Impaginato giugno 07

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Impaginato giugno 07
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mensile di informazione e annunci
Distribuzione gratuita
Giugno 2007 • Anno 5 - N. 6
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Giugno 2007
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OPINIONI E COMMENTI
Giugno 2007
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Cosa rovescia in mare l’Api
Dopo il disastro ambientale del 2 Aprile
È ormai da un po’ che si parla dei danni che
la raffineria di Falconara provoca al nostro
ambiente e al nostro mare, specialmente
poi dopo l’ultimo incidente che ha colpito
il nostro litorale fino a Senigallia e non so
se oltre. Cioè da quando una quantità non
definita di olio combustibile ATZ ad alto tenore di zolfo è stato riversato in mare da
una falla nelle tubazioni che dalla raffineria
portano all’isola artificiale che si trova al
largo. Secondo alcuni testimoni la tubazione non era adeguatamente assicurata da
mensile di informazione attualità e cultura
Anno 5 - Giugno 2007 - Numero 6
Direttore responsabile
Letizia Stortini
Redazione
Via Copernico, 3 - Senigallia
Tel. 071.7939689 - 333.2091555 - Fax 071.7939689
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l’Eco è stato registrato presso il Tribunale di Ancona in data
3 novembre 2003 con numero 22/03.
Tutto ciò che la nostra testata sta realizzando e realizzerà sarà sempre grazie alla forza del ricordo del suo cofondatore, Patrizio Casagrande.
fuoriuscite in quanto era priva del doppio
rivestimento (interno ed esterno) che possiedono tutti quegli oleodotti che devono
attraversare tratti di mare. Ma se questo è
vero lo verificheranno gli organi competenti. La ditta che produce la sostanza ha dichiarato di procurare personalmente di ripulire le spiagge che circondano l’Api dalle
sostanze emesse per sbaglio e in effetti, da
più di un mese assistiamo, almeno nella zona di Marina al quotidiano show di alcuni
personaggi in tute bianche che “puliscono”
la spiaggia gettando i sassi macchiati in appositi sacchi. Il problema è che ad ogni mareggiata le macchie di nero sulla nostra
spiaggia ritornano, per cui è ragionevole
pensare che questo show andrà avanti ancora per parecchio, a meno che la ditta non
ammetta quello che la gente del posto ha
già capito, che la sostanza si trova depositata nel fondale ed è facilmente disperdibile, per cui ad ogni mareggiata ci saranno
sempre nuove aree da ripulire a cominciare
dalla scogliera antistante la stazione, dove
nonostante i bidoni usati per eliminare gli
elementi tossici si continua a sentire un
forte odore da combustione fossile.
Detto questo, direi che dovremmo quantomeno chiarirci le idee a proposito dell’ATZ.
Dopo aver letto questo nome come causa
del disastro accaduto ho fatto delle ricerche
presso l’Arpam e sentite cosa ho scoperto.
Dunque, il danno prodotto dall’olio combustibile è per ora prevalentemente ambientale, sull’uomo sarebbe dannoso solo
se uno se lo spalmasse addosso, ma gli organismi marini di scoglio, sabbia e litorale
(cozze, vongole, cannelli ecc.), che inevitabilmente assorbono anche soltanto a livello
di deposito le sostanze oleose pesanti, possono causare all’uomo un danno indiretto
(anche se difficilmente in quanto avranno
un cattivo sapore tanto da risultare immangiabili). Quindi il vero danno riguarda l’ecosistema marino che subirà una strage
lenta e prolungata. Certo, gli animali e le
piante che non riusciranno a sopravvivere
saranno sostituiti da altri che verranno dal
largo, ma questo in un tempo molto lungo
e inoltre, i nuovi organismi saranno costretti a soffrire per il contatto con i residui
oleosi che difficilmente scompariranno
molto presto. Sono anni che il litorale di
Marina di Montemarciano e Marzocca soffre per questa violenza della raffineria, per
il suo terribile impatto ambientale, stavolta
è stata davvero una bella batosta di cui subiremo tutti quanti le conseguenze per i
prossimi anni. A scanso di equivoci, anche
la dottoressa Chiaruzzi dell’ICRAM ha dichiarato che “l’olio combustibile ad alto tenore di zolfo ha componenti tossiche per
l’ambiente”, da qui già si capisce cosa una
diffusione massiccia di questa sostanza significhi, anche se la ditta afferma di non
poter quantizzare la perdita effettiva di
combustibile. Come promemoria, io ricorderei cosa c’è scritto sulla scheda di sicurezza dell’ATZ.
L’esposizione al suddetto olio combustibile:
Può provocare il cancro; Può essere nocivo
per gli organismi acquatici; Può provocare
a lungo termine effetti nocivi per l’intero
ambiente acquatico quindi non disperdere
l’olio combustibile nell’ambiente; Evitare
l’esposizione, può provocare azione irritativa locale e dermatiti da contatto ad effetto
a lungo termine, per cui è opportuno evitare il contatto ripetuto e prolungato del prodotto con la pelle.
Questo è quanto, ma la cosa che più stupisce in tutta questa storia è stata che una città come Senigallia, distante dalla raffineria
solo una decina di chilometri si sia beccata
addirittura la bandiera blu per la pulizia del
mare e della spiaggia avendo solo da poco
tolto i divieti di balneazione. D’accordo gli
inevitabili interessi per il turismo, ma se Senigallia diventasse da “spiaggia di velluto”
una “spiaggia d’idrocarburo” penso che prima o poi qualcuno dovrà renderne conto.
Franco Esposito
E-state nel benessere
Senigallia si riconferma capitale del benessere
Senigallia si riconferma per la seconda volta capitale italiana
per il benessere.
Due serate interamente dedicate ad una kermesse per prendersi cura di se stessi, per essere in armonia con il proprio
corpo, la mente e lo spirito.
Forti del successo riscontrato nella edizione primaverile della “Settimana del benessere psicofisico”, ArmoniaBenessere‚
e L’Eco propongono un nuovo evento che pone al centro
l’individuo e la qualità della vita.“Siamo convinte che sia possibile migliorare il nostro tenore di vita, ogni giorno, e che per
farlo siano sufficienti piccoli accorgimenti, minimi investimenti e grandi risultati in termini di soddisfazione, di piacere e di
salute” sostengono le organizzatrici.“Promuovere una cultura
del benessere, intesa come equilibrio tra le diverse parti di sé, è
la base imprescindibile da cui partire per poter stare bene anche con gli altri e offrire un contributo attivo e utile alla società” proseguono. L’ambientazione della manifestazione è alquanto suggestiva, il Club Shalimar, punto di riferimento
per il panorama musicale degli anni ’80 e ’90, immerso nel
verde, nella calma e nella pace delle colline marchigiane,
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che dolcemente si protendono verso il mare.
Una folta schiera di realtà professionali sarà interamente a
servizio del pubblico che potrà provare in prima persona le
proposte in termini di prodotti e servizi: massaggi rilassanti, sedute Reiki, sessioni di rilassamento, meditazione, prodotti per la cura del corpo, della mente e molto altro da scoprire direttamente in loco.
Giovedì 26 luglio la manifestazione verrà inaugurata nel tardo pomeriggio con una tavola rotonda in cui si confronteranno vari professionisti del benessere, dopo la quale sarà
possibile visitare gli stand e provare i trattamenti offerti. Il
giorno successivo proseguiranno le prove pratiche e dopo
tanto rilassamento si concluderà con una festa, si apriranno
le danze. In entrambe le serate sarà possibile accedere ad un
ricco e gustoso happy hour, su prenotazione.
Per i professionisti, le associazioni, i centri benessere, le palestre, e chiunque desideri aderire all’iniziativa può contattare le organizzatrici: 338.3002472; [email protected] (Anna Fata); 333.2091555, [email protected] (Letizia Stortini)
SPECIALE SALUS - SALUTE
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Medicina e Salute
Dal dermatologo: non
più semplici “solari”
a cura del dott.
RANIERO MANCINI,
Medico di medicina generale
Staminali per tutti:
nuova frontiera della
medicina del desiderio
Avanza una nuova moda, quella delle cellule staminali di scorta. Inaugurato da mamme vip
e signore del mondo dello spettacolo, il prelievo di cellule staminali del cordone ombelicale, si candida a divenire una delle pratiche mediche più diffuse dei prossimi anni. Rullano i
tamburi dello scontro etico tra scienziati progressisti e moralisti conservatori perché - come
tutte le novità della medicina- all’inizio poco si conosce specie in termini di efficacia e sicurezza del trapianto di cellule staminali. Una certa efficacia curativa è stata dimostrata solamente nella beta-talassemia, leucemie e nei deficit congeniti della risposta immunitaria.
Grandi le preoccupazioni sulla sicurezza del trapianto di cellule staminali per la loro intrinseca capacità tumorigena e la possibilità di rigetto da parte dell’organismo ricevente. Ulteriori preoccupazioni derivano dalla possibilità di collegamento con attività criminali come il
commercio illegale (con possibile intrusioni di società affiliate alla malavita organizzata) e
la vendita illecita a laboratori di ricerca italiani e stranieri.
Il ministro della salute Livia Turco ha di recente emanato un’ordinanza (Gazzetta Ufficiale
del 17 maggio) in cui è previsto che le cellule staminali prelevate da cordone ombelicale potranno essere utilizzate solamente per tre scopi. Il primo di natura solidaristica. Analogamente alla donazione di interi organi, la donazione di cellule staminali potrà servire per curare altre persone malate (trapianto allogenico). Il secondo di tipo utilitaristico che prevede
la raccolta di cellule del cordone per curare il proprio neonato o un fratellino affetto da patologia curabile con le staminali. Il terzo infine prevede la possibilità di conservare le cellule staminali del proprio cordone per uso autologo anche nei casi in cui il neonato non sia
affetto né a rischio di contrarre patologie per le quali è oggi provata l’utilità del trapianto. Il
che vuol dire che non appena tutte le ginecologie italiane si saranno attrezzate, tutte le
mamme potranno congelare le cellule staminali dei loro neonati. Questa pratica comporta
molte perplessità e solo poche certezze quali la semplicità del prelievo (si tratta di pungere
il cordone ombelicale e di raccogliere le cellule in una sacca sterile) che non comporta alcun rischio per il neonato e i costi economici tutti a carico della madre. Fino ad oggi si poteva effettuare solo all’estero pagando tremila euro più una quota variabile da versarsi annualmente per un periodo di vent’anni. Ma su quali malattie saranno efficaci le cellule staminali tra venti anni? Quali gli effetti collaterali a breve e lungo termine? Il servizio sanitario nazionale sarà in grado di sopportare i costi di questo ulteriore pratica medica? Quali saranno le responsabilità civili e penali delle banche di cellule staminali?
Giugno 2007
con la collaborazione della dott.ssa NITA PETRONELA
Specialista in dermatologia e venereologia
Certo che oggi la ricerca scientifica ci ha fatto fare passi da gigante anche nel campo della
protezione contro gli effetti dannosi del sole. Ora ci sono “solari” per la cute secca, con acido ialuronico ad effetto idratante e tonificante; per la cute grassa, non comedogenici; con sostanze antiossidanti, antiradicali liberi per evitare l’invecchiamento della pelle (causato per
il 66% dai raggi solari) e per evitare la comparsa nella cute di lesioni pre-tumorali e tumorali. Oltre ai preparati locali, creme e lozioni, ci sono i preparati in capsule che garantiscono una protezione sistemica contro i danni solari cutanei acuti e cronici a base d’estratti di
piante come il polypodium leucotomos, il the verde, il beta-carotene, il licopene, l’acido linoleico, il beta-glucano, la carnosina, il rame, lo zinco, il selenio. In questo modo i prodotti che la ricerca ci offre, non sono più dei semplici solari ma prodotti con effetto immunostimolante e di protezione contro l’immunodepressione indotta dai raggi UV che ci aiutano
veramente nella lotta per la prevenzione dei tumori cutanei. Noi dermatologi, con l’occasione del controllo nevi, consigliamo ai pazienti anche la crema e l’integratore che può garantire una vera protezione e prevenzione tumorale. Per i soggetti allergici ai raggi UV, ci sono
delle terapie sistemiche per aumentare le difese immunitarie e creme che assicurano una foto immunoprotezione attiva. Tutte le mamme sanno che le esposizioni solari discontinue e
eccessive prima dei 20 anni e specialmente nei primi 3 anni di vita, creano dei danni nella
pelle che si sommano nel tempo aumentando la probabilità di sviluppare un tumore della
pelle in età adulta. I bambini non devono essere esposti intenzionalmente al sole e per quello preso di riverbero o di riflesso si devono usare prodotti specifici ad elevato indice di protezione e poi dopo sole. Alcune delle mie pazienti non vorrebbero applicare dei foto protettori ad alta protezione per la paura di non abbronzarsi più….Un buon foto protettore, autopigmentante, contiene anche dei precursori della melanina (beta-carotene, licopene, ecc.)
perciò più è utilizzato più è stimolata la produzione della melanina e quindi si ottiene una
bellissima e sana abbronzatura, nei soggetti con disponibilità nella produzione della melanina. Tante persone fanno cure costosissime per non invecchiare, ma i raggi UV invecchiano la pelle per il 66% quindi la prima regola rimane l’utilizzo di un buon schermo solare anche nella cipria o il fondotinta. Il dermatologo che indica delle cure anti-invecchiamento, indicherà anche un solare anti-invecchiamento. Ci sono soggetti allergici, o potenzialmente
che lo diventano se sul viso utilizzano dei prodotti non idonei. La visita dermatologica deve comprendere anche il consiglio personalizzato di un solare, corpo e viso, che possa preservare il paziente dalla sorpresa d’essere allergico alla crema solare. I prodotti che noi consigliamo sono Nikel-tested e controllati in modo da non creare allergie nel tempo. Ci sono
dei casi che necessitano di una foto-protezione estrema come: patologie che possono essere
indotte o aggravate dall’esposizione al sole, fototipi con scarsa o nulla capacità fotoprotettiva naturale (albini o fototipo I), post-terapie di dermatologia estetico-correttiva, persone in
cura sistemica con sostanze foto sensibilizzanti o con tendenza allo sviluppo delle macchie
e altrettante situazioni valutabili dal dermatologo caso per caso. Esistono solari classificati
con il termine water-resistant e water-proof, secondo il comportamento al contatto con l’acqua. Il primo significa che dopo due bagni di 20 minuti permane almeno un 70% del valore di foto-protezione calcolato sulla pelle asciutta, il secondo invece che resiste a 4 bagni di
20 minuti. In conclusione un fotoprotettore ideale ha le seguenti caratteristiche: innocuità,
non tossico, non irritante, non sensibilizzante; offre una protezione ad ampio spettro UVAUVB; rimane stabile alla luce ed al calore; è ben tollerato è resistente all’acqua e al sudore,
rimane gradevole dal punto di vista cosmetico. Sapendo che l’energia dei raggi UVA è costante tutta la giornata, non è ridotta dal tempo nuvoloso ne dai vetri …….BUONA FOTOPROTEZIONE!
Farmacie di turno a SENIGALLIA
dal 15 giugno al 15 luglio 2007
Giugno
15 Manocchi dott.sa Francesca Piazza Roma 13 - tel. 071.60197 • 16 Comunale 1 Largo Puccini 5
- tel. 071.60021 • 17 Paolucci dott. Antonio Via Cavour 8 - tel. 071.659754 • 18 Pichi dott. Alessandro Corso 2 Giugno 38 - tel. 071.60819 • 19 Landi dott.sa Loretta Via Sanzio 69 - tel. 071.60483
• 20 Filippini dott.sa Silvia Carotti Via Piave 1 - tel.071.64223 • 21 Domenici Robertucci Via Sanzio 248 - tel. 071.923476 • 22 Avitabile dott.Armando Via Garibaldi 1- tel 071.7924542 • 23 Sartini dott. Riccardo Via Po 119 - 071.7920685 • 24 Comunale 2 Piazza Michelangelo 10 - tel.
071.66116 • 25 Manocchi dott.sa Francesca Piazza Roma 13 - tel. 071.60197 • 26 Comunale 1
Largo Puccini 5 - tel. 071.60021 • 27 Paolucci dott. Antonio Via Cavour 8 - tel. 071.659754 • 28
Pichi dott. Alessandro Corso 2 Giugno 38 - tel. 071.60819 • 29 Landi dott.sa Loretta Via Sanzio
69 - tel. 071.60483 • 30 Filippini dott.sa Silvia Carotti Via Piave 1 - tel.071.64223
Luglio
1 Domenici Robertucci Via Sanzio 248 – tel. 071.923476 • 2 Avitabile dott.Armando Via Garibaldi
1- tel 071.7924542 • 3 Sartini dott. Riccardo Via Po 119 - 071.7920685 • 4 Comunale 2 Piazza Michelangelo 10 - tel. 071.66116 • 5 Manocchi dott.sa Francesca Piazza Roma 13 - tel. 071.6019 • 6
Comunale 1 Largo Puccini 5 - tel. 071.60021 • 7 Paolucci dott. Antonio Via Cavour 8 - tel.
071.659754 • 8 Pichi dott. Alessandro Corso 2 Giugno 38 - tel. 071.60819 • 9 Landi dott.sa Loretta Via Sanzio 69 - tel. 071.60483 • 10 Filippini dott.sa Silvia Carotti Via Piave 1 - tel.071.64223 • 11
Domenici Robertucci Via Sanzio 248 – tel. 071.923476 • 12 Avitabile dott.Armando Via Garibaldi 1tel 071.7924542 • 13 Sartini dott. Riccardo Via Po 119 - 071.7920685 • 14 Comunale 2 Piazza Michelangelo 10 - tel. 071.66116 • 15 Manocchi dott.sa Francesca Piazza Roma 13 - tel. 071.6019
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Vecchio assiso a una sedia di fango./Guerriero stracciato da guerra perduta./Ora tutti voi siete all’inferno,/Gioie Volgari di carnali membra./Pianto infelice di donna peccatrice,/Io domando? Ma vi è stato anche per voi,/a piangere i vostri peccati./quel momento che avete donato all’amore?/Demonio che
in questo rione,/sei il sovrano, e l’autore di tanto nefasto,/tu che sei il tentatore di noi umili uomini,/vi è stato anche per te/quel momento che hai donato all’amore?/Demonio che in questo rione,/sei il sovrano, e l’autore di tanto
nefasto,/tu che sei il tentatore di noi umili uomini,/vi è stato anche per te/quel
momento che hai donato all’amore?/Tra le conchiglie fossili, di un’amena
spiaggia, ho trovato stamani, una cosa strana./Due cavallini marini, essi stavano uniti,/abbracciati e sembravano che si baciavano./Anche per loro vi è
stato quel momento d’amore?/Eccelsi monti,incanutite valli/stanchi passanti
di mulattiere vie,/gente sudata dalla schiavosa fatica,/avete voi avuto un momento da dare al vostro amore?/Se tutti voi ancora non avete provato/la gioia
di quei grandi minuti,/provatici e provatici subito./Negli abissi dell’Inferno, in
un angoletto/v’è posto riservato,/ a tutti coloro che non hanno mai amato.
(“V’è stato l’amore?” di Matteo Mancini da Vieste, 1959)
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SPECIALE BEN-ESSERE
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a cura di Anna Fata, psicologa Metodo ArmoniaBenessere® http://www.armoniabenessere.it
La gratitudine
Aprirsi alla spiritualità e al trascendente
Si tratta di un senso di riconoscenza e di
gioia per avere ricevuto un dono, indipendentemente dal fatto che questo sia stato
tangibile o meno. È un modo di sentire che
ci porta a desiderare esattamente ciò che abbiamo. Il termine deriva dal latino ‘gratia’.
Anticamente nei monumenti veniva raffigurata da una donna con in mano un mazzo di
fiori e di fave e accanto una cicogna.
La persona in grado di vivere la gratitudine
apprezza ogni giorno che vive, e che sente
come un dono e non come un peso, capisce
che la sua vita viene resa possibile e semplificata grazie agli sforzi degli altri, è riconoscente verso i genitori. Anche quando accade qualche evento avverso trova ragioni e
valori in grado di giustificarlo; prova di frequente un senso di meraviglia e di stupore
per ogni cosa che non dà mai per scontata.
Ringraziare non è qualcosa che ha a che fare con l’inferiorità, non ci mette di fronte alle nostre incapacità, a ciò che non siamo in
grado di avere o di fare da soli. Al contrario,
saper ringraziare ci innalza e ci eleva perché
è una forma di riconoscenza che sgorga dal
cuore, quando d’improvviso, come in seguito ad una folgorazione, prendiamo atto che
noi siamo frutto di una sorta di “miracolo”,
che si rinnova costantemente, istante dopo
istante. Non l’abbiamo chiesto, ci è stato offerto, e proprio per questo siamo chiamati a
farne buon uso.
Inoltre, la gratitudine ci richiama alle nostre
responsabilità: come parti di un tutto interconnesso e interdipendente siamo invitati a
ci conto che quel che riceviamo è costantemente maggiore di quanto offriamo. La persona che non riesce a provare gratitudine
spesso cade nell’invidia: quello che sento di
non riuscire a possedere e che ritengo mi
appartenga di diritto lo invidio. L’invidia
compie un ulteriore passo, è distruttiva: se
non posso raggiungere ciò che voglio e che
sono convinto mi debba appartenere, non
puoi possederlo neppure tu, così preferisco
distruggerlo. E da qui attacchi efferati a ciò
che si vorrebbe, ma non si riesce a conseguire, con grande dolore da ambo le parti.
Avere ottenuto delle gratificazioni sufficienti da bambini pone le basi per un senso di
soddisfazione, di sazietà che se fosse assente darebbe adito ad una ricerca spasmodica
e inevitabilmente destinata all’insuccesso di
sostituti tali da colmare il vuoto, prima di
tutto affettivo, che ci si sente dentro. Tutto
questo, però, si può recuperare anche da
adulti, diventando dei buoni genitori di se
stessi, in grado di offrirsi i riconoscimenti
necessari per il proprio benessere e facendo
poi altrettanto anche con gli altri. Se ci ostiniamo a ritenerci vittime di privazioni che
ci sono state inferte in modo volontario non
riusciremo mai a perdonare, a lasciare andare il dolore e il legame negativo che ci connette al passato e alle persone che siamo
convinti ci abbiano ferito. Prendere atto che
tali persone hanno fatto il possibile e, al limite, del loro meglio ci spinge non solo ad
accettare persone e situazioni per quelle che
sono state, ma apre le porte alla considerazione che come in passato, anche nel presente, esistono diverse possibilità e che sta
solo a noi, qui e adesso, effettuare quelle
modifiche che ci possono far stare meglio.
L’alfabetico medico
del benessere (D-F)
Dormire: il sonno è un fenomeno biologico ciclico caratterizzato da un periodo di riposo per
il corpo e per la mente durante il quale la volontà e la coscienza sono in uno stato di parziale o completa sospensione, mentre sono mantenute le funzioni autonome necessarie alla vita
(es respirazione, battito cardiaco, filtrazione renale). La sensibilità agli stimoli esterni è diminuita, ma in maniera prontamente reversibile, mentre il corpo assume periodicamente una postura immobile, cioè, anche se potrebbe sembrare un paradosso, si irrigidisce per riposarsi.
Una adeguata quantità e qualità del sonno è basilare per il recupero delle energie psicofisiche,
l’elaborazione degli stimoli sensoriali, la memorizzazione delle informazioni acquisite durante la veglia. Il numero di ore di sonno per il benessere personale varia da persona a persona,
nelle diverse fasi di vita: mediamente per un adulto sano si aggirano intorno alle 7-8 ore.
Eleuterococco: noto anche come ‘ginseng siberiano’ sembra che possieda un’azione tonica,
anti-stress e di potenziamento del sistema immunitario. È utile per chi è affetto da astenia
fisica o psichica, nei periodi di ridotta capacità di rendimento e di concentrazione; proprio
per queste sue caratteristiche, per l’eleuterococco è stata coniata la qualifica di “adattogeno”,
intendendo con ciò la capacità di una sostanza di esercitare un’azione aspecifica sui processi fisiologici con il risultato di innalzare la resistenza fisica contro gli stress ambientali, con
valore preventivo, non curativo, mentre negli anni ’90 veniva usato dagli atleti russi come
sostanza stimolante non dopante. Come ogni altra sostanza, però, è da utilizzare con cautela poiché può avere effetti collaterali, soprattutto se assunta in concomitanza con altri principi attivi. Attenzione particolare devono fare le persone affette da altre patologie e/o in terapia con altri farmaci (compresa la pillola anti-concezionale!): quindi, affidarsi sempre ad
un medico competente in materia, oppure al farmacista di fiducia.
Fibre: sono delle componenti indigeribili provenienti dagli alimenti vegetali (frutta, verdura, cereali e legumi). A seconda della specifica composizione hanno funzioni differenti: stimolano il corretto funzionamento dell’intestino, possono contribuire alla prevenzione dei
tumori intestinali, diminuire l’incidenza di alcune malattie metaboliche (ad es. il diabete, l’ipercolesterolemia), aiutano a tenere sotto controllo il peso corporeo apportando un senso di
sazietà. L’apporto giornaliero di fibre dovrebbe essere almeno 30 grammi, anche se in presenza di particolari patologie (es. colon irritabile) è meglio farsi seguire da un medico specialista perché l’eccessivo introito di fibre potrebbe peggiorare la sintomatologia: come regola generale frutta e verdura non dovrebbero mai mancare nella nostra dieta quotidiana.
Con la consulenza del Dott. Alessandro Cardinali,
Medico e Farmacista, Ancona
Recensione libro:
Cinque meditazioni sulla bellezza
Cheng F. - Bollati Boringhieri Editore, Torino, 2007
Un libro dal grande fascino non solo perché stimola alla riflessione su un tema che mai cesserà di suscitare interesse, la bellezza, ma anche e soprattutto per il taglio, in parte esperienziale e autobiografico dell’autore, e per le tesi presenti. La bellezza viene vista in contrapposizione con il male. Essa è inutile, eppure necessaria. Non smette di stupire, di meravigliare, è il frutto dell’unicità di ciascun essere. Al suo cospetto siamo chiamati a riconoscerla, ad accoglierla come dono, a celebrarla, quale elemento che consente la trascendenza,
l’esperienza dell’eternità.
La bellezza - nell’accezione
dell’Autore - costituisce lo
spazio dedicato all’essere, che
nulla ha a che spartire con
l’apparenza. Consta di una
componente etica e morale
che permette di dare un senso e di comprendere il mondo. E’ estremamente gradevole perdersi tra le righe di queste meditazioni, seguendo
passo passo Cheng e il cammino che accenna. Si tratta di
una prospettiva di sicuro interesse che vale la pena approfondire. Ideale per chi
ama le mescolanze di filosofie occidentali e orientali.
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Torniamo, dopo la sosta di Maggio, intervistando un precursore nel suo settore, Bruno Sebastianelli è infatti stato il primo nelle Marche e uno dei primi in Italia a creare
una cooperativa agroalimentare biologica,
una vera novità a cavallo degli anni ’70.
Nata dalla passione che il sig. Sebastianelli
nutre da sempre per la coltivazione e per la
natura, dapprima la cooperativa nacque con
l’apporto di tre soci fondatori oggi La Terra e
il Cielo conta 100 aziende associate che producono 80 tipi diversi di pasta oltre a sughi,
olio, caffè, minestre ecc.
Come siamo arrivati a 100 associati Sebastianelli, è stato difficile creare la cultura del biologico?
E’ stata una vera lotta perché agli inizi nessuno voleva appoggiare il mio progetto,
quando si parlava di biologico si storceva
subito il naso sia a destra che a sinistra nessuno voleva darci una mano. Non avevamo
un appezzamento terriero dove iniziare e
quindi si chiedeva in giro se qualcuno potesse concederci alcuni ettari di terra da destinare alla coltivazione biologica ma era
molto difficile finché non riuscimmo a
prendere alcuni terreni in donazione e così
partimmo per la nostra avventura. Oggi a
distanza ormai di più di 30 anni si sta
creando una cultura del biologico anche se
siamo lontani dal poter apprezzare pienamente quello che la natura ci dona. Nel nostro settore, come per gli altri, la globalizzazione sta creando non poche difficoltà alle aziende facenti parte di questo mondo,
perché se prima eravamo in pochi pochissimi a coltivare prodotti biologici ora in tutto il mondo questo tipo di coltura si sta sviluppando moltissimo con la risultante che
i prezzi stanno drasticamente diminuendo
e la competizione sta diventando altissima
a discapito della genuinità dei prodotti.
La vostra è un’azienda locale nata e cresciuta nelle Marche, quale rapporto si è
instaurato con il territorio col passare
degli anni?
La Regione Marche ci ha sostenuto sempre
molto volentieri, è stata la prima regione in
Italia a varare una regolamentazione sulla
coltivazione del biologico oltre alla regolamentazione CEE. E’ indubbio che il nostro
attaccamento al territorio è molto forte, è
una risorsa per distinguerci dagli altri produttori un vanto di cui andiamo fieri. Distinguersi appunto non è semplice, soprattutto quando parliamo di prodotti agricoli
e allora in accordo con l’AMAB, l’associazione mediterranea per l’agricoltura biologica, abbiamo deciso di far aderire alla nostra cooperativa solo gli associati che producano e coltivino la totalità degli ettari ad
agricoltura biologica, in modo da tutelare il
consumatore finale garantendo un prodotto biologico sicuro al 100%. E’ uno sforzo
enorme perché significa controllare tutta la
filiera, dalla semina alla commercializzazione ma crediamo sia indispensabile per
poter fornire al mercato un prodotto unico
e non un surrogato di agricoltura biologica.
C’è chi ancora è scettico su questo tipo di
coltivazioni, si sappia che il procedimento
che porta a certificare un prodotto come
biologico è lunghissimo, basti pensare che
la fase di essiccazione comunemente effettuata dai più grandi pastifici ad altissime
temperature, si parla di 120°, viene gestita
per i prodotti biologici a 45° favorendo in
maniera significativa il mantenimento delle proteine all’interno della pasta stessa au-
AT T U A L I T À
mentando però drasticamente il tempo di
lavorazione che inevitabilmente rallenta la
filiera produttiva e accresce i costi di gestione. Ecco perché quando si parla di globalizzazione bisogna stare sempre attenti
alla qualità dei prodotti che come in tutti i
settori non è sempre garantita dalla totalità
dei produttori.
Sento parlare di globalizzazione, un termine a volte ambiguo perché come lei
prima ha chiarito può portare ad una
perdita di qualità, ne deduco che la vostra produzione è rivolta anche ai mercati esteri quindi mi chiedo come riuscite a mantenere inalterata la qualità dei
vostri prodotti e a sfruttare le potenzialità che i paesi esteri offrono.
In realtà come cooperativa ci rivolgiamo a
molti paesi esteri tra cui Stati Uniti, Canada, Israele, Arabia Saudita, Corea del Sud,
Nuova Zelanda, Giappone, Malesia per citarne alcuni fuori dall’Europa, circa il 40%
della nostra produzione viene destinata all’estero dove paesi come Olanda Germania
e Inghilterra sono tra i maggiori consumatori di prodotti biologici. Direi che un fattore molto importante per salvaguardare la
qualità dei prodotti e per poter entrare in
questi mercati è la possibilità di ottenere le
certificazioni di qualità che in materia di
agricoltura biologica sono molte rigide. Per
poter ottenere la certificazione bisogna prima passare dei controlli ferrei che attraversano trasversalmente tutta la filiera, dalla
conservazione al mulino, dal pastificio al
controllo contabile. Poi non sempre la certificazione Europea è riconosciuta in tutti i
paesi, infatti siamo in possesso di altre certificazioni come la Jas (Japan Agricolture
Standard) per il Giappone, la Nop (National Organic Programme) per gli Stati Uniti
e la Kasher per i territori di Israele ma anche per le popolazioni mussulmane.
C’è stata in questi anni una cooperazione, un progetto che più di altri vi ha legato fortemente ad uno di questi paesi
esteri con cui tuttora collaborate?
Assolutamente, il progetto “Il Caffè della
pace” è sicuramente l’iniziativa più importante che stiamo portando avanti. Nata da
un’incontro avvenuto nel 2001 nella nostra
Regione con il Premio Nobel per la pace
Rigoberta Menchù, simbolo della lotta dei
nativi contro la violenza e la sopraffazione
militare e culturale in Guatemala, ha come
obiettivo lo sviluppo del commercio equosolidale tra i nostri due paesi e il sostenimento della fondazione Guatemala-Moie .
La cooperativa la Terra e il Cielo svolge un
ruolo fondamentale in questo progetto, ci
occupiamo della tostatura del confezionamento e della vendita del caffè coltivato in
Guatemala. Credo che “il commercio giusto” abbia il grande pregio di far sì che la
commercializzazione dei prodotti avvenga
direttamente ad opera dei contadini, dei
piccoli produttori, senza spazio per gli intermediari. È una grande opportunità per
coloro che lavorano la terra di rimanere
uniti, senza disperdersi. E poi c’è il tema
della qualità. “Il Caffè della Pace”, per
esempio, è un caffè biologico. E così, i contadini sono portati ad usare prodotti biologici, e non solo chimici.
Sebastianelli cosa c’è all’orizzonte?
Noi stiamo continuamente studiando prodotti tipici della zona perché pensiamo sia
importantissimo riscoprire le bontà del nostro territorio come ad esempio i “Tacconi”
molti di voi se ne ricorderanno, è una pasta
corta formata al 50% da fava e al 50% da semola di grano duro. Le origini di questa pasta sono da ritrovarsi nel Comune di Fratterosa dove veniva coltivata un tempo su
un di un terreno molto argilloso che con
difficoltà siamo riusciti a ritrovare. Il sogno
nel cassetto rimane comunque attuare una
politica di centralizzazione dei processi
aziendali che porti ad un controllo ancora
più elevato su tutta la filiera in modo di garantire ancora di più la qualità e la genuinità di tutti i prodotti.
Giugno 2007
LA DISGRAFIA (II parte)
L’evoluzione dell’attività grafica infantile: lo scarabocchio
Nella prima parte ho parlato della disgrafia, come riconoscerla e le possibili cause di questo
disturbo specifico di apprendimento legato alla scrittura. Ora vorrei fare un passo indietro
considerando le diverse fasi antecedenti l’apprendimento della scrittura da parte del bambino. I primi passi dell’attività grafica del bambino si realizzano nello scarabocchio (generalmente intorno a un anno di età): il bambino che vive in un ambiente stimolante può scoprire, per caso o per imitazione delle persone con le quali è a contatto, che alcuni oggetti
possono lasciare tracce sui muri o altre superfici. Questa scoperta provoca nel bambino
grande gioia: questi primi segni eseguiti a caso, apparentemente incoerenti e senza significato, rappresentano un momento molto importante perché egli si rende conto, per la prima
volta, di poter “incidere” sulla realtà modificandola e lasciando un’impronta indelebile della sua presenza. Successivamente è proprio questa consapevolezza, di poter creare qualcosa di nuovo e di personale, che resta impressa e che si può stimolare sino a spingerlo a tracciare altri scarabocchi. Purtroppo alcuni genitori tendono a limitare o ignorare questa attività del bambino per il timore di vedere mobili o pareti ricoperte di scarabocchi: così i bambini arrivano alla scuola materna senza aver avuto la possibilità di esprimersi attraverso l’attività grafica. Se le insegnanti sanno stimolare e incoraggiare i bambini, questi in breve tempo possono raggiungere il livello degli altri anche se rimangono evidenti le differenze, all’ingresso nella scuola primaria, riguardo alla motricità fine, alla capacità di inserimento nella classe e di apprendimento, in particolare della scrittura. Nel caso in cui lo scarabocchio
viene vissuto dal bambino come momento associato a rimproveri o punizioni, in seguito anche la scrittura potrà essere associata a sensazioni sgradevoli, pertanto i genitori dovrebbero lasciare libertà al bambino e incoraggiarlo ad esprimersi, mettendogli a disposizione fogli
di grandi dimensioni . Non secondario è il significato sul piano sociale dello scarabocchio:
per il bambino esso è qualcosa di prezioso, creato da lui per essere offerto agli altri, un dono, una moneta di scambio per dare e ricevere amore e attenzioni dall’adulto, dal quale si
aspetta riconoscimento e gratificazioni. In questo modo il bambino inizia a sperimentare,
anche se in modo molto rudimentale, le sue possibilità di esprimersi, di liberare la propria
energia e di giocare col movimento nello spazio grafico. Gradualmente, assumendo una posizione di fronte al foglio più comoda, per il bambino diventa naturale appoggiare il gomito sul piano del foglio; in questo modo, facendo da fulcro durante l’esecuzione, il gomito favorisce i movimenti dell’avambraccio, consente di staccare più facilmente la matita e migliora la possibilità di diversificare le linee tracciate. Contemporaneamente il bambino, per
la volontà di imitare un genitore o dietro suggerimento, comincia a sostenere il mezzo scrittorio con un’impugnatura digitale (pollice opposto all’indice e al medio); la conseguenza diretta di questa nuova prensione, che coinvolge i movimenti delle dita e le articolazioni del
polso, è l’esecuzione di segni grafici molto più piccoli rispetto ai precedenti. Con l’esercizio
la motricità da spontanea diviene organizzata: se prima l’occhio osservava quello che faceva
la mano, ora è l’occhio che guida i movimenti della mano verso le direzioni del foglio che il
bambino vuole seguire (la coordinazione occhio-mano consente al bambino di far partire il
tracciato in un punto e concluderlo nelle vicinanze di questo formando una specie di cerchio), imparando in questo modo a riflettere, a prevedere le conseguenze dei suoi gesti. In
questo modo la traccia casuale diviene tracciato che presenta un grado più o meno alto di
volontà rappresentativa, con capacità crescenti di organizzazione dello spazio, a mano a mano che il bambino si rende conto dei limiti del foglio, fino a riuscire con l’esercizio, a non
uscire dai bordi se non occasionalmente. L’ impedimento iniziale del bambino che
non riesce ad esprimersi graficamente come vorrebbe è
dovuto alla maggiore difficoltà motoria rispetto alla
difficoltà percettiva. Prendendo sempre più confidenza con “l’ambiente” grafico a
sua disposizione, il bambino
migliora il controllo occhiomano, giungendo a scoprire
e sperimentare le potenzialità di questo nuovo mezzo
comunicativo che gli offre
non solo una soddisfazione
immediata di tipo sensoriale, ma anche il piacere di affermare se stesso, le sue
emozioni, la sua vitalità
nonché la sua aggressività e
ansia. Sin da questa fase è
importante educare il bambino ad una impugnatura
corretta e rilassata: infatti, in
base a come evolve la capacità di maneggiare la penna
parallelamente evolve il grafismo. I benefici di questo
intervento si ripercuoteranno sulle future espressioni
grafiche del bambino: il disegno e la scrittura.
Elena Alì
[email protected]
Giugno 2007
L ' A RT E D I V I A G G I A R E
9
L’ARTE DI VIAGGIARE (I racconto)
“Se la nostra esistenza si svolge all’insegna della ricerca della felicità, forse poche
cose meglio dei viaggi riescono a svelarci le dinamiche di questa impresa. L’Arte di
viaggiare pone una serie di interrogativi, il cui studio può contribuire alla comprensione della felicità” (Alain de Botton)
LA POLINESIA: angolo di
paradiso in mezzo al Pacifico
Anche in questo posto per ultraricchi è possibile fare il backpacker
di GIANLUCA GOFFI
La Polinesia ha da sempre rappresentato nell’immaginario collettivo il paradigma della bellezza
assoluta, un simbolo remoto e costoso. Ci sono andato per la prima volta col pensiero: arriva
un giorno che te la senti dentro, affiora nei sogni dell’adolescenza e avverti che fin quando non
avrai solcato quel mare qualcosa in te rimarrà incompiuto. Quel che rende ancor più leggendario questo arcipelago è la posizione, praticamente all’altro capo dell’emisfero; forse nessun altro
luogo come queste isole ha la forza di evocare la lontananza e l’evasione solo per la sua collocazione sulla cartina geografica.
Chissà quanti sognano di vedere almeno per un giorno il mare incantevole di quest’angolo di
paradiso in mezzo al Pacifico: dinanzi a un simile spettacolo mi sono sentito quasi un privilegiato. E che dire di quel profumo di tiarè e frangipane, sempre presente nell’aria, che ti accompagna… il mio naso pagherebbe oro per poterlo sentire nuovamente. Quello che la Polinesia
può regalare va cercato nella sua natura spettacolare, negli assoluti dei suoi paesaggi marini,
nella sua luce unica al mondo che nulla ha a che vedere con la modernità della nostra routine
quotidiana.
Immensa o minuscola? Sbriciolata nella grandezza del Pacifico la Polinesia conta più di cento
isole divise in cinque arcipelaghi, cento mondi tutti da scoprire. L’arcipelago più conosciuto e
più visitato, a cui il capitano James Cook diede il nome di Isole della Società, si culla le sue due creature più famose: Tahiti e Bora Bora. Queste sono le
isole cui la Polinesia deve la sua fama mondiale. Ma che dire di Huahine, l’isola selvaggia e incontaminata, solamente sfiorata dal turismo (e quindi la
mia preferita), o di Moorea, piccolo lembo di terra che giace conscio della sua
meraviglia accanto alla sorella maggiore Tahiti.
Spesso si associa l’Arcipelago ad una meta irraggiungibile per via dei prezzi
faraonici che regnano in quei luoghi remoti: niente di più vero. Nonostante
ciò, la Polinesia può essere anche quella dei backpacker, letteralmente ragazzi – e non solo – con lo zaino in spalla che viaggiano con un budget limitato, a metà fra il turista e l’esploratore, persone dedite al vedere più che ai piaceri della vacanza tradizionale; pur tra mille difficoltà, anche in questo posto
per ultraricchi è possibile fare il backpacker.
La Polinesia è anche il Reefbreak Teahupoo, surfare le onde di Teahupoo (località a sud di Tahiti): questo è lo sport preferito dai tahitiani che lo praticano come un’arte. Per vincere si deve sfidare un’onda che si infrange nella barriera corallina e che ha fama mondiale per la sua pericolosità, un’onda che per
le sue dimensioni si è guadagnata il titolo di “morsa dell’acqua”. Il compagno
d’un surfista che ha perso la sfida ha commentato: “lui non è morto inseguendo un sogno, ma quando ci era dentro”. Solo chi ha conosciuto veri surfisti può capire cos’è il surf per loro, non uno sport, non una passione, non
un credo di vita, ma la vita stessa. E cavalcare un’onda simile… cose riservate solo ad un manipolo di eletti al mondo.
La Polinesia è anche quella di una italiana 45enne, incontrata in una spiaggia
a sud di Tahiti con la sua aria da eterna hippie, scappata da una cupa Genova, un marito infedele, un passato da dimenticare, un lavoro perso. Una donna che mi racconta in un’ora tutta la sua vita e la sua speranza di sbarcare il
lunario vendendo composizioni floreali in quest’angolo di paradiso. Insomma, una donna fuggita dal vivacchio tanto caro (o forse, per meglio dire, odiato!) a Carmelo Bene, per una vita da sogno? Chissà…
Mi sono spostato di isola in isola non sugli aerei della Air Tahiti, ma su navi
cargo: è qui che si incontrano i veri polinesiani, quelli che si spostano per lavorare e per trasportare viveri e materiali, i polinesiani dalla carnagione scura, mastodontici e molto diffidenti verso noi musi bianchi. E’ favoloso fare la
loro vita, svegliarsi all’alba con una colazione fatta di mango e papaya appena raccolti, esplorare quel mare da sogno su una piroga e la bellezza delle isole in bicicletta, godendosi dalle colline i magnifici panorami. E poi al tramonto sedersi tutti in cerchio con in mano una bottiglia di birra Hinano (che,
fra l’altro, non è neanche male) al suono di una chitarra che intona le caratteristiche canzoni tradizionali. E’ qui che si scopre che in realtà questi insulari sono persone amabili, gente che sembra non aver ancora conosciuto la
nostra ipocrisia e che conduce una vita semplice fatta di cose semplici.
Spero che da queste poche parole emerga la differenza fra il visitare la Polinesia e il vivere la Polinesia e, soprattutto, quanto sia povera la vacanza del
ricco turista da bungalow air conditioned a mille euro a notte, con escursioni programmate, spettacolo diurno dei delfini, animazione e balli serali.
Si può chiedere di più che rilassarsi al sole su una spiaggia bianchissima che
giace beata su un mare cristallino dalle mille sfumature, coccolati dalla calda
brezza marina che si fra strada fra distese di palme di cocco? “C’è un’insulare Tahiti nell’anima di ogni uomo”, scriveva Herman Melville in Moby Dick,
ma le parole che più rendono onore a queste isole vengono dal libro di Syusy
Blady, la celebre presentatrice del programma “Turisti per Caso”: “Ma una
volta che sono arrivata qui come farò ad andarmene? Che senso ha proseguire quando si è trovato quel che si cercava? In Polinesia, dal momento in
cui arrivi, c’è un’esaltazione tale che cresce continuamente per la bellezza assoluta delle cose”.
Là dove il mare passa dal blu cobalto al verde smeraldo al bianco candido, là
dove un solo tramonto si ricorda per tutta la vita, là dove l’arcobaleno dopo
gli acquazzoni tropicali pomeridiani si riflette sull’acqua che assume una brillantezza assoluta, là dove il sogno diventa realtà. Una volta preso, il mal di
Polinesia non è solo un male incurabile, ma entra nel DNA e ne diviene parte integrante. A proposito, se un giorno decidete di andare, mi raccomando
cercate bene e provate e riportarmi il pezzo d’anima che ci ho lasciato!
[email protected]
10
AT T U A L I T À
Giugno 2007
Facciamo finta
Speciale Moda
che sarà per sempre? L a M o d a d e i p i e d i
a cura di ELISABETTA M. GALLI
Il primo libro di una giovane
scrittrice marchigiana
Presentiamo ai nostri lettori una nuova scrittrice. E’ giovanissima, 21 anni, si chiama Ada Birri Alunno ed è brillantemente arrivata alla pubblicazione della sua opera prima.
Le chiediamo di tracciare le tematiche affrontate in questa
sua prima fatica letteraria.
“Il titolo è: Facciamo finta che sarà per sempre? È edito dalla Casa Editrice “Il filo” di Viterbo. Mi piace pensarla come
una collezione di racconti. In nessuno appaiono nomi. Solo l’ultimo, il commiato, si svolge in un luogo preciso: New
York. La notte prima del tragicamente famoso 11 settembre
2001”.
Soddisfatta del risultato raggiunto?
“Sì, particolarmente. Tenendo conto che, pubblicarlo un libro è difficile, ma lo è ancora di più riuscire a venderlo! In
ogni caso è una conquista. Ripensando soprattutto a quando frequentavo il Liceo e il mio professore di Italiano odiava il modo in cui scrivevo. Detestava il mio uso della punteggiatura e tentava in ogni modo di mettere almeno un segno di penna rossa”.
Idee e programmi per il futuro?
“…Scrivere. Per passione, sempre. Mi piacerebbe scrivere
per chi non ha voglia di leggere, o per chi non ha tempo. Mi
piacerebbe scrivere per i “pigri”. Ho la caratteristica della
sintesi e i libri che mi hanno lasciato qualcosa, forse per coincidenza, sono i libri che non contano più di cento pagine.
Se si sfatasse l’idea che per saper scrivere è necessario scrivere un’opera di 400 pagine…forse la gente leggerebbe di
più”.
(G.Pier.)
Quale sarebbe stato il destino di Cenerentola se non avesse perso la scarpina di cristallo?
La favola indirettamente induce ad una riflessione che coinvolge il legame che si crea tra una calzatura e colui che dopo averla scelta la indossa; anche questa come molti altri oggetti femminili rispecchia buona parte della nostra personalità e del nostro voler apparire diventando in alcuni casi un’“arma a doppio taglio”.
Le origini delle scarpe, risalgono alla preistoria, quando l’uomo sentì il bisogno di proteggere
quelle due parti del proprio corpo che gli consentivano di camminare utilizzando una corteccia,
delle foglie intrecciate o pelli d’animale avvolte attorno al piede trattenute da rudimentali lacci
legati alla gamba. Con gli Egiziani ci fu un miglioramento sia estetico sia pratico, la loro calzatura fu il sandalo, dalla forma semplice che rimase inalterato nel tempo, fatto di fibre vegetali
leggere e pelli spesso colorate e decorate con fibbie d’oro. I Greci invece produssero una gran varietà di modelli adatti a più esigenze come sandali di legno o sughero, stivaletti allacciati a mezza gamba di cuoio o stoffa e così via; in questo periodo non c’erano grandi differenze nello stile
e nella tipologia tra calzature maschili e femminili. Grandi maestri calzolai, furono i Romani, famosi per le “caligae” un sandalo dalla forma piatta robusto e resistente usato nelle battaglie. Nel
Medioevo invece una tra le calzature più diffuse, inizialmente portate solo dai nobili, era una
scarpa foderata in pelle caratteristica per la punta estremamente lunga e sottile. Parlando di scarpe è inevitabile e curioso chiedersi, quando nacquero quei “centimetri in più” che ancora oggi ci consentono di modificare
l’altezza: i tacchi. Prima del loro arrivo, le signore per sembrare più alte portavano scarpe con rialzo pari a tutta la lunghezza della suola, con cui, però camminavano a fatica perché poco comode. Solo nel 1500 furono prodotti i primi tacchi, piccoli di legno o sughero, cubici, cilindrici, lisci e scolpiti che, con il passare del tempo, raggiunsero ottimi risultati tra altezza ed equilibrio grazie alle nuove tecniche di realizzazione. La prima scarpa con tacco risale al 1533, indossata da Caterina
de’Medici per il suo matrimonio a Parigi, il modello poi fu adottato nella corte francese dove i tacchi divennero un segno di
privilegio, poiché le classi meno benestanti non potevano permettersi scarpe così poco pratiche. Ancora oggi, usato da molti stilisti, è il tacco “Luigi”, largo alla base così chiamato perchè nato sotto la sua corte. Continuando a parlare di scarpe, colui che contribuì a rendere popolari le zeppe dopo la loro prima comparsa nel 1600, fu lo stilista Salvatore Ferragamo fra gli
anni 1930-50, i suoi modelli furono indossati da molte dive tra cui l’indimenticabile Audrey Hepburn.
Ma cosa ci consiglia la moda per questo 2007?
La collezione Vicini propone décolleté retrò a punta tonda con cinturini anni ‘40, forme ultrapiatte con punte sfilate dai colori decisi come il rosso, il nero e il bianco ottenuti per effetto di vernici spalmate su superfici di tela industriale. Tornano
quest’estate, alte 12 cm, zeppe d’ogni genere, sportive ed eleganti in sughero, legno e corda decorate con fiocchi e fiori in organza. Sandali con lacci che si attorcigliano alla caviglia sono quelli in plexsiglass firmati Dolce e Gabbana, con tacchi a spillo e con lustrini quelli di Mario Bologna. Nelle vetrine risaltano anche le coloratissime ballerine, comode, leggere ed eleganti in vernice con applicazioni e ricami, in tessuto a stampe floreali, arricchite da piccoli cristalli e perline. L’ultima moda sono gli zoccoli Crocs, per meglio dire in stile “ospedaliero”, definiti “le scarpe più brutte mai create” in cellulosa colorata, con
fori nella parte superiore della calzatura che permettono al piede di respirare. La comodità sta nel fatto che questi si possono indossare ovunque, anche sotto la doccia e stanno riscuotendo molto successo tra i vip Hoollywoodiani i quali possono
permettersi anche qualche centimetro in meno….
[email protected]
11
Giugno 2007
Il gusto del bello da ROBERTA
Aria di primavera-estate all’EUROSTOK
Da Roberta è arrivato un treno carico di cose stupende. Abiti confezionati con tessuti esclusivi, impreziositi da raffinate applicazioni (alcuni lavorati a mano da esperte ricamatrici). Shorts e pinocchietti in un lino particolare e in sangallo, per le più giovani. Un tripudio di abiti, stravaganti ma
sempre nel segno della raffinatezza, per tutte le età, per tutte le donne, per
tutte le taglie, per tutte le esigenze. La titolare, Roberta Tarducci, una donna briosa ed elegante invita tutte ad abbandonare la moda tradizionale per
ritrovare il gusto del bello contro la sciatteria, per sentirsi diverse con abiti esclusivi, per valorizzare la nostra personalità. La moda ha il potere di
dar forma e immagine alla percezione che abbiamo di noi stesse e degli altri e da Roberta abbiamo di che sbizzarrirci. Capi unici di sartoria, ma a
prezzi popolari. Inoltre pantaloni, giacche sfiziose, abiti
griffati, pezzi vintage, bustini, maglieria originale, abiti
francesi e molti modelli di
gonne – la stessa Roberta è
un’amante della gonne, simbolo senza tempo di femminilità - Per questa estate sì al
bianco in tutte le tonalità,
ma anche all’oro e all’argento. L’entrata è libera, varcate
la soglia, scoprirete un
mondo di fiocchi, di colori,
di tanti tessuti, di svariati
materiali e ritroverete il gusto del bello. Una capatina
da Roberta per riempirci gli
occhi di luce e l’anima di
gaudio e…non ditelo a nessuno: è anche la mamma di
Fibra e di Nesli!
Roberta moda accessori
Via Cavour, 36
Tel. 071 63317 Senigallia
I negozi di stoccaggio Eurostock sono presenti da circa 10 anni nella nostra regione, quello di Senigallia dal 2002. La concezione di questo tipo di negozio è quindi differente da quella del classico negozio d’arredamento. L’ampio spazio espositivo interno ha al suo esterno un parcheggio ampio e comodo. Il giovane personale di servizio è attento ed efficiente. Quindi se dovete arredare
la vostra casa dalla A alla Z, come si dice, qua troverete tutto ciò che occorre dall’arredamento vero e proprio a tutti gli “accessori” ovvero casalinghi e oggestica, luci, prodotti di pulizia e igiene
personale, cartoleria e ancora tanto altro….
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sdraie ecc. insomma tutto il necessario, compresi porta vaso e tagliaerba. Per la casa, il reparto cucine presenta varie soluzioni, complete d’elettrodomestici da soli 890 euro; le camerette per i bambini costano dai 350 euro in su le matrimoniali da 390. La zona per il relax, il salotto, offre salotti
in pelle, da tre posti più due, da 850 euro in su e vari modelli in tessuto; vasta la scelta di soggiorni con pareti attrezzate sia di linea moderna sia classica sia in arte povera con vetrine e credenze. Per l’arredo-bagno svariate e molteplici sono le soluzioni, con mobili-lavabo, vasche o cabine-doccia, mobiletti e tanti
accessori. Non mancano le
reti i materassi e i cuscini. Il
settore della biancheria per
la casa propone lenzuola,
asciugamani, coperte e tovaglie. Se dovete comprare o
cambiare il vostro elettrodomestico qua troverete vari
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SENIGALLIA
14
Un senigalliese emigrato in Germania
Giugno 2007
La storia di Marco Bastari
COPRAMATUR
sempre più attivo
Era il 1974, Marco aveva 29 anni ed era un giovane dinamico, amante dello sport, era anche un campione di ciclismo,
il migliore della Regione Marche. A Düsseldorf, in Germania
c’erano i Giochi Olimpici e Marco non può rinunciarvi. Parte con una gran voglia di libertà, ma ancora ignaro che da lì
in poi la sua vita avrebbe avuto connotati ben diversi. Tempo previsto di permanenza nella capitale del Lander del
Nord Reno:
4
giorni.
Sono passati 33 anni e
Marco Bastari (a sx
nella foto),
senigalliese,
la Germania non l’ha
più abbandonata. Inizialmente è stato un colpo di fulmine per una donna bavarese – così diversa dalle nostre – ad avergli fatto prender la
decisione di non ripartire. Compie solo un breve viaggio, da
Dusseldorf a Monaco di Baviera, dove - rimasto senza pecunia - va alla ricerca di un lavoro. “Non fu facile, era tutto
nuovo per me, non conoscevo la lingua, sapevo solo alcune
parole, quel tedesco definito “da spiaggia”, quei pochi termini che servivano per accalappiar le turiste in vacanza a
Senigallia”. “Trovai un posto come commesso in un negozio
di calzature. - continua Marco Bastari che abbiamo raggiunto al telefono - Acquisii esperienza e pratica, mi fecero direttore di una catena di negozi e poi decisi, 25 anni fa, di rilevare una filiale di calzature rigorosamente made in Italy da
un israeliano. Da quel momento in poi io e mia moglie cominciammo a lavorare freneticamente, dalle 9 del mattino
alle 20. Sono stanco, sono arrivato a 62 anni, ho bisogno di
Il coordinamento Reg.le per la Promozione Attività multifunzionali e Turismo Rurale (Copramatur) con sede a Senigallia annuncia che, grazie all’accoglimento di alcune proprie specifiche richieste qualificanti nel Psr 2007/2013 relative a finanziamenti per attività agricole connesse con priorità nelle aziende biologiche (bioagriturismi, biofattorie didattiche, bioagrienergie ecc…)avvierà una serie di iniziative
illustrative dei nuovi vantaggi, specie in forme associative o
in filiere territoriali di qualità. Maggiori dettagli verranno
forniti in un’intervista al coord. Reg.le, dott. Alberto Bruschi che illustrerà anche un ambizioso programma di marketing territoriale integrato denominato “NaturArte” volto
all’animazione del turismo rurale comprensoriale. Con l’occasione il
Copramatur
esprime viva soddisfazione,
in
quanto a seguito
di
azioni
di
pressione
curate dallo
stesso coordinatore
con i sindacati agricoli nazionali, il Ministero competente, tenuto conto della crisi del settore, ha disposto uno slittamento degli
adeguamenti e relativi ricorsi dei nuovi estimi catastali legati a colture oltre a misure in corso di studio per la semplificazione degli accatastamenti di fabbricati ed accessori
rurali ed ex-rurali.
riposo…”. Dunque la bavarese di cui si era invaghito è diventata poi sua moglie “Già. E’ mia moglie da un bel po’ di
anni. Originaria del nord della Germania, ma ha la mentalità di una napoletana, di una delle nostre donne del sud. Abbiamo avuto 2 figli, Maurizio e Franco di 22 e 24 anni, entrambi studiano all’Università, il più grande una volta finiti
gli studi subentrerà al mio posto, sempre se non cambierà
idea prima. La scelta lavorativa è una scelta di vita importante, deve avere tutto il tutto tempo e tutta la libertà di rifletterci”. La sente la nostalgia di Senigallia? “A Monaco sto
molto bene, la qualità della vita è alta, è una città molto
tranquilla, non c’è delinquenza, è molto pulita e la gente è
onesta, anche troppo!” In che senso? In che modo l’onestà,
che è una delle virtù più bistrattate del nostro tempo, può
essere eccessiva? “I tedeschi sono precisi, rigorosi, pignoli.
In questo differiscono completamente da noi che siamo
molto più “pressappochisti”. Pensi, per farle un esempio,
che una cliente del mio negozio si è presentata dopo tre anni con la Ricevuta per cambiare l’acquisto. Anche se devo
ammettere che mi sono abituato, ci sto bene, a me piace la
precisione”. Ci sarà pur qualcosa che le manca di Senigallia?
“Il mare, in primis. Sono cresciuto in Via Rieti, proprio a ridosso della Spiaggia di Velluto e non appena ho l’occasione
torno a trovarlo. E poi gli amici – fortunatamente ne ho ancora molti, perché torno spesso – e mi mancano i suoi colori e il cibo”. So che è tornato per le festività pasquali, come l’ha trovata la città? Cambiata? In un buono “stato di salute”? “Devo dire con sincerità che l’ho vista migliorata,
ogni volta mi pare sempre più bella. Ho apprezzato la zona
pedonale in Via Carducci e il nuovo Corso Matteotti. D’Inverno sto volentieri a Monaco, ma come arriva l’estate non
vedo l’ora di far le valigie e partire alla volta di Senigallia.
Quando andrò in pensione vorrei fermarmi almeno due mesi, ho così voglia di tornare a godermela”
Letizia Stortini
Alla Spiga il più vasto assortimento di costumi
Merita nuova luce
Se entrerete nel colorato mondo de La Spiga, negozio d’abbigliamento per l’estate, avrete di che sbizzarrirvi. Un variegato assortimento di costumi da bagno per
Uomo, Donna e Bambino. Per tutti coloro che fanno del proprio corpo un’altera
esaltazione della bellezza o un’arma di seduzione o semplicemente per stare bene con se stessi,
vestendo
un
modello
che
meglio si confà
alle vostre esigenze. La vitalità dei colori e le
fantasie, arricchiscono ulteriormente tutta
la serie di costumi da bagno
con i relativi accessori: borse,
teli… Modelli
eleganti ed originali e tutti supportati dalla qualità del made in Italy. Griffe come ETOILE di Rovigo, LE MILLE BOLLE BLU, LA ROSA BLU o TWEETY per i più piccoli. Un’offerta vastissima per scegliere al meglio il proprio capo, quello che meglio ci personalizza.
Inoltre La Spiga si distingue anche per un buon rapporto qualità-prezzo. Dal 2001
il negozio è gestito da una sorridente signora, Noemi Marchetti e da suo marito,
persone cordiali e pronte a soddisfare al meglio le vostre richieste.
Provate, entrate, rimarrete esterrefatti, tutta la merce è a vista, i vostri occhi ne potranno godere.
Il negozio rimane aperto tutti i giorni dalle 9.00 alle 12.30 e nel pomeriggio dalle 16 alle 20 e la sera dalle 21 fino a tarda notte.
Da non perdere il 7 Luglio una sfilata di moda nella piazzetta antistante il negozio, sotto Palazzo Venezia, una serata d’intrattenimento con musica e piano bar.
LA SPIGA Lungomare Alighieri, 52 - Senigallia
Il ritratto di Gasparo
Arsilli
di GABRIELA SOLAZZI librisenzacarta.it
È rimasto nell’ombra per alcuni secoli e un po’ di quel buio si è attaccato alla sua immagine. Mi riferisco al ritratto di Gasparo Arsilli che si trova a Palazzo Augusti Arsilli (cronologicamente Arsilli Augusti). Ora il quadro è stato spostato dallo scalone allo studio del Direttore, per una più attenta conservazione. Probabilmente è l’unico ritratto dell’epoca rinascimentale rimasto a Senigallia
(dopo che quello di Francesco Arsilli, opera di Sebastiano del
Piombo, portato in Ancona alcuni
decenni fa, non è più tornato nella nostra città). La scritta in alto
riporta «GASPAR ARSILLUS I U
D ANN XXVI MDXXXX». Il quadro è piuttosto scuro e anche la figura ritratta appare “opaca”, triste. Ma una foto digitale che io,
dilettante, ho fatto (per una conferenza di mio marito), inaspettatamente ne ha modificata l’immagine! È apparso un giovane vestito con sobria eleganza, con un
berretto simile a un basco da pit- “Come potrebbe tornare a sorridere”
tore da dove fuoriescono alcuni
ciuffetti di capelli castani; rivolge allo spettatore uno sguardo chiaro e diretto, ma pacato, ha
un incarnato roseo e forse con efelidi. Nella foto digitale sono riapparsi i colori che la patina del tempo ha nascosto all’occhio nudo, è riemerso il “giovane”, che forse avrebbe tanto
da dire a noi posteri, concittadini ignari della rilevanza che lui, Gasparo Arsilli, ha avuto nel
suo tempo (aggregato al Consiglio cittadino a 26 anni, Gonfaloniere a 30, laureato a Bologna in Diritto, uomo di legge con vari incarichi a Parma, Genova, Firenze, Bologna, Roma,
Macerata, stimatissimo dai giureconsulti romani dell’epoca). Non sappiamo chi è l’autore
del quadro, forse un pittore minore, ma l’opera merita senz’altro la nostra attenzione e speriamo in un altro provvido, felice restauro per la sollecita cura della Sovrintendenza!
[email protected]
Giugno 2007
SENIGALLIA
Un professor di Matematica alle prese con il Verso
15
SINERGIE CON LA PRO LOCO
Le “Primule fucsia” di Mauro Marcellini Insieme il gruppo
fotografico F/sette
Espressivita’ latenti di Federico Curzi
E’ uscita una raccolta di poesie dal titolo “Espressività latenti”, l’autore è Federico Curzi che ha voluto raccogliere in un Unicum i suoi componimenti più belli. Versi ermetici, criptici, bisogna trovare una seconda chiave di
lettura per arrivare a comprendere il significato delle metafore. L’autore stesso afferma “La poesia è l’essenza dei
sentimenti”. Il volume è stato realizzato grazie agli sponsor come Bice Ristorante, Centro Studi Blu Jarma, Olos
erboristeria, FilmInvideo.
L’Associazione Pro Loco “Spiaggia di Velluto” si è riunita
per discutere il programma, oramai definitivo, sugli eventi
estivi organizzati. E’ stata l’occasione anche per stipulare
una nuova sinergia. L’Associazione F/sette nata nel 1990
che in sè raggruppa appassionati della fotografia ha deciso
di entrare a far parte della locale Pro Loco creando una sezione dedicata appunto alla fotografia, questa importante
forma d’arte particolarmente legata alla città di Senigallia. I
fotografi sono: Massimo Marchini, Marco Pierfederici, Leonardo Bellagamba, Marco Mandolini, Davide Maglio, Paolo
Piermarioli, Franco Mariangeli, Fabio Neri, Michele Medici. Cultori con significative esperienze alle spalle, con numerose collettive e personali in giro per l’Italia. Per chi fosse interessato ad attivarsi per questa nuova sinergia tra le
due associazioni può contattare il numero: 347.9672146.
Vari sono progetti da realizzare insieme. Un primo è uno
sguardo sulla Fiera di Sant’Agostino. Durante il tradizionale appuntamento dell’estate i fotografi immortaleranno immagini e situazioni, ognuno con in una sua personale ed
originale prospettiva.
Ricordiamo inoltre i prossimi appuntamenti della Pro Loco: 1^Edizione della Mostra di modellismo-collezionismo
dal 14 Luglio al 12 Agosto presso la scuola Fagnani. Gli interessati che avessero la volontà di partecipare possono rivolgersi al numero: 328.9849109 (non oltre il 1 Luglio).
Dopo il successo ottenuto lo scorso anno si rinnova l’appuntamento con Via Carducci incontra l’Arte, mostra di
pittura in tutti i week end di Luglio ed Agosto. Evento organizzato insieme all’associazione di Ancona “Archi Vivi”.
All’interno della mostra anche uno spazio dedicato alla fotografia con i Reportage di vita del mondo di Giorgio Pegoli.
Appuntamento con la Danza del Ventre Una “ferramenta per amico”
Esistono numerosi benefici per il corpo e per la mente che vengono associati all’esercizio
di questa antica arte, definita anche “danza orientale”, chiamata “Belly Dance” in inglese
e “Raks Sharki” in lingua originale. Attraverso la musica e la danza,la creatività ritrova un
suo spazio dove la ragione si concilia con la passione.Nella danza la disposizione in forma circolare delle danzatrici che unisce senza inizio e senza fine, consente di celebrare un
femminile positivo, che può aiutare a superare il rifiuto totale o parziale del proprio genere sessuale, presente talvolta in alcuni momenti evolutivi o in alcune difficoltà psicologiche. Chi è interessata a sperimentarsi ma sopratutto a divertirsi è possibile partecipare
ad una lezione di danza orientale che si terrà il giorno 23 giugno dalle ore 17.00 alle
ore19.00 gratuita nella palestra Centro Studi Danza presso la Coop Saline. Il corso è tenuto dall’insegnante Noemi Donati,che da anni gestisce corsi qualificati e preventivi
Prima della guerra la “bottega artigiana” di Brenno Colocci, idraulico
e ottonaio, era in Corso 2 Giugno; poi negli anni trenta si sposta in
Piazza Roma dove si poteva, allora comprare anche qualche articolo
di materiale elettrico e per la casa come le posate, ecc. Dopo
il 1946 si di oggetti
ni quotidiane,
trasferisce in Via Commercianti e nel 1981, alla tradizione
di
Colocci
dore e
ne percepiamo il
subentra l’attuale proprietario Maurizio che fin da ragazzo“C’è
habisogno
impara- di colore, c
to il mestiere nella ferramenta. Ora il gran negozio comprende
anche è colorato
Il mio mondo
articoli per la spiaggia quali ombrelloni e sdraie; per ilsicampeggio
inventa nulla, non si
borse termiche, borracce, lampade, fornelletti. Cassette per
fiori, balneamente,
ci sono tanti
coniere e terriccio; vasto assortimento di vernici e colori. Tende
dapreferito
soil colore
di mia
la Poesia mi è sempre piaciuta, continuai a leggerla comLa raccolta è costituita da
prando libri su libri. Eppure pensavo di non scrivere male,
compattezza risulta un l
rifica, in una dialettica m
riunire in sé l’introspezio
Il libro di poesie Primule
dalla BTB (Biblioteca di
ne culturale “Sena Nov
dini, senza la collaboraz
sarebbe mai avvenuta.
dott. Antonio Maddamm
ro Pierfederici che ha de
tenuti nel volume; All’In
parte informatica; Alla d
ste grafica; ad Andrea M
la vena artistica di suo p
anche se l’incipit del primo Verso :è Non so scrivere poesie”.
Il mondo, visto da questo novello poeta, è oggetto di curiosità attonita e insieme di scavo conoscitivo e viene meditato e riproposto con un’ironia sottile, quasi tutti i versi vibrano di una singolarissima nota giocosa.
“La mia Poesia è positiva – sottolinea Mauro Marcellini – [email protected]
co di trasmettere, di condividere un’energia favorevole. Sono
un ottimista. Nei miei Versi c’è l’Amore. Amore per la vita”
Sensibile e talvolta scoperto la sua Poesia si nutre di emozio-
SENIGALLIA
16
Michele Sanna tra i restauratori
della “Calamita Cosmica”
di Gino De Dominicis
Si porta ancora dietro il genio marchigiano la straordinaria
“Calamita Cosmica”, monumentale ironica installazione di
Gino De Dominicis esposta a Milano, che nel 2005 aveva
catalizzato l’estate anconetana giacendo all’interno della
Mole Vanvitelliana. Nello staff c’è anche il senigalliese Michele Sanna “Una bellissima esperienza lavorativa” - sintetizza entusiasta il giovane artista. Il restauro è durato mesi
ed è stato realizzato assieme a Davide Arbia e al coordinamento dei professori Carlo Bruscia e Giulio Marcucci “Poche volte capita il restauro di un’opera moderna-contemporanea di grande importanza come questa” - ammette Sanna.
L’installazione a Milano è stata voluta dal critico e attuale
assessore comunale alla cultura Vittorio Sgarbi. Lo “scheletrone” di circa 24 metri e 80 quintali di peso, con il vistoso
naso da Pinocchio e l’asta dorata sospesa sulla mano destra
come ideale raccordo tra vita e morte, terra e cosmo, ripo-
sa in piazza della Signoria, centralissima agorà a fianco al
Duomo milanese. Da lì, il genio dell'anconetano Gino De
Dominicis continua a provocare i passanti con questo paradossale ironico memento mori, aperto a mille interpretazioni e speculazioni. Dopo Milano, la “Calamita cosmica”
dovrebbe ripartire per altre prestigiose destinazioni europee, prima di trovare la sua collocazione definitiva nel 2008
a Foligno, nello spazio permanente che la Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno (proprietaria dell’opera) ritiene
ideale. Esposto per la prima volta a Grenoble e poi a Napoli, nel 2005 lo Scheletrone è arrivato ad Ancona, per la prima volta proposto al completo con l’asta dorata. Totalmente smontabile, costola per costola, è realizzato in polistirolo, ferro e resina. Il trasporto a Milano ha richiesto la disponibilità di 3 Tir.
TIME MACHINE
Mandateci le vostre foto del passato a: [email protected] o in Via Copernico,3 - Senigallia
1958
1984
Patrizia, insegnante
con sua madre
Elena, Barista
1977
Federico, barista
1992
Flavio, studente
[email protected]
Giugno 2007
Giugno 2007
COMUNE DI SENIGALLIA
17
La città in bicicletta
Bike sharing: attivato il nuovo servizio
di noleggio gratuito
L’assessore alla mobilità Simone Ceresoni
Senigallia è entrata a far parte del ristretto novero delle
città italiane che promuovono in modo concreto l’uso
abituale della bicicletta come mezzo privilegiato di trasporto in città. Da giugno infatti l’Amministrazione Comunale -assessorato all’ambiente - ha attivato il servizio
di noleggio gratuito di alcune speciali biciclette di proprietà comunale - bike sharing - che verranno collocate
in alcune zone strategiche della città a disposizione di residenti e turisti. L’utilizzo delle biciclette è disciplinato da
alcune semplici regole che cerchiamo di riassumere.
IN COSA CONSISTE IL NUOVO SERVIZIO
Consiste nel mettere a disposizione dei cittadini biciclette di proprietà comunale che verranno collocate in 10 rastrelliere ubicate in alcuni luoghi strategici della città.
L’utilizzo dovrà necessariamente avvenire nella fascia oraria compresa tra le 7,00 del mattino e la mezzanotte.
CHI POTRA’ UTILIZZARE LE BICI DEL COMUNE
I cittadini maggiorenni residenti o che studiano o lavorano in città ed i turisti che vi soggiornano
COME FARE PER NOLEGGIARE LE BICI
E’sufficiente andare all’Ufficio Comunale Relazioni con il
Pubblico in piazza Roma, compilare un modulo e versare
una cauzione di 5 euro. Il cittadino riceverà subito una
chiave codificata che, inserita nel dispositivo presente
nella rastrelliera, permetterà di sganciare la bici comunale e poterla utilizzare. Dopo averla utilizzata la bici dovrà
essere riposta nella stessa rastrelliera dalla quale è stata
prelevata. Nel momento della riconsegna definitiva della
chiavetta, l’Ufficio gli restituirà la cauzione versata.
OBBLIGHI DELL’UTILIZZATORE
Il cittadino utilizzatore dovrà custodire diligentemente la
bicicletta comunale, utilizzarla entro la fascia oraria consentita, risarcire i danni subiti dal mezzo durante il suo
utilizzo. Il servizio comunale competente verificherà, attraverso il dispositivo informatico della rastrelliera, il
corretto utilizzo della bici ed in caso di accertamento di
violazioni delle regole d’uso sottoscritte attraverso il modulo potranno essere applicate penalità economiche
DOVE SI TROVANO LE BICICLETTE
Le rastrelliere con le biciclette comunali si trovano nelle
seguenti aree: Stazione F.S., Stazione degli autobus nel retrostadio, nel Lungomare di Levante ( Ponte Rosso,Ciarnin,Marzocca) ed in quello di Ponente ( zona nei pressi del giardino del fanciullo e Cesano)
COLLEGAMENTO CON ALTRE CITTÀ
La chiavetta che il cittadino riceverà dall’Ufficio relazioni con il Pubblico darà la possibilità di utilizzare le biciclette
comunali che si trovano nelle altre città che aderiscono a questa iniziativa:Bologna, Ferrara,Modena,Ravenna e tutte altre individuate nello specifico sito internet www.centroinbici.it
CARATTERISTICHE DELLE BICICLETTE
Le biciclette comunali avranno caratteristiche tecniche speciali che le rendono particolarmente robuste e resistenti ad
intemperie ( cerchioni in alluminio, ruota con gomma piena, telaio speciale, sella marchiata a caldo con il logo dell’iniziativa).
Per ulteriori informazioni è possibile contattare l’Ufficio Relazioni con il Pubblico 0716629328
[email protected]
18
VA L L I M I S A N E V O L A C E S A N O
Giugno 2007
San Michele al Fiume: le origini (Ultima parte)
di GIUSEPPE PIERANGELI
I LONGOBARDI
I Longobardi, o uomini dalla lunga barba, popolo guerriero a
tal punto da considerarsi un “exercitus” calano in Italia, guidati dal loro re Alboino, nel 569.
“Le peregrinazioni di questo popolo – scrive G.Luigi Barni –
furono lunghe nel periodo in cui molte ondate barbariche
scorrevano fuori dell’impero romano e premevano sul “limes”
di detto impero; divennero poi federati dei Bizantini dai quali ottennero come sede la Pannonia. Un corpo militare di Longobardi combattè in Italia a fianco delle truppe di Giustiniano contro i Goti in quella lunga guerra che doveva ridare questa terra all’impero – ormai impero
romano d’Oriente – e durante le
quali tali ausiliari dovevano aver
modo di conoscere quella che doveva essere la futura sede…”
Dopo aver istituito il ducato del
Friuli, eletta Pavia propria capitale,
scendono lungo l’Appennino dove
originano i ducati di Tuscia, di Spoleto e di Benevento, spingendosi
con Autari fino a Reggio. Per contrastarli i Bizantini si alleano nel
588 con i Franchi che scendono
per la prima volta in Italia. “Sulla
costa adriatica – scrive Sergio Anselmi – allora, vanno ridefinendosi
le aree di influenza tra i Bizantini di
Ravenna (Esarcato e Pentapoli) e le
genti germaniche del Ducato Spoletano desideroso di raggiungere il
mare”. Nel 727 avvenne la ben nota donazione di Sutri. Il re cattolico
Liutprando occupò, come difensore del Pontefice, Bologna con le sue
terre, la Pentapoli fino ad Osimo ed
anche Sutri, nel Ducato Romano
che, su espressa richiesta del Papa
Gregorio II, venne riconsegnata alla Chiesa che, per la prima volta,
otteneva il potere temporale su una
città. E’ forse questa la data alla
quale si può ipoteticamente far risalire lo stanziamento di genti Bulgare e Slave sul territorio
delimitato dalla: sinistra del fiume Cesano; cresta collinare
spartiacque tra il Metauro ed il Cesano conformemente all’attuale strada orcianese che all’altezza di Piagge curva a sud per
scendere a Rialdone; il Rio che da Orciano, passando per
Mondavio, scende fino a San Michele e si getta nel Cesano.
Dopo la “donatio carisiaca” di Pipino, con la quale la Repubblica dei Romani rientrava in possesso delle terre conquistate
da Astolfo, la Chiesa Ravennate diventa proprietaria di molta
parte del nostro territorio. Nel 774, con la sconfitta di Desiderio alle chiuse, presso Susa, ha fine il Regno Longobardo in
Italia; Carlo Magno, il vincitore, viene incoronato in San Pietro, la notte di Natale dell’800, Imperatore del Sacro Romano
Impero.
IL CASTELLARO
La “Curtis” è stata un’organizzazione politico-amministrativa
con la quale i longobardi organizzarono stabilmente l’economia agricola. Di questa presenza longobarda, oltre al toponimo “Castellaro” e alla dedica all’Arcangelo guerriero della
chiesa di San Michele del Fiume abbiamo anche i vocaboli
“Sala” (Rio di San Michele detto “Saletto” o “Saliceto”) e “Gahagi” (Ponte delle Gagge). Le vicende del Castellaro di Guido sono strettamente collegate ai destini di Sant’Eleuterio prima e, successivamente, alla costruzione del Castello di Mondavio. Questa grande proprietà viene nominata per la prima
volta nel 1139, il 24 maggio, nella conferma a Fonte Avellana
dei suoi privilegi da parte di Papa Innocenzo II. Nel febbraio
1145 ritroviamo la terra de Guidutio filio Guido come confine di una donazione, da parte di Corbolo figlio di un certo Basto o Ota sua moglie, a Savino priore di Fonte Avellana, di
una chiusa nel comitato di Senigallia.
Nell’aprile 1146 Guido Guidonis, consenzienti Pietro e Aimo
suoi figli, da in pegno a Savino, priore dell’eremo di Santa
Croce di Fonte Avellana, alcuni suoi beni siti nel territorio di
Senigallia nel fondo di S.Eleuterio, per venti soldi inforzati,
con la condizione che, qualora possa riscattare il debito entro
il primo agosto, l’oggetto del pegno torni al cedente: in caso
contrario l’eremo terrà la quarta parte delle messi ed il cedente perderà ogni diritto di riscatto. Il 2 Gennaio 1151, Rainuccio vende all’eremo di Fonte Avellana nella persona del
rettore di Sant’Eleuterio, una pezza di terra nel territorio di
Senigallia nella regione di Sant’Eleuterio al prezzo di ventiquattro soldi di inforzati. Nei confini: a secondo vero latere
detinet Guido Filius quondam Guidonis. Il 19 Giugno 1152
Pietro de Guiducio Guidonis e Guilimarca sua moglie donano a Fonte Avellana tutte le loro proprietà nel comitato di Senigallia e di Fano e cioè: nel Castellaro de Guiducio de Guido e nella sua corte; nel monte Bretenzoni e nei suoi dintor-
ni; in Serqua Cupa e nei suoi dintorni; nella corte di S.Maria
in Portuno; nel piano Sasano; nel Castello di Frattula e nella
sua corte; nel Castello de Marco e nella sua corte; nel Castello Girardo e nella sua corte; nel Castello Belvedere e nella sua
corte; in Campo Longo e nella sua corte ed in qualsiasi altro
luogo. Confini: A primo latere flumen Metauro, a secondo
flumen Isini, a tercio litis maris, a quarto alpis montis. Intra
hec latera damus et donamus et offerimus vobis omnes predictas res, quod est de proprietate nostre quocumque modo.
Idest detenis, vineis,olivis,campis,silvis,rivis,acquis,aquimolis,saleptis,pratis,pascuis,cultis et non culti,ecclesiis,castellis,ripis,fusatis,molendinis,cum arboris frutiferis et non frutiferis,
cum introito et exitu suo et cum
omnibus que infra se aut super se
abentes et sibi pertinentis in integrum. Ego Petrus Tabellio de Urciano scripsi et complevi. Testimoni Buccasso de Gozo, Acto de
Monte Boddo e Martinus Actolus
de Maria e Corbulus de Basta et Johannes Martinelli. Il 4 Aprile 1155
Pietro de Guiducio Guidonis e
Leonardo suo figlio con Guidilmarca e Sofia loro mogli donano
per l’anima propria e dei loro parenti , a Savino priore dell’eremo di
S.Croce di Fonte Avellana ed ai
suoi confratelli, la loro proprietà
nel comitato di Senigallia nella
corte di Castellare, nella parrocchia di Santa Maria de le Terre.
Confini: a primo latere via pubblica qui venit Sancta Maria de le Terri, a secondo de subta via qui venit
Sanctum Petrum et vadit Sancti
Micaelem; a tercio latere ipsia
clausura qui olim fuit Trasbertus
Viviani et modo est Sancte Crucis;
a quarta latere de super ipsa ecclesia Sancta Maria de le Terre. Ego
Petrus Tabellio scripsi et complevi.
Il documento è corredato da un’interessante postilla: “Ego sopradictus prior promitto pro me et
meis successoribus si vos vel vestris heredes feceritis castellum in ipso monte ubi ecclesia Sancte Marie de le Terri edificata est et quieseritis recuperare nobis supradictam terram,
promittimus restituire vobis recepito gambio a vobis vel a vestris heredibus ad similem”. Il 7 Giugno 1163, nel castellare
Guidicum, Atto, figlio di Garello, priore di San Paterniano,
con i suoi monaci da in enfiteusi a terza generazione a Giovanni e Benedetto figli di Martino e a Benedetto presbitero e
a Berta e Maria loro sorelle, un terreno già in dote alla chiesa
di San Pietro per l’annua pensione di un amiscere di tutti i
frutti e della decima. Il toponimo “Castellaro” è sopravissuto
fino ai giorni nostri. In una cartina di epoca napoleonica troviamo raffigurata la “Contrada del Borghetto” preceduta dalla definizione Casa Ducale Lotembergh. Il principe Augusto
Massimiliano, erede del principe Eugenio di Beauharnais, vicerè d’Italia, aveva assunto il titolo di Conte di Leuchtemberg
ed era entrato in possesso della grande possidenza rustica e
urbana derivante dalla soppressione delle corporazioni religiose, operata da Napoleone, denominata “l’appannaggio”.
Nel 1845 per volontà di Gregorio XVI, i beni dell’appannaggio vengono riscattati dalla Santa Sede e venduti agli agricoltori del luogo. Il Comune di Mondavio è compreso nel Distretto III di Senigallia. Il colono Del Moro Cesare acquista il
podere in vocabolo “Castellaro”, la cui superficie misura 5
coppe e 6 canne. Il borgo originariamente il gruppo di case
fuori dalla cinta muraria o nelle vicinanze dell’abitazione signorile. Il “Borghetto” e la vicina chiesa di Santa Maria della
Quercia unitamente al toponimo Castellaro sono dunque ricollegabili al “Castellaro” ricordato dall’Antonini nelle sue
annotazioni al “Discorso” del Seta e del quale abbiamo cercato di ricostruire le vicende.
LA CHIESA DI SANTA MARIA DELLA QUERCIA
Nelle vicinanze della “Contrada del Borghetto”, addossata al
ciglio della strada che conduce a Mondavio, v’è una chiesetta: Santa Maria della Quercia. Ristrutturazioni passate della
quattrocentesca costruzione e i recenti lavori di sistemazione
e consolidamento, inducono a considerare ancora più antica
la sua origine. Alla chiesa era annessa un’abitazione che comprendeva: camera,cucina,forno ed una stalla per un asino da
soma. Questo piccolo complesso era alle dipendenze di un
rettore che amministrava entrate ed uscite, dato che in detta
chiesa avevano obblighi di messe in suffragio ed elemosine
del Patriziato della Terra di Mondavio. Nella visita pastorale
fatta il 27 Ottobre 1610 dal vescovo di Fano Mons. Tommaso
Lapi viene visitata, tra le altre: la chiesa di Santa Maria, dove
era eretta la Confraternita dello stesso nome. Come rettori ricordiamo: Lorenzo Lanucci, Nicolò Antonimi, Alfiero Ridol-
[email protected]
fi, Antonio Agabiti, Giulio Lorenzo Savelli, Aldo Fluidi. Nell’anno 1716, in agosto, ai Rettori successero i Sindaci: Giulio
Ignazio Seta (1716 ago) Lorenzo Berti (1727; 1 mag.) Nicolò
Antonimi (1744) Nicolò Celli (1795) Lucio Lanicci. In una
nota si legge: Seta Giulio sindaco di Santa Maria della Quercia, dona una pianeta verde con fiori d’oro al Cappellano Filippo Averardi. Un Cappellano protempore risiedeva nella
chiesa ed era eletto dalla comunità. Ad ogni anno si fermava
per l’adempimento degli accennati obblighi. A disposizione
del cappellano, ma proprietà della chiesa di Santa Maria, v’era un campo nelle vicinanze della chiesa. La rendita annua
era: mosto, circa due some.
Il 30 giugno, nel pomeriggio, presso il Bar Baldini di
Brugnetto, il negozio Toffee Toffee di Senigallia presenterà un sfilata di moda dedicata all’abbigliamento estivo e ai costumi per i bambini da 0 a 6 anni.
Vi aspettiamo numerosi.
19
Vittoria Colonna Malatesta
Senigallia a Montecassino
La Magnifica domina di Castel Colonna
di FABIO BELLINI
Il Castello malatestiano della “Tomba” si
chiama oggi Castel Colonna, in ricordo di
Vittoria Colonna Malatesta, sua antica feudataria locale nel XV secolo. Chi fu Vittoria Colonna? Perché la sua tormentata avventura storica viene ad inserirsi nelle
complesse vicende di questo piccolo centro
dell’entroterra di Senigallia?
Ella apparteneva alla nobile famiglia romana dei Principi Colonna; per la sua fiorente bellezza e per l’indomito carattere venne
chiamata ai suoi tempi “La Magnifica Dòmina”. Vittoria Colonna nasce a Roma nel
1401; è la figlia del
Duca d’Alba Lorenzo Colonna. Nel
1416, appena quindicenne, va sposa a
Carlo Malatesta, signore di Pesaro. Nel
1430, Papa Martino
V (Oddone Colonna, zio paterno di
Vittoria) concede a
Carlo Malatesta anche la Signoria di
Senigallia e del Vicariato di Mondavio di
cui fa parte anche il
castello della Tomba
che viene assegnato
personalmente in
dote a Vittoria Colonna. Ora la signoria dei Malatesta di
Pesaro è all’apice
della sua potenza e
si estende da Gradara a Fossombrone, a Senigallia ed alla valle
del Misa e del Cesano. Il destino però ha
deciso altrimenti: nel 1438 muore Carlo
Malatesta, lasciando Vittoria Colonna vedova e senza eredi: nel disfacimento della
signoria, Pesaro passa ad Alessandro Sforza
e Senigallia viene concessa a Sigismondo
Malatesta: a Vittoria Colonna resta solo la
signoria del castello della Tomba. A questo
punto, Vittoria Colonna “…che più della
vedovanza di Carlo sentiva quella della sua
signoria…” trova la strada per tornare in
primo piano sulla scena storica marchigiana. Alessandro Sforza, ora signore di Pesaro, ha sposato Sveva da Montefeltro, figlia
del Duca di Urbino e nipote di Vittoria Colonna, ma tale matrimonio politico entra
presto in crisi. Con l’intento di proteggere
la sua infelice nipote ma soprattutto bella e
indomita, trae a sé dei complici, tra i quali
i suoi amanti Alvise da Basicaretri e Pietro
da Carmazzano, organizzando una congiura per sopprimere Alessandro Sforza. Nel
1449, però, la congiura viene scoperta: Vittoria Colonna si salva solo grazie agli uffici
della potente famiglia a cui appartiene. Arriviamo al 1457: nel suo piccolo castello
della Tomba, la nostra indomita eroina fa
completare la costruzione delle mura e della rocca fatta iniziare dal Mastin Vecchio
nel secolo precedente: sotto l’arco della torre principale viene apposta la lapide dedicatoria ancora esistente: “HOC OPUS FECIT FIERI MAGNIFICA DOMINA VICTORIA COLUMNENSIS DE MALATESTIS
– 1457 – DIE TERTIA NOVEMBRIS”.
Ma siamo all’ultimo atto: con la tragica avventura di Pesaro, dall’infausto epilogo,
Vittoria Colonna sta
ormai uscendo dal
complesso gioco politico
dell’epoca.
Sentendo avvicinarsi la sua ultima ora,
la nostra inquieta
feudataria se ne torna a Roma, alla casa
paterna. La popolazione della Tomba,
muta e desolata, assiste alla partenza
della sua amata signora: nelle stanze
deserte della rocca
resta solo il suo ritratto a guardare
lontano, verso i suoi
campi arati e i solitari cipressi oscuri
nel tramonto.
Mentre i cavalli divorano la strada verso il Furlo e la via
Flaminia per Roma, quella che era la “Magnifica Domina” guarda per l’ultima volta il
teatro delle sue gesta: le corrusche fortezze
malatestiane e feltresche che si allontanano
all’orizzonte.
E’ il 1458: in un triste tramonto, nella solitaria rocca di Paliano sperduta tra i monti
del Lazio meridionale, Vittoria Colonna
detta le sue ultime volontà: lontana dai
suoi perduti domini della Marca, vorrà essere sepolta a Roma, nella Basilica dei Santi Apostoli dove era stata battezzata, accanto alla tomba del fratello, il cardinale Prospero Colonna. Sulla sua tomba viene scolpita questa epigrafe: VICTORIAE LAURENTII COLUMNAE F. KAROLI MALATESTAE CON. MATRONAE INSIGN. VIXIT AN. LVII MENS. III DIES XIII OB
MERITA IN FAMIL. CLIENTES.
Purtroppo, durante i rifacimenti settecenteschi, la sua tomba andrà dispersa fra le
altre, polvere nella polvere. Così concludeva la sua tormentata avventura terrena Vittoria Colonna Malatesta, “La magnifica domina”.
L’Associazione Italo-Polacca delle Marche
ha organizzato una visita ufficiale a Montecassino il 12 Maggio, sotto l’egida del Comune di Ancona con un programma che ha
La battaglia di Monteccassino, 80x100 tecnica mista - G.Gierut
coinvolto i soci rappresentanti del capoluogo e quelli di Senigallia, Ostra e Civitanova
Marche. Tutti hanno presenziato le cerimonie ufficiali davanti al Sacrario Polacco al
cospetto della delegazione ufficiale istituzionale e militare di cui faceva parte l’ultimo presidente
del gov.no polacco esiliato
R.Kaczorowski e la sig.ra
Irena Anders. Il Consiglio
Comunale di Ancona ha reso
gli omaggi al rito attraverso
il presidente in carica Giuseppe Frisoli ed ex presidente Maurizio Cesarini che
nel 2004 era a capo delle celebrazioni del 60° anniversario della liberazione di Ancona. Per il comune di Senigallia due bersaglieri incaricati dal Comitato per le Pubbliche manifestazioni hanno
consegnato ufficialmente un
ricordo della città. L’AIPM ha
offerto un’opera pittorica
“La battaglia di Montecassino” dipinta da Giuseppe
Gierut, nostro socio, alla
memoria della gloriosa battaglia e di suo padre polacco
che partecipò al combattimento. Sono trascorsi 60 anni dal luglio del 1947 quando le Forze Armate polacche
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C U LT U R A
Giugno 2007
Tornano gli Anastasi: irrisolti i dubbi di base
di FLAVIO SOLAZZI socio individuale dell’ICOM - International Council Of Museums
Qualsiasi bene culturale (non solo delle arti figurative) è da valutarsi come una unità integrata da molteplici elementi, i quali lo contestualizzano all’ambiente dove esso è stato realizzato. Essi gli permettono di passare in quella memoria condivisa, nella quale il cittadino
riesce a rapportarsi più profondamente con l’opera d’arte, perché la comprende.
Cito come esempio una recente esperienza riguardante un quadro conservato presso il Museo Diocesano di Senigallia e che non suscita al primo impatto particolare attenzione. È una
Adorazione dei Magi e il catalogo dice che essa proviene dal vecchio Duomo ed è attribuibile al baroccesco Cesare Maggeri: il visitatore guarda, legge e passa oltre e, tutt’al più, se ha
un minimo di competenza in materia, solleva qualche dubbio sull’attribuzione. Recentemente siamo riusciti a individuare in questo quadro il dipinto che, nel vecchio Duomo, era
sull’altare maggiore della famosa cappella dei Magi appartenente alla famiglia degli Arsilli.
Come quasi sempre avviene quando un quadro di tale soggetto è ordinato da un privato,
Magi e paggi del loro corteggio hanno le sembianze di membri della famiglia committente.
Se di conseguenza proponiamo il quadro come l’equivalente di una “foto di famiglia” degli
Arsilli e in base ad altri elementi riusciamo ad indicare quando e perché essa è stata scattata (intorno al 1625), chi l’ha realizzata (Amico Altini probabilmente) e a dare un nome ai
personaggi raffigurati, sollecitiamo il visitatore ad “entrare” nell’opera d’arte e a consentirgli una fruizione partecipata del dipinto.
Questo è ancor
più vero quando
a presentarsi alla considerazione dei Senigalliesi è una produzione pittorica sconosciuta
ai più e molto
copiosa, quale
quella del nostro concittadino
Giovanni
Anastasi.
Il constatare con
quanta indubbia
perizia e con
quali tecniche
l’opera di restauro è stata attuata sarà sicuAdorazione dei Magi (particolare) - Museo Diocesano, Senigallia
ramente di grande piacere e interesse. Certamente poco coinvolgente sarebbe la diatriba che è andata avanti per oltre due secoli: l’Anastasi pittore è da ascriversi alla scuola bolognese con chiari influssi veneti o alla
scuola romana? Mi chiedo se la soluzione di questo dilemma potrebbe farci penetrare meglio nell’animo e negli intendimenti del pittore.
Io ritengo che per l’interpretazione delle opere presentate in questa mostra siano appunto gli
elementi contestualizzanti a dover suscitare maggiore interesse. Parlando nello specifico del
Salone Mastai, definire chi ha commissionato il lavoro, quando, perché e come sono contributi fondamentali se si vuole “entrare” dentro l’opera e “comprenderla”, anziché restarne al
di fuori limitandosi ad una valutazione pur sempre “estetica”, dotta o leggiadra che sia.
Antonio Maria Mastai (in futuro designato sempre come l’Abate Andrea) era nato nel 1656
e nel 1659 aveva ricevuto da uno zio materno una grossa eredità immobiliare nonché il titolo di conte Ferretti, che comportava l’obbligo di inquartare lo stemma dei Ferretti con
quello dei Mastai. Al momento però i Mastai erano semplici nobili cittadini, sprovvisti di titoli araldici e di un qualsiasi stemma per quanto risulta da approfondite ricerche.
Nel 1681 l’Abate Andrea compì i fatidici 25 anni, età che lo abilitava ad esercitare di persona i diritti derivanti dai suoi beni. Proprio in tale data Giovanni Anastasi chiese di lasciare
la casa dei suoceri ad Urbino per trasferirsi a Senigallia a causa di pressanti impegni di lavoro. È tra questa data e il 1688 (anno nel quale dopo la morte del padre diventa il capo della famiglia) che Andrea matura ed attua l’idea di adeguare al nuovo status il palazzo un po’
severo che suo nonno Francesco pochi decenni prima aveva acquistato dai Bisconti.
Ed è Antonio che affida a Giovanni Anastasi la committenza per la realizzazione del ciclo
pittorico.
Che questo sia opera di un giovane in un ambiente di giovani (in casa c’è solo un altro maschio, di tre anni minore rispetto ad Andrea) traspare dalla prorompenza fisica dei personaggi rappresentati, dalla esuberanza delle giovani figure femminili, dagli evidenti rimandi
erotici. All’interno del Salone Mastai si respira un clima di gioiosa e sana carnalità, cui contribuiscono anche le Sibille, presentate più come procaci modelle che come profetesse di arcani messaggi. Come tutte le committenze anche questa ha lo scopo di inserire un casato (i
Mastai congiunti ai Ferretti) in un’aura di prestigio e magnificenza, realizzando un veicolo
pubblicitario primario per l’esaltazione della stirpe. Purtroppo ci sfugge un elemento cognitivo importante: il significato complessivo delle scene raffigurate, lo scopo e il filo conduttore di tutta la rappresentazione; è per questo che diventa insicura anche la definizione
certa del soggetto di alcune tele. Ancora nel 1978 una guida del Palazzo Pio IX mostrava
una grande imprecisione, attribuendo alcune scene ad episodi del Nuovo Testamento o addirittura della storia romana; ora tutte sono considerate come ispirate a storie dell’Antico
Testamento. Per analogia con la committenza di altri cicli sappiamo che il pittore era l’ultimo anello, quello esecutivo, di un procedimento, a monte del quale era l’ideatore del soggetto da trattare. Esempio didattico è quello che celebra i Farnese a Caprarola: fu il poeta
Annibal Caro a suggerire al pittore Taddeo Zuccari “le cose convenienti al luogo e fuor dell’ordinario, così quanto all’invenzione, come quanto all’artifizio” secondo i dettami di Paolo Giovio, per il quale nelle figurazioni pittoriche il significato recondito “è tanto più raffinato quanto più arduo ad intendersi”. Nel caso delle tele Mastai nei documenti consultati
la chiave di lettura non è stata ancora
trovata. Non si conosce nemmeno chi
abbia ideato e suggerito il ciclo biblico.
Più che l’Abate Andrea potrebbe essere
chiamato in causa come autore o come
intermediario presso un terzo erudito il
fratello maggiore di Andrea, Francesco
Filippo, che era certamente più a suo
agio nella esegesi biblica in quanto ecclesiastico e Consultore del Santo Uffizio. Altro problema irrisolto, non indifferente per la realizzazione di un eventuale catalogo, è chi sia stato e di quale
autorevolezza colui che dopo il 1978 ha
definito perché e a quali episodi biblici
si riferiscono i singoli quadri.
Non posso non dissentire dalla frettolosa miopia localistica con la quale si è attuata una mostra che poteva essere uno
straordinario evento culturale coinvolgente tutta l’area tra Misa e Cesano
(Ostra, San Costanzo, Fossombrone e
soprattutto Pergola, che nel loro insieme
custodiscono una ampia e preziosa testimonianza dell’attività dell’Anastasi). La
mostra attuale si traduce in un
modesto atto riparatorio di Senigallia nei
confronti
del nostro
pittore, con
l’effetto collaterale di
un successo
(per nulla
consolatorio) per chi,
più di tre
anni fa, grazie
alla
comprensione, alla
fiducia ed
alla lungimiranza di
quel fine e
competente
intellettuale
che
fu
Mons. Angelo Mencucci, riuscì a far
disseppellire l’Anastasi
dal cimitero
dell’oblio.
[email protected]
Giugno 2007
C U LT U R A
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Le sculture di Artemio Loretelli
Nega lo sguardo alle guerriere
Artemio Loretelli è nato ad Arcevia, nel 1956. Ha compiuto i suoi studi presso l’Istituto d’Arte di Fano dove ottiene il diploma in Arte del legno e la maturità in Arte dei metalli e oreficeria. Dopo varie esperienze in diverse attività artistiche: fotografia, disegno industriale, grafica e pittura, dal 1997 si dedica alla scultura in pietra arenaria, marmo e bronzo. Sue opere
sono presenti in numerose collezioni pubbliche e private. Vive e lavora a Pergola. In che
cosa consiste la “disposizione artistica” di Artemio, il suo inquieto, e inquietante, girovagare intorno ai materiali che formano l’oggetto delle sue manipolazioni? Inquieto a dispetto del gradevole figurativismo degli “oggetti” prodotti; inquietante a giudicare dagli
sguardi che essi, a volte, si astengono dal corrispondere.
Si domandi ad Artemio come fa a scolpire i
suoi pezzi. Invariabilmente risponderà “a
partire dal naso”. Il resto è mera conseguenza.
Gli abbiamo domandato molte altre cose…
Domanda oramai d’apertura obbligata. La
tua personale definizione d’Arte?
L’Arte è una cosa bella che non serve a niente. Non deve servire a nulla. Una cosa che
serve, che è utile, diventa artigianato. L’Arte
va guardata, ammirata, amata.
Leggendo la tua biografia ti sei cimentato,
prima di giungere alla scultura, ad altre
forme d’Arte. Come consideri la scultura
rispetto alle altre?
La considero la forma d’arte più completa.
Hai con la scultura la possibilità di lavorare
sul tuttotondo. Nelle altre forme d’arte tu hai
una bidimensionalità, nella scultura hai la tridimensionalità, la profondità, il dietro, un avanti.
La tua scultura è figurativa?
Non faccio la distinzione tra figurativo e informale, che è esso stesso figurativo, solo che è
distorto. Come non trovo differenze con il concettuale. Io faccio spontaneamente quello che
penso. Intervengo concettualmente su di un’opera d’arte figurativa.
Nei tuoi bronzetti, ad esempio, alle donne raffigurate neghi lo sguardo?
Lavoro molto sul nudo di donna e a molte con degli elmi, dei copricapo, ho negato lo sguardo. E’ simbolico sul ruolo della donna, generatrice degli stessi uomini, ma che la storia non
le ha reso adeguata giustizia. Le donne hanno subito troppe angherie, troppi tabù circolano
attorno a loro, troppi dettami religiosi le hanno private della libertà. Hanno patito molto. Si
sente il loro dolore.
Perché la scelta del nudo?
Il nudo è raccontare sempre la verità, non ha fronzoli. E’ quello che vedi, senza orpelli, senza vestiti. E’ pura verità.
La tua prima scultura in bronzo era un busto di Don Giovanni Carboni. Affronti anche
tematiche religiose?
La maggior parte dei busti di uomini religiosi mi sono stati commissionati.
Purtroppo ciò che ha ucciso la scultura è stata proprio l’arte funeraria. Nell’800 gli scultori
non hanno fatto altro che fare i cimiteri, le tombe. Quando ti chiedono una statua, devi rappresentare sempre un personaggio che è morto. Di conseguenza uno scultore è come se rappresentasse sempre la morte. Fortunatamente dal dopoguerra non è più così, la scultura si è
liberata di questa pesantezza, è caduto un po’ in disuso il monumento al personaggio famoso deceduto. Ma ancora qualche residuo è rimasto. Così spesso mi capita che mi chiedano di
realizzare la statua di un Santo, un Cardinale…
I materiali che usi?
Ho cominciato con la pietra, il legno, poi la terracotta e ultimamente lavoro in bronzo soprattutto opere di piccolo formato. Certi materiali, come la pietra e il legno, tu li scolpisci,
cioè togli loro il superfluo, togli il materiale. Mentre quando lavori la terracotta o il bronzo
lavori modellando, all’inizio creta o cera, e poi aggiungi materiale. E’ un approccio diverso.
Da una parte inizi da una forma e cominci a togliere e dall’altra si parte dal nulla. Ma io mi
sento scultore così spesso mi faccio un blocco di creta o di cera e comincio a togliere...
Hai parlato dell’utilità dell’Arte che diventa Artigianato. Ti senti più artista o artigiano?
Mi sento un artista perché creo opere d’arte. Profondamente artista.
Hai in programma delle mostre?
Ad agosto alla Rocca Malatestiana a Fano. La 62^ edizione della raccolta dei 15, una delle più
antiche manifestazioni italiane con 15 personali all’interno. E poi è prevista un’importante
mostra a luglio e agosto all’interno al museo dei Bronzi dorati della città di Pergola, una personale.
Come ha avuto inizio il tuo percorso da artista?
Ho sempre disegnato, ero bravo in disegno a scuola, poi feci la Scuola d’Arte. Tre anni arte
del legno e poi per due anni l’arte dei metalli e oreficeria. Poi sono andato a Venezia e ho fatto Architettura, come professori avevo nomi importanti che mi permisero di farmi conoscere. E poi era come predestinato, da piccolino dicevo sempre che da grande avrei fatto l’artista.
E così è stato…passando inizialmente per altre forme d’arte, come la fotografia.
Ho una passione per la fotografia. Una delle serie delle mie sculture son dedicate a Mapplethorpe. Ho voluto trasformare alcune sue foto in sculture, dandogli quella profondità e quella tridimensionalità che ovviamente la fotografia non può dare. Nel lavoro di questo grande
fotografo ho trovato molte similitudini con la mia arte. Lo stesso modo di vedere i corpi, la
sensualità.
Un nome che ti ha ispirato? Hai qualche maestro?
Camille Cloudel, modella, allieva di Aguste Rodin, sua musa ispiratrice. Si mise a lavorare in
proprio e divenne lei la nuova fautrice dell’arte scultorea della fine dell’800, poi purtroppo è
impazzita ed è stata rinchiusa in manicomio, ma le sue opere sono quelle che mi hanno fatto venir voglia di lavorare su certe tematiche, su certe forme.
Hai studiato a Venezia, ma hai sempre lavorato nelle Marche. Non la trovi una Regione
un po’ dormiente dal punto di vista artistico?
E’ povera di gallerie che lavorano a grandi livelli. Ci sono solo piccole gallerie che si fermano agli artisti locali o ai grandi nomi internazionali. Manca totalmente una promozione delle nuove tendenze.
Questo è grave, è come dire che non c’è mercato.
E’ così. Si può lavorare se le amministrazioni locali ti prendono in simpatia. Lì subentra un
discorso politico e i nomi che fanno girare poi son sempre quelli. Se entri a far parte del giro
è fatta.
Hai un sogno da realizzare?
Avere un blocco di 5 metri di marmo bianco di Carrara e aver la forza di lavorarlo…
Letizia Stortini
RUBRICHE
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A TU PER TU
il ciambotto
CON.... LA PSICOLOGA
rubrica a carattere naturalistico
a cura della dott.sa Maria
a cura di Niki Morganti
Pia Augusti
Il tradimento
I Passeri
Gli Uccelli più comuni sono i Passeri:
ovunque ci troviamo a Senigallia e dintorni, che sia in città, in campagna o al mare,
possiamo osservare numerosi Passeri. Per
Passeri si intende le specie di Uccelli appartenenti alla famiglia Passeridae: la più
comune è la Passera d’Italia che è la specie
più diffusa in Italia e anche nel senigalliese, ma abbiamo anche la Passera europea,
la Passera sarda, la Passera mattugia e la
Passera lagia.
La Passera d’Italia (Passer italiae) è grande
15 cm e presenta dimorfismo sessuale,
cioè la colorazione del piumaggio del maschio e della femmina sono diversi: il maschio infatti ha testa marrone, guance bianche, striscia
oculare nera che
continua nella gola
e nella prima parte
del petto (si dice
che ha il bavaglino
nero), il dorso e le
ali sono brune con
strisce longitudinali nere, le ali hanno
anche una “virgola”
bianca; la femmina
ha bavaglino e petto color panna, il dorso
è marrone chiaro con strisce longitudinali
nere, la testa e marrone chiara e presenta
una striscia oculare gialla e marrone. Questa specie insieme alla Passera europea
(Passer domesticus), dalla quale differisce
per la testa che è grigia e dal territorio di
distribuzione che comprende tutta Europa, è strettamente associata agli insediamenti umani: nidifica intorno a fattorie, in
città e paesi, costruendo il nido sotto tegole, in buchi, cavità ma anche all’aperto,
grandi e a cupola. È una specie sociale: si
riunisce in stormi chiassosi in siepi e cespugli e si spostano in un corpo unico diretti e sicuri.
La Passera sarda (Passer hispaniolensis) è
molto più rara, nel senigalliese, rispetto al-
Giugno 2007
la Passera d’Italia: è distribuita, infatti, in
Spagna, Asia Minore, Grecia, Nord Africa
e Sardegna, ma è una specie in espansione
e negli ultimi due anni sono aumentate le
segnalazioni della presenza della Passera
sarda anche a Senigallia e dintorni. Dimensioni e piumaggio di maschio e femmina sono identici alla Passera d’Italia, l’unica differenza è il bavaglino nero del maschio che è più largo. Nidifica soprattutto
in zone aperte, senza connessione netta
con insediamenti umani, spesso su alberi
frangivento, in popolose colonie con molti nidi sullo stesso albero.
La Passera mattugia (Passer montanus) è
la seconda specie
più abbondante tra
i Passeri a Senigallia dopo la Passera
d’Italia. Rispetto a
questa è più piccola
(14 cm) e slanciata,
non presenta dimorfismo sessuale
(maschio e femmina hanno lo stesso
piumaggio) e, oltre
ad un piccolo bavaglino nero, ha anche una macchietta nera nella guancia: sicuramente tra queste è la specie più conosciuta dal grande pubblico, visto che è la
grande amica di Del Piero nella pubblicità!
La Passera mattugia nidifica comunemente in parchi, giardini e aree agricole, ma è
meno legata agli insediamenti umani rispetto alla Passera d’Italia; il nido è in buchi soprattutto negli alberi, può utilizzare
anche cassette nido. La Passera lagia (Petronia petronia) non è presente a Senigallia, in quanto per la nidificazione predilige
le zone montane, con presenza di aree rocciose e coltivate, sia in città che in buchi di
alberi. Il piumaggio è molto simile alla
femmina della Passera d’Italia, le differenze sono le dimensioni (14 cm),il largo sopracciglio chiaro, la stria chiara sulla testa,
la banda caudale biancastra (evidente in volo) e, soprattutto, la
macchietta gialla sul
petto, visibile in particolare quando rigonfia
le penne.
Forse molte persone
non sapevano che solo
nel senigalliese abbiamo tutte queste specie
di Passeri, intendendo
per Passero un’unica
specie: questo ricchezza
biologica è importante
perché è un esempio di
ciò che si intende per
biodiversità.
Il tradimento è la violazione di un dovere o di un impegno, inganno della buona fede dell’affetto e della stima. Giuda ha tradito con un bacio. Dante ha confinato i traditori nell’ultimo girone dell’inferno. Cartesio scriveva: “Chi ha potuto fingere amore verso qualcuno per
tradirlo merita che in seguito quelli che vorrà veramente amare non gli credano e lo odino”.
Non c’è tradimento peggiore di quello di un amico perché l’amicizia come l’amore è un rapporto umano che alimenta la nostra ricchezza interiore: da senso alla vita. L’infedeltà dell’amico che condivide con noi i nostri segreti o che ci ha sostenuto nelle difficoltà ci colpisce
profondamente perché incrina la fiducia in noi stessi e mette in dubbio la nostra capacità di
farci amare. Cicerone consiglia di fare molta attenzione per capire fin dall’inizio il vero amico da quello che lo sembra. A volte gli interessi materiali, spesso alterano la relazione amicale. Il tradimento nella relazione di coppia forse è meno grave. Quando accade non è per
caso, ma presuppone una relazione infelice. Nasce dalla necessità di trovare un rapporto più
appagante, un affetto più vero, il calore che manca, ma chi tradisce dovrebbe avere il coraggio di dirlo e di chiedere scusa. Riconoscere i propri errori non è un limite per l’uomo, ma
è segno di valore.
Piante medicinali
a cura di Maria
Antonia Martines
Ginkgo biloba
È un albero proveniente dalla Cina dove era
coltivato vicino ai templi; in Europa si è diffuso nel 1750 e si trova sia nei parchi sia nelle città. Cresce molto in fretta è resistente, si
adatta ad ogni clima e può arrivare ad un’altezza di 40 metri. E’ considerato un “fossile
vivente” perché era presente circa 200 milioni d’anni fa, insieme a felci ed equiseti, svanì poi dall’Europa rimanendo solo in Oriente. E’ una pianta “dioica” in pratica ha sia
l’individuo maschile, con sacche polliniche
sia quello femminile, con ovuli con semi. Le
foglie sono a forma di ventaglio, bilobate e
con le caratteristiche nervature delle felci,
fiorisce a marzo e i frutti molto piccoli quando cadono a terra emettono un odore sgradevole. E’ molto longevo: sono state segna-
late piante con oltre 200 anni d’età. E’ molto
usato nella medicina indiana e cinese.
Nella pianta sono presenti: flavonoidi, flavoni, lattoni (acidi organici) ginkgolidi e il bilobalide. Ha due azioni principali: un’antiaggregante e una vasoprotettiva quindi è preventivo nella formazione di coaguli ed è indicato nei problemi circolatori perché in grado di dilatare arterie, vene e capillari e negli
attacchi cardiaci. Agisce in modo favorevole
sulle facoltà d’apprendimento e sulla memoria; combatte l’aterosclerosi l’ipercolesterolemia la perossidazione lipidica e i radicali liberi è utile anche in caso di vertigini, ronzii
auricolari, allergie e problemi circolatori agli
occhi. E’ quasi un elisir di lunga vita.
S.O.S Animali
a cura di Maria Antonia Martines
con la collaborazione dei Veterinari di “Cane, Gatto e…”
Perché il cane scava le buche
Per svariati motivi tutti i cani scavano buche. Se avete un giardino e ci tenete che sia perfetto ma avete un cane dovrete rinunciarvi o abituare il vostro animale.
Gli etologi dicono che l’istinto predatorio fa si che il cane scavi per raggiungere le tane dei
roditori oppure nascondere il cibo che avanza o ancora per farsi un giaciglio o nel caso di
femmine per partorire i cuccioli.
Dal punto di vista psicologico l’animale può scavare per ansia e quindi scarica la tensione
quando viene appartato se arrivano amici o parenti; sentirsi isolato dal resto della famiglia
lo rende nervoso e spesso si associa anche l’abbaiare. Il vizio di scavare se diventa un vizio può portare anche a danni. Distruzione di piante e fiori, possibilità di ferite in modo
particolare se c’è fango, affondando con le zampe può trovare un vecchio ferro arrugginite, pietre appuntite ecc. Ma c’è un lato positivo cioè quello di segnalare la presenza di topi che se non graditi potranno essere debellati.
Comunque sia io lascio scavare il mio cane come e quando vuole: ho un giardino molto
grande e pazienza per qualche inconveniente… lui si diverte tanto e poi si sa: l’istinto prevale sempre.
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Giugno 2007
S P O RT
23
Moggiopoli: un anno dopo
Ad un anno esatto dallo scandalo che ha investito il circo del calcio,
tutto è tornato alla normalità. Arbitri corrotti, partite comandate,
classifiche falsate e quant’altro è successo, hanno riportato dopo
esattamente dodici soli mesi, la situazione allo stato pre-Moggi.
La Juve, società maggiormente colpita, è ritornata in serie A; le altre squadre fortemente penalizzate hanno superato i loro handicap
in classifica (Reggina salva e Lazio in Champions League), con l’incredibile epilogo del Milan che è addirittura diventato Campione
d’Europa. Intendiamoci: non incredibile per demeriti tecnici. Quanto piuttosto il fatto che i rossoneri hanno vinto una competizione….alla quale forse non dovevano partecipare.
Non addentriamoci nella giurisdizione sportiva perché le trappole
sono tante, ma proviamo a pensarci ad un anno fa. Riavvolgiamo il
nastro.
Serate pre-mondiali dove di tutto si parlava tranne che della formazione della Nazionale di Lippi (cosa alquanto inusuale per il
tifoso italiano). Argomento principale: Juve e Milan diritte in
B. Giusto? Sbagliato? Per qualcuno era finalmente venuta alla luce la “grande mano” che instradava ogni risultato calcistico; la famosa divisione della torta. Pene severe si richiedevano, e pene severe arrivarono. Ma poi dopo un iniziale giro
di vite, cominciarono ad arrivare le più disparate richieste di
aiuto per le cosiddette grandi squadre. Le prime voci parlavano del Milan che oltre ad essere fuori dalla Coppa Campioni rischiava la B, la Juve invece si trovava sull’orlo della serie C che voleva dire fallimento (la Juve è una delle poche
squadre calcistiche italiane quotate in borsa).
Troppo. Tenendo conto che il Milan e la Juve insieme contano oltre la metà del bacino-tifoseria, il rischio che il calcio
perdesse le due squadre più blasonate e con più potere televisivo (e quindi economico) era davanti agli occhi di tutti. In
tanti avevano pronte le lettere di disdetta a Sky-calcio. Ma
quante ne saranno partite, e quante ne avranno avuto un seguito? Poche diremmo noi.
Perché poi si è assistito in piena omertà a sostituzioni di Procuratori Federali Sportivi, ad Organismi addetti al Deferi-
mento Sportivo che improvvisamente hanno perso iniziativa. Non
ultimo l’improvviso fine-lavori del Commissario Straordinario Guido Rossi, colui che per settimane ha guidato la mini-ristrutturazione della bufera post-Moggi. Prassi è stato detto. Mandato portato a
termine, secondo i vertici del Calcio. Sarà, ma il risultato è stato poi
sotto gli occhi di tutti. Con questo finale: tutto è tornato come prima.
Sarebbe anche giusto qualora nel frattempo passi quel lasso di tempo che riconsegni ai tifosi ed agli addetti al lavoro interessati, quella giustizia richiesta dai defraudati. Dodici mesi sono troppo pochi
per poter dire “abbiamo pagato il conto”. Questo pensiero è ancora
più forte per chi ogni tanto si va a rileggere o riascoltare i testi delle telefonate incriminate.
Commissario Stex
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24
Giugno 2007
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