida”, Acción paralela, 28 de abril de
1990 (Laguna Beach, California). (Trad. it., «Le arti spaziali.
Un’intervista con Jacques Derrida», in Adesso l’architettura,
Scheiwiller, 2008).
Jacques Derrida, «La estructura, el signo y el juego en el
discurso de las ciencias humanas», in La escritura y la
diferencia, trad. di Patricio Peñalver, Anthropos, Barcelona
1989 [1967]. (Trad. it., La scrittura e la differenza, Einaudi,
1971).
Umberto Eco, Decir casi lo mismo. Experiencias de
traducción, trad. di Helena Lozano, Lumen, Barcelona 2008
[2003]. (Dire la stessa cosa. Esperienze di traduzione,
45
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Bompiani, 2003) Paolo Fabbri, «Elogio de Babel», Revista de
Occidente, n.154, 1994, pp. 5-14. (Elogio di Babele, Meltemi
2003).
Jonathan Potter, Representing Reality. Discourse, Rhetoric and
Social Construction, Sage Publications, 1996.
Paul Ricoeur, Sobre la traducción, trad. di Patricia Willson,
Paidós, Barcelona 2005. (Trad. it., Tradurre l'intraducibile.
Sulla traduzione, Urbaniana University Press, Città del
Vaticano 2008).
Rosa María Rodríguez Magda, Transmodernidad, Anthropos,
Barcelona 2004.
Rosa María Rodríguez Magda, El placer del simulacro. Mujer,
razón y erotismo, Icaria, Barcelona 2003.
Rosa María Rodríguez Magda, Las palabras perdidas, Huerga
& Fierro Editores, Murcia 1997.
Rosa María Rodríguez Magda, La sonrisa de Saturno. Hacia
una teoría transmoderna, Anthropos, Barcelona 1989.
(traduzione di Elena Ardito)
46
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Verso una trasformazione
transmoderna della nostra Società
Globale.
di Marc Luyckx Ghisi
Verso una trasformazione transmoderna delle nostre
società: un contributo europeo. Da dove sto parlando?
Per quasi 10 anni (1990-99) feci parte del ―Forward
Studies Unit‖ [Gruppo Studi Avanzati] della Commissione
Europea; e mi trovavo nella cabina guida dell'enorme
Airbus europeo: quasi senza potere, ma con una
eccezionale visione del mondo, con possibilità di viaggiare
e incontrare cittadini eccezionali, leaders religiosi, leaders
politici e intellettuali, uomini e donne di tutto il mondo.
Molti erano ―creativi culturali‖ (Ray, 2000). Questi contatti
mi hanno arricchito, e mi hanno insegnato più dei libri:
pertanto, in questa terza parte della mia vita, mi sono
sentito obbligato a scrivere, per condividere l'informazione
e la conoscenza che ho accumulato.
Durante quegli anni io lentamente conclusi che siamo
entro una trasformazione globale che è molto più ampia,
profonda e radicale di quanto gli economisti e politici
dominanti chiamano ―globalizzazione‖. Vidi un enorme
47
Transmoderno. Un nuovo paradigma
tsunami di mutamento globale che si sviluppava, si
accresceva e ribolliva nelle nostre società, pronto ad
esplodere. Quella trasformazione esplosiva sta accadendo
ora.
Questa trasformazione è un mutamento di paradigma,
molto molto oltre la postmodernità. 'E il rapido declino
della società industriale e patriarcale capitalistica dominata
dall'Occidente, e l'inizio di una completamente nuova
società transmoderna, post-capitalistica, post-industriale,
post-patriarcale. Siamo già a mezza via in questa nuova
logica del paradigma transmoderno. Poche persone ne
sono consapevoli, pur avvertendolo nel loro subconscio.
Questa spiegazione la offro per aiutare in tutto il mondo i
cittadini a esprimere esplicitamente quanto già
implicitamente conoscono.
I quattro livelli di questa trasformazione transmoderna
1. Il livello più basso (subconscio) è il rischio che
l‘umanità si suicidi
Se l'umanità continua le strategie di crescita e sviluppo
industriali, capitalistiche, patriarcali corre il rischio di un
suicidio collettivo. Ciò era vero quando solo l'Occidente
stava contaminando il globo e esternalizzando in altri
luoghi i propri rifiuti. Ora che a questo gruppo si sono
uniti altri tre miliardi di cittadini (includendo Cina, India,
Brasile e altri...) diventa evidente un collasso ecologico
48
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
collettivo. I cittadini di tutto il mondo ne sono
consapevoli. Pochi ne parlano, ma la cosa resta nel nostro
subconscio collettivo.
È proprio in questo livello subconscio che scopriamo un
estremamente potente motore di trasformazione.
L'umanità ha già deciso di sopravvivere. Io sono convinto
che vi sono nel mondo un miliardo di ―creativi culturali‖
che silenziosamente stanno cambiando valori- pensando
intanto di essere soli. Questi nuovi valori sono rispetto per
la Madre Natura, cura per le comunità, le relazioni
famigliari, la crescita interiore, le altre culture, desiderio di
una diversa logica economica, ecc.
Le sole statistiche di cui disponiamo (del 1997) indicavano
circa un 25% di ―creativi culturali‖ negli Stati Uniti e in
Europa.13 Secondo le mie informazioni, vi è
probabilmente la stessa proporzione
nel mondo
musulmano, nell'America Latina, in Cina e in India.
Immagino che in tutto il mondo vi siano un miliardo di
creativi culturali- di cui il 66% sono donne.14 Ciò vorrebbe
dire che 600 milioni di donne stanno guidando il
mutamento nel pianeta.
13
14
Il ‗Club di Budapest‘ ha fatto una nuova ricerca sulla presenza di
‗creativi culturali‘ in Europa. I risultati sono stati pubblicati per
stato. Non conosco una pubblicazione che dia nuovi risultati per
l‘Europa nel suo complesso.
Disponiamo di statistiche solo per Stati Uniti e UE. E abbiamo delle
interessanti indicazioni e analisi, da parte di specialisti autorizzati
ma controversi, per il mondo musulmano e la Cina. Non abbiamo
quasi nessuna indicazione per America del Sud e Australia.
49
Transmoderno. Un nuovo paradigma
2. Fine dei valori patriarcali e presenza di un nuovo sacro
I valori patriarcali di comando, controllo e conquista sono
obsoleti, poiché non rendono possibile un mondo
inclusivo e sostenibile in cui l'umanità potrebbe
sopravvivere. Quei valori possono avere permesso
meravigliosi sviluppi della scienza e della tecnologia, come
l'atterraggio sulla luna, ma non sono in grado di proteggere
il pianeta Terra.
Per questo stiamo ricercando un nuovo insieme di valori
favorevoli alla vita- e questi sono post-patriarcali. Nel corso
di due generazioni il contenuto stesso della sacralità è
mutato più che in 5000 anni. Per mia figlia 'sacro'
(riconnessione con l'universo) significa qualcosa di
completamente diverso dal concetto di 'sacro' di mia
nonna (separazione dal mondo, per raggiungere il divino).
Il 'sacro' di mia figlia è probabilmente post-patriarcale.
E il sacro è la base di tutti i sistemi di valore di una civiltà.
Cosicché, se questa base sta così velocemente mutando, gli
altri valori devono trasformarsi anch‘essi. La
trasformazione è qui... già in opera nei nostri figli.
3. Il terzo livello è la fine della modernità
A. Dalla estrema intolleranza moderna alla radicale
tolleranza transmoderna.
50
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Sebbene la modernità ritenga sé stessa tollerante e
universalista, la sua epistemologia, la sua stessa
definizione di verità sono estremamente
intolleranti. La modernità ha ucciso quasi tutte le
altre culture e civiltà. Ancora di più, ha convinto
tutte le altre culture di essere ‗sottosviluppate‘ e
quindi ontologicamente inferiori. Ha in molti casi
distrutto completamente storia e ricordo di quelle
culture. L‘Unesco ha recentemente pubblicato
una storia dell‘Africa in otto volumi. Molti hanno
reagito dicendo: ‗Esiste una storia dell'Africa?‘
Poiché la storia dell'Africa è stata completamente
cancellata dagli storici occidentali moderni.
Sfortunatamente questo è vero per molte altre
culture. Gli storici dell'America del Sud stanno
riscrivendo la storia del Sudamerica, che era stata
creata da zero dagli invasori.
La transmodernità è basata e costruita su una
epistemologia completamente differente. Non vi
sono più piramidi. La verità si trova nel centro del
tavolo comune attorno al quale tutte le culture
siedono in modo paritario. Pure donne e uomini
sono uguali. Il fine urgente della vita è occuparsi
insieme della nostra comune sopravvivenza. Ma la
principale meta della vita per ciascuno è
raggiungere il centro, la ―luce divina‖ o la ―assenza
di luce‖. E più ci si avvicina al centro meno si
riesce a dare una definizione di che cosa è
l'illuminazione. È solo possibile sperimentarla. E
nessuno ha la proprietà o il controllo di questa
51
Transmoderno. Un nuovo paradigma
verità ―vuota‖. È impossibile. La transmodernità
significa così la fine delle religioni dogmatiche.
Animali e piante sono rispettati perché sono,
come noi, parte dell'universo. La transmodernità
ha una epistemologia radicalmente tollerante. È
già radicata in alcuni cittadini (almeno il 25%). A
ogni modo parecchi (circa il 70%!) si sentono a
disagio in questo strano periodo di trasformazione
e insieme di ritorno a intolleranze premoderne o
moderne. Questo causa tensioni.
B. La modernità ha distrutto l'anima; la
Transmoderità spinge a un reincanto del mondo.
La
modernità ha ―cancellato (entzaübert)
l'incanto‖ del mondo, come giustamente disse
Max Weber. Ha convinto la civiltà occidentale
che nulla esiste al di fuori della realtà razionale.
Ha alienato tutti noi dai nostri corpi, le nostre
anime, le nostre intuizioni, i nostri sentimenti e la
nostra creatività. Ci ha pure convinto che non vi è
nulla dopo la nostra morte. È la prima civiltà della
storia ad aver negato ogni sopravvivenza dopo la
morte, e così facendo ha incrementato al massimo
l'angoscia occidentale riguardo alla morte.
La transmodernità potenzialmente invita gli umani
a impegnarsi sulla strada per un reincantamento.
Il reincantamento ricollega tutte le scatole separate
della nostra esistenza: intelligenza, razionalità,
sentimenti, intuizioni, corpi, anime, amore,
52
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
speranza, denaro, lavoro, politica, ecc.. È un
modo per risperimentare la completezza in
speranza e gioia. Molte persone stanno
percorrendo questo viaggio, in silenzio, attraverso
tutti i continenti, e anche entro l‘Islàm.
La Transmodernità è pure consapevole che non
vi è uno ‗scontro di civiltà‘ (Huntington, 1993). I
conflitti principali sono fra interpretazioni
(premoderne, moderne, transmoderne) all‘interno
di ogni gruppo religioso.
A Bruxelles nel 1998, in collaborazione con la
‗Accademia Mondiale delle Arti e delle Scienze‘,
il ‗Forward Studies Unit‘ della Commissione
Europea organizzò un congresso su ‗Sviluppo
della civiltà e governance‘.15 Era assolutamente
chiaro che entro il blocco musulmano di 1
miliardo di persone potevano esserci altrettanti
transmoderni che in Occidente: (200.000.000).
Ma i nostri governi sono troppo moderni per
vedere questa trasformazione in corso. In verità
questo enorme gruppo, con la sua maggioranza
femminile, in conflitto con le interpretazioni
premoderne dello stesso Corano, è invisibile agli
osservatori moderni.
C. la Modernità ha dato alla scienza un ruolo divino;
15
Vedere:
http://vision2020.canalblog.com/archives/religions_and_conflicts/in
dex.html.
53
Transmoderno. Un nuovo paradigma
la transmodernità vuole che essa sia responsabile.
Dato che il metodo scientifico è razionale,
fornisce un accesso diretto alla Verità. La scienza
ha così ricevuto uno status quasi-divino (Prigogine,
1984 ultima pagina) che è ora in completa crisi: i
cittadini chiedono a scienza e tecnologia di
costruire un mondo sostenibile, e la scienza
moderna non può riuscire in questo. Gli
economisti, altri ‗esperti‘ e ‗tecnocrati‘ hanno
funzionato nella modernità come un nuovo clero,
che come tutti i cleri è infallibile e al di sopra della
critica.
Un altro motore intellettuale del mutamento di
paradigma è costituito dalle scoperte nella fisica
quantistica dopo Einstein, con vincitori di premi
Nobel come Bohr (1922), Heisenberg (1932), e
Prigogine (1979). Le loro scoperte hanno
cambiato la stessa definizione del metodo
scientifico, che era basato su esperimenti
riproducibili ed obiettivi, e che si diceva star
portando alla Verità sulle Leggi della Natura. Qui
si è scoperto che la stessa azione di osservare
muta le condizioni dell'esperimento. Per il Premio
Nobel Ilya Prigogine (& Stengers), la scienza
diviene un approccio poetico alla realtà (1984,
pagina finale), e il ‗metodo scientifico‘ è utile solo
per alcuni casi eccezionali. Questa è la fine
dell'approccio
‗moderno‘
alla
scienza.
Sfortunatamente troppo pochi scienziati accettano
54
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
questo mutamento di paradigma. E gli economisti
lo rifiutano del tutto.
La Transmodernità mette a disposizione un
concetto completamente diverso di scienza e
tecnologia. Lo status ‗divino‘ della scienza nella
modernità non ha più ragione di esistere. I
cittadini non saranno più disposti ad accettare
tutto quello che la scienza offre e vende loro. La
scienza e la tecnologia, come con tutte le azioni
umane, devono riorientarsi verso il desiderio dei
cittadini del pianeta di un mondo sostenibile e
socialmente inclusivo. Devono rispondervi, e
divenire ‗responsabili‘. Devono recuperare il loro
ruolo umano e contribuire al bene comune.
D. La Modernità è stata l'ultima forma di valori
patriarcali assolutamente dominanti.
Questi valori di ‗comando controllo e conquista‘
sono essi stessi in profonda crisi, poiché non
possono provvedere una credibile risposta alla
crisi della sostenibilità, né un futuro per i nostri
figli. Essi sono comunque impressi nei nostri
corpi, le nostre istituzioni, le nostre società e le
nostre famiglie.
La Transmodernità, come abbiamo visto, è
radicalmente post-patriarcale, poiché donne e
uomini siedono con pari dignità alla tavola del
mondo. 'E l'unico modo per progredire.
55
Transmoderno. Un nuovo paradigma
4. Il quarto livello è la Economia Transmoderna: fine del
capitalismo industriale e
postcapitalistica immateriale
nascita
di
una
società
In 5000 anni vi sono stati quattro mutamenti degli
strumenti di produzione.
Quello che le persone sentono ma non vedono con
chiarezza è che stiamo cambiando i nostri strumenti di
produzione.

Dalla pastorizia matrilineare alla agricoltura
premoderna: 5000 anni fa siamo passati dalla
pastorizia alla agricoltura, e la nostra visione della
vita è cambiata. I nuovi strumenti di produzione
erano la terra, i semi, la tecnologia agricola e il
pregare gli Dei per un tempo favorevole. La Dea
Madre fu rimpiazzata dal Dio Padre, e invece
della sacralizzazione di donne, sessualità, vita e
morte
abbiamo visto la sacralizzazione della
Morte e del sacrificarsi e dei maschi! La proprietà
privata fu improvvisamente necessaria per
proteggere i campi, e le donne vennero ad essere
dominate dagli uomini (come proprietà). Questa
transizione fu violenta.

Dalla Agricoltura premoderna alla Industria
moderna:
4000 anni dopo siamo passati
dall'agricoltura all'industria. I nuovi strumenti di
produzione erano fabbrica, tecnologia e capitale.
Tutto mutò di nuovo nella nostra visione della
vita. Entrammo in un mondo secolarizzato, dove
56
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
gli umani erano sottomessi alle macchine e
controllati da un tempo meccanicistico. Un nuovo
sistema monetario fu creato dalle banche, non più
da Re e vescovi. Questa transizione fu molto
violenta, anche; comportò crociate, guerre di
religione e Inquisizione. Coloro che detengono il
potere non amano cederlo ad altri, e quindi
creano guerre.

Dalla società industriale moderna alla società
transmoderna della conoscenza: 2000 anni dopo
Cristo stiamo nuovamente cambiando paradigma,
mentre entriamo nella società della conoscenza.
Stiamo abbandonando la società industriale
perchè la sua visione della vita (il suo paradigma)
non è in grado di immaginare e realizzare un
futuro sostenibile per l'Umanità. Adesso noi
creiamo valore applicando conoscenza per creare
nuova conoscenza. Invece della General Motors
abbiamo Google e IBM. Il settore TED
(Technology, Entertainment, Design: tecnologia,
intrattenimento, design) è quello in cui saranno
creati nuovi posti di lavoro. Il nuovo strumento di
lavoro è il cervello umano che collabora in reti.
Questo vuol dire che il nuovo management deve
rispettare gli umani (―capitale umano‖), e
diventare umanistico. – Alternativamente, in uno
scenario negativo, il management vorrà
manipolare il cervello dei dipendenti. – La
macchina deve diventare ‗human friendly‘,
amichevole per gli umani. Le macchine
divengono sottomesse agli Umani. Questo è un
57
Transmoderno. Un nuovo paradigma
enorme mutamento. I Transumanisti sono un
esempio di gruppo che non capisce né accetta
questo passaggio da una società centrata sulle
macchine ad una centrata sugli Umani. Il
mutamento appare anche violento, per via delle
guerre che è l‘Occidente a condurre.
La società della Conoscenza è una società post-capitalistica
Tutto sta cambiando in questa nuova economia, ma
nessuno ce ne dice niente...
1. Il processo di creazione di valore è immateriale e
post-capitalistico: La radice di ogni economia è il
processo di creazione di valore. Il nuovo processo
di creazione di valore non aggiunge più (come
nell'industria) valore ad un oggetto, ma applica
conoscenza alla conoscenza per creare nuova
conoscenza (Drucker, 1994). E la conoscenza è
come l‘Amore. Più se ne condivide, più se ne ha.
Questo è esattamente l'opposto della logica
capitalistica (non condividere mai il tuo capitale!)
2. Lo strumento di produzione post-capitalistico è il
cervello umano associato in reti: ogni sera lo
strumento di produzione torna a casa sua. Se il
management non è centrato sulle persone, queste
(lo strumento di produzione) se ne vanno altrove
con la loro conoscenza, e l'impresa fallisce.
3. Management post-capitalistico e post-industriale: il
Management deve diventare centrato sulle
persone, quindi umanistico. Di qui la crescente
importanza dei dipartimenti RI (Relazioni
Umane). Nello scenario negativo, il management
58
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
cercherà di manipolare il cervello dei dipendenti.
Peter Drucker († 2005) spiega che capitale
finanziario e tecnologia stanno diventando meno
importanti del ‗capitale umano‘. A suo parere
siamo già in una 'società post-capitalistica'. Ma
nessuno dice nulla, e continuiamo a gestire il
nuovo entro il vecchio sistema industriale. Di qui
la crisi.
4. Misurazioni qualitative post-capitalistiche: Come
misurare la conoscenza? Sulla Rete ci sono troppa
informazione, troppa conoscenza. La gente ricerca
conoscenza accoppiata a saggezza. I mercati
finanziari attualmente usano in più del 50% dei
casi nuovi parametri di misurazione chiamati
‗risorse intangibili‘ (Sveiby, 1994).16
5. Sistema di scambio e moneta post-capitalistica: è
impossibile vendere la conoscenza, perchè si tiene
presso di sé la conoscenza che si ‗vende‘. Nella
nuova società della conoscenza, si può solo
‗condividere‘ la conoscenza. Lo slogan ‗libero
commercio‘ è sorpassato in questa nuova
economia, e diventa 'libera condivisione della
conoscenza' (―Open Source‖). Ciò vuol dire che è
possibile passare a un sistema monetario postindustriale e post-capitalistico. È evidente la crisi
del sistema industriale-finanziario.
6. Strategia post-capitalistica: da vinci/perdi a
16
L‘anno scorso il vice-presidente della Borsa di New York, in una
conferenza pubblica all‘università di Louvain-la-Neuve, in Belgio,
disse che il 60% delle misurazioni della Borsa riguardavano le
‗risorse intangibili‘. Stewart Thomas A., in The Wealth of
Knowledge (2002), parla del 70%.
59
Transmoderno. Un nuovo paradigma
vinci/vinci: Nella nuova economia, i competitori
collaborano in ‗comunità di pratica‘ (Verna,
2002). L‘approccio dolce di una strategia
vinci/vinci è molto più efficiente. Le donne sono
solitamente due volte più efficienti in questo
nuovo tipo di management della società della
Conoscenza.
7. Politica post-capitalistica sui brevetti: Diventa
quasi impossibile brevettare la conoscenza, perché
la conoscenza filtra sempre fuori (Cleveland,
1997). I farmaci generici stanno vincendo
dappertutto, non ostante la lotta delle grosse
imprese farmaceutiche. I programmi Open
Source stanno conquistando spazio e importanza
maggiori, mentre la Cina ha già scelto Linux e
l‘IBM ha scelto politiche ‗Open Source‘. Questo
porta a una maggiore trasparenza nelle nostre
società.
8. Strutture post-capitalistiche a rete: è impossibile
creare conoscenza in una struttura piramidale,
dato che informazione e conoscenza non
circolano in una piramide. Le imprese devono
quindi passare ad una struttura a rete. I sistemi
patriarcali di 'comando, controllo e conquista'
sono completamente obsoleti, dato che è
impossibile controllare una rete.
9. Concetto post-capitalistico di crescita: Questa è
una delle novità migliori. Quanto diventa cruciale
in questa nuova economia è la qualità della
conoscenza, e saggezza nell‘azione. Questi nuovi
importanti obiettivi sono qualitativi. Danno una
60
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
indicazione preziosa che stiamo cambiando la
pietra angolare del concetto industrialecapitalistico di crescita. Dalla crescita quantitativa
stiamo passando a tutta velocità alla crescita
qualitativa. Questa nuova crescita potrebbe essere
orientata verso una economia mondiale
veramente sostenibile, poiché solo una crescita
qualitativa è ancora possibile nel nostro mondo
finito.
Lo scenario negativo è molto attivo
Le grandi imprese come IBM, SUN, SAP,
SIEMENS stanno più o meno andando nella
direzione di un management centrato sulle persone,
opzioni Open Source, e rispetto umanistico per
dipendenti ed ambiente. Così facendo accumulano
nel mercato azionario una quantità di ‗risorse
intangibili‘. Alcune sono più avanzate di altre, come
l‘IBM. Tutte sono prese da questa nuova vision
postcapitalistica e postindustriale, pur senza
affermarlo esplicitamente. Sulle stesse posizioni
abbiamo anche una parte della Commissione
Europea, che sta spingendo verso un approccio
(centrato sulle persone e sui cittadini) di ―Tecnologie
Convergenti‖.17 Essi rappresentano il gruppo dello
scenario positivo.
Dall'altro lato sta il gruppo dello scenario negativo.
17
Per ulteriori informazioni su questo argomento vedere il mio libro:
http://vision2020.canalblog.com/archives/my_1st_book_in_english_
_the_knowledge_society/index.html.
61
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Aziende come la Motorola e importanti gruppi di
potere come la ―US National Science foundation‖
hanno una vision completamente diversa. Secondo
loro non stiamo cambiando paradigmi. Le macchine
rimangono più importanti degli umani. La loro
strategia è ‗neo-industrale‘ e transumanista. Ecco i
loro punti di vista:
 Costruiamo computer potenti (come il Big
Blue), in grado di essere più intelligenti degli
umani. Che la macchina controlli e diriga
una parte sempre più grande delle nostre
aziende e della nostra società. Si potrebbe
silenziosamente assumere la governance sui
miei computer. Il Brave new World!18
 La seconda strategia è di manipolare il
cervello umano. La Motorola già lo fa con i
suoi dipendenti (nel contratto è prevista la
inserzione di un micro-chip sotto la pelle).
In questo paradigma neo-moderno, che chiamo lo
scenario negativo, le considerazioni etiche non hanno
spazio, dato che la scienza, secondo la definizione
moderna, raggiunge la Verità tramite il metodo
‗scientifico‘. Quindi che bisogno c‘è di etica? Si
aspettano, prima o tardi, una silenziosa assunzione
della governance locale e globale da parte di
supercomputer. Contemporaneamente ogni cervello
umano sarà ‗migliorato‘ grazie alla introduzione nel
sangue di milioni di nanocomputer. La più articolata
18
Il nuovo mondo, di Aldous Huxley, famosissimo esempio di antiutopia. [Ndt]
62
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
giustificazione per questo modo di pensare collegato
al (neo-industriale) scenario negativo è contenuta nel
Manifesto dei Transumanisti.19 Questa visione
filosofica chiede completa libertà di modificare il
corpo umano con qualunque tecnologia, per
migliorarlo indefinitamente, sperando di arrivare alla
immortalità.
L'Unione Europea ha deciso di impegnarsi per
questa ‗società della conoscenza‘.
I capi di stato europei hanno deciso nel 2000 di
implementare la Strategia di Lisbona (2000-2010)
diretta a rendere competitiva la UE in questa società
della conoscenza ma con rispetto per l‘ambiente e
l‘inclusione sociale. Sono loro ad avere inventato il
concetto di ‗società della conoscenza‘. Hanno avuto
la capacità previsionale di capire che siamo di fronte
a un mutamento degli strumenti di produzione, e
quindi a una nuova società. E adesso la UE sta
decidendo di continuare la stessa strategia con
‗Europa 2020‘. Sfortunatamente, i governi europei
non hanno seguito i visionari che immaginarono
questa strategia innovativa, e che sapevano che questo
era un nuovo paradigma economico (il Primo
Ministro portoghese Gutterrez e il Prof. Maria Joao
Rodrigues: Rodrigues, 2003). Ecco perché questa
strategia non è stata un successo. È un concetto postindustriale gestito con una strategia industriale.
19
http://en.wikipedia.org/wiki/Transhumanism
63
Transmoderno. Un nuovo paradigma
5. Il Quinto Livello: Poltica Transmoderna: la UE
La Politica Transmoderna è attorno a noi, ma noi non la
vediamo. Essa va nella direzione di network non-violenti
di Stati. Questo è invero un nuovo paradigma politico,
dato che in un mondo globale la guerra non pare più una
soluzione efficiente. Il peso della prova sta adesso sul
Guerriero, come scrisse Mayor, il precedente direttore
dell'Unesco.20
I network di pace sono pure la fine delle strutture
piramidali.. Stanno introducendo un nuovo livello politico
globale di gestione non-violenta fra stati, nel nostro mondo
globale. L‘Unione Europea è il primo esperimento
riuscito di non-violenza fra stati. Ha funzionato per 60
anni. Ma i nostri governi la presentano come un mercato,
o un Superstato. Mentre la UE dovrebbe andare nella
direzione di un network di solidarietà e pace i nostri stati
la stanno spingendo verso un Superstato, e un
Megamercato!!! Il Mercato è il mezzo, non il fine!
La Modernità ci ha dato un fondamentale mutamento di
paradigma: lo ‗Stato di Diritto‘, che ha lentamente
sviluppato la non-violenza fra cittadini entro i confini
nazionali. In modo simile, la transmodernità ci porta nonviolenza Fra Gli Stati.
In questo senso, la UE è la prima struttura politica
transmoderna del mondo. È un‘aquila allevata da galline (i
20
Mayor Federico (1995). The New Page, tradotto da La nouvelle
page, Editions du Rocher, Unesco, 1994.
64
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
nostri governi europei).
Una conseguenza della politica transmoderna nel rapporto
fra religioni e politica: Conflitti fra paradigmi, invece che
fra religioni.
Le religioni stanno tornando sul palcoscenico della
politica. La ‗Forward Studies Unit‘ della Commissione
Europea riunì nel maggio 1998 una conferenza ad alto
livello sul tema ‗Governance e diverse culture‘.21 Una delle
conclusioni principali fu che i conflitti più difficili non
sono fra religioni, come il professore di Harvard
Huntington aveva sostenuto (1993), ma sono piuttosto
all‘interno di ogni religione, fra i premoderni, i moderni
ed i transmoderni. Siamo così coinvolti in uno scontro di
paradigmi, piuttosto che di civiltà. Un‘altra molto
importante conclusione fu quella proposta dal Prof.
Ziauddin Sardar, direttore di ―Futures‖ e specialista del
mondo Islamico: entro il gruppo musulmano potrebbero
esservi più di 20% di transmoderni – che silenziosamente
preparano il futuro dell'Islàm nel XXI secolo. Una terza
importante conclusione fu che le autorità politiche in tutto
il mondo dovranno il prima possibile passare ad una
visione transmoderna, e riconoscere apertamente
l'esistenza di una dimensione 'spirituale' in ogni essere
umano.
21
Civilizations and Governance. congresso organizzato dalla ‗Forward
Studies Unit‘ e dalla ‗World Academy of Art and Sciences‘ a Bruxelles
nel Maggio 1998. Il testo è disponibile sul mio blog, sotto ‗religioni e
conflitti‘.
65
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Conclusione
La transmodernità è un profondo mutamento, e noi ci
siamo in mezzo. Questo mutamento ha cinque diversi
livelli, e alcune spinte profonde alla sua base. La
trasformazione vera e propria ha luogo in profondo
silenzio. A guidare la discussione sono in parte gli
scienziati, i ‗pensatori della Integralità‘, e in parte Aziende
come l‘IBM e altre. Sfortunatamente, la maggior parte
delle università non sono di grande aiuto in questa
riflessione decisiva. Questa trasformazione è così
importante che tutta la mappa mondiale è completamente
aperta. Nessuno è dominante in questo nuovo quadro,
dato che oggi la sfida non è costruire una nuova ‗Silicon
Valle‘, ma raggiungere una visione corretta, e
comprendere la natura della trasformazione.
Quali governi saranno i primi a capire rispondere? I
Cinesi, gli Stati Uniti, gli Europei, i Brasiliani, gli
Australiani? Chi proporrà nuove soluzioni che davvero
siano post-industriali e post-capitalistiche? Nessuno lo sa.
L'esito è veramente aperto.
66
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Bibliografia
Verna Alle, The future of knowledge increasing prosperity
through Value networks, Butterworth Heineman, New
York 2002.
Harlan Cleveland, Leadership and the information
revolution, World academy of art and science,
Minneapolis, MN 1997.
Peter Drucker, Post capitalist society, Harper, New York
1994.
Samuel P. Huntington, (1993). The clash of civilizations?
―Foreign Affairs‖, 72 (3), pp. 22-49.
Ilya Prigogine & Isabelle Stengers, Order out of caos:
Man‘s new dialogue with nature, Bantam, New York 1984.
Paul H. Ray, & Sherry R. Anderson, The cultural
creatives: How 50 million people are changing the world,
Three Rivers, New York 2000.
Maria João Rodrigues, The new knowledge economy in
Europe. A strategy for International competitiveness and
social cohesion, Edward Elgar, Cheltenham (UK) 2003.
Karl Erik Sveiby, The new organizational wealth:
Managing & measuring knowledge-based assets, Better &
Koelher, San Francisco (USA) 1997.
(Traduzione di Giacomo Conserva)
67
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Transmoderno e post-storia
di Marco Baldino
1. Postmoderno/transmoderno
Vi sono almeno due declinazioni del postmoderno,
entrambe capaci di suscitare serie crisi di sazietà
intellettuale, ma che conducono a diversi esiti: l‘una mette
l‘accento sull‘eclettismo storicizzante della cultura
moderna ? l‘effetto tipico di questa ―malattia‖ è una
produzione intellettuale che, come in un gioco di specchi,
persegue un mero ampliamento, per ripetizione variata,
dei contenuti e delle forme della tradizione. L‘altra
caratterizzata dalla consapevolezza che nuovi rapporti tra
pensiero ed effettualità si sono imposti come conseguenza
della crisi dissolutiva che ha investito il ―progetto
moderno‖: se l‘antichità vedeva nel mondo un cosmo,
cioè un ordine ad un tempo da rivelare e da imitare, se la
modernità ha visto in esso un caos da ordinare, cui
l‘uomo, per mezzo della ragione, poteva cioè conferire un
ordine, la postmodernità sembra invece partire dal
presupposto che il mondo non solo è un disordine
essenziale, ma che non c‘è razionalizzazione o rivoluzione
possibile che non sia, allo stesso tempo, un fatale
approfondimento di questo medesimo disordine.
Ma se con la postmodernità la filosofia perde tanto il suo
68
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
ruolo disvelativo quanto la sua forza razionalizzatrice e
formatrice, se la filosofia perde cioè il suo ruolo civilitario,
che cosa le resta? Ebbene, se gli uni hanno finito con
l‘inventare il gioco sublime delle infinite combinazioni di
testo, per gli altri accade che il rapporto tra pensiero e
mondo sia diventato fluido: ciò che si può fare è imparare
a stare nella corrente, tracciare delle linee di
galleggiamento. Il pensiero diviene strumento concreto
per il singolo che agisce all‘interno di un caso concreto.
Per Jünger si trattava ad esempio di attraversare il fuoco
degli eventi senza bruciarsi, di ascoltare il canto magico
della tecnica senza farsene incantare, di vivere nelle spire
del Leviatano senza lasciarsi catturare; per Deleuze,
analogamente, si tratta non tanto di attraversare le
frontiere della ragione, ma di attraversare le regioni della
«sragione» ritirandosi poi da esse come vincitore.
Questa prospettiva è per esempio declinata da Rosa María
Rodriguez
Magda
come
―transmodernità‖.
La
transmodernità prolunga, continua e trascende la
modernità — scrive la Rodriguez Magda — è sì il ritorno di
alcune linee e idee del moderno (ci si rivolge per esempio
di nuovo al progetto illuminista, come se questo potesse
fornirci un quadro generale più libero per determinare il
nostro presente) ma la modernità viene in realtà
recuperata in modo distanziato, ironico, come semplice
finzione adeguata. Di questo i critici della postmodernità,
che vorrebbero liberarsi del postmoderno con un gesto
sovrano, ma che rispetto al postmoderno mancano della
sola distanza ironica, non si rendono conto; non si
rendono conto di essere proprio loro, con il loro eccesso
69
Transmoderno. Un nuovo paradigma
di saccenteria, i più inconsapevoli e ostinati continuatori e
trasmettitori dell‘atteggiamento postmoderno. È davvero
possibile tornare a Spinoza nella convinzione che il
necessitarismo sia la vera forma del pensiero vero? Quello
che dice la Rodriguez Magda è che bisogna partire dalle
critiche postmoderne ed eventualmente, da ciò, puntare
alla configurazione di un nuovo paradigma. Il
transmoderno mantiene il presupposto del mondo come
disordine essenziale, simula la messa in scena di ordini
presi a prestito dalla galleria della ragione moderna, ma sa
che si tratta di modelli transitori e, a volte, anche
circoscritti, cioè meramente locali, il cui scopo è quello di
salvare le apparenze.
2. Stato universale omogeneo e negativo senza impiego
È probabile che Bataille mutui la sua nozione di ‗mondo
omogeneo‘, ‗parte omogenea‘, dalla nozione kojeviana di
stato universale omogeneo e Kojève, come tutti sanno, fu
un geniale interprete — si potrebbe dire interprete forte —
di Hegel del XX secolo. La produzione del mondo
omogeneo, nel senso di Bataille, è infatti il risultato
dell‘azione nel senso di Hegel, cioè la trasformazione del
mondo — il quale è ostile al progetto umano — in mondo
conforme a tale progetto. Ora, il mondo interamente
omogeneizzato è un mondo privo di salti, privo di
differenze, di differenze di potenziale, è un mondo
dell‘equi-potenza e dell‘equi-valenza. Ogni uomo è
riconosciuto tale da ogni altro uomo. Tale riconoscimento
non costa nulla, non può costare nulla; se costasse
70
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
qualcosa, allora dovremmo supporre l‘esistenza di una
differenza che continua a sussistere. Per conquistarsi il
riconoscimento occorrere infatti mettere a rischio
qualcosa, mentre in un mondo privo di salti e di
differenze, in un mondo perfettamente omogeneo, non è
più possibile mettere a rischio nulla, perché è un mondo
dove, paradossalmente, c‘è sovrabbondanza di tutto. Gli
uomini non sono più inquieti, l‘inquietudine del negativo è
scomparsa, gli uomini sono ora quieti, non desiderano
nulla e non desiderano nulla perché hanno tutto,
compreso se stessi e il riconoscimento (da parte) dell‘altro
(uomo): il ritorno degli schemi schiava-padrone
sottoforma di patto erotico, l‘osteggiamento anacronistico
dei matrimoni gay, l‘insopportabilità delle crisi recessive,
sono indici che la soglia della soddisfazione è superata e
che i ritorni a stadi precedenti non possono che suscitare
moti di ricompattazione dell‘equilibrio. Un mondo
perfettamente omogeneo è un mondo dell‘abbondanza in
ogni senso e modo e il mondo dell‘abbondanza (c‘è più di
quanto si possa desiderare, e se anche un buco nero
assorbisse energia senza restituire nulla, il sistema
sopperirebbe all‘ammanco creando nuova energia) è il
mondo della felicità. Ebbene, un mondo siffatto non
contempla più l‘azione e non contemplando più l‘azione è
oltre la storia, è un mondo post-storico e un mondo postostorico è, eo ipso, un mondo transmoderno. Non ho un
grande argomento da fornire, è per me una sorta di
evidenza e ritengo sufficiente ripetere alcune frasi di Rosa
María Rodríguez Magda:
«La Transmodernità è immagine, serie, fuga nel barocco e
71
Transmoderno. Un nuovo paradigma
barocco come via di fuga, è autoreferenzialità, catastrofe,
circolo vizioso, ripetizione frattale e inutile; è entropia
dell‘obeso e congestionata inflazione dei dati; è estetica del
troppo pieno e della sua sparizione, entropica, fatale. La
sua cifra non è il post-, la rottura, la discontinuità, ma la
transustanziazione vasocomunicante dei paradigmi. La
Transmodernità sono i mondi che si compenetrano e si
risolvono in bolle di sapone o come immagini su uno
schermo. Non è un desiderio o un fine, semplicemente è
una situazione strategica complessa e aleatoria, non scelta,
che in-siste; non è né buona né cattiva, compiacente o
insopportabile […] è tutto questo insieme […]. È
l‘abbandono della rappresentazione, il regno della
simulazione e della simulazione che conosce il reale.»
22
Perché si dia storia occorre infatti che vi sia anzitutto
scarsità, rarità di questo e di quello, occorrerebbe che
qualcuno potesse appropriarsi in modo esclusivo di questo
e di quello privandone gli altri. Perché si dia storia è
necessario che vi siano luoghi di concentrazione
dell‘energia e una grande distribuzione di differenze di
potenziale, nonché la possibilità della scarica, del salto;
sarebbe necessario che tale salto dissipatorio avesse la
forma dello scontro, della lotta. Un mondo storico è un
mondo politico, non nel senso di un parlare insieme per
imprendere qualcosa in comune, ma come un gioco di
forze e di intellezioni, di scarti di coscienza e di tattiche
che sono, in buona sostanza, guerra, guerra continuata con
altri mezzi. Non posso nascondermi, tuttavia, che il
mondo interamente omogeneizzato è forse solo una
22
R. M. Rodriguez Magda, Transmodernidad, Anthropos, Barcellona
2004, p. 9. [Traduzione mia]
72
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
condizione limite, un po‘ come lo stato di natura di cu
parlava Hobbes. Forse esso non è che il limite asintotico
dell‘attività umana, negatrice e trasformatrice. Kojève
pensava che lo Stato universale omogeneo fosse l‘esito
necessario dello sviluppo storico inteso come lotta a morte
per il riconoscimento (o per la gloria): l‘idea ellenistica
dello Stato universale (Alessandro) e l‘idea cristiana dello
stato omogeneo (san Paolo), uniti nella forma secolarizzata
dello Stato mondiale proprio di una società senza classi
(Marx) o che tende a realizzarsi tale. Le due rivoluzioni
omogeneizzatrici (1789 e 1917) hanno posto l‘omogeneità
sociale tra i fini propri dell‘azione politica e questi fini,
sottratti alla sfera dell‘utopia, figurano, da più di un secolo,
fra gli obiettivi politicamente irrinunciabili. Oggi le cose
stanno in questo termini: siamo del tutto consapevoli della
necessità di adeguare politicamente il fatto della
―globalizzazione‖, cioè il ricoprimento dell‘intero pianeta
da parte del modello economico occidentale, della scienza
e della tecnica occidentali. L‘esito di un tale sforzo può
essere solo — lo si comprende facilmente — lo Stato
universale omogeneo, ossia una giurisdizione che non
incontri limiti spaziali, nazionali o etnici e che non sia
segmentato da differenze sociali tali da impedire la
condivisione di interessi comuni fondamentali. In altre
parole, lo Stato universale omogeneo non è qualcosa di
semplicemente virtuale, la cui realizzazione verificherà, in
un futuro lontano, la validità delle scelte storiche compiute
dall‘inizio fino ad allora, ma un obbiettivo politico
concretamente perseguito come l‘unica soluzione possibile
al problema dell‘anarchia mercatizia e comunicazionale
estesa all‘intero pianeta. Vi deve cioè essere una soglia
73
Transmoderno. Un nuovo paradigma
oltre la quale l‘omogeneo avanza e il negativo
rimpicciolisce a tal punto da diventare insignificante o,
quantomeno, residuale. Analiticamente, la condizione
umana sarebbe sempre descrivibile in termini di negativo,
di trasformazione, di umanizzazione, di conquista della
coscienza e dell‘autocoscienza, di storia, ecc., ma la
percezione media dell‘uomo sarebbe tale da non poter più
distinguere il salto, divenuto troppo piccolo. Dunque è
vero, il movimento dello spirito è giunto a compimento,
siamo nella felicità; tale compimento si è realizzato
proprio nello smascheramento dell‘ultima menzogna: la
funzione liberatrice dell‘ideologia e della filosofia
(postmoderno), che però è anche la rivelazione dell‘ultima
realtà: l‘animale transmoderno, libero e felice. Il Progetto
moderno, effettivamente cade per soddisfazione, ma la
tradizione del pensiero moderno (e ovviamente anche
medievale ed antico) è ricolma di tesori che possono
essere utilizzati per pensare localmente e transitoriamente
certe concrezioni dell‘esperienza. In altre parole: come
Kojève coglie nella ripetizione inflessa dell‘immane corpus
della tradizione il carattere proprio del post-storico, così
Rodriguez Magda, nel libero aggirarsi degli animali
transmoderni nelle gallerie della ragione ‗classica‘, alla
ricerca di modelli da utilizzare in contesti circoscritti,
coglie il carattere proprio del transmoderno.
La lettura kojeviana della Fenomenologia dello spirito può
essere
intesa
come
un‘interpretazione
quasitermodinamica di Hegel. È a partire dal concetto statistico
o informazionale di entropia che l‘intero sviluppo dello
spirito è interpretato: un sistema isolato, lasciato evolvere
74
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
senza alcuna interferenza, trova la sua condizione di
equilibrio in corrispondenza dello stato più probabile, che
è anche quello di maggior entropia o, che è lo stesso, di
minore informazione, ed è interpretato come il realizzarsi
di una catastrofe asimoviana del primo tipo, cioè come il
raggiungimento di uno stadio di equilibrio metastabile,
come cancellazione o minimizzazione di ogni differenza di
potenziale, di ogni salto, e come massimizzazione
dell‘equilibrio globale.
Qui entra in gioco Bataille, a livello di quel minimo che,
matematicamente, non è mai uno zero assoluto. Ora, se
esiste qualcosa di residuo, un rimasuglio, per quanto
piccolo, di energia, esso non potrà che insistere su se
stesso, invorticarsi intorno alla proprio insorgere. Tale
residuo è dunque un processo di spegnimento. E tuttavia,
per quanto vi sia rilascio, cioè spegnimento, azzeramento,
esso è azione, proprio nel senso hegeliano, ma per dirla
tutta, ―senza impiego‖, ―inoperoso‖: se rilucere è il senso
dell‘esistenza umana, questo rilucere è l‘azione
dell‘autoannullamento, dell‘autoannichilimento: «La vita
degli uomini — scrive Bataille — è come lo sfavillio delle
stelle: essenzialmente non ha altro fine che questo sfavillio,
è la sua gloria a costituire il senso ultimo».23
L‘esistenza di un residuo di negatività nel contesto
transmoderno, che lo stesso Bataille riscontra più come
semplice dato che non come necessità o struttura di
sistema, pone il problema del suo abbattimento.
23
G. Bataille, Il limite dell‘utile (frammenti), a cura di F. Ciro Papparo,
Adelphi, Milano 2000, p. 49.
75
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Descrivendo tale negativo come accumulo residuo di
energia trasformatrice in un contesto metastabile, è chiaro
che esso dovrà in qualche modo scaricarsi, annientarsi.
3. Felicità animale e dominante economica
E infatti, transmoderno non vuol dire che non c‘è più
scontro, conflitto pulsionale, ma che non c‘è più autentica
trasformazione. Lo scontro è risolto in un caleidoscopio di
mosse nel gioco governare/non-lasciarsi-governare che è la
vera forma delle relazione politica nell‘età transmoderna.
Localmente si creano degli squilibri potenziali, ma il
sistema è sufficientemente entropico per ricondurre, senza
modificazioni generali, le locali differenze, prodottesi a
causa del gioco governamentale, alla scarica, e così, di
nuovo, alla felicità silenziosa, al brusio pieno di cultura del
sistema omogeneo chiuso, finito, finito e illimitato,
illimitato per ripetizione variata, per interpretazione
interminabile, come nell‘eterna riproposizione delle opere
della grande tradizione musicale classica.
Nel contesto transmoderno, da un lato il potere prende la
forma della gouvenementalité [governmentality] — è chiaro
che qui prendo a prestito un elemento dell‘analisi
foucaultiana, mi spingo anzi fino a parlare di una pastorale
che si fa carico della felicità animale ‗media‘: la
gouvenementalité è essenzialmente un‘attività di tipo
amministrativo, il potere di somministrare la felicità
animale come condizione di massimo equilibrio. Foucault
è raccordato con Kojève. Dall‘altro, questo modo di
76
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
intendere il potere dà luogo alla chiusura della
rappresentazione teologica del politico e quindi della
sovranità nel senso di Schmitt. Si passa cioè dal potere
come sovranità (potere giuridico e, quindi, da un politica a
rivendicazione essenzialmente giuridica: diritti, ecc.), al
potere come amministrazione della felicità animale,
biologica: Kojève assorbe Foucault che assorbe Schmitt.
La chiusura della rappresentazione teologica del potere —
sono Schmitt e Foucault a rilevare tale chiusura — è dovuta
essenzialmente all‘imporsi del paradigma (o forma)
economico/a. Una tesi di Foucault oggi molto frequentata
è che con l‘affermarsi del liberalismo postbellico
l‘economia si sarebbe imposta in modo onnipervasivo. C‘è
uno stupendo piccolo libro di Robert Louis Stevenson,
The Amateur Emigrant, la cui genesi è un viaggio da
Glasgow a New York compiuto nell‘anno 1879 dal grande
scrittore, che dimostra che l‘imporsi dell‘economia come
categoria dominante è molto più antica. I personaggi di
questi libro non sono di fantasia, ma reali emigranti spinti
a cercare fortuna nel Nuovo mondo. Stevenson li descrive
come individui dagli occhi bendati da un materialismo
basso, che non vedono altro al mondo che soldi e
macchine a vapore, che credono nella produzione
(«quell‘inutile finzione dell‘economia») come se fosse
l‘unica realtà. La produzione è il loro dio, la loro guida…
Avevano da ridire persino sul fatto che la letteratura fosse
troppo pagata, più pagata del lavoro, degli operai. Avevano
un profondo terrore per l‘inesorabile Nemesi
dell‘economia, tanto che non riuscivano a vedere altre vie
d‘uscita se non quella di un totale e improvviso
77
Transmoderno. Un nuovo paradigma
sovvertimento politico. Non volevano sentir parlare, per
parte loro, di migliorare, volevano che il mondo fosse
rimesso a nuovo d‘incanto, per mezzo di una rivoluzione,
per rendere la loro posizione economica — l‘unica ad
avere per loro un senso, l‘unica vera — accettabile.
Insomma, quanto a introiezione di un modello, qui ce n‘è
d‘avanzo.
Per non lasciare tutto nelle mani di Stevenson, e prima di
concludere con Foucault, voglio citare ancora un paio di
autori importanti, che hanno argomentato intorno al
passaggio all‘economia come se si trattasse dell‘assurzione
al dominio di una data forma; questi autori sono Werner
Sombart e Carl Schmitt.
Sombart, alle prime righe del suo Deutscher Sozialismus24,
non appena inquadrato l‘argomento, ecco che assicura il
lettore che la caratteristica fondamentale delle forme di
vita nelle quali si sarebbe svolta la nostra esistenza negli
ultimi centocinquant‘anni (siamo nel 1934), è racchiusa
nell‘espressione «Era economica» e ciò significa: «che in
detto periodo l‘economia e i valori economici e materiali
[…] reclamano e conquistano il predominio su tutti i
valori, con la conseguenza che l‘economia imprime il suo
stampo su tutti i campi della società e della cultura». Certo,
per Sombart l‘orizzonte è ancora quello occidentale, anzi,
quello europeo.
Karl Löwith, nel suo saggio sul decisionismo occasionale
24
W. Sombart, Il socialismo tedesco [1934], Il Corallo, Padova 1981,
p. 13.
78
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
di Schmitt, scrive che una delle tesi centrali di questo
importante pensatore del diritto è che lo stato liberale del
XIX secolo avrebbe determinato una radicale
spoliticizzazione dello spazio pubblico europeo in forza
della sua pronunciata opzione in favore dell‘economia e
25
della tecnica. Ho sott‘occhio una serie di passi dal Begriff
des Politischen (testo del 1932). Qui Schmitt afferma che
se nel passato preromantico tutti riconoscono un‘era
teologica, una metafisica e una moral-umanitaria, alla fine
ve n‘è senz‘altro una economica26 e che in ciascuna di esse
è possibile rinvenire le sfere spirituali in cui ha centro la
civiltà: Dio, la libertà, il progresso, le concezioni
antropologiche, ciò che è pubblico e razionale, il concetto
di natura e di cultura, e soprattutto lo Stato, tutto deriva il
suo contenuto storico concreto dalla posizione del centro
di riferimento e può essere compreso solo partendo di là,
e questo centro è, nell‘Ottocento, l‘economia.27
Analizzando la situazione del dopoguerra in America e in
Germania, Foucault mostra come il mercato sia diventato
l‘unico vero meccanismo in grado di produrre senso e di
25
K. Löwith, «Il decisionsimo occasionale di Carl Schmitt», in Marx,
Weber, Schmitt, trad. di A. M. Pozzan, Laterza, Roma-Bari 1994,
p. 126. Nel Begriff des Politischen, Schmitt, nel tracciare
l‘avvicendarsi delle sfere spirituali nelle quali lo spirito europeo
trova di volta in volta il centro della propria espressione umana,
dice sì, anche, che in stretta unione con l‘economia appare
l‘elemento tecnico, ma dice anche che «Il sistema in quanto tale è
economico» (C. Schmitt, Le categorie del ‗politico‘, Parte II, § 3, a
cura di G. F. Miglio, Il Mulino, Bologna 1972, p. 171).
26
Cfr. C. Schmitt, Le categorie del ‗politico‘, Parte II, §3, cit., pp. 16869.
27
Cfr. Ivi. pp. 168-174.
79
Transmoderno. Un nuovo paradigma
garantire la verità (come Schmitt aveva visto nel
Romanticismo una parentesi estetica tra moralismo
settecentesco ed economismo ottocentesco, qui Schmitt
appare come una sorta di piccola imene giuridicodecisionista all‘interno in un più vasto movimento
dominato dall‘economia). Lo stesso potere avrebbe luogo
solo come estrinsecazione di logiche e direttrici
economiche. Il calcolo costi/benefici diventa il criterio di
validazione e di veridizione preponderante nella relazione
politica; discorso economico e discorso giuridico tendono
a legittimarsi l‘un l‘altro: il diritto viene utilizzato per
regolamentare il mercato (Stati Uniti) e l‘economico
diventa il criterio tout-court di legittimazione del politico e
del giuridico (Germania). In questo contesto il soggetto
politico tende a coincidere con il soggetto economico,
l‘individuo a riconoscersi e a identificarsi con l‘ordine
economico, la popolazione a configurarsi come semplice
risultato di processi di costituzione organizzati secondo
criteri economici e il ―governo degli uomini‖ come
esercizio del potere sulla base di presupposti che hanno il
proprio criterio di legittimità sempre e solo
nell‘economia.28
Personalmente ritengo che sia in atto un processo di
―desintetizzazione‖,
di
divorzio
(divortium)
e
allontanamento reciproco di quegli elementi la cui
collaborazione civilitaria — la cui sintesi — ha determinato,
nel tempo, l‘aspetto di quella forma cui diamo il nome di
28
M. Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France
(1978-1979); trad. di M. Bertani e V. Zini, Feltrinelli, Milano 2005.
80
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Civiltà o, semplicemente, di ―Occidente‖.29 Tali elementi
sono la Politica intesa come risposta al problema della
componibilità sociale dei differenti; la Storia, sia nel senso
di ―esistenza storica‖ sia in quello di storiografia, cioè di un
uso della scrittura come strumento capace di dare
soluzione al problema dell‘impermanenza dell‘esperienza
e la Filosofia, ossia la concettualizzazione veritativa e
totalitaria delle credenze quale risposta al problema
dell‘incertezza delle cose credute. Tale processo di
divorzio, certamente indice di una crisi dissolutiva, non
implica una scomparsa della Storia, della Filosofia o della
Politica in senso stretto. Ciò che invece viene senz‘altro
meno è la loro collaborazione, il loro concorso. La
desintetizzazione implica cioè lo scioglimento di
quell‘intreccio, di quel concorso, di quell‘accordo
civilitario detto Occidente, nel senso che nel momento in
cui le forme politiche, storiche e concettuali cominciano di
fatto a decadere dal loro legame sintetico, questo intreccio
prende un altro orientamento. Lo dico un po‘
sbrigativamente: il nuovo orientamento si dà ed è imposto
da qualcosa come un ―passaggio all‘economia‖,
dall‘avvento di quel predomino dell‘economia in vasti
settori della società e della cultura di cui parlano Sombart
e Schmitt, Stevenson e Foucault. Di più: tale orientamento
è imposto dal fatto che a un certo grado di sviluppo del
processo di desintetizzazione, l‘economia prende
addirittura il posto della filosofia, portando con ciò un
cambiamento radicale nell‘autocomprensione della civiltà
stessa.
29
È chiaro che qui ci muoviamo fuori da un approccio etnologico alla
questione della o delle civiltà.
81
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Ora, la sostituzione della filosofia con l‘economia conduce
ciascuna delle tre istanze civilitarie (storia, politica,
filosofia) ad un‘intima trasformazione, inoltre queste tre
istanze si modificano diversamente e se la politica
economicizzata si trasforma in una prassi amministrativa e
governamentale, e la storia economicizzata si trasforma in
uno strumento di lotta micro-politica, la filosofia finisce col
frantumarsi contro il muro della propria inefficacia. Una
filosofia che si piegasse ai criteri economici dell‘efficienza
e dell‘efficacia cesserebbe infatti subito di essere ―filosofia‖
per trasformarsi in marxismo o, ancor meglio, in
marxismo-leninismo, ossia in una prassi teorica avente per
obiettivo quello di chiudere la storia e la politica stessa, e
lo stato, e di instaurare il regime puro e semplice del
governo e dell‘amministrazione, ovvero il puro regime
economico (la famosa cuoca di Lenin resa celebre da
Majakovskij), con il che ci si ritroverebbe esattamente al
punto in cui siamo. Quindi la filosofia, che pure ha tentato
di risolversi in marxismo-leninismo, ora si sottrae, diciamo
così, necessariamente, a tale riduzione, ma, così facendo,
anche si confina in un‘area di totale inefficacia civilitaria.
4. Pastorale felicitaria e scaltrezza microfisica
Nelle società transmoderne la politica diviene rapporto
governamentale: di qua un laccio per catturare, di là uno
stratagemma per sottrarsi alla cattura; di qua lo sforzo
pastorale di che intende governare assumendosi il compito
della felicità animale dei governati, di là lo sforzo
82
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
anarchico dei governati di non lasciarsi governare, non a
quel determinato prezzo almeno, non così. Governo e
sottrazione sembrano essere la forma della relazione
politica nell‘epoca transmoderna.
Se nel transmoderno il potere è la capacità di mettere in
atto delle necessarie strategie di gouvenementalité, il
tentativo di limitarne l‘azione può essere pensato come
―critica‖ (è ancora Foucault a fornircene l‘argomento30.
Solo il rapporto tra queste due mosse, nei loro andirivieni,
può restituirci un‘immagine plausibile della politica
transmoderna: essa è il grado fino a cui, ora qui ora lì, in
modo puntuale e transitorio, il governato riesce a sottrarsi
alla pastorale felicitaria del governante. Lo stesso scontro
microfisico di cui parla Foucault, può essere interpretato
come il contraltare della pastorale felicitaria, dove ―micro-―
starebbe a significare che non si dà più alcuna
trasformazione storica globale, ma sempre e solo un
riequilibrio energetico: l‘entropia deve sempre essere
massima.
Nel contesto transmoderno la politica, che deriva dal
confronto tra pastorale felicitaria e critica microfisica, cessa
di essere un correlato d‘essenza del soggetto umano (Zōon
politikòn) e si trasforma in una serie di mosse (governo,
cura pastorale, sottrazione, sparizione) all‘interno di quel
gioco che è la gouvernementalité. È più il confronto tra
una scaltrezza sottrattiva (lo scaltro genio del governato —
bisogna poi tener presente che la critica è anche sempre
30
M. Foucault, Critica e illuminismo, a cura di P. Napoli, Donzelli,
Roma 1997.
83
Transmoderno. Un nuovo paradigma
un sabotaggio) e una strategia pastorale (l‘insuperabile
intelligenza politica del governante) che non un lotta a
morte per la signoria.
Non è più possibile una politica nel senso di Schmitt, nel
senso di quel formare e di quell‘ordinare che riassumono
la pluralità naturale (culturale, economica, biologica) sotto
un principio unitario formante. Sicché rispetto
all‘economico il problema non è quello di governarne i
flussi, di dare forma alle forze (naturali, oggettive)
dell‘economico, ma di come stare nella corrente, come
―navigare‖. È la metafora internetiana, che io, con un
piccolo divertissement lessicale, chiamo ―web-eriana‖,
quella che meglio descrive la posizione dell‘uomo
nell‘universo economico globale. Oggi assistiamo a sforzi
per far rinascere un‘etica, una politica, persino una
filosofia della storia che — si dice — non siano la solita
litania storicista del tramonto dell‘Occidente, del
nichilismo come destino e del dominio della tecnica...
Quella roba — si dice — ha una grave responsabilità nella
crisi morale contemporanea. Bene, se posso tentare
un‘osservazione direi che, il transmoderno sembra
piuttosto costituire uno strumento per comprendere
proprio ciò che gli si vorrebbe attribuire come iattura: lo
stato universale omogeneo, l‘assenza di un orientamento
ascendente e progressivo della storia, la presenza di
ripetizioni, di alti e bassi… Si vorrebbe superare quella
riduzione della verità in pittura che di norma viene
attribuita al postmoderno, si vorrebbero riaffermare i
diritti dell‘etica, della politica e della filosofia, ma senza
impegnarsi troppo nella durezza da esse dispiegata nel
84
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
passato. Vogliamo sì essere storici, ma senza tragedia, etici
ma senza roghi e punizioni esemplari, liberi ma non così
radicalmente esposti alla responsabilità.
La protesta di oggi non è che un tipico effetto
transmoderno. Non essendoci più alcuna possibilità di
trasformare il dato, o di rivolgere il proprio desiderio su
un altro desiderio, gli animali transmoderni finiscono per
rivolgere il residuo potenziale negativo che ancora li
anima, e che non trova più reale impiego, contro se stessi.
La protesta di oggi è infatti priva di progettualità, non c‘è
in essa alcun disegno di trasformazione che non sia una
mera decostruzione (cosa non si deve a Derrida!), una
mera deregolazione (cosa non dobbiamo a Von Mises o
Von Heyek!) o una mera decrescita: il disegno di
mantenersi nell‘esistenza nell‘epoca dell‘assenza di ogni
disegno.
Non a caso il movimento globale contro la crisi esprime
solo una sorta di indignazione. Se pensavate che la realtà
di questo movimento fosse una confutazione del
postmoderno e della sua polverizzazione storica, vi
sbagliavate, esso è un argomento a favore del
transmoderno. L‘indignazione è infatti, anzitutto, un
sentimento e non il contenuto di una rivendicazione
(ridistribuzione, abrogazione, potere,...). Manifestare
un‘indignazione significa anzitutto rendere manifesto un
sentimento, un particolare stato emotivo. Gli indignati
dicono: ci troviamo in questo stato emotivo a causa della
vostra pastorale, la quale non è all‘altezza della presente
85
Transmoderno. Un nuovo paradigma
situazione. Voi politici non siete perciò degni di esercitare
la funzione amministrativa. E perché non ne sarebbero
degni? È facile intuirlo: perché la loro amministrazione
non consente un rapido inserimento delle popolazioni
nello stato di felicità post-negativo, nello stato in cui
nessuna negatività ha più luogo, tranne forse quelle forme
residuali che si esprimono nell‘arte, nella mistica,
nell‘eccesso, nel crimine e, da ultimo, nell‘autolesionismo.
La manifestazione dell‘indignazione è un argomento a
favore del transmoderno perché mediante la violenza di
piazza e con la dialettica ―violenza-non violenza‖ che viene
svolgendo, essa opera un‘auto-distruzione o almeno la
trasformazione di se stessa (e da se tessa) in degnazione.
Dopo l‘accumulo viene l‘abreazione, che riporta il sistema
allo stato di equilibrio. Proprio grazie alla violenza il
movimento emotivo dell‘indignazione (che le è pertanto
necessaria) dissipa il residuo potenziale negativo
trasformandolo in energia a più basso contenuto di
informazione: la degnazione felicitaria transmoderna. In
più, gli indignati, con il loro moralismo ripescato qui e là
dalla galleria dei Padri del pensiero razionale-nazionale,
negano infatti se stessi come indignati e si restituiscono alla
comunità come guardiani dell‘ortodossia eticosentimentale dello stato transmoderno, felice con sé e per
sé. Si coricano Hyde, dopo averne assaporato l‘agitazione,
e si risvegliano invariabilmente Jekyll: dopo l‘eccitazione
emotiva, dopo la partecipazione a manifestazioni, dopo le
performance sul palco, ecco il ripristino dello stato di
equilibrio metastabile, gesto automatico — in fondo si tratta
solo di professori!
86
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Estetizzazione della verità nella
post-storia*
di Jacob Taubes
Se la filosofia della storia è il luogo in cui giungono a
compimento decisioni, divisioni e differenze intorno
all‘essenza della verità, ecco che porre oggi la filosofia
sotto il segno dell‘«estetizzazione della verità nella poststoria» possiede effettivamente un significato e costituisce
una reale chance di determinare il luogo del presente.
Il termine ―post-storia‖ si presenta attualmente in diverse
accezioni, diversamente accentate e valutate, che non sono
solo antitetiche; esso rimanda però sempre a un processo
basilare che circoscritto alla storia della filosofia come
storia delle manifestazioni della verità si può riassumere
nella tesi secondo la quale la filosofia come storia — dagli
ionici a Jena — delle riposte (e delle decisioni in esse
contenute) alla domanda «che cos‘è la verità?», è conclusa.
In suo luogo la riflessione filosofica è dominata da
un‘«estetizzazione della verità», circostanza che in un certo
senso corrisponde all‘idea di ―post-storia‖.
Questo termine, che dalla fine della seconda guerra
mondiale è divenuto di uso corrente in tedesco, in
francese, e ora anche in americano, è in questo modo
l‘indice dello ―spirito dei tempi‖, e si rifà a quella
localizzazione del presente che Alexandre Kojève tentò
dal 1933 al 1939 come esegesi della Fenomenologia dello
87
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Spirito. orizzonte della sua audace interpretazione era la
convinzione «che può essere che il futuro del mondo e
con ciò il senso del presente e il significato del passato alla
fine dipenda dall‘attuale interpretazione degli scritti di
Hegel» (A. Kojève, Kommentar zur Phänomenologie des
Geistes, p. 271)31. Come oggi è risaputo, quasi tutti quelli
che hanno seguito più tardi la questione della fine della
storia hanno approfittato dell‘esegesi di Hegel operata da
Kojève, taluni hanno persino preso personalmente parte ai
relativi seminari.
La scelta tedesca dei frammenti della esegesi di Kojève,
che Raymond Queneau ha operato, soffre tra l‘altro del
fatto che le due «note a piè di pagina» di Kojève non sono
state inserite nell‘edizione tedesca del suo lavoro. Si tratta
del contenuto più proprio del lavoro di Kojève, e
precisamente di una nota alla prima edizione, relativa la
problema della «fine della storia», a cui nella seconda
edizione francese si riallaccia un corollario (come nota alla
nota della prima edizione) e che costituisce l‘unico
ampliamento al testo della prima edizione. Sorge così
l‘impressione (sicuramente intenzionale) che anche
l‘interpretazione di Hegel di Kojève sia una di quelle
interpretazioni infinitamente sottili, ma ―perbene‖, che
determinano il mercato accademico, mentre in verità,
Alexandre Kojève espone la più acuta — anche se più
avventurosa — determinazione del luogo del presente nella
veste di un‘esegesi di Hegel. In ragione della loro
31
A. Kojève, Hegel. Eine Vergegenwartigung seines Denkens.
Kommentar zur Phänomenologie des Geistes; mit einem Anhang,
Hegel, Marx und das Christentum, Frankfurt am Main, Suhrkamp
1975. Si tratta della traduzione tedesca dell‘Introduction à la lecture
de Hegel. Leçons sur la Phénomenologie de L‘Esprit professees de
1933 a 1939 a l‘École des Hautes Études; réunies et publiées par
Raimond Queneau, Paris, Gallimard 1947 (Trad. it. Adelphi,
Milano 1996). [Ndc]
88
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
importanza riportiamo qui di seguito proprio le due
menzionate note.
Nota a piè di pagina della prima edizione:
La scomparsa dell‘Uomo alla fine della Storia non è dunque
una catastrofe cosmica: il mondo naturale resta quello che è
da tutta l‘eternità. E non è nemmeno una catastrofe
biologica: l‘Uomo resta in vita come animale che è in
accordo con la Natura e con l‘Essere-dato. Ciò che
scompare è l‘Uomo propriamente detto, cioè l‘Azione
negatrice del dato e l‘Errore, o in generale il Soggetto
opposto all‘Oggetto. Infatti, la fine del tempo umano o della
Storia, cioè l‘annientamento definitivo dell‘Uomo
propriamente detto o dell‘individuo ibero e storico, significa
molto semplicemente la cessazione dell‘Azione nel senso
forte del termine. Il che praticamente vuol dire: la scomparsa
delle guerre e delle rivoluzioni cruente. E anche la
scomparsa della filosofia; infatti, l‘Uomo, non cambiando
più se stesso in maniera essenziale, non ha più ragione di
cambiare i principi (veri) che stanno alla base della sua
conoscenza del Mondo e di sé. Tutto il resto può mantenersi
indefinitamente: l‘arte, l‘amore, il gioco, ecc.; insomma tutto
ciò che rende l‘uomo felice. — Ricordiamo che questo tema
hegeliano, tra molti altri, è stato ripreso da Marx, «Regno
della necessità» (Reich der Notwendigkeit); al di là (jenseits)
c‘è il «Regno della libertà» (Reich der Freiheit), in cui gli
uomini (riconoscendosi reciprocamente senza riserve), non
lottano più e lavorano il meno possibile (dato che la Natura
è stata definitivamente domata, cioè armonizzata con
l‘Uomo). (cfr. Il Capitale, libro terzo, capitolo XLVIII, fine
32
del secondo capoverso del par. 3).
Aggiunta alla seconda edizione:
32
Nell‘edizione italiana la Nota si trova a p. 541. Le due lunghe
citazioni da Kojève sono tradotte dal tedesco da Alberta Battisti.
[Ndc]
89
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Il testo di questa Nota è ambiguo, per non dire
contraddittorio. Se si ammette «la scomparsa dell‘Uomo alla
fine della Storia», se si afferma che «l‘Uomo resta in vita in
quanto animale», precisando che «ciò che scompare, è
l‘Uomo propriamente detto», non si può dire che tutto il
resto può mantenersi indefinitamente: l‘arte, l‘amore, il
gioco, ecc.». se l‘Uomo ri-diventa animale, anche le sue arti, i
suoi amori e i suoi giochi devono ri-diventare puramente
―naturali‖. Bisognerebbe dunque ammettere che, dopo la
fine della Storia, gli uomini costruiranno i loro edifici e le
loro opere d‘arte come gli uccelli costruiscono i propri nidi e
i ragni tessono le proprie tele, eseguiranno concerti musicali
alla maniera delle rane e delle cicale, giocheranno come
giocano i giovani animali e si daranno all‘amore come fanno
le bestie adulte. Ma allora non si può dire che tutto questo
«rende l‘Uomo felice». Bisognerebbe dire che gli animali
post-storici della specie Homo sapiens (che vivranno
nell‘abbondanza e in piena sicurezza) saranno contenti in
funzione del loro comportamento artistico, erotico e ludico,
visto che, per definizione, essi se ne accontenteranno. Ma c‘è
di più. «L‘annientamento definitivo dell‘Uomo propriamente
detto» significa anche la scomparsa del Discorso (Logos)
umano in senso proprio. Gli animali della specie Homo
sapiens reagirebbero con riflessi condizionati a segnali
acustici o mimici e così i loro cosiddetti ―discorsi‖ sarebbero
simili al presunto ―linguaggio‖ delle api. Ciò che allora
scomparirebbe non sarebbe soltanto la Filosofia e la ricerca
della Saggezza discorsiva, ma anche questa stessa Saggezza.
Infatti non si avrebbe più, iin questi animali post-storici,
―conoscenza [discorsiva] del Mondo e di sé‖.
All‘epoca in cui redassi la Nota precedente (1946), il ritorno
dell‘Uomo all‘animalità non mi sembrava impensabile come
prospettiva futura (del resto, più o meno prossima). Ma,
poco dopo (1948), ho compreso che la fine hegelo-marxista
della Storia, lungi dall‘essere ancora di là da venire, era già
un presente. Osservando ciò che succedeva intorno a me e
riflettendo su quanto successe nel mondo dopo la battaglia di
90
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Jena, ho compreso che Hegel aveva ragione a considerarla la
fine della Storia propriamente detta. In e con quella
battaglia, l‘avanguardia dell‘umanità ha virtualmente
raggiunto il termine e lo scopo, cioè la fine dell‘evoluzione
storica dell‘Uomo. Ciò che si è prodotto dopo non è stato
che un‘estensione nello spazio della potenza rivoluzionaria
universale attualizzata in Francia da Robespierre-Napoleone.
Dal punto di vista autenticamente storico, le due guerre
mondiali, col loro seguito di piccole e grandi rivoluzioni,
hanno avuto solo l‘effetto di allineare, sulle posizioni storiche
europee (reali o virtuali) più avanzate, le civiltà arretrate delle
province periferiche. Se la sovietizzazione della Russia e la
comunistizzazione della Cina sono più e latro che la
democratizzazione della Germania imperiale (tramite
l‘hitlerismo) o l‘accesso al Togo dell‘indipendenza, o
addirittura l‘autodeterminazione dei Papuani, è unicamente
perché l‘attualizzazione cino-sovietica del bonapartismo
robespierriano costringe l‘Europa post-napoleonica ad
accelerare l‘eliminazione dei numerosi postumi, più o meno
anacronistici, del suo passato pre-rivoluzionario. Comunque,
fin d‘ora, questo processo di eliminazione è più avanzato nei
prolungamenti nord-americani dell‘Europa che non
nell‘Europa stessa. Si può anzi dire, da un certo punto di
vista, che gli Stati Uniti hanno già raggiunto lo stadio finale
del ―comunismo‖ marxista, visto che, praticamente, tutti i
membri di una «società senza classi» possono appropriarsi
fin d‘ora di tutto ciò che desiderano, senza per questo
lavorare più di quanto gli piace.
Ora, in parecchi viaggi comprativi (tra il 1948 e il 1959) negli
Stati Uniti e nell‘U.R.S.S. mi sono formato l‘opinione che, se
gli Americani fanno la figura di cino-sovietici arricchiti, è
perché i Russi e i Cinesi non sono che degli Americani
ancora poveri, anche se in via di rapido arricchimento. Sono
stato indotto a concludere che l‘American way of life era il
genere di vita proprio del periodo post-storico, dal momento
che l‘attuale presenza degli Stati Uniti nel Mondo prefigura il
futuro «eterno presente» dell‘umanità intera. Così l ritorno
dell‘Uomo all‘animalità appariva non più come una
91
Transmoderno. Un nuovo paradigma
possibilità ancora di là da venire, bensì come una certezza
del presente.
In seguito a un recente viaggio in Giappone (1959) ho
cambiato radicalmente opinione su questo punto. Là ho
potuto osservare una Società unica nel suo genere, perché è
la sola ad aver fatto un‘esperienza di vita lunga quasi tre
secoli in epoca di «fine della Storia», cioè in assenza di ogni
guerra civile o esterna (in seguito alla liquidazione del
―feudalesimo‖ ad opera del plebeo Hideyoshi e
all‘isolamento artificiale del paese concepito e realizzato dal
suo nobile successore Yiyeasu). Ora, l‘esistenza dei nobili
giapponesi, che smisero di rischiare la vita (anche in duello)
senza per questo mettersi a lavorare, fu tutt‘altro che
animale.
La civiltà giapponese ―post-storica‖ ha imboccato vie
diametralmente opposte alla «via americana». Senza dubbio,
in Giappone non c‘è più stata Religione, Morale e Politica
nel senso ―europeo‖ o ―storico‖ di questi termini. Ma lo
snobismo allo stato puro vi creò discipline negatrici del fato
―naturale‖ o ―animale‖ che superarono per efficacia, di gran
lunga quelle che, in Giappone o altrove, nascevano
dall‘Azione ―storica‖, cioè dalle lotte di guerra e rivoluzione
o dal Lavoro forzato. Certo, i vertici (in nessun luogo
eguagliati) dello snobismo specificamente giapponese, che
sono il Teatro Nô, la cerimonia del tè e l‘arte delle
composizioni floreali, furono e restano ancora appannaggio
esclusivo delle perone nobili e ricche. Ma, a dispetto delle
persistenti ineguaglianze economiche e sociali, tutti i
Giapponesi, senza eccezione, sono attualmente in gradi di
vivere in funzione di valori totalmente formalizzati, cioè
completamente privi di qualsiasi contenuto ―umano‖, nel
senso di ―storico‖. Così, al limite, ogni Giapponese è, in
linea di principio e per puro snobismo, capace di mettere in
atto un suicidio perfettamente ―gratuiti‖ (potendo la classica
spada del samurai essere sostituita da un aereo e da un
siluro), che non ha niente a che vedere con il rischio della
vita in una lotta condotta in funzione dei valori ―storici‖ dal
92
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
contenuto sociale o politico. Ciò sembra autorizzare a
credere che l‘interazione recentemente avviata in Giappone
e il Mondo occidentale sfocerà, in fin dei conti, non in
nuovo imbarbarimento dei Giapponesi, bensì in una
―giapponesizzazione‖ degli Occidentali (Russi compresi).
Ora, visto che nessun animale può essere snob, ogni periodo
post-storico ―giapponesizzato‖ sarebbe specificamente
umano. Non ci sarebbe dunque un «annientamento
definitivo dell‘Uomo propriamente detto» fintanto che ci
saranno animali della specie Homo sapiens che possono fare
da supporto ―naturale‖ a ciò che vi è di umano negli uomini.
Ma, come dicevo sopra, nella Nota, un «animale che è in
accordo con la Natura o con l‘essere dato» è un essere
vivente che non ha niente di umano. Per rimanere umano,
l‘Uomo deve rimanere un «Soggetto opposto all‘Oggetto»,
anche se scomparissero «l‘Azione negatrice del dato e
l‘Errore». Ciò significa che, pur parlando ormai in maniera
adeguata di tutto quanto gli è dato, l‘Uomo post-storico deve
continuare a staccare le ―forme‖ dai loro ―contenuti‖,
facendolo non più per tras-formare attivamente questi ultimi,
bensì allo scopo di opporre se stesso, come ―forma pura‖, a
sé e agli altri, considerati come ―contenuti‖ qualsiasi. (A.
Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel)
33
Il tema della post-storia ha con questo il suo filo
conduttore. Che l‘Uomo scompaia alla fine della storia
(―l‘Uomo‖ caratterizzato hegelianamente da Azione e
Negatività), si mostra nello scemare di guerre e sanguinose
rivoluzioni. Non v‘è nemmeno più bisogni di filosofia, non
appena l‘uomo cessi di mutare nella sua essenza. Stabile
però e infinitamente duraturo rimane ciò che rende
―felice‖ l‘uomo. Arte, amore, gioco, ecc.. la fine della
storia, di cui Hegel nell‘interpretazione di Kojève parla
come cifra, svela il suo sguardo meduseo nella prospettiva
33
Nell‘edizione italiana questa parte della Nota occupa le pp. 541-544.
[Ndc]
93
Transmoderno. Un nuovo paradigma
di Nietzsche dell‘«ultimo Uomo», che ha trovato la felicità.
Hegel e Nietzsche, sotto questo profilo, appartengono
entrambi alla post-storia. Kojève, nella prima edizione
(1948), muove dal fatto che è stata raggiunta la fine della
storia hegeliano-marxista. La battaglia di Jena conclude —
come si ricava dalla Fenomenologia dello spirito di Hegel
— lo sviluppo filosofico e storico. Ciò che era da pensare è
stato pensato, ciò che ora viene, accade senza storia: la
universalizzazione e stabilizzazione del potenziale
rivoluzionario dopo Napoleone. L‘eterno presente dello
stile americano è congruente con la fase finale del
comunismo: l‘uomo è ritornato con ciò all‘animalità. È
solo questione di tempo la completa americanizzazione
del mondo, così che il presente stato delle cose diventi
ubiquitario.
Kojève modifica il suo concetto di post-storia (1955) in
seguito a un viaggio di Giappone, che gli mostra un‘altra
via alla post-storia: lì la nobiltà rinuncia la rischio della vita
e al lavoro, senza tuttavia divenire animalesca. Essa coltiva
il suo puro snobismo. Invece di rischiare la vita nella lotta,
l‘hanno elevata a cerimoniale, cosicché ciascuno nella
propria posizione «è in grado di vivere secondo valori
totalmente formalizzati, cioè completamente privi di
qualsiasi contenuto umano, cioè ―storico‖». Così si dà per
Kojève una possibilità dell‘esistenza nella post-storia
esattamente opposta allo stile americano: invece della rianimalizzazione, un‘apoteosi conclusiva dell‘ultima forma
storica, senza contenuto, un‘affermazione dell‘apparenza
rimasta della storia e della verità senza sensi di colpa,
un‘estetizzazione senza riguardi.
Per quanto riguarda la potenza dell‘apparire, la catena
dello sviluppo europeo non è meno avventurosa. Dal
XVIII secolo l‘―estetica‖ ha preso posto nel canone della
filosofia. Cosa è accaduto? Odo Marquard ha legato la
94
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Critica del Giudizio di Kant alla svolta on direzione
dell‘estetica. La scienza, nel senso delle scienze della
natura, dischiude il mondo come regno dei mezzi e lo
manca come intero. E anche la ragione morale si mostra
nel suo formalismo come impotente, cioè senza potenza
di realizzazione. Così Kant — «alla ricerca di una ragione
salvatrice e potente» (O. Marquard, Kant und die Wende
zur Ästhetik, in ―Zeitschrift für philosophische
Forschung‖, n. 16, 1962) — si rivolge all‘estetica. In essa
una sensibilità razionale ha lo scopo di rendere accessibile
una natura razionale oltre l‘esattezza scientifica. Certo
anche nell‘estetica non è questione di una potenza di
realizzazione degli scopi della ragione, ma della potenza
della simbolizzazione. Del Bello come simbolo della
moralità riferisce il § 59 della Critica del Giudizio.
Il Giudizio, dice Kant, è una ―facoltà‖ «con cui cogliamo la
Natura»: il libero gioco dell‘immaginazione investe la
Natura di finalità (§ 58). Così le superiori facoltà
conoscitive, libertà (immaginazione) e legalità (intelletto)
concordano; il giusto guarda in direzione di un
intelligibile. L‘essere buono non viene (esteticamente)
realizzato, ma simbolizzato. Così Kant, se ancora non
compie la sostituzione romantica della storia e della
filosofia attraverso l‘estetica, la rende però possibile. «Il
Bello come simbolo della morale è uno stimolante della
realizzazione o un sedativo somministrato in conseguenza
della sua inutilità» (Marquard, Op. cit., p. 370).
La funzione della sintesi estetica elaborata nella Critica del
Giudizio è indispensabile per il processo di estetizzazione
della verità, che sfocia nella post-storia. La concezione del
mondo come immagine [Welt als Bild], analizzata da
Heidegger nell‘omonimo saggio, funge da condizione di
possibilità della presente congiuntura dell‘estetica.
95
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Non è qui in questione — come si potrebbe pensare —
un‘immagine del mondo (nel senso di un modello ecc.)
ma il fatto che il mondo viene presentato come immagine
e viene riferito a un soggetto che è sostrato. (Su questo ci
diffonderemo in seguito). Il nichilismo è per così dire
l‘immagine rovesciata dell‘estetizzazione della verità. È lo
scavare e svuotare l‘accadere storico: accade infinitamente
molto, ma ciò che accade non accade veramente, o tutto
accade solo ancora «come se». La storia ottiene questo
carisma del «come se» interamente nella post-storia. La
post-storia sta dunque per principio, come mondo dei puri
problemi di forma, nel segno dell‘estetica.
Con la frase che il mondo sarebbe giustificato solo come
fenomeno estetico Nietzsche segna il punto zero della
teodicea. Il suo concetto affermativo dell‘apparenza è
fondamentale per l‘estetica della post-storia, e noi
vorremmo determinare la differenza rispetto a Hegel.
Hegel determina il bello artistico come presenza della
«spiritualità e libertà»; esso prende parte al vero, cioè
all‘altezza dello Spirito. Tuttavia al contrario della gravità
degli interessi sostanziali, l‘arte è l‘alleggerimento
[Remission] dello Spirito. «Il Bello ha la sua vita
nell‘apparenza». Ben distinta dalla serietà della vita la ibera
arte bella ha è per così dire un modo di esprimere il
divino, e di conseguenza l‘apparenza dell‘arte non è ciò
che non deve essere. Contemporaneamente la «vera
verità» è oltre l‘empirico che è perciò considerato come
«semplice apparenza». L‘arte toglie infatti l‘illusoria
apparenza del transitorio dal vero e gli conferisce una
«innata verità». L‘arte distrugge l‘inganno dell‘empiria, la
sua instabile apparenza (Hegel parla della dura scorza del
mondo comune). L‘apparenza dell‘arte è più spirituale:
essa stessa si dà come ingannevole, in quanto essa
«…attraverso di sé accenna uno spirito». In Nietzsche e
96
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Benn, al contrario, lo Spirito non è che costruzione
dell‘apparenza.
È noto che per Hegel il fatto dell‘estetica è testimonianza
della morte dell‘arte. L‘assoluto della verità cristiana non è
più esteticamente rappresentabile: così per la riflessione
moderna esiste solo una possibile «vera dimostrazione»
dell‘arte: l‘estetica. Essa è estetica spirituale nel semplice
senso che gli «interessi spirituali» «stabiliscono determinati
punti fermi» per il contenuto dell‘arte (Estetica,
Introduzione I): proprio quelli che mancano nell‘artisticità
della post-storia, perché nel «mondo dell‘espressione» non
ci sono «punti fermi».
Ben diversamente stanno le cose in Nietzsche.
L‘apparenza, che fonda ogni conoscenza e che il
fenomeno dell‘onestà scientifica disvela fino alla nausea, è
contemporaneamente il puro medium dell‘estetico ed è
con ciò fonte di piacere. La vita è sopportabile solo se
poeticizzata; la volontà di apparire fa dell‘esistenza un
fenomeno estetico, essa colloca infatti l‘ente in una
distanza estetica dall‘esistere.
Olimpo dell‘apparenza è l‘artisticità assoluta, la pura e anti
ideologica tecnica estetica, l‘arte della parola di un
Flaubert. Quest‘arte della post-storia è tattile. Essa
percepisce semplici qualità della superficie. La pura
apparenza è l‘ultima trascendenza. La sostanza si esaurisce
nel cangiare della pura espressione, nello scintillare delle
irregolarità. Artisticità significa in Nietzsche che l‘arte ha se
stessa per contenuto. Essa scandaglia la profondità della
superficie: il raffinato, la sfumatura, il mondo espressivo
(di contro a interiorità, morale). Il mondo nascosto del
soprasensibile viene superato dalla volontà di apparire, la
quale ha più valore che non la verità. Apparenza è il nome
delle cose irrobustite dalla forma a cui l‘artista presta le
97
Transmoderno. Un nuovo paradigma
forze della propria esaltazione. In altre parole: il valore
dell‘apparenza si fonda sulla forma, e i valori formali
dell‘apparenza sono più elevati che non quelli
dell‘empiria.
Olimpo dell‘apparenza è la scena anticristiana dalla quale
è stata allontanata la morale e sulla quale compare il
Superuomo. Egli ride olimpicamente della sofferenza
empirica: Nietzsche parla del «cannibalismo ideale degli
dèi» (Aurora, II, § 144). L‘estetizzazione dell‘esistente:
trasfigura tutto ciò nell‘immagine di un‘«esistenza
trionfante» che, come «mondo artistico di mezzo», si
distende sugli orrori dell‘esistenza (La nascita della
tragedia, 3, «Rispecchiamento della bellezza»). Così il
piacere dell‘apparenza rompe il dolore dell‘Essere. Dove
l‘uomo storico parlava di verità e falsità, Nietzsche vede
solo ancora «stadi dell‘apparenza», gradazioni di sfumature
della superficie della vita. Unità di misura dei «gradi
dell‘apparenza» sono i valori che l‘interpretazione vi
riconosce (Al di là del bene e del male, § 34; La volontà di
potenza, § 588).
Il piacere virtuale dell‘apparire — i cui più alti valori sono
superficie, pieghe, pelle, forme, suoni, sfumature, parole —
liberano dall‘istinto di morte della conoscenza che cerca
profondità, accuratezza, perfino sacrificio umano. Il culto
artistico della superficie è la figura di una precisa reazione
al timore che il pessimismo della post-storia ha ispirato. Il
culto di pure forme in cui la vota perde la propria
pesantezza significa perseguire una «volontà di inversione
della verità» (Al di là del bene e del male, § 59). Che cosa
significa ciò per una concezione critica della ―post-storia‖?
Ideologema dell‘opposizione neoconservatrice, da
Gehelen a Daniel Bell, questo termine si pone in
concorrenza con la differenziazione marxista tra preistoria
e storia e penetra più profondamente nel presente di
98
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
quanto possa a prima vista sembrare. Mentre ―moderno‖
esprime la coscienza di un‘epoca che si pone in relazione
con il passato dell‘antichità, e che da questo si distacca
prima in ragione del cristianesimo (con Tertulliano), poi in
aestheticis con il XVII secolo (H. R. Jauss ha interpretato
in modo esemplare la storia del vocabolo ―moderno‖ in
nesso con la Querelle des ancien set des modernes), il
concetto di ―post-storia‖ oltrepassa la distinzione anticomoderno, che concepisce invece entro l‘unità dell‘epoca
―storica‖, da cui si scosta.
Tuttavia ―post-storia‖ è in un senso eminente concetto
postmoderno, presuppone la Modernità. Come la storia
viene presupposta, per trarre da essa conclusioni che
rafforzano la sua fine, la post-storia ha il suo genuino
―luogo‖ dopo la Modernità. Il saggio di Heidegger
L‘epoca dell‘immagine del mondo è a questo proposito
istruttivo. La Modernità significa concepire il mondo come
―immagine‖:
Col termine ―immagine‖ si intende in primo luogo la
riproduzione di qualcosa. Di conseguenza, l‘immagine del
mondo sarebbe, per così dire, una pittura dell‘ente nel suo
insieme. Ma ―immagine del mondo‖ significa qualcosa di
più. Con essa intendiamo il mondo stesso, l‘ente nella sua
totalità così come ci impone nei suoi condizionamenti e
nelle sue misure. ―Immagine‖ non significa qui qualcosa
come imitazione, ma ciò che è implicito nell‘espressione:
aver un‘idea [Bild] fissa (fissarsi) di qualcosa. Il che significa:
la cosa sta così come noi la vediamo. Aver un‘idea
[immagine] fissa di qualcosa significa: porre innanzi a sé
l‘ente stesso così come viene a costituirsi per noi e
mantenerlo costantemente così come è stato posto. Manca
però ancora all‘immagine una determinazione essenziale.
«Farsi un‘idea fissa di qualcosa» non significa soltanto
rappresentarsi in generale l‘ente ma anche porlo innanzi a
noi come sistema, cioè nell‘unità di ciò che è proprio di esso
99
Transmoderno. Un nuovo paradigma
e si raccoglie in esso. L‘espressione: «aver un‘idea fissa di
qualcosa» significa anche: essere al corrente, esser pronto
per, orientarsi nella cosa. Quando il mondo diviene
immagine, l‘ente nel suo insieme è assunto come ciò in cui
l‘uomo si orienta, e quindi come ciò che egli vuol portare
innanzi a sé e avere innanzi a sé; e quindi, in un senso
decisivo, come ciò che vuol porre innanzi a sé [vor-stellen],
rappresentarsi. Immagine del mondo, in senso essenziale,
significa quindi non una raffigurazione del mondo, ma il
mondo concepito come immagine. L‘ente nel suo insieme è
perciò visto in modo tale che diviene ente soltanto in quanto
è posto dall‘uomo che rappresenta e produce [her-stellen]. Il
sorgere qualcosa come l‘immagine del mondo fa tutt‘uno
con una decisione essenziale intorno all‘ente nel suo
insieme. L‘essere dell‘ente è cercato e rintracciato nell‘esserrappresentato dell‘ente.
Ma quando l‘ente non è interpretato a questo modo, il
mondo non può divenire immagine e non è quindi possibile
parlare di un‘immagine del mondo. Che l‘ente sia fatto
consistere nel suo esser-rappresentato è cosa che dà un
carattere di assoluta novità all‘epoca in cui ciò avviene. Le
espressioni «immagine del mondo» e «immagine moderna
del mondo» esprimono, in forme diverse, la medesima cosa,
e alludono ad alcunché di impensabile nelle epoche
precedenti (ad esempio, un‘―immagine del mondo‖
medievale o antica). Non è che l‘immagine del mondo da
medievale che era divenga moderna; ma è il costituirsi del
mondo a immagine ciò che distingue e caratterizza il Mondo
Moderno. Per il Medioevo, invece, l‘ente è ens creatum, il
frutto dell‘azione creatrice personale di Dio inteso come
causa prima e suprema. Esser-ente significa allora:
appartenere a un certo grado dell‘ordine del creato e
corrispondere, come causato, alla causa creatrice (analogia
entis). Ma in nessun caso l‘essere dell‘ente consiste nel fatto
d‘esser posto innanzi all‘uomo come alcunché di oggettivo,
di rientrare nel dominio dei suoi decreti e dei suoi
100
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
ordinamenti, sussistendo come tale.
34
Dove ciò viene a cessare, dove cioè la posizione dell‘uomo
come soggetto di un mondo si dissolve, si giunge alla
preponderanza dell‘apparire come parvenza [Schein].
Estetizzazione è dunque un processo che si avvia con
l‘«epoca moderna» e che nella post-storia si compie nel
simulacro estetico dei conflitti sociali e delle dispute
filosofiche. La storia come storia del mondo e storia della
verità diviene un «come se».
(Traduzione di Alberta Battisti)
(*) Il testo qui presentato, «Ästhetisierung der Warheit im
Posthistorie», è tratto da Streitbare Philosophie. Margherita von
Brentano zum 65. Geburstag, a cura di G. Althus — I. Staeuble,
Metropol, Berlin 1988, pp. 41-51.
34
Per questo testo di Heidegger è stata utilizzata la traduzione di Pietro
Chiodi: M. Heidegger, «L‘epoca dell‘immagine del mondo», in
Sentieri interrotti, trad. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1985,
pp. 68-69. [Ndc].
101
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Von Balthasar come transmoderno
Scritti recenti di estetica teologica
di Dutton Kearney
La trilogia interdisciplinare di Hans Urs von Batlthasar —
La Gloria del Signore: un‘estetica teologica — è stato un
evento spartiacque nel ventesimo secolo per le discipline
di teologia, filosofia e estetica. Sicuramente potremmo
menzionare altre discipline provenienti da questi studi,
ma per il presente compito, queste tre sono sufficienti. I
lavori di Von Balthasar si sono ora addentrati nella loro
seconda fase di ricezione — la prima è stata la traduzione
seguita da riassunti introduttivi — e sempre più studiosi
cercano di applicare la sua cornice teoretica al compito
attuale di fare teologia, filosofia o estetica. Sebbene per la
terza fase — critica e correttiva — ci vorrà ancora qualche
decennio prima che venga realizzata interamente si stanno
tuttavia sviluppando alcune iniziative anticipatrici a tal
proposito. Queste tre fasi possono servire come principi
organizzativi per esaminare tre recenti lavori in estetica. In
ciascuno, Von Balthasar mette bene in mostra o la
componente integrale allo sviluppo di una particolare tesi,
o il punto di partenza.
Il background teologico dell‘arcivescovo Bruno Forte
permette un acuto commento sull‘estetica, e il suo ―La
porta della bellezza: per un‘estetica teologica‖ — che è in
102
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
parte introduttiva ed in parte applicativa — fonda un
solido ed importante lavoro di base per un‘ulteriore
riflessione. I primi sei capitoli si occupano di singoli
pensatori (Agostino, l‘Aquinate, Kierkegaard, Dostoevskij,
von Balthasar e Evdokimov), invece i restanti tre offrono
riflessioni sulla musica, sul cinema e sulla poesia. È una
solida introduzione ai differenti approcci alla bellezza da
un contesto teologico e in quanto tale non discute
dell‘estetica in astratto, ne' tantomeno discute dell‘estetica
esclusivamente dalla prospettiva limitata di una particolare
disciplina, come la filosofia e la letteratura. Sebbene ogni
capitolo consti di circa dodici pagine vi è in esse, una
sorprendente profondità che molti scrittori non riescono a
raggiungere nemmeno nel doppio delle pagine. Eppure il
testo si autolimita ad una serie di introduzioni, che
rendono ragione del suo sottotitolo: infatti, si addentra
all‘interno di una teologia dei vari tipi di estetica piuttosto
che in una presentazione completa di uno di essi.
Il proposito dichiarato di Forte è ―esaminare il profondo,
sebbene non sempre ovvio, contributo del pensiero
teologico alla comprensione ed all‘esperienza della
bellezza‖ (tav. VIII). Per lui, la bellezza è come una
sineddoche: l‘intero è comunicato attraverso la parte. Per
esempio, la totalità dell‘amore di dio è comunicato
attraverso la croce; l‘infinito è rivelato attraverso la
finitezza. Il suo compendio non intende essere un
sondaggio di teologia o di qualche estetica, piuttosto gli
acuti capitoli si concentrano su specifici pensatori.
Sebbene egli tragga da Von Balthasar un solo capitolo, il
suo progetto di rinvigorire la relazione tra la teologia e
103
Transmoderno. Un nuovo paradigma
l'estetica anima buona parte del libro di Forte. Nel suo
capitolo iniziale, quest‘ultimo guarda a due pensatori che
svettano sulla teologia medievale: Agostino e l‘Aquinate.
Forte interpreta Agostino come un teologo che passa la
sua intera vita andando dietro alla relazione fra Dio e la
bellezza e, riportandone un passaggio molto familiare
tratto dalle Confessioni — Sero te amavi, pulchritude tam
antique et tam nova‖ (Libro. 10, Cap. 27) [―Tardi ti ho
amato, Oh bellezza tanto antica e tanto nuova‖] — Forte
esplora le implicazioni nel definire Dio come bellezza. Se
la bellezza attira l‘amore, e se Dio è amore al pari della
bellezza, possiamo dunque facilmente comprendere
perché siamo attratti dalla bellezza — la nostra risposta
soggettiva al piacere è causata dalla presenza oggettiva della
bellezza. Nell‘applicare questo schema di sineddoche,
Forte mostra come Agostino descriva le qualità della
bellezza in riferimento alla loro origine, Dio. Perciò, un
oggetto bello è in armonia con sé, e di conseguenza in
armonia con l‘intero. Nel suo capitolo sull‘Aquinate,
Forte si appoggia su Jacques Maritain e Umberto Eco, in
aggiunta alla descrizione tripartita di integrità, proporzione
e radiosità che è molto familiare ai lettori di questa rivista.
Forte aggiunge alla discussione dell‘Aquinate sull‘analogia
e la verità: quando rispondiamo alla bellezza capiamo fino
in fondo l‘oggetto per come è (come opposto a come
vorremo che sia) e l‘intero è portato al frammento
attraverso l‘atto dell‘ideazione. Forte contrasta
il
personalismo di Agostino con il razionalismo
dell‘Aquinate, arrivando a un terreno comune ai due
pensatori.
104
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Ognuno dei primi sei capitoli segue una traiettoria simile.
Nelle sue discussioni a proposito di Dostoevkij, Forte
identifica le varie minacce alla bellezza, la più dannosa è il
nichilismo. Nel focus del romanziere sul Venerdì Santo —
le immagini della violenza nelle opera — Dostoevskij
mostra che il solo cammino verso Dio è attraverso la
croce. Dal momento che la bellezza non può manifestarsi
in questo mondo senza una scelta consapevole, i
personaggi di Dostoevskij sono dotati della libertà di
scelta tra nichilismo e redenzione poiché ―la via della
croce rimarrà sempre la via verso la libertà e la bellezza‖
(p. 51). La perdita di Dio nel modernismo si è verificata
attraverso una perdita del senso della bellezza. Nel
capitolo seguente Kierkegaard è descritto come una figura
transitoria che conduce a von Balthasar, il quale, inerendo
a questa tradizione di sineddoche, scrive la sua trilogia
sull‘idea che il tutto si riveli attraverso la parte. La
bellezza, per von Balthassar, è il più importante dei
trascendentali perché senza questa, la verità e il bene
scompaiono. Il capitolo su Paul Evdokimov esamina il
ruolo della cristianità orientale e della bellezza che è
rivelata attraverso le icone, che, ancora una volta, sono
una forma della sineddoche divina. I tre capitoli
conclusivi del libro speculano sulla musica, sul cinema e
sulla poesia. Ancora una volta, dal momento che egli
scrive per ampie pennellate, conduce i lettori solo alla
soglia dell‘applicabilità delle sue tesi piuttosto che alla
loro effettiva messa in pratica. Tuttavia, per un libro
sottotitolato Per un‘estetica teologica, i lettori non
dovrebbero sentirsi delusi dall‘esser condotti sulla soglia e
lì abbandonati (ad esempio, il capitolo sulla poesia
105
Transmoderno. Un nuovo paradigma
fornisce un poema senza commentarlo) piuttosto,
dovrebbero considerare il libro come un‘opportunità per
un ulteriore sviluppo. Dal momento che si tratta di una
introduzione riflessiva all‘estetica teologica,questa è una
buona panoramica.
*
La seconda fase della ricezione del lavoro di von
Balthasar si basa sull‘applicabilità di queste sue tesi, e
sarebbe abbastanza difficile trovare un teorico critico
migliore di Michael P. Murphy. Il suo Una teologia del
criticismo: Balthasar, postmodernismo e l‘immaginazione
cattolica rappresenta un vero sviluppo nell‘applicare
l‘estetica teologica al criticismo letterario. Ci sono stati
recenti studi sulla cosiddetta ―Immaginazione cattolica‖
ma davvero pochi di questi lavori trascendono il loro
contesto sociologico al fine di presentare sistematicamente
i loro risultati. Il libro di Murphy è una ricca spiegazione
interdisciplinare della trilogia, che posiziona il pensiero di
von Balthasar non solo nel suo contesto storico e in
quello teologico, ma lo esamina anche alla luce del
postmodernismo. Murphy possiede pienamente il
vocabolario del criticismo letterario postmoderno, e ciò
che rende il suo lavoro così incisivo è la sua insistenza
sull‘applicabilità
della cornice concettuale del
postmodernismo a von Balthasar, nel mentre rispettando
e sostenendo in generale le proposizioni di von Balthasar.
Il dialogo fra una disciplina che attacca la reale esistenza
del significato e un teologo che afferma che tutto il
significato è mediato attraverso la croce è un dialogo
106
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
interessante. Dopo aver stabilito il contesto storico e
quello metodologico del suo studio, Murphy applica in un
secondo momento l‘approccio di von Balthasar alla
letteratura (―Rivelazione‖ di Flannery O‘Connor e ―La
terapia‖ di David Lodge) e al film (―Le onde del destino‖
di Lars von Trier). Il risultato è un notevole tour de force
per i teologi, per i critici letterari e allo stesso modo per i
postmodernisti.
Murphy inizia il suo studio trovando l‘intersezione fra la
teologia e la letteratura narrativa. Nel suo capitolo iniziale
(una convincente apologia del criticismo religioso) intende
definire l‘inciso ―immaginazione cattolica‖. Come uno si
aspetterebbe dal titolo, egli ravvisa la definizione più
affidabile nel lavoro di von Balthasar, facendo un uso
generoso del 15 volumi della sua trilogia al pari di tutti gli
altri lavori di von Balthasar. Inoltre, c‘è una scrupolosa
bibliografia, e molte fonti secondarie sono annotate nelle
note. La conseguente conversazione fra teologi, studiosi di
letteratura e filosofi ripropone consapevolmente la stessa
interdisciplinarità di von Balthasar (―il pluralismo
intellettuale‖), e dal momento che Murphy evita il gergo
letterario che offusca più che rivela, il suo lavoro può
avere un ampio interesse. Murphy dice che ―il principale
proposito di questo studio, poi, è di suggerire creative e
credibili opzioni per i critici religiosi‖ (p. 5). Sebbene le
definizioni di postmodernismo nell‘introduzione non
siano esaurienti, Murphy introduce più termini e metodi
postmoderni nel libro mentre spiega i testi.
Alcuni lettori potrebbero preferire il fatto che Murphy
107
Transmoderno. Un nuovo paradigma
separi i suoi capitoli sulla teologia e sulle analisi letterarie
piuttosto che usare la sua tecnica di frequenti sezioni di
squarci, ma il vantaggio per il suo metodo è che i lettori
possono vedere la conversazione continuativa tra le varie
discipline. In base a quel principio per cui la verità non
può contraddire la verità, Murphy cerca di trovare un
terreno comune fra la proposizione teologica che afferma
che la croce sia il centro e il compimento della storia
umana e le proposizioni postmoderne per le quali tutta la
storia è un costrutto di una struttura di potere che domina
sulle altre. Dal momento che il postmodernismo (e qui,
Murphy usa Derrida) rifiuta la verità religiosa, Murphy
decide di seguire il postmodernismo come una sorta di
teologia negativa. La metodologia permette a Murphy il
lusso di collocare il tropo del postmodernismo al servizio
dell‘estetica teologica di von Balthasar.
Il secondo capitolo fornisce informazioni biografiche
intorno a von Balthasar nonché una sintesi dei punti
principali della sua trilogia. Murphy colloca l‘uso
balthasariano dell‘interdisciplinarietà nell‘Illuminismo,
che, naturalmente, rimanda all‘uso in parallelo che
Murphy fa della teologia e del postmodernismo.
Inoltre, egli arriva all‘importante affermazione per la
quale la spiritualità ignaziana ricopre un ruolo vitale nel
suo approccio al soggetto, non solo perché il gesuita
attivamente è impegnato nel modernismo, ma anche
perché gli Esercizi spirituali hanno aiutato la visione
intellettuale di von Balthasar nella comprensione del
significato dell‘estetica per l‘identificazione e la visione
108
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
della croce come il centro della storia umana. Questo
capitolo non spiega l‘estetica di von Balthasar (altri studi
sono già stati compiuti al primo momento della
ricezione), piuttosto presenta tre temi che Murphy ritiene
essenziali nell‘opera di von Balthasar; concentricità
(rivisitare lo stesso tema attraverso differenti prospettive),
musica e pluralismo stilistico. Ciò che spiega la singolarità
dell‘approccio di Murphy è il suo (scilicet: di von
Balthasar — ndt) insistere simultaneamente sull‘indagine
teologica e su quella estetica; l‘errore derivante da questo
modo di procedere ha condotto a molti lavori incompleti
sull‘immaginazione cattolica.
Il capitolo tre (intitolato ―Composizioni sacre‖) contiene
una discussione della lettura gerarchica e teologica del
piccolo romanzo di Flannery O‘Connor ―Rivelazione‖. Il
postmodernismo — sia attraverso il nichilismo oppure
attraverso il relativismo — ha fanaticamente
fatto
collassare tutte le qualità della giustizia naturale (le basi
per le gerarchie) in egemonie create dalla volontà di
potere. Murphy esamina il trascendentale della bellezza
alla luce della Intuizione creativa nell‘arte e nella poesia di
Maritain e la divisione tripartita della bellezza in integrità,
proporzione e radiosità, tessendo nel contempo le
interpretazioni di Pablo Neruda, Walker Percy, William
Everson, e Flannery O‘Connor.
È riuscito ad integrare sufficientemente le due discipline
della teologia e della critica letteraria nella sua
metodologia, e i lettori sono invitati a visualizzare il
processo come qualcosa tipo un direttore che guida
109
Transmoderno. Un nuovo paradigma
un‘orchestra. La sua lettura del breve romanzo di
O‘Connor ―Rivelazione‖ è intuitiva, andando e
combaciare con la discussione teologica dell‘Aquinate e di
von Balthasar.
Il capitolo quattro esamina l'estetica teologica nel cinema.
Qui Murphy accoglie la struttura del quinto volume di
von Balthasar Teo-dramma come una guida sicura per
interpretare le arti drammatiche. Permettendo noi stessi
di esser condotti da Dio sul palco delle nostre vite,
partecipiamo a un dramma dialettico con Dio. Dal
momento che la dialettica è fresca e nuova per ogni
persona — eppure è lo stesso Dio ad iniziarla — c‘è una
intersoggettività con il teodramma, così come
un'indeterminatezza perché lo Spirito risponde
differentemente ad ogni persona. Murphy identifica
giustamente ―intersoggettività‖ e ―indeterminatezza‖ come
preoccupazioni del postmodernismo e usa questi termini
in uno sforzo di trasformare le categorie del criticismo
letterario. In un senso, Murphy colloca i moderni
postmodernisti nella ricontestualizzazione dei termini
letterari come categorie per fare estetica teologica, e lo fa
in modo che riconosce la complessità e il contributo del
postmodernismo. Per esempio, i modernisti dicono
spesso dell‘inscrizione: Uno è iscritto sopra l‘Altro.
Piuttosto che rinforzare l‘iscrizione come un‘espressione
di ricerca egemone del potere, Murphy indica
teologicamente l‘ovvio: nel teodramma, Dio, avendo
inscritto la sua immagine su di noi, ci richiama a sé. Non è
una manipolazione di strutture del potere, ma
un‘espressione di amore.
110
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Il capitolo si conclude con un‘ingegnosa lettura del lavoro
del regista Lars von Trier. Nella sua discussione di von
Trier, Murphy scrive circa l‘immaginazione cattolica
attraverso il linguaggio del postmodernismo. Le onde del
destino non è stato senza controversia quando è uscito.
Girato nella Scozia calvinista, il film ritrae una dialettica
fra le immaginazioni teologiche dei protestanti e dei
cattolici, e l‘analisi di Murphy è davvero penetrante
quando esamina il film in questa chiave, specialmente
quando segnala i difetti nell‘immaginazione teologica
protestante. Il film inoltre consente una discussione ampia
della analogia entis, il punto più evidente della differenza
fra cattolici e protestanti. Prendendolo per intero, il
capitolo è acuto; tuttavia, la strategia retorica del
mescolare il background teologico con il criticismo
cinematografico non funziona tanto bene quanto accade
per la fiction — le interruzioni distolgono i lettori da una
comprensione del film. Forse se Murphy avesse dato ai
lettori un più dettagliato riassunto del film,
l‘organizzazione delle sottosezioni sarebbe stata più liscia,
ma è encomiabile per l‘inclusione nel suo lavoro.
Il capitolo finale è un‘estesa analisi di La terapia di David
Lodge. A questo punto, i lettori si sono abituati alla
metodologia di Murphy e si sentono a loro agio. Questo
capitolo si occupa del modo con cui le persone decidono
delle loro vite. Attraverso René Girard, Judith Butler,
Søren Kirkegaard (che Lodge esplicitamente evoca nel
romanzo), and Martin Buber, Murphy mostra come il
personaggio di Lodge Laurence Passmore si arrenda alla
111
Transmoderno. Un nuovo paradigma
cultura consumistica e abbracci — o piuttosto ―svolti‖
verso — il trascendente. Attraverso il capitolo Murphy
intreccia teologia, filosofia e critica letteraria,
ammirabilmente soddisfacente la sua precedente
intenzione per la quale l‘approccio interdisciplinare
simultaneo di von Balthasar sembra essere imitato da tutti
i critici e i teologi. Questo capitolo è forse il più integrato
con i cinque — dopo ogni digressione sul
postmodernismo, Murphy applica coscientemente quella
critica postmoderna al romanzo, sebbene con il fine di
von Balthasar.
La sua insistenza nell‘usare una terminologia
postmoderna in una cornice cristiana è uno dei principali
punti di forza del suo lavoro. Murphy rifiuta di ridurre le
argomentazioni e i fondamenti del postmodernismo a un
mero foraggio: nella sua apertura alla verità, ammette che
il bene e il vero (e dunque anche il bello) lavorino su di
lui. Uno può sperare che il processo sia reciproco con in
modernisti stessi.
*
La pienezza del terzo passaggio — il passaggio critico e
correttivo — della ricezione di von Balthasar è ancora nel
futuro, ma ci sono argomentazioni anticipatrici presenti in
L‘estetica teologica dopo von Balthasar, studi sviluppati a
partire dalle presentazioni a conferenze internazionali nel
2004 e nel 2006. Pubblicati da Oleg Bychkov e James
Fodor, la raccolta suggerisce molte proposte correttive
all‘estetica teologica di von Balthasar, le più rimarcabili
112
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
sono quelle che coinvolgono il suo percepito
fraintendimento delle tradizioni della teologia protestante
e dell‘estetica. Nella sua introduzione, Bychkov usa il
linguaggio della filosofia per parlare di estetica piuttosto
che di teologia come Forte, o di postmoderno come
Murphy. Dal momento che esistono differenti tradizioni
estetiche, c‘è un conseguente pluralismo — che i curatori
hanno incoraggiato — in questo volume che è assente in
Forte e Murphy. Così è nella natura delle conferenze
universitarie (sebbene i lettori potrebbero notare che
questo volume non è semplicemente il procedere di
conferenze, ma revisioni impegnate e presentazioni). Dal
momento che il libro è una raccolta di saggi, non c‘è una
singola linea narrativa, e mentre ogni singolo saggio offre
il suo punto di vista, c‘è una mancanza di interconnettivita'
che uno trova in una monografia. In aggiunta, c‘è una
sovrapposizione tra i tre libri qui recensiti: l‘Aquinate e
von Balthasar sono i soli pensatori che figurano
preminentemente in ognuno, e Alejandro Garcia-Rivera
ha un saggio su Bychkov; Garcia-Rivera è uno dei più
vicini lettori e consulenti di Murphy.
Il volume inoltre è ancora più dialogico rispetto agli altri
due, e certamente anche più critico di von Balthasar
piuttosto che di Forte o di Murphy. Per esempio, dove
von Balthasar divide gli orientamenti con l‘estetica
teologica protestante (come Murphy fa nella sua
discussione su Le onde del destino di von Triers), alcuni
saggi in questa raccolta sono alla ricerca di una
conciliazione tra le due tradizioni estetiche. Von Balthasar
interpreta l‘emozionato ancorarsi del protestantesimo alla
113
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Parola al di là dell‘analogia entis (l‘analogia dell‘essere), al
di là dell‘intelletto, come passività piuttosto che come
attività.
Inoltre, come uno si aspetterebbe con una dura enfasi sul
protestantesimo, l‘immaginazione cattolica è meno di una
preoccupazione. La speciale attenzione riservata alla
Riforma, Lutero, e alle tradizioni anglicane permette di
estendere le discussioni delle figure non solo in Forte o
Murphy, ma anche in Barth e Tillich.
La maggior parte dei saggi, tuttavia, si può dire che
vengano ispirati da von Balthasar. Per esempio c‘è il libro
di Ben Quash‘s ―Hans Urs von Balthasar ‗teatro del
mondo: l‘estetica della drammaturgia‖ che si concentra
sulla spiritualità teologica di Ignazio. Un altro saggio,
come quello di Richard Vilande-sau ―La bellezza della
Croce‖, combina von Balthasar, Tillich e le illustrazioni
come un mezzo per indicare le convergenze fra von
Balthasar, i sermoni, e la bellezza. Il libro di James Fodor
‗La bellezza straniera‘. Giudizio parabolico e il testimone
della fede esamina le parabole di Gesù alla luce di Stanley
Hauerwas, Iris Murdoch, Paul Ricoeur e vari epigoni di
von Balthasar. Bernadette Waterman Ward e James Kerr
presentano due eccellenti saggi sul trattamento di
Hopkins di von Balthasar; il primo si concentra su Scoto
in Hopkins, mentre l‘ultimo esamina il posto di Hopkins
nel canone dei poeti inglese. Ci sono anche alcuni saggi
che non menzionano per niente von Balthasar,
dedicandosi all‘estetica dei filosofi come Aristotele, Duns
Scoto. Altri contributi, come quello di Lee Barrett ―Von
114
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Balthasar e l‘estetica protestante‖, sono tesi a sottolineare i
limiti nella comprensione dell‘estetica protestante da parte
di von Balthasar. Il dialogo fra questi saggi è tanto
interessante quanto complesso.
Il poeta Charles Péguy una volta ha sottolineato che
l‘acqua sul fondo del pozzo era più nuova dell‘acqua in
cima al pozzo. La tradizione, per Péguy come per von
Balthasar, è un‘entità vivente, qualcosa di nuovo che deve
esser rivolto ad ogni età. L‘impatto dell‘encicopledica
oeuvre di von Balthasar sarà toccata per molti altri anni a
venire. L‘applicabilità della sua metodologia alle varie
discipline deve ancora esser esperita (ci si richiama al
1980 quando ogni lavoro letterario era sottoposto a una
lettura di decostruzione; è da farsi lo stesso augurio
attraverso le lenti di von Balthasar), e il compito è
entusiasmante per il futuro criticismo religioso. I critici
che vogliono ottenere una comprensione della storia della
teologia estetica farebbero bene a leggere Forte, e coloro
che sono interessati a farlo partendo da un contesto di
pluralismo religioso farebbero bene a leggere Bychkov e
Fodor. Tuttavia, coloro che vogliano fare il lavoro di
critici letterari troveranno sulle loro ginocchia il testo di
Murphy come la miglior preparazione. Lì, il lavoro
fondamentale del transmodernismo di von Balthasar è
stato fondato.
115
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Bibliografia
Oleg V. Bychkov and James Fodor (a cura di),
Theological Aesthetics after von Balthasar, Ashgate
Studies in Theology, Imagination and the Arts, eds.
Trevor Hart et al. Aldershot, England and Burlington
VT: Ashgate Pub-lishing Company, 2008.
Bruno Forte, The Portal of Beauty: Towards a Theology
of Aesthetics, Trans. David Glenday and Paul McPartlan.
Grand Rapids MI, William B. Eerd-mans Publishing
Company, 2008.
Michael P. Murphy, A Theology of Criticism: Balthasar,
Postmodernism, and the Catholic Imagination. American
Academy of Religion Academy Series, ed. Kimberly Rae
Connor. Oxford: Oxford University Press, 2008.
(Traduzione di Francesca Brencio)
116
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Il ritorno del paleolitico
di Peter Lamborn Wilson (Hakim Bey)
Ogni cultura (o comunque ogni cultura urbano-agricola)
coltiva due miti apparentemente contrastanti: il mito della
decadenza e il mito del progresso. René Guénon e i neotradizionalisti sostengono che nessuna cultura antica ha
mai creduto al progresso, ma naturalmente fingono,
perché loro stessi lo hanno perseguito.
Una versione del mito della decadenza nella cultura Indoeuropea è incentrato sull‘immagine dei metalli: oro,
argento, bronzo, ferro. Ma che dire del mito in cui Kronos
e i Titani vengono distrutti per far posto a Zeus e agli dèi
olimpici? — si tratta di una storia parallela a quella che di
Tiamat e Marduk, o a quella di Leviathan e Jah. In questi
miti del progresso, un originario pantheon ―femminile‖,
ctonio e caotico (terrestre o equoreo) è sostituito
(rovesciato) da un successivo, spiritualizzato e ordinato
pantheon celeste ―maschile‖. Non è questo un passo in
avanti nel tempo? E non hanno Buddhismo,
Cristianesimo e Islàm tutti proclamato di essere migliori
del paganesimo?
In realtà, naturalmente, sia i miti della decadenza sia quelli
del progresso, hanno lo scopo di esercitare un controllo,
di introdurre una società del controllo. Tutti e due
ammettono che prima del presente stato di cose
qualcos‘altro esistesse: un differente modo di fare società.
In entrambi i casi pare esserci qualcosa come una sorta di
117
Transmoderno. Un nuovo paradigma
―memoria genetica‖ [―race-memory‖ vision] del
Paleolitico, del grande, immutabile tempo della preistoria
dell‘umano. Nel caso della visione progressiva, quell‘età
primordiale è vista come un‘epoca di vasto disordine,
brutale e orrenda. Il XVIII secolo non ha scoperto questo
punto di vista, ma l‘ha trovato già espresso nella cultura
classica e in quella cristiana. Nell‘altro caso, quello della
decadenza, il primordiale è visto invece come momento
prezioso, innocente, numinoso, felice, più facile di quello
attuale, ma anche irrevocabilmente perduto, impossibile
da recuperare se non attraverso la morte.
Così, mentre per gli entusiasti fedeli adoratori dell‘ordine,
questo stesso si presenta come infinitamente più perfetto
di ogni caos originario, per i suoi insoddisfatti e potenziali
nemici, esso si presenta invece come qualcosa di crudele e
di oppressivo (―ferro‖), ma anche di fatalmente inevitabile
e sostanzialmente onnipotente.
In nessun caso i partigiani del mito dell‘Ordine
ammetteranno che ―Caos‖, o ―Età dell‘oro‖, potrebbe
esistere nel presente, o che esistono nel presente, qui e
ora, fattivamente, benché dissimulati dall‘illusoria totalità
della Società dell‘ordine. Noi però crediamo che il
―Paleolitico‖ (che non è né più né meno che un mito,
come il ―Caos‖ o l‘―Età dell‘oro‖) esista tuttora, come una
sorta di inconscio sociale. Riteniamo inoltre che l‘età
industriale stia volgendo al termine con l‘ultimo lasso della
neolitica ―rivoluzione agricola‖ e che anche le ultime
religioni dell‘Ordine stiano declinando e anche che tutto
questo ―materiale rimosso‖ tornerà in superficie. Cos‘altro
si potrebbe intendere quando parliamo di ―nomadismo
psichico‖35 e di ―scomparsa del sociale‖36?
35
Si tratta di un concetto che ricorre in Peter Lamborn Wilson, ripreso
tuttavia da autori come Gilles Deleuze e Félix Guattari (cfr. Id.,
118
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
La fine del Moderno non significa un ritorno al
Paleolitico, ma un ritorno del Paleolitico.
L‘antropologia post-classica (o post-accademica) ci ha
preparati per questo ritorno del rimosso: di recente si è
diffuso un sentire comune che spinge verso una ricomprensione della società di raccolta e di caccia. Le
grotte di Lascaux sono state scoperte proprio quando
andavano scoperte — nessun antico romano, nessun
cristiano medievale, nessun razionalista del XVIII secolo
le avrebbe mai trovate belle o significative. In queste grotte
(simbolo di una archeologia della coscienza) noi abbiamo
invece trovato gli artisti che li hanno creati, scoprendoli
come antenati e, anche, come noi stessi, vivi e presenti.
Una volta Paul Goodman37 ha definito l‘anarchismo come
Millepiani. Capitalismo e schizofrenia, trad. di G. Passerone,
36
37
Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1987. Segnatamente il
cap. XII, «Trattato di nomadologia: la macchina da guerra») e da
Jean-François Lyotard (cfr. Driftwork, ed. Roger McKeon, New
York 1984. Questo testo riproduce alcuni saggi apparsi in Dérive à
partir de Marx et Freud (trad. it. A partire da Marx e Freud,
Multhipla, 1979), e in Des Dispositifs Pulsionnels (Union Général
d‘Editions, Paris 1973). Si tratta di una pratica di lettura che
consiste nel prelevare concetti da un contesto (morale, religioso,
politico, etico, ecc.), lasciando a se stessi i sistemi sottoposti a questa
pratica di pirateria categoriale.
Sulla fine o morte o implosione del sociale si è trattenuto a lungo
Jean Baudrillard, in opere apparse tra la fine degli anni Settanta e
l‘inizio degli anni Ottanta. Si veda ad esempio, J. Baudrillard,
«L‘implosione del senso nei media e l‘implosione del sociale nelle
masse», ―aut aut‖, n. 169, 1979.
Paul Goodman è uno scrittore e pensatore americano. Fu ispiratore,
negli anni ‘50 e ‘60, della sinistra americana negli anni Sessanta.
Ricercatore universitario, specialista di storia americana popolare,
fu anche poeta, romanziere, drammaturgo, saggista e quel che si
dice un educatore anarchico. Appassionato di studi filosofici e
sociali, figura tra i fondatori della psicoterapia della Gestalt.
119
Transmoderno. Un nuovo paradigma
una sorta di ―conservatorismo neolitico‖. Definizione
spiritosa, ma non troppa accurata. L‘anarchismo (o,
almeno, l‘anarchismo ontologico) non simpatizza tanto
con gli agricoltori bifolchi, quanto piuttosto con le strutture
sociali non-autoritarie e con l‘economia pre-capitalistica
dei cacciatori e dei raccoglitori. Inoltre non possiamo
definire questa ‗simpatia‘ come ‗conservatrice‘. Un
aggettivo migliore, dal momento che abbiamo trovato le
nostre radici nel paleolitico (una sorta di eterno presente),
potrebbe essere ―radicale‖. Non vogliamo tornare alla
tecnologia materiale del passato (non abbiamo alcun
desiderio di proiettarci all‘indietro, verso l‘età della pietra),
piuttosto siamo per il ritorno di una tecnologia psichica
che abbiamo dimenticato di aver posseduto.
Il fatto che noi troviamo Lascaux bella significa che
Babilonia ha finalmente cominciato a disfarsi.
L‘anarchismo è probabilmente più un sintomo che una
causa di questo sfacimento. A dispetto delle nostre
immaginazioni utopiche, noi non sappiamo cosa
aspettarci. Ma, da ultimo, siamo almeno preparati per la
deriva verso l‘ignoto. Per noi questa è un‘avventura, non la
fine del mondo. Noi accogliamo volentieri il ritorno del
Caos, perché, con il pericolo che gli si avvolge intorno,
arriva, alla fine, una nuova possibilità creativa.
(Traduzione e note di Marco Baldino)
Nota
Il discorso di Hakim Bey (al secolo Peter Lamborn Wilson),
controverso personaggio dell‘ambiente anarchico newyorkese,
sembra giocare qui le tracce mnestico-collettive dell‘epoca
paleolitica, in cui l‘uomo era ancora un cacciatore e un
120
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
raccoglitore, contro le strutture posteriori del neolitico agricolo e
scambiatore: ‗libertà paleolitica‘ contro ‗conservatorismo
neolitico‘. L‘uomo contemporaneo (in linea con le visioni
circolari e spiraliformi del tradizionalismo) sarebbe così
testimone di una trasformazione che pone l‘aureo paleolitico
all‘orizzonte del declinante sistema capitalistico. La conoscenza
del passato sarebbe la sola via di accesso al presente e cercando
di comprendere il presente gli uomini sono costretti a rivivificare
il passato. L‘aspetto più interessante di questo discorso di
Hakim Bey sembra essere una certa convergenza (più suggestiva
che reale) con le teorie del post-storia: il ritorno del paleolitico
eterno, cioè senza tempo, senza tempo storico per essere precisi,
non come una catastrofe e nemmeno come ritorno all‘età della
pietra, ma come ritorno di certe strutture psichiche che l‘avvento
del capitalismo neolitico prima e dell‘età industriale poi, aveva
rimosso. [mb]
121
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Il Truman/Berlusconi Show
[A proposito di un libro di Fulvio Carmagnola e
Matteo Bonazzi]*
di Giacomo Conserva
Da un gruppo di ricerca milanese sull‘immaginario
contemporaneo (che ha già prodotto un volume su ―Il
fantasma‖) è uscito qualche mese fa, Il fantasma della
libertà. Inconscio e politica al tempo di Berlusconi
(Mimesis, 2011) — risale a un tempo che sembra ere
distanti da quello attuale (così trapassano le fortune del
mondo): Berlusconi corrotto e trionfale (e trionfante); sua
coalizione salda; alto livello di consensi ai sondaggi;
nessuna crisi economico-finanziaria mondiale in corso/alle
porte. Anche nessuna nuova guerra: l‘intervento in Libia
non era ancora cominciato.
Il quadro disegnato è affascinante:
giochi/maestro del godimento che
l‘immaginario degli italiani, che a sua
massivamente su di lui; il suo ghigno, i
stile
sono
segni
distintivi
identificazione/proiezione.
un maestro dei
tiene in pugno
volta si concentra
suoi eccessi, il suo
di
questa
Come nel Truman Show38, si vive in una realtà falsa ma
totalmente vera, tecnologicamente manipolata ma
38
Per il Truman Show (Peter Weir, 1998) vedi L‘International Movie
Database, in rete, o Wikipedia.
122
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
assolutamente spontanea. Pensare alternative è futile — lo
stesso pensiero di ciò è compromesso dalle strutture
profonde che sono in atto in ciascuno, anche negli
oppositori.
Raffinati strumenti concettuali vengono messi in atto dagli
autori per analizzare la situazione (una volta scartate come
assolutamente banali spiegazioni che facciano risalire
l‘incantesimo in atto al puro bombardamento dei media,
controllati da uno solo): è uno stile di godimento che è in
campo, come già in altri termini Wilhelm Reich e la
scuola di Francoforte avevano teorizzato a proposito della
Germania nazista: solo che mentre là ai tedeschi veniva
proposto dal nazionalsocialismo un modello a venire di
società da costruire, di valori da realizzare (l‘Impero
millenario) qui tutto è fermato su un eterno presente in cui
non esiste storia o conflitto, ma solo superficiali
composizioni o ricomposizioni in un reality che continua
per sempre, un reality il cui ultimo collante è appunto Lui.
— Finiti i tempi dello scambio comunicativo razionale,
della ragione illuministica, della politica in quanto difficile
elaborazione collettiva di scelte — siamo nel regno del
puro arbitrio (di B.), ogni volta eternizzato.
L‘unica speranza che viene intravista per spezzare il
cerchio incantato è di capire il proprio coinvolgimento in
esso (che è inevitabile), vederlo, traversarlo, e attendere un
evento che possa (come le insurrezioni in Tunisia ed
Egitto, espressamente nominate dagli autori) irrompere
imprevisto e assieme (retroattivamente) del tutto
inevitabile, e portare a un novum.
Questo riassunto, che ha cercato di essere fedele, fa poca
giustizia alla ricchezza di intuizioni del testo; in particolare,
vorrei ricordare a) l‘uso della ricerca di Agamben sul
concetto di sovranità (‗gloria‘); b) di Lacan e Žižek — sul
123
Transmoderno. Un nuovo paradigma
supplemento mostruoso e osceno del Potere, sul
godimento dei sottoposti, sul riflettersi di parti
frammentate del loro inconscio sulla ugualmente
frammentata figura del leader; c) il concetto di maestro dei
giochi/del godimento, che ha dimensioni iperboliche,
dickiane, con un che di perverso ben al di là dell‘iperreale
delle simulazioni alla Baudrillard.39
Due o tre osservazioni:
1) c‘è in questo libro l‘ingresso di qualcosa in Italia inedito
o quasi, che si situa al di là delle analisi marxiste (o freudomarxiste) tradizionali, o del discorso post-modern,
‗francese‘: è appunto l‘irruzione di Lacan/Žižek (che
corrisponde a quanto, a livello internazionale, ha
determinato una rinascita lacaniana e una ‗sinistra
lacaniana‘) — qualcosa in grado di misurarsi con lo
squallore/orrore del dominio totale del capitalismo post1989, e con il sostanziale fallimento contestuale delle
politiche ‗liberal‘ e socialiste (progressive Labour, Veltroni,
Schroeder, per certi aspetti Clinton ecc.) e pure con la
sconfitta o marginalizzazione sostanziale dei vari
movimenti emancipatori o liberatori (donne, gay,
minoranze etniche ecc.) — in una società comunque postpatriarcale. Sembra che, per capire questo mondo, sia
molto utile parlare di reale, immaginario, simbolico — di
oggetto a minuscolo — di Kant + Sade — di fantasma del
corpo frammentato — di distruttivo ed eccedente
godimento dell‘Altro.40
39
I suoi tratti e le sue azioni ricordano piuttosto, in effetti, il ‗genio
maligno‘ di Descartes; e si tenga a mente pure come ‗signore delle
illusioni‘ fosse un appellativo del demonio — e ‗signora del gioco‘,
domina ludi, nome di chi guidava il sabba.
40
Una ottima introduzione a Lacan è il libro di Bruce Fink, The
Lacanian Subject, Princeton University Press, 1996.
124
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
2) Manca completamente una analisi socio-economica, e
delle strutture di potere. Si dice, certo, che così come in
Italia c‘è Berlusconi, in Francia c‘è Sarkozy, in Russia
Putin; ciascuno è il nome di qualcosa: ma di cosa
esattamente?41 — Sembra che, per gli autori, la risposta stia
nel fallimento del progetto habermasiano di illuminismo
coerente e democrazia compiuta, ad opera, sembrerebbe,
di un immaginario catturato dal Potere. Non vengono
nominati altri fallimenti (in primis quello del Socialismo
Reale) e altre eclissi (quella del discorso marxista, o
puramente della sociologia classica). Non esistono i
rapporti di produzione, i centri di potere, lo sviluppo
disuguale, le multinazionali, gli apparati segreti ecc. Tutto
questo, come spesso dice Žižek appunto, è puramente e
semplicemente respinto fuori dal quadro, disavowed,
forcluso — corrispondendo del resto a una tendenza
assolutamente prevalente del dopo ‘89, con l‘assunzione a
parametro di fondo indipendente del ‗mercato‘, con i suoi
correlati di FMI, Banca Mondiale, G7, lotta contro il
terrorismo e contro il fondamentalismo, e così via — con
tutto ciò ridotto a ‗puri fatti della vita‘ che è inutile
analizzare più di tanto (ammesso che li si menzioni). — Ma
questo comunque non è un problema particolare di
questo testo, ma un segno distintivo dello spirito del
tempo; il libro resta coinvolgente, aperto, e dà molto da
41
Per esempio il libro di Alain Badiou, Sarkozy: Di cosa è il nome?
(Cronopio, Napoli 2008), o un acutissimo articolo di Žižek del 2009
dedicato proprio a Berlusconi, «Berlusconi in Theran», 23 Luglio 2009,
―London Review of Books‖. [Vale poi la pena di rileggere i
Commentari alla società dello spettacolo di Guy Debord e La società
dei consumi di Baudrillard. Moltissimi testi di Žižek sono disponibili
on-line, vedi http://www.lacan.com/bibliographyzi.htm. Per una
eccellente sintesi di punti chiave del suo discorso, si può far riferimento
a due saggi di Jodi Dean: Žižek on Law, 2004, e Enjoyment as a
Category of Political Theory, 2005, o a un libro di Slavoj Žižek come Il
soggetto scabroso. Trattato di ontologia politica, Cortina, Milano 2003.]
125
Transmoderno. Un nuovo paradigma
pensare (a me ha dato molto da pensare) — non solo
nell‘attesa del mutamento improvviso di paradigma, dello
jetz-zeit/adesso del tempo messianico, o dell‘evento-verità,
ma proprio per attraversare la loro attesa, o la loro
costruzione.
3) È un libro, infine, che nasce da una sofferenza e cerca
risposte ad essa. Il deserto del reale e del reality che, come
dicono gli autori, attraversiamo, è pieno di trappole,
miraggi, mostri, allucinanti angosce. Intraprendere questo
viaggio senza garanzie di successo (come ho ricordato
all‘inizio, il quadro di partenza sembra chiuso, con tutti i
giochi fatti, ovvero con le regole dei giochi permutabili
all‘infinito senza progresso o mutamento) è un atto di
grande coraggio, credo, e di grande speranza: che il
deserto della vita associata e intrapsichica possa rifiorire, in
qualche modo, prima o poi. Ora (settembre 2011) posso
dire che ‗le cose sono in moto‘; allora era molto più
difficile; il Benjamin che aleggia per tutto il libro (e
soprattutto verso la fine) è quello della speranza assurda,
quella speranza appunto che per i senza speranza ci viene
donata. Quella che è sempre fondamentale, e fondante.
4) A questa speranza corrisponde l‘accanimento della
teoria, che scopre, cerca, discute argomenti, in un
movimento del tutto aperto. Questo, come fece notare
Hannah Arendt, è una manifestazione essenziale (in actu,
non in potentia) della libertà e dignità umana, e come tale
va accolta e fino in fondo salutata.
(*) da ―ISintellettualistoria2. Antropologia della politica per una
teoria dell'immaginario sociale‖, settembre 2011 - scritto su
proposta di Attilio Mangano, cui molto sono grato.
126
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Bibliografia/sitografia
Bibliografia
Santi Barbagallo (a cura di)
- La condizione transmoderna, Aracne, Roma
2010.
Enrique Dussel
- Posmodernidad y transmodernidad. Diálogos con
la filosofía de Gianni Vattimo, Universidad
Iberoamericana, Plantel Golfo Centro, 1999.
Otto Kapfinger, Bart Lootsma
- Transmodernity. Austrian Architects, Henke und
Schreieck Jabornegg & Palffy Riegler Riewe,
Salzburg (2002).
Rosa María Rodríguez Magda
- Hacia una teoría transmoderna, Anthropos,
Barcelona 1989.
- Transmodernidad, Anthropos, Barcelona 2004.
127
Transmoderno. Un nuovo paradigma
Sitografia
Blog
-
Transmodernity, di Rosa María Rodríguez Magda
http://transmodern-theory.blogspot.it/
-
Filosofía y Transmodernismo, di Ananí Gutiérrez
Aguilar
http://ananigutierrez.blogspot.it/
Canali Youtube
- Transmodernismo
http://www.youtube.com/playlist?list=PL4ictEyCmx5JQVidTgndAb6Q8pnu4naO
Enciclopedie
- Transmodernity, Wikipedia.en
http://en.wikipedia.org/wiki/Transmodernity
Festival
-
MAYFAIR Transmodern Festival Baltimore
http://transmodernfestival.com/
Riviste on line
- Transmodernity: Journal of Peripheral Cultural
Production of the Luso-Hispanic World
http://www.escholarship.org/uc/ssha_transmodernity
-
Transmodernity Philosophy. The Rise of Cultural
Creatives
http://transmodernism.wordpress.com/
128
Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Saggi reperibili in rete
Rosa María Rodríguez Magda
- Transmodernity, Neotribalism and Postpolitics
http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&
cd=2&cad=rja&ved=0CDcQFjAB&url=http%3A%2F%2Fww
w.ceeol.com%2Faspx%2Fgetdocument.aspx%3Flogid%3D5%
26id%3Dedd1b4977489494b86a0e436fea98668&ei=bSqaU
Y6GFonMOPqAgdAB&usg=AFQjCNHsfqwQm8mg6AK4v
wyAYYVpWADFUQ&bvm=bv.46751780,d.bGE
Enrique Dussel
- Transmodernity and Interculturality, An
Interpretation from the Perspective of Philosophy
of Liberation
http://enriquedussel.com/txt/Transmodernity%20and%20Inte
rculturality.pdf
Fernando Rodríguez Genovés
- Mujer y transmodernidad
http://www.nodulo.org/ec/2004/n027p21.htm
Mike Cole
- Transmodernism, Marxism and Social Change:
some implications for teacher education
http://oraclearion.files.wordpress.com/2008/02/transmoderni
sm_marxism_and_social_change.pdf
Anton Adamut
- Social Assistance and Transmodernism in Christ‘s
Activity
129
Transmoderno. Un nuovo paradigma
http://www.ejst.tuiasi.ro/Files/29/9-23Adamut.pdf
Felicity Van Rysbergen
- Towards Transmodernism: Transcendence,
Technospirituality, and Technoculture
http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&
cd=20&cad=rja&ved=0CGgQFjAJOAo&url=http%3A%2F%2
Funsworks.unsw.edu.au%2Ffapi%2Fdatastream%2Funsworks
%3A10255%2FSOURCE02&ei=-hWaUc7mCYihgeP7YGYBA&usg=AFQjCNFyp8ME1O1LQqyKfhmFYu
eze49C_A&bvm=bv.46751780,d.bGE
Irena Ateljevic
- Transmodern Critical Tourism Studies: a call for
hope and transformation
http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&
cd=7&cad=rja&ved=0CFkQFjAG&url=http%3A%2F%2Fww
w.turismoemanalise.org.br%2Fturismoemanalise%2Farticle%
2Fdownload%2F249%2F136&ei=bSqaUY6GFonMOPqAgd
AB&usg=AFQjCNEwzMSjJlTyh1Ds7AlMJrMLAaUOAg&b
vm=bv.46751780,d.bGE
Ramón Grosfoguel
- A Decolonial Approach to Political Economy:
Transmodernity, Border Thinking and Global
Coloniality
http://www.postkolonial.dk/artikler/GROSFOGUEL.pdf
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Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
Gli autori
Rosa María Rodríguez Magda
Scrittrice e filosofa femminista, titolare della Cattedra di
Filosofia presso l‘―Instituciò Alfons el Magnànim‖ (Valencia), di
cui dirige anche la rivista ―Débats‖. È stata guest lecturer presso
molte Università (Paris VIII e VII, Universidad Autónoma de
México, New York University). Tra i suoi libri vanno ricordati:
Discurso / Poder (Madrid, 1984), La sonrisa de Saturno. Hacia
Una teoría transmoderna (Barcelona, 1989), Femenino fin de
siglo. La Seducción de la diferencia (Barcelona, 1994); Foucault
y la genealogía de los Sexos (Barcelona, 1999), appena tradotto
in francese e Transmodernidad (Barcelona, 2004).
Carmen África Vidal Claramonte
È titolare della cattedra di Traduzione e interpretazione
all‘Università di Salamanca. Ha pubblicato libri e saggi sulla
traduzione, studi di genere e critica letteraria. Tra questi vanno
ricordati El futuro de la traducción: ultimas teorias, nuevas
aplicaciones (Valencia, 1998); Transatin/Power/Subversion
(Clavedon, UK, 1996); En los límites de la traducción (Granada,
2005) e Traducir entre culturas: diferencias, poderes,
identidades (Frankfurt a. M., 2007).
Victoria Sendón de León
Importante esponenete del pensiero della differenza sessuale in
Spagna, ha insegnato Filosofia presso l‘Istituto per il
baccellierato. È stata anche sceneggiatrice e regista nel campo
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Transmoderno. Un nuovo paradigma
della produzione audiosvisiva. Tra i suoi libri: La España
herética (Barcelona, 1986) e Marcar las diferencias: discursos
feministas ante un nuevo siglo (Barcelona, 2002)
Marc Luyckx Ghisi
Louvain, 1942. Teologo e ricercatore nel campo delle
trasformazioni culturali globali. Autore dei volumi Au-delà de la
modernite du patriarcat et du capitalisme. La societe
reenchantée?, (L‘Harmattan, 1977) e Surgissement d‘un
nouveau monde. Valeurs, vision, économie, politique... tout
change (L‘Harmattan, 2012). È stato consulente di Jacques
Delors e Jacques Santer presso la Commissione Europea.
Attualmente è membro dell‘«Auroville International Advisory
Council» e vicepresidente della COTRUGLI Business schools a
Zagabria e Belgrado.
Marco Baldino
1955. Autore di saggi e articoli sul tema della località filosofica.
Nel 1990 ha fondato la rivista italiana di geofilosofia «Tellus».
Nel 1996 ha curato il volume di Autori Vari Geofilosofia
(Lyasis, Sondrio). È autore del volume Margini e paraggi. La
filosofia dell‘ultimo Novecento (Aracne, 2012). Attualmente
dirige (con Francesca Brencio, Giacomo Conserva e Jacopo
Valli) la rivista online ―Kasparhauser‖, dedicata al problema
dell‘accesso al pensiero.
Jacob Taubes
Vienna 1923 - Berlino 1987. Filosofo e rabbino. Professore in
molte Università americane (Harvard, Princeton, Columbia
Unversity). Nel il 1951 Gershom Scholem lo volle all‘Università
ebraica di Gerusalemme. Dal 1965 tenne la cattedra di Cultura e
religione ebraica presso la Freie Universität di Berlino. Tra le
sue opere tradotte in italiano ricordiamo: Escatologia
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Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
Anno 2, Numero 4
occidentale (Garzanti, 1997) e La teologia politica di San Paolo
(Adelphi, 1997).
Dutton Kearney
È Assistant Professor of English all‘Hillsdale College (Michigan).
Ha scritto una Guida allo studio di Gulliever‘s Travels, di
Jonathan Swift (Ignatius Press, 2010) e, sempre per Ignatius
Press, ha curato, della stessa opera, l‘edizione critica.
Peter Lamborn Wilson
New York, 1945. Filosofo, anarchico, saggista, poeta e scrittore
statunitense. Autore di un‘opera variegata. Noto anche come
Hakim Bey. In Italiano si possono leggere, pubblicate sotto lo
pseudonimo di Hakim Bey, le seguenti opere: Millennium. La
Jihad contro la politica (ShaKe edizioni, 1997); T.A.Z. Zone
temporaneamente autonome (ShaKe edizioni, 1993-2007); Il
giardino dei cannibali. I viaggi filosofici di un sufi beat (ShaKe
edizioni, 2010). Come P. Lamborn Wilson, le edizioni ShaKe
hanno tradotto e pubblicato Le repubbliche dei pirati. Corsari
mori e rinnegati europei nel Mediterraneo (2010).
Giacomo Conserva
Parma, 1948. Psichiatra psicoterapeuta e analista. È stato
direttore del Centro di salute mentale dell‘Area Montana e
Responsabile dell‘SPDC presso l‘Ausl di Parma. Ha coordinato
il gruppo di lavoro DSM di Parma su migranti/globalizzazione.
Svolge attività letteraria e culturale. Ha collaborato a diverse
riviste tra cui ―L‘erba voglio‖, ―A/traverso‖, ―Ordine sparso‖,
―Mito‖, ―Poliscritture‖. Nel 1976, per Newton Compton, ha
curato la traduzione delle Poesie di William Blake. Coordina il
Blog
―OLTRE
LA
SOCIETÀ'
PSICHIATRICA
AVANZATA‖ (gconse.blogspot.com).
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