Innovazione tecnologica in una organizzazione ad alto rischio

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Innovazione tecnologica in una organizzazione ad alto rischio
Università degli Studi di Milano – Bicocca
Facoltà di Sociologia
Corso di Laurea in Sociologia Quadriennale
L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA
IN UN’ORGANIZZAZIONE AD
ALTO RISCHIO
La nuova sala operativa per il Controllo
del Traffico Aereo di Milano Linate
Relatore: prof. Maurizio CATINO
Correlatore: prof. Federico BUTERA
Tesi di Laurea di:
Claudia PORTOLECCHIA
Matricola 029197
Anno Accademico 2002/2003
Ad Antonio,
che mi è stato accanto sempre,
appoggiando ogni mia scelta
con amore infinito…
Grazie, dal profondo del mio cuore.
Indice
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INTRODUZIONE .............................................................. 5
1. SLITTAMENTI COGNITIVI NEI PROCESSI DI
INNOVAZIONE .............................................................. 12
1.1 Il contesto formativo: la “razionalità dell’ovvio” ......... 13
1.1.1 Nascita e formazione del contesto formativo ............... 14
1.1.2 Il contesto reagisce all’innovazione ........................... 16
1.2 Progettare l’innovazione ............................................ 17
1.2.1 Gestire l’innovazione: il ruolo del progettista .............. 19
1.2.2 Mettere in discussione e rinnovare i significati condivisi 20
1.2.3 Stress e innovazione ............................................... 23
1.3 Gli errori nell’innovazione: quando il cambiamento si fa
pericoloso....................................................................... 26
1.3.1 La dinamica degli incidenti organizzativi..................... 27
1.3.2 Nuovi fattori nel sistema: come reagiscono le barriere
protettive? ..................................................................... 31
1.3.3 La relazione tra azioni, errori e cambiamento.............. 35
2. IL MODELLO DI RIFERIMENTO: SHELL ...................... 41
2.1 La prospettiva d’analisi ............................................. 41
2.1.1 Un approccio sistemico alle organizzazioni.................. 41
2.1.2 Gli strumenti dell’ergonomia..................................... 45
2.2 Il modello SHELL ...................................................... 49
2.2.1 I principi fondamentali del modello............................ 50
2.2.2 Interazioni e criticità: come scoprire gli errori dl sistema
.................................................................................... 52
2.2.3 I campi d’applicazione ............................................. 57
3. IL CONTESTO DELLA RICERCA................................... 63
2
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3.1 L’ambito di riferimento .............................................. 64
3.1.1 Il Controllo del Traffico Aereo (ATC) .......................... 64
3.1.2 Il lavoro dei controllori del traffico aereo .................... 67
3.1.3 Principi comunicativi nel Controllo del Traffico Aereo. ... 70
3.2 Oggetto della ricerca ................................................. 74
3.2.1 Oggetto dello studio................................................ 74
3.2.2 L’ACC – cos’è. ........................................................ 74
3.2.3 L’ACC come centro di coordinamento......................... 76
3.3 Strumenti e metodi per l’analisi ................................. 81
4. IL CASO: MILANO ACC............................................... 84
4.1 Milano ACC attraverso il modello SHELL: la vecchia sala
controllo. ........................................................................ 85
4.2 Liveware/Hardware ................................................... 86
4.2.1 Il nucleo: lo schermo radar ...................................... 88
4.2.2 Il rapporto controllore – macchina............................. 90
4.3 Liveware/Software .................................................... 92
4.3 Liveware/Liveware .................................................... 96
4.3.1 I ruoli ................................................................... 97
4.3.2 Le comunicazioni .................................................. 100
4.3.3 La socializzazione ................................................. 101
4.4 Liveware/Environment .............................................104
4.5 Riepilogo .................................................................106
5. IL PROCESSO D’INNOVAZIONE ................................108
5.1 Genesi del cambiamento ..........................................108
5.2 La nuova sala controllo ............................................112
5.3 Liveware/Hardware ..................................................114
5.2.1 Il nuovo schermo radar ......................................... 115
5.2.2 Vantaggi e svantaggi............................................. 117
3
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5.3 Liveware/Software ...................................................119
5.3.1 Nuovi schemi d’azione ........................................... 119
5.3.2 Un sistema più rigido a garanzia del rispetto delle regole
.................................................................................. 121
5.4 Liveware/Liveware ...................................................123
5.4.1 L’innovazione fa nascere una nuova figura professionale
.................................................................................. 124
5.4.2 L’impatto del cambiamento sulle relazioni tra controllori
.................................................................................. 126
5.5 Liveware/Environment .............................................128
5.6 Riepilogo .................................................................130
6. LA RISPOSTA DEI SOGGETTI COINVOLTI NEL
CAMBIAMENTO.............................................................132
6.1 Ottobre 2002 / marzo 2003: aspettando l’innovazione
.....................................................................................133
6.2 Aprile 2003: la fase di adattamento..........................136
6.3 Maggio 2003: l’innovazione diventa prassi ................139
6.4 Riepilogo .................................................................143
7. CONCLUSIONI: IMPLICAZIONI PER LA TEORIA E LA
PRATICA ......................................................................146
7.1 La progettazione ......................................................148
7.2 L’innovazione è apprendimento ................................150
7.3 Lo spazio della comunicazione ..................................151
7.4 Progettare in vista degli errori ..................................153
BIBLIOGRAFIA .............................................................162
RINGRAZIAMENTI ........................................................164
4
Introduzione
Introduzione
Nella vita il cambiamento è una costante. Ogni esperienza costituisce un
fattore di rinnovamento e di evoluzione per colui che ne è partecipe, sia
esso un uomo o un sistema organizzativo. Per non rischiare di rimanerne
sopraffatti, è necessario comprendere e analizzare questa transitoria fase di
trasformazione al fine di prevedere i suoi possibili ed eventuali effetti.
Nel nostro lavoro di ricerca abbiamo affrontato il cambiamento che
avviene nelle organizzazioni ad alta affidabilità quando si introduce un
elemento
di
innovazione
particolarmente
vasto,
tecnologica.
abbiamo
Poiché
ristretto
questo
ancor
di
è
più
un
campo
l’ambito
di
osservazione, scegliendo un’organizzazione particolare, quella che gestisce il
Controllo del Traffico Aereo (ATC). Di fronte ad un mutamento le domande
sono illimitate. Il problema è che nessuno ha tutte le risposte, poiché, per
quanto l’innovazione possa essere studiata e prevista, esiste sempre un
alone di incertezza e un vuoto cognitivo che solo il tempo potrà colmare.
Il nostro obiettivo è stato quello di capire come ci si prepara ad
affrontare un cambiamento, che strategie si adottano per una buona
riuscita;
particolare
attenzione
abbiamo
dato
agli
attori
partecipi
dell’innovazione, sia chi progetta e gestisce le modifiche, sia chi vive la
transazione in prima persona. La storia di un’organizzazione ad alta
affidabilità, quale il Controllo del Traffico Aereo, piuttosto che una centrale
nucleare, è densa di momenti di passaggio, rivoluzioni determinanti e
costruttive. Noi abbiamo voluto capire come, di fronte a una tale
discontinuità l’organizzazione riesca a mantenere tanto una stessa cultura
organizzativa quanto una medesima filosofia di fondo. Come reagiscono i
soggetti coinvolti? Come vengono preparati ad affrontare la novità? Secondo
quali criteri il progettista introduce l’innovazione? Molti sono gli interrogativi
e ancor di più le risposte possibili. Non esistono regole che possono essere
sempre valide e adeguate a tutte le organizzazioni. Ognuna è a sé. Ogni
sistema deve trovare la via giusta sulla base delle proprie caratteristiche e
necessità.
5
Introduzione
Rinnovare un sistema è sempre una forma di sviluppo positivo per
l’organizzazione, uno sviluppo in cui i vantaggi sono chiari agli occhi di tutti,
anche se può servire del tempo per vederli e apprezzarli. Posto che
l’evoluzione tecnologica è inarrestabile, e che le organizzazioni devono stare
al passo con l’innovazione per non perdere in competitività, ciò che il nostro
occhio indagatore vuole cogliere è come viene affrontata la delicata fase del
cambiamento.
Se
identifichiamo
come
una
zona
nera
il
futuro
dell’organizzazione che si prepara a cambiare, e, di contro, come una zona
bianca la situazione attuale, in equilibrio, dell’organizzazione stessa,
possiamo considerare il momento di passaggio con una zona grigia. La fase
di transazione è una nebulosa di cui molto può essere previsto e
programmato, ma in cui rimane uno spazio aperto a variabili imprevedibili:
dalle inattese risposte del sistema tecnologico, al rifiuto del cambiamento da
parte dei soggetti, dai tempi di assestamento e accettazione, a quello che
sarà il reale utilizzo della novità introdotta.
Come Barley (1986) ci ha ampiamente dimostrato, ogni cambiamento è
a sé. Non esiste un’innovazione uguale all’altra, né è possibile che due
organizzazioni rispondano nello stesso modo di fronte alla medesima novità.
La nostra ipotesi è che, soprattutto nelle organizzazioni ad alta affidabilità,
dove al centro sta la sicurezza e la stessa sopravvivenza dei soggetti
interessati, il processo di innovazione tecnologica deve essere gestito
ponendo al centro i fattori umani. I reali protagonisti sono coloro che
dovranno vivere il cambiamento in prima persona. Il sistema andrà limato,
adattato, adeguato, migliorato, sulla base delle esigenze e delle competenze
dei soggetti; l’innovazione verrà introdotta a seconda dei tempi che gli attori
impiegheranno per comprenderla e accettarla, per adattarsi e coglierne i
vantaggi. Di conseguenza, prima che la novità diventi operativa, deve
essere organizzato un periodo di apprendimento, in cui far sì che tutti i
lavoratori coinvolti comprendano realmente la portata del cambiamento che
li aspetta. Solo quando queste condizioni saranno realizzate, solo allora
l’innovazione potrà diventare una realtà, una novità sicura e affidabile
capace di offrire un servizio che non metta in pericolo la vita di alcuno.
6
Introduzione
Se queste condizioni non vengono rispettate i rischi dell’innovazione
aumentano a livello esponenziale. Ogni organizzazione si crea delle barriere
protettive in profondità, barriere che reagiscono alle continue criticità
dell’ambiente, annullando così i pericoli che si presentano di continuo. In
questo scenario utilizzeremo quelli che Reason (1990) definisce errori attivi
e latenti: i primi sono commessi in front line dagli operatori, i secondi sono
presenti da tempo depositati tra le fratture del sistema difensivo. Il rischio
che le organizzazioni corrono costantemente, è che si possa creare la giusta
sequenza di eventi che dia origine alle condizioni per cui tutte le falle del
sistema si colleghino l’una all’altra, bucandone le barriere fino ad arrivare in
superficie e provocare la catastrofe.
Perché la fase del cambiamento assume particolare rilievo in questo
scenario? Semplicemente perché la scorretta introduzione dell’innovazione
può avere un duplice effetto: da una parte può far sì che il soggetto poco
addestrato, e che non ha ancora compreso l’innovazione, abbia più
probabilità di commettere qualche errore in prima linea mettendo in pericolo
tutto il sistema difensivo. Dall’altra perché se il sistema nel suo complesso
non viene adeguatamente preparato, si rischia di introdurre proprio nelle
sue barriere quei fattori critici e pericolosi che diventeranno condizioni
latenti pericolose per l’organizzazione.
Nella nostra ricerca abbiamo cercato di capire come è stato gestito il
cambiamento tecnologico nella sala di Controllo del Traffico Aereo (ATC) di
Milano Linate. Qui, infatti, tra il 2002 e il 2003 è stata aperta la nuova sala
operativa (ACC, Area Control Center), con una strumentazione del tutto
nuova e un nuovo ambiente di lavoro. Ci siamo chiesti, inoltre, quali sono le
trasformazioni apportate dall’innovazione, com’è stato portato avanti il
cambiamento, come sono stati preparati gli operatori e che risposte questi
hanno dato. Ci siamo concentrati sul passaggio, sullo spostamento da
vecchio e nuovo, sulla preparazione e sulle reazioni dei controllori. I limiti di
questo lavoro riguardano, a nostro avviso, proprio la dimensione di breve
periodo, la consapevolezza di non poter cogliere gli effetti reali della novità,
i modelli d’azione e le strategie operative che si consolideranno nel nuovo
ambiente. D’altra parte, però, i vantaggi che derivano dal soffermare
7
Introduzione
l’attenzione sul momento preciso sono altrettanto validi. Non rischiamo di
sotterrare nulla, non permettiamo che l’adeguamento e l’adattamento al
nuovo, ci facciano dimenticare gli sforzi, gli errori, i rischi, i meriti di tutti i
soggetti che hanno gestito il cambiamento.
Particolare
importanza
verrà
dedicata
agli
errori,
nell’intento
di
considerare l’errore come una risorsa, un’occasione di apprendimento, un
momento di riflessione e di rielaborazione sul proprio operato. Non facciamo
nostra la logica dell’errore umano, né quella dell’errore tecnico; in questo
lavoro il nostro intento è di accettare la teoria dell’errore organizzativo
(Catino 2002) secondo cui quando si verifica un incidente non esiste un solo
responsabile e non ha senso la caccia al colpevole. I disastri derivano da
eventi diversi che entrano in relazione tra loro. Il legame tra cambiamento
ed errore si spiega sulla base di questo presupposto: la progettazione e
l’introduzione di una nuova tecnologia in un sistema ad alto rischio devono
avvenire in vista di un possibile errore. Ciò su cui vogliamo puntare
l’attenzione è il concetto per cui chi gestisce il cambiamento deve sempre
essere consapevole delle conseguenze possibili o probabili delle sue
decisioni. Quando si interferisce nell’equilibrio di un sistema è d’obbligo
considerare tutte le interconnessioni tra le componenti del sistema così da
non inserire fattori che, in un futuro vicino o lontano, possano tramutarsi in
pericoli per l’organizzazione stessa. L’introduzione di una innovazione non
deve portare con sé gli errori di chi l’ ha progettata.
Per cercare di capire quali sono gli aspetti di maggiore importanza
abbiamo utilizzato il modello metodologico SHELL elaborato in un primo
tempo da Edwards nel 1972, e poi rivisto da Hawkins nel 1987. Tale
modello prevede che un sistema è affidabile se le componenti di cui è
composto (Liveware, Hardware, Software, Environment) interagiscono tra
loro in modo continuo, costante e sicuro.
Su questa base abbiamo
analizzato la vecchia e la nuova sala ACC confrontandole secondo le stesse
variabili di riferimento: se cambia la tecnologia, la strumentazione,
l’ambiente, le pratiche operative, i compiti dei soggetti, come cambiano le
relazioni tra tutte le componenti? Come si assicura la sicurezza del sistema?
Quali vantaggi o svantaggi?
8
Introduzione
Al centro della nostra analisi è il controllore del traffico aereo.
Cercheremo di capire come è cambiato il suo rapporto con la tecnologia,
come muta il lavoro di squadra, cosa si aspetta e che conferme trova nella
nuova sala operativa.
Il lavoro di ricerca si articola in due sezioni: la prima racchiude i capitoli
1 e 2; è la parte teorica sia per la tradizione di ricerca sia per la
metodologia. Nel primo capitolo cerchiamo di definire le linee guida
dell’analisi, i filoni teorici a cui far riferimento, in sintesi ciò che lo stato
attuale dell’arte propone e sostiene sul tema dell’innovazione tecnologica.
Nel secondo capitolo, si affronta il modello SHELL collocandolo all’interno di
un particolare filone metodologico e cercando di capire come verrà applicato
nel nostro caso.
Si apre, di seguito, la fase più legata alla ricerca a Milano Linate. Nel
capitolo 3 indaghiamo qual è il contesto d’analisi, cercando di capire che
cosa si intende per Controllo del Traffico Aereo. È questo un mondo
estremamente affascinante e di particolare interesse, ma allo stesso tempo
molto complesso. Passeremo poi al caso specifico: nel quarto capitolo
analizziamo la vecchia sala secondo il modello SHELL, e la stessa cosa, per
la sala nuova nel capitolo successivo. Il sesto capitolo concentra l’attenzione
sulla dimensione più strettamente umana: cercheremo di comprendere
come sono cambiate, nel tempo, le reazioni dei controllori. Le aspettative e
le ansie, le preoccupazioni e le difficoltà concrete, i primi segnali positivi e la
ritrovata sicurezza nel nuovo ambiente di lavoro.
La ricerca si chiude con il capitolo 7, in cui si ritorna ai presupposti teorici
iniziali per cercare di interpretare il caso Milano ACC al fine di proporre le
eventuali implicazioni teoriche e, se è possibile, pratiche, per un eventuale
cambiamento futuro. In questa sezione presenteremo quelli che, a nostro
avviso, sono i passaggi che non devono mancare nelle fasi di introduzione di
un nuovo sistema tecnologico. In riferimento alla tradizione teorica di
riferimento e a ciò che abbiamo colto dalla nostra esperienza a Milano
Linate, abbiamo proposto dei suggerimenti che possono costituire una
piccola guida per chi deve gestire un qualunque cambiamento organizzativo,
di qualunque portata esso sia.
9
Introduzione
Indicheremo quattro momenti fondamentali per la buona riuscita di un
cambiamento; primo tra tutti è la fase di progettazione dell’innovazione: chi
ne è responsabile? Quali competenze sono richieste? Che genere di
collaborazioni vanno accentuate? Che cosa deve essere osservato con
maggiore attenzione? In secondo luogo c’è il momento di apprendimento e
addestramento al nuovo: i vertici dell’organizzazione interessata devono
predisporre un periodo in cui i soggetti siano adeguatamente preparati per
affrontare la novità. Non si fa riferimento al solo insegnamento, ma alla più
importante comprensione del nuovo da parte degli utenti. Se si è capaci di
interpretare un processo innovativo nel suo complesso, sarà più facile
gestirlo con tranquillità e competenza. In terzo luogo abbiamo pensato al
coinvolgimento degli utenti coinvolti nel processo. L’innovazione non deve
essere calata dall’alto e imposta dai vertici aziendali, ma un’evoluzione i cui
protagonisti siano, prima di tutto, gli operatori.
Infine, come quarto e
ultimo punto abbiamo identificato un preciso atteggiamento che deve essere
di tutti, ma soprattutto di coloro che preparano l’ambiente ad accogliere
l’innovazione. Bisogna progettare in vista degli errori. I soggetti responsabili
devono far attenzione a non creare possibili crepe nella struttura, a
indebolire le barriere difensive del sistema, a non sfibrare le maglie delle
interazioni che rendono l’organizzazione affidabile.
Pur avendo dedicato una apposita sezione del lavoro ai ringraziamenti, è
doveroso da parte mia manifestare fin d’ora la mia più grande riconoscenza
a tutti coloro che lavorano presso il centro Enav a Milano Linate. Primi fra
tutti Severino Vinante e Graziano D’Agostini che mi hanno seguita con
grande cura e attenzione; allo stesso modo ringrazio tutti i controllori per la
loro disponibilità e l’impagabile simpatia. Un grazie particolare a Marco
Asprea, fotografo ufficiale di Milano ACC, per le sue meravigliose fotografie
che esporrò nella mia Tesi di Laurea.
10
Introduzione
11
Capitolo 1
1. Slittamenti cognitivi nei processi di
innovazione
Le organizzazioni, nelle loro evoluzioni storiche, vivono inevitabilmente
dei cambiamenti determinati da fattori esterni oppure interni. Questi
processi possono avere un peso maggiore o minore sullo sviluppo
organizzativo, modificandolo alle radici, o ridefinendone i confini in modo
quasi impercettibile. Qualunque di queste ipotesi si realizzi nel concreto,
l’esito è sempre un’innovazione della struttura organizzativa considerata. È
necessario
tener
presente,
però,
che
il
risultato
di
un’innovazione
sull’organizzazione è decisivo per il futuro dell’organizzazione stessa.
L’introduzione di una novità in un sistema in equilibrio può creare una
frattura, sbilanciando la struttura nel complesso. Quindi, per cambiare
un’organizzazione non basta rinnovarla nella tecnologia; una tecnologia
migliore non genera direttamente un sistema migliore. E’ fondamentale che
il processo di rinnovamento sia gestito nel modo corretto attraverso una
preparazione al nuovo di tutti coloro che ne saranno coinvolti. Una fase di
innovazione tecnologica ha successo ed è positiva se viene gestita in modo
da apparire un’evoluzione naturale del sistema.
Prima di cercare di capire che influenza possa avere un processo di
innovazione, e come esso sia vissuto dai membri che fanno parte della
struttura interessata, è necessario fare un passo indietro e affrontare per
gradi il cambiamento organizzativo.
Come punto di partenza vogliamo considerare la base della struttura in
cui deve realizzarsi l’evoluzione innovativa. Ruoli, gerarchia, distribuzione
del potere, obiettivi e mezzi necessari a conseguirli; in sintesi i principi
fondamentali che danno senso alla cultura organizzativa. Questa base
comune e condivisa costituisce il punto di partenza della nostra analisi, che
affronterà poi le diverse fasi di sviluppo coinvolte nei processi di
cambiamento. Uno sguardo particolare sarà infine rivolto alle disfunzioni, ai
rischi,
agli
inconvenienti,
inscindibili
trasformazione.
12
da
qualunque
percorso
di
Capitolo 1
1.1 Il contesto formativo: la “razionalità dell’ovvio”
Conosciamo il mondo, ci orientiamo in esso e riusciamo a fare esperienze
diverse, perché siamo in possesso di uno strumento fondamentale: il senso
comune, ovvero ciò che diamo per scontato nella vita di tutti i giorni. Le
immagini e gli oggetti che ci circondano acquistano significato solo quando li
relazioniamo con il contesto più generale, in cui siamo immersi nel
momento stesso in cui compiamo un’azione.
Più accumuliamo esperienze diverse, più riusciamo ad ampliare il
territorio del dato per scontato. “Noi vediamo e sentiamo gli oggetti in un
contesto da cui li ritagliamo, li costruiamo su uno sfondo che contiene
infinite opportunità. La nostra conoscenza e la nostra percezione sono
innestate sui corsi d’azione che noi intraprendiamo” (Mantovani, 2000 p.
31).
Ciborra e Lanzara (1999; p. 10) mettono in relazione il concetto di senso
comune con le strutture organizzative. In questo panorama, e con il
supporto di Unger, la base di conoscenze date per scontate prende il nome
di “contesto formativo”:
“Un contesto formativo è l’insieme degli assetti e meccanismi
istituzionali, e delle immagini e presupposti cognitivi ad essi
associati,
che
gli
attori
portano
con
sé
e
attivano
abitualmente in una situazione d’azione”.
Questa base di conoscenza condivisa costituisce la premessa, lo sfondo,
su cui si sviluppano le attività quotidiane degli attori che lavorano
nell’organizzazione. Esiste un contesto formativo là dove esiste un’azione e
viceversa; le due dimensioni sono intimamente legate l’una all’altra in
quanto il contesto pone vincoli, dà direzione e significato, e fissa un campo
di opportunità per l’azione stessa. Un contesto formativo assume maggiore
forza quanto più è dato per scontato dagli attori che in esso agiscono:
benché costituisca il terreno per l’esecuzione delle routine, gli attori ne sono
inconsapevoli nel momento in cui quotidianamente svolgono le loro pratiche
13
Capitolo 1
e discutono di lavoro. Unica, ma fondamentale eccezione, sono gli eventi di
rottura, i breakdowns che interrompono improvvisamente il flusso regolare
dell’esperienza.
In questi momenti è necessario che tutte le premesse
siano messe in discussione e che ciò che fa parte della conoscenza di base
venga rielaborato. Un classico breakdown è l’introduzione di una nuova
tecnologia;
vedremo
in
seguito
come
tali
criticità
sono
superate
dall’organizzazione.
Il contesto formativo plasma la conoscenza pratica di chi lavora,
manifestandosi in tutte le azioni, le situazioni, e i comportamenti degli
attori. Esso possiede un’aura di naturalezza e di ovvietà che lo rende
invisibile a chi quotidianamente vi svolge il proprio lavoro; chi si muove al
suo interno non è tenuto a interrogarsi o sollevare problemi riguardo a ciò
che sta facendo. Gli artefatti presenti in quest’ambiente, e necessari per
compiere i compiti lavorativi quotidiani, sono usati irriflessivamente, gli
operatori non li vedono più. Questo insieme di regole è ricostruito a partire
dalle regolarità osservate nel comportamento che rispondono al principio
della “razionalità dell’ovvio”: la conoscenza e l’esperienza sigillate nei
contesti formativi sono risorse cognitive prontamente disponibili che non
devono essere poste in discussione o verificate ogni volta che si usano.
1.1.1 Nascita e formazione del contesto formativo
Sono le organizzazioni stesse, in qualità di strutture “densamente
istituzionalizzate”, a fornire tutte le regole e le norme necessarie agli attori
per interpretare la realtà, al fine di adottare i comportamenti collettivi
appropriati e a legittimare i sistemi d’azione. Ma non bisogna pensare che
questo
sia
un
processo
unidirezionale;
la
conoscenza
passa
dall’organizzazione agli attori che, a loro volta, la rielaborano, la rinnovano,
in un processo continuo e costante che fa parte della riproduzione storica
della struttura organizzativa. Il contesto formativo si sviluppa nel tempo,
racchiudendo in sé i comportamenti e le regole che ciclicamente si
ripresentano
e
che
dell’organizzazione
risultano
stessa.
È
positivi
un
e
funzionali
processo
14
continuo
per
e
lo
sviluppo
costante
di
Capitolo 1
riproduzione
dei
modelli
efficienti,
ma
allo
stesso
tempo
un
lento
ripensamento e riadattamento di tutta la cultura organizzativa. La presenza
di questa seconda dimensione è fondamentale nel momento in cui
l’organizzazione deve affrontare un qualsiasi cambiamento.
“Norme, valori e sistemi di conoscenza agiscono come dei libretti
d’istruzioni che aiutano gli individui a esplorare e a decodificare l’ambiente
organizzativo, e a definire il proprio ruolo al suo interno” (Ciborra, Lanzara,
1999 p. 104).
per
In sintesi il contesto formativo fornisce le “ricette” basilari
muoversi
correttamente
nell’organizzazione
in
condizioni
non
problematiche, dando vita agli schemi, e alle azioni routinarie che diventano
il modo naturale e scontato di fare le cose. Le routine incorporano una
conoscenza pratica immediatamente disponibile, tacita, istituzionalizzata e
data per scontata, una conoscenza che si è radicata da tempo nel substrato
organizzativo.
Il contesto formativo costituisce la base di premesse, di
conoscenza tacita che gli attori utilizzano; esso modella la struttura
organizzativa, pone vincoli, dà direzioni, fornisce significati e definisce le
possibilità per l’azione. Tra le informazioni racchiuse nel contesto formativo,
gli attori non solo trovano il senso delle loro azioni, ma soprattutto
recuperano il significato degli oggetti sociali, i confini del loro mondo
operativo, grazie alle certezza che tale cornice di riferimento fornisce.
Nelle organizzazioni esiste uno spazio di definizione e creazione delle
pratiche d’azione che sono allo stesso tempo la base e il risultato delle
pratiche di cooperazione e negoziazione con cui la comunità filtra i vincoli
esterni e le risorse a disposizione, in questo modo la comunità vive e si
riproduce. Le precedenti interpretazioni condivise creano una base per la
negoziazione senza imporre significati stabili o soluzioni preordinate
(Mantovani, 2000).
È infine da sottolineare la duplice dimensione, cognitiva e istituzionale,
del contesto formativo. Esso, infatti, se da una parte dà forma alle abilità
individuali
e
alle
routine
organizzative
che
sostengono
le
pratiche
quotidiane, dall’altra spiega la combinazione e la riproduzione dei fenomeni
cognitivi e istituzionali che influenzano la progettazione e l’adozione di
nuove tecnologie.
15
Capitolo 1
1.1.2 Il contesto reagisce all’innovazione
La forza del cambiamento smuove il contesto formativo. Se ci limitiamo
a pensare che il contesto è naturale, intrinseco nei processi di produzione
organizzativa, ne deduciamo un’immagine in gran parte, rigida, vischiosa,
implicita e difficilmente accessibile agli occhi di un osservatore.
In realtà il contesto ha in sé un’altra qualità, che, anche se solitamente
rimane nascosta nelle routine quotidiane, emerge con forza e con decisione
di fronte ad una novità. C’è una componente offuscata, mobile, più fluida,
che deve essere scongelata e ristrutturata quando si affronta o si crea un
nuovo sistema. Le strategie di cambiamento e di progettazione devono
essere capaci di rinnovare le cognizioni e i significati che si nascondono
nelle relazioni pratiche tra le persone e i loro contesti formativi. Alla luce di
quanto detto sopra è facile capire come questo ammodernamento non è
facile a realizzarsi perché l’esecuzione delle routine sconnette sia gli
individui sia la struttura organizzativa dal contesto soggiacente, che diventa
invisibile.
La forza del contesto formativo è tale da entrare in gioco anche quando
gli attori devono sviluppare innovazioni o progettare alternative per
aumentare l’efficacia del sistema. Il senso di sicurezza che emerge da
questo solido substrato, crea delle routine difensive di cui gli operatori si
armano nel momento in cui devono effettuare esperimenti. L’introduzione di
un nuovo sistema informativo ossia una nuova tecnica di raccolta,
elaborazione e distribuzione delle informazioni, può imporre una modifica e
una riformulazione delle basi cognitive che orientano le azioni e la capacità
umane. In questi momenti di rinnovamento i soggetti hanno paura di
mettere in discussione l’ovvietà del contesto; per difendersi e per
mantenere le proprie sicurezze, essi attivano solo routine difensive, con il
rischio di entrare in una fase di inerzia cognitiva.
Se è vero che nel breve periodo le difese riducono l’ansia e mantengono
in equilibrio il sistema, nel lungo periodo esse rischiano di inibire
l’apprendimento e la correzione degli errori. Sono una buona ricetta contro il
dolore, ma impediscono di curare le cause di quello stesso dolore.
16
Capitolo 1
Più il contesto formativo è radicato, più risulta drammatica l’invasione di
un oggetto non familiare come una nuova tecnologia che rivoluziona il
sistema, o che introduce nuove modalità d’azione. Il background di
presupposti e modi di pensare abituali e dati per scontati, che governano e
sostengono, spesso in modo tacito, il sistema di attività pratiche, si ritrova
improvvisamente ad affrontare la novità.
È quindi necessario che l’innovazione tecnologica sia preceduta da un
periodo di preparazione, così che gli attori coinvolti nel cambiamento
possano riscoprire le peculiarità del loro sistema, rimetterle in discussione,
uscendo da quella fase di economia cognitiva in cui sono inevitabilmente
caduti. Questa è l’unica condizione che permetterà ai soggetti di affrontare
e vivere l’innovazione senza subirla.
1.2 Progettare l’innovazione
Il momento in cui si introduce una innovazione in una organizzazione è
sempre estremamente delicato. La tradizione di ricerca a cui ci ispiriamo in
questo lavoro, vede in prima linea autori come Barley e Weick, i quali
sostengono, tra le altre cose, che quando pensiamo alle organizzazioni
dobbiamo pensare loro come a dei processi di strutturazione e non come
strutture istituzionali solide e radicate. Soprattutto in riferimento ai moderni
sistemi
tecnologici,
è
necessario
pensare
in
termini
di
complessità
interattiva, di dinamismo nelle azioni, di cambiamento continuo e costante.
Introdurre una tecnologia in un sistema vuol dire alterare l’organizzazione e
la sua struttura occupazionale, i ruoli istituzionali e i modelli di interazione.
Barley (1986) interpreta la struttura come un processo, un risultato
sociale che nasce dalle azioni delle persone che, a loro volta, sono modellate
da forze spesso al di fuori del loro controllo, fattori intrinseci e propri della
natura umana. L’organizzazione, dunque, ha una fisionomia duplice: dà
luogo e senso alle azioni di chi vi lavora, attraverso le linee direttrici dello
specifico contesto formativo, e allo stesso tempo è un prodotto delle azioni
umane che in essa si modellano.
17
Capitolo 1
Così come Giddens, Barley ritiene che le proprietà strutturali di un
sistema sociale sono allo stesso tempo il mezzo e il risultato delle pratiche
che costituiscono quello stesso sistema, e che lo modificano in un processo
continuo. Esiste quindi una relazione di reciprocità tra le due facce di ogni
struttura organizzativa: il set di tradizioni istituzionalizzate, organizzate nel
contesto formativo, dà la possibilità ad azioni diverse di scorrere e
modellarsi liberamente, e a loro volta queste azioni plasmano e rinnovano
l’istituzione. Questo è il processo di strutturazione.
Bisogna però riservare un’attenzione particolare alla componente umana,
perché, sempre secondo quanto sostenuto da Barley (1986 p. 80), sul
risultato finale della strutturazione assumono un ruolo fondamentale le
interpretazioni che gli attori danno agli eventi, il diverso accesso che hanno
verso le risorse, e le cornici interpretative che legittimano il loro ordine
sociale. Il processo di negoziazione e di coordinamento che i soggetti
portano avanti, soprattutto attraverso la conversazione continua, porta ad
una riformulazione costante dalla struttura basilare dell’organizzazione.
Ma, nel momento in cui il sistema sociale incontra degli shock esogeni,
come l’acquisizione di una nuova tecnologia, l’equilibrio appena delineato
può essere messo in pericolo. Le innovazioni tecnologiche diventano
occasioni per regolare in modo nuovo le dinamiche sociali che in seguito
potranno modificare o mantenere i confini dell’organizzazione. Non bisogna
dimenticare,
però,
che
il
contesto
formativo
istituzionalizzato
può
condizionare fortemente le reazioni degli attori nell’affrontare l’adozione
della novità. È vero che l’influenza delle tecnologie dipende dallo specifico
processo storico in cui sono coinvolte, ma l’incertezza rimane una costante
di tutto il periodo introduttivo indipendentemente dal contesto e dalla fase
storica che l’organizzazione sta vivendo in quel momento.
Alla luce di tale ambiguità, e delle difficoltà che i soggetti coinvolti
incontrano sempre nell’affrontare un cambiamento, è necessario progettare
le tecnologie sulla base del contesto. Se da un lato tale progettazione è
necessaria per migliorare la qualità delle interfacce ed elevare l’affidabilità
del sistema, dall’altro è un compito arduo, perché il contesto non è definibile
una volta per tutte. Nei prossimi paragrafi, è nostra intenzione cercare di
18
Capitolo 1
capire meglio cosa voglia dire progettare e gestire un’innovazione all’interno
di una struttura organizzativa consolidata, partendo da alcune regole che un
buon progettista dovrebbe seguire per raggiungere un risultato ottimale.
1.2.1 Gestire l’innovazione: il ruolo del progettista
Una delle tesi che sosteniamo in questo lavoro è che è necessario che
ogni innovazione sia preceduta da una corretta gestione del cambiamento,
al fine di preparare il sistema organizzativo e, soprattutto, i soggetti
coinvolti, ad accogliere il nuovo. La tecnologia deve poter essere reinventata
e riprogettata all’interno della comunità, che assume il compito di mediare
tra i significati attribuiti alle tecnologie dai progettisti e l’uso che ne verrà
fatto nelle pratiche quotidiane.
Il ruolo di chi progetta un’innovazione non è semplice; il singolo o il
gruppo
addetto
a
questo
compito
deve
farsi
un’idea
molto
chiara
dell’ambiente sul quale dovrà intervenire. È necessario che la progettazione
e il disegno delle tecnologie sia centrato sui processi di interazione sociale e
di comunicazione all’interno della comunità interessata. Questi processi
possono essere colti attraverso osservazioni etnografiche e analisi discorsive
di ciò che le comunità fanno nel loro contesto operativo: conoscere le
pratiche organizzative e comunicative è essenziale per progettare e valutare
efficacemente le nuove tecnologie. Per preparare accuratamente
un
cambiamento, un buon ricercatore dovrebbe documentare i modelli di
comportamento
tradizionali,
le
interazioni
e
le
interpretazioni
dell’organizzazione prima dell’arrivo della tecnologia, per poi essere in grado
di spostare l’attenzione, dal contesto istituzionalizzato alle pratiche sociali
messe in atto una volta che la tecnologia arriva nel sistema.
La struttura tecnologica di un’organizzazione deve mediare la costruzione
sociale della specifica realtà, sostenendo i processi di comunicazione e
collaborazione tra i membri della comunità sociale formata dagli operatori.
Ne segue che la nuova tecnologia, deve essere progettata come un sistema
in grado di conciliare la conoscenza distribuita e situata con i nuovi
significati apportati dall’innovazione. A questo proposito, Mantovani (2000)
19
Capitolo 1
sostiene che una progettazione dovrebbe puntare a realizzare “tecnologie
vuote”: “Tecnologie vuote significa che il sistema deve incorporare dentro di
sé un repertorio di usi significativi, alla definizione del quale gli utenti
devono attivamente contribuire, e deve mantenere la complessità dei
compiti come parte integrante dei significati che si stanno negoziando”
(p.201). Nella progettazione delle nuove tecnologie bisogna mantenere uno
spazio finalizzato alla costruzione dei significati che gli attori coinvolti
vorranno
attribuire
al
nuovo
sistema,
sulla
base
dell’utilizzo
che
sceglieranno di farne. Il concetto di tecnologia vuota è di particolare
interesse, perché sottolinea con chiarezza la necessità di lasciare uno spazio
d’azione agli operatori, un ambito fondamentale in cui i soggetti siano liberi
di apprendere la novità, capirla e decidere in modo condiviso il tipo di
utilizzo che è possibile farne per il bene dell’organizzazione. Le innovazioni
devono essere progettate considerando le pratiche dei lavoratori, legati tra
loro da un sistema di pratiche sociali e materiali che si è consolidato nel
tempo. I soggetti costruiranno attivamente il significato della nuova
tecnologia sulla base dei vincoli posti dal contesto formativo alla base.
I sistemi vuoti incorporano molta analisi, organizzazione e previsione di
possibili ed efficaci interazioni negoziali. Il progettista deve creare il nuovo
ipotetico modello di cooperazione tenendo in considerazione, allo stesso
modo, le caratteristiche della situazione e gli scopi degli attori.
1.2.2 Mettere in discussione e rinnovare i significati condivisi
Gli attori di un’organizzazione interpretano gli eventi che si presentano
quotidianamente, sulla base di una storia comune e condivisa. Tale senso
comune delimita e vincola i possibili significati degli avvenimenti, e in più
diventa una risorsa per la costruzione di nuovi “pezzi” di repertorio
condiviso. Questo duplice risvolto interpretativo si spiega sulla base
dell’irriducibile ambiguità del significato, delle situazioni come degli oggetti,
ambiguità che si rivela tanto un limite quanto una risorsa.
Le circostanze dell’azione mutano continuamente: in condizioni normali
la flessibilità degli operatori e la loro comune visione del mondo in cui
20
Capitolo 1
lavorano,
riducono
inconsciamente
le
dal
diverse
contesto
variabili
formativo.
in
schemi
Nel
prefissati,
momento
in
cui,
attinti
però,
all’inevitabile variabilità delle condizioni si aggiunge l’introduzione di
un’innovazione, allora ai soggetti possono facilmente venire a mancare
solidi punti di riferimento.
Affinché la gestione del cambiamento in un sistema organizzativo abbia
buon esito, un ruolo importante lo ricopre il progettista; altrettanto
fondamentale
è
la
reazione
dei
soggetti
direttamente
coinvolti
nell’innovazione. Questi, infatti, devono essere pronti a riattivare tutte le
conoscenze di cui sono in possesso, in particolar modo quelle date per
scontate, al fine di interpretare e conoscere il nuovo sistema in modo
comune e condiviso, mantenendo così quell’ordine organizzativo che
permette al sistema di proseguire senza interruzioni il suo processo
produttivo.
Weick (1990) e Mantovani (2000) sottolineano con forza quanto sia
importante assumere la capacità di sviluppare significati condivisi. L’ordine
che esiste in un’organizzazione è sempre negoziato, situato localmente:
l’ordine non sta nella gerarchia, ma nell’esistenza di un significato condiviso
nella comunità, e la struttura gerarchica è solo un mezzo per assicurarne il
mantenimento.
Modelli di cooperazione e di negoziazione dei significati consolidatisi nel
corso della storia organizzativa fanno sì che gli attori sviluppino una serie di
concetti condivisi che permettono loro di affrontare la quotidianità con
relativa tranquillità.
Secondo Weick (1993) il modello di cooperazione delle specifica
organizzazione condiziona il contesto dell’interazione tra i soggetti; ne
segue che l’introduzione di una nuova tecnologia altera inevitabilmente i
processi d’interazione, poiché essa non è mai trasparente per i suoi
utilizzatori. La prima cosa che gli utenti cercano di fare è dare un senso agli
artefatti che compongono il sistema, questo perché gli operatori davanti ad
una nuova tecnologia devono allo stesso tempo continuare a fare il loro
lavoro nel team, e dare senso alla nuova tecnologia per riuscire ad usarla
nel modo giusto.
21
Capitolo 1
L’ambiguità propria delle nuove tecnologie fa di esse dei fenomeni
sfuggenti perché sono sistemi caratterizzati da casualità, complessità e
astrattezza; questa indeterminatezza impone che per permettere una buona
gestione del sistema si dedichi del tempo allo sviluppo di un processo di
creazione e attribuzione di senso (Weick, 1990). Ritornando ai concetti
precedentemente espressi, si capisce così perché è più sensato parlare di
strutturazione e di processo in relazione all’introduzione di un’innovazione.
Questa si presenta come una fase estremamente dinamica in cui tutto deve
essere rimesso in gioco e in cui, soprattutto, gli attori coinvolti devono
avere il tempo e gli strumenti per condividere e negoziare i nuovi segnali del
sistema, al fine di attribuire ad essi una senso comune e condiviso
funzionale al loro compito. È necessario riformulare le relazioni causa –
effetto al fine di comprendere le nuove azioni; grazie a tale revisione sarà
possibile scoprire legami che inizialmente non si riescono a vedere e che
potranno essere riutilizzati nelle progettazioni future.
Mettendo
in
discussione
le
proprie
conoscenze,
i
nuovi
modelli
interpretativi permettono, inoltre, di apprendere e interiorizzare nuove
competenze funzionali al nuovo sistema tecnico. L’innovazione tecnologica,
per essere gestita e compresa, richiede conoscenze fresche e più specifiche,
e implica che il soggetto interessato stimoli in sé una dinamicità sconosciuta
in passato. Inoltre, la comprensione dello sviluppo tecnologico comporta la
necessità di formulare processi più astratti rispetto a prima, di raggiungere
una maggiore interdipendenza tra tutti i soggetti coinvolti. Weick (1990)
sostiene che per accedere al nuovo, per dargli un senso e un’interpretazione
condivisa e negoziata in tutto il sistema organizzativo, è necessario che gli
attori
sviluppino
maggiormente
le
caratteristiche
dell’immaginazione,
dell’inferenza, dell’integrazione tra fattori diversi tra loro e allarghino i
confini delle proprie mappe cognitive per cercare di capire che tipo di
processo si sta sviluppando. Allo stesso modo Barley (1986), secondo cui la
tecnologia è un fenomeno esogeno: nel momento in cui arriva in un sistema
da una parte conferma dei modelli d’azione preesistenti, ma dall’altra li
disturba per mettere in azione quei meccanismi cognitivi che ne riformulino
di nuovi.
22
Capitolo 1
1.2.3 Stress e innovazione
La conoscenza del sistema e dei suoi molteplici risvolti sull’azione da
parte degli operatori, è indispensabile affinché essi riescano a rimetterla in
gioco nel momento in cui sono chiamati ad affrontare un cambiamento
radicale. Le progressive innovazioni tecnologiche introdotte hanno reso il
sistema sempre più macchinoso, opaco e legato a tecnicismi prima
sconosciuti. Per poter comprendere e interpretare la complessità dei nuovi
sistemi, gli operatori in essi presenti sono costretti ad attivare processi di
comprensioni a livelli più astratti e quindi a sforzi cognitivi prima
sconosciuti. Ciò comporta inevitabilmente un sovraccarico di lavoro mentale
a tutti i livelli. Come sostiene Butera (1988) le tecnologie sono l’insieme
delle infrastrutture, degli strumenti, dei metodi, delle macchine, delle
applicazioni indispensabili per la realizzazione del processo produttivo. La
tecnologia, però non è l’elemento principale: sono le persone, capaci o
meno di usare una tecnologia, che innovano e modificano un sistema
produttivo. Pensare all’organizzazione come ad un processo in continuo e
costante movimento, un’entità in strutturazione incessante, in cui il sistema
sociale e la cultura organizzativa si riproducono di frequente, richiede ai
soggetti che in essa lavorano uno sforzo non indifferente (Weick, 1990,
1993).
Richiamando uno dei più famosi concetti di Goffman, si può sostenere
che la stessa persona è nello stesso tempo creatore e attore del processo
sociale in cui è immerso. Il problema è che, poiché i nuovi sistemi
tecnologici sono per natura ambigui, gli attori si trovano ad agire in un
palcoscenico di cui, almeno inizialmente, non riescono a scorgere i confini.
Questa incapacità di vedere chiaro di fronte a sé può impedire di
comprendere quando si è realmente di fronte a un problema. Weick fa
notare come una caratteristica delle nuove tecnologie è che le persone
operano in contesti in cui gli eventi di rottura (breakdowns) non sono
sempre prevedibili, ma più spesso irregolari e inaspettati. Gli operatori sono
spesso
portati
a
chiedere
spiegazioni
e
giustificazioni
avvenimenti sui quali, invece, dovrebbero avere il controllo.
23
rispetto
ad
Capitolo 1
I sistemi computerizzati sono progettati al fine di supportare in modo più
efficace i soggetti nelle loro mansioni specifiche; il problema è che le nuove
tecnologie finiscono per imporre una maggiore dipendenza dell’uomo dal
sistema, perché i computer, spesso, non riescono a dare un’immagine
completa e precisa dello stato attuale del processo analizzato (Weick,
1990). Soprattutto nelle fasi in cui la novità viene introdotta nel sistema,
l’ambiguità, l’incertezza e la casualità degli eventi rendono l’ambiente meno
comprensibile, mentre aumenta il livello di stress nei soggetti.
Per chiarire che tipo di difficoltà devono affrontare coloro che si trovano
ad affrontare una situazione nuova, o comunque poco sconosciuta, si può
pensare a ciò che Rasmussen ha teorizzato a proposito dei livelli di
prestazione umana nelle situazioni. Il modello è stato più volte utilizzato da
coloro che si occupano di fattori umani e di errori organizzativi (Reason
1997, Sheridan 1988, Roncato 2000, Catino 2002). Rasmussen ha coniato
tre definizioni relative a tre diverse strategie di comportamento che gli
uomini mettono in atto quando si trovano di fronte a caratteristiche
specifiche dell’ambiente:
Livello Skill based: comprende le azioni basate sulle abilità e che
rispondono ai segni rilevati nell’ambiente. Lo schema è semplice: a seguito
di un input c’è una risposta automatica, in pratica una routine. Non c’è
retroazione né interpretazione dei segnali ambientali.
Livello Rule based: le azioni seguono regole precise, in generale sullo
schema “se X allora Y”. La condotta è, in pratica, un automatismo, è guidata
dalla forza dell’abitudine. Dopo avere colto e interpretato il segnale, il
soggetto attua la procedura appropriata, già sperimentata in passato. I
problemi si presentano se si sbaglia nel classificare la situazione e quindi si
adotta la prassi errata.
Livello Knowledge based: è l’atteggiamento basato sulla conoscenza,
messo in atto nel momento in cui si affronta una situazione nuova. In
queste occasioni le regole perdono la loro utilità, e l’operatore deve riuscire
ad avere chiaro un obiettivo con il relativo piano d’azione per raggiungerlo.
I dubbi, e gli eventuali errori, derivano da fenomeni di razionalità limitata,
carenza di informazioni o errata interpretazione dei segnali.
24
Capitolo 1
FIGURA 1: La struttura skill – rule - knowledge based di Rasmussen
Il soggetto tende a utilizzare modi di controllo differenti a seconda delle
situazioni nelle quali si trova ad operare. Se, come nelle condizioni da noi
analizzate, si trova a dover apprendere un compito nuovo, ad affrontare una
situazione non comune o un cambiamento radicale, il controllo delle proprie
azioni comincia dai livelli knowledge, fino ad assestarsi ai livelli successivi a
mano a mano che si prende confidenza con la situazione e si assume un
maggiore dominio dell’ambiente. All’inizio l’operatore mette in atto un
comportamento consapevole, attento, laborioso, allo scopo di capire
attentamente l’ambiente che lo circonda, i suoi segnali e il modo in cui deve
muoversi. Questo atteggiamento richiede concentrazione e molta attenzione
da parte del soggetto; il problema è che l’attenzione è una risorsa limitata,
perché lo sforzo che richiede non può essere protratto a lungo.
Quando l’innovazione è stata compresa e si è raggiunta una buona
comprensione del cambiamento, l’azione diventa automatica e routinaria.
L’azione diventa quasi inconsapevole, veloce, ma rischia di limitarsi
all’oggetto specifico che conosce annullando tutto il resto. L’attenzione viene
meno. In sintesi l’uomo tende a utilizzare modi di controllo differenti a
seconda delle differenti situazioni nelle quali si trova ad operare.
Nel
momento
in
cui
un
processo
organizzativo,
continuo
e
standardizzato, viene interrotto improvvisamente da fattori (breakdowns o
innovazioni) sconosciuti o incomprensibili, il soggetto attiva comportamenti
knowledge based, identifica i simboli che conosce, pianifica lo schema
25
Capitolo 1
d’azione che gli sembra più adatto e agisce di conseguenza. Entrano però in
gioco reazioni emotive diverse che, sommate all’eventuale impreparazione
cognitiva del soggetto, possono avere conseguenze negative sull’intero
processo. In questa fase il livello di attenzione e l’adrenalina sono alti, e la
prestazione dovrebbe, teoricamente, diventare più affidabile. Se da una
parte questo è vero, Weick ed altri autori fanno notare che oltre una certa
soglia, l’eccessiva emozione diventa stress e può deteriorare la qualità della
prestazione. Questa soglia si raggiunge quando le persone lavorano in
condizioni di sovraccarico lavorativo.
Un sistema organizzativo nuovo, che in più presenta frequenti e
imprevedibili rotture nella continuità del suo processo produttivo, rallenta lo
sviluppo dell’apprendimento e induce più facilmente in errore (Weick,
1990). Queste tematiche di particolare interesse sono state affrontate anche
nel filone di ricerca relativo al Controllo del Traffico Aereo (ATC) (Bellorini,
Decortis, 1994; Bellorini, 1994; Cacciari, Corradini 2001); è stato più volte
documentato in che modo la crescente astrattezza del sistema presente
nelle nuove tecnologie, renda più difficile anche la professione di coloro che
dovrebbero essere abituati a gestire situazioni di per sé imprevedibili e
spesso inaspettate.
Stress, livello d’attenzione ed errore sono concetti inevitabilmente legati
tra loro. Gestire in modo affidabile un cambiamento vuol dire ridurre il più
possibile la probabilità che questi fattori si presentino all’interno del
sistema. Abbiamo cercato di fornire le regole da seguire per chi progetta e
per chi ne è coinvolto in prima persona; ma non tutte le variabili possono
essere controllate contemporaneamente quando un’organizzazione sta
cambiando.
Come vedremo qui di seguito, la possibilità di sbagliare è sempre
presente, anche se si è guidati dai migliori propositi.
1.3 Gli errori nell’innovazione: quando il cambiamento si
fa pericoloso.
26
Capitolo 1
Le moderne e complesse tecnologie sono dotate di sistemi estremamente
sofisticati che hanno permesso di rendere più affidabili anche le barriere
protettive. Grazie al costante e grandioso processo di ricerca e sviluppo
tecnologico, oggi le organizzazioni hanno difese molto più sicure rispetto al
passato; questa evoluzione ha prodotto una drastica e positiva diminuzione
degli incidenti agli individui che lavorano nelle organizzazioni.
È però emerso un nuovo fenomeno, non meno preoccupante: gli
incidenti organizzativi. È vero che più aumenta il livello di complessità
tecnologica, più diminuisce la frequenza degli incidenti, ma quei pochi che si
verificano assumono dimensioni a dir poco drammatiche. James Reason,
uno dei maggiori ricercatori nel campo dell’errore (1990, 1997), sostiene
che “gli incidenti organizzativi sono eventi rari, ma spesso catastrofici, che
si realizzano all’interno delle moderne e complesse tecnologie” (1997; p. 1).
1.3.1 La dinamica degli incidenti organizzativi
Gli incidenti organizzativi sono stati a lungo indagati e analizzati, e
inizialmente si è attribuita la loro responsabilità agli uomini e ai loro errori:
l’uomo, a causa delle sue naturali e ineliminabili debolezze, si rende
colpevole di disastri sempre più catastrofici. La tradizione di ricerca che
vede Reason in primo piano, propone una spiegazione diversa di questi
fenomeni, ovvero sostiene che le cause scatenanti gli incidenti devono
essere recuperate in tutti i livelli dell’organizzazione coinvolta e tutti gli
attori in essa presenti vi contribuiscono in qualche modo.
Se è vero che questi incidenti possono essere casuali nel modo in cui i
fattori si combinano tra loro per provocare il disastro, è altrettanto vero che
non c’è nulla di fortuito nell’esistenza degli stessi fattori. Gli assunti di base
di questa posizione teorica prevedono che in ogni sistema tecnologicamente
avanzato,
esistano
più
livelli
di
barriere
protettive
all’interno
dell’organizzazione. Nel momento in cui, grazie a particolari condizioni
locali, si crea la giusta concatenazione di componenti, e gli errori latenti,
presenti nel sistema, si sommano agli errori attivi commessi dagli operatori
in azione, si sviluppano le condizioni per cui la forza di tali errori riesce a
27
Capitolo 1
bucare tutti gli strati protettivi posti a difesa del sistema, intercettando
quella specifica “finestra di opportunità” che porta alla catastrofe (Reason,
1997).
FIGURA 2: Interazione tra errori attivi e latenti
Non esiste un solo responsabile, né è rintracciabile un’unica condizione
sfavorevole; le responsabilità devono essere rintracciate a tutti i livelli
dell’organizzazione e soprattutto è necessario individuare quelle condizioni
latenti che per molto tempo rimangono “addormentate”, a riposo, tra i
molteplici strati organizzativi, fino a quando le specifiche particolarità del
contesto creano per loro la giusta intersezione con gli errori attivi.
L’incidente diventa inevitabile.
28
Capitolo 1
FIGURA 3: Le dinamiche cha causano un incidente
La presenza di pericolose condizioni latenti è determinata dal predominio
che i fattori produttivi hanno su quelli protettivi; solitamente, è solo dopo un
brutto incidente o dopo un disastro mancato, che il concetto di protezione
diventa predominante nelle menti di coloro che gestiscono l’organizzazione.
Questo atteggiamento, improntato prima di tutto alla difesa del sistema
e dei suoi attori, ha sempre una durata piuttosto breve: poiché è la
produzione che crea le risorse per la protezione, i bisogni produttivi
finiscono per avere la priorità. Secondo Reason ogni giorno, i managers e i
supervisori devono scegliere se tagliare angoli di sicurezza per favorire i
bisogni operativi. Il più delle volte, queste scorciatoie, adottate anche dagli
operatori, non portano conseguenze catastrofiche e così diventano una
parte abituale della routine lavorativa. La riduzione nei margini di sicurezza,
che si rafforza nel tempo all’interno delle stesse pratiche di lavoro, rende il
sistema più debole e più vulnerabile a particolari combinazioni di fattori
pericolosi. Se per un periodo di tempo piuttosto lungo non si verificano
incidenti e contemporaneamente aumenta la domanda di produzione, si può
assistere ad una stabile erosione della protezione, che sbilancia in modo
preoccupante la relazione tra le due dimensioni. Accade sempre più spesso
di assistere a violazioni routinarie di procedure troppo rigide, soprattutto in
29
Capitolo 1
quelle
occasioni
in
cui
le
necessità
operative
lo
richiedono.
Nelle
organizzazioni possono esistere dei compiti precisi che per essere portati a
termine in tempi brevi senza rallentare il processo produttivo, obbligano gli
addetti a violare le norme previste, a esporsi in prima persona senza però
una
reale
consapevolezza
del
rischio
che
si
sta
correndo.
Questa
sottovalutazione del rischio deriva dal fatto che tali violazioni sono diventate
col tempo delle norme informali d’azione, procedure assodate e accettate da
tutti. A questo proposito Reason sottolinea come nelle organizzazioni ad alto
rischio ci sia una differenza sostanziale tra le procedure per la produzione e
quelle per la protezione. Queste ultime vengono continuamente riformulate,
rinnovate, per proibire le azioni che sono coinvolte in qualche incidente o
nelle
criticità
del
sistema.
Come
è
facilmente
immaginabile
tale
aggiornamento delle regole è un processo frequente, soprattutto nelle
organizzazioni tecnologicamente avanzate e a maggior ragione nelle prime
fasi di introduzione di una nuova tecnologia. In queste ultime condizioni,
infatti, la casualità e la imprevedibilità degli eventi problematici impone una
continua revisione delle regole e delle procedure fino al raggiungimento di
un parziale equilibrio operativo. Secondo Reason queste aggiunte di regole
comportamentali diventano ben presto troppo restrittive per l’azione,
riducendo la sfera delle procedure lecite e previste dai regolamenti, in modo
troppo drastico. La quantità di azioni permesse diventa minore rispetto a
quelle necessarie per portare a termine il lavoro. Se dopo ogni evento le
procedure sono modificate al fine di tenere sotto controllo tutte quelle
coinvolte e identificate come fattori che hanno contribuito all’incidente,
come conseguenza l’unico modo per compiere il proprio lavoro diventa
quello di violare le procedure e continuare ad agire anche secondo le regole
che sono state proibite. Queste rimangono l’unico modo per agire in
specifiche condizioni di lavoro. Per perseguire compiti specifici esistono delle
precise azioni indispensabili, che costituiscono l’unica procedura possibile
per lavorare. Le regole, i limiti, i controlli possono anche essere finalizzati a
garantire la massima sicurezza, ma possono anche rivelarsi più pericolosi
perché restringono il campo dell’azione lecita e creano condizioni di pericolo
in altri punti dell’organizzazione a cui non si era pensato. Ecco un’altra
30
Capitolo 1
conseguenza
della
struttura
a
più
livelli
delle
organizzazioni
tecnologicamente avanzate e della loro opacità organizzativa.
FIGURA 4: Come si restringe la sfera delle azioni lecite all’introduzione di regole finalizzate ad evitare
che un incidente possa ripresentarsi
In sintesi gli operatori finiscono per violare le regole in modo ripetitivo e
condiviso sia perché tale violazione sembra non portare a disastri, sia
perché essa si rivela il modo migliore, più efficace e più veloce per svolgere
tale mansione. Reason mette in guardia da questa prassi, sostenendo che
tale atteggiamento si protrae nel tempo fino a quando non si verifica un
incidente: le violazioni aumentano il rischio aumentando la probabilità di
realizzarsi di una specifica sequenza di errori.
Questo comportamento è una costante rintracciabile nei vecchi sistemi
come in quelli tecnologicamente avanzati; in questi ultimi, però, la
maggiore complessità, sommata alla opacità delle barriere multi livellari
presenti internamente, può far sì che gli attori non siano sempre e
totalmente consapevoli di tutte le conseguenze che una violazione potrebbe
innescare nel sistema.
1.3.2 Nuovi fattori nel sistema: come reagiscono le barriere
protettive?
31
Capitolo 1
I nuovi e sofisticati sistemi tecnologici, come le centrali nucleari o i centri
di controllo del traffico aereo, si sono dotati di difese “dure”, quali mezzi di
sicurezza automatizzati, barriere fisiche, allarmi, e difese “morbide”, ossia
sorveglianza, regole e procedure, addestramento, controlli amministrativi,
esercitazioni, permessi, certificazioni. Queste molteplici difese a livelli
profondi hanno però un grosso limite da non sottovalutare: possono rendere
il sistema ancora più complesso e più opaco (Reason, 1997). Per molto
tempo le “difese – in – profondità” possono rendere i sistemi tecnologici
immuni da errori isolati, in quanto la complessa sovrapposizione delle
barriere difensive riesce a bloccare la strada all’errore senza fargli
raggiungere il livello più in superficie del sistema. Ma nessuna difesa è mai
completamente inattaccabile; in ognuna ci sono dei punti deboli che
possono essere intaccati dalla somma degli errori attivi e dalle condizioni
latenti, fino a bucare la parete difensiva.
Con il dominio dei sistemi computerizzati è cambiata la natura del
coinvolgimento della natura umana nelle nuove tecnologie. Da una parte,
invece di essere fisicamente e direttamente coinvolti nella produzione gli
operatori agiscono come managers, come organizzatori, supervisionando
dall’alto il sistema automatizzato. D’altra parte molti dei soggetti impiegati
nell’organizzazione produttiva operano in front – line, a diretto contatto con
la nuova tecnologia. Secondo quanto sostiene Reason, questi attori hanno
una
probabilità
piuttosto
elevata
di
commettere
errori
che
hanno
un’immediata conseguenza sul sistema, e che possono portare a termine il
processo consequenziale che si è innescato in qualche profondo livello della
struttura organizzativa a causa di una condizione latente. Le condizioni
latenti possono rimanere addormentate per lungo tempo non arrecando
particolari danni fino a quando non interagiscono con le circostanze locali
sconfiggendo le difese del sistema (Reason, 1997). Queste condizioni
nascono da decisioni strategiche ad alto livello organizzativo, in un
momento della progettazione anche molto lontano nel tempo rispetto al
momento
dell’incidente;
il
loro
l’organizzazione a tutti i suoi livelli.
32
impatto
si
diffonde
attraverso
Capitolo 1
In questo contesto, la fase di programmazione e di introduzione di una
nuova tecnologia nel sistema può diventare un momento di alto rischio,
anche se spesso sottovalutato. La novità, le difficoltà di adattamento, la
resistenza che potrebbe nascere negli operatori e altri molti fattori possono
abbassare il livello di attenzione dei progettisti e dei supervisori del
processo. Questo momento di confusione può facilitare l’intrusione di
condizioni patogene latenti, nascoste, che possono depositarsi tra le crepe
del nuovo sistema aspettando il momento giusto per risalire in superficie.
Nelle sue ricerche, Reason sostiene che la delicatezza e la precarietà
dell’introduzione di una nuova tecnologia sono fattori che non devono
essere sottovalutati, perché altrimenti le nuove difese appositamente
progettate per proteggere da un preciso tipo di pericolo, possono rendere i
loro utilizzatori prede di altre minacce, solitamente non previste da chi le ha
create. Le difese possono rivelarsi pericolose.
Nei primi stadi di un processo tecnologico il lavoro è progettato a partire
da tentativi ed errori, oppure da controlli condotti seguendo i feedback del
sistema. In questo periodo iniziale i managers e i supervisori, si comportano
in modo knowledge based, inquadrano la situazione, stabiliscono i piani
d’azione che sembrano più adeguati, e cercano le condizioni in cui c’è
coincidenza tra gli obiettivi e le strategie adottate per l’azione. Col tempo e
con l’accumularsi delle conferme raccolte, le pratiche lavorative si fanno
sempre più standardizzate e inevitabilmente cala il livello di attenzione
relativo alle misure di sicurezza introdotte nel nuovo sistema.
Reason sostiene che nei nuovi sistemi altamente tecnologici, il compito
dell’operatore è di monitorare il sistema assicurando che ciò che è
automatizzato funzioni come previsto. Il limite è che anche le persone più
motivate hanno dei problemi nel mantenere un buon livello di attenzione e
vigilanza per un lungo periodo di tempo. Se sottoposte a stimoli nuovi
troppo frequenti, anche le barriere dell’attenzione finiscono per cedere
lasciando spazio all’introduzione di condizioni critiche per il sistema. Gli
operatori diventano in breve tempo poco appropriati per cogliere quelle rare
condizioni di anormalità che possono essere pericolose.
33
Capitolo 1
L’innovazione e lo sviluppo tecnologici rendono le strutture organizzative
sempre più ricche di barriere tecniche e ridondanti di informazioni. C’è però
un rischio: seppure la maggiore complessità tecnica del sistema è finalizzata
ad aumentare il livello protettivo, l’opacità che ne deriva può aumentare il
livello di incertezza degli uomini che si sentono sempre più distanti dai loro
strumenti di lavoro.
Per gli operatori diventa più difficile capire quando,
come e dove focalizzare la propria attenzione, condividere in squadra la
stessa consapevolezza e interpretazione della situazione. Gli operatori
risultano indeboliti nella capacità di sviluppare strategie efficaci per
affrontare i compiti specifici; in essi aumentano stress e ansia di fronte a un
sistema di cui non riescono ad appropriarsi come vorrebbero.
Una buona progettazione dello sviluppo tecnologico, e dell’introduzione di
una nuova tecnologia, dovrebbe porsi come scopo da una parte quello di
rafforzare tutti i livelli di protezione presenti nel sistema, dall’altra di fare
emergere le condizioni latenti presenti al fine di eliminarle con la nuova
strumentazione. L’innovazione dovrebbe prevedere una “pulizia generale”
finalizzata a cambiare e rendere più sicure le condizioni nelle quali lavorano
le persone.
Nei suoi studi sui sistemi ad alta complessità tecnologica, Perrow (1984)
sostiene che gli incidenti sono inevitabili (normal accidents) nei sistemi
complessi. Anche se molto può essere fatto, previsto, programmato, ci
saranno sempre situazioni non coperte da norme precise o in cui le regole
non sono localmente applicabili, perché non adeguate al compito. Le
procedure per la sicurezza, secondo Perrow, non saranno mai così
numerose e varie nel contenuto da anticipare tutti i modi in cui i pericoli
possono presentarsi alle persone nel corso del loro lavoro. Come già
sottolineato in precedenza, le misure progettate per eliminare le cause di un
precedente incidente possono contribuire a creare il prossimo.
Esistono tanti modi in cui le persone possono deviare dal modello
desiderabile d’azione, soprattutto quando si trovano di fronte ad un sistema
che ancora non si conosce e non si sa interpretare fino in fondo. Si può
comprendere erroneamente la situazione, riconoscerla come un’eccezione
innocua quando in realtà non lo è, applicare una regola o una procedura che
34
Capitolo 1
è adeguata per situazioni simili, ma non per quella. A questo proposito
torna molto utile la differenza che Reason fa tra i diversi tipi di errori, slips,
lapses e mistakes, e il modo in cui questi si legano ai tipi di prestazione
umana elaborati da Rasmussen e precedentemente esposti.
1.3.3 La relazione tra azioni, errori e cambiamento
Anche le migliori misure protettive possono causare dei danni per
l’organizzazione, soprattutto nel momento in cui la loro introduzione nel
sistema non è gestita correttamente. In questi casi, infatti, è facile lasciare
aperta la porta a condizioni indesiderate che, infiltrandosi e depositandosi
tra le difese stratificate del sistema, diventano facilmente le cause di
breakdowns inaspettati. Con il passare del tempo, questi errori latenti fanno
vivere il sistema in un continuo stato patologico. In un contesto a rischio,
come si comportano i soggetti? In che modo gli operatori possono e devono
modificare i loro schemi d’azione per non cadere nell’errore? Abbiamo già
parlato di regole e norme ad hoc, aggiunte ogni volta che l’incidente si
verifica: restrizioni, standardizzazione dell’azione, adattamenti continui sono
le strategie più frequenti che l’organizzazione attiva per evitare nuovi
problemi, ma che, contemporaneamente, riducono la libertà d’azione dei
soggetti obbligandoli a violazioni routinarie.
La nostra attenzione si concentra sul momento del cambiamento, fase
d’innovazione per tutta la struttura interessata che deve capire quale sia il
modo migliore e meno pericoloso per affrontare la novità continuando,
contemporaneamente, a lavorare. La nostra ipotesi è che quando i soggetti
affrontano un cambiamento, inizialmente attivano prestazioni knowledge
based fino a quando trovano le strategie adatte agli scopi, strategie che
pian piano vengono standardizzate fino a diventare pratiche routine. Se è
vero che anche nel compiere azioni quotidiane e abitudinarie è facile che i
soggetti possano sbagliare, si ritiene che la probabilità d’errore aumenti
quando le coordinate dell’ambiente in cui viviamo cambiano radicalmente.
Per cercare di capire che tipo di legame esiste tra errore e comportamento,
facciamo riferimento ai tipi d’errore di Reason (1990, 1997) in relazione ai
35
Capitolo 1
livelli di prestazione di Rasmussen. Reason individua tre tipi d’errore
suddivisibili in due categorie:
Slips e lapses: il piano è adeguato, ma le azioni non vanno come
programmato. Questi sono errori non intenzionali; la differenza è che gli
slips sono osservabili, e si manifestano solo al momento dell’esecuzione,
mentre i lapses sono più nascosti e comprendono manchevolezze della
memoria, nell’immagazzinamento delle informazioni. In sintesi si possono
definire come deviazioni non desiderate delle azioni dalle intenzioni di
partenza. Sono fallimenti dell’esecuzione, o azioni che non coincidono con
quelle stabilite dalle intenzioni.
Mistakes: le azioni rispettano il piano, che, però, è inadeguato per
raggiungere l’obiettivo. Sono errori di pianificazione e si manifestano
quando un individuo, trovandosi in una situazione nuova e non avendo una
routine appropriata da applicare, è costretto ad elaborare un piano d’azione
basandosi sulle conoscenze di cui è in possesso in quel momento. Se il suo
progetto d’azione risulta sbagliato, si ha un mistake. Al contrario degli slips
e dei lapses, qui le azioni seguono le intenzioni e la panificazione iniziali, ma
non raggiungono le conseguenze desiderate proprio perché si sbaglia in
partenza. L’intenzione non è appropriata.
Di fronte ad un nuovo sistema tecnologico l’operatore può cadere in
errore con più facilità. Alcuni esempi: le nuove strategie operative fornite
dei progettisti possono essere idonee ma i soggetti non sono stati addestrati
adeguatamente, non hanno avuto il tempo necessario per immagazzinare a
sufficienza le nuove informazioni, oppure i progettisti non hanno compreso
del tutto l’innovazione elaborando, così, piani d’azione non funzionali né
appropriati. Bisogna poi tenere presente che è impossibile stabilire tutte le
norme necessarie a coprire qualunque tipo di reazione o criticità del
sistema. È quindi inevitabile che nel nuovo ambiente di lavoro il soggetto si
troverà presto a dover fronteggiare segnali sconosciuti da parte della
macchina, reazioni per lui mai sperimentate che lo obbligano a elaborare,
nel minor tempo possibile, il piano d’azione che gli sembra il più adeguato.
Tempi ristretti e insicurezza, collocano l’errore dietro l’angolo.
36
Capitolo 1
Gli studiosi di errori umani utilizzano spesso la relazione tra i modelli di
Rasmussen e quelli di Reason, in quanto essa rende possibile una
comprensione e una schematizzazione maggiore dell’azione umana e dei
suoi errori: gli errori vengono identificati come malfunzionamenti ai tre
livelli, skill, rule e knowledge. La responsabilità degli errori risiede
nell’attività di attribuzione di significato, cioè in una tendenza ad assimilare
il nuovo a ciò che è noto, a cercare conferme e resistere alle smentite
(Roncato 2000).
Livello di prestazione
Tipi d’errore
Livello skill-based
Livello rule-based
Livello knowledge-based
slips e lapses
RB mistakes
KB mistakes
FIGURA 5: I tipi d’errore in relazione con i livelli di prestazione di Rasmussen
•
Livello skill based
L’azione è determinata da una reazione a catena che si innesca nel
momento in cui si coglie uno stimolo nell’ambiente. A questo livello
l’attenzione non è uno strumento di controllo efficace. Nella quotidianità si
utilizza un archivio collocato nella memoria, dal quale si attingono schemi
d’azione immediatamente operativi. Per bloccare l’effetto di questi attivatori
è necessario un livello di attenzione particolarmente alto. Qui hanno origine
gli slips e i lapses, che possono essere causati da fattori diversi: un controllo
attenzionale non appropriato, l’associazione erronea di uno stimolo con
un’azione familiare. In sintesi si attiva un’abitudine all’interno di un contesto
sconosciuto o poco approfondito. L’errore è quasi inevitabile. Roncato
(2000) sottolinea come a livelli skill based possono nascere errori anche per
eccesso dia attenzione: ci si sforza di fare con cura qualche cosa che ormai
facevamo meccanicamente, finendo per commettere errori molto banali.
•
Livello rule based
È la prestazione dominata dal “conservatorismo cognitivo” e dalla regola “se
X, allora Y”. Se una regola ci ha permesso di ottenere buoni risultati in
passato, essa acquista maggiore forza e s’impone sulle altre. Gli errori si
37
Capitolo 1
manifestano quando, davanti ad una situazione nuova, si usa una strategia
che abbiamo sempre seguito con successo in passato. Anche se ci si
accorge che non si ottiene il risultato desiderato, insistiamo ugualmente nel
ripetere l’operazione sottovalutando, o non cogliendo affatto, i segnali che ci
indicano una nuova strada da seguire. La forza delle regole prestabilite, e
dell’abitudine prendono il sopravvento. Il mistake RB deriva da un uso
inadeguato delle conoscenze esperte (Reason 1990).
•
Livello knowledge based
È il livello più diffuso nel momento in cui si affronta una situazione nuova o
inattesa. Gli errori nascono perché mancano le conoscenze esperte: davanti
a un problema o ad una novità bisogna saper formulare un’ipotesi per
risolvere la criticità e, nel minor tempo possibile, selezionare i dati
realmente utili di cui si è in possesso. L’errore si manifesta perché le
osservazioni e i piani tendono a privilegiare ciò che è in accordo con le
ipotesi formulate, scartando tutto ciò che le contraddice. La fiducia
eccessiva si traduce in una propensione alla conferma che lascia la strada
libera all’errore. La forza dei piani d’azione nel ridurre l’ansia, ha come
conseguenza la resistenza ad adattarsi ai cambiamenti. I mistakes KB
hanno, quindi, due origini: la razionalità limitata e la scarsa conoscenza
necessaria alla soluzione del problema (Roncato 2000).
Nel momento in cui si vive un cambiamento importante all’interno di un
sistema altamente tecnologico, è necessario uno sforzo di coordinamento
non indifferente e distribuito a tutti i livelli della struttura organizzativa. Tale
coordinamento è essenziale per permettere al sistema di continuare a
funzionare e, parallelamente, ad adattarsi al nuovo. In queste occasioni è
necessario trovare un giusto equilibrio tra i comportamenti SB, RB e KB in
base alle situazioni che si presentano momento dopo momento. La
distribuzione delle nostre risorse mentali nei differenti compiti di controllo è
uno dei problemi più importanti che dobbiamo continuamente affrontare.
Calcolare male l’importanza e l’urgenza di un obiettivo può costare un
errore grave (Roncato 2000). Reason sostiene che il cambiamento è una
delle caratteristiche ricorrenti delle situazioni che producono l’errore, che, a
sua volta, si differenzia per quel che riguarda la relazione con la
38
Capitolo 1
trasformazione. Negli slips e nei lapses di tipo SB, i cambiamenti che
scatenano l’errore comportano un allontanamento da qualche routine ben
stabilizzata. A livello KB i mistakes sono il risultato dei cambiamenti per i
quali non c’è stata né preparazione, né anticipazione: i cambiamenti devono
essere affrontati per mezzo di un ragionamento che si attua sul momento e
che
ha,
inevitabilmente,
una
certa
disposizione
all’errore.
Cautela,
prevenzione, ricerca, addestramento sono principi operativi che dovrebbero
stare alla base della fase di progettazione del cambiamento. Gestire
l’innovazione in modo appropriato è l’unica e migliore prevenzione alle
catastrofi. Se, prima di introdurre un nuovo sistema all’interno di un
ambiente organizzativo che appare stabile e consolidato, si andasse alla
ricerca delle condizioni latenti, delle reali dinamiche relazionali, della forza
delle barriere protettive presenti in profondità, allora si potrebbero cogliere
in anticipo gli eventuali segnali di pericolo ed eliminarli. In questo modo,
l’innovazione sarebbe più sicura e non rischierebbe di aggiungere nuovi
pericoli in un ambiente instabile. Di fronte al cambiamento delle routine è
necessario un aumento del livello delle modalità di controllo attenzionale,
che, se sottovalutato, è la causa più comune che porta a commettere slips
dell’azione.
Il problema è che spesso un sistema di difese multi livellare ha il difetto
di essere troppo opaco e di non permettere che né gli individui né
l’organizzazione possano facilmente comprendere i pericoli e trarre vantaggi
dagli errori. È essenziale, invece, che coloro che operano e gestiscono le
tecnologie complesse apprezzino sia i vantaggi sia i pericoli delle difese
multi – stratificate (Reason 1997), altrimenti la tendenza diventa quella di
attribuire gli errori catastrofici alla fallibilità umana piuttosto che alla
debolezza intrinseca del sistema.
Nel tentativo di compensare l’inaffidabilità delle prestazioni umane, i
progettisti dei sistemi di controllo automatici hanno inconsapevolmente
creato opportunità per nuovi tipi d’errore, che possono essere ancora più
seri di quelli che stavano cercando di evitare (Reason 1990). Uno degli
ambienti tecnologici più studiati, sia per quanto riguarda gli errori, sia
rispetto ai processi di cambiamento, è il mondo del traffico aereo; in questi
39
Capitolo 1
ambienti accade sempre più spesso che i sistemi progettati appositamente
per facilitare il carico di lavoro del pilota o del controllore, si rivelano nella
pratica troppo enigmatici e a richiedere, così, maggiore attenzione. Reason
definisce questi risultati come “ironie dell’innovazione” (1990, p. 297)
identificando con questa espressione tutti quei sistemi che, progettati per
migliorare
il
sistema,
finiscono
per
appesantirlo
rendendolo
meno
comprensibile. Alcuni esempi: i sistemi automatici possono aumentare la
domanda di utilizzo della memoria; rendere gli operatori incerti sul quando
e come focalizzare la propria attenzione; rendere più difficile per gli
operatori in team condividere la stessa consapevolezza della situazione;
indebolire i modelli mentali del sistema; aumentare il carico di lavoro nei
periodi già sovraccarichi; limitare la capacità degli individui di sviluppare
strategie
efficaci
per
affrontare
le
domande
degli
specifici
compiti;
aumentare stress e ansia.
In conclusione si deve però ricordare l’impossibilità di prevedere
controllare tutte le conseguenze di un sistema nuovo così come le risposte
dei soggetti che ad esso si relazionano. Ci saranno sempre situazioni non
coperte da regole o in cui le regole non sono localmente applicabili.
Nonostante la cura con cui può essere portata avanti una fase di
addestramento
o
con
cui
sono
perfezionate
le
procedure,
possono
comunque nascere situazioni completamente nuove in cui le persone
devono improvvisare un corretto corso d’azioni sulla base di un processo
knowledge based. In questi casi, tutto sta al singolo individuo, alla sua
esperienza e alle sue competenze; più si è abituati ad affrontare criticità
inaspettate, più è alta la probabilità di pianificare la strategia corretta del
momento. L’uomo è ancora l’unico che possa usare delle capacità di
ragionamento knowledge based per far fronte alle emergenze del sistema
(Reason 1997): nonostante i limiti propri della condizione umana e i diversi
fattori che possano indurre i singoli operatori in errore, l’uomo rimane una
componente essenziale dei sistemi rischiosi grazie alla peculiare abilità
knowledge based di svolgere sul momento attività volte alla soluzione del
problema.
40
Capitolo 2
2. Il modello di riferimento: SHELL
L’analisi empirica portata avanti in questa Tesi di Laurea si inserisce nel
filone di ricerca relativo al Controllo del Traffico Aereo (ATC) e ha per
oggetto lo studio del cambiamento avvenuto nella sala controllo (ACC) di
Milano Linate. Tale cambiamento è dovuto al processo di innovazione
tecnologica che ha permesso di aprire una nuova sala controllo in cui tutta
la squadra operativa si è trasferita nel mese di aprile 2003.
La ricerca è stata compiuta sulla base di una particolare prospettiva
d’analisi e relativa metodologia operativa. Tenendo come panorama di
riferimento gli insegnamenti dell’approccio sistemico (Sheridan 1988), si è
tentato
di
svolgere
un’etnografia
situazionale,
secondo
i
principi
fondamentali dell’ergonomia (Gherardi, Nicolini 2001; Fele 2002; Decortis,
Noirfalise, Saudelli 1999), e utilizzando il modello SHELL per interpretare i
dati raccolti sul posto.
2.1 La prospettiva d’analisi
2.1.1 Un approccio sistemico alle organizzazioni
L’enorme diffusione delle organizzazioni altamente tecnologiche (centrali
nucleari, aviazione, controllo del traffico aereo…) ha portato la ricerca
scientifica a sviluppare e approfondire un particolare filone di analisi.
In queste organizzazioni così complesse, tutte le componenti giocano un
ruolo sempre più importante, e determinante per la produzione. Per questo
motivo si è sentita l’esigenza di osservarle e analizzarle ciascuna come un
grosso sistema, capace di funzionare solo se le parti che lo compongono
riescono a coordinarsi in modo affidabile e costante tra loro. La crescente
complessità organizzativa porta con sé dei vantaggi e altrettanti svantaggi:
da una parte aumenta l’efficienza e la qualità del prodotto, dall’altra la
struttura produttiva tende a diventare sempre più opaca, creando al suo
interno crepe dove possono facilmente annidarsi pericoli più o meno gravi
41
Capitolo 2
per l’organizzazione stessa. Come il passato ci insegna (vedi anche capitolo
1), non è raro che le organizzazioni tecnologicamente avanzate creino degli
incidenti catastrofici ed estremamente pericolosi, per chi vi lavora come per
i comuni cittadini (Chernobyl, Linate…).
Lo studio di queste organizzazioni, quindi, non può prescindere dallo
studio degli incidenti che in esse avvengono, anche perché i risultati
possono migliorare le condizioni lavorative e il livello di sicurezza interno. A
questo proposito la tradizione di ricerca è particolarmente corposa. Le teorie
sulle cause degli incidenti hanno fatto molti passi avanti: in passato si è
abbandonato il modello ingegneristico (1960, 1970) incentrato sulla
tecnologia, per approdare ad un’analisi che faceva uso di modelli basati
sulla persona (1980); negli ultimi vent’anni si è compreso che non ha senso
andare alla ricerca di un fattore scatenante di errori e incidenti, ma è
necessario utilizzare modelli organizzativi e socio-tecnici più adatti per
cogliere la complessità del sistema considerato (Catino 2002). Poiché non è
questa la sede per analizzare le cause e i fattori che hanno determinato le
evoluzioni
teoriche
organizzazioni
nel
partendo
tempo,
da
un
è
nostra
approccio
intenzione
organizzativo
guardare
e
le
sistemico,
utilizzando i modelli analitici in esso presenti.
L’approccio sistemico allo studio delle organizzazioni (Sheridan 1988,
Cacciabue 2000) sostiene che tutti i sistemi tecnologici complessi operano in
ambienti a rischio, e condividono caratteristiche che influenzano e sono
legate all’interazione tra gli uomini e i sistemi di controllo. Queste
organizzazioni possono essere definite come sistemi uomo-macchina, in cui
ogni interazione si colloca in un contesto reale caratterizzato dall’impianto,
con i suoi sistemi di interfaccia e controllo con cui interagiscono gli
operatori, e dall’ambiente di lavoro in cui avviene l’interazione. L’ambiente
è, a sua volta, caratterizzato da molteplici elementi che hanno un’influenza
diretta sulle prestazioni lavorative dell’organizzazione: il contesto reale,
l’ambiente (rumore, spazio, luminosità, temperatura…), le interazioni tra i
colleghi (dirette o a distanza), il contesto sociale (management, direttive
dell’organizzazione, società, cultura organizzativa) la relazione con le
apparecchiature
specifiche.
Ciascuno
42
di
questi
tre
fattori
merita
Capitolo 2
un’attenzione particolare nel momento in cui ci si appresta ad analizzare
una particolare struttura organizzativa, poiché in esso sono compresi
elementi ben definiti, e determinanti per comprendere il sistema in oggetto:
- Condizioni ambientali di lavoro: fattori fisici e sociali che influenzano il
comportamento umano oppure influenzano l’efficienza e l’affidabilità delle
prestazioni
lavorative.
immediato
sui
Queste
processi
condizioni
lavorativi
hanno
(automazione
un
effetto
imprecisa,
locale
e
strumenti
inadeguati ai compiti, procedure inadeguate, mancanza di supervisione,
addestramento insufficiente, carenza di pratiche chiaramente definite…).
- Interazioni tra i colleghi: fattori psicologici, comportamentali, relazionali
che determinano la qualità delle relazioni interpersonali. Fattori personali,
condizioni individuali, fisiche o mentali, che influiscono sul comportamento e
sono
specifiche
di
ogni
persona.
Stanchezza,
stress,
agitazione,
preoccupazione, stati d’ansia del singolo possono, ad esempio, ridurre
l’attenzione del soggetto, influenzando la buona qualità delle relazioni con i
colleghi. Gli effetti possono essere negativi sulla prestazione lavorativa
specifica. Un ruolo molto importante, in quest’ambito, è rivestito dai modelli
comunicativi e dalle procedure seguite per scambiare informazioni; per una
buona comunicazione non devono essere presenti fattori di disturbo,
personali o di gruppo, che possano intromettersi nel flusso comunicativo.
- Aspetti sociali e culturali dell’organizzazione: decisioni strategiche che
danno origine alla cultura dell’organizzazione, ossia l’insieme delle norme,
valori, comportamenti, ideologie, inconsci e raramente articolati, che
un’organizzazione sviluppa su se stessa e sull’ambiente in cui opera. La
cultura organizzativa è l’insieme delle “regole non scritte” che governano i
comportamenti accettabili all’interno e all’esterno dell’organizzazione stessa.
Secondo Reason (1990) è qui che nascono i fattori latenti che influenzano
profondamente la sicurezza di un sistema.
- Strumenti, difese, barriere: strutture fisiche progettate, programmate e
inserite nel sistema per supportare e rendere più efficaci e sicuri il lavoro.
Sono il risultato dei processi decisionali ad alto livello nell’organizzazione
L’approccio sistemico considera e cerca di integrare in un unico quadro
concettuale
tutte
le
componenti
che
43
giocano
un
ruolo
all’interno
Capitolo 2
dell’organizzazione: il processo lavorativo diventa così un sistema costituito
da
più
componenti
(uomo,
artefatti,
procedure,
ambiente).
Questo
approccio vieta di analizzare un qualsiasi aspetto del sistema considerato,
senza tener presente tutti i legami e le relazioni che in esso hanno luogo:
nei contesti produttivi il livello di influenza delle singole componenti è
talmente elevato che il fulcro di analisi deve focalizzarsi sulle interazioni tra
gli elementi.
Personale,
procedure,
materiali,
strumenti,
infrastrutture
vengono
utilizzati nell’ambiente operazionale per raggiungere gli obiettivi prefissati
ad un una missione specifica. Se queste sono le premesse fondamentali alla
base dell’approccio analitico considerato, è altrettanto importante capire
quali siano le sue direttive dal punto di vista metodologico e quali direttive
di ricerca siano previste.
La prospettiva sistemica è finalizzata ad analizzare, progettare, valutare
e gestire i sistemi altamente complessi, come ad esempio il trasporto aereo.
Questo approccio prevede delle regole di base:
- porre dei confini al problema e suddividerlo in specifiche sezioni, ciascuna
osservabile, misurabile e catalogabile in variabili indipendente (input) e
dipendente (output) in relazione tra loro;
- analizzare le interazioni tra gli elementi individuati (Sheridan 1988).
In sintesi si potrebbe affermare che, questa prospettiva punta a rompere
una realtà in piccoli e precisi pezzi per poi osservare come questi
interagiscono tra loro. L’obiettivo simbolico è quello di prevedere nel modo
più preciso possibile le prestazioni del sistema; in realtà, la disciplina porta
ad una migliore comprensione della natura dei problemi, attraverso lo
studio e l’interpretazione delle interconnessioni tra gli elementi, per poi
ipotizzare il probabile comportamento futuro de sistema.
Il risultato dell’analisi diventa una prospettiva interpretativa con cui
cogliere le variabili o le relazioni da considerare nella progettazione,
nell’addestramento o in qualunque intervento sul sistema. Il modello
sistemico è un modo per decodificare le informazioni riguardo alla
progettazione e alle operazioni così da renderle accessibili e comprensibili a
chiunque.
44
Capitolo 2
In conclusione si può affermare che la prospettiva sistemica è un modo
di
pensare
in
relazione
a
un
problema.
L’analisi
sistemica
delle
organizzazioni prevede l’utilizzo di uno schema interpretativo chiaro e ben
definito dell’oggetto, una sua scomposizione in variabili e del tempo per
osservare come queste variabili interagiscono tra loro. L’osservazione
richiede tempo per cogliere, aspettare, riconoscere tutti i segnali utili, gli
input del sistema; in seguito si ha la fase d’analisi in cui si cercano i giusti
legami e le corrette dipendenze tra i fattori.
2.1.2 Gli strumenti dell’ergonomia
Rispettando i principi posti dalla prospettiva sistemica, la nostra ricerca si
propone di osservare l’ambiente organizzativo della sala di Controllo del
Traffico Aereo (ACC) di Milano Linate, scomponendola nelle sue parti
costitutive e analizzando le relazioni che, instaurandosi tra di esse, fanno sì
che il sistema funzioni.
La metodologia operativa è quella proposta dal modello SHELL e verrà
affrontata nelle pagine seguenti. Prima, però, ci sembra opportuno
soffermare l’attenzione su alcuni aspetti metodologici che riteniamo di
estremo interesse e di grande utilità per integrare il modello scelto
all’interno di un filone di ricerca estremamente vasto, soprattutto in
riferimento al mondo del Controllo del Traffico Aereo (ATC).
Il nostro obiettivo è quello di porre l’uomo al centro del sistema
osservato, e analizzare come egli reagisca, sia come singolo sia nel lavoro di
squadra, agli stimoli presenti nel suo ambiente di lavoro, in particolare
quando questo ambiente subisce dei cambiamenti sostanziali. È a questo
proposito che entra in gioco l’Ergonomia, ossia la disciplina che si occupa di
Human Factors.
La relazione che si instaura tra l'attività umana e le condizioni
ambientali, strumentali e organizzative in cui si svolge, è da sempre
l’oggetto dell’ergonomia. Nata per studiare e far rispettare, soprattutto nella
fase di progettazione, una serie di norme che tutelano la vita del lavoratore
e accrescono l'efficienza e l'affidabilità dei sistemi, l'obiettivo attuale è
45
Capitolo 2
quello di contribuire alla progettazione di oggetti, servizi, ambienti, nel
rispetto dei limiti dell'uomo e nel potenziamento delle sue capacità
operative. In sintesi, l'ergonomia si propone di comprendere l’interazione
tra l’elemento umano e gli altri elementi del sistema organizzativo al fine di
migliorare la qualità delle condizioni di vita nelle attività lavorative
quotidiane e ottimizzare le prestazioni sia dei singoli, sia del sistema
aumentando il livello di sicurezza dell’organizzazione.
La decisione di utilizzare i principi ergonomici per affrontare la nostra
analisi trova spiegazione in quanto afferma Mantovani (2000 p. 15):
“L’ergonomia studia il lavoro umano che cambia, sviluppando competenze
adatte ai tempi, agli ambienti e alle diverse circostanze in cui il lavoro si
esplica. Ogni sapere socialmente rilevante è tanto dipendente dal contesto
che, quando questo cambia, cambia anche il problema”. Potremmo
affermare che esistono due tipi di cambiamento, uno di tipo macro, lento e
costante nel tempo, tale da permettere l’identificazione di precise fasi
storiche
caratterizzate
da
particolarità
tecnologiche
e
da
specifiche
innovazioni; l’altro micro, l’innovazione nel singolo contesto, il cambiamento
radicale
ma
localizzato
che,
sommato
negli
anni
a
tutte
le
altre
trasformazioni ad esso simili aprono la strada per una nuova rivoluzione
tecnologica.
L’ergonomia è evoluta negli anni adattandosi ai macro
cambiamenti; sono riconosciuti tre passaggi storici che hanno modificato
questa disciplina: a) 1900/1950: si mira ad adattare l’uomo alla macchina
per migliorare la salute dei lavoratori, la sicurezza del lavoro e la
produttività delle aziende. La macchina ha la precedenza sull’uomo; b)
1950/1970: l’ergonomia si propone di adattare la macchina all’uomo, la
tecnologia incomincia ad essere più negoziabile e flessibile. L’ergonomia,
pur rimanendo ancorata alla fabbrica, inizia a colonizzare gli uffici, e le
nuove attività quali quelle dei controllori di volo, dei piloti di aerei, degli
addetti ai terminali video; c) Prima metà anni ’70: l’ergonomia passa
dall’essere
centrata
sull’analisi
del
compito
separato
dal
contesto,
all’occuparsi della relazione tra le persone e tra queste e l’ambiente in cui
lavorano. Il concetto di interazione soppianta quello di adattamento nel
rapporto uomo/macchina, si parla di attrezzature flessibili. I problemi
46
Capitolo 2
dell’ergonomia diventano quelli della validità delle interfacce e della
possibilità di buona cooperazione tra l’uomo e i suoi dispositivi.
D’altra parte con le tecnologie elettroniche portano continuamente nuove
minacce per l’autonomia del lavoro umano. L’aspetto problematico non è
tanto la relazione e l’utilizzo delle nuove interfaccia sempre più sofisticate,
quanto la fase di progettazione e adattamento al nuovo. Progettare le
tecnologie in vista del contesto è un compito arduo, perché il contesto di
uso non è definibile una volta per tutte, anzi è soggetto a continui fattori di
disturbo
e
di
cambiamento.
“Le
circostanze
dell’azione
mutano
continuamente: per questo gli attori, nelle situazioni, devono essere
flessibili e per questo i progettisti hanno sempre nuovi problemi nella fase di
progettazione; … comunicazione, manutenzione e organizzazione del lavoro
sono temi centrali dell’ergonomia dei sistemi” (Mantovani 2000 p. 36). Nel
momento in cui si progetta un nuovo sistema tecnologico è necessario saper
osservare il sistema, scomporlo nelle sue variabili fondamentali, rintracciare
le relazioni causa – effetto che le legano, capire cosa uomini e macchine
sanno fare meglio per poter poi distribuire tra loro i compiti in modo
ottimale e permettendo loro di comunicare senza troppe difficoltà.
A livello pratico e concreto, l’ergonomia si presenta come un approccio
pragmatico al sistema, dove l’unione di osservazione e partecipazione porta
a rappresentare i concetti teorici attraverso le azioni. All’interno delle azioni,
particolare importanza ai fini della comprensione del sistema, viene
attribuita agli episodi di breakdowns, dovuti ad un sovraccarico lavorativo
eccessivo, a situazioni stressanti o a problemi organizzativi, tali da indurre
una forte variabilità nelle attività e un cambiamento nelle strategie
cognitive. Molteplici sono le cause che portano al verificarsi di queste rotture
pericolose, e l’ATC è da sempre un ambito d’analisi privilegiato per
approfondire tali condizioni: qui la sicurezza, la produzione, l’affidabilità e la
velocità sono obiettivi tra loro molto diversi ed è facile che nascano
problemi se devono essere realizzati contemporaneamente, se sono definiti
in modo impreciso, o se si fraintendono le troppe informazioni presenti.
La forza della disciplina ergonomica sta proprio nell’addentrarsi il più
possibile all’interno della struttura organizzativa, per coglierne gli aspetti di
47
Capitolo 2
fondo e costitutivi che la caratterizzano. Ciò avviene attraverso una pratica
di ricerca precisa finalizzata a descrivere le situazioni correnti, analizzare
come il sistema è evoluto nel tempo, e infine rappresentare l’organizzazione
in riferimento agli attori, i ruoli, i compiti e gli obiettivi, le interazioni, la
collocazione delle postazioni nello spazio. Il sistema è scomposto pezzo per
pezzo.
La raccolta dei dati avviene secondo diverse modalità, quali ad esempio
osservazione, interviste, registrazioni audio e video, confronto soggettivo
degli attori stessi con i dati.
L’ambiente è osservato sulla base dell’uso che in esso viene fatto degli
strumenti, dei media, dell’apparecchiatura (telefono, radar, carta, fax) al
fine di cogliere le principali e comuni difficoltà nel loro uso (opacità,
mancanza di conoscenza). Gli obiettivi dell’analisi si focalizzano sui ruoli e le
operazioni
prescritti
per
gli
attori,
le
strutture
comunicative
dell’organizzazione, i compiti individuali e il grado di cooperazione, gli
strumenti e le risorse del sistema… La metodologia ergonomica prevede tre
livelli d’analisi: contesto, compiti e attività.
Si può affermare che l’obiettivo che guida una ricerca ergonomica, è
quello di esaminare le differenze tra ciò che è previsto e ciò che è realmente
realizzato,
per
poi
progettare
il
sistema
in
modo
da
supportare
efficacemente le attività di cooperazione. L’analisi ergonomica fornisce una
cornice d’analisi delle situazioni lavorative che si focalizza sui bisogni degli
utilizzatori
nei
diversi
contesti
(Decortis,
Noirfalise,
Saudelli
1999).
Particolare importanza è attribuita alla ricerca dei fattori che fanno diminuire
il livello di sicurezza del sistema, che intaccano le barriere difensive
presenti; Gherardi e Nicolini (2001) ci ricordano come il sapere della
sicurezza costituisce un ambito privilegiato per osservare i fenomeni di
apprendimento di una pratica in tutta la loro complessità. Inoltre, il
persistere di incidenti tragici sollecitano una comprensione delle radici del
fenomeno in chiave culturale.
La sicurezza è un tratto culturale dell’azione sia individuale che
collettiva; la sicurezza personale (security), è la capacità individuale di
evitare eventi nocivi, quella collettiva (safety), consiste nella riduzione delle
48
Capitolo 2
probabilità che gli eventi o le situazioni pericolose si verifichino. È in questo
secondo caso che assume importanza la dimensione di progettazione
organizzativa, perché gli infortuni e gli incidenti sono indicatori dello stato di
affidabilità del sistema. Questo aspetto ribadisce l’importanza di saper
cogliere con precisione le componenti del sistema e capire quali possano
essere le azioni sistematiche e collettive capaci di evitare, o almeno
limitare, incidenti e infortuni. È fondamentale partire dalla fase di
formazione degli operatori al sistema, fase che dovrebbe essere suddivisa in
due parti: promuovere l’uso di mezzi di protezione individuali (security), e
attirare l’attenzione dei lavoratori sui rischi derivanti dall’inosservanza di
norme di sicurezza nell’ambiente di lavoro (safety).
Fin qui le premesse teoriche di contorno; passeremo ora a descrivere nel
dettaglio in cosa consiste il modello analitico SHELL da noi scelto per la
ricerca.
2.2 Il modello SHELL
Questo modello “nasce” con la sigla SHEL nel 1972 dagli studi condotti
da Elwin Edwards, professore dell’Università di Birmingham e primo grande
esperto di Human Factors. Nel 1987 il capitano Frank Hawkins, a seguito di
indagini in campo aeronautico, ha suggerito alcune importanti modifiche al
modello, al fine di sottolineare con maggiore forza il ruolo della componente
umana, ritenuta da lui punto di inizio e centro nevralgico di ogni ricerca.
FIGURA 6: Il modello SHELL di F. Hawkins (1987)
49
Capitolo 2
Il modello SHELL ha preso vita all’interno del grande ambito di ricerca
relativo agli errori organizzativi, in particolare nel mondo del Controllo del
Traffico Aereo (ATC), allo scopo di promuovere piani di gestione dei fattori
umani inerenti la sicurezza.
Sulla base del modello SHELL sono state sviluppate diverse classificazioni
d’errori umani - tuttora applicate per la raccolta dati su incidenti aerei
dall’ICAO (1993; 1997).
2.2.1 I principi fondamentali del modello
La
sigla
SHELL
è
l’acronimo
che
sta
a
indicare
le
componenti
fondamentali di un sistema organizzativo. Nel dettaglio (Edwards 1988;
Cacciabue, 2000; Catino 2002):
Hardware: è il sistema di controllo con tutti gli equipaggiamenti, le
strutture e i materiali connessi. Comprende la componente materiale, fisica,
non umana del sistema, ossia gli strumenti, i veicoli, le attrezzature, la
segnaletica. Qui si collocano tutti i vincoli determinati dagli elementi fisici e
materiali con cui l’uomo interagisce durante il suo lavoro.
Software: è la componente non tangibile che contribuisce al processo di
interazione; norme, direttive, regolamenti, leggi, procedure, abitudini. In
sintesi le regole formali ed informali (la cultura dell’organizzazione) che
determinano le modalità d’interazione tra tutte le componenti del sistema. È
un elemento immateriale, ma fondamentale perché vincola e coordina
l’azione e le relazioni.
Liveware: l’essere vivente. Prima dell’aggiunta di Hawkins, ci si riferiva
solo alla componente umana vista in relazione alle altre parti del sistema; in
seguito si guarda alla dimensione umana vista sia come singolo o come
gruppo che si relaziona al sistema, sia come singoli o gruppi in relazione tra
loro. Guarda a tutte le interazioni e comunicazioni che si instaurano
all’interno dell’organizzazione tra tutti coloro che ne fanno parte (lavoratori,
teams di lavoro, management, dirigenza).
50
Capitolo 2
Environment: sono qui compresi i fattori economici, politici e ambientali
che caratterizzano il sistema organizzativo. Tali aspetti costituiscono le
condizioni sociotecniche in cui si opera nella realtà, ma sono quelli meno
accessibili al ricercatore e quindi vengono lasciati piuttosto come sfondo
d’analisi.
Il modello è stato sviluppato con l’intento di rappresentare le relazioni tra
gli operatori e le loro attività in una prospettiva di ergonomia e fattori umani
(Cacciabue 2000).
Il fine è quello di supportare la visione sistemica
definendo e classificando le componenti del sistema che, interagendo tra
loro in modo continuo, dinamico e flessibile, danno vita a qualunque
processo produttivo. Il senso è che un sistema organizzativo è determinato
dalle modalità e dall’efficienza con cui le cinque componenti fondamentali
interagiscono tra loro.
Il successo della produzione non dipende solo dalle buone regole
stabilite, dalla perfezione tecnologica degli strumenti utilizzati oppure
dall’elevato grado di competenza dei lavoratori; la buona riuscita del
processo dipende dalla buona interazione tra tutte le parti. Per SHELL il
processo lavorativo è un sistema che si determina e caratterizza dal modo
in cui le diverse componenti interagiscono all’interno di un dato E.
Secondo quando previsto dal modello, per considerare le caratteristiche
individuali e i loro effetti sul comportamento è necessario porre l’uomo (L)
come elemento centrale del sistema composto da altri esseri umani (L),
dall’ambiente (E), dall’Hardware (H) e dal Software (S). Al centro è posto
l’uomo che lavora in front-line con le altre componenti in base alle proprie
competenze,
capacità
ed
esperienze.
La
centralità
attribuita
alla
componente umana si spiega in riferimento alla tradizione legata ai fattori
umani e alla consapevolezza, sempre maggiore, del ruolo fondamentale che
il singolo assume parallelamente allo sviluppo tecnologico e normativo, a
loro volta finalizzati a migliorare prestazioni e sicurezza dei sistemi. L’uomo
non può essere considerato isolatamente dalle altre componenti; il suo
comportamento,
le
sue
condizioni
51
psicofisiche,
sono
influenzate
Capitolo 2
dall’interazione con tutte le altre componenti del sistema e quindi devono
essere considerate in relazione all’intero processo lavorativo.
Se la buona riuscita del processo produttivo dipende dall’armonia con cui
i fattori interagiscono tra loro, il modello SHELL sottolinea dove si possono
individuare i punti fragili dello stesso sistema: nel momento in cui una delle
relazioni dovesse incrinarsi o addirittura scomparire dal sistema, allora tutto
il processo produttivo subirebbe dei profondi cambiamenti. In questo caso le
altre interazioni dovrebbero, per così dire, potenziarsi per andare a coprire
le carenze che si sono presentate.
E’ come se non fosse più presente una corretta ed equa distribuzione dei
compiti, e le componenti rimaste si trovano ad affrontare un sovraccarico
lavorativo che aumenta il livello di stress, diminuisce la forza delle barriere
difensive interne e soprattutto aumenta la probabilità che possa presentarsi
qualche condizione critica non prevista. Secondo l’approccio SHELL, le
criticità sono imputabili non a fallimenti a livello di L, H, S ed E considerati
isolatamente, ma vanno ricercate nelle interazioni tra di essi. Vediamo
come.
2.2.2 Interazioni e criticità: come scoprire gli errori dl sistema
Per criticità si intende una frattura nella continuità delle interazione tra le
componenti del processo. In riferimento a SHELL possiamo considerare
criticità le fratture che si presentano nell’interazione tra l’uomo e le altre
componenti. Quando queste condizioni di possibile pericolo si realizzano,
può verificarsi una caduta della prestazione lavorativa, caduta che può
creare le condizioni per un incidente.
Il modello SHELL, isolando le componenti e le relative relazioni, permette
di evidenziare le condizioni critiche che possono minare le condizioni di
sicurezza in un processo di lavoro. Ma in cosa consistono queste interazioni
così determinanti per la sopravvivenza dell’organizzazione? Raccogliendo
alcuni dei contributi di ricerca (Edwards 1988; Cacciabue 2000; Catino
2002), proveremo a sintetizzare le diverse interazioni evidenziando i
possibili punti di rottura.
52
Capitolo 2
L-H: è la relazione uomo/macchina, più volte oggetto di ricerche a
sfondo sistemico e ergonomico. Sono previste qui le interazioni tra gli
operatori e le macchine, la strumentazione, i manuali, i segnali disponibili
per eseguire le attività, con tutti i problemi che ne seguono, soprattutto
nella fase di progettazione. Oggi si è consapevoli che la tecnologia deve
essere disegnata secondo le caratteristiche dell’utente umano e dei suoi
limiti, e che bisogna tenere conto delle capacità reali d’uso dell’utente.
Ciononostante la maggior parte dei mismatch tra uomo e interfaccia
continua a presentarsi in condizioni di piena operatività, come spesso
accade nel mondo dell’aviazione. Il problema è che sull’uomo l’intervento è
limitato a fasi di addestramento e formazione, mentre la risorsa tecnologica
può essere progettata per uno scopo preciso.
Le criticità tra L e H vanno ricercate indagando se i problemi sono relativi
alle interfacce, se il loro uso presenta difficoltà o richiede troppo tempo o
conoscenze non disponibili, se tali strumenti non sono adeguati, se sono
pericolose da usare o mantenute male. E’ poi importante assicurasi che gli
strumenti
di
sussidio
(manuali,
prontuari,
segnali…)
supportino
adeguatamente le attività e tengano conto delle reali condizioni di lavoro, se
sono esaustivi nelle informazioni, se hanno un’interfaccia e un formato che
permetta una fruibilità chiara e veloce.
L-S: si indagano qui le interazioni tra l’uomo e le procedure, le regole
che ne orientano e definiscono le prestazioni previste per il raggiungimento
degli obiettivi organizzativi. Agli operatori è richiesto di agire rispettando
una serie di regole, regolamenti, convenzioni, procedure che non devono
mai entrare in conflitto con le caratteristiche umane. Per assicurare
realmente la sicurezza e l’efficacia delle azioni è necessaria un’attenta
progettazione; in particolare bisogna fare attenzione a non stabilire regole
che, proprio al fine di evitare incidenti, risultino, nella pratica, troppo
restrittive, tanto da impedire le prestazioni lavorative. In questo caso,
infatti, gli operatori sarebbero indotti a ricercare scorciatoie operative non
previste per raggiungere l’obiettivo prefissato, scorciatoie che costituiscono
un atteggiamento altamente rischioso.
Infine è da sottolineare che le
conoscenze da utilizzare per realizzare una certa prestazione devono essere
53
Capitolo 2
sempre coperte da regolamenti, ordini di servizio, istruzioni da parte
dell’organizzazione.
Al fine di scoprire quali siano le possibili criticità L-S è necessario
indagare le interazioni tra gli operatori e tutte le conoscenze necessarie per
svolgere le attività lavorative. Si può così scoprire se le normative, i
regolamenti, le istruzioni inerenti una specifica mansione, in realtà non la
sostengono del tutto, non la spiegano in maniera esaustiva, sono troppo
complesse, non coprono le modifiche apportate durante il tempo e
finalizzate ad aumentare le barriere di sicurezza interne, se vi sono
contraddizioni tra i regolamenti, se non forniscono alternative. È poi
necessario considerare se le competenze specifiche del lavoratore sono
sufficienti o adeguate per svolgere l’attività in maniera corretta, ricercando
le eventuali carenze nell’addestramento o nella formazione.
L-E: si fa riferimento alle interazioni tra l’uomo e l’ambiente esterno. In
questo caso, però, entrano in gioco fattori economici, politici e ambientali
sui quali non è possibile avere un controllo totale. Il sistema deve essere
costruito in modo da sopravvivere e svilupparsi nell’ambiente specifico, con
una sufficiente flessibilità un’abilità tale da permettergli di adattarsi alle
circostanze in continuo cambiamento.
L-L: ossia le relazioni tra le persone. Come precedentemente affermato,
Hawkins ha proposto di aggiungere una quarta componente nel sistema,
una L in più, al fine di tener conto delle interazioni che permettono di
scambiare le informazioni tra gli operatori sia vicini sia lontani nello spazio,
ma in continua cooperazione e collaborazione. Si analizza il modo in cui le
informazioni e la conoscenza sono scambiate tra i soggetti, al fine di
realizzare tutte le attività lavorative e decisionali. In questa dimensione
assume particolare importanza lo studio dei flussi e dei diversi modelli
comunicativi, determinati dalle condizioni personali di ciascuno e dagli
schemi di progettazione interni all’organizzazione. Studiare i flussi di
comunicazione reali che avvengono nelle pratiche di lavoro da parte degli
operatori, consente di ottenere importanti informazioni per poterne poi
gestire e sostenere la realizzazione. In questo contesto, gli aspetti critici
non mancano. Un esempio calzante viene proprio dall’ATC: quando nei
54
Capitolo 2
singoli settori di spazio aereo il traffico è molto denso, il sovraccarico di
lavoro richiesto nelle comunicazioni radio è alto ed è facile che possano
presentarsi degli errori come confusione nelle chiamate, incomprensione
delle informazioni e delle istruzioni fornite dai controllori ai piloti. Le criticità
emergono sia nell’interazione tra il lavoratore e il suo team operativo, sia
tra il lavoratore e le altre persone coinvolte nel processo lavorativo. Diversi
sono i fattori scatenanti che bisogna tenere in considerazione quando si
osservano le tipologie di interazioni tra gli operatori del sistema; le
informazioni necessarie possono non essere presenti sul posto o non essere
sufficientemente tempestive, oppure la distribuzione del lavoro tra tutti i
soggetti non è funzionale all’attività da svolgere, tanto da portare ad una
sovrapposizione dei compiti e rendere difficile l’esecuzione dell’attività.
Un processo lavorativo è determinato dalla specifica combinazioni delle
risorse presenti al suo interno; al cambiare della combinazione si ha un
nuovo
processo,
così
come
quando
viene
introdotta
un’innovazione
nell’ambiente, gli accostamenti tra le componenti devono adattarsi ed
evolvere di conseguenza. Analizzare il processo significa considerare tutte le
componenti in interazione fra loro e in continua evoluzione. Catino (2002 p.
46) ci ricorda che: “Un sistema ben disegnato esiste soltanto in uno stato di
equilibrio dipendente da connessioni altamente interattive tra le parti
componenti. Ogni cambiamento di una componente all’interno del sistema
SHELL potrebbe avere ripercussioni sull’affidabilità complessiva e richiede
un riallineamento coerente delle altre componenti”.
È d’obbligo soffermare la nostra attenzione sul concetto di equilibrio del
sistema. Il sistem funziona quando le relazioni interne sono in connessione
tra loro. Nel momento in cui si verifica un cambiamento, l’improvviso
disequilibrio è inevitabilmente compensato dalla flessibilità della dimensione
L: il sistema continuare a funzionare, perché le capacità adattive umane
riescono a colmare le eventuali carenze.
Il problema è che se tale compensazione delle carenze del sistema da
parte dei soggetti dura troppo a lungo, l’organizzazione diventa sempre più
esposta a possibili breakdowns; un sistema di sicurezza che si affida alle
capacità psicofisiche dell’uomo e quindi a tutti i suoi limiti, appare
55
Capitolo 2
inadeguato a garantire l’incolumità dei lavoratori nello svolgimento delle
loro mansioni. La continua esposizione al rischio attribuisce agli operatori un
livello di responsabilità che si aggiunge a quello quotidiano, aumentando in
questo modo la stanchezza e soprattutto il loro livello di stress. La sicurezza
non è più garantita a causa del disequilibrio interno; più a lungo si protrae
nel tempo questa instabilità, più è facile che all’interno dell’organizzazione si
accumulino quegli errori latenti (vedi cap. 1) che minano l’affidabilità del
sistema. Quando poi all’instabilità delle interconnessioni si combinano fattori
di innesco locali (problemi tecnici non previsti o condizioni atipiche del
sistema), ecco che può facilmente verificarsi l’incidente. In situazioni
estreme si possono verificare mutamenti che possono compromettere il
senso condiviso innescando circoli di confusione fino alla disintegrazione
dell’organizzazione (Catino 2002).
Per evitare che le criticità possano portare a vere e proprie catastrofi, è
necessario un processo continuo di revisione e controllo delle dinamiche del
sistema. Guardare la struttura organizzativa attraverso SHELL permette di
avere una visione globale del processo lavorativo e di tener conto di come
tutte le differenti componenti interagiscono tra loro in modo dinamico e
flessibile. Descrivere le interazioni S-H-L significa monitorare le condizioni
del sistema e saper cogliere in modo opportuno le modifiche nelle relazioni
tra le risorse interne, che si realizzano in risposta ai cambiamenti. Le
situazioni critiche sono gli effetti più visibili di una non corretta distribuzione
di risorse L – L – H – S - E.
Edwards (1988) ci ricorda il perché è così pericoloso per l’organizzazione
affidare la sua sicurezza alle competenze dei soggetti in essa presenti. È
vero che la flessibilità e la capacità di adattamento dei soggetti sono risorse
di estrema importanza e uniche tra tutte le componenti del sistema, ma è
altrettanto vero che “errare è umano” e la tendenza a sbagliare è una
caratteristica tipica degli uomini, soprattutto se in condizioni di sovraccarico
lavorativo, di stanchezza o di stress. Gli errori umani sono sempre collegati
alle condizioni ambientali e organizzativi che circondano gli operatori.
La
prospettiva globale di SHELL ci fa capire come sia controproducente per il
56
Capitolo 2
sistema
stesso
analizzare
gli
incidenti
attribuendo
la
responsabilità
esclusivamente agli uomini e alle loro carenze.
2.2.3 I campi d’applicazione
Il modello SHELL si propone di analizzare i processi produttivi in modo da
identificare le possibili fratture del sistema, e intervenire per risolverle
garantendo il miglioramento del sistema stesso.
Nelle pagine precedenti abbiamo cercato di capire cosa vuol dire
individuare i punti in cui è possibile cogliere le fratture organizzative. Il
modello SHELL, la prospettiva sistemica e l’area di ricerca dei fattori umani,
però, non si limitano ad analizzare; il secondo e fondamentale obiettivo è di
intervenire nel concreto per aumentare i livelli di efficienza e sicurezza.
Agire sulle fratture significa riorganizzare la distribuzione delle risorse tra
gli elementi, riprogettare l’attività lavorativa nella sua globalità modificando
le interazioni precedenti, al fine di rendere il nuovo processo produttivo più
affidabile, efficace e sicuro.
L’intervento nell’organizzazione attraverso
SHELL può avvenire in due tempi, prima e dopo il verificarsi di un
breakdown.
Il verificarsi di un incidente rivela a tutti quali sono i problemi non risolti
e crea uno spazio e un’occasione unica per poter apprendere come
migliorare le condizioni lavorative. In questo caso l’organizzazione deve
essere capace di ricostruire la struttura delle proprie relazioni, identificare il
peso delle sue componenti e la loro capacità di relazionarsi. Il problema è
che riconoscere le proprie lacune e identificare i fattori latenti a cui non si è
data importanza, sono azioni che costano fatica in particolare ai vertici
dell’organizzazione; per questo motivo solitamente si cerca di limitare il
fatto intervenendo sugli errori attivi e sulle condizioni locali che hanno
determinato l’incidente. Edwards (1988) ci ricorda, però, che l’errore deve
sempre essere scoperto e la sua correzione deve essere finalizzata ad una
diminuzione dei suoi effetti negativi per un buon funzionamento del sistema.
Per il bene dell’organizzazione, è necessario chiedersi perché l’errore è stato
fatto e perché esso non è stato notato e corretto in anticipo.
57
Capitolo 2
Scoprire gli errori e capirne le cause permette di riflettere sui criteri che
dirigono la vita del sistema organizzativo, al fine di impedire che lo stesso
errore possa essere commesso in futuro. Altro momento importante
consiste nell’osservare e comprendere le modalità con cui i soggetti
reagiscono all’incidente; dai loro comportamenti, dalle strategie messe in
atto per contrastare i pericoli e le carenze del sistema, si possono
comprendere quali siano i modelli di fondo proposti dalla specifica cultura
organizzativa. Il comportamento quotidiano dei lavoratori nell’affrontare e
risolvere i crolli rappresenta una fonte importante d’informazione per il
processo di apprendimento.
Il modello SHELL si presta però meglio alle analisi prospettiche, analisi
che riescono ad identificare le debolezze del processo permettendo
un’adeguata attività di prevenzione. In poche parole si punta a mettere in
luce le criticità e individuare le soluzioni, usando la conoscenza cooperativa
dei soggetti coinvolti. Osservare il processo, ricostruirne i legami, scoprirne
i punti meno affidabili, offre la possibilità di fare predizioni e valutazioni
delle conseguenze e dei rischi che potrebbero derivare da sequenze critiche
delle interazioni tra le componenti.
Secondo quanto sostiene Cacciabue
(2000), nella maggior parte dei casi gli incidenti si manifestano come la
combinazione di eventi di per sé irrilevanti, i quali si combinano in una
configurazione catastrofica, impensata a livello di progetto e imprevista né
dall’uomo né dai sistemi di emergenza e protezione; ne consegue che
analizzare il sistema produttivo attraverso SHELL può contribuire allo
sviluppo di sistemi di controllo, protezione ed emergenza, che aumentino il
livello di affidabilità e sicurezza.
In base alla tradizione di ricerca, esiste una procedura generale per le
indagini prospettiche. Il primo passaggio consiste nello studio dell’ambiente
di lavoro visto come importante sorgente di dati. Poiché tutto dipenderà
dall’accuratezza con cui si è svolta tale analisi preliminare, è necessario che
le indagini sul campo siano molto scrupolose. La tecnica fondamentale è
quella dell’osservazione diretta dell’ambiente da parte del ricercatore.
La seconda fase prevede lo sviluppo e l’applicazione di un modello teorico
di riferimento di comportamento umano, come può essere SHELL, e, in base
58
Capitolo 2
ad esso, analizzare le attività che vengono realizzate nel concreto all’interno
del sistema. In sintesi bisogna guardare alle azioni quotidiane dei lavoratori
sia in condizioni normali sia in presenza di alcune difficoltà o relative criticità
del sistema. Il fine è di rappresentare il processo lavorativo attraverso il
diretto
coinvolgimento
comunicativo,
utilizzato.
alle
del
regole,
personale,
alle
dando
procedure
e
attenzione
all’apparato
al
flusso
tecnologico
Rappresentando in modo preciso tutti questi fattori e i legami
esistenti tra le varie componenti del processo, sarà possibile identificare le
situazioni
critiche.
La
presenza
sul
campo
e
l’osservazione
diretta
permettono di investigare i reali breakdowns vissuti dai lavoratori, le cause
e le strategie che i soggetti hanno messo in atto per mantenere l’equilibrio
del sistema: i lavoratori diventano i protagonisti di tutto il processo.
In questa fase di ricerca, l’identificazione delle attività critiche, e la
seguente proposta di possibili soluzioni, avvengono attraverso l’utilizzo di un
ulteriore sviluppo applicativo del modello SHELL, la tassonomia gerarchica
ADREP (Accident/Incident Data Reporting) (Cacciabue 2000; Catino 2002)
che mette in relazione le situazioni identificate con le componenti di SHELL.
“Una tassonomia mira a classificare le informazioni su un possibile incidente
o
evento
indesiderato
in
modo
sistematico,
seguendo
uno
schema
prestabilito, ed è un’ottima guida nella condotta dell’analisi dell’evento
stesso” (Cacciabue 2000 p. 97).
FIGURA 7: Il modello SHELL usato nella tassonomia ADREP
La tassonomia ADREP è stata più volte utilizzata per indagare gli
incidenti realizzatisi in campo aeronautico, in particolare quelli in cui il
59
Capitolo 2
contributo dell’uomo è risultato di particolare rilevanza. Poiché si basa su
SHELL, essa permette di interpretare il comportamento umano come un
risultato delle relazioni e delle dipendenze tra l’individuo e il contesto
sociotecnico (H, S, E) che lo circonda.
I dati osservati e raccolti vanno poi catalogati sulla base della
tassonomia così che si possano rappresentare i legami esistenti all’interno
del sistema. In questo modo si potrà verificare la possibilità che uno stesso
evento sia il risultato dell’interazione tra le categorie presenti. Lo scopo
della tassonomia è quello di identificare un’adeguata organizzazione
dell’attività di lavoro.
Il passaggio finale della ricerca consiste nel formulare un insieme di
procedure applicative del metodo, in pratica un modello di intervento
concreto per agire sulle criticità individuate nel sistema.
La gestione del sistema, caratterizzato dalla complessità che deriva dal
dualismo tra la rigidità delle procedure e la necessità di flessibilità da parte
dei soggetti, è finalizzata al mantenimento o al miglioramento delle
prestazioni del sistema di fronte ai cambiamenti sia interni sia esterni.
Analizzare un processo produttivo attraverso SHELL dovrebbe aiutare ad
organizzare il lavoro in modo da garantire il rispetto di procedure chiare,
definite e standardizzate e allo stesso tempo la possibilità di intervenire in
modo
tempestivo
basandosi
sulle
proprie
esperienze
e
capacità
professionali, garantendo rapidità e dinamicità.
In conclusione si può affermare che il modello SHELL è un metodo
proattivo di gestione della sicurezza. Attraverso i diversi esempi di
applicazione del modello alla realtà operativa, si capisce come tale
metodologia
un’importanza
di
ricerca
di
attribuisca,
prim’ordine
alle
nella
teoria
condizioni
come
nella
psicofisiche
pratica,
umane,
riconoscendo la loro complessità e l’impossibilità di comprendere il processo
produttivo senza integrarle con le altre componenti organizzative. I soggetti
coinvolti nel processo analizzato sono i principali attori della ricerca;
attraverso l’osservazione delle loro azioni quotidiane e le interviste in
profondità proposte dal ricercatore, si identificano le maggiori criticità del
sistema, i possibili breakdowns e gli intervenire per correggerli attraverso
60
Capitolo 2
una redistribuzione delle risorse tra le diverse componenti. Analizzare a
fondo le correlazioni tra S, H, E e L, e cogliere i relativi punti deboli,
costituisce un’opportunità per la progettazione di un sistema più sicuro:
descrivendo i processi produttivi si portano alla luce le criticità.
Stabilito il principio secondo cui un sistema è affidabile solo se le sue
parti sono in continua interazione e in equilibrio tra loro, SHELL ci insegna
che per correggere le criticità occorre intervenire su tutto il processo
garantendo così prevenzione e sicurezza.
Attraverso la tassonomia ADREP si è dimostrato come sia possibile
classificare le interazioni rilevate e dare vita a banche dati di errori umani
(ICAO 1993, 1997).
Gli errori classificati secondo tali tassonomie, arrivano a disegnare le
correlazioni che esistono tra errori attivi (manifestazioni di comportamenti
inadeguati) e le loro cause latenti o elementi patogeni, stabilendo
eventualmente una relazione tra la classificazione degli errori secondo
SHELL e i modelli di eziologia di incidenti, e ricerca delle cause di errore
umano, secondo le teorie di Reason esposte nel primo capitolo.
Edwards, nelle sue ricerche sul mondo del traffico aereo (1988),
sottolinea che nonostante i progressi e gli sforzi fatti, le violazioni delle
norme stabilite sono ancora comuni, in particolare nelle procedure di
radiocomunicazione. Se è vero che un programma di addestramento
adeguato, potrebbe ridurre gli errori della componente umana ad uno
standard accettabile, è altrettanto vero che ciò che realmente risulta
vantaggioso per l’organizzazione è la determinazione dei punti di rottura
nella sequenza di informazioni umane che si sono rese necessarie per il
compimento del processo.
Andare a fondo alla ricerca delle profonde interazioni che si stabiliscono
tra le parti del sistema permette di indicare spesso la precisa natura
dell’errore e quindi identificare la migliore soluzione: una nuova tecnologia,
nuovi
programmi
di
addestramento,
cambiamenti
nelle
procedure
operative…
I suggerimenti e gli interventi proposti seguendo la metodologia SHELL
sono finalizzati ad aumentare la capacità operativa del sistema. Anche in
61
Capitolo 2
questo caso, però, possono presentarsi dei nuovi problemi: più elaborati
appaiono gli aiuti, più si rischia di rendere opaco tanto da allentare la
correlazione tra le variabili.
Per migliorare e mantenere le prestazioni di un sistema, è necessario
comprendere la natura delle quattro componenti e non permettere che la
loro mutua interazione porti a conseguenze indesiderate e dannose per
l’organizzazione (Edwards 1988).
62
Capitolo 3
3. Il contesto della ricerca
L’innovazione
tecnologica
pervade
qualunque
aspetto
della
vita
quotidiana. Il suo ruolo si fa ancor più forte e determinante nell’evoluzione e
nel potenziamento dei sistemi organizzativi nati e articolati intorno alla
tecnologia. Questa ricerca prende ad esame il Controllo del Traffico Aereo
(ATC), un mondo che si fa sempre più complesso, e che per questo diventa
gestibile
e
organizzabile
solo
grazie
ad
un
processo
costante
di
miglioramento e sviluppo dei propri supporti tecnologici. L’aeronautica e le
sue articolazioni interne sono, ai più, un mondo sconosciuto. In media
l’unico riferimento noto è la torre di controllo, spesso ritenuta il solo ente
addetto alla supervisione e alla gestione delle migliaia di aerei che occupano
i nostri cieli. Questa visione comune è rafforzata anche, e soprattutto, dal
modo in cui i mezzi di comunicazione trattano i casi relativi al traffico aereo:
quando si parla di controllo o di controllori c’è sempre e solo un riferimento
alla torre, attribuendole delle responsabilità che non sempre le competono.
La nostra ricerca vuole essere un tentativo di allargare lo sguardo su questo
universo la cui complessità è sorprendente e spesso sottovalutata.
Il Controllo del Traffico Aereo è tecnologia, è innovazione continua, è
potenziamento di tutte quelle strategie che assicurano il suo principale
obiettivo: la sicurezza. In questo capitolo cercheremo di chiarire quali siano
le caratteristiche, i fondamenti, e le particolarità di questo mondo così
affascinante. In un primo tempo saranno esposte e chiarite le sigle che
definiscono i molteplici ambiti di riferimento, per poi capirne un po’
l’articolazione, gli obiettivi e gli intenti alla base del servizio e della gestione
del controllo. In un secondo momento si dedicherà maggiore attenzione
all’ambito specifico della ricerca, l’ATC e in particolare a come siano qui
gestite le comunicazioni. È da sottolineare, infatti, che se è vero che questo
sistema è dominato da supporti tecnologici innovativi, è altrettanto vero che
i principali attori sono i soggetti umani, controllori e piloti. Il continuo e
costante scambio comunicativo tra controllori da una parte, e controllori e
piloti dall’altra, pone le basi per l’incessante coordinamento e il costante
flusso di informazioni che permettono al traffico aereo di funzionare. Le
63
Capitolo 3
comunicazioni, in tutte le loro forme, costituiscono lo strumento di lavoro
principale di questo sistema.
Il caso esaminato in questa sede focalizza il proprio obiettivo su di un
aspetto particolare e significativo dell’ATC, il processo d’innovazione
tecnologica vissuto nella nuova Area Control Center (ACC) di Milano
(capitolo 4). Per comprendere cosa sia, a cosa serva e che tipo di struttura
organizzativa abbia un ACC, è necessario prima inquadrare nei suoi aspetti
fondamentali le coordinate di riferimento, cioè il Controllo del Traffico Aereo.
3.1 L’ambito di riferimento
3.1.1 Il Controllo del Traffico Aereo (ATC)
Foto: Marco Asprea
Il traffico aereo, nel mondo, fa capo ad un’unica filosofia operativa
conforme alle normative internazionali dettate dall’ICAO (International Civil
Aviation Organization). La sua gestione, definita a livello internazionale Air
64
Capitolo 3
Traffic Management, ATM, comprende due tipologie distinte di servizi
d’assistenza:
•
ATS, Air Traffic Service: gestisce la trasmissione e la diffusione di
tutte le informazioni sul trasporto aereo (ricezione dei piani di volo,
trasmissione dei dati e delle informazioni).
•
ATC: Air Traffic Control: comprende le autorizzazioni e gli ordini
forniti dal controllore al pilota il quale ha l’obbligo di eseguirle.
ATC e ATS sono gestiti da soggetti diversi: in ogni sala controllo ci sono
teams di operatori addetti all’ATS e teams addetti all’ATC. Il Servizio di ATC
in Italia è fornito dall’ENAV S.p.A. (Ente Nazionale di Assistenza al Volo),
attraverso le proprie strutture operative distribuite su tutto il territorio
nazionale, e dalla aeronautica militare nelle aree di propria competenza.
Il Controllo del Traffico Aereo ha tre finalità precise: a) prevenire le
collisioni tra gli aerei in volo, b) prevenire le collisioni sulle aree di manovra
tra gli aerei e gli ostacoli, c) facilitare il flusso di traffico aereo
mantenendolo ordinato. Questo servizio è fornito dai Controllori del Traffico
Aereo che applicano le procedure previste e finalizzate alla massima
sicurezza.
Ma cosa significa controllare il traffico aereo? Tecnicamente, fornire un
Servizio di Controllo del Traffico Aereo vuol dire assegnare le istruzioni e/o
autorizzazioni utili ed essenziali a prevenire collisioni fra aeromobili in volo e
fra aeromobili, mezzi e ostacoli sull’area di manovra attraverso il contatto
bilaterale T/B/T (terra/bordo/terra) fra controllore e pilota utilizzando le
appropriate frequenze radio. La sequenza operativa di un qualsiasi volo
prevede diverse fasi: si parte dalle autorizzazioni (ordini esecutivi) per il
decollo, emesse dalla Torre di Controllo, in coordinamento prima con il
settore arrivi/partenze (APP) e con l’ACC per ritornare, poi, in fase
d’atterraggio sotto la competenza prima del settore arrivi/partenze e in
seguito della Torre di Controllo dell’aeroporto di destinazione. Il tutto senza
soluzione di continuità.
Alla base della gestione del lavoro in ATC ci sono tre parole d’ordine
fondamentali e in rapporto gerarchico e inscindibile tra loro: SICUREZZA,
ORDINE, SPEDITEZZA.
65
Capitolo 3
La sicurezza è il principale obiettivo che l’ATC si prefigge. Storicamente
qualunque forma di sviluppo del supporto tecnologico è finalizzata ad
aumentare, o quantomeno favorire, la fiducia nella strumentazione e nelle
regole da seguire migliorando il supporto di riferimento. Il raggiungimento
di una maggiore sicurezza facilita anche l’ordine e la speditezza. In ATC ogni
“azione” ha una filosofia d’intervento tesa a prevenire le collisioni,
garantendo azioni ed operazioni di volo sicure per tutti coloro che utilizzano
questo servizio. Non bisogna però dimenticare che l’influenza negativa,
quanto inevitabile, delle abitudini, delle condizioni meteo, della fretta,
dell’eccessiva dimestichezza nelle azioni ripetitive (fraseologia impropria,
istruzioni sommarie, comunicazioni frammentate, veloci e di prassi…) può
modificare, in qualche modo e sotto qualche forma, tale azione di controllo
fino a manifestarsi anche attraverso un evento inaspettato, imprevisto e
critico. A questo proposito è però bene ricordare che gli attori principali,
pilota e controllore, sono dei soggetti facilmente intaccabili dalle abitudini
e/o consuetudini che non sono sempre portatrici di azioni fluide e
formalmente impeccabili. Non a caso, è stato precedentemente ricordato
come il mondo dell’ATC sia stato più volte oggetto di ricerche relative agli
errori umani e in generale organizzativi.
L’evoluzione del controllo del
traffico aereo, le innovazioni tecnologiche che in esso si sviluppano, devono
essere finalizzate a ridurre ai minimi termini ogni effetto negativo. Il
sostegno tecnologico dovrebbe supportare il più possibile le capacità
umane, le inevitabili carenze, gli sbalzi dovuti a contingenze. Nell’ATC la
tecnologia deve diventare un tutto unico con il controllore, un sistema di
riferimenti spontaneo, che permetta al soggetto di concentrare la propria
attenzione esclusivamente sullo schermo radar e sugli aerei presenti nel
proprio settore. È però necessaria la consapevolezza del fatto che è pura
utopia sperare di eliminare totalmente le negatività proprie della natura
umana. Il mondo del controllo del traffico aereo è un sistema di simboli. È
una piccola nicchia di significati, riferimenti specifici, strutture specializzate
e un proprio linguaggio in codice. Controllori e piloti creano una subcultura
ben delimitata e definita nei suoi confini.
66
Capitolo 3
Nel nostro lavoro ci limiteremo ad esporre e chiarire le principali
caratteristiche degli organi finalizzati a controllare il traffico aereo, poiché è
in questi ambiti che si sviluppano i costanti coordinamenti necessari ad
un’affidabile gestione dei voli. Come accennato precedentemente, l’ATC si
divide tra TWR, o torre di controllo, l’APP, o settore arrivi/partenze, e infine
l’ACC, o centro di controllo d’area. Analizziamone le fondamentali funzioni.
• TWR: torre di controllo. Gestisce il traffico in arrivo e in decollo
dall’aeroporto di giurisdizione, in stretto e continuo coordinamento con
l’APP, e l’ACC, di competenza. Gestisce tutto il traffico sulle piste e vie di
rullaggio. Controlla a vista al 99%.
•
APP:
settore
arrivi/partenze.
Controlla
le
immediate
vicinanze
dell’aeroporto e in altezza arriva a circa 2000/3000 piedi. Questo settore è
raffigurabile come la strettoia di un imbuto, nella quale tutti gli aerei che
provengono dai settori superiori devono incanalarsi in modo ordinato per poi
“uscire dall’imbuto” e atterrare sulla pista. L’APP accoglie gli aerei, assegna
loro un ordine d’entrata e solo quando quest’ordine è stabilito, li affida al
TWR che a vista li istruisce per l’atterraggio. Viceversa nella fase di decollo,
l’APP riceve gli aerei che la torre di controllo non può più gestire a vista, e li
dispone nel modo più adatto per poi farli passare ai settori di sorvolo.
• ACC: Area Control Center. Controlla il traffico aereo superiore ai 3000,
3500 piedi.
Poiché quest’ultimo ambito costituisce il campo d’indagine della nostra
ricerca, nel prossimo capitolo tenteremo di analizzarlo in maggiore
profondità per capirne i requisiti e per comprenderne il ruolo all’interno
dell’ATC. In seguito l’analisi si focalizzerà con maggiore attenzione su Milano
ACC per capire il processo in atto attualmente. Prima, però, è necessario
soffermarci sulla figura dei controllori e sul loro strumento di lavoro
fondamentale: la comunicazione. Solo dopo aver affrontato questi ambiti,
potremo avere un po’ più chiari i confini di un sistema così vasto e
complesso.
3.1.2 Il lavoro dei controllori del traffico aereo
67
Capitolo 3
La tradizione di ricerca ha studiato il Controllo del Traffico Aereo più volte
e da diversi punti di vista. Ciò che noi vogliamo sottolineare è il ruolo
assunto dalla componente umana all’interno di questo contesto. Senza nulla
togliere a sistemi tecnologici, norme e regolamenti, e ambienti di lavoro,
riteniamo che tutto ciò assume un senso e diventa funzionale solo se
mantiene come punto focale l’individuo. Come affermato in precedenza, la
ragion d’essere degli uomini in sistemi altamente complessi, risiede proprio
in quelle peculiarità umane che possono risultare contemporaneamente
tanto risorse, quanto criticità. La flessibilità dell’uomo, la sua capacità di
adattamento, la possibilità di elaborare nuovi piani d’azione (knowledge
based) nel minor tempo possibile di fronte ad eventi inaspettati, lo rende
indispensabile per il sistema, nonostante i continui progressi tecnologici. Il
mondo dell’ATC ha vissuto, negli anni, cambiamenti di ogni sorta rispetto
alla tecnologia e l’aumento esponenziale del traffico aereo ha imposto nuove
regole, sempre più rigide e uniformi a livello mondiale. Il controllore del
traffico aereo, nonostante tutto, ha sempre mantenuto il suo posto e non
corre il rischio di essere sostituito dalle macchine.
Il lavoro del controllore è complesso e richiede adattamento, rapidità,
flessibilità, prontezza e soprattutto coraggio. In passato egli lavorava con
una radio, un foglio di carta, una penna e un orologio; ora ha a sua
disposizione un radar, e tutta la migliore strumentazione computerizzata
prodotta dallo sviluppo tecnologico. Il suo ruolo operativo è lo stesso di
sempre: nel gestire il traffico, egli ha sotto controllo un preciso spazio
aereo, e comunica via radio con i piloti dei voli presenti in esso. Il compito
fondamentale è quello di separare gli aerei tra loro in modo da non farli
scontrare, comunicando via radio con i piloti attraverso la specifica
frequenza, e collaborando con il suo team operativo e con i colleghi dei
settori adiacenti, per far sì che il traffico sia ordinato e spedito nel rispetto
della sicurezza. In sintesi il controllore comunica; comunica con i piloti, con i
suoi colleghi e con il sistema tecnologico che utilizza, a cui fornisce e da cui
riceve
informazioni.
Le
parole
hanno
in
questo
mondo
un
ruolo
fondamentale, tanto che esiste un alfabeto universale, una pronuncia
precisa, una corrispondenza biunivoca tra domanda e risposta, così come
68
Capitolo 3
tra parole e significato. La precisione e l’attenzione sono alla base di tutto,
l’ambiguità non è consentita. Cushing, nei suoi studi sul linguaggio in ATC e
sui problemi più rilevanti ad esso connessi (1994), fa notare come la
complessità e la flessibilità del lessico sono aspetti problematici anche nella
vita quotidiana. Incomprensioni e confusioni possono nascere facilmente a
causa di riferimenti ambigui, del tono di voce, delle inferenze implicite.
Tutto ciò nel mondo dell’aviazione può diventare un pericolo per la sicurezza
della vita delle persone: le incomprensioni legate al linguaggio sono state un
contributo cruciale negli incidenti aerei.
Il controllore deve saper gestire le informazioni a sua disposizione. La
modernità e il maggiore volume di traffico aereo nel mondo, hanno
aumentato la quantità di dati necessari per la coordinazione dei voli e
scambiati tra controllori e piloti. Ciò ha richiesto ai singoli operatori di
acquisire competenze e capacità sempre più complesse e astratte. Con
l’aumentare del carico di lavoro, in termini di numero di aerei da seguire, i
controllori devono cambiare la loro strategia operativa, riorganizzando il
proprio sistema di trattamento delle informazioni e il proprio stile di
risposta. Ciò è valido sia da una prospettiva storica, poiché col tempo sono
aumentati gli aerei ed è cambiato il modo di gestire le informazioni ad essi
relative, sia da una prospettiva attuale, poiché il lavoro del controllore è
sottoposto a continui cambiamenti anche nel quotidiano. Ad esempio, se gli
aerei da seguire sono pochi (da uno a tre) il controllore li guida
individualmente in modo da fissare per ciascuno di essi traiettorie ottimali;
se aumentano (da quattro fino a sei) si cambia strategia rinunciando a
ottimizzare le traiettorie individuali dei voli e imponendo velocità e
traiettorie standard. In presenza di un carico elevato (da sette a nove) la
strategia cambia ancora, e ogni aereo viene gestito come un anello di una
catena a scorrimento costante. Ogni passaggio prevede che il controllore
sappia modificare la sua strategia e ridurre gli obiettivi secondo necessità.
Il buon controllore deve saper coordinare la propria attività con quella
dei colleghi e mantenere continuamente uno stato di disposizione a
collaborare. Egli si trova all’interno di una comunità di pratiche, un
ambiente che, per funzionare, richiede un impegno reciproco e costante da
69
Capitolo 3
parte di tutti. Appartenere ad una comunità di questo genere significa
negoziare i significati delle azioni, condividere uno stesso impegno,
organizzare in modo complementare le interazioni pratiche e comunicative
attorno allo specifico impegno. I controllori collaborano quotidianamente per
il raggiungimento degli stessi obiettivi, perché sanno di far parte di un’unica
impresa, e sono consapevoli di avere una comune visione del mondo in cui
lavorano.
Attraverso
il
continuo
scambio
comunicativo,
la
realtà
è
continuamente preservata e, allo stesso tempo, modificata continuamente
per adattarla alle esigenze del momento. “Ogni comunità di pratiche
sviluppa dei propri modi di fare le cose, dei propri criteri per definire che
cosa sia accettabile, che tipi di errori possano essere tollerati, come e a chi
le informazioni possano essere trasmesse. Questa conoscenza prodotta
localmente non è separabile dal suo contesto, ma resta appiccicata agli
ambienti in cui nasce. La comunicazione è coordinamento e costruzione di
un significato condiviso per le situazioni” (Mantovani 2000 p. 243).
3.1.3 Principi comunicativi nel Controllo del Traffico Aereo.
La comunicazione è il mezzo principale usato nella gestione del traffico
aereo. Attraverso la comunicazione, i controllori comprendono la situazione
e le reciproche intenzioni: realizzano obiettivi in comune, condividono
strategie, anticipano i problemi, risolvono i conflitti, spiegano le intenzioni,
prendono le decisioni (Bellorini, Vanderhaegen, 1995a).
Nell’ATC è d’obbligo l’utilizzo, a livello internazionale, di una comune
fraseologia standard per le comunicazioni T/B/T (terra/bordo/terra). La
corretta gestione delle comunicazioni a distanza rappresenta il settore più
importante e più critico del rispetto della normativa da parte sia dei
controllori, sia dei piloti. L’uso di procedure e fraseologie non standard può
causare fraintendimenti e creare breakdowns nelle fasi di gestione del
traffico; molti incidenti ed eventi pericolosi accaduti hanno avuto come
concausa un messaggio frainteso per l’uso di una fraseologia non corretta.
L’osservanza
rigida
delle
tecniche
e
dei
metodi
stabiliti
per
la
comunicazione permette di eliminare qualsiasi equivoco sul significato dei
70
Capitolo 3
messaggi e aiuta a prevenire eventuali incidenti. È d’obbligo per tutti usare
la corretta fraseologia standard secondo cui ad ogni parola è associato un
unico significato (affirm = si; approved = permesso concesso per l’azione
richiesta; roger = ho ricevuto la vostra ultima trasmissione al completo;
negative = no, permesso non concesso…). L’unica lingua accettata e
consentita per le comunicazioni è l’inglese. Il risultato di un uso sistematico
della fraseologia standard è quello di avere comunicazioni concise e non
ambigue: “L’uso al momento giusto di una fraseologia concisa e non
ambigua è d’importanza vitale per lo svolgimento scorrevole, rapido e sicuro
delle operazioni” (Gigli 2001 p. 70). Tutto ciò vale sia per le comunicazioni
tra controllori e piloti, sia tra controllori e controllori.
Controllori al lavoro. Foto: Marco Asprea
Nella pratica, però, numerosi fattori esterni rendono difficile per il
controllore
rispettare
costantemente
le
procedure.
Dalle
ricerche
precedentemente svolte sul mondo dell’ATC, emerge che il fattore che più
71
Capitolo 3
incide sulla qualità delle azioni dei controllori è lo stress, la cui causa
principale è l’aumento – improvviso - del traffico aereo. É durante i periodi
di intenso traffico che il sovraccarico di lavoro dei controllori limita l’efficacia
reale delle comunicazioni in uscita (Grayson, Billings, 1981). È stato spesso
studiato l’effetto che questo aumento può avere sull’attuazione e la
cognizione dei compiti (Bellorini, Decortis, 1994b) ed è emerso che nelle
situazioni di stress, emergono più facilmente gli aspetti critici e viene meno
il
carattere
cooperativo
(dall’organizzazione
dei
richiesto
compiti
dalle
individuali
specifiche
all’interno
mansioni
della
squadra,
all’assemblaggio delle attività nella più ampia divisione del lavoro). In
questo contesto le modalità comunicative fungono da mezzo e indicatore del
modo in cui gli operatori lavorano come squadra e della gestione collettiva
delle risorse cognitive. Se la comunicazione è organizzata nel modo
corretto, allora i controllori raggiungono una situazione di credenze e stati
mentali condivisi, strumenti per un’efficiente coordinazione e collaborazione
nel lavoro. Con l’aumento del traffico tutte le azioni non pianificate che si
presentano devono essere gestite nel minor tempo possibile. Un traffico
maggiore e un tempo minore creano condizioni stressanti in cui si passa da
una strategia di lavoro cooperativa ad una individuale, e diventa impossibile
il processo, qui fondamentale, di decisione distribuita. In situazioni critiche il
canale per la comunicazione è chiuso per via della concentrazione di
ciascuno sul proprio compito che porta ad un’individualizzazione delle
attività (Bellorini, Vanderhaegen, 1995b).
Sotto
stress,
l’azione
si
focalizza
sul
problema.
La
memoria
è
sovraccaricata e le comunicazioni, uniche fonti d’informazione, ne subiscono
le conseguenze: ripetizioni, parziali o incorrette, mancato rispetto delle
regole sintattiche, aumento sregolato della mutua e tacita conoscenza, uso
inappropriato di soprannomi e abbreviazioni (Bellorini, Decortis, 1994b)
sono gli effetti più comuni. Se ben gestito, il flusso d’informazioni ha
l’effetto di ridurre lo stress perché fa diminuire l’incertezza. Nonostante i
supporti tecnologici siano sempre più sofisticati, il controllore prende
sempre le sue decisioni in uno stato di parziale ignoranza e ambiguità a cui
sopperisce con la propria esperienza e con la collaborazione dei colleghi.
72
Capitolo 3
L’aumento del carico di lavoro, obbliga però ad una continua interruzione
dei flussi comunicativi, e ad aggiungere o modificare le informazioni di cui si
a conoscenza (Bellorini, Vanderhaegen, 1995b). In questi casi le condizioni
per l’azione si complicano e il lavoro diventa più difficile. Un linguaggio
ambiguo può anche causare incidenti (Bellorini, Cacciabue, Nanetti, 1998).
In aggiunta al ruolo giocato dalle condizioni critiche contingenti, la
complessità e la flessibilità del linguaggio diventano facilmente fonti
d’incomprensione; è questa consapevolezza che porta ad attribuire sempre
più importanza al rispetto della fraseologia standard. Il rischio di confusione
e incomprensione tra i soggetti coinvolti, aumenta se le comunicazioni
verbali non sono controllate e formalizzate in accordo con le regole
prestabilite; assunti ambigui, riferimenti poco chiari, inferenze implicite
possono anche generare incidenti. Uno degli scopi fondamentali del sistema
ATC è quello legato al miglioramento della “qualità” della comunicazione.
L’uso della fraseologia standard, soprattutto durante situazioni altamente
stressanti, è fortemente raccomandata al fine di ridurre l’ambiguità
dell’interpretazione negli scambi comunicativi (Bellorini, 1996).
Bisogna
tener presente, inoltre, che
altre
condizioni, solitamente
marginali e irrilevanti, contribuiscono facilmente allo sviluppo di criticità
legandosi tra loro in una sfortunata sequenza generatrice di disastri
(Bellorini, Cacciabue, Nanetti, 1998). Piloti e controllori sono consapevoli dei
danni che l’ambiguità del linguaggio può avere sul fattore “sicurezza”; la
poca chiarezza comunicativa può nascere da problemi di ricezione sulle
frequenze radio, dal sovraccarico di lavoro, dalla poca esperienza tipica dei
giovani operatori, e infine dalla facilità con cui, soprattutto sotto stress, ci si
distacca dalla fraseologia standard per adottare un linguaggio informale e
espressioni che non fanno altro che aumentare l’ambiguità. Nonostante
tutte le innovazioni tecnologiche adottate e quelle in via di sperimentazione
(“data-link” o “free flight”) con cui l’ATC sta tentando di aumentare la
sicurezza e l’affidabilità del sistema, l’uso della comunicazione verbale
modellata su di un linguaggio standard continuerà ad essere il modo più
comune di interagire tra controllori e piloti (Bellorini, Cacciabue, Nanetti,
1998).
73
Capitolo 3
3.2 Oggetto della ricerca
3.2.1 Oggetto dello studio
Dopo
avere
delineato
i
confini
dell’ambito
di
riferimento
(ATC),
tenteremo ora di addentrarci nello specifico per comprendere cosa sia e
come sia costituito un centro ACC (Area Control Center). È necessaria una
restrizione del campo di indagine perché il mondo dell’ATC è troppo ampio e
complesso per essere affrontato in un solo lavoro di ricerca.
Il nostro scopo è di rispondere a domande fondamentali che ci
permettano di capire realmente cosa sia un ACC, quali siano le sue funzioni,
che caratteristiche devono avere i soggetti che in esso operano. Grazie alle
risposte a queste domande, saremo in grado di capire meglio i risvolti
dell’innovazione tecnologica introdotta in questa sala operative e dai noi
analizzata. Questa seconda parte, in sintesi, è finalizzata a fornire i punti di
orientamento e le coordinate fondamentali per creare la base concettuale
necessaria ad affrontare il significato e il peso che il processo d’innovazione
tecnologica ha assunto a Milano ACC.
3.2.2 L’ACC – cos’è.
Il Centro di Controllo d’Area, ACC, è il centro responsabile della fornitura
del
Servizio
di
Controllo
del
Traffico
Aereo
(ATC),
del
Servizio
di
Informazioni Volo e di Allarme (ATS). Tutte le mansioni svolte in ACC
devono rispettare i principi e le normative imposte a livello mondiale da
ICAO,
fonte
legislativa
primaria
di
ogni
aspetto
relativo
al
mondo
dell’aviazione.
L’ACC controlla il traffico da 3500 piedi in su.
Può delegare agli enti
sottostanti il controllo di un aereo che si trova nel suo spazio aereo, nel
caso in cui questo voli in condizioni tranquille e non crei problemi agli altri
aerei presenti. Al di sotto di 3500 piedi, e fuori del controllo dell’APP
(settore arrivi/partenze), l’aereo segue specifiche direttive internazionali: i
riferimenti per il pilota sono la carta geografica e le regole a vista. Passando
74
Capitolo 3
sotto la giurisdizione ACC, il pilota dovrà invece tornare a seguire le regole
strumentali, in coordinamento con il controllore addetto allo specifico
settore aereo. L’ACC, di norma, si trova a gestire una considerevole
quantità di traffico, anche di centinaia d’aeroplani ogni ora, suddiviso nei
vari
settori
delimitato)
operativi
e
nella
(postazioni
propria
e
che
definita
controllano
area
di
uno
spazio
competenza
aereo
(spazio
tridimensionale con precisi confini laterali e d’altitudine). Ogni settore è
gestito da una squadra di controllori che hanno specifici ruoli di competenza
(controllore radar, controllore procedurale, controllore assistente) e una
frequenza di riferimento. I controllori provvedono alla separazione degli
aerei in rotta, al sequenziamento degli aeroplani in arrivo agli aeroporti di
giurisdizione e dei relativi decolli.
Per fare un esempio concreto, Milano ACC gestisce, nell’arco delle 24
ore, circa 2000 movimenti concentrati prevalentemente dalle 7.00 alle
21.00 (tra le 23.00 e le 6.00 ci sono circa 40 movimenti) e ha giurisdizione
sugli aeroporti di Milano Malpensa, Milano Linate, Bergamo, Torino, Genova,
su aeroporti minori come Lugano Agno, Parma, Cuneo, Albenga e, in
condivisione con gli ACC di Roma e Padova, sugli aeroporti di Brescia,
Firenze e Pisa. A Milano i settori operativi, nella loro massima espansione
diurna, dalle 07.00 alle 21.00, sono 15 su cui operano circa 50 Controllori
contemporaneamente per turni di 6/8 ore. I livelli di professionalità e
d’abilitazioni operative possedute da tutti i controllori sono diversi in base
all’esperienza
e
alla
competenza
acquisita.
Le
azioni
operative
dell’equipaggio in turno sono coordinate da due Supervisori (uno per
settore: supervisore area arrivi/partenze, supervisore area scorrimento). Il
tutto ricade sotto la funzione e responsabilità gestionale del Capo Sala.
Il Servizio di ATC ha una precisa giurisdizione territoriale. In Italia, come
in altri stati, ci sono però delle eccezioni finalizzate a semplificare e rendere
più fluida la gestione del traffico: ad esempio, pur trovandosi nel Canton
Ticino - Svizzera, il controllo aereo su Lugano è gestito da Milano ACC a
seguito di una convenzione internazionale. Ciò al fine di semplificare
l’amministrazione del servizio, poiché Lugano, Malpensa e Linate sono tra
loro molto vicine ed è più comodo gestirle da un unico punto. Allo stesso
75
Capitolo 3
modo
l’ACC
di
Ginevra
arriva
a
controllare
anche
il
traffico
su
Torino/Montebianco invadendo il territorio italiano.
Il confine dello spazio aereo viene ridisegnato al fine di rendere più fluida
la gestione del traffico e più adeguata alle necessità e alle caratteristiche del
settore aereo.
3.2.3 L’ACC come centro di coordinamento
Il funzionamento di un ACC, così come di un altro settore addetto alla
gestione del traffico aereo (APP, TWR…), soddisfa le regole di un centro di
coordinamento.
I
centri
di
coordinamento
(Suchman
1993,
Fele
2002)
sono
organizzazioni in cui:
•
Si gestisce in modo cooperativo e distribuito un servizio;
•
Si affrontano contingenze ed eventi inattesi;
•
Si risponde ad emergenze e situazioni critiche in tempi rapidi.
In tutte le organizzazioni che rispondono a queste caratteristiche (torri di
controllo, centralini dei numeri d’emergenza, centri di pronto soccorso, sale
di controllo delle metropolitane…) il lavoro consiste nel dispiegare forze,
persone, azioni e comunicazioni anche in luoghi lontani tra loro. Per
comprendere meglio le specificità di queste organizzazioni particolari si può
considerare singolarmente ciascuno dei due termini. Questo esercizio
permetterà di avere un’idea più chiara del tipo di ambiente che è possibile
trovare in ACC e, soprattutto, di cogliere con maggiore attenzione le
peculiarità del caso analizzato.
“CENTRO”: la postazione lavorativa deve permettere di far incontrare
simultaneamente richieste e necessità diverse provenienti da luoghi anche
lontani tra loro. E’ necessario che ogni azione sia indirizzata verso un unico
punto focale, il centro, che diventa luogo di riferimento. Tutti coloro che
sono coinvolti nella gestione delle attività (e a maggior ragione se si tratta
di un’emergenza), pur essendo dispersi nello spazio, devono poter orientare
e focalizzare la propria attenzione verso un obiettivo preciso e identificarsi a
vicenda in qualunque momento. In ACC il centro è la postazione radar.
76
Capitolo 3
“COORDINAMENTO”: è la parola chiave, la regola prima per lavorare
correttamente. Il personale coinvolto nelle operazioni coordina le proprie
attività in modo che ciascuno possa avere accesso alle azioni altrui. Il flusso
reciproco d’informazioni e di cooperazione deve essere libero e continuo. In
ACC i coordinamenti sono continui; avvengono tra postazioni, collocate sul
territorio nazionale o internazionale, che gestiscono spazi aerei confinanti.
I centri di coordinamento sono luoghi di lavoro in cui i soggetti
quotidianamente
orientano
il
proprio
comportamento,
collaborativo
e
cooperativo, verso la risoluzione di problemi diversi tra loro a livello spazio temporale. A questo fine, è necessario che tale struttura offra i mezzi e le
regole per dare risposte rapide ed efficienti a situazioni critiche in un tempo
limitato. Strumenti e norme devono facilitare la dinamicità nelle risposte e
la
chiarezza
negli
scambi
informativi
in
qualunque
situazione.
Le
competenze specifiche di un centro di coordinamento hanno alla base una
salda struttura organizzativa di riferimento, sia a livello sociale sia tecnico –
pratico.
Per chiarire il quadro dei compiti in cui i singoli operatori sono chiamati
ad intervenire, possiamo far riferimento agli ambiti di prestazione descritti
da Lucy Suchman (1997), ambiti facilmente osservabili nel sistema del
Controllo del Traffico Aereo.
> Ambito Tecnologico: ciascuno deve saper localizzare nel minor tempo
possibile la funzionalità dello specifico mezzo nell’eterogeneo sistema
informatico a disposizione.
> Ambito Interpretativo: ciascun membro è chiamato a sviluppare la
sensibilità necessaria per leggere e interpretare una qualsiasi scena. Ciò
implica saper interpretare i segnali che emergono nelle diverse sequenze
lavorative, soprattutto in una situazione improvvisa e inattesa. Bisogna
saper dotare di senso in modo corretto i dialoghi, le immagini, i testi, gli
spostamenti dei corpi, gli sguardi…
> Ambito di (Ri) Produzione dell’ordine normale: ogni membro della
squadra deve saper gestire le contingenze quotidiane mantenendo l’ordine
necessario allo svolgimento delle attività comuni.
77
Capitolo 3
> Ambito della Partecipazione: grazie alla disposizione delle postazioni, i
lavoratori devono saper focalizzare la propria attenzione sulla necessità
dominante
del
momento
orientandosi
in
uno
spazio
di
riferimento
conosciuto e interiorizzato.
> Ambito Costitutivo: la configurazione della distribuzione delle postazioni
interne alla sala operativa (assenza di barriere e di limiti concreti), permette
un’interazione continua, coordinata e cooperativa.
> Ambito della Competenza: attraverso il supporto dei collaboratori e la
successiva interiorizzazione delle esperienze, i soggetti acquisiscono la
competenza indispensabile per rispondere al maggior carico di lavoro. La
comunità vive in un processo costante di socializzazione caratterizzato da
uno scambio continuo di informazioni e conoscenze.
Nell’Air Traffic Controll (ATC) la coordinazione delle attività e dei processi
decisionali è l’aspetto più pervasivo e complesso e per questo anche più
vulnerabile agli errori umani.
Tali centri sono, infatti, un luogo in cui:
•
Si gestisce in modo cooperativo e distribuito il lavoro tra i controllori
del traffico aereo stessi e tra i controllori e i piloti;
•
Dato l’enorme aumento del traffico aereo, i soggetti coinvolti devono
affrontare contingenze, eventi inattesi e improvvisi;
•
La prontezza e la rapidità con cui si risponde e si risolvono situazioni
critiche e di emergenza sono requisiti fondamentali.
Nell’ambito dell’ATC le attività di routine consistono nell’evitare un
accadimento altrimenti possibile (un incidente). Negli ultimi anni, però, si è
visto come anche queste operazioni stiano sempre più assumendo le
caratteristiche tipiche delle emergenze a causa dello smisurato aumento del
traffico: ogni operazione deve essere fatta rispettando un flusso d’eventi in
costante svolgimento e in tempi sempre più ristretti.
La coordinazione nell’ATC consiste nel trasferimento d’informazioni tra i
controllori che così gestiscono segmenti separati di spazio aereo e prevede
una
comunicazione
non
necessariamente
verbale
(Grayson,
1981b)
necessaria a coordinare gli aerei che passano da una giurisdizione (spazio
aereo) ad un’altra. In questo caso la coordinazione assume la forma di un
78
Capitolo 3
consenso
contrattuale,
raggiunto
attraverso
la
negoziazione
dei
comportamenti e dei riferimenti comuni. E’ da considerare, infatti, che la
gestione della situazione avviene tra soggetti diversi e distanti nello spazio:
i controllori comunicano tra loro, o all’interno della stessa sala controllo, o
tra centri geograficamente distanti, e allo stesso tempo mantengono il
contatto T/B/T con i piloti presenti nello spazio aereo da loro gestito. Tutto
ciò necessita di una profonda negoziazione di significati e di strategie
comuni che prevedono un trasferimento graduale delle informazioni:
richiesta di negoziazione, messaggi di risposta, esecuzione del piano
d’azione stabilito. La complessa rete comunicativa che viene così creandosi
trova un forte sostegno nei diversi strumenti usati per il trasferimento delle
informazioni: il telefono, la radio, la voce, l’uso di messaggi informali o
abbreviati, segnali e gesti fatti a mano e infine l’uso delle apposite strip
cartacee (oggi sempre più spesso sostituite dal sistema informatico), che
permettono
una
conoscenza
anticipata
degli
eventi
e
facilitano
la
coordinazione. Nel caso in cui cambi all’improvviso il piano di volo, i
controllori devono attivare un tipo specifico di comunicazione specializzata
(Grayson, 1981b). Seguendo le conclusioni dei lavori della Suchman (1996,
1997), per comprendere il funzionamento di un centro di coordinamento è
necessario cogliere la relazione di reciprocità che esiste tra la struttura
dell’ambiente le attività lavorative.
Uno dei punti iniziali di questa ricerca è stato il concetto secondo cui un
centro per il Controllo del Traffico Aereo è un contesto formativo e come
tale conferisce senso agli oggetti che lo popolano e alle mansioni svolte. In
qualità di centro di coordinamento, la sala operativa è un punto di
riferimento simbolico e materiale per tutti coloro che sono coinvolti nelle
attività
che
caratterizzano
l’ambiente
da
cui
sono,
a
loro
volta,
caratterizzati. La strumentazione tecnologica di un ACC permette la
coordinazione delle mansioni, poiché ricrea e riconfigura sullo schermo
radar le situazioni rilevanti sulle quali bisogna intervenire.
La Suchman (1996) mette in luce come la sala operativa, nel tempo,
diventi un contesto topico: la connessione tra luogo e attività è sempre più
79
Capitolo 3
contraddistinta dagli aspetti culturali, storici, locali dell’ambiente. Le attività
umane attribuiscono senso alla sala e nel contempo acquistano senso in
essa. Ciò emerge soprattutto nella gestione di situazioni critiche: si
sviluppa, in conformità ad un modello consolidatosi nel tempo, una comune
e condivisa visione della situazione che permette a ciascuno di cogliere e
gestire in modo simile gli stessi segnali. Ma come si crea tale comune
visione del mondo? Come nasce una comunità di questo tipo? A tal fine
esistono due prerequisiti fondamentali. Il primo consiste nella comune
lettura della situazione da parte dei soggetti. Ciascun controllore mette
insieme le conoscenze passate e presenti sugli eventi, vi accosta e relaziona
le tecnologie e le azioni che possono rivelarsi strategiche, e nel contempo
cerca di interpretare senza errori e in tempo reale i dialoghi, le immagini, i
testi. Imparare a leggere correttamente una scena (una particolare
configurazione
dello
spazio
aereo
fornita
dallo
schermo
radar)
e
interpretarla secondo le necessità, aumenta il livello di competenza di cui si
è in possesso. Il secondo prerequisito è la capacità di mantenere l’ordine
normale della situazione seguendo una sequenza tipizzata d’azioni. I
soggetti nella sala operativa si abituano ad organizzare la routine,
attribuendo ad ogni evento un senso predeterminato da uno schema
interpretativo di base. E’ all’interno di questa cornice che i controllori
cercano di collocare anche gli eventi inaspettati, così che siano assorbiti e
gestiti dalle note pratiche routinarie. Il modo migliore per risolvere
un’inaspettata criticità consiste nell’unire le risorse e creare di volta in volta
un sistema ad hoc. È in questi momenti che emergono le interazioni
fondamentali e funzionali costituitesi storicamente e culturalmente tra le
persone,
la
strumentazione
tecnologica,
le
attività
e
l’ambiente.
Si
radicalizza col tempo un contesto eterogeneo capace di unire persone e
mezzi distribuiti nello spazio, in un sistema lavorativo comune e condiviso
finalizzato a ripristinare l’ordine degli eventi.
La condivisione sia fisica che simbolica di uno spazio è uno degli aspetti
più caratterizzanti della sala controllo: l’assenza di mura interne o di altre
barriere fisiche all’interno della sala, massimizza il mutuo accesso alle
attività (Suchman, 1997). Le sole limitazioni sono definite dalla collocazione
80
Capitolo 3
e disposizione dei mezzi, delle postazioni lavorative e dall’organizzazione
dinamica delle attività. Nella sala operativa la posizione occupata determina
sia lo specifico ruolo ricoperto, sia l’organizzazione dello spazio condiviso. In
un centro di coordinamento la disposizione dello spazio coincide con
l’organizzazione del lavoro.
Dall’analisi della Suchman emerge inoltre che esiste un altro aspetto
caratterizzante
di
quest’ambito
lavorativo:
la
dinamicità
delle
azioni
permette un’interazione continua. Grazie anche all’assenza di barriere, è
possibile che in qualunque momento un soggetto abbandoni l’attività in cui
è impegnato e prenda il controllo su di un’altra il cui operatore è in
difficoltà.
I controllori del traffico
aereo sono sempre
in grado di
congiungere dinamicamente mansioni diverse in relazione alle contingenze,
sapendo cogliere tutti i segnali che emergono.
I controllori del traffico
aereo vivono in un ambiente creato su misura, costituiscono una vera
subcultura, sono una comunità sotto ogni aspetto. Tra i soggetti esiste un
processo continuo di apprendimento che prende forma durante le fasi
lavorative: ci si interroga e si danno spiegazioni sul proprio operato in una
costante condivisione delle conoscenze. I controllori sono una comunità di
pratica: i membri si relazionano tra loro e condividono uno stesso
linguaggio, discorsi, modi di parlare, attribuiscono lo stesso senso ad un
problema e alla soluzione relativa.
Un centro ACC opera in modo efficiente ed affidabile se si configura
come un’organizzazione in cui vive una comunità di pratica.
3.3 Strumenti e metodi per l’analisi
L’analisi del processo d’innovazione tecnologica vissuto nell’ACC di
Milano, ha richiesto l’applicazione di alcune regole previste dall’etnografia
situazionale.
Nel periodo trascorso tra settembre 2002 e luglio 2003 si è
mantenuta una presenza sul campo, con una frequenza media di un giorno
a settimana in tutto il periodo considerato. Una prima fase del lavoro ha
previsto una serie di incontri con i responsabili dell’amministrazione, della
sala e del reparto addestramento. Nel corso di queste lunghe chiacchierate
81
Capitolo 3
sono state trattate e approfondite le tematiche necessarie ad illustrare,
inizialmente in linea generale e per poi entrare sempre più nello specifico, il
sistema del traffico aereo e la struttura e il funzionamento dell’ACC.
Questa fase ha fatto emergere dubbi, questioni, curiosità che tutti i
responsabili hanno chiarito dimostrando grande competenza e allo stesso
tempo chiarezza espositiva. La seconda e decisiva fase ha previsto la
presenza costante in sala controllo e l’affiancamento ai controllori nelle
postazioni. L’ampia disponibilità al dialogo e la sincerità dimostrata da tutti i
controllori, i supervisori e i capi sala, ha permesso un veloce adattamento
all’ambiente e un’integrazione nel gruppo. La raccolta delle informazioni è
avvenuta secondo diverse modalità.
•
Osservazione partecipante.
L’approccio situazionale implica concentrarsi su una situazione limitata nel
tempo e nello spazio che diviene il “fenomeno” focale dell’osservazione.
L’osservazione partecipante prevede che si partecipi, per un determinato
periodo, alla vita e alle attività che hanno luogo nell’organizzazione
(Gherardi, Nicolini 2001).
Nell’ambito della nostra ricerca è stato possibile accedere alla postazione
radar, indossare le cuffie e ascoltare direttamente tutte le comunicazioni
T/B/T tra radarista e piloti, e quelle tra enti di competenza - in particolare
tra controllore procedurale e centri limitrofi. La possibilità di ascoltare in
prima persona ha facilitato la comprensione delle azioni messe in atto dai
controllori, capire che tipo di coordinamenti stessero attivando, interpretare
i processi e le modalità di collaborazione richieste dalle necessità. Un ruolo
importante hanno avuto le spiegazioni che i controllori mi fornivano rispetto
al loro operato. Questa fase di osservazione ha anche permesso di cogliere
le grosse differenze di atteggiamento, di livello di attenzione, di prontezza e
di dinamicità che vengono messe in atto a seconda delle richieste del
traffico presente nel settore. Questo metodo di analisi ha inoltre fornito la
possibilità di esplorare da un punto di vista esterno i modelli d’interazione
che prendono forma tra tutti i soggetti in sala, così come tra i distinti gruppi
di controllori.
•
Interviste in profondità.
82
Capitolo 3
Nelle fasi di basso traffico, supportati dai propri colleghi, i controllori si sono
prestati a lunghe chiacchierate in cui è stata riproposta di volta in volta una
sequenza simile di domande, interrogativi e quesiti relativi alle previsioni e
alle opinioni - vantaggi e svantaggi - sul cambiamento in atto. Non essendo
vincolati da una struttura fissa, questi colloqui hanno permesso di allargare
il campo di indagine, affrontando tematiche molto diverse tra loro (il
rapporto con i colleghi, il livello di soddisfazione nel proprio lavoro, le
problematiche per le diverse origini territoriali, il traffico aereo di Milano…).
Le interviste poste in modo informale hanno permesso la creazione di un
rapporto di fiducia con i controllori, molti hanno esposto punti di vista molto
personali, proteste, critiche. Tutti i soggetti hanno dimostrato curiosità e
interesse per le domande rivolte loro e per le curiosità nate durante la
conversazione. Il clima è stato da subito informale, così com’è tra colleghi.
Nello stesso tempo i controllori hanno mostrato grande competenza e
serietà nel loro lavoro, disponibili nel fornire spiegazioni sugli aspetti tecnici
di più difficile comprensione.
•
Analisi documenti.
I responsabili dell’amministrazione che hanno seguito il progetto hanno
fornito diverse tipologie di materiale secondo le disponibilità e le mie
necessità personali. Si è passati dalla consultazione dei documenti ICAO,
alla visione delle normative nazionali, e infine a una serie di articoli e di
elaborati interni. Anche in questo caso tutto ciò che è stato fornito è stato
spiegato e approfondito sulla base delle specificità della ricerca al fine di
trarne le informazioni necessarie.
83
Capitolo 4
4. Il caso: Milano ACC
Dopo due anni di preparazioni e accorgimenti, nel maggio 2003 è
avvenuta l’apertura della nuova sala controllo, e la relativa chiusura di
quella in funzione precedentemente, presso l’ACC di Milano Linate.
Il progetto di questa ricerca prevede l’analisi del passaggio da un
ambiente all’altro, sui binari del modello SHELL, la cui applicazione
comporta un periodo di osservazione e di integrazione nel contesto, di
conoscenza dei soggetti coinvolti e di adattamento all’ambiente. Nel corso
dei dieci mesi di approfondimento (settembre 2002 / luglio 2003) la
presenza sul campo è stata indicativamente di uno, due giorni ogni
settimana. La fase iniziale ha previsto una stretta collaborazione con i
membri dello staff amministrativo e organizzativo che mi hanno semplificato
il mondo dell’ATC rendendolo, così, accessibile. Dal mese di dicembre
l’analisi si è spostata direttamente in sala operativa, dove è stato possibile
osservare i controllori interagire tra loro, guardarli svolgere le proprie
mansioni lavorative, ascoltare via radio le comunicazioni e le telefonate con
i centri limitrofi e con i piloti.
Il
controllo
del
traffico
aereo
si
fonda
sulle
tecnologie,
e
vive
nell’innovazione.
A Milano il radar è arrivato intorno al 1940; da quel momento
l’evoluzione tecnologica è stata continua e graduale nel tempo, in risposta al
costante aumento del traffico aereo. La sala operativa chiusa nel maggio
2003 era operativa dal 1994. In questi dieci anni il sistema interno
d’elaborazione dati ha subito quattro diversi processi di cambiamento,
attraverso mirate innovazioni a pochi supporti fondamentali.
La nuova sala comporta, invece, un’innovazione totale che coinvolge sia
l’ambiente che la strumentazione, e implica nuove strategie di azione e di
interazione.
Tuttavia,
per
quanto
innovativa,
questa
sala
è
la
rappresentazione di un progetto tecnologico che ha già cinque anni, e che è
da qualche tempo funzionante negli altri tre ACC italiani. Da questi dati si
potrebbe
pensare
che un processo
innovativo invecchi nello
stesso
momento in cui è reso operativo. È come se esistesse un continuo processo
84
Capitolo 4
di elaborazione che fa sì che quando un’innovazione diventa realtà, ha
già alle sue spalle un’idea nuova pronta a sostituirla. Nel mondo
dell’aeronautica, se la tendenza attuale fosse seguita assiduamente, si
dovrebbe vivere un rinnovamento tecnologico ogni anno. Per evidenti motivi
economici e organizzativi, il cambiamento è previsto ogni dieci anni circa.
4.1 Milano ACC attraverso il modello SHELL: la vecchia
sala controllo.
Milano ACC è un centro di coordinamento, una sala controllo divisa al suo
interno solo dalla disposizione delle postazioni di lavoro, i cui spazi aperti
permettono quel continuo processo di scambio comunicativo e interattivo
proprio di questi ambienti (cfr. cap. 3.2.3). Quella che in questo lavoro
definiamo “vecchia” è una sala controllo operativa dal 1994.
FIGURA 8: Milano ACC; schema della vecchia sala operativa (ARR/DEP = arrivi/partenze - APP; FIC =
centro informazioni volo; MILITARY = zona militare; AEROVIA = zona sorvolo - ACC)
Guardando Milano ACC attraverso SHELL si vede come le componenti del
sistema analizzato interagiscano tra loro in modo continuativo e dinamico
85
Capitolo 4
dando vita al processo produttivo, in questo caso al controllo del traffico
aereo.
Le
parti
contemplate
dal
modello
-
Liveware
(interazioni
e
comunicazioni), Software (norme, procedure, cultura dell’organizzazione),
Hardware (struttura materiale) e Environment (ambiente fisico, sociale,
politico, economico) - hanno lo stesso peso nel determinare il risultato finale
dell’operazione e tutte devono giocare lo stesso ruolo. Per descrivere
l’attività dell’ACC, è necessario compiere tre passaggi fondamentali:
innanzitutto porre al centro della argomentazione il soggetto umano, il
controllore; in seguito comprendere come il singolo si relaziona alle
componenti del sistema; infine analizzare il ciclo produttivo che si instaura
tra tutte le parti coinvolte in interazione tra loro. Affinché la produzione sia
efficiente e affidabile, e quindi il controllo del traffico aereo sia sicuro, è
necessario che ciascuna delle relazioni coinvolte nel sistema sia funzionale.
La prossima fase d’analisi presenta un tentativo di descrivere le
caratteristiche dell’ACC di Milano attraverso SHELL al fine di delimitare gli
ambiti di osservazione e facilitare la successiva comparazione con la nuova
sala.
4.2 Liveware/Hardware
Nella vecchia sala controllo la strumentazione a disposizione del
controllore è così articolata:
•
Schermo radar: di forma rotonda e tracce dei voli e del settore verdi.
Riceve il segnale confluito da più sensori radar ed elaborati dal
sistema.
•
Strip cartacee: inviate dal sistema FDP (Flight Data Processor), tante
quanti sono i voli che entrano nello specifico settore di controllo di un
operatore. Ciascuna striscia raccoglie le informazioni relative a un
singolo volo: nominativo, rotta, aeroporto di partenza e d’arrivo,
stimato dei punti di sorvolo, livello di volo… sono informazioni relative
a tutto il piano di volo di un aereo con le relative modifiche. Le strip
hanno diversi colori: bianco per gli aerei che arrivano da nord a livello
d’altitudine pari, giallo per quelli che arrivano da sud a livello
86
Capitolo 4
d’altitudine dispari. In questo modo gli aerei che arrivano da nord
s’incrociano con quelli da sud in modo da formare una griglia
perfettamente incrociata.
Le strips cartacee in uso a Milano ACC nella vecchia sala operativa. Foto: Marco Asprea
•
Bollettini meteo: relativi ai diversi aeroporti.
•
Elenco dei piani di volo approvati.
•
Tastiere: due, una per la specifica gestione e l’utilizzo dello schermo
radar, l’altra addetta all’attivazione delle comunicazioni telefoniche
tramite cuffia.
•
Telefono
•
Radio e frequenza di riferimento dello specifico settore.
A Milano ACC l’operatore si relaziona con un sistema tecnologico
particolarmente complesso composta da più strumenti uno affiancato
all’altro, mediatori di informazioni diverse, che usano protocolli distinti, e
che devono essere integrate dall’operatore.
87
Capitolo 4
4.2.1 Il nucleo: lo schermo radar
Simbolo di tutto l’apparato hardware è lo schermo radar su cui ogni
radarista vede la porzione di spazio aereo di propria competenza e parte
dello spazio limitrofo. All’interno del settore sono segnalati tutti i voli
presenti con le coordinate di riferimento (nominativo, quota, destinazione,
provenienza…). Sul radar il controllore riceve informazioni, ma, per gestirle,
non può interagire direttamente col mezzo; l’unico modo per coordinare i
dati è quello di trasferirli su di un altro supporto e renderli operativi. Questo
spostamento di informazioni avviene o tramite telefono, per cui il controllore
comunica
con
i
colleghi
di
altri
centri
operativi,
o
attraverso
la
comunicazione diretta, all’interno della sala, tra i controllori.
La postazione radar della vecchia sala ACC di Milano Linate. Foto: Marco Asprea
L’interazione uomo-radar avviene attraverso il mouse e la tastiera, che
permettono di identificare le distanze e i tempi necessari a percorrerle, di
attuare il passaggio allo spazio aereo adiacente dopo averlo coordinato con
il controllore di riferimento e molte altre funzioni ancora. La conoscenza
88
Capitolo 4
degli strumenti e la dimestichezza con i mezzi sono i requisiti fondamentali
per gestire nel modo migliore il traffico. Un esempio di tale importanza si
coglie nel momento in cui il controllore inizia il suo turno di lavoro: il suo
compito è di “farsi un’idea” di quello che sta succedendo nello specifico
momento. Il controllore osserva la situazione rappresentata dagli strumenti
tecnologici (radar, monitor..), legge le informazioni sul piano di volo
originario, stampate e lavorate dai colleghi nelle strips, osserva il loro
posizionamento, presta orecchio alle conversazioni che si svolgono tra i
colleghi e tra i colleghi e i piloti. In questo modo il controllore si fa, in pochi
minuti, una sorta di rappresentazione grafica interna di quello che sta
succedendo (Fele 2002).
Il possesso di queste competenze permette di acquisire un forte senso di
sicurezza
nelle
manualità
che,
diventando
automatiche,
facilitano
la
focalizzazione dell’attenzione solo sul controllo della situazione e sulla
gestione del traffico. La profonda conoscenza del sistema tecnologico,
permette di agire in esso seguendo degli automatismi, delle pratiche
lavorative meccaniche; questa dimestichezza elimina qualunque fonte di
distrazione nella pratica, e fa sì che il controllore si concentri solo sullo
schermo radar e sulla formulazione della migliore strategia di controllo. Le
routine consolidate e la dimestichezza con i mezzi, permettono all’operatore
di avere prestazioni del tipo skill based o rule based (cfr. cap. 1) per la
maggior parte del tempo.
Se il centro del lavoro del team di controllori è lo schermo radar, non
bisogna
però
dimenticare
tutti
gli
altri
strumenti
di
fondamentale
importanza: strip, informazioni meteo, piani di volo. E’ come se ci fossero
diversi “cestini” da cui si estraggono le informazioni che l’operatore
provvede poi a immettere nel posto a loro destinato. Questa transazione
delle informazioni deve avvenire manualmente. Le indicazioni riguardanti i
piani di volo o le informazioni meteorologiche appaiono su due schermi che
affiancano il radar.
Le comunicazioni T/B/T (terra/bordo/terra) avvengono attraverso la
radio: ogni settore, e quindi ogni controllore, ha in dotazione un’unica
frequenza fissa che gli permette di entrare in contatto con tutti gli aerei in
89
Capitolo 4
quel momento sotto il suo controllo. Per attivare le comunicazioni si può
usare o il pulsante della cuffia, oppure l’apposito pedale posto sulla pedana
della postazione. I coordinamenti tra settori, sia adiacenti, sia lontani tra
loro nello spazio, si avviano attraverso il telefono: questo sistema prevede o
l’utilizzo della comune cornetta telefonica, oppure l’uso di un microtelefono
che collega cuffie e tastiera.
In sintesi: il controllore interagisce direttamente con lo schermo radar e
con i monitor che raccolgono le informazioni dal sistema centrale (FDP,
Flight Data Processor) e le usa, da una parte, per comunicare via radio
direttamente con il pilota di riferimento, dall’altra per interagire via telefono
o con gli enti confinanti (altri ACC italiani o esteri), o con gli operatori
responsabili del settore limitrofo.
4.2.2 Il rapporto controllore – macchina
Il rapporto che il controllore instaura con la tecnologia è fondamentale,
tanto quanto quello con i colleghi. La relazione è la stessa: alla base deve
esserci
competenza,
esperienza,
conoscenza
dei
giusti
riferimenti,
dimestichezza nella selezione delle informazioni fondamentali, e il tutto
deve rientrare in una forma mentale ben definita e in cui il sistema è ben
radicato.
Il rapporto umano tra uomo e tecnologia è però in qualche modo
problematico; esistono criticità inevitabili che gran parte delle volte
dipendono dalla soggettività del singolo operatore. Chi vive con maggiore
tensione i problemi pratici, legati alle manualità, rischia di attribuire
un’attenzione
non
adeguata
alla
situazione
e
alla
decodifica
delle
informazioni relative. Nel controllo del traffico aereo il livello di attenzione è
un aspetto centrale per assicurare affidabilità e sicurezza. Questo problema
si presenta spesso tra i nuovi arrivati (newcomers), ma col passare del
tempo e con l’abitudine alle nuove mansioni la preoccupazione e il senso
d’inadeguatezza
diminuiscono
perché
si
acquisisce
dimestichezza,
si
accumula esperienza e il livello di competenza aumenta. In questa seconda
fase nasce però un altro tipo di preoccupazione, opposta alla prima:
90
Capitolo 4
l’abitudine alle situazioni da gestire e l’eccessiva disinvoltura hanno la
capacità di generare una diminuzione del livello d’attenzione soprattutto in
condizioni di scarso traffico. A questo proposito, Reason (1990) fa notare
come l’abitudine ha lo svantaggio di far diminuire l’attenzione cosciente
necessaria all’esecuzione delle azioni. I processi che richiedono l’intervento
dell’attenzione sono molto difficili da condurre per lunghi periodi di tempo,
perché la tensione cognitiva richiesta da un’attenzione alta deve essere
indirizzata contro le spinte prevalenti dell’abitudine o delle routine.
Dai colloqui intrattenuti con i controllori e dalle osservazioni svolte sul
luogo, emerge con chiarezza una grande confidenza con i mezzi a
disposizione. Le azioni del controllore sono comandate da uno schema
mentale ben radicato, grazie al quale egli ha sempre ben presenti tutti i
riferimenti necessari per svolgere i suoi compiti. Egli conosce la sua
strumentazione e la utilizza senza difficoltà, con un forte automatismo nelle
azioni. I suoi gesti sono meccanici, spontanei, e questo perché la profonda
conoscenza del sistema lo ha portato a selezionare direttamente i
riferimenti necessari alle peculiarità della situazione. Un esempio di tale
meccanicità nelle azioni è la dimestichezza con cui il controllore procedurale
gestisce le strip relative ai piani di volo, e come costantemente elabora e
aggiorna le informazioni in esse contenute. Tutto è coordinato: il sistema
emette le strisce, il procedurale le colloca secondo il giusto ordine e informa
il
radarista
delle
informazioni
ricevute.
Gli
scambi
comunicativi
tra
controllore e settori limitrofi spesso apportano modifiche al contenuto delle
strisce elettroniche (cambia la quota, cambia lo stimato…); queste nuove
informazioni sono annotate manualmente in specifici punti della striscia e
comunicate al radarista. Il sistema deve essere in aggiornamento costante e
puntuale perché il controllore sa di avere la piena responsabilità. La scelta di
come disporre le informazioni è in funzione della complessità del traffico e
del numero dei voli da controllare in un dato momento (Decortis, Noirfalise,
Saudelli 1999). Le strips costituiscono un sistema di back – up rispetto al
supporto tecnologico. Se il rapporto con la tecnologia rivela una profonda
conoscenza e dimestichezza da parte del controllore, l’unico aspetto che può
rivelarsi problematico è relativo alle comunicazioni T/B/T tra pilota e
91
Capitolo 4
controllore. Può capitare che la frequenza sia poco chiara o che le
informazioni debbano essere ripetute più volte per accertarsi che siano state
comprese adeguatamente.
Durante
il
periodo
di
osservazione
si
è
riscontrata
una
grande
dimestichezza e conoscenza dei controllori con il sistema. La strumentazione
è data per scontata, i riferimenti sono meccanici e in questo modo
l’operatore dirige la sua attenzione esclusivamente verso la gestione del
traffico. La consapevolezza del cambiamento sempre più vicino, ha reso gli
operatori più coscienti dell’importanza del rapporto che si deve avere con i
propri strumenti. Molti hanno affermato che la postazione di lavoro
rappresenta uno schema mentale, un punto di orientamento fondamentale
per svolgere con serenità le proprie mansioni. Può tornare utile il paragone
con l’automobile: dopo un periodo più o meno lungo, quando ci si siede al
proprio posto di guida si dà tutto per scontato. Sterzo, frecce, “gioco di
frizione” diventano abitudini meccaniche e pian piano si conoscono sempre
meglio anche gli aspetti più tecnici del veicolo. Non essendo più distratti dal
cambio o dai pedali, come avviene appena si prende la patente, la guida
diventa più sicura. Allo stesso modo il controllore: avendo accumulato
esperienza e pratica a sufficienza, riesce a lavorare in un ambiente che sa di
poter dominare, e la sua attenzione si concentra solo sull’ambiente che lo
circonda.
4.3 Liveware/Software
Le regole per il Controllo del Traffico Aereo sono stabilite da una sola
organizzazione, l’ICAO (Organizzazione Aviazione Civile Internazionale), il
cui scopo è fare in modo che un aeroplano possa volare in qualunque zona
del mondo seguendo sempre le stesse procedure di riferimento. ICAO detta
normative, regole e procedure da seguire che fanno parte di un unico
bagaglio di conoscenze valido per i piloti come per i controllori. La
formazione di tutti i controllori è modellata su questa base e integrata con la
normativa nazionale (AIP). I regolamenti in possesso dei controllori
forniscono gli strumenti concettuali del lavoro; in essi sono contenuti i
92
Capitolo 4
parametri, le disposizioni, le regole che l’operatore deve conoscere e usare
per gestire il traffico aereo.
In Italia, dopo aver superato le due fasi di formazione (corso ENAV a
Roma e addestramento in sede), il controllore entra in sala controllo. Da
questo momento in poi i passaggi di ruolo e l’acquisizione di competenze
avvengono on job training: il controllore prende le abilitazioni di grado
superiore attraverso periodi di addestramento (180 ore circa) in sala in cui è
affiancato da un collega “anziano” o da un supervisore che dovrà approvare
o meno la promozione del collega.
A Milano ACC la documentazione ICAO e gli ordini di servizio interni,
riferiti a disposizioni temporanee, sono conservati in sala controllo, e quindi
direttamente consultabili dal controllore.
Il servizio di ATC deve essere fornito 24 ore su 24; per questo motivo i
controllori lavorano in turni di 8/10 ore distribuiti su tutto l’arco della
giornata
-
mattina,
pomeriggio,
notte
-
concordati
tra
uffici
dell’amministrazione e sindacati. La gestione del personale, la verifica della
presenza sul posto di lavoro e del rispetto della normativa in vigore sono
affidate al capo sala.
Se è vero che il controllore è tenuto ad un ferreo rispetto delle procedure
stabilite, è altrettanto vero che esiste la tendenza a “personalizzare la
norma” da parte degli operatori. Ciò è dovuto al fatto che, come dichiarato
dai soggetti più volte, in molte situazioni risulta più “conveniente” sviare
dalle procedure per poter risolvere e gestire con maggiore velocità una
situazione.
Per
chiarire
questo
concetto
si
potrebbe
paragonare
il
comportamento del controllore a quelle dell’automobilista: pur sapendo di
dover guidare secondo le norme stabilite dal codice della strada, esistono
delle situazioni in cui ci si comporta diversamente (ad esempio passare con
il semaforo giallo) per non perdere tempo, per rendere il viaggio più veloce,
oppure per risolvere situazioni di fronte alle quali altri automobilisti restano
bloccati. L’allontanamento dalla norma rappresenta un adeguamento delle
regole al contesto, adattamento che è modellato dal controllore – o
dall’automobilista - sulla base delle esigenze poste dalla specifica condizione
del traffico. È bene però puntualizzare che in questo contesto è la normativa
93
Capitolo 4
a prevedere che in alcune situazioni sia il singolo controllore a stabilire
quale sia la strategia più adeguata da seguire. Il controllo del traffico aereo
si affida ancora oggi in gran parte alle capacità dei suoi operatori, ai loro
comportamenti knowledge based, anche perché di fronte alla variabilità del
traffico aereo sarebbe impossibile prevedere norme capaci di coprire ogni
situazione. Questi comportamenti nella maggior parte dei casi sono degli
allontanamenti, ossia comportamenti che non rispettano al cento per cento
la regola, ma nemmeno la violano totalmente (vedi semaforo giallo). È pur
vero, tuttavia, che questo processo di personalizzazione può anche portare
a vere e proprie violazioni routinarie. Questo può avvenire sia per una
cattiva condotta del controllore, sia perché le regole, seppur adeguate,
risultano
a
volte
troppo
rigide,
tanto
da
impedire
o
rallentare
eccessivamente le azioni. Agire seguendo vie più rapide, richiama alla
mente la teoria di Reason (cfr. cap. 1.3.1) secondo cui i regolamenti via via
introdotti per difendere il sistema dai pericoli, rischiano di ridurre in modo
eccessivo il campo d’azione degli operatori, che si vedono poi costretti ad
elaborare scorciatoie pericolose per portare a termine il loro compito. Questi
atteggiamenti possono costituire gli errori attivi capaci di innescare la giusta
traiettoria di opportunità che unisce tutti gli errori latenti del sistema fino al
verificarsi di un incidente.
Tra i controllori, frequente è la deviazione dalla fraseologia standard,
limitata all’uso di innocue forme di cortesia quali “buongiorno” o “ciao”, non
previste dalla normativa.
Il singolo operatore valuta di volta in volta la
situazione prevedendo, attraverso i dati fornitigli dalla strumentazione, le
probabili conseguenze della sua azione e delle sue decisioni. In questo
atteggiamento conta molto il livello di esperienza di cui si è in possesso: più
si conosce il terreno e più si è consapevoli di quanto sia lecito personalizzare
una regola. In una condizione di alto volume di traffico il carico di lavoro
aumenta considerevolmente e si restringono i tempi a disposizione per
avere un quadro chiaro e completo della situazione, per prendere le
decisioni, comunicarle al pilota e quindi agire di conseguenza. In un
contesto simile, un controllore che ha una buon’esperienza alle spalle e
gestisce dinamicamente le proprie mansioni, pianifica a propria strategia
94
Capitolo 4
adattando la normativa alle proprie esigenze, perché sicuro delle proprie
competenze. In molte occasioni adeguare le prescrizioni alle necessità del
momento si rivela il modo più veloce per risolvere situazioni critiche e
impreviste.
Questo accade perché le regole non sempre riescono a sostenere
adeguatamente l’attività del controllore quando il contesto diventa troppo
complesso. Il controllore si vede costretto a selezionare le azioni realmente
utili e funzionali per risolvere la criticità presentatasi. Se rispettasse la
norma, il controllore rischierebbe di perdere tempo e quindi di non risolvere
il problema. Agli eventuali rischi che queste “personalizzazioni” possono
comportare, devono sopperire esperienza e dinamicità. È comunque da
tenere in considerazione l’inevitabile debolezza umana: le reazioni dei
soggetti dipendono fortemente dalle contingenze, dallo stress accumulato,
dell’emotività del momento. Le capacità di reagire cambiano di volta in
volta, così come possono mutare le conseguenze che tali reazioni
comportano. A livello teorico un aumento del traffico dovrebbe condurre ad
un’attenzione maggiore; in realtà tutto dipende dall’ordine del traffico, dalle
tipologie dell’aereo, dalle condizioni meteo. Nella pratica davanti ad una
situazione di traffico tranquilla i livelli di tensione e di attenzione
diminuiscono perché si pensa di avere più facilmente il controllo della
situazione: una scarsa attenzione può generare noncuranze fatali. Questo
aspetto è riconosciuto in modo esplicito dai controllori stessi. Le modalità
risolutive delle criticità cambiano continuamente in base alle situazioni che
si presentano: una soluzione può andare bene oggi, ma non essere più
adeguata domani. Si deve sempre lavorare in proiezione immaginando
l’ipotetico scenario che si presenterà nell’immediato futuro. Controllare il
traffico aereo vuol dire gestire gli eventi in tempo reale piuttosto che
seguire un piano prestabilito. Ci sono sempre fattori inevitabili e contingenti,
compresi problemi tecnici di vario tipo, che devono essere affrontati. La
cultura dei controllori di volo è consapevole del fatto che un uso raffinato e
competente delle regole e delle procedure, l’anticipazione di “problemi
probabili”, l’organizzazione del piano complessivo di traffico possono essere
realmente affidabili solo attraverso una divisione del lavoro non definitiva né
95
Capitolo 4
statica (Fele 2002). Il sevizio di ATC non può fare a meno di una continua e
stretta collaborazione e cooperazione tra i soggetti coinvolti.
Le norme per la gestione del traffico prevedono della procedure di base
per tutti, ad esempio stabilendo i tipi di separazioni tra aerei in uno specifico
settore, o i livelli minimi che si possono attribuire ad un volo quando lo si fa
passare da un settore ad un altro. Le stesse procedure, allo stesso tempo,
prevedono che sia il controllore a trovare di volta in volta la risoluzione
migliore per la situazione: esiste uno spazio legittimato di libertà di azione e
di autonomia per l’operatore. Questo aspetto da una parte legittima gran
parte delle strategie personalizzate, ma dall’altra definisce i confini che è
obbligatorio rispettare. Il sistema tecnologico della vecchia sala è piuttosto
rudimentale, molto semplice e ciò attribuisce all’operatore la responsabilità
di supportare con le sue competenze le carenze del sistema. Consapevole
dei limiti del sistema, il controllore qui sa che la sua attenzione e il suo
rispetto delle regole sono di fondamentale importanza.
4.3 Liveware/Liveware
La relazione che lega le componenti umane di un sistema è la più
complessa. In un contesto lavorativo entrano in azione i fattori delle comuni
interazioni interpersonali (affetto, antipatia, incomprensione, malumori e
molti altri ancora),
a cui si aggiungono elementi
contingenti
quali
sovraccarico di lavoro, stress, tensioni interne, che possono irrigidire i
rapporti umani intaccando la qualità delle prestazioni. Gli studi delle
relazioni tra i soggetti che appartengono ad un unico sistema, prevedono
che si considerino sia i singoli in relazione tra loro o con gruppi di
riferimento (il proprio o quello con cui deve agire), sia i gruppi che
cooperano insieme per il raggiungimento dell’obiettivo comune.
Nella sala controllo di Milano ACC si possono osservare questi diversi
ambiti: si passa dall’interazione tra i controllori all’interno di un solo gruppo
– i tre controllori di uno spazio aereo, ai rapporti tra teams di controllori che
si coordinano direttamente all’interno della sala. Per comprendere meglio
che tipo di relazioni possono instaurarsi, e che regole devono essere seguite
96
Capitolo 4
e rispettate, è necessario illustrare brevemente ruoli e compiti della
gerarchia operativa interna.
4.3.1 I ruoli
L’ambiente lavorativo di Milano ACC è particolarmente informale e molto
socievole; questo fa sì che, pur essendoci una rigida divisione dei compiti, i
rapporti interpersonali siano molto liberi e ci sia una buona confidenza e
spontaneità anche tra coloro che occupano posizioni distanti sulla scala
gerarchica.
Capo sala (CSO)
Supervisore (SPV)
Controllore radar (CR)
Controllore procedurale (CP)
Controllore assistente (CA)
Capo sala: È responsabile dello svolgimento di tutte le attività della sala
operativa e del rispetto delle disposizioni interne. Oltre alle attività di tipo
organizzativo e gestionale del lavoro, il Capo sala gestisce il personale.
Poiché Milano ACC gestisce in un’unica sala sia i settori di arrivi e partenze
(ARR/DEP - APP), sia quelli di aerovia (ACC), in essa sono presenti entrambi
i Supervisori responsabili. Queste due figure hanno le stesse responsabilità
e le medesime competenze, cambia solo l’ambito in cui operano.
Supervisore (SPVarr): è alle dirette dipendenze del Capo sala. La sua
responsabilità
è
circoscritta
all’operatività
dell’isola
arrivi/partenze
(Arr/Dep). Coopera con il Capo Sala; effettua i coordinamenti con le torri di
controllo; decide il tipo di soluzioni da adottare con il Supervisore dei settori
di aerovia e infine provvede al coordinamento tra i vari settori in caso di
necessità. Ha un ruolo fortemente organizzativo e logistico nella gestione
delle operazioni.
Supervisore
(SPVsett):
ha
le
stesse
funzioni
del
SPVarr,
ma
è
responsabile dei settori di aerovia - scorrimento. Entrambi i Supervisori
97
Capitolo 4
valutano le capacità operative dei controllori, in particolare durante le fasi di
addestramento e abilitazione ai nuovi ruoli.
Controllore radar (CR): fornisce il servizio di controllo radar nello spazio
aereo di propria giurisdizione, applicando la normativa in vigore. I suoi
strumenti di lavoro sono molteplici: i dati radar, le liste di volo, le strips e i
monitor. Il suo lavoro prevede una stretta e forte collaborazione con il
controllore procedurale (CP).
Controllore procedurale (CP): affianca il radarista ed è responsabile della
gestione dei messaggi di coordinamento con i settori limitrofi. Svolge tutti i
compiti che gli sono delegati dal CR. Nella vecchia sala controllo il CP lavora
con le strip: le organizza in base al traffico, aggiorna i piani di volo
scrivendo a penna i cambiamenti, riconfigura il traffico su questo supporto
cartaceo così da confrontarlo con quello visibile sullo schermo radar.
Controllore assistente (CA): il suo ruolo è piuttosto marginale e, infatti,
questa figura scompare nella nuova sala operativa. In sintesi svolge i
compiti che gli vengono delegati dal CP. Verifica la compatibilità del traffico,
riceve i messaggi di coordinamento via telefono e li sottopone al CP.
Come in ogni sistema organizzativo, la gerarchia operativa rispecchia
un’inevitabile distribuzione di prestigio e potere. Nelle fasi di passaggio di
ruolo il controllore è affiancato da un istruttore che ha il compito di stabilire
se, alla fine del corso, sarà pronto per la promozione. Questi passaggi
possono facilmente creare tensione e agitazione: la consapevolezza di
lavorare sotto costante osservazione e giudizio da parte di un collega
esperto, può portare ad uno stato in cui il soggetto sotto esame limita le
proprie azioni pur di non sbagliare. Il controllore rischia di apparire
inefficiente o non abbastanza sicuro delle proprie capacità.
Il gruppo base in sala operativa è costituito da CA, CP e CR, un solo
team operativo che controlla uno specifico settore. I tre soggetti lavorano in
stretta collaborazione e in forte coordinamento tra loro e con gli addetti ai
settori limitrofi, che possono essere o all’interno della stessa sala (nella
postazione accanto o in un altro punto), oppure nei rispettivi ACC. Nel corso
dell’osservazione svolta in sala, uno degli aspetti più interessanti rilevati è
stato il peso che assume la buona sintonia tra CP e CR la cui assistenza
98
Capitolo 4
reciproca è fondamentale per una corretta gestione del traffico.
Nel
concreto il CP usa le strip cartacee emesse dal sistema per comprendere la
situazione del traffico; queste strip sono disposte in modo tale da delineare
la stessa condizione di traffico visibile sullo schermo radar. Il CP gestisce i
coordinamenti telefonici con i vicini settori, informando tempestivamente il
CR di ogni cambiamento (i due devono essere contemporaneamente a
conoscenza delle stesse informazioni), e fornendo, quindi, un costante
supporto materiale e collaborativo. A questo proposito, infatti, molti CR
hanno ammesso che un buon rapporto con il procedurale è fondamentale:
una relazione serena e una buona conoscenza del suo modo di lavorare
semplifica la gestione delle mansioni, perché si sa in anticipo che reazioni
aspettarsi e si è consapevoli del tipo di sostegno reciproco. Questo aspetto
assume maggiore importanza nel momento in cui si devono affrontare delle
situazioni critiche: la fiducia dà certezza e fornisce maggiore sicurezza nelle
proprie capacità per gestire il problema. A tal fine a Milano ACC i tre
controllori di una postazione lavorano in team fissi così da creare piccoli
sottogruppi all’interno della comunità. La stabilità del gruppo permette di
rafforzare la conoscenza e la fiducia reciproca e di aumentare il grado di
consapevolezza delle competenze realmente presenti e utilizzabili. Questi
aspetti sono di fondamentale importanza, poiché il lavoro del controllore
porta ad affrontare situazioni inaspettate o di pericolo in cui aumenta a
livello esponenziale il grado di tensione e di stress del soggetto. Molti CR
affermano che sentire il proprio compagno teso o agitato, perché incapace
di gestire con fermezza la situazione del momento, trasmette uno stato
d’ansia che si somma a quello già presente per il traffico difficile. Nel
periodo considerato in questa ricerca (settembre 2002 – luglio 2003) le
squadre dei controllori non erano fisse, ma cambiavano continuamente a
causa di alcuni aggiustamenti in previsione della sala nuova e di problemi
legati alla scarsità del personale (uno dei grossi limiti di Milano ACC). Il
ritorno ai team fissi era in previsione con il definitivo passaggio alla nuova
sala operativa (maggio 2003).
99
Capitolo 4
4.3.2 Le comunicazioni
La struttura comunicativa che caratterizza la comunità di pratica dei
controllori è dominata dalla condivisione di un vocabolario tecnico specifico
e codificato. L’uso costante di questo linguaggio rende immediatamente
estraneo qualunque individuo che non appartenga all’ambiente. Il flusso
comunicativo è continuo sia all’interno della sala, sia tra la sala e i centri
limitrofi, sia tra i radaristi e i piloti per mezzo delle frequenze radio – una
per ogni settore controllato.
Quando
i
settori
limitrofi
sono
all’interno
della
stessa
sala,
la
comunicazione è diretta, faccia a faccia: le informazioni sono scambiate a
voce, “spalla a spalla”, tra i controllori che si aggiornano sulla situazione, sui
cambiamenti dei piani di volo, e si avvisano direttamente nel momento in
cui un aereo sta passando da un settore ad un altro. Questo tipo di
comunicazione è espressamente prevista dalla normativa che impone un
flusso informativo costante tra gli operatori. Tra centri di controllo distanti
nello spazio (ad esempio tra gli ACC di Milano e Padova, o Brindisi, o
Ginevra…), le comunicazioni sono mediate attraverso il telefono. In
entrambi i casi, così come nelle comunicazioni T/B/T tra controllori e piloti,
è fondamentale che alla base di ogni azione ci sia un comportamento
cooperativo e collaborativo. I dati sono sempre gestiti con grande dinamicità
e velocità, le comunicazioni attendono sempre le conferme dal soggetto a
cui sono rivolte, un cambiamento improvviso è sempre coordinato e reso
noto ai soggetti interessati.
Nelle relazioni tra controllori, e tra controllori e piloti, le maggiori criticità
nascono a causa di fattori umani quali stress da sovraccarico di lavoro,
incomprensioni, tensioni interne. Un ruolo importante, come sottolineato in
precedenza, è ricoperto dai problemi di comunicazione; a questo proposito è
bene ricordare, tra gli altri, gli studi di Cushing (1994), e Grayson e Billings
(1981), che affrontano in profondità quali sono le aree più a rischio: ci sono
problemi di linguaggio (ambiguità, omofonia o intonazione scorretta),
problemi di referenti (non risulta chiaro a chi ci si rivolge), di inferenza
(implicita, lessicale, l’uso di una terminologia non familiare), o ancora dubbi
100
Capitolo 4
inerenti alle ripetizioni dei messaggi. Altri problemi possono nascere dalle
comunicazioni via radio, la cui qualità e affidabilità, fortunatamente, sono
aumentate con gli sviluppi tecnologici. Possono comunque verificarsi
incomprensioni
per
le
similitudini
fonetiche,
errori
di
traduzioni,
o
inesattezze nel contenuto del messaggio. In sala ha un peso rilevante anche
la gestualità degli operatori che è spesso affiancata alla comunicazione
verbale; un fraintendimento o una scorretta interpretazione di un gesto, può
portare ad una criticità non prevista. Viceversa un gesto del capo può
confermare la comprensione di una comunicazione avvenuta a distanza.
I controllori sono una comunità di pratiche: le relazioni tra loro si creano
attorno alle attività e le attività prendono forma attraverso le relazioni, e
particolari
conoscenze
ed
esperienze
diventano
parte
dell’identità
individuale e prendono posto nella comunità (Gherardi, Nicolini 2001). I
controllori
hanno
una
comune
visione
del
mondo
modellata
sulle
caratteristiche della loro professione - la maggior parte vive lontano da casa
(Roma), è abituata a lavorare a qualsiasi orario e giorno della settimana in
turni di lavoro piuttosto pesanti… - sono uniti da uno stesso linguaggio,
diverso da quello quotidiano e comune, sono e devono essere legati da un
forte senso di collaborazione e coordinamento perché consapevoli che il loro
lavoro dipende in ogni momento da quello degli altri, così come ogni
personale decisione ha dei risvolti sul lavoro altrui. La fitta rete di interazioni
tra i soggetti costituisce l’ambito organizzativo nel quale hanno luogo i
processi di sensemaking, di apprendimento e di trasmissione del sapere
pratico, ed è al loro interno che i nuovi arrivati vengono socializzati alla
comunità.
4.3.3 La socializzazione
Il gruppo dei controllori può essere suddiviso in “giovani” e “anziani”: i
rapporti interpersonali che si instaurano tra le due categorie sono
fondamentali per aumentare il senso di appartenenza e di unione ad un
unico mondo di riferimento. Gli “anziani” sono portatori di esperienza e di
grosse competenze, fattori che compensano la diminuzione di dinamicità e
101
Capitolo 4
speditezza. I “giovani” conservano ancora fresche caratteristiche quali
dinamicità, prontezza dei riflessi, velocità di azione e di pensiero, che
sopperiscono alla scarsa esperienza. L’unione delle qualità dei due gruppi
crea il perfetto controllore. Un proficuo scambio di conoscenze, di opinioni e
di esperienze tra le due generazioni serve a mantenere in circolazione tutte
le qualità necessarie ad esercitare questa professione. A Milano ACC l’età
media è piuttosto bassa: a un folto gruppo di controllori giovani, si
contrappone una netta minoranza di anziani. Tra le due classi la
socializzazione risulta spesso difficoltosa. Gli anziani arrivano dal mondo
dell’aviazione militare, hanno una formazione diversa, ma soprattutto hanno
accumulato un’enorme esperienza; i giovani sono tutti civili, hanno dalla
loro parte la prontezza di riflessi, la dinamicità nell’agire e nel pensare.
L’unione di tutti questi aspetti risulterebbe vantaggiosa per entrambe le
categorie, ma a detta dei controllori i momenti dedicati allo scambio sono
pochi. Alcuni controllori raccontano che i turni di notte, periodo in cui il
traffico è praticamente assente, sono particolarmente funzionali alla
creazione di amicizie e scambi di esperienze e d’idee che rafforzano i legami
tra soggetti e che rendono più saldo il legame comunitario. Questo scambio
formativo avviene con più facilità se CP e CR appartengono ciascuno ad uno
dei
due
gruppi.
In
questo
modo
il
lavoro
diventa
un
processo
d’apprendimento, un confronto di competenze che col tempo risulta proficuo
per entrambi i soggetti. I controllori vivono un processo di “formazione
continua”: le richieste di spiegazioni e informazioni tra colleghi che
occupano posizioni diverse, crea un costante processo di apprendimento. Le
dinamiche del traffico non si ripetono mai allo stesso modo e ciò costituisce,
per i controllori, nuove fonti di conoscenza e di prova per le loro capacità.
Tale evoluzione professionale si realizza al meglio proprio attraverso
l’interazione con i membri più esperti e competenti delle pratiche sociali
ambientali. Questi processi naturali sopperiscono una carenza strutturale:
nell’ACC di Milano la conoscenza è data per scontata una volta ottenuta
l’abilitazione e non sono previsti momenti di verifica o di aggiornamento. Il
resto della carriera lavorativa porta il controllore a vivere situazioni uniche e
diverse tra loro, che richiedono ogni volta l’attivazione di particolari abilità e
102
Capitolo 4
strategie specifiche. Ciò porta alla consapevolezza che in realtà un
controllore è sempre messo alla prova, e deve essere pronto ad imparare
continuamente
nuove
strategie
e
pratiche
d’azione,
necessarie
alla
risoluzione dei problemi: l’apprendimento diventa una pratica costante. La
condivisione delle soluzioni adottate e delle pratiche utilizzate porta allo
sviluppo
della
comunità.
Anche
per
partecipazione
periferica
legittimata:
i
controllori
Gherardi
si
e
può
parlare
Nicolini
di
(2001),
riprendendo gli studi di Lave e Wegner del 1991, usano tale definizione per
descrivere un coinvolgimento progressivo in pratiche sociali dei nuovi
membri basato sull’apprendimento. Ai novizi viene assegnato un ruolo nel
tessuto sociale e su tale base viene loro permesso di prendere parte alle
attività in corso e quindi di apprendere. Questo tipo di partecipazione
genera una dimensione di ordine e regolarità, che permette di percepire gli
altri come appartenenti alla medesima comunità di pratiche. Apprendere
una pratica richiede una disposizione attiva e un impegno da parte del
novizio,
e
il
suo
esito
è
condizionato
dalle
caratteristiche
sociali
dell’ambiente in cui si svolge.
Il processo che porta un soggetto a diventare controllore del traffico
aereo mette in evidenza come partendo da una zona esterna, l’operatore si
avvicini via via al centro della comunità (corso ENAV, addestramento, CA,
CP, CR, SPV, CSO). Solo questa progressiva partecipazione a tappe nella
vita della comunità permette di entrare a fondo nella vita del gruppo. La
presenza del soggetto nello stesso contesto per un lungo periodo permette
che egli apprenda le pratiche di lavoro, i ruoli sociali, la distribuzione del
potere, la presenza della leadership e i comportamenti comunicativi tipici di
quel contesto. Si impara solo se si partecipa.
Nel corso dei dialoghi con i controllori, è emerso di continuo un fattore
particolare, che intacca in parte questo senso di comunità. Milano ACC
soffre di carenza di personale; per risolvere il problema molti controllori
sono trasferiti da Roma a Milano. Questo aspetto ha un peso fondamentale
nel determinare il clima lavorativo perché chi è stato trasferito a Milano
vuole tornare a Roma; più volte i controllori hanno dichiarato che “a Milano
non si sta male, ma a Roma si sta meglio” e soprattutto il lavoro di Roma
103
Capitolo 4
ACC è diverso. Per comprendere quest’ultimo aspetto basta pensare al fatto
che l’ampiezza di un settore aereo dell’area romana, è paragonabile a quella
dell’intera area milanese, ma la densità di traffico delle due aree nel
complesso è la stessa. Ne segue che il traffico controllato da Milano ACC è
denso, compresso e accerchiato dalle montagne al contrario di quello
romano. Appena iniziano la loro attività a Milano i controllori di Roma
chiedono il trasferimento, ma la richiesta non ottiene mai una risposta
precisa: si entra in graduatoria e si aspetta. Questa condizione fa sì che si
creino delle sottocomunità (che vivono anche al di fuori dell’ambiente di
lavoro) di controllori romani, che assumono forza dal condividere la stessa
condizione
di
“espatriati”.
Nasce
così
un
fondo
di
malessere
e
insoddisfazione tra i controllori che ammettono di subirne le conseguenze
nelle prestazioni lavorative. Nasce così una tensione tra il controllore e il
nuovo ambiente in cui deve integrarsi.
4.4 Liveware/Environment
In ogni indagine lavorativa svolta attraverso il modello SHELL, la
componente relativa all’ambiente è lasciata sullo sfondo perché, per essere
realmente utile, richiede la comprensione dei limiti del sistema. Tale
conoscenza è però di difficile acquisizione perché richiede un addentramento
nel sistema che non sempre è concesso agli occhi dell’osservatore. La
relazione uomo/ambiente è particolarmente complessa perché il concetto di
ambiente
non
si
adegua
ad
un’unica
definizione.
Per
cercare
di
comprenderlo, si è deciso di suddividere questa componente in più
sottoparti aventi ciascuna un peso fondamentale.
- Dimensione politico – economica.
E’ la dimensione relativa agli aspetti propri della gestione aziendale. Se di
per sé non è una questione di facile approccio, a maggior ragione non lo è
nello specifico periodo in cui si è svolta l’analisi (strascichi del disastro di
linate, inchieste della magistratura…). Ciò che comunque non può passare
inosservata è la tensione costante determinata dai contrasti sindacali che
dominano i rapporti tra operatori e settore amministrativo. A Milano ACC
104
Capitolo 4
non si fatica a cogliere una forte insoddisfazione da parte dei controllori
rispetto al trattamento loro riservato dall’azienda.
- Disposizione dell’ambiente:
La vecchia sala controllo si presenta come un luogo buio, di piccole
dimensioni, in cui le postazioni sono ad una distanza minima l’una dall’altra.
La vecchia sala ACC di Milano. Foto: Marco Asprea
È un ambiente del tutto diverso dai tipici ambiti lavorativi, e questa diversità
fa sì che, entrando, si abbia l’impressione di essere immersi in una nuova
realtà. L’oscuramento costante di ogni fonte di luce naturale o artificiale è
dovuto al fatto che gli schermi radar per essere visibili non devono essere
sottoposti ad alcuna fonte di luce. L’unica forma d’illuminazione concessa, è
costituita da piccoli faretti il cui raggio di illuminazione è limitato. È
inevitabile la sensazione di chiusura e di isolamento che i controllori in
qualche modo vivono e a cui si devono abituare. Certo è che questa
assuefazione non sopperisce allo scarso adeguamento dell’ambiente alle
105
Capitolo 4
peculiarità umane. Lavorare in un ambiente buio, indipendentemente dalle
stagioni e dall’ora del giorno, implica vivere in un luogo isolato dallo spazio
e dal tempo, sia meteorologico sia relativo allo scorrere delle ore. L’impatto
con il ritorno all’esterno non raramente risulta traumatico. Questo aspetto è
stato sottolineato con molta forza dai controllori, soprattutto da coloro che
lavorano in sala da molto tempo.
Altro punto rilevante è la distribuzione delle postazioni di lavoro: appena
entrati nella sala si ha sulla sinistra l’isola arrivi-partenze seguita dall’isola
del sorvolo o scorrimento. La prima è composta di poche consolle, la
seconda è divisa in quattro settori, ciascuno con più consolle, disposti tra
loro a formare una X. Questa specifica disposizione risulta essere di
particolare
interesse,
poiché
isola
e
al
contempo
unisce
il
settore
fondamentale dal resto della sala.
4.5 Riepilogo
Dal periodo d’osservazione trascorso nella vecchia sala controllo, si è
rilevato un buon livello di confidenza con ogni parte della struttura
organizzativa.
Per
la
specifica
configurazione
dell’ambiente,
piuttosto
piccolo, buio, e dominato dalla tecnologia, si può pensare ad esso come ad
una nicchia ambientale i cui abitanti hanno imparato come muoversi e
gestirsi internamente.
Capo sala, supervisori e controllori vivono le loro
giornate in un luogo che per sua natura rimane isolato dal mondo esterno, e
ciò rende ancor più particolare la loro professione. La responsabilità di dover
assistere migliaia di voli ogni giorno, e quindi migliaia se non milioni di vite
umane, rende i controllori molto orgogliosi del proprio lavoro, ma allo stesso
tempo sempre sottoposti a livelli di tensione e di stress molto elevati.
È anche per questo che l’ambiente in sala è molto allegro e informale, i
rapporti tra colleghi sono diretti, sempre disposti allo scherzo anche con i
propri superiori. I controllori ripetono spesso che il generale clima di allegria
è necessario per scaricare la tensione che si accumula davanti allo schermo.
Se reagissero diversamente, forse non riuscirebbero a gestire in modo
sereno le loro mansioni.
106
Capitolo 4
Fornire un buon servizio di ATC implica far interagire tra loro gli elementi
del sistema che, vicendevolmente, si relazionano al fine di sopperire le
eventuali e momentanee carenze di una delle componenti. Al centro è il
controllore, che, attraverso le norme gestisce il sistema tecnologico. Gli anni
di esperienza trascorsi nella vecchia sala hanno reso questi operatori
profondamente esperti del loro lavoro, sicuri delle loro azioni e consapevoli
delle responsabilità. I soggetti si distaccano da quanto è previsto dalle
regole perché sanno di poter sopperire ad esse con la loro esperienza,
risolvendo la situazione in modo più veloce e spedito. Essi, inoltre, sanno di
poter fare affidamento sulla propria dimestichezza nel gestire gli strumenti a
disposizione, concentrando l’attenzione solo sulla situazione. Alla base c’è
sempre un atteggiamento di forte collaborazione e di preciso coordinamento
tra tutti coloro che sono impegnati nelle attività.
107
Capitolo 5
5. Il processo d’innovazione
5.1 Genesi del cambiamento
Con l’innovazione tecnologica che ha dato a Milano ACC una nuova sala
controllo, si è concluso il processo con cui ENAV ha portato i quattro ACC
italiani
(Roma,
Brindisi,
Padova,
Milano)
ad
avere
una
comune
strumentazione. Milano è l’ultimo centro a vivere quest’evoluzione; qui la
progettazione della nuova sala è iniziata a cavallo tra il 2000 e il 2001. Il
nuovo apparato tecnologico e la relativa strumentazione hanno più di cinque
anni e sono già ampiamente operativi in Italia come in Europa. Milano
occupa una delle ultime posizioni nella graduatoria cronologica dei centri
che hanno vissuto questa trasformazione. Bisogna poi considerare che i
processi innovativi, e le necessità tecniche dei centri di controllo del traffico
aereo, prevedono un cambiamento tecnologico ogni dieci anni. Il ritardo si
fa ancora più pesante. Ma come è stata gestita concretamente questa fase
di cambiamento?
Il nuovo sistema è arrivato a Milano, da Roma, nel 2001; ognuno dei
quattro ACC italiani ha adeguato l’apparato di base, comune a tutti, alle
proprie esigenze di traffico attraverso specifici adattamenti. A Milano è stato
istituito un team di dieci istruttori (ex controllori) che in due anni si sono
dedicati allo studio e al perfezionamento del sistema, secondo le peculiarità
del traffico qui gestito. L’adeguamento del sistema è avvenuto sulla base di
precise modalità: prima i dieci istruttori hanno trascorso in sala buona parte
della giornata, ciascuno focalizzando l’attenzione su obiettivi specifici, e, in
un secondo tempo, si sono riuniti per scambiare considerazioni, opinioni,
conclusioni e per proporre i relativi cambiamenti da apportare. Ogni idea è
stata poi presentata ai vertici aziendali e passata ai tecnici che si sono
occupati, dove possibile, di modificare concretamente il sistema in base alle
richieste. In questa fase ricoprono un peso non indifferente motivazioni
economiche e politiche aziendali, ma non è questa la sede per analizzarle.
Ciò però ha portato ad accettare alcune modifiche e a rifiutarne delle altre,
anche se a svantaggio della qualità e del sistema.
108
Capitolo 5
Nei due anni di perfezionamento i soli soggetti coinvolti sono stati i dieci
membri del team appositamente istituito, considerati sufficientemente
competenti visto il ruolo ricoperto all’interno della gerarchia operativa. Non
sono invece stati previsti degli incontri comuni con tutti i controllori
operativi in cui far presente le innovazioni, raccogliere le proposte, spiegare
i passaggi compiuti e quelli ancora da attivare prima dell’ok finale. Allo
stesso modo non è stata prevista una fase di esercitazioni al simulatore che
potesse mettere il controllore in condizione di conoscere la nuova
strumentazione senza preoccuparsi del traffico. Questa fase avrebbe
permesso, anche a detta della maggior parte dei controllori intervistati, di
prendere confidenza col sistema, di capire quali fossero i nuovi punti di
riferimento, annullando i fattori “attenzione” e “concentrazione” per gestire
il traffico reale. L’azienda ha ritenuto che l’esperienza dei dieci istruttori
esperti delle condizioni di Milano fosse sufficiente ad affinare il sistema nel
modo migliore.
Alla fine del 2002 la nuova sala è stata considerata pronta per entrare in
funzione e da gennaio 2003 i controllori hanno cominciato a conoscerla
durante i turni notturni, quando il traffico è molto basso. Proprio per la
scarsità di traffico aereo, però, il numero di controllori necessari di notte è
ridotto rispetto al giorno, e quindi gli operatori hanno avuto poche
occasioni, con frequenze diverse a seconda dei turni, per conoscere la
nuova strumentazione prima della prima svolta decisiva.
L’apertura della nuova sala è avvenuta il 26 marzo; da questa data fino
al 3 maggio è stato istituito il passaggio quotidiano da sala vecchia a nuova
intorno alle quattro del pomeriggio e per tutta la notte, per poi tornare nella
vecchia sala dalle sette di mattina. Questa “doppia vita” è motivata
dall’impossibilità per i controllori, alle prime armi con la nuova tecnologia, di
gestire il normale volume di traffico aereo milanese senza un adeguato
apprendimento delle nuove procedure, nonostante la restrizione del traffico
aereo appositamente prevista nei mesi di aprile e maggio. La normale
circolazione dei voli è ripresa agli inizi di giugno. Forse, un periodo al
simulatore, avrebbe aiutato a far prendere confidenza con le nuove
manualità, rendendo più semplice questa fase di passaggio.
109
Capitolo 5
Innovazione e cambiamento sono due condizioni “routinarie” in un
mondo come quello dell’aviazione: l’evoluzione qui è continua e veloce, il
traffico aereo aumenta a livelli esponenziali e i soggetti coinvolti devono
possedere flessibilità e senso di adattamento. Quella che in questo lavoro è
stata definita come “vecchia” sala controllo esiste dal 1994, e a sua volta ha
vissuto molte fasi innovative: nei suoi nove anni di vita il sistema di
elaborazione dati relativi alla gestione dei voli è stato cambiato per quattro
volte. Questo passaggio di sala ha però un peso maggiore rispetto a quelli
che
lo
hanno
preceduto,
perché
prevede
un
cambiamento
totale
dell’ambiente, dei punti di riferimento, della strumentazione tecnologica,
delle procedure pratiche per svolgere i propri compiti.
Perché si è reso necessario un cambiamento così radicale? Non era
possibile apportare qualche altra modifica al vecchio sistema, che comunque
era
adeguato
a
gestire
il
traffico
e,
soprattutto,
che
i
controllori
conoscevano bene? Quale necessità ha imposto una rivoluzione di questo
peso?
Fondamentalmente la creazione di una nuova sala risponde all’esigenza,
per il sistema, di adeguarsi e di sfruttare le risorse nate con lo sviluppo
tecnologico al fine di migliorare il servizio sotto ogni punto di vista. In
realtà, se la tendenza attuale fosse seguita assiduamente, si dovrebbe
vivere un rinnovamento tecnologico ogni anno. Come già ricordato, per
questioni economiche e amministrative, attualmente il cambiamento è
previsto ogni dieci anni circa.
A Milano si è passati da una procedura d’azione manuale, ad una che
attribuisce alla tecnologia un ruolo dominante. L’obiettivo ultimo è di poter
gestire, in futuro, un traffico maggiore di quello attuale, aumentando le
settorizzazioni e rendendo più specializzato il servizio di ATC. Tutto questo
era impensabile con la strumentazione della vecchia sala, che non aveva
concretamente il supporto idoneo per ospitare la nuova strumentazione
tecnologica necessaria all’innovazione.
La sala nuova non risponde ad un adeguamento obbligato, né è legata
all’imposizione di nuovi standard. Il lavoro di ATC poteva essere proseguito
anche con il supporto della vecchia tecnologia, il cui limite maggiore non era
110
Capitolo 5
tanto tecnologico, quanto economico: dopo dieci anni di attività gli
strumenti
sono
invecchiati
e
la
loro
manutenzione
è
diventata
eccessivamente costosa, se non impossibile. Spesso i pezzi di ricambio non
potevano
più
essere
recuperati
perché
appartenenti
a
un
sistema
tecnologico appositamente studiato per il controllo radar, ormai in disuso e
sorpassato.
La nuova sala non è un’imposizione, ma una necessità. Poiché gli altri
ACC, italiani ed europei, si sono già rinnovati, e poiché il traffico è gestito
secondo criteri di coordinamento e collaborazione, è necessario che tutti i
soggetti coinvolti possiedano gli stessi mezzi, parlino lo stesso linguaggio, al
fine di poter comunicare alla pari ed essere compresi. Come tutte le
innovazioni, anche questa provoca un mutamento nell’insieme di possibilità
organizzative, e rappresenta un processo di apprendimento di nuove
capacità per tutti i soggetti coinvolti. Nei processi di cambiamento, individui,
organizzazioni e istituzioni devono essere capaci di costruire e consolidare
repertori cognitivi e abilità pratiche prima sconosciuti. I nuovi sistemi
informativi sono introdotti allo scopo di aumentare l’efficienza e per
correggere situazioni percepite come disfunzionali: difficoltà negli scambi e
nelle comunicazioni, nella programmazione e nella pianificazione, nel
coordinamento e nel controllo (Ciborra, Lanzara 1999). Questa possibilità di
miglioramento non si sarebbe potuta realizzare nella vecchia sala operativa,
proprio perché non c’era il supporto adeguato per ospitare la nuova
strumentazione tecnologica necessaria all’innovazione.
Nei processi di innovazione, è bene tenere presente che la tecnologia e
gli artefatti tecnologici sono la risultante di un processo di progettazione e
costruzione sociale, un processo che può avvenire o con una forte
discontinuità, oppure senza alcun tipo di attrito. Confrontando tra loro le
due sale operative attraverso SHELL, cercheremo di capire che tipo di
reazione i soggetti hanno avuto di fronte al cambiamento. Le recenti
tecnologie non sono solo portatrici di nuove routine di lavoro, ma attivano
anche nuovi patterns di comportamento e schemi di pensiero.
111
Capitolo 5
5.2 La nuova sala controllo
Le due sale appaiono diverse tra loro al primo impatto.
FIGURA 9: Milano ACC; schema della nuova sala operativa (CSO = capo sala; AEROVIA = settori di
scorrimento – ACC; ARR/DEP = settori arrivi/partenze – APP; FIC = centro informazioni volo; SPV =
postazione supervisori; FMP = ; MILITARY = zona militare )
La vecchia sala era di dimensioni minori; l’ambiente interno era buio a
causa dell’impossibilità di cogliere le informazioni sugli schermi radar se
illuminati dalla luce solare. Le postazioni erano collocate una accanto
all’altra: all’ingresso il settore arrivi/partenze; poco distaccate le postazioni
adibite al sorvolo, poste come a formare una X. I controllori lavoravano a
stretto contatto tra loro: la vicinanza permetteva una diretta e veloce
comunicazione faccia a faccia tra i soggetti. La forma a X dell’area sorvolo
caratterizzava un luogo compatto, il cui centro diventava un punto di
raccordo per tutti; si può immaginare un movimento rotatorio del flusso
comunicativo tra gli addetti ai lavori. Ciò permetteva di avere sempre sotto
controllo l’andamento generale della situazione e facilitava gli scambi
comunicativi, soprattutto in condizioni critiche, quando ogni azione deve
112
Capitolo 5
avvenire con la massima velocità e incontrando il minor numero di ostacoli
possibili.
Nella nuova sala operativa i controllori si relazionano con un’imponente
innovazione tecnologica. La trasformazione ha conseguenze su tutto il
sistema
lavorativo,
sulle
procedure,
sulle
modalità
comunicative,
sull’atmosfera interna all’ambiente. Di fronte ad un fenomeno simile,
l’interesse si concentra sulle turbolenze locali, le discontinuità, i vantaggi e
gli svantaggi, che si manifestano quando il nuovo sistema è introdotto
nell’insieme di attività consolidate del processo.
Gli sviluppi di un’innovazione tecnologica e organizzativa, costituiscono
un’occasione privilegiata per studiare i sistemi d’azione e di significato
operanti nelle organizzazioni e negli ambienti di lavoro. I nuovi artefatti
interagiscono in modo ambiguo, e spesso imprevedibile, sia con gli assetti
strutturali e istituzionali propri di una data organizzazione del lavoro, sia con
i presupposti cognitivi, i significati e gli schemi mentali che gli attori
organizzativi attivano nelle loro pratiche professionali e nelle loro routine
amministrative (Ciborra, Lanzara 1999). Nel caso considerato, l’hardware
comunica in modo nuovo, ed è molto più ricco di informazioni rispetto al
precedente. Alcuni confronti possono dare l’idea: nella vecchia sala, sullo
schermo radar rotondo tutti i voli e i confini dei settori erano di colore
verde, indipendentemente dal fatto che un aereo fosse sotto il controllo
dello specifico settore. Il nuovo schermo, molto più grande e rettangolare,
presenta tutti i voli identificandoli con colori diversi in base al tipo di
contatto che il controllore ha con lo specifico aereo. Le strips colorate, che
portavano le informazioni relative ai passaggi di settore degli aerei, e
costituivano lo strumento di lavoro dei controllori procedurali (CP),
scompaiono per apparire direttamente sullo schermo radar. L’ambiente è
più grande e potrebbe essere totalmente illuminato perché i nuovi schermi,
identici a quelli di un comune computer, sono perfettamente visibili anche
se illuminati dalla luce del sole. A causa di errori di disposizione
dell’ambiente, però, i riflessi del sole sono troppo fastidiosi e quindi
l’illuminazione generale rimane scarsa. La sistemazione delle postazioni è
totalmente diversa, poiché esse sono poste lungo tre file tra loro parallele e
113
Capitolo 5
molto distanziate l’una dall’altra. Ciò comporta una modifica nei flussi
comunicativi tra i controllori, che, non trovandosi più a stretto contatto, si
vedono costretti ad elaborare nuove strategie di mediazione. Se prima due
radaristi potevano coordinare il passaggio di un volo, o comunicarsi dei
cambiamenti improvvisi, faccia a faccia, ora le distanze li portano a
telefonarsi o a scrivere le informazioni direttamente sullo schermo.
La nostra attenzione sarà focalizzata su quella zona grigia, quella fase in
cui un’innovazione è introdotta e deve essere assimilata dai soggetti
interessati. È questo il momento il cui il contesto formativo (cfr. cap. 1)
reagisce ai nuovi stimoli producendo nuovi significati, sperimentando nuove
routine e nuove strategie. L’apparizione di un nuovo artefatto, anche
quando è programmata e attesa, può far violenza alle pratiche e ai
significati culturalmente condivisi e dati per scontati, e può costringere gli
attori ad abbandonare e a modificare le routine abituali, togliendo loro
quell’aura di ovvietà e di necessità naturale che l’uso prolungato ed efficace
tende a conferire.
In
riferimento
al
modello
SHELL
precedentemente
usato
per
la
descrizione della vecchia sala, riproporremo ora la stessa metodologia al
fine di chiarire le novità apportate dal cambiamento.
5.3 Liveware/Hardware
La strumentazione ha subito grosse modifiche: prima di tutto ci sono due
schermi radar, uno per il radarista (CR) e uno per il procedurale (CP). Le
strips cartacee sono diventate elettroniche: emesse secondo l’ordine dato
dal sistema, non sono più gestibili dall’operatore secondo le sue esigenze.
Sono rimasti uguali tastiere, telefono, informazioni meteo e piani di volo.
L’innovazione non è solo quantitativa, ma è cambiato il più profondo
sistema di elaborazione dati. Nella sala nuova il segnale radar arriva dalle
stesse antenne, ma cambia il tipo di rappresentazione dell’informazione:
tutto è scritto nello stesso codice e secondo lo stesso protocollo. Le
informazioni non devono più essere modificate e adattate ai diversi
supporti, lette sullo schermo o ricevute telefonicamente, e poi annotate a
114
Capitolo 5
penna sulla strips di interesse; ora è sufficiente una trasposizione delle
informazioni da una finestra ad un’altra direttamente sullo schermo.
Nella sala vecchia si creava manualmente la compatibilità tra fonti
diverse
d’informazioni;
nella
nuova
le
fonti
sono
state
rese
tecnologicamente compatibili perché si appoggiano sullo stesso registro e
comunicano con il medesimo linguaggio. Ciò permette, ad esempio,
l’elaborazione
automatica
dei
dati
del
piano
di
volo
e
dei
trasferimenti/coordinamenti dei voli tra centri limitrofi e tra settori delle
stesso centro, integrazioni dei dati dei piani di volo con la traccia radar,
sviluppo elettronico delle traiettorie.
5.2.1 Il nuovo schermo radar
Si può affermare senza dubbio che lo schermo radar della nuova sala
operativa
è
la
componente
innovativa
che
più
attrae
l’attenzione
dell’osservatore.
Lo schermo radar della nuova sala ACC. Sulla destra dello schermo sono collocate le nuove strips
elettroniche. Foto: Marco Asprea
115
Capitolo 5
In sintesi esso si presenta più grande, di forma rettangolare e ricco di
colori. Ma andiamo per gradi.
In sala vecchia gli schermi radar funzionavano grazie a tubi catodici
appositamente costruiti. Oggi, però, questi tubi catodici speciali hanno un
prezzo
elevatissimo,
perché
rotondi
e
non
quadrati
come
quelli
comunemente usati per i televisori o i computer, e un’eventuale sostituzione
diventava sempre più costosa. Nella sala nuova lo schermo radar è un
normale televisore, un terminale video con un tubo catodico quadrato e
quindi comune ed economico. Il sistema operativo è quello di un computer:
i dati che arrivano dalla banca dati appaiono sullo schermo radar è possono
essere qui elaborati direttamente dall’operatore. In alcuni casi, la ricezione
delle informazioni è paragonabile al sistema di posta elettronica: un
controllore
scrive
accanto
al
volo
la
modifica
apportata,
contemporaneamente il destinatario la riceve sul suo schermo e decide se
accettarla o meno. In questo contesto innovativo si trova facilitato chi ha
già dimestichezza con la tecnologia del computer (utilizzo del mouse,
gestione delle informazioni sullo schermo…), mentre tutti coloro che
appartengono ad una classe d’età più elevata dimostrano difficoltà di
adattamento.
Un aspetto importante è costituito dalla ricchezza di informazioni fornite
dagli ampi schermi multifunzionali dove si utilizzano colori diversi per
discriminare situazioni diverse. Il criterio generale è quello di attribuire il
colore in base alla posizione occupata nel settore: in verde brillante si
identifica il traffico sotto diretto controllo, in verdone il traffico in arrivo; in
bianco il traffico non di competenza; in rosso i voli che stanno per entrare in
conflitto tra loro e che, quindi, richiedono maggiore attenzione da parte
dell’operatore; in giallo glia aerei di cui non si conoscono le coordinate;
infine, in magenta i voli ai quali il controllore del settore precedente ha
assegnato un livello di volo e che il controllore del settore di arrivo deve
decidere se accettare (facendolo diventare verde brillante cliccandoci sopra)
oppure no, richiedendo un cambiamento telefonicamente. Lo sfondo dello
schermo è grigio e i settori sono delimitati da linee bianche; nella vecchia
sala i voli e la definizione dei settori erano in verde brillante su sfondo nero.
116
Capitolo 5
Altra innovazione degna di nota: passando col mouse accanto ad ogni
volo si mette in evidenza una piccola finestra contenente tutte le
informazioni ad esso relative. Su questi dati il controllore può agire
direttamente: selezionando il settore di appartenenza si apre una nuova
finestra dalla quale egli deve scegliere il nuovo settore di destinazione. Allo
stesso modo quando deve attribuire al volo un nuovo livello lo seleziona
dalla finestra relativa ai livelli. L’interazione tra il controllore e il computer è
diventata totale.
A livello teorico, i vantaggi sono immediati: accesso più ampio e più
rapido alle informazioni, presentazioni radar più omogenee a beneficio dei
controllori di uno stesso settore. Questa ridefinizione del contesto ha creato
non poco disorientamento per i controllori, molti dei quali hanno dichiarato
di essere tentati a dare a tutti i voli il colore bianco ricreando la stessa
situazione di prima. I nuovi riferimenti, che oggettivamente costituiscono un
forte supporto agli operatori, in realtà, nella fase di passaggio, si sono
rivelati problematici in quanto creatori di confusione e di imprecisione. È
molto probabile, però, che non appena il periodo di adattamento si sarà
stabilizzato, queste piccole criticità si attenueranno.
5.2.2 Vantaggi e svantaggi
Il nuovo sistema tecnologico fornisce ai soggetti una quantità molto più
abbondante di informazioni. I colori, i dati e i valori sempre presenti, il
piano di volo in automatico, sono a continua disposizione del controllore,
mentre prima gran parte delle informazioni dovevano essere tenute a mente
o appuntate sulle strips. Se è vero che la notevole massa di dati forniti dal
sistema accresce la conoscenza dell’ambiente operativo da parte del
controllore, è altrettanto vero che si assiste ad una drastica caduta delle
comunicazioni verbali, ma questo lo vedremo più avanti.
I controllori non hanno faticato a riconoscere che più informazioni
forniscono un maggiore supporto; i problemi possono nascere, però, dal
livello di preparazione, ossia da quanto si è stati addestrati a gestire una
117
Capitolo 5
mole
superiore
di
dati
e
a
prendere
dimestichezza
con
strumenti
sconosciuti, mentre si continua a compiere il proprio lavoro. Il rischio è di
ritrovarsi di fronte a nuove distrazioni che limitano l’attenzione e la
concentrazione verso il traffico aereo.
Dover operare con un sistema più ricco comporta prima di tutto prendere
dimestichezza con i nuovi codici, capire come orientare lo sguardo su di un
radar - le cui dimensioni hanno lasciato disorientato più di un operatore. Il
parere più diffuso da parte dei controllori è che il nuovo sistema operativo
richieda molta più manualità; tecnologicamente esso è molto sofisticato e
quindi in grado di supportare eventuali carenze dei soggetti (ad esempio la
segnalazione in rosso di due voli in possibile collisine tra loro, che, un
controllore distratto può non vedere), ma allo stesso tempo al soggetto è
richiesto un costante intervento sul sistema a livello di procedure, e quindi
un livello di attenzione maggiore di prima. Paradossalmente si potrebbe
affermare che per essere funzionante la macchina ha sempre più bisogno
dell’uomo.
Il team di dieci tecnici che ha lavorato sul sistema per renderlo adeguato
alle necessità di Milano, ha anche apportato delle modifiche tecniche per
facilitare la gestione del traffico, o per rendere l’interfaccia più soddisfacente
per gli operatori. Uno degli apporti maggiormente caratteristici è costituito
dalle finestre SFL (Sector Flight List): queste sono delle piccole finestre sullo
schermo, una per ogni punto centrale di traffico, in cui sono riportati tutti i
voli che entreranno e usciranno da quello specifico punto. Le finestre SFL
richiamano il vecchio sistema di strip cartacee in cui i voli venivano suddivisi
in sottoinsiemi in base a questi punti focali, e al cui interno si collocavano
tutti gli aerei che avrebbero transitato, in un senso o nell’altro, per quel
punto specifico. La presenza sullo schermo radar di queste finestre
permette, così come le strip, di prevedere e organizzare il traffico, avendo a
disposizione tutte le informazioni necessarie per progettare la risoluzione
migliore. Altra introduzione di grossa portata è la nuova procedura per il ReRouting: dopo aver comunicato al pilota le nuove coordinate, il radarista
può direttamente selezionare il volo interessato, aprire la specifica finestra e
digitare in questa le nuove coordinate. Nella vecchia sala il CR doveva
118
Capitolo 5
comunicare il cambiamento al procedurale, che a sua volta chiedeva
all’assistente di aggiornare il piano di volo e renderlo operativo. Questa
novità introdotta ad hoc dai tecnici è finalizzata a sveltire le procedure,
soprattutto nei periodi di nebbia o di brutto tempo, quando molti aerei non
hanno l'autorizzazione ad atterrare e sono costretti a cambiare rotta. La
possibilità di intervenire direttamente dovrebbe velocizzare i passaggi;
bisogna considerare, però, che se si ha molto traffico da gestire, un
aumento delle manualità può diventare un’ulteriore fonte di distrazione.
Sarà il tempo a confermare la validità o meno delle modifiche apportate.
5.3 Liveware/Software
Il nuovo apparato tecnologico ha imposto un modo diverso di svolgere
specifiche procedure operative. Il “come” si fanno le cose, i passaggi da
compiere per raggiungere un obiettivo identico al passato, sono stati
rimodellati da nuove regole procedurali specifiche del sistema.
Il lavoro di base del controllore è rimasto, inevitabilmente, lo stesso: le
direttive da dare ai piloti, i parametri da rispettare, i criteri operativi non
possono cambiare poiché dettate da ICAO, unico ente mondiale con il potere
di regolare il sistema del traffico aereo. Nella nuova sala operativa il
soggetto umano ha dovuto imparare ad operare in modo diverso, a
rapportarsi con il sistema secondo regole diverse dal passato.
5.3.1 Nuovi schemi d’azione
Per capire meglio questo passaggio, proviamo a fare qualche esempio:
a) Coordinamenti nel passaggio di un aereo da un settore all’altro.
Di norma nel passaggio di un aereo da un settore ad un altro, sono previsti
dei livelli e delle quote standard che il controllore deve attribuire al volo. Se
questi parametri sono rispettati, allora i responsabili possono anche non
comunicare tra loro, perché ciascuno sa cosa aspettarsi. Se invece le
condizioni di traffico impongono dei livelli diversi, allora il controllore deve
119
Capitolo 5
comunicare al collega i cambiamenti che ha stabilito, e chiedergli se i nuovi
parametri sono accettabili in base al traffico che sta gestendo.
Nella vecchia sala, i coordinamenti si facevano o direttamente a voce
oppure telefonicamente, e, come si può immaginare, erano procedure che
non sottraevano molto tempo e attenzione all’operatore. Il trasferimento tra
due settori avveniva selezionando il volo, e digitando sulla tastiera il
pulsante relativo allo specifico spazio aereo di destinazione. I cambiamenti
apportati erano tenuti in mente dal radarista e appuntati sulle strips dal
procedurale. Nella nuova sala operativa, invece, il sistema prevede che per
tutti i coordinamenti il controllore deve selezionare l’aereo interessato,
aprire la finestra relativa al suo livello di volo e cliccare sulla quota stabilita.
In seguito egli deve aprire la finestra dei settori e selezionare la sigla del
settore di destinazione (facendo attenzione a far scorrere la pagina delle
sigle dello specifico spazio aereo e non la pagina degli spazi aerei). A questo
punto su tutti gli schermi radar, il colore del volo interessato diventa
magenta e riporta indicati quota e settore nuovi. Il controllore che identifica
il suo settore deve decidere cosa fare: se accetta le condizioni poste, clicca
sul volo che diventerà verde brillante, se le rifiuta deve telefonare al collega
per concordare i nuovi parametri. Il rischio è di abbassare il livello di
coordinamento; se la comunicazione diventa unidirezionale, può risultare
particolarmente difficile gestirla in condizioni di alto volume di traffico.
b) Aggiornamenti dei piani di volo.
Quando un aereo inizia il suo viaggio è tenuto a seguire un preciso piano di
volo precedentemente stabilito e approvato. È però molto probabile che tale
piano
cambi
dopo
che
il
volo
è
partito
a
causa
o
di
condizioni
metereologiche, oppure di problemi di traffico. In questi casi il controllore
deve assolutamente rendere note le variazioni apportate affinché tutti
sappiano che quel volo non seguirà le procedure prestabilite. Questo è un
compito che spetta sempre al controllore procedurale (CP). Nella vecchia
sala il CP scriveva a penna sulle strips i cambiamenti apportati o dal suo
radarista o comunicati dai settori limitrofi. In questo modo ogni modifica era
chiara e direttamente a disposizione dei colleghi, nelle fasi di cambio turno o
120
Capitolo 5
di sostituzione momentanea. Tutti erano sempre al corrente della situazione
momentanea.
Nella nuova sala il computer identifica i voli sulla base del piano di volo
di riferimento. Nel momento in cui il piano di volo subisce alcune modifiche,
è compito del CP trasmettere i cambiamenti al sistema digitando le
informazioni nelle apposite finestre, così che non vengano perse le tracce
del volo. Se però il CP non comunica l’aggiornamento al computer, allora a
un certo punto il sistema perde i riferimenti del volo, non lo identifica più e
la scritta sul radar assume il colore giallo, ovvero volo non identificato, di
cui non si conoscono i parametri. Contemporaneamente sullo schermo la
strip del volo è barrata da una diagonale rossa in segno di allarme e il
radarista può ritrovarsi nell’impossibilità di controllare il volo di cui nessuno
conosce più il piano. Per riprenderne il controllo, bisogna andare a ricercarlo
tra le informazioni tenute in memoria nelle diverse finestre a disposizione
presenti sullo schermo. Questa è, evidentemente, una situazione ad alto
rischio, potremmo definirlo un “errore attivo” capace di innescare la precisa
coincidenza di errori latenti in grado di bucare le difese in profondità del
sistema, e creare la finestra di opportunità che conduce all’incidente
(Reason 1990). Un aereo che segue una traiettoria diversa da quella
prevista e non aggiornata può diventare un pericolo perché non è più
gestibile dagli operatori. A causa della ridondanza di informazioni fornite dal
nuovo sistema – coordinate del piano di volo, nominativi, livelli, settori,
appaiono direttamente sullo schermo, la tendenza è quella di attribuire ad
esso eccessiva fiducia
5.3.2 Un sistema più rigido a garanzia del rispetto delle regole
Nella vecchia sala, la consapevolezza della limitatezza del sistema
portava l’uomo ad essere più previdente, a segnare ogni informazione,
conscio dell’importanza del proprio intervento: i controllori sapevano di
dover comunicare e aggiornare ogni passaggio, per colmare i limiti
tecnologici.
121
Capitolo 5
Oggi il nuovo sistema è ricco di informazioni, fornisce tutti i dati relativi
ai voli, e questo dà un senso di sicurezza agli operatori che tendono ad
attribuire meno importanza al proprio intervento e troppa fiducia alla
tecnologia. Il vecchio sistema portava il controllore ad essere più prudente,
quello innovativo è più ricco, ma più opaco, tanto da richiedere passaggi
aggiuntivi e un maggior numero di procedure da seguire per raggiungere gli
stessi scopi. Molti controllori definiscono il nuovo sistema più rigido, nel
senso che per portare a termine un’azione
bisogna spezzettare le
procedure, incastrate tra loro a catena: saltare un passaggio diventa
problematico, perché comporta bloccare l’intera procedura, creando effetti a
cascata sul sistema.
Questi esempi fanno capire come la nuova strumentazione abbia
aumentato le manualità del controllore nel gestire il traffico. Il sistema
funziona se ciascuno rispetta tassativamente tutti i passaggi previsti: è più
rigido e più impegnativo per il soggetto che, soprattutto in una fase iniziale
di apprendimento, si trova impegnato nello svolgimento di pratiche
operative che lo possono facilmente distrarre dal traffico reale. Semplici
dimenticanze, sovraccarico di lavoro e stanchezza possono far sì che non si
riesca a seguire la giusta sequenza operativa e che si sviluppi a cascata una
scorretta progressione della situazione.
Il nuovo sistema dà molto, ma al contempo richiede dal controllore più
attenzione, precisione, memoria. Il problema fondamentale è che il soggetto
deve usare questi stessi strumenti anche nella gestione del traffico, e quindi
deve trovare il giusto equilibrio nella distribuzione delle risorse. Il nuovo
apparato tecnologico, in sé, è oggettivamente più affidabile, ma richiede al
soggetto un maggior rispetto delle regole, dei passaggi pratici necessari al
compimento del lavoro. In sala molti controllori hanno apprezzato i vantaggi
e il supporto dell’innovazione; il problema è che, paradossalmente, molti
affermano che per gestire il traffico di Milano sarebbe più adeguata una
tecnologia meno complessa, più arretrata e che permetta di utilizzare regole
operative più immediate e più flessibili per non sottrarre tempo e attenzione
al lavoro.
122
Capitolo 5
L’eccessiva ricchezza del sistema porta i controllori a dargli troppa fiducia
rischiando di dimenticarne la rigidità. Tale rigidezza potrebbe essere
interpretata come un modo per assicurare che il controllore si attenga alle
procedure previste dalla normativa; una difesa del sistema introdotta in
profondità nelle barriere organizzative per contrastare gli errori umani. In
realtà, come ha sostenuto Reason (1990, 1997), le specificità delle
situazioni spesso comportano degli strappi alle regole, degli adattamenti,
che permettono di facilitare la risoluzione del problema. La flessibilità della
sala vecchia rendeva questo atteggiamento più semplice, e i controllori
avevano imparato a farvi affidamento. La maggiore rigidità del sistema
nuovo comporta una standardizzazione delle procedure e quindi un
maggiore adeguamento alle regole previste dal codice. Il prezzo da pagare
potrebbe essere, però, una maggiore lentezza delle azioni e una meno
efficace risoluzione delle criticità, che spesso necessitano di scorciatoie e
strategie ad hoc. La maggiore manualità rallenta le mansioni.
5.4 Liveware/Liveware
L’adozione di una nuova tecnologia ha effetti ad ampio raggio: comporta
una modifica sostanziale nelle procedure e nelle regole di lavoro, introduce
in un ambiente totalmente diverso, cambia le interazioni tra i soggetti
coinvolti. Quest’ultima sfera tocca molteplici ambiti: si pensi alle relazioni
tra i singoli, tra i gruppi, tra soggetti a distanza, tra i membri che ricoprono
gradini diversi di una gerarchia operativa.
Con il passaggio nella nuova sala controllo molti aspetti tipici della
comunità di pratiche dei controllori non sono cambiati, anche perché non
possono cambiare: il rispetto della stratificazione dei ruoli, i rapporti con i
centri limitrofi con i quali si interagisce per gestire il traffico, le interazioni e
gli scambi comunicativi tra controllori e piloti, devono essere portati avanti
rispettando gli stessi criteri di sempre. Queste sfere mantengono il giusto
livello di collaborazione, la costanza e il rispetto procedurale imposto dalle
normative e dalle regole di base.
123
Capitolo 5
Osservando il processo di cambiamento è stato possibile cogliere
elementi di trasformazione proprio in quei contesti dove non esistono
regolamenti rigidi da rispettare, in particolare nelle relazioni tra i singoli
soggetti.
5.4.1 L’innovazione fa nascere una nuova figura professionale
Il primo e più importante mutamento è stato imposto dalla nuova
tecnologia
operativa:
la
sostituzione
delle
strip
cartacee
con
strip
informatiche e l’adozione di un secondo schermo radar in ciascuna
postazione, ha rivoluzionato la figura non tanto del radarista (che continua a
svolgere fondamentalmente le stesse mansioni in modo simile), quanto
quella del controllore procedurale.
CR e CP al lavoro nella nuova sala controllo. Foto: Marco Asprea
Prima (cfr. cap. 4.3.1) il CP lavorava con le strisce di carta attraverso cui
riconfigurava la situazione del traffico momentanea, disponendo le strips di
ogni volo nel sottogruppo appartenente allo specifico punto nodale del
124
Capitolo 5
settore di entrata e di uscita. Il suo compito era di aggiornare a penna i
piani di volo, annotare eventuali modifiche, supportare il radarista nelle
decisioni da prendere; il tutto senza intervenire mai sul radar, anche perché
l’abilitazione per questa figura professionale non ne prevede la conoscenza.
Nella pratica, però, è vero che il CP impara a conoscere lo schermo radar,
ne sa codificare e interpretare le informazioni, nel corso di quel processo di
formazione on job training che caratterizza questo lavoro.
Uno degli aspetti che la tecnologia della nuova sala operativa ha
rivoluzionato è proprio la sfera di competenze del CP; non è eccessivo
affermare che questa figura operativa ha cambiato totalmente il proprio
lavoro. Prima di tutto ha un nuovo strumento: le strip non sono più in carta
ma informatiche, appaiono direttamente sullo schermo - secondo un ordine
fornito dal sistema e non modificabile, non sono più aggiornabili - perché
l’aggiornamento dei voli va fatto direttamente a computer sulla casella di
informazioni relativa al volo. Inoltre, il CP ora ha un suo schermo radar, che
prima non aveva. Questi due grossi cambiamenti hanno lasciato piuttosto
disorientati i procedurali, che hanno avuto poco più di un mese di tempo per
imparare una nuova professione. Si ritiene che non sia un’esagerazione
parlare di nuova professione, proprio perché il soggetto ha dovuto adattarsi
ad un nuovo sistema di riferimento, a nuove procedure, ad una tecnologia
che nessun corso di abilitazione o di addestramento gli ha mai presentato
prima (torna qui l’idea che forse l’utilizzo di un simulatore sarebbe stato
utile almeno per i CP che, in assenza di traffico reale, avrebbero potuto
prendere
dimestichezza
con
la
nuova
manualità).
Tutto
ciò
che
il
procedurale conosce per poter interpretare il radar è frutto della sua
personale esperienza passata. È vero che il progetto prevede che nella
nuova sala operativa tutti gli operatori debbano essere abilitati radaristi, ma
è pur vero che al momento del cambiamento, essi non lo sono.
Nell’introdurre la nuova strumentazione tecnologica è stato richiesto un
grande sforzo ai controllori, nella consapevolezza di poter contare sulla
flessibilità tipica di questa figura professionale, alla sua capacità di
adeguarsi, di apprendere velocemente, di saper reagire rapidamente agli
stimoli, caratteristiche indispensabili per gestire il traffico aereo. Ma non
125
Capitolo 5
bisogna dimenticare che compito fondamentale di questi operatori è usare
le loro qualità per controllare e gestire il traffico perseguendo sicurezza,
ordine e speditezza, e non per sopperire a carenze progettuali. Se
contemporaneamente allo stress, alla concentrazione, all’elevato livello di
attenzione richiesto si aggiunge anche lo sforzo adeguarsi ad una nuova
tecnologia che inevitabilmente sottrae attenzione, si rischia di mettere a
rischio la sicurezza di tutti. Dare a tutti l’abilitazione a radarista prima di
cambiare sala, ad esempio, avrebbe reso più semplice l’apprendimento del
nuovo sistema da parte del procedurale.
5.4.2 L’impatto del cambiamento sulle relazioni tra controllori
Nella fase di adattamento, a causa delle importanti novità nelle mansioni
del procedurale, la relazione tra CP e CR è diventata più fragile. Come
esposto in precedenza (cfr. cap. 4.3.1) i due lavorano a strettissimo
contatto, si affidano l’uno all’altro, devono sapere di poter sempre contare
reciprocamente sulla prontezza e sulla capacità di dominio della situazione.
Nel periodo di passaggio, purtroppo, quest’affiatamento è stato messo più
volte in crisi dal senso di disorientamento comune generato dalla novità, ma
soprattutto dall’inevitabile mancato senso di controllo del sistema da parte
del procedurale.
Non è poi da sottovalutare la difficoltà che i soggetti più anziani hanno
fatto nell’imparare le nuove procedure, nel prendere dimestichezza con il
sistema informatico. Alle difficoltà di apprendimento, si aggiunge in questo
caso, la naturale lentezza di riflessi, la poca dinamicità con gli strumenti
computerizzati e la difficoltà di apprendimento davanti a novità così
numerose.
Se il radarista è di per sé in tensione per dover gestire correttamente il
traffico e per doversi confrontare con un nuovo sistema tecnologico, è facile
capire come percepire l’agitazione del proprio assistente non può fare altro
che aumentare questo senso di precarietà. In tutte queste valutazioni
bisogna tener presente che il traffico aereo non si può fermare perché
controllore e procedurale sono in tensione per la consapevolezza di essere
126
Capitolo 5
distratti dal sistema: il lavoro va fatto con continuità e nel perseguimento
costante della sicurezza di tutti. Si ritiene che questa sia stata la fase in cui
l’interazione nel team operativo sia
stata più
messa alla prova e
condizionata dal processo innovativo.
Ci sono poi altri cambiamenti da non sottovalutare: le maggiori
dimensioni della sala operativa, le distanze più ampie tra le postazioni,
hanno modificato le tipologie di interazione tra i soggetti. La struttura della
vecchia sala, caratterizzata da postazioni adiacenti l’una all’altra, uno spazio
ristretto, una disposizione delle consolle che creava movimento e facilitava
la circolarità delle informazioni, portava spontaneamente ad un processo
interattivo e comunicativo diretto e costante tra i soggetti. Tutti i passaggi, i
coordinamenti, gli scambi di informazione avvenivano secondo procedure
immediate, comunicazioni faccia a faccia, e un uso estremamente relativo
del telefono perché non necessario. Ora, le distanze tra le postazioni
delimitano con maggiore chiarezza quali sono i team di operativi e quali i
confini del proprio posto di lavoro. Se prima tutti erano affiancati, ora la
divisione in squadre appare molto più chiara anche fisicamente. Ne segue
che le maggiori distanze possono ostacolare, almeno inizialmente, un flusso
comunicativo diretto e continuo: i controllori di settori tra loro adiacenti
sono costretti a telefonarsi e contemporaneamente a guardarsi in faccia, per
arricchire la comunicazione con la gestualità e la mimica. Questa è una
scelta obbligata: se così non fosse il volume della voce dovrebbe essere
molto più alto creando un ambiente lavorativo confusionario e in vivibile.
Altro aspetto importante che deriva dal nuovo sistema tecnico è
l’introduzione
della
comunicazione
mediata
tra
gli
operatori.
Come
precedentemente illustrato, nella vecchia sala per far passare un volo da un
settore ad un altro bastavano pochi gesti accompagnati dalla comunicazione
diretta tra i due controllori coinvolti. Ora il passaggio va comunicato al
sistema: l’aereo diventa color magenta e il controllore ricevente può o
accettare il volo selezionandolo e facendolo diventare verde brillante,
oppure, se non può gestirlo, deve obbligatoriamente telefonare al collega e
concordare la soluzione. Ciò fa sì che tutti siano al corrente della situazione,
proprio perché tutti vedono sul proprio schermo il volo nei rispettivi colori.
127
Capitolo 5
La comunicazione è costantemente estesa e mediata, e la strumentazione
diventa canale obbligato di passaggio delle informazioni. Le abitudini
assodate nella vecchia sala, i codici usati, la gestualità e gli sguardi associati
a significati precisi e diffusi, sono state in gran parte abbandonate.
Tra i controllori assume un peso più consistente la tecnologia che in più
occasioni
diventa
il
solo
canale
comunicativo
possibile.
La
rigida
automazione obbliga il controllore ad una interazione costante con la
macchina, lo vincola a compiere tutti i passaggi richiesti e previsti per avere
una corretta gestione del traffico aereo. È come se al soggetto fosse lasciata
una libertà di iniziativa minore rispetto al vecchio sistema, e gli venisse
richiesto un rispetto maggiore delle procedure previste. L’imposizione delle
regole
procedurali
ha
portato
ad
una
drastica
diminuzione
delle
comunicazioni tra i soggetti.
5.5 Liveware/Environment
Il controllore nella nuova sala operativa si è dovuto abituare ad un
ambiente del tutto diverso rispetto a prima. La portata del cambiamento
sarebbe apparsa evidente agli occhi di un qualunque osservatore. Proviamo
ad affrontare questa parte facendo riferimento alle linee usate per
analizzare la vecchia sala e consapevoli dei limiti posti da questa
componente del sistema.
- Dimensione politico/economica.
Se l’ambiente di Milano ACC ha in sé delle carenze croniche di personale e
degli attriti sindacali e organizzativi, non è difficile comprendere che questo
cambiamento ha accentuato alcuni malcontenti generali. Dalle risposte degli
operatori è sembrato di capire che questi avrebbero voluto essere
maggiormente coinvolti e partecipi della progettazione del sistema, così
come avrebbero desiderato che più richieste, di quelle fatte presente a
cambiamento avvenuto, fossero accolte dalla direzione. Riteniamo però che
sia preferibile non addentarsi troppo in queste problematiche poiché, in
quanto esterni al sistema, non sarebbe possibile indagarle in modo
esaustivo.
128
Capitolo 5
- Disposizione dell’ambiente.
La nuova sala ACC di Milano. Foto: Marco Asprea
Una delle innovazioni di maggiore portata previste era l’illuminazione totale
dell’ambiente, poiché i nuovi schermi radar sono comuni computer ben
visibili alla luce del sole. Questo aspetto sarebbe stato di grande importanza
perché avrebbe annullato quel senso di isolamento spazio-temporale
presente nella vecchia sala operativa. Purtroppo però, una evidentemente
inadeguata progettazione ha fatto sì che la disposizione delle postazioni non
permetta un’illuminazione normale perché i raggi del sole riflettono
direttamente sugli schermi: le postazioni, infatti, sono da entrambi i lati
parallele alle finestre e quindi sia da una parte che dall’altra gli schermi
vengono colpiti dalla luce del sole. In sostanza, la sala è rimasta al buio,
anche se in misura minore di prima.
La nuova sala operativa occupa uno spazio molto più ampio rispetto a
quella vecchia. In questo spazio c’è una maggiore distanza sia tra le
consolle operative, sia le singole postazioni di una stessa consolle. Ogni
settore è ben distinto da quelli ad esso adiacenti, ha più spazio a
129
Capitolo 5
disposizione, il suo campo d’azione è maggiormente circoscritto e più
facilmente individuabile. Se nella vecchia sala gli schermi radar delle
postazioni erano attaccati l’uno all’altro, ora ogni team operativo ha un suo
spazio e quindi simbolicamente è come se avesse un ruolo più definito, più
delimitato. Come precedentemente affermato, questa maggiore distanza
operativa, allontana fisicamente i soggetti tra loro obbligandoli o a maggiori
spostamenti per comunicare, oppure a interagire in modo più mediato per
poter comunicare efficacemente.
5.6 Riepilogo
L’apertura della nuova sala operativa di Milano ACC ha completato un
processo innovativo tecnologico: ora i quattro ACC italiani hanno un unico
mezzo di comunicazione e uno stesso linguaggio di scambio. Quello di
Milano è stato un processo lungo, di adozione, studio, sperimentazione,
adattamento e cambiamento del sistema all’ambiente. La grandezza del
mutamento e le peculiarità del traffico controllato da questo ente hanno
influito sull’adozione del nuovo sistema, creando qualche problema. I tecnici
che per due anni hanno lavorato per adattare il sistema alle esigenze
milanesi sono riusciti ad apportare notevoli e importanti modifiche, ma
molto è ancora da fare. Per ciò che non sarà possibile realizzare, sarà
richiesto ai controllori di adeguarsi e di essere flessibili.
Nella nuova sala è cambiato tutto a livello tecnologico, per la prima volta
dopo circa dieci anni, e tale innovazione ha portato con sé nuove procedure
operative, nuovi modi di interagire, ha imposto diversi criteri comunicativi e
di scambio di informazioni. Una strumentazione sconosciuta richiede che i
soggetti impieghino del tempo per comprenderla e per imparare quali sono i
suoi punti di riferimento.
I controllori hanno più volte ammesso di avere una natura conservatrice,
di essere restii al cambiamento: tutto deve essere finalizzato a gestire il
traffico, il resto deve diventare un insieme di azioni naturali e spontanee, un
insieme di punti di riferimento immediati e tali da non richiedere sforzo al
soggetto. È certo che un atteggiamento di attrito verso il cambiamento non
130
Capitolo 5
crea le condizioni favorevoli alla sua introduzione, anzi aumenta il livello di
tensione naturale nelle rivoluzioni di questa portata. Si ritiene che tutta la
progettazione avrebbe dovuto dare un peso maggiore ai fattori umani. Per
conseguire un risultato ottimale sarebbe necessario comprendere i bisogni,
le carenze, i limiti umani e su queste basi decidere come introdurre
l’innovazione. Ciò a maggior ragione se si tiene conto dell’ambito di
riferimento: il Controllo del Traffico Aereo è una professione molto delicata e
impegnativa a livello soggettivo, e non si dovrebbe lasciare al singolo anche
il compito di impegnare altre energie e risorse per apprendere una nuova
tecnologia. D’altra parte, è necessario tenere in considerazione i limiti
organizzativi; spesso è complicato cercare di coinvolgere tutti, ascoltarne le
esigenze e proporle ai vertici decisionali; perché ogni soggetto esporrà quei
bisogni che gli sembrano i migliori, ma che, non si sa come, non coincidono
mai con quelli degli altri.
131
Capitolo 6
6. La risposta dei soggetti coinvolti nel
cambiamento
In questo capitolo ci proponiamo di comprendere e approfondire le
diverse reazioni manifestate dai controllori di Milano ACC in risposta al
processo di innovazione. I soggetti saranno considerati sia in quanto singoli,
sia come teams operativi. La nostra attenzione, quindi, si concentra sul
nucleo del modello SHELL, la componente Liveware.
Per meglio inquadrare le diverse risposte osservate, si è scelto di
suddividere l’analisi sulla base delle tre fondamentali fasi di passaggio:
•
Da
ottobre
2002
alla
fine
di
marzo
2003:
è
il
periodo
dell’osservazione in vecchia sala controllo, in cui si è cercato di
cogliere le dinamiche di interazione tra i soggetti, le routine
quotidiane, e soprattutto le attese e le sensazioni riguardanti
l’innovazione in arrivo.
•
Aprile 2003: è il mese di passaggio continuo tra sala vecchia e nuova.
Il nostro obiettivo qui è stato di concentrare l’attenzione proprio sullo
spostamento,
sulle
reazioni
dei
controllori
di
fronte
ad
una
strumentazione ancora poco conosciuta e sull’adattamento ad un
ambiente più grande e più luminoso.
•
Da maggio a luglio del 2003: il passaggio è definitivo.
Da questa
data la vecchia sala controllo non è più operativa (tranne un supporto
di tecnico di fondo, per un breve periodo) e il cambiamento è una
realtà.
Nella fase di progettazione di un nuovo sistema operativo, è di
fondamentale importanza da una parte porre in primo piano la componente
umana; dall’altra permettere che i soggetti interessati dall’innovazione
partecipino attivamente alla introduzione della nuova tecnologia, così che se
ne approprino in modo graduale e non traumatico.
132
Capitolo 6
6.1 Ottobre 2002 / marzo 2003: aspettando l’innovazione
I colloqui intrattenuti con i controllori nei mesi tra ottobre 2002 e marzo
2003 sono stati tesi a comprendere che tipo di rapporto i soggetti avessero
con l’ambiente di lavoro, e che idea si fossero fatti del cambiamento in
previsione. L’idea generale, poi confermata nel tempo, è che tutti, anche i
controllori più giovani, hanno molta confidenza con il sistema. Nella vecchia
sala i tre operatori di ciascun team operativo (CA, CP, CR) dimostrano una
grande dimestichezza nel gestire e nell’applicare le procedure, svolgono le
specifiche mansioni con naturalezza. Tutti possiedono uno schema mentale
preciso modellato sulle base delle caratteristiche tecnologiche. Questi
aspetti emergono soprattutto nel momento in cui i controllori vengono
interpellati sulle aspettative per la nuova sala. A questo proposito la
maggior parte dei soggetti intervistati, tranne qualche rara eccezione, si
dimostra scettica, poco convinta dei vantaggi offerti dall’innovazione,
intimorita dal cambiamento al quale non si sente preparata. Effettivamente
prima del passaggio parziale (avvenuto nel mese di aprile), solo alcuni
controllori hanno potuto operare nella nuova sala operativa, e solo nei turni
notturni, quando il traffico aereo tocca i suoi livelli più bassi.
Il timore, la preoccupazione e il senso d’incertezza sono alti. Come
precedentemente esposto, non è stata prevista una fase strettamente
dedicata all’addestramento, ragion per cui i soggetti hanno un’idea
approssimata di ciò che li aspetta. In questo scenario gioca un ruolo molto
forte la “natura” stessa dei controllori, i quali sanno e affermano in prima
persona di essere conservatori: poiché il loro lavoro richiede che tutta la
concentrazione e l’attenzione di cui dispongono sia diretta sul controllo del
traffico, vogliono che tutto il resto sia quanto più naturale possibile. Il
sistema operativo con cui interagiscono plasma la loro visione del mondo: la
sala operativa e il sistema tecnologico diventano elementi di un habitat
completo, in cui il controllore agisce e pensa attivando comportamenti per la
maggior parte skill o rule based (Reason 1990; cfr. cap. 1). Solo per
fronteggiare pericoli esterni o eventi critici inaspettati è necessario mettere
133
Capitolo 6
in atto strategie per una nuova pianificazione e una prestazione diversa
dalla norma.
Nella vecchia sala la nostra osservazione ci ha permesso di rilevare come
il singolo operatore si muove e interagisce con la tecnologia a disposizione
in modo naturale, spontaneo, meccanico. In sala controllo gioca un ruolo
fondamentale l’abitudine: i controllori sono “assuefatti” dalle proprie
mansioni, conoscono l’ambiente che li circonda in ogni particolare, hanno
punti di riferimento condivisi e consolidati. La forte e assodata conoscenza
del sistema, e il senso di sicurezza che ne deriva, fanno capire come sia
l’idea di dover modificare tutto l’apparato tecnologico, sia il doversi
trasferire in un ambiente di lavoro nuovo, sono aspetti capaci di suscitare
una certa preoccupazione. Molti controllori hanno dimostrato una certa
inquietudine per il cambiamento, da una parte perché lo ritengono di
portata
troppo
grande,
e
dall’altra
perché
considerano
la
fase
di
addestramento un po’ limitata. Il timore generale è che l’adattamento possa
rivelarsi più lento del previsto sottraendo attenzione e tempo alle attività.
Una delle opinioni più comuni riguarda la mancanza di un adeguato
training all’innovazione. La consapevolezza di passare in una sala capace di
offrire vantaggi oggettivi (maggiore illuminazione, tecnologia più avanzata)
non dà sufficiente sollievo; permane un senso di resistenza generale
motivato soprattutto dalle troppe fonti di distrazioni presenti nel nuovo
supporto tecnologico, una su tutte la diversità dei colori con cui le
informazioni appaiono sullo schermo al posto del monocolore (verde)
dell’attuale schermo radar.
Ciò su cui i controllori concordano, e da noi condiviso, è l’idea secondo
cui la fase di cambiamento dovrebbe essere graduale, preceduta da un
adeguato addestramento, affiancata da una consistente riduzione del
traffico per ridurre il carico di lavoro, ammorbidire il passaggio e facilitare
l’adattamento, per chiudere con la transizione definitiva solo nel momento
in cui ci si è abituati al nuovo. Tra tutte queste necessità è stata prevista la
riduzione del traffico, ma, purtroppo, il periodo di inizio attività nella sala
nuova è coinciso con la Pasqua e le prime vacanze estive: l’aumento del
volume di traffico è inevitabile. A questo proposito è necessario tener
134
Capitolo 6
presente che in una struttura organizzativa complessa come Enav, e in un
mondo così articolato quale il traffico aereo, risulta davvero difficile poter
soddisfare tutte le esigenze e rispondere a tutte le necessità del caso.
Troppi sono i soggetti coinvolti, e troppe le priorità che si impongono.
L’ostilità dimostrata da una parte dei controllori nei confronti del previsto
cambiamento è spiegabile come la reazione che la maggioranza delle
persone manifestano nel momento in cui ci si vede costretti ad adeguarsi e
ad imparare qualcosa di nuovo. Ogni fase di passaggio, di transizione,
comporta uno sforzo individuale non indifferente: il singolo è chiamato a
rimettersi in gioco, a prendere coscienza di quali sono le abitudini su cui ha
costruito la sua professione e cercare, nel minor tempo possibile, di
metterle un po’ da parte per dare spazio a nuove conoscenze. In sintesi
deve smuovere alle fondamenta il suo contesto formativo (Ciborra, Lanzara
1999; cfr. cap. 1) per arricchirlo con le novità apportate dal cambiamento. È
vero che questi passaggi possono avvenire in condizioni diverse - come
avviene per una scelta professionale o un avanzamento di carriera - ed è
altrettanto vero che ci sono persone per cui ogni tipo di cambiamento è
stimolante e lo affrontano con entusiasmo.
Il problema che è nostra
intenzione sottolineare è che lo sforzo si fa ancor più duro quando la scelta
è negata: il soggetto chiamato a vivere un cambiamento senza averlo
chiesto, o senza aver partecipato in profondità alle sue fasi preparatorie,
può trovarsi facilmente in difficoltà. Bisogna poi tenere in considerazione la
perdita di gran parte dei punti di riferimento fisici e ambientali di supporto
alle attività quotidiane.
È da tener presente, però, che a Milano ACC c’è stato un ristretto gruppo
di controllori che si è dimostrato poco angosciato e ancor meno preoccupato
dal cambiamento, meno teso all’idea di dover reimpostare tutti i propri
parametri di riferimento. Secondo questi soggetti, le eventuali difficoltà
relative il nuovo sistema operativo diminuiscono nel momento in cui si
raggiunge la consapevolezza che la base del controllo del traffico non
cambia. Anche se si usa una diversa tecnologia, l’obiettivo del controllore
rimane quello di separare gli aerei in modo che siano distanti tra loro
almeno di un raggio di cinque miglia, e che rispettino il livello d’altitudine
135
Capitolo 6
imposto nel settore che stanno attraversando. Quest’atteggiamento più
positivo si accompagna ad una maggiore curiosità verso il nuovo, un
interesse a rinnovare il proprio ambiente lavorativo, una più positiva
tendenza a cambiare. Non a caso in questo stesso gruppo, è meno sentita la
necessità di addestrarsi attraverso un simulatore: la tesi dominante è che si
impara veramente solo se si gestisce il traffico reale, quando si è spinti da
quella adrenalina, quell’attenzione che costituiscono i requisiti fondamentali
per appropriarsi fino in fondo della nuova tecnologia.
Dal nostro punto di vista, se è pur vero che questo atteggiamento facilita
il processo di cambiamento rendendolo meno traumatico, è altrettanto vero
che si rischia di fare affidamento solo sulle proprie capacità, sulla flessibilità
e sul senso di adattamento personali, mettendo però a rischio la qualità e la
sicurezza delle prestazioni. Una corretta progettazione e introduzione di un
sistema operativo dovrebbe invece essere modellata sulla base delle
caratteristiche dell’ambiente e dei soggetti coinvolti. In questo modo i
controllori, anche solo una parte di essi, non avrebbero vissuto mesi di
apprensione e preoccupazione motivate dalla non conoscenza di ciò che li
aspettava, e sarebbero stati di misura decisamente minore i conflitti
sindacali che, anche in questa vicenda, hanno contribuito ad aumentare i
livelli di agitazione e di tensione interni all’ambiente di lavoro.
6.2 Aprile 2003: la fase di adattamento
Il mese di aprile ha rappresentato probabilmente la fase più difficile per i
controllori di Milano ACC: questo è lo stadio intermedio del cambiamento.
Dalla fine di maggio agli inizi di giugno, ogni giorno alle 16:30 circa i
controllori si sono spostati dalla sala vecchia a quella nuova, dove
rimanevano fino alle 7:00 di mattina, per tornare poi nella vecchia sala. Lo
scopo di questa alternanza è stato quello di abituare gli operatori al nuovo
sistema in modo graduale, ritenendo che il ritorno nel vecchio ambiente
avrebbe costituito una sorta di sollievo, una necessaria distensione dopo
l’intenso momento di apprendimento. L’osservazione delle reazioni dei
controllori e la partecipazione alle loro attività, ci fa credere, invece, che
136
Capitolo 6
questa fase sia stata più dannosa che vantaggiosa, soprattutto a livello
umano. Entrano qui in gioco le caratteristiche specificatamente soggettive
degli operatori, quali tensione, ansia, preoccupazione, e in particolare senso
di precarietà accentuato dalla consapevolezza del conforto nel ritorno
all’ambiente familiare.
L’esperienza accumulata nei mesi precedenti ci ha permesso di cogliere
come, all’avvicinarsi del momento di transazione, diminuisce la tranquillità
dei soggetti e nell’atmosfera diventa sempre più palpabile la tensione e
agitazione di fondo.
Quando i controllori prendono posto nella nuova sala, si vive una fase di
circa dieci minuti in cui la struttura operativa deve essere resa funzionante,
in particolare nelle frequenze radio. Mentre nella nuova sala gli operatori
prendono confidenza col sistema, nella vecchia rimangono degli operatori a
gestire il traffico, assicurando così il controllo costante. Solo nel momento in
cui tutto è stato adeguatamente attivato, la gestione del traffico passa
esclusivamente al nuovo sistema.
Se si tiene conto della conoscenza limitata della strumentazione da parte
dei soggetti, si capisce come il livello di tensione in questa fase tende
facilmente ad alzarsi. Il momento del passaggio presenta alcune criticità da
segnalare: il cambio repentino di schema mentale, l’utilizzo di strumenti
diversi, la relazione con un’interfaccia fortemente innovativa, la decodifica
dei colori sullo schermo, una diversa interazione con l’ambiente e i colleghi.
Il passaggio un po’ brusco, porta con sé un insieme di distrazioni a cui è
difficile sottrarsi e a cui i soggetti rispondono in maniera molto diversa l’uno
dall’altro. Doversi abituare all’uso di un diverso apparato tecnologico porta a
dover affrontare e comprendere nuovi punti di riferimento, nuove direzioni
dello sguardo, che possono sottrarre attenzione alle mansioni da compiere.
Serve tempo per capire cosa e quanto il sistema può offrire e che tipo di
risposte è in grado di dare, a sua volta, il controllore. È sempre doveroso
ricordare che contemporaneamente gli operatori devono continuare a
gestire il traffico reale assicurando la sicurezza nei cieli.
Aspetto di particolare rilevanza è la relazione tra controllore radarista e
procedurale: non sono stati pochi i momenti in cui la scarsa conoscenza del
137
Capitolo 6
sistema e delle nuove prassi ha intaccato la qualità della loro collaborazione
creando anche attriti e nervosismo, e amplificando il senso di smarrimento.
Tutto ciò si accentua se si pensa ai controllori “anziani” e con scarsa
dimestichezza
nel
mondo
dell’informatica.
La
maggiore
lentezza
nell’apprendimento, la minore dinamicità nelle azioni, sono aspetti che
hanno pesato molto sulle prestazioni dei controllori con più esperienza. In
generale, comunque, va tenuto presente che i controllori hanno “per
natura” una spiccata dinamicità e una grande capacità di risolvere situazioni
critiche
in
pochissimo
tempo;
queste
peculiarità
sono
risultate
particolarmente utili in un cambiamento così radicale. Bisogna poi tenere
presente che nonostante le difficoltà e la massa di nuove informazioni da
comprendere e gestire, fondamentalmente non si sono verificati problemi di
particolare rilevanza con i voli interessati: i controllori hanno saputo
distribuire le competenze di cui sono in possesso sia al traffico in gestione,
sia all’apprendimento del sistema tecnologico.
Anche in questo caso c’è stato un gruppo di controllori che ha fatto meno
fatica;
in
particolare
i
soggetti
più
giovani,
abituati
ad
affrontare
cambiamenti di natura e portata diversa, con più dimestichezza e in
possesso di maggiori competenze informatiche.
I controllori hanno ammesso in prima persona che questa è stata la fase
più difficile dell’innovazione: il cambiamento continuo nella tecnologia di
riferimento non ha permesso di adeguarsi davvero al nuovo sistema, e di
raggiungere il giusto livello di confidenza. Il limite del continuo spostamento
è che proprio nel momento in cui si inizia a prendere confidenza col nuovo
giunge l’ora di ritornare nella vecchia sala, dove si recuperano i precedenti
schemi mentali per poi sostituirli di nuovo. Molti hanno affermato che
avrebbero preferito un passaggio definitivo una volta per tutte: è vero che
ciò avrebbe comportato una fase d’adattamento difficile, ma è altrettanto
vero che non avrebbe riproposto quotidianamente le stesse difficoltà. Va poi
tenuto in considerazione che i turni di lavoro non hanno permesso al singolo
operatore di vivere l’esperienza con costanza; alcuni controllori hanno
vissuto lo spostamento solo in poche occasioni, ogni volta impreparati ad
affrontarlo con tranquillità.
138
Capitolo 6
Le difficoltà e i limiti della situazione hanno però permesso di cogliere i
primi vantaggi e gli aspetti positivi dell’innovazione. La relazione uomo –
macchina (L/H) è da subito più ricca, densa di informazioni e flessibile verso
un’interazione maggiormente dinamica tra le due componenti coinvolte. Le
difficoltà qui sottolineate, non hanno impedito ai controllori di cogliere gli
aspetti positivi: il nuovo sistema permette allo schermo uno zoom
estremamente preciso sul settore di specifico interesse, la ricchezza dei
colori inizia ad essere sentita come un nuovo strumento di appoggio, un
supporto alle possibili sviste del soggetto, anche se la questione dei colori
sullo schermo radar continua ad essere uno dei temi di discussione tra i
controllori: molti ritengono la scala cromatica inadeguata, altri fanno
proposte per sfumature più adatte, alcuni fanno notare che la colorazione e
la scarsa illuminazione della sala, portano ad un maggior affaticamento
degli
occhi.
In
questa
fase
dell’innovazione,
però,
una
modifica
è
concretamente impossibile a causa delle rigidità del sistema.
La ricchezza della nuova strumentazione comincia ad imporsi: le spiccate
capacità dei controllori e la potenzialità tecnologica del sistema iniziano a
dare i primi risultati positivi.
Nonostante i primi progressi, l’obiettivo di aumentare il volume di traffico
da gestire sembra ancora una possibilità molto lontana.
6.3 Maggio 2003: l’innovazione diventa prassi
Con l’inizio del mese di maggio, il passaggio alla nuova sala operativa è
definitivo. I controllori iniziano ad abituarsi, l’atmosfera è più tranquilla, si è
dissolta quella tensione che ha caratterizzato l’attesa e, a maggior ragione,
la fase di passaggio continuo tra i due sistemi. I controllori cominciano a
prendere consapevolezza dei vantaggi tecnologici e dei nuovi riferimenti
tecnici. Col passare del tempo aumenta anche il livello di apprendimento e
di dimestichezza con le nuove procedure operative, con le norme e le regole
alla base della gestione del sistema (Software), e i soggetti prendono una
confidenza sempre maggiore con la nuova disposizione dell’ambiente
139
Capitolo 6
(Environment). A poco a poco la nuova sala controllo non sembra più un
luogo asettico e freddo come nei primi giorni.
Nelle conversazioni intrattenute con i controllori, finalmente qualcuno si
spinge ad affermare che sembra quasi di non avere mai lavorato nella sala
vecchia. Ci si sta abituando ai nuovi colori dello schermo radar, la cui utilità
diventa sempre più chiara agli occhi degli operatori, e si prende maggiore
dimestichezza con le manualità. Ora, anche ai controllori sembra ipotizzabile
la possibilità futura di aumentare il traffico.
I soggetti iniziano a riflettere con una consapevolezza diversa sul
cambiamento che è stato introdotto e che è ancora in atto; non assumono
più
un
atteggiamento
fortemente
conservatore,
e
si
dimostrano
maggiormente disponibili al rinnovamento, curiosi verso le potenzialità e i
futuri risvolti della loro professione. Prendendo confidenza con la novità, la
paura diminuisce.
L’opinione comune è che la fase transitoria di aprile, con il continuo
spostamento tra le sale, non sia stata positiva perché troppo carica di
tensione e aspettative e perché sostitutiva di un addestramento assente.
Solo ora che si affronta quotidianamente il nuovo sistema tecnologico si
riesce davvero ad adattarsi, a comprenderlo, e soprattutto ad apprezzarne i
vantaggi.
Da sottolineare sono le reazioni positive anche da parte dei
controllori procedurali, ossia coloro che hanno dovuto affrontare lo sforzo
maggiore di adattamento, poiché con la sala nuova sono cambiati i loro
strumenti di lavoro (cfr. cap. 5). Proprio i CP affermano che il sistema va
bene e dà risposte positive anche quando si affrontano situazioni di alto
volume di traffico. Ora essi godono di maggiore autonomia operativa e
decisionale, e possono interagire direttamente con il sistema attraverso lo
schermo radar. Nella vecchia sala operativa, quando c’era tanto traffico, le
stampanti delle strips cartacee continuavano ad emettere nuove strisce per
i continui aggiornamenti dei piani di volo. Raccogliere i dati, comunicare gli
aggiornamenti ai soggetti competenti, e ricordarsi di annotarli a parte,
erano tutte mansioni che richiedevano tempo e impegno all’operatore, tanto
che controllore assistente (CA) e procedurale (CP) erano impegnati quasi
esclusivamente nella gestione delle strips. Ora la nuova tecnologia permette
140
Capitolo 6
di intervenire direttamente sul sistema, semplificando e velocizzando le
procedure. Potere gestire tutte le informazioni allo stesso modo snellisce le
pratiche routinarie.
Se è vero che il sistema si rivela utile e flessibile anche in condizioni di
alto traffico, e che la maggior parte dei timori è stata annullata con
l’abitudine a lavorare nel nuovo ambiente, non bisogna però pensare che le
vecchie paure fossero infondate. Le rigidità tecniche rappresentano ancora
un limite: se si sbaglia un passaggio, o lo si dimentica per qualunque
motivo, si rischia di condizionare tutto il processo di controllo automatico.
Le numerose manualità sono ancora un fattore di preoccupazione per i
soggetti, la dimestichezza con tutte le procedure non è a tutt’oggi assodata.
La tecnologia della nuova sala è molto ricca e fornisce una notevole quantità
di informazioni di supporto, ma ai controllori è comunque, e a maggior
ragione, richiesto di rispettare tutti i passaggi previsti, per evitare che il
meccanismo si inceppi. In sintesi è necessario che i soggetti mantengano un
livello di attenzione quasi maggiore rispetto a prima, e non devono
compiere l’errore di fidarsi troppo della macchina, delle sue potenzialità.
Anche a fronte di un’innovazione di questa portata, le capacità knowledge
based dell’uomo rimangono una caratteristica irrinunciabile. È a questo
punto che entra in gioco il fattore esperienza: in presenza di tanto traffico ci
sarebbe bisogno di una dimestichezza e di una pratica consolidata, che in
questa fase sono limitate. A tutto ciò deve sopperire, ancora una volta, la
grande abilità dei controllori di essere flessibili, di adattarsi e di compensare
le carenze che si presentano di volta in volta.
Nonostante i passi avanti e i vantaggi, che proprio i controllori sono
pronti a riconoscere, sono ancora molte le fasi da affrontare per entrare
realmente in confidenza col sistema. Il rapporto con regole e procedure è
rimasto indicativamente lo stesso; le deviazioni dalla norma sono ancor più
rare di prima, proprio per la rigidità della tecnologia. Il cambiamento tecnico
non può cambiare i criteri per una corretta gestione del traffico: gli aerei
devono essere distanti tra loro di circa cinque miglia, e devono rispettare
l’altitudine stabilita nel settore in cui transitano. Solo in condizioni di
emergenza si attuano quelle strategie operative che possono anche portare
141
Capitolo 6
a non rispettare totalmente le regole, ma che sono le uniche a risolvere nel
minor tempo possibile le criticità. Il rischio, a nostro parere, è che attivare
strategie knowledge based in un sistema ancora poco conosciuto e che
presenta una spiccata rigidità nelle procedure, può portare a conseguenze
inaspettate. Come ha sottolineato Reason (cfr. cap. 1), proprio le stesse
regole e direttive, che l’organizzazione man mano introduce per aumentare
il livello di sicurezza del sistema, possono limitare in modo eccessivo le
possibilità d’azione dei soggetti. In un simile contesto, per affrontare una
situazione critica la sola soluzione diventa la violazione delle stesse regole.
A qualche perplessità iniziale, inevitabile quando si introduce una
qualsiasi novità e accentuata nelle differenze generazionali tra i controllori,
è subentrata nei soggetti coinvolti una generale soddisfazione per l’uso delle
nuove tecnologie, confortati dai risultati in termini di sicurezza, fluidità di
gestione del traffico aereo.
L’accesso alle informazioni è divenuto più ampio, razionale e veloce, le
presentazioni radar omogenee avvantaggiano i controllori che operano nello
stesso settore, con una crescita, anche se per ora ancora limitata, del
teamwork e del tempo che il controllore può dedicare alle situazioni di
traffico ed alla pianificazione. Tali vantaggi compensano la drastica caduta
delle comunicazioni verbali, fattore che ha creato non poco squilibrio nelle
abitudini dei controllori. Lo scambio diretto, faccia a faccia, di informazioni
tra i controllori era una pratica fortemente assodata nelle attività lavorative,
e in particolare rappresentava una forma di ridondanza nelle modalità di
controllo delle prestazioni. Compiti ed attività prima effettuate in modo
verbale o manuale sono ora drasticamente sostituite da sofisticate forme di
automazione, finalizzate a rendere più rapido e sicuro lo svolgimento delle
operazioni. Le vecchie modalità operative appaiono sempre più inadeguate
ai livelli di crescita del traffico e alle sue caratteristiche. Questo processo di
ammodernamento del sistema porta ad uno sviluppo del futuro modello di
comunicazione, un modello che deve cambiare per rispondere al problema
della congestione delle frequenze e al suo impatto sulla sicurezza delle
prestazioni: la presenza di un numero eccessivo di aeromobili in frequenza
costringe il controllore a parlare velocemente, con il rischio che venga a
142
Capitolo 6
mancare il tempo per il rispetto delle procedure standard. Il sostegno
tecnologico si fa sempre più indispensabile.
6.4 Riepilogo
I controllori milanesi hanno affrontato la rivoluzione tecnologica in modo
coraggioso, con estrema competenza e consapevolezza delle proprie
responsabilità. La forza di carattere e il coraggio hanno loro permesso di
affrontare i timori, le aspettative e le preoccupazioni tipiche di un
cambiamento di così grande portata, e gestire un livello aggiuntivo di stress
generato
da
una
duplice
interazione:
da
una
parte
con
la
nuova
strumentazione, dall’altra con i colleghi. Esperienza, fermezza e coscienza
delle proprie responsabilità hanno dominato le paure e hanno guidato i
soggetti alla scoperta dell’innovazione. Molto è stato fatto dai progettisti,
ancor di più dagli stessi controllori. Le difficoltà, i limiti e i rischi sono stati
presenti
agli
occhi
di
tutti
fin
da
principio,
a
partire
dai
vertici
dell’organizzazione. Oggi si può affermare che il risultato è buono, i
vantaggi sono innegabili e l’atteggiamento generale verso il nuovo sistema
è positivo.
Ciononostante, è doveroso da parte nostra accennare a quelli che
riteniamo siano stati i limiti e gli aspetti più carenti della progettazione e
della gestione del cambiamento, partendo proprio dalla nostra esperienza a
diretto contatto con i controllori. L’osservazione diretta ci ha permesso di
cogliere
dei
grossi
cambiamenti
nelle
risposte
dei
soggetti.
Dalla
preoccupazione iniziale si è passati all’ansia della transizione, per finire alla
soddisfazione e all’adattamento dell’assestamento. Data la grandiosità del
progetto e del sistema tecnologico introdotto, il processo di innovazione non
avrebbe potuto avere un risultato diverso, modificando le basi del teamwork
e della collaborazione. Il nuovo assetto strumentale ha rinnovato le pratiche
sociali consolidate, gli schemi di interazione e le modalità comunicative tra i
soggetti. Le maggiori distanze, gli spazi più grandi e soprattutto il vincolo di
una
più
sistematica
mediazione
tecnologica
nella
trasmissione
delle
informazioni sono state delle grosse novità per tutti. In quest’ambito nessun
143
Capitolo 6
addestramento avrebbe potuto insegnare ai controllori come agire; i
soggetti si sono attivati in prima persona per capire come poter gestire il
gioco di squadra nel nuovo ambiente, sperimentando strategie prima
sconosciute. Il limite che sottolineiamo in questa sede è riferito ad alcuni
aspetti della progettazione e dell’addestramento precedenti all’entrata
stabile nel nuovo ambiente. I controllori hanno più volte sottolineato
l’esigenza di un simulatore per prepararsi alla strumentazione, o almeno per
farsene un’idea; a ciò vanno aggiunti le scarse esperienze notturne nella
nuova sala, i tempi di apertura piuttosto incerti, il limitato coinvolgimento
dei controllori nella progettazione…
Molti sono gli aspetti che si possono portare all’attenzione, e grande è la
consapevolezza dei molteplici problemi organizzativi (tra cui la pesante
carenza di personale) che devono essere affrontati e superati in vista di un
evento di questa portata. D’altra parte, però, quando si fornisce un servizio
di Controllo del Traffico Aereo esistono alcune priorità fondamentali tra cui
la sicurezza dei passeggeri dei voli; la sicurezza è assicurata se i controllori
possono lavorare nelle giuste condizioni ambientali.
Stabilire quali siano
queste condizioni non è facile, anche perché in ATC i fattori di stress e di
sovraccarico sia mentale che lavorativo, sono cronici e difficilmente
eliminabili. I controllori del traffico aereo sono i veri protagonisti di questo
mondo e le esigenze organizzative e amministrative devono ruotare intorno
ad essi. Il servizio è efficiente se le interazioni tra le componenti del sistema
organizzativo sono affidabili.
Il caso dell’innovazione vissuta da Milano ACC, è interessante proprio
perché permette di osservare cosa succede al sistema quando tutte le
interazioni sono costrette a cambiare e ricostituirsi in breve tempo. Anche
se la tecnologia diventa sempre più sofisticata e affidabile, il ruolo del
controllore non perde la sua importanza; la sua capacità di ideare e attivare
comportamenti knowledge based rimane una priorità irrinunciabile. È per la
delicatezza del contesto e la precarietà delle condizioni ambientali, che nel
gestire un cambiamento così rilevante bisogna attribuire una grande
attenzione alla sfera degli human factors. Pur nella consapevolezza che i
controllori
sono
dotati
di
una
forte
144
capacità
di
adattamento,
di
Capitolo 6
improvvisazione e di coraggio, non si può pensare di forzare troppo questi
aspetti. Le risorse umane sono limitate, e i livelli di stress e di lavoro
sopportabili non sono gli stessi per tutti.
Per facilitare il momento del passaggio da vecchio a nuovo, riteniamo
che a Milano ACC si sarebbe dovuta dedicare una attenzione e una cura
maggiore alle esigenze e alle richieste dei controllori, in particolare
all’organizzazione di una adeguata integrazione col cambiamento e una
attenta preparazione, anche attraverso un simulatore.
145
Capitolo 7
7. Conclusioni: implicazioni per la teoria e
la pratica
Questo lavoro di ricerca ha voluto evidenziare come gli uomini sono
sempre i principali protagonisti di una situazione. Il campo d’indagine è
stato ristretto alle organizzazioni che vivono in condizioni di rischio
costante, e in cui si sono verificati disastri in seguito ai quali l’errore umano
è sempre additato come la causa prima. Abbiamo voluto fornire un
contributo per screditare quest’atteggiamento, sostenendo che gli errori
sono sempre socialmente organizzati, determinati dal concatenarsi di fattori
diversi la cui interazione è decisiva per la vita dell’organizzazione. A
sostegno di quest’argomentazione si è scelto il tema dell’innovazione
tecnologica, delimitando il campo d’indagine alla fase di introduzione di tale
innovazione nel sistema. L’obiettivo è stato capire come dovrebbe essere
gestito un cambiamento, concentrandoci sui fattori che determinano
l’affidabilità di un’organizzazione, ma che, se non curati adeguatamente,
possono diventare veramente pericolosi.
Su queste premesse di base, abbiamo analizzato come un sistema
complesso si prepara ad accogliere un’innovazione. Come cambia il conteso
formativo? Come reagiscono i soggetti coinvolti? Che reazioni hanno le
difese del sistema? Non esistono risposte a queste domande che possano
andar bene per qualunque organizzazione. Esistono, però, dei principi, delle
strategie di gestione, che possono essere adatte a proteggere ogni sistema
dai rischi di un’innovazione inadeguata alle peculiarità della struttura. Chi
vive un processo di innovazione deve essere adeguatamente preparato ad
affrontarlo; nulla può venir lasciato al caso o addossato alle responsabilità
dei singoli. Deve essere predisposta una squadra di progettisti consapevoli
delle necessità dell’organizzazione e della delicatezza dei fattori umani
coinvolti nel processo. L’innovazione è gestione del cambiamento.
Usare SHELL per analizzare una trasformazione significa adottare un
preciso punto di vista nell’osservare il funzionamento organizzativo: l’uomo
è il centro del sistema, e ogni processo lavorativo è determinato dalle
146
Capitolo 7
relazioni tra il singolo e le componenti tecnologiche, normative e umane
immerse in un particolare ambiente, a loro volta relazionate tra loro. “La
sicurezza del sistema dipende dall’affidabilità delle relazioni di questi
elementi rispetto al compito da realizzare” (Catino, 2002 p. 43). Sicurezza e
affidabilità sono parole chiave nel mondo dell’ATC, ed è per questo che le
connessioni tra le parti coinvolte devono essere sempre in equilibrio e ben
bilanciate. Osservare il cambiamento permette di cogliere il manifestarsi di
eventuali
disequilibri
nelle
interazioni
tra
le
componenti
in
seguito
all’inserimento di una variabile esogena nel sistema. Attraverso SHELL si
osserva la stessa organizzazione al momento t e al momento t1, dopo che la
nuova tecnologia è stata introdotta: l’ACC di Milano è stato analizzato prima
nella sala vecchia e poi nella nuova sala operativa. In questo modo,
possono emergere le condizioni latenti pericolose per la sicurezza del
sistema.
Particolare attenzione è stata dedicata ai fattori umani interessati dal
cambiamento tecnologico: da una parte valutando il ruolo dei progettisti e
dei managers in relazione alla sfera degli human factors nelle interazioni LH, L-S, L-E; dall’altra considerando come il cambiamento può condizionare
le relazioni tra i controllori (L-L).
Approfondendo la figura del controllore del traffico aereo, si capisce
perché nessuna innovazione può togliere all’uomo il suo posto in prima linea
nel gestire il traffico nei cieli. Anche il più eccezionale sviluppo tecnologico
non si sostituisce alle qualità specificatamente umane di improvvisare ed
elaborare strategie impensabili, risolvendo, così, criticità di fronte a cui la
macchina smette di funzionare. Le condizioni in cui gli attori lavorano sono
di estrema importanza, tanto più se il carico di lavoro mentale, il livello di
stress, la cooperazione e la collaborazione, sono determinanti per la riuscita
del compito. Per quanto supportati da macchinari di eccezionale innovazione
tecnologica, non si può chiedere all’uomo di agire oltre i suoi limiti naturali.
Una
tecnologia
migliore,
da
sola,
un’organizzazione migliore.
147
non
è
sufficiente
per
generare
Capitolo 7
7.1 La progettazione
L’utilizzo del modello SHELL ci fa capire perché un cambiamento
tecnologico
comporta
una
ridefinizione
di
tutta
l’organizzazione:
l’introduzione di una variabile esogena va sempre ad intaccare l’equilibrio
del sistema interessato. Il cambiamento tecnologico
è
finalizzato a
migliorare le prestazioni dell’organizzazione, ma, per raggiungere questo
scopo, è necessario che la nuova tecnologia contribuisca a rendere più
affidabili le interazioni tra tutte le parti della struttura. Come ci ricorda
Barley (1986), la tecnologia è solo uno dei diversi elementi del contesto
socio-tecnico che influenza i modelli d’azione. Per questo motivo, prima di
innovare sarebbe utile osservare lo scenario organizzativo, comprenderne le
dinamiche, coglierne le specificità, per poi stabilire i gradi d’introduzione
dell’innovazione. Nel caso da noi osservato, si è rilevato che Milano ACC ha
delle necessità e delle prerogative tali che lo distinguono dagli altri tre ACC
italiani; le differenze dipendono da fattori come la superficie del territorio, il
volume di traffico ed altri ancora, e non possono essere sottovalutati in fase
di progettazione.
L’elaborazione tecnica degli strumenti deve essere centrata sui processi
d’interazione sociale e di comunicazione all’interno della comunità di
pratiche,
dedicando
attenzione
all’uso
delle
tecnologie
nel
contesto
lavorativo reale (Zucchermaglio, 2000). A causa della maggiore astrattezza
legata alle nuove tecnologie, le interazioni tra i singoli diventano più
complesse, lo scambio comunicativo uomo-macchina è più veloce, i tempi e
gli spazi si riducono. I processi di comunicazione e di negoziazione dei
significati assumono un ruolo primario: bisogna progettare considerando le
pratiche degli operatori legati tra loro da un sistema di esperienze sociali e
materiali radicate nel contesto specifico.
Diventa fondamentale chiedersi chi deve progettare. A Milano si è
introdotto un sistema operativo progettato per Roma ACC e poi imposto agli
altri tre centri. A questo scopo è stata istituita una squadra di esperti locali
che, per due anni ha lavorato sul sistema per adeguarlo al contesto. Da una
parte ciò è molto positivo, perché solo chi appartiene ad una comunità di
148
Capitolo 7
pratiche può avere appreso le caratteristiche dell’ambiente, riuscendo a
cogliere i possibili aspetti meno funzionali e di disturbo di una tecnologia
sconosciuta. Dall’altra, però, può non bastare. La natura complessa di un
sistema automatizzato e i processi di partecipazione tecnica e sociale alla
preparazione necessitano di una “comunità di progettazione” (Butera 1988,
p. 230). Non basta una squadra di tecnici capaci di inventare una
strumentazione rivoluzionaria, ma deve essere prevista una collaborazione
diretta tra figure diverse e complementari, legate fra loro da un network
culturale. Attraverso l’unione di competenze differenti ma con dei principi
comuni, si possono cogliere le peculiarità delle interazioni tra ambiente,
uomo, macchina e regole. A Milano sarebbe stata positiva la presenza di un
esperto di human factors all’interno del team di progettisti. Questa figura
esperta, ma estranea allo specifico ambiente dell’ATC, avrebbe potuto
inserire nella fase di cambiamento dei momenti specifici dedicati alla
relazione uomo-macchina, al perfezionamento dell’interfaccia, proponendo
modalità specifiche con cui introdurre il nuovo sistema in modo più
graduale.
Ciò di cui si ha bisogno è la competenza nella creazione dei contesti,
consapevoli che un sistema operativo nuovo andrà ad intaccare il contesto
formativo e la cultura organizzativa. Quando si progetta una nuova
tecnologia è necessaria fin da principio una collaborazione tra i tecnici e gli
operatori dell’organizzazione interessata. Ciò può creare i presupposti per
un rinnovamento non traumatico del contesto e che non richiede ai soggetti
interessati uno sforzo aggiuntivo rispetto alle loro mansioni. “Introdurre
tecnologia dentro un’impresa senza cambiare contemporaneamente anche i
processi e l’organizzazione crea spreco e caos” (Butera, 2003 p. 61).
Tener conto di questi principi permette di creare armonia tra le
componenti, così che la novità, finalizzata a migliorare la prestazione
organizzativa, non sia percepita come una parte estranea al contesto.
Questo è uno degli aspetti più difficoltosi di una progettazione, e diventa
ancor più importante in un’organizzazione ad alto rischio, dove situazioni
critiche, imprevisti, emergenze sono all’ordine del giorno.
149
Capitolo 7
7.2 L’innovazione è apprendimento
Il processo di innovazione non deve essere calato dall’alto e imposto dai
vertici aziendali, ma deve emergere come un’evoluzione i cui protagonisti
sono prima di tutto gli operatori.
È per questa ragione che una buona
gestione del cambiamento implica, tra le altre cose, preparare i lavoratori
alla novità che sarà introdotta. Un corretto apprendimento prevede anche
una fase di addestramento pratico, in cui i soggetti possono abituarsi a
interagire con la nuova attrezzatura, comprenderne i meccanismi e,
soprattutto, condividere il senso della novità. È una fase delicata in cui la
relazione dominante è quella tra uomo e macchina, tra Liveware e
Hardware.
A questo proposito, Barley (1986) parla di ‘processo di strutturazione’: il
cambiamento è un processo continuo e costante in cui i ruoli e i modelli di
interazione subiscono delle modifiche. Non cambia solo il mezzo di
produzione, ma mutano anche le forme di produzione, e quindi le relazioni
tra i soggetti coinvolti. Per questo motivo, è necessario che i singoli siano
adeguatamente preparati. Come sostiene Weick (1990) il momento di
introduzione della nuova tecnologia, è quello più suscettibile alle influenze
del
sistema.
Un
aumento
eccessivo
nella
intensità
delle
emozioni
(incertezza, tensione) deteriora la qualità delle prestazioni e la risposta non
è più adeguata alla situazione.
Il controllore del traffico aereo deve essere sempre pronto ad affrontare
criticità impreviste, gestendo le situazioni con la sua esperienza, la
competenza e la conoscenza del sistema. La capacità di interpretare i
segnali
e
di
interagire
con
la
strumentazione
in
modo
istintivo
è
fondamentale per una reazione veloce e immediata. Di fronte ad un sistema
tecnologico totalmente nuovo, gran parte delle sicurezze vengono a
mancare, anche perché cambia il tipo di condivisione del significato. La
nuova tecnologia può determinare una differente struttura organizzativa
alterando i ruoli istituzionalizzati e i relativi modelli di interazione (Barley,
1986). Se l’operatore non è stato adeguatamente preparato a muoversi nel
nuovo ambiente tecnologico, egli tende ad utilizzare i vecchi modelli di
150
Capitolo 7
comportamento, cercando attorno a sé i punti di riferimento del passato. Il
senso di complessità e incertezza non è un attributo della macchina, bensì
nasce dalla relazione troppo opaca che lega l’uomo al nuovo sistema.
A Milano i controllori hanno conosciuto la nuova strumentazione nei turni
notturni, con un traffico basso e non regolare, e al momento dell’entrata
definitiva nella nuova sala, alcuni erano più pronti di altri. Alle prese col
traffico reale la tensione è stata alta e i momenti di confusione non sono
mancati. I soggetti non sono riusciti ad apprendere a sufficienza i nuovi
modelli,
per
cui
hanno
dovuto
adeguamento e adattamento.
compiere
uno
sforzo
aggiuntivo
di
Quanto meno è condiviso il significato che
gli utilizzatori danno allo strumento, tanto più aumentano il senso di
insicurezza e la fatica nell’apprendere i vantaggi tecnologici.
Una gestione del cambiamento efficace deve prevedere un’adeguata fase
di preparazione, così che la comunità di pratiche non provi uno smarrimento
eccessivo davanti al nuovo sistema. I tempi di reazione, le predisposizioni
dei soggetti, i modelli di comunicazione devono essere analizzati in
precedenza per poi stabilire un piano adeguato alle esigenze del gruppo.
7.3 Lo spazio della comunicazione
Nel Controllo del Traffico Aereo la comunicazione è, insieme al radar, lo
strumento di lavoro più importante per la buona riuscita delle prestazioni
(cfr. cap. 3.1). La nostra esperienza a Milano ACC ha permesso di cogliere
con chiarezza questo aspetto: lo scambio di informazioni è funzionale alla
gestione del traffico aereo, allo scambio di opinioni sul proprio operato, ai
momenti, non meno importanti, in cui i soggetti comunicano in modo
informale per scaricare la tensione accumulata.
In una comunità di
pratiche, la comunicazione è un collante fondamentale per fare gruppo e per
condividere esperienze; la sua efficacia dipende da un impegno condiviso e
da un modello mentale comune.
Sulla base di questi presupposti riteniamo che una corretta gestione del
cambiamento dovrebbe stimolare e incentivare degli spazi di comunicazione
e di scambio di opinioni, in particolare tra progettisti e operatori. I soggetti
151
Capitolo 7
coinvolti potrebbero, così, inquadrare in modo meno ambiguo l’innovazione
che li aspetta, e iniziare da subito a condividere aspettative e significati.
Nella comunità il gruppo agisce in un contesto sociale fatto di codici,
simboli, concetti condivisi, che danno senso alle prestazioni. Il significato è
costruito sulla base delle esperienze reali e per questo viene continuamente
riprodotto e rinnovato dai soggetti stessi. La novità portata dall’innovazione
fa sì che gli attori si trovano in ambienti in cui da un lato possono muoversi
con una libertà sconosciuta, ma dall’altro rischiano di perdersi perché non
hanno sviluppato un’esperienza che li aiuti a comprendere che cosa fare con
i nuovi strumenti tecnologici (Mantovani 2000, p. 161). È per evitare questo
senso di smarrimento che è necessaria una valutazione condivisa di quale
sia il modo appropriato di usare socialmente il nuovo strumento. La
comunicazione risponde a questa esigenza poiché permette di ridurre il
grado di ambiguità attraverso una costruzione attiva e costante del senso
dell’innovazione da parte dei soggetti. Attraverso il linguaggio i membri di
una comunità da una parte sedimentano ciò che è tacito, aumentando il
senso di appartenenza (Gherardi, Nicolini 2001), dall’altra creano una
negoziazione continua di nuovi significati sulla base di una filosofia
operativa comune e consolidata.
Come sottolinea Weick (1990, p. 161) l’inizio, l’approccio col nuovo, è il
momento più delicato perché i soggetti capiscono subito cosa sanno della
nuova tecnologia e cosa è ancora molto lontano dalla loro conoscenza. È per
questa ragione che riteniamo sarebbe utile prevedere degli incontri tra
operatori e progettisti lungo tutta la fase di cambiamento, in cui possano
emergere le aspettative, le impressioni, i bisogni, i timori dei soggetti. In
pratica un momento scambio regolare in cui i progettisti, o comunque i
responsabili,
aggiornano
gli
operatori
sulle
novità,
sui
cambiamenti
introdotti, su tutti i passi avanti che sono stati fatti nella gestione
dell’innovazione. Allo stesso tempo i controllori, nel nostro caso, possono
esporre i dubbi, le proposte, le ansie rispetto al nuovo sistema, così che i
progettisti ne possano tenere conto ed elaborare strategie operative
diverse. In sintesi si tratta di incentivare spazi di comunicazione per fare
152
Capitolo 7
emergere tutti gli aspetti socio-tecnici che hanno un ruolo nel determinare il
grado di accettazione della novità.
In questa sfera di progettazione, è inevitabile che molto potrà essere
realizzato in base alle disponibilità economiche, organizzative e temporali
dell’organizzazione
scambio
interessata. Prevedere degli
comunicativo
richiede
tempo,
incontri
disponibilità,
destinati
soprattutto
allo
di
personale, impegno e franchezza da parte di tutti coloro che ne sono
coinvolti, nella consapevolezza di cosa può realmente essere realizzato e
cosa no.
7.4 Progettare in vista degli errori
Introdurre un fattore di novità in un sistema che vive in uno scarso
equilibrio, significa renderlo ancora più precario. Innovare un’organizzazione
implica da una parte migliorarne le prestazioni, dall’altra aumentarne il
livello di stress e di tensione dovuti al cambiamento. Naturalmente i disagi
aumentano in base alla portata del cambiamento. Milano ACC ha vissuto
un’innovazione
tecnologica
che
ha
toccato
ogni
aspetto
della
sua
organizzazione; le preoccupazioni, i motivi di nervosismo e inquietudine
sono stati molti.
Nella consapevolezza della precarietà del sistema, è necessario far
attenzione a non creare crepe ulteriori nella sua struttura difensiva. Non è
sufficiente introdurre una tecnologia migliore per rendere un’organizzazione
migliore. Se, come è stato detto in precedenza, occorre fare attenzione e
riprogettare tutti gli elementi del sistema, è anche necessario non introdurre
fattori che possano indebolire l’impianto organizzativo alle radici.
Riprendendo
ciò
che
sostiene
Reason
(1990,
cfr.
cap.
1),
ogni
organizzazione ha delle barriere difensive che ostacolano gli eventuali fattori
di rischio presenti. Tra le crepe di queste barriere si depositano gli errori
latenti che possono rimanere “addormentati” anche per lunghi periodi. Ciò
fino a quando un particolare errore attivo, commesso da un operatore in
front line, innesca quella catena di fattori contingenti che permette agli
153
Capitolo 7
errori latenti di bucare tutte le difese del sistema, fino ad arrivare in
superficie portando alla catastrofe.
Il cambiamento, come abbiamo visto, apporta una serie di condizioni
nuove nella struttura, condizioni a cui gli operatori non possono mai essere
del tutto preparati. Il rischio è che una gestione del cambiamento poco
attenta può portare con sé errori latenti che s’infiltrano tra le reti del
sistema in attesa di risalire drammaticamente in superficie. L’innovazione
tecnologica ha un duplice effetto: da un lato facilita e rende più veloci le
operazioni pratiche, ma dall’altro aggiunge ridondanze che rendono il
sistema più opaco per chi lo controlla e lo gestisce (Reason, 1990). Se la
tecnologia innovativa si presenta affidabile e ricca di difese, può accadere
che gli operatori e i managers si dimentichino di avere paura abbassando il
livello di attenzione necessario e controllando le proprie attenzioni in misura
sempre minore.
Un operatore che lavora con i sistemi di difesa a livelli
minimi, può più facilmente commettere gli errori attivi che portano a galla
quelli latenti.
Progettare in vista degli errori vuol dire introdurre il cambiamento in
modo graduale, far sì che i soggetti possano comprenderlo nel tempo, così
che rimettano in discussione i principi del loro contesto formativo, le regole
della comunità cui appartengono, svelando le debolezze, le criticità, i fattori
latenti. Il cambiamento è un’occasione in cui l’organizzazione può riflettere
su se stessa, comprendere i limiti che ne caratterizzano l’operato e che col
tempo sono diventati violazioni routinarie.
Di
fronte
a
situazioni
nuove,
i
soggetti
attivano
comportamenti
knowledge based: si formula un’ipotesi per risolvere la criticità, e si
selezionano i dati utili a disposizione. Se, però, non si è adeguatamente
preparati, la tendenza è quella di privilegiare ciò che è in accordo con le
conoscenze consolidate che nulla hanno a che fare con l’innovazione
tecnologica. “Gli errori sono prodotti di una catena di cause in cui i fattori
psicologici, quali inattenzione, giudizi erronei, dimenticanze, preoccupazioni,
sono spesso gli ultimi anelli gestibili della catena; numerose indagini su
incidenti indicano che gli eventi negativi sono spesso il risultato di situazioni
inclini all’errore e di attività inclini all’errore” (Reason, 1990 p.129). Se le
154
Capitolo 7
coordinate dell’ambiente in cui siamo immersi e con il quale abbiamo
confidenza cambiano totalmente, diventa difficile stabilire la strategia di
comportamento più adeguata; ciò si fa ancor più gravoso nei sistemi ad alto
rischio, in cui l’operatore deve dedicare la propria attenzione alla situazione
specifica da controllare.
Nella sala operativa di Milano ACC la tensione dei controllori nei primi
periodi a contatto con la nuova strumentazione è stata molto alta. Il
cambiamento porta con sé variabili che minano in profondità le sicurezze di
un sistema. In un equilibrio sempre precario come quello del traffico aereo, i
fattori di distrazione e incomprensione devono essere ridotti al minimo. È
per questo che i fattori umani devono essere collocati al primo posto: per
quanto la strumentazione possa essere veramente affidabile e innovativa, è
solo l’uomo che possiede
la predisposizione all’improvvisazione, alla
strategia, alla rielaborazione che può risolvere un’emergenza.
Per introdurre adeguatamente un cambiamento in un’organizzazione ad
alto
rischio
serve
cautela,
addestramento,
conoscenza
dell’ambiente,
consapevolezza dei limiti e dei bisogni dei soggetti interessati. Andare alla
ricerca delle condizioni latenti vuol dire prendere coscienza dei limiti del
sistema così da eliminarli attraverso l’innovazione introdotta. Solo una
conoscenza di questo genere può preparare adeguatamente i soggetti ad
accogliere la novità nel modo migliore e plasmare l’innovazione sulla base
delle reali necessità del contesto. Gestire questa trasformazione nel modo
appropriato è l’unica e migliore prevenzione alle catastrofi.
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www.magisterludi.com
www.jrc.it
Materiale fornito dal personale di Enav Milano ACC.
168
Ringraziamenti
Ringraziamenti
Questo progetto ha richiesto interesse, impegno e costanza, ma
soprattutto entusiasmo. Ad esso ho dedicato molte delle mie energie, e
spero che tutti i lettori possano cogliere la soddisfazione che ho provato
nello svolgere, per la prima volta, un lavoro di questo genere. Ciò che più
mi conforta, è la consapevolezza di non aver fatto tutto da sola, ma di avere
avuto l’appoggio di persone che, nell’arco dell’anno, sono diventate davvero
importanti e determinanti per la qualità del lavoro.
Un ringraziamento speciale va a tutti coloro che lavorano a Milano ACC e
che mi hanno aiutata a capire l’ATC, ospitandomi in un mondo di grande
interesse: Severino Vinante, Graziano D’Agostini, Marco Asprea, Pietro
Paglia, i capisala, i supervisori e tutti i controllori, che hanno sempre
dimostrato grande interesse, disponibilità e simpatia, comprendendo le mie
difficoltà nel venire a contatto con un mondo così particolare. L’anno
passato in loro compagnia è uno dei ricordi più belli legato a questa tesi. In
particolare ringrazio Graziano, per le lunghe chiacchierate, le spiegazioni, le
esemplificazioni, e l’attenzione che ha dedicato sempre a tutto il mio lavoro.
Grazie ad Anna Bellorini e a Pietro Cacciabue per i consigli e le
precisazioni via e-mail. Ringrazio Giancarlo Ferrara, che fin da principio ha
visionato il mio lavoro facendomi rendere conto di quanto tecnico e
specialistico sia il campo del Controllo del Traffico Aereo. Grazie al
Comandante Aldo Pezzopane, per la disponibilità e il grande esempio di
professionalità, tenacia e convinzione nel portare avanti ciò in cui si crede.
Una gratitudine particolare va a Paola Corradini, per l’appoggio e il
sostegno “a distanza”, e per il suo aiuto nella ricerca di tutto il materiale
bibliografico per poter iniziare. Grazie a Federico Butera e Sara Albolino, per
l’interesse e gli apprezzamenti mostrati rispetto a questo lavoro.
Un ringraziamento speciale va a Maurizio Catino; la sua competenza, la
costanza, l’attenzione con cui mi ha seguita, hanno reso quest’impresa
molto più semplice accrescendo in me l’interesse per la ricerca. È stato una
guida sicura a cui non potrò mai esprimere l’adeguata riconoscenza.
163
Ringraziamenti
Infine, ringrazio chi mi ha sopportata con infinita pazienza in tutto
quest’ultimo anno. Il ringraziamento più grande va ai miei genitori: per me
sono e saranno sempre il dono più bello che potessi ricevere e l’esempio
migliore a cui possa ispirarmi. Con loro ringrazio tutta la mia famiglia, che
ha tollerato con pazienza le mie tensioni, gioito con me per le soddisfazioni,
compreso tutte le mie scelte. Un grazie speciale a Antonio, che, in questi sei
anni, con il suo amore, il sostegno e la capacità di capirmi, è sempre stato
un rifugio prezioso e una fonte inesauribile di fiducia e ottimismo. Grazie ad
Augusta e Gianni, per tutto l’affetto che mi danno. Ringrazio Roberta, amica
e compagna di studi indimenticabile; le nostre lunghe chiacchierate hanno
dato un contributo speciale a questo lavoro. Grazie ad Annalisa, e a tutte le
compagne d’Università, per questi bellissimi quattro anni. Grazie a Fulvio e
a Massi per il supporto tecnologico e la costante disponibilità. Un grazie
particolare va a Francesca, per le esperienze e le emozioni condivise.
Infine sono grata a tutti gli amici, Ifan, Riccardo, Valeria e tutti gli altri,
nessuno escluso: la loro presenza è stata indispensabile per affrontare
quest’ultimo periodo di intenso lavoro.
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Ringraziamenti
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Ringraziamenti
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