Innovazione tecnologica in una organizzazione ad alto rischio
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Innovazione tecnologica in una organizzazione ad alto rischio
Università degli Studi di Milano – Bicocca Facoltà di Sociologia Corso di Laurea in Sociologia Quadriennale L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA IN UN’ORGANIZZAZIONE AD ALTO RISCHIO La nuova sala operativa per il Controllo del Traffico Aereo di Milano Linate Relatore: prof. Maurizio CATINO Correlatore: prof. Federico BUTERA Tesi di Laurea di: Claudia PORTOLECCHIA Matricola 029197 Anno Accademico 2002/2003 Ad Antonio, che mi è stato accanto sempre, appoggiando ogni mia scelta con amore infinito… Grazie, dal profondo del mio cuore. Indice Indice INTRODUZIONE .............................................................. 5 1. SLITTAMENTI COGNITIVI NEI PROCESSI DI INNOVAZIONE .............................................................. 12 1.1 Il contesto formativo: la “razionalità dell’ovvio” ......... 13 1.1.1 Nascita e formazione del contesto formativo ............... 14 1.1.2 Il contesto reagisce all’innovazione ........................... 16 1.2 Progettare l’innovazione ............................................ 17 1.2.1 Gestire l’innovazione: il ruolo del progettista .............. 19 1.2.2 Mettere in discussione e rinnovare i significati condivisi 20 1.2.3 Stress e innovazione ............................................... 23 1.3 Gli errori nell’innovazione: quando il cambiamento si fa pericoloso....................................................................... 26 1.3.1 La dinamica degli incidenti organizzativi..................... 27 1.3.2 Nuovi fattori nel sistema: come reagiscono le barriere protettive? ..................................................................... 31 1.3.3 La relazione tra azioni, errori e cambiamento.............. 35 2. IL MODELLO DI RIFERIMENTO: SHELL ...................... 41 2.1 La prospettiva d’analisi ............................................. 41 2.1.1 Un approccio sistemico alle organizzazioni.................. 41 2.1.2 Gli strumenti dell’ergonomia..................................... 45 2.2 Il modello SHELL ...................................................... 49 2.2.1 I principi fondamentali del modello............................ 50 2.2.2 Interazioni e criticità: come scoprire gli errori dl sistema .................................................................................... 52 2.2.3 I campi d’applicazione ............................................. 57 3. IL CONTESTO DELLA RICERCA................................... 63 2 Indice 3.1 L’ambito di riferimento .............................................. 64 3.1.1 Il Controllo del Traffico Aereo (ATC) .......................... 64 3.1.2 Il lavoro dei controllori del traffico aereo .................... 67 3.1.3 Principi comunicativi nel Controllo del Traffico Aereo. ... 70 3.2 Oggetto della ricerca ................................................. 74 3.2.1 Oggetto dello studio................................................ 74 3.2.2 L’ACC – cos’è. ........................................................ 74 3.2.3 L’ACC come centro di coordinamento......................... 76 3.3 Strumenti e metodi per l’analisi ................................. 81 4. IL CASO: MILANO ACC............................................... 84 4.1 Milano ACC attraverso il modello SHELL: la vecchia sala controllo. ........................................................................ 85 4.2 Liveware/Hardware ................................................... 86 4.2.1 Il nucleo: lo schermo radar ...................................... 88 4.2.2 Il rapporto controllore – macchina............................. 90 4.3 Liveware/Software .................................................... 92 4.3 Liveware/Liveware .................................................... 96 4.3.1 I ruoli ................................................................... 97 4.3.2 Le comunicazioni .................................................. 100 4.3.3 La socializzazione ................................................. 101 4.4 Liveware/Environment .............................................104 4.5 Riepilogo .................................................................106 5. IL PROCESSO D’INNOVAZIONE ................................108 5.1 Genesi del cambiamento ..........................................108 5.2 La nuova sala controllo ............................................112 5.3 Liveware/Hardware ..................................................114 5.2.1 Il nuovo schermo radar ......................................... 115 5.2.2 Vantaggi e svantaggi............................................. 117 3 Indice 5.3 Liveware/Software ...................................................119 5.3.1 Nuovi schemi d’azione ........................................... 119 5.3.2 Un sistema più rigido a garanzia del rispetto delle regole .................................................................................. 121 5.4 Liveware/Liveware ...................................................123 5.4.1 L’innovazione fa nascere una nuova figura professionale .................................................................................. 124 5.4.2 L’impatto del cambiamento sulle relazioni tra controllori .................................................................................. 126 5.5 Liveware/Environment .............................................128 5.6 Riepilogo .................................................................130 6. LA RISPOSTA DEI SOGGETTI COINVOLTI NEL CAMBIAMENTO.............................................................132 6.1 Ottobre 2002 / marzo 2003: aspettando l’innovazione .....................................................................................133 6.2 Aprile 2003: la fase di adattamento..........................136 6.3 Maggio 2003: l’innovazione diventa prassi ................139 6.4 Riepilogo .................................................................143 7. CONCLUSIONI: IMPLICAZIONI PER LA TEORIA E LA PRATICA ......................................................................146 7.1 La progettazione ......................................................148 7.2 L’innovazione è apprendimento ................................150 7.3 Lo spazio della comunicazione ..................................151 7.4 Progettare in vista degli errori ..................................153 BIBLIOGRAFIA .............................................................162 RINGRAZIAMENTI ........................................................164 4 Introduzione Introduzione Nella vita il cambiamento è una costante. Ogni esperienza costituisce un fattore di rinnovamento e di evoluzione per colui che ne è partecipe, sia esso un uomo o un sistema organizzativo. Per non rischiare di rimanerne sopraffatti, è necessario comprendere e analizzare questa transitoria fase di trasformazione al fine di prevedere i suoi possibili ed eventuali effetti. Nel nostro lavoro di ricerca abbiamo affrontato il cambiamento che avviene nelle organizzazioni ad alta affidabilità quando si introduce un elemento di innovazione particolarmente vasto, tecnologica. abbiamo Poiché ristretto questo ancor di è più un campo l’ambito di osservazione, scegliendo un’organizzazione particolare, quella che gestisce il Controllo del Traffico Aereo (ATC). Di fronte ad un mutamento le domande sono illimitate. Il problema è che nessuno ha tutte le risposte, poiché, per quanto l’innovazione possa essere studiata e prevista, esiste sempre un alone di incertezza e un vuoto cognitivo che solo il tempo potrà colmare. Il nostro obiettivo è stato quello di capire come ci si prepara ad affrontare un cambiamento, che strategie si adottano per una buona riuscita; particolare attenzione abbiamo dato agli attori partecipi dell’innovazione, sia chi progetta e gestisce le modifiche, sia chi vive la transazione in prima persona. La storia di un’organizzazione ad alta affidabilità, quale il Controllo del Traffico Aereo, piuttosto che una centrale nucleare, è densa di momenti di passaggio, rivoluzioni determinanti e costruttive. Noi abbiamo voluto capire come, di fronte a una tale discontinuità l’organizzazione riesca a mantenere tanto una stessa cultura organizzativa quanto una medesima filosofia di fondo. Come reagiscono i soggetti coinvolti? Come vengono preparati ad affrontare la novità? Secondo quali criteri il progettista introduce l’innovazione? Molti sono gli interrogativi e ancor di più le risposte possibili. Non esistono regole che possono essere sempre valide e adeguate a tutte le organizzazioni. Ognuna è a sé. Ogni sistema deve trovare la via giusta sulla base delle proprie caratteristiche e necessità. 5 Introduzione Rinnovare un sistema è sempre una forma di sviluppo positivo per l’organizzazione, uno sviluppo in cui i vantaggi sono chiari agli occhi di tutti, anche se può servire del tempo per vederli e apprezzarli. Posto che l’evoluzione tecnologica è inarrestabile, e che le organizzazioni devono stare al passo con l’innovazione per non perdere in competitività, ciò che il nostro occhio indagatore vuole cogliere è come viene affrontata la delicata fase del cambiamento. Se identifichiamo come una zona nera il futuro dell’organizzazione che si prepara a cambiare, e, di contro, come una zona bianca la situazione attuale, in equilibrio, dell’organizzazione stessa, possiamo considerare il momento di passaggio con una zona grigia. La fase di transazione è una nebulosa di cui molto può essere previsto e programmato, ma in cui rimane uno spazio aperto a variabili imprevedibili: dalle inattese risposte del sistema tecnologico, al rifiuto del cambiamento da parte dei soggetti, dai tempi di assestamento e accettazione, a quello che sarà il reale utilizzo della novità introdotta. Come Barley (1986) ci ha ampiamente dimostrato, ogni cambiamento è a sé. Non esiste un’innovazione uguale all’altra, né è possibile che due organizzazioni rispondano nello stesso modo di fronte alla medesima novità. La nostra ipotesi è che, soprattutto nelle organizzazioni ad alta affidabilità, dove al centro sta la sicurezza e la stessa sopravvivenza dei soggetti interessati, il processo di innovazione tecnologica deve essere gestito ponendo al centro i fattori umani. I reali protagonisti sono coloro che dovranno vivere il cambiamento in prima persona. Il sistema andrà limato, adattato, adeguato, migliorato, sulla base delle esigenze e delle competenze dei soggetti; l’innovazione verrà introdotta a seconda dei tempi che gli attori impiegheranno per comprenderla e accettarla, per adattarsi e coglierne i vantaggi. Di conseguenza, prima che la novità diventi operativa, deve essere organizzato un periodo di apprendimento, in cui far sì che tutti i lavoratori coinvolti comprendano realmente la portata del cambiamento che li aspetta. Solo quando queste condizioni saranno realizzate, solo allora l’innovazione potrà diventare una realtà, una novità sicura e affidabile capace di offrire un servizio che non metta in pericolo la vita di alcuno. 6 Introduzione Se queste condizioni non vengono rispettate i rischi dell’innovazione aumentano a livello esponenziale. Ogni organizzazione si crea delle barriere protettive in profondità, barriere che reagiscono alle continue criticità dell’ambiente, annullando così i pericoli che si presentano di continuo. In questo scenario utilizzeremo quelli che Reason (1990) definisce errori attivi e latenti: i primi sono commessi in front line dagli operatori, i secondi sono presenti da tempo depositati tra le fratture del sistema difensivo. Il rischio che le organizzazioni corrono costantemente, è che si possa creare la giusta sequenza di eventi che dia origine alle condizioni per cui tutte le falle del sistema si colleghino l’una all’altra, bucandone le barriere fino ad arrivare in superficie e provocare la catastrofe. Perché la fase del cambiamento assume particolare rilievo in questo scenario? Semplicemente perché la scorretta introduzione dell’innovazione può avere un duplice effetto: da una parte può far sì che il soggetto poco addestrato, e che non ha ancora compreso l’innovazione, abbia più probabilità di commettere qualche errore in prima linea mettendo in pericolo tutto il sistema difensivo. Dall’altra perché se il sistema nel suo complesso non viene adeguatamente preparato, si rischia di introdurre proprio nelle sue barriere quei fattori critici e pericolosi che diventeranno condizioni latenti pericolose per l’organizzazione. Nella nostra ricerca abbiamo cercato di capire come è stato gestito il cambiamento tecnologico nella sala di Controllo del Traffico Aereo (ATC) di Milano Linate. Qui, infatti, tra il 2002 e il 2003 è stata aperta la nuova sala operativa (ACC, Area Control Center), con una strumentazione del tutto nuova e un nuovo ambiente di lavoro. Ci siamo chiesti, inoltre, quali sono le trasformazioni apportate dall’innovazione, com’è stato portato avanti il cambiamento, come sono stati preparati gli operatori e che risposte questi hanno dato. Ci siamo concentrati sul passaggio, sullo spostamento da vecchio e nuovo, sulla preparazione e sulle reazioni dei controllori. I limiti di questo lavoro riguardano, a nostro avviso, proprio la dimensione di breve periodo, la consapevolezza di non poter cogliere gli effetti reali della novità, i modelli d’azione e le strategie operative che si consolideranno nel nuovo ambiente. D’altra parte, però, i vantaggi che derivano dal soffermare 7 Introduzione l’attenzione sul momento preciso sono altrettanto validi. Non rischiamo di sotterrare nulla, non permettiamo che l’adeguamento e l’adattamento al nuovo, ci facciano dimenticare gli sforzi, gli errori, i rischi, i meriti di tutti i soggetti che hanno gestito il cambiamento. Particolare importanza verrà dedicata agli errori, nell’intento di considerare l’errore come una risorsa, un’occasione di apprendimento, un momento di riflessione e di rielaborazione sul proprio operato. Non facciamo nostra la logica dell’errore umano, né quella dell’errore tecnico; in questo lavoro il nostro intento è di accettare la teoria dell’errore organizzativo (Catino 2002) secondo cui quando si verifica un incidente non esiste un solo responsabile e non ha senso la caccia al colpevole. I disastri derivano da eventi diversi che entrano in relazione tra loro. Il legame tra cambiamento ed errore si spiega sulla base di questo presupposto: la progettazione e l’introduzione di una nuova tecnologia in un sistema ad alto rischio devono avvenire in vista di un possibile errore. Ciò su cui vogliamo puntare l’attenzione è il concetto per cui chi gestisce il cambiamento deve sempre essere consapevole delle conseguenze possibili o probabili delle sue decisioni. Quando si interferisce nell’equilibrio di un sistema è d’obbligo considerare tutte le interconnessioni tra le componenti del sistema così da non inserire fattori che, in un futuro vicino o lontano, possano tramutarsi in pericoli per l’organizzazione stessa. L’introduzione di una innovazione non deve portare con sé gli errori di chi l’ ha progettata. Per cercare di capire quali sono gli aspetti di maggiore importanza abbiamo utilizzato il modello metodologico SHELL elaborato in un primo tempo da Edwards nel 1972, e poi rivisto da Hawkins nel 1987. Tale modello prevede che un sistema è affidabile se le componenti di cui è composto (Liveware, Hardware, Software, Environment) interagiscono tra loro in modo continuo, costante e sicuro. Su questa base abbiamo analizzato la vecchia e la nuova sala ACC confrontandole secondo le stesse variabili di riferimento: se cambia la tecnologia, la strumentazione, l’ambiente, le pratiche operative, i compiti dei soggetti, come cambiano le relazioni tra tutte le componenti? Come si assicura la sicurezza del sistema? Quali vantaggi o svantaggi? 8 Introduzione Al centro della nostra analisi è il controllore del traffico aereo. Cercheremo di capire come è cambiato il suo rapporto con la tecnologia, come muta il lavoro di squadra, cosa si aspetta e che conferme trova nella nuova sala operativa. Il lavoro di ricerca si articola in due sezioni: la prima racchiude i capitoli 1 e 2; è la parte teorica sia per la tradizione di ricerca sia per la metodologia. Nel primo capitolo cerchiamo di definire le linee guida dell’analisi, i filoni teorici a cui far riferimento, in sintesi ciò che lo stato attuale dell’arte propone e sostiene sul tema dell’innovazione tecnologica. Nel secondo capitolo, si affronta il modello SHELL collocandolo all’interno di un particolare filone metodologico e cercando di capire come verrà applicato nel nostro caso. Si apre, di seguito, la fase più legata alla ricerca a Milano Linate. Nel capitolo 3 indaghiamo qual è il contesto d’analisi, cercando di capire che cosa si intende per Controllo del Traffico Aereo. È questo un mondo estremamente affascinante e di particolare interesse, ma allo stesso tempo molto complesso. Passeremo poi al caso specifico: nel quarto capitolo analizziamo la vecchia sala secondo il modello SHELL, e la stessa cosa, per la sala nuova nel capitolo successivo. Il sesto capitolo concentra l’attenzione sulla dimensione più strettamente umana: cercheremo di comprendere come sono cambiate, nel tempo, le reazioni dei controllori. Le aspettative e le ansie, le preoccupazioni e le difficoltà concrete, i primi segnali positivi e la ritrovata sicurezza nel nuovo ambiente di lavoro. La ricerca si chiude con il capitolo 7, in cui si ritorna ai presupposti teorici iniziali per cercare di interpretare il caso Milano ACC al fine di proporre le eventuali implicazioni teoriche e, se è possibile, pratiche, per un eventuale cambiamento futuro. In questa sezione presenteremo quelli che, a nostro avviso, sono i passaggi che non devono mancare nelle fasi di introduzione di un nuovo sistema tecnologico. In riferimento alla tradizione teorica di riferimento e a ciò che abbiamo colto dalla nostra esperienza a Milano Linate, abbiamo proposto dei suggerimenti che possono costituire una piccola guida per chi deve gestire un qualunque cambiamento organizzativo, di qualunque portata esso sia. 9 Introduzione Indicheremo quattro momenti fondamentali per la buona riuscita di un cambiamento; primo tra tutti è la fase di progettazione dell’innovazione: chi ne è responsabile? Quali competenze sono richieste? Che genere di collaborazioni vanno accentuate? Che cosa deve essere osservato con maggiore attenzione? In secondo luogo c’è il momento di apprendimento e addestramento al nuovo: i vertici dell’organizzazione interessata devono predisporre un periodo in cui i soggetti siano adeguatamente preparati per affrontare la novità. Non si fa riferimento al solo insegnamento, ma alla più importante comprensione del nuovo da parte degli utenti. Se si è capaci di interpretare un processo innovativo nel suo complesso, sarà più facile gestirlo con tranquillità e competenza. In terzo luogo abbiamo pensato al coinvolgimento degli utenti coinvolti nel processo. L’innovazione non deve essere calata dall’alto e imposta dai vertici aziendali, ma un’evoluzione i cui protagonisti siano, prima di tutto, gli operatori. Infine, come quarto e ultimo punto abbiamo identificato un preciso atteggiamento che deve essere di tutti, ma soprattutto di coloro che preparano l’ambiente ad accogliere l’innovazione. Bisogna progettare in vista degli errori. I soggetti responsabili devono far attenzione a non creare possibili crepe nella struttura, a indebolire le barriere difensive del sistema, a non sfibrare le maglie delle interazioni che rendono l’organizzazione affidabile. Pur avendo dedicato una apposita sezione del lavoro ai ringraziamenti, è doveroso da parte mia manifestare fin d’ora la mia più grande riconoscenza a tutti coloro che lavorano presso il centro Enav a Milano Linate. Primi fra tutti Severino Vinante e Graziano D’Agostini che mi hanno seguita con grande cura e attenzione; allo stesso modo ringrazio tutti i controllori per la loro disponibilità e l’impagabile simpatia. Un grazie particolare a Marco Asprea, fotografo ufficiale di Milano ACC, per le sue meravigliose fotografie che esporrò nella mia Tesi di Laurea. 10 Introduzione 11 Capitolo 1 1. Slittamenti cognitivi nei processi di innovazione Le organizzazioni, nelle loro evoluzioni storiche, vivono inevitabilmente dei cambiamenti determinati da fattori esterni oppure interni. Questi processi possono avere un peso maggiore o minore sullo sviluppo organizzativo, modificandolo alle radici, o ridefinendone i confini in modo quasi impercettibile. Qualunque di queste ipotesi si realizzi nel concreto, l’esito è sempre un’innovazione della struttura organizzativa considerata. È necessario tener presente, però, che il risultato di un’innovazione sull’organizzazione è decisivo per il futuro dell’organizzazione stessa. L’introduzione di una novità in un sistema in equilibrio può creare una frattura, sbilanciando la struttura nel complesso. Quindi, per cambiare un’organizzazione non basta rinnovarla nella tecnologia; una tecnologia migliore non genera direttamente un sistema migliore. E’ fondamentale che il processo di rinnovamento sia gestito nel modo corretto attraverso una preparazione al nuovo di tutti coloro che ne saranno coinvolti. Una fase di innovazione tecnologica ha successo ed è positiva se viene gestita in modo da apparire un’evoluzione naturale del sistema. Prima di cercare di capire che influenza possa avere un processo di innovazione, e come esso sia vissuto dai membri che fanno parte della struttura interessata, è necessario fare un passo indietro e affrontare per gradi il cambiamento organizzativo. Come punto di partenza vogliamo considerare la base della struttura in cui deve realizzarsi l’evoluzione innovativa. Ruoli, gerarchia, distribuzione del potere, obiettivi e mezzi necessari a conseguirli; in sintesi i principi fondamentali che danno senso alla cultura organizzativa. Questa base comune e condivisa costituisce il punto di partenza della nostra analisi, che affronterà poi le diverse fasi di sviluppo coinvolte nei processi di cambiamento. Uno sguardo particolare sarà infine rivolto alle disfunzioni, ai rischi, agli inconvenienti, inscindibili trasformazione. 12 da qualunque percorso di Capitolo 1 1.1 Il contesto formativo: la “razionalità dell’ovvio” Conosciamo il mondo, ci orientiamo in esso e riusciamo a fare esperienze diverse, perché siamo in possesso di uno strumento fondamentale: il senso comune, ovvero ciò che diamo per scontato nella vita di tutti i giorni. Le immagini e gli oggetti che ci circondano acquistano significato solo quando li relazioniamo con il contesto più generale, in cui siamo immersi nel momento stesso in cui compiamo un’azione. Più accumuliamo esperienze diverse, più riusciamo ad ampliare il territorio del dato per scontato. “Noi vediamo e sentiamo gli oggetti in un contesto da cui li ritagliamo, li costruiamo su uno sfondo che contiene infinite opportunità. La nostra conoscenza e la nostra percezione sono innestate sui corsi d’azione che noi intraprendiamo” (Mantovani, 2000 p. 31). Ciborra e Lanzara (1999; p. 10) mettono in relazione il concetto di senso comune con le strutture organizzative. In questo panorama, e con il supporto di Unger, la base di conoscenze date per scontate prende il nome di “contesto formativo”: “Un contesto formativo è l’insieme degli assetti e meccanismi istituzionali, e delle immagini e presupposti cognitivi ad essi associati, che gli attori portano con sé e attivano abitualmente in una situazione d’azione”. Questa base di conoscenza condivisa costituisce la premessa, lo sfondo, su cui si sviluppano le attività quotidiane degli attori che lavorano nell’organizzazione. Esiste un contesto formativo là dove esiste un’azione e viceversa; le due dimensioni sono intimamente legate l’una all’altra in quanto il contesto pone vincoli, dà direzione e significato, e fissa un campo di opportunità per l’azione stessa. Un contesto formativo assume maggiore forza quanto più è dato per scontato dagli attori che in esso agiscono: benché costituisca il terreno per l’esecuzione delle routine, gli attori ne sono inconsapevoli nel momento in cui quotidianamente svolgono le loro pratiche 13 Capitolo 1 e discutono di lavoro. Unica, ma fondamentale eccezione, sono gli eventi di rottura, i breakdowns che interrompono improvvisamente il flusso regolare dell’esperienza. In questi momenti è necessario che tutte le premesse siano messe in discussione e che ciò che fa parte della conoscenza di base venga rielaborato. Un classico breakdown è l’introduzione di una nuova tecnologia; vedremo in seguito come tali criticità sono superate dall’organizzazione. Il contesto formativo plasma la conoscenza pratica di chi lavora, manifestandosi in tutte le azioni, le situazioni, e i comportamenti degli attori. Esso possiede un’aura di naturalezza e di ovvietà che lo rende invisibile a chi quotidianamente vi svolge il proprio lavoro; chi si muove al suo interno non è tenuto a interrogarsi o sollevare problemi riguardo a ciò che sta facendo. Gli artefatti presenti in quest’ambiente, e necessari per compiere i compiti lavorativi quotidiani, sono usati irriflessivamente, gli operatori non li vedono più. Questo insieme di regole è ricostruito a partire dalle regolarità osservate nel comportamento che rispondono al principio della “razionalità dell’ovvio”: la conoscenza e l’esperienza sigillate nei contesti formativi sono risorse cognitive prontamente disponibili che non devono essere poste in discussione o verificate ogni volta che si usano. 1.1.1 Nascita e formazione del contesto formativo Sono le organizzazioni stesse, in qualità di strutture “densamente istituzionalizzate”, a fornire tutte le regole e le norme necessarie agli attori per interpretare la realtà, al fine di adottare i comportamenti collettivi appropriati e a legittimare i sistemi d’azione. Ma non bisogna pensare che questo sia un processo unidirezionale; la conoscenza passa dall’organizzazione agli attori che, a loro volta, la rielaborano, la rinnovano, in un processo continuo e costante che fa parte della riproduzione storica della struttura organizzativa. Il contesto formativo si sviluppa nel tempo, racchiudendo in sé i comportamenti e le regole che ciclicamente si ripresentano e che dell’organizzazione risultano stessa. È positivi un e funzionali processo 14 continuo per e lo sviluppo costante di Capitolo 1 riproduzione dei modelli efficienti, ma allo stesso tempo un lento ripensamento e riadattamento di tutta la cultura organizzativa. La presenza di questa seconda dimensione è fondamentale nel momento in cui l’organizzazione deve affrontare un qualsiasi cambiamento. “Norme, valori e sistemi di conoscenza agiscono come dei libretti d’istruzioni che aiutano gli individui a esplorare e a decodificare l’ambiente organizzativo, e a definire il proprio ruolo al suo interno” (Ciborra, Lanzara, 1999 p. 104). per In sintesi il contesto formativo fornisce le “ricette” basilari muoversi correttamente nell’organizzazione in condizioni non problematiche, dando vita agli schemi, e alle azioni routinarie che diventano il modo naturale e scontato di fare le cose. Le routine incorporano una conoscenza pratica immediatamente disponibile, tacita, istituzionalizzata e data per scontata, una conoscenza che si è radicata da tempo nel substrato organizzativo. Il contesto formativo costituisce la base di premesse, di conoscenza tacita che gli attori utilizzano; esso modella la struttura organizzativa, pone vincoli, dà direzioni, fornisce significati e definisce le possibilità per l’azione. Tra le informazioni racchiuse nel contesto formativo, gli attori non solo trovano il senso delle loro azioni, ma soprattutto recuperano il significato degli oggetti sociali, i confini del loro mondo operativo, grazie alle certezza che tale cornice di riferimento fornisce. Nelle organizzazioni esiste uno spazio di definizione e creazione delle pratiche d’azione che sono allo stesso tempo la base e il risultato delle pratiche di cooperazione e negoziazione con cui la comunità filtra i vincoli esterni e le risorse a disposizione, in questo modo la comunità vive e si riproduce. Le precedenti interpretazioni condivise creano una base per la negoziazione senza imporre significati stabili o soluzioni preordinate (Mantovani, 2000). È infine da sottolineare la duplice dimensione, cognitiva e istituzionale, del contesto formativo. Esso, infatti, se da una parte dà forma alle abilità individuali e alle routine organizzative che sostengono le pratiche quotidiane, dall’altra spiega la combinazione e la riproduzione dei fenomeni cognitivi e istituzionali che influenzano la progettazione e l’adozione di nuove tecnologie. 15 Capitolo 1 1.1.2 Il contesto reagisce all’innovazione La forza del cambiamento smuove il contesto formativo. Se ci limitiamo a pensare che il contesto è naturale, intrinseco nei processi di produzione organizzativa, ne deduciamo un’immagine in gran parte, rigida, vischiosa, implicita e difficilmente accessibile agli occhi di un osservatore. In realtà il contesto ha in sé un’altra qualità, che, anche se solitamente rimane nascosta nelle routine quotidiane, emerge con forza e con decisione di fronte ad una novità. C’è una componente offuscata, mobile, più fluida, che deve essere scongelata e ristrutturata quando si affronta o si crea un nuovo sistema. Le strategie di cambiamento e di progettazione devono essere capaci di rinnovare le cognizioni e i significati che si nascondono nelle relazioni pratiche tra le persone e i loro contesti formativi. Alla luce di quanto detto sopra è facile capire come questo ammodernamento non è facile a realizzarsi perché l’esecuzione delle routine sconnette sia gli individui sia la struttura organizzativa dal contesto soggiacente, che diventa invisibile. La forza del contesto formativo è tale da entrare in gioco anche quando gli attori devono sviluppare innovazioni o progettare alternative per aumentare l’efficacia del sistema. Il senso di sicurezza che emerge da questo solido substrato, crea delle routine difensive di cui gli operatori si armano nel momento in cui devono effettuare esperimenti. L’introduzione di un nuovo sistema informativo ossia una nuova tecnica di raccolta, elaborazione e distribuzione delle informazioni, può imporre una modifica e una riformulazione delle basi cognitive che orientano le azioni e la capacità umane. In questi momenti di rinnovamento i soggetti hanno paura di mettere in discussione l’ovvietà del contesto; per difendersi e per mantenere le proprie sicurezze, essi attivano solo routine difensive, con il rischio di entrare in una fase di inerzia cognitiva. Se è vero che nel breve periodo le difese riducono l’ansia e mantengono in equilibrio il sistema, nel lungo periodo esse rischiano di inibire l’apprendimento e la correzione degli errori. Sono una buona ricetta contro il dolore, ma impediscono di curare le cause di quello stesso dolore. 16 Capitolo 1 Più il contesto formativo è radicato, più risulta drammatica l’invasione di un oggetto non familiare come una nuova tecnologia che rivoluziona il sistema, o che introduce nuove modalità d’azione. Il background di presupposti e modi di pensare abituali e dati per scontati, che governano e sostengono, spesso in modo tacito, il sistema di attività pratiche, si ritrova improvvisamente ad affrontare la novità. È quindi necessario che l’innovazione tecnologica sia preceduta da un periodo di preparazione, così che gli attori coinvolti nel cambiamento possano riscoprire le peculiarità del loro sistema, rimetterle in discussione, uscendo da quella fase di economia cognitiva in cui sono inevitabilmente caduti. Questa è l’unica condizione che permetterà ai soggetti di affrontare e vivere l’innovazione senza subirla. 1.2 Progettare l’innovazione Il momento in cui si introduce una innovazione in una organizzazione è sempre estremamente delicato. La tradizione di ricerca a cui ci ispiriamo in questo lavoro, vede in prima linea autori come Barley e Weick, i quali sostengono, tra le altre cose, che quando pensiamo alle organizzazioni dobbiamo pensare loro come a dei processi di strutturazione e non come strutture istituzionali solide e radicate. Soprattutto in riferimento ai moderni sistemi tecnologici, è necessario pensare in termini di complessità interattiva, di dinamismo nelle azioni, di cambiamento continuo e costante. Introdurre una tecnologia in un sistema vuol dire alterare l’organizzazione e la sua struttura occupazionale, i ruoli istituzionali e i modelli di interazione. Barley (1986) interpreta la struttura come un processo, un risultato sociale che nasce dalle azioni delle persone che, a loro volta, sono modellate da forze spesso al di fuori del loro controllo, fattori intrinseci e propri della natura umana. L’organizzazione, dunque, ha una fisionomia duplice: dà luogo e senso alle azioni di chi vi lavora, attraverso le linee direttrici dello specifico contesto formativo, e allo stesso tempo è un prodotto delle azioni umane che in essa si modellano. 17 Capitolo 1 Così come Giddens, Barley ritiene che le proprietà strutturali di un sistema sociale sono allo stesso tempo il mezzo e il risultato delle pratiche che costituiscono quello stesso sistema, e che lo modificano in un processo continuo. Esiste quindi una relazione di reciprocità tra le due facce di ogni struttura organizzativa: il set di tradizioni istituzionalizzate, organizzate nel contesto formativo, dà la possibilità ad azioni diverse di scorrere e modellarsi liberamente, e a loro volta queste azioni plasmano e rinnovano l’istituzione. Questo è il processo di strutturazione. Bisogna però riservare un’attenzione particolare alla componente umana, perché, sempre secondo quanto sostenuto da Barley (1986 p. 80), sul risultato finale della strutturazione assumono un ruolo fondamentale le interpretazioni che gli attori danno agli eventi, il diverso accesso che hanno verso le risorse, e le cornici interpretative che legittimano il loro ordine sociale. Il processo di negoziazione e di coordinamento che i soggetti portano avanti, soprattutto attraverso la conversazione continua, porta ad una riformulazione costante dalla struttura basilare dell’organizzazione. Ma, nel momento in cui il sistema sociale incontra degli shock esogeni, come l’acquisizione di una nuova tecnologia, l’equilibrio appena delineato può essere messo in pericolo. Le innovazioni tecnologiche diventano occasioni per regolare in modo nuovo le dinamiche sociali che in seguito potranno modificare o mantenere i confini dell’organizzazione. Non bisogna dimenticare, però, che il contesto formativo istituzionalizzato può condizionare fortemente le reazioni degli attori nell’affrontare l’adozione della novità. È vero che l’influenza delle tecnologie dipende dallo specifico processo storico in cui sono coinvolte, ma l’incertezza rimane una costante di tutto il periodo introduttivo indipendentemente dal contesto e dalla fase storica che l’organizzazione sta vivendo in quel momento. Alla luce di tale ambiguità, e delle difficoltà che i soggetti coinvolti incontrano sempre nell’affrontare un cambiamento, è necessario progettare le tecnologie sulla base del contesto. Se da un lato tale progettazione è necessaria per migliorare la qualità delle interfacce ed elevare l’affidabilità del sistema, dall’altro è un compito arduo, perché il contesto non è definibile una volta per tutte. Nei prossimi paragrafi, è nostra intenzione cercare di 18 Capitolo 1 capire meglio cosa voglia dire progettare e gestire un’innovazione all’interno di una struttura organizzativa consolidata, partendo da alcune regole che un buon progettista dovrebbe seguire per raggiungere un risultato ottimale. 1.2.1 Gestire l’innovazione: il ruolo del progettista Una delle tesi che sosteniamo in questo lavoro è che è necessario che ogni innovazione sia preceduta da una corretta gestione del cambiamento, al fine di preparare il sistema organizzativo e, soprattutto, i soggetti coinvolti, ad accogliere il nuovo. La tecnologia deve poter essere reinventata e riprogettata all’interno della comunità, che assume il compito di mediare tra i significati attribuiti alle tecnologie dai progettisti e l’uso che ne verrà fatto nelle pratiche quotidiane. Il ruolo di chi progetta un’innovazione non è semplice; il singolo o il gruppo addetto a questo compito deve farsi un’idea molto chiara dell’ambiente sul quale dovrà intervenire. È necessario che la progettazione e il disegno delle tecnologie sia centrato sui processi di interazione sociale e di comunicazione all’interno della comunità interessata. Questi processi possono essere colti attraverso osservazioni etnografiche e analisi discorsive di ciò che le comunità fanno nel loro contesto operativo: conoscere le pratiche organizzative e comunicative è essenziale per progettare e valutare efficacemente le nuove tecnologie. Per preparare accuratamente un cambiamento, un buon ricercatore dovrebbe documentare i modelli di comportamento tradizionali, le interazioni e le interpretazioni dell’organizzazione prima dell’arrivo della tecnologia, per poi essere in grado di spostare l’attenzione, dal contesto istituzionalizzato alle pratiche sociali messe in atto una volta che la tecnologia arriva nel sistema. La struttura tecnologica di un’organizzazione deve mediare la costruzione sociale della specifica realtà, sostenendo i processi di comunicazione e collaborazione tra i membri della comunità sociale formata dagli operatori. Ne segue che la nuova tecnologia, deve essere progettata come un sistema in grado di conciliare la conoscenza distribuita e situata con i nuovi significati apportati dall’innovazione. A questo proposito, Mantovani (2000) 19 Capitolo 1 sostiene che una progettazione dovrebbe puntare a realizzare “tecnologie vuote”: “Tecnologie vuote significa che il sistema deve incorporare dentro di sé un repertorio di usi significativi, alla definizione del quale gli utenti devono attivamente contribuire, e deve mantenere la complessità dei compiti come parte integrante dei significati che si stanno negoziando” (p.201). Nella progettazione delle nuove tecnologie bisogna mantenere uno spazio finalizzato alla costruzione dei significati che gli attori coinvolti vorranno attribuire al nuovo sistema, sulla base dell’utilizzo che sceglieranno di farne. Il concetto di tecnologia vuota è di particolare interesse, perché sottolinea con chiarezza la necessità di lasciare uno spazio d’azione agli operatori, un ambito fondamentale in cui i soggetti siano liberi di apprendere la novità, capirla e decidere in modo condiviso il tipo di utilizzo che è possibile farne per il bene dell’organizzazione. Le innovazioni devono essere progettate considerando le pratiche dei lavoratori, legati tra loro da un sistema di pratiche sociali e materiali che si è consolidato nel tempo. I soggetti costruiranno attivamente il significato della nuova tecnologia sulla base dei vincoli posti dal contesto formativo alla base. I sistemi vuoti incorporano molta analisi, organizzazione e previsione di possibili ed efficaci interazioni negoziali. Il progettista deve creare il nuovo ipotetico modello di cooperazione tenendo in considerazione, allo stesso modo, le caratteristiche della situazione e gli scopi degli attori. 1.2.2 Mettere in discussione e rinnovare i significati condivisi Gli attori di un’organizzazione interpretano gli eventi che si presentano quotidianamente, sulla base di una storia comune e condivisa. Tale senso comune delimita e vincola i possibili significati degli avvenimenti, e in più diventa una risorsa per la costruzione di nuovi “pezzi” di repertorio condiviso. Questo duplice risvolto interpretativo si spiega sulla base dell’irriducibile ambiguità del significato, delle situazioni come degli oggetti, ambiguità che si rivela tanto un limite quanto una risorsa. Le circostanze dell’azione mutano continuamente: in condizioni normali la flessibilità degli operatori e la loro comune visione del mondo in cui 20 Capitolo 1 lavorano, riducono inconsciamente le dal diverse contesto variabili formativo. in schemi Nel prefissati, momento in cui, attinti però, all’inevitabile variabilità delle condizioni si aggiunge l’introduzione di un’innovazione, allora ai soggetti possono facilmente venire a mancare solidi punti di riferimento. Affinché la gestione del cambiamento in un sistema organizzativo abbia buon esito, un ruolo importante lo ricopre il progettista; altrettanto fondamentale è la reazione dei soggetti direttamente coinvolti nell’innovazione. Questi, infatti, devono essere pronti a riattivare tutte le conoscenze di cui sono in possesso, in particolar modo quelle date per scontate, al fine di interpretare e conoscere il nuovo sistema in modo comune e condiviso, mantenendo così quell’ordine organizzativo che permette al sistema di proseguire senza interruzioni il suo processo produttivo. Weick (1990) e Mantovani (2000) sottolineano con forza quanto sia importante assumere la capacità di sviluppare significati condivisi. L’ordine che esiste in un’organizzazione è sempre negoziato, situato localmente: l’ordine non sta nella gerarchia, ma nell’esistenza di un significato condiviso nella comunità, e la struttura gerarchica è solo un mezzo per assicurarne il mantenimento. Modelli di cooperazione e di negoziazione dei significati consolidatisi nel corso della storia organizzativa fanno sì che gli attori sviluppino una serie di concetti condivisi che permettono loro di affrontare la quotidianità con relativa tranquillità. Secondo Weick (1993) il modello di cooperazione delle specifica organizzazione condiziona il contesto dell’interazione tra i soggetti; ne segue che l’introduzione di una nuova tecnologia altera inevitabilmente i processi d’interazione, poiché essa non è mai trasparente per i suoi utilizzatori. La prima cosa che gli utenti cercano di fare è dare un senso agli artefatti che compongono il sistema, questo perché gli operatori davanti ad una nuova tecnologia devono allo stesso tempo continuare a fare il loro lavoro nel team, e dare senso alla nuova tecnologia per riuscire ad usarla nel modo giusto. 21 Capitolo 1 L’ambiguità propria delle nuove tecnologie fa di esse dei fenomeni sfuggenti perché sono sistemi caratterizzati da casualità, complessità e astrattezza; questa indeterminatezza impone che per permettere una buona gestione del sistema si dedichi del tempo allo sviluppo di un processo di creazione e attribuzione di senso (Weick, 1990). Ritornando ai concetti precedentemente espressi, si capisce così perché è più sensato parlare di strutturazione e di processo in relazione all’introduzione di un’innovazione. Questa si presenta come una fase estremamente dinamica in cui tutto deve essere rimesso in gioco e in cui, soprattutto, gli attori coinvolti devono avere il tempo e gli strumenti per condividere e negoziare i nuovi segnali del sistema, al fine di attribuire ad essi una senso comune e condiviso funzionale al loro compito. È necessario riformulare le relazioni causa – effetto al fine di comprendere le nuove azioni; grazie a tale revisione sarà possibile scoprire legami che inizialmente non si riescono a vedere e che potranno essere riutilizzati nelle progettazioni future. Mettendo in discussione le proprie conoscenze, i nuovi modelli interpretativi permettono, inoltre, di apprendere e interiorizzare nuove competenze funzionali al nuovo sistema tecnico. L’innovazione tecnologica, per essere gestita e compresa, richiede conoscenze fresche e più specifiche, e implica che il soggetto interessato stimoli in sé una dinamicità sconosciuta in passato. Inoltre, la comprensione dello sviluppo tecnologico comporta la necessità di formulare processi più astratti rispetto a prima, di raggiungere una maggiore interdipendenza tra tutti i soggetti coinvolti. Weick (1990) sostiene che per accedere al nuovo, per dargli un senso e un’interpretazione condivisa e negoziata in tutto il sistema organizzativo, è necessario che gli attori sviluppino maggiormente le caratteristiche dell’immaginazione, dell’inferenza, dell’integrazione tra fattori diversi tra loro e allarghino i confini delle proprie mappe cognitive per cercare di capire che tipo di processo si sta sviluppando. Allo stesso modo Barley (1986), secondo cui la tecnologia è un fenomeno esogeno: nel momento in cui arriva in un sistema da una parte conferma dei modelli d’azione preesistenti, ma dall’altra li disturba per mettere in azione quei meccanismi cognitivi che ne riformulino di nuovi. 22 Capitolo 1 1.2.3 Stress e innovazione La conoscenza del sistema e dei suoi molteplici risvolti sull’azione da parte degli operatori, è indispensabile affinché essi riescano a rimetterla in gioco nel momento in cui sono chiamati ad affrontare un cambiamento radicale. Le progressive innovazioni tecnologiche introdotte hanno reso il sistema sempre più macchinoso, opaco e legato a tecnicismi prima sconosciuti. Per poter comprendere e interpretare la complessità dei nuovi sistemi, gli operatori in essi presenti sono costretti ad attivare processi di comprensioni a livelli più astratti e quindi a sforzi cognitivi prima sconosciuti. Ciò comporta inevitabilmente un sovraccarico di lavoro mentale a tutti i livelli. Come sostiene Butera (1988) le tecnologie sono l’insieme delle infrastrutture, degli strumenti, dei metodi, delle macchine, delle applicazioni indispensabili per la realizzazione del processo produttivo. La tecnologia, però non è l’elemento principale: sono le persone, capaci o meno di usare una tecnologia, che innovano e modificano un sistema produttivo. Pensare all’organizzazione come ad un processo in continuo e costante movimento, un’entità in strutturazione incessante, in cui il sistema sociale e la cultura organizzativa si riproducono di frequente, richiede ai soggetti che in essa lavorano uno sforzo non indifferente (Weick, 1990, 1993). Richiamando uno dei più famosi concetti di Goffman, si può sostenere che la stessa persona è nello stesso tempo creatore e attore del processo sociale in cui è immerso. Il problema è che, poiché i nuovi sistemi tecnologici sono per natura ambigui, gli attori si trovano ad agire in un palcoscenico di cui, almeno inizialmente, non riescono a scorgere i confini. Questa incapacità di vedere chiaro di fronte a sé può impedire di comprendere quando si è realmente di fronte a un problema. Weick fa notare come una caratteristica delle nuove tecnologie è che le persone operano in contesti in cui gli eventi di rottura (breakdowns) non sono sempre prevedibili, ma più spesso irregolari e inaspettati. Gli operatori sono spesso portati a chiedere spiegazioni e giustificazioni avvenimenti sui quali, invece, dovrebbero avere il controllo. 23 rispetto ad Capitolo 1 I sistemi computerizzati sono progettati al fine di supportare in modo più efficace i soggetti nelle loro mansioni specifiche; il problema è che le nuove tecnologie finiscono per imporre una maggiore dipendenza dell’uomo dal sistema, perché i computer, spesso, non riescono a dare un’immagine completa e precisa dello stato attuale del processo analizzato (Weick, 1990). Soprattutto nelle fasi in cui la novità viene introdotta nel sistema, l’ambiguità, l’incertezza e la casualità degli eventi rendono l’ambiente meno comprensibile, mentre aumenta il livello di stress nei soggetti. Per chiarire che tipo di difficoltà devono affrontare coloro che si trovano ad affrontare una situazione nuova, o comunque poco sconosciuta, si può pensare a ciò che Rasmussen ha teorizzato a proposito dei livelli di prestazione umana nelle situazioni. Il modello è stato più volte utilizzato da coloro che si occupano di fattori umani e di errori organizzativi (Reason 1997, Sheridan 1988, Roncato 2000, Catino 2002). Rasmussen ha coniato tre definizioni relative a tre diverse strategie di comportamento che gli uomini mettono in atto quando si trovano di fronte a caratteristiche specifiche dell’ambiente: Livello Skill based: comprende le azioni basate sulle abilità e che rispondono ai segni rilevati nell’ambiente. Lo schema è semplice: a seguito di un input c’è una risposta automatica, in pratica una routine. Non c’è retroazione né interpretazione dei segnali ambientali. Livello Rule based: le azioni seguono regole precise, in generale sullo schema “se X allora Y”. La condotta è, in pratica, un automatismo, è guidata dalla forza dell’abitudine. Dopo avere colto e interpretato il segnale, il soggetto attua la procedura appropriata, già sperimentata in passato. I problemi si presentano se si sbaglia nel classificare la situazione e quindi si adotta la prassi errata. Livello Knowledge based: è l’atteggiamento basato sulla conoscenza, messo in atto nel momento in cui si affronta una situazione nuova. In queste occasioni le regole perdono la loro utilità, e l’operatore deve riuscire ad avere chiaro un obiettivo con il relativo piano d’azione per raggiungerlo. I dubbi, e gli eventuali errori, derivano da fenomeni di razionalità limitata, carenza di informazioni o errata interpretazione dei segnali. 24 Capitolo 1 FIGURA 1: La struttura skill – rule - knowledge based di Rasmussen Il soggetto tende a utilizzare modi di controllo differenti a seconda delle situazioni nelle quali si trova ad operare. Se, come nelle condizioni da noi analizzate, si trova a dover apprendere un compito nuovo, ad affrontare una situazione non comune o un cambiamento radicale, il controllo delle proprie azioni comincia dai livelli knowledge, fino ad assestarsi ai livelli successivi a mano a mano che si prende confidenza con la situazione e si assume un maggiore dominio dell’ambiente. All’inizio l’operatore mette in atto un comportamento consapevole, attento, laborioso, allo scopo di capire attentamente l’ambiente che lo circonda, i suoi segnali e il modo in cui deve muoversi. Questo atteggiamento richiede concentrazione e molta attenzione da parte del soggetto; il problema è che l’attenzione è una risorsa limitata, perché lo sforzo che richiede non può essere protratto a lungo. Quando l’innovazione è stata compresa e si è raggiunta una buona comprensione del cambiamento, l’azione diventa automatica e routinaria. L’azione diventa quasi inconsapevole, veloce, ma rischia di limitarsi all’oggetto specifico che conosce annullando tutto il resto. L’attenzione viene meno. In sintesi l’uomo tende a utilizzare modi di controllo differenti a seconda delle differenti situazioni nelle quali si trova ad operare. Nel momento in cui un processo organizzativo, continuo e standardizzato, viene interrotto improvvisamente da fattori (breakdowns o innovazioni) sconosciuti o incomprensibili, il soggetto attiva comportamenti knowledge based, identifica i simboli che conosce, pianifica lo schema 25 Capitolo 1 d’azione che gli sembra più adatto e agisce di conseguenza. Entrano però in gioco reazioni emotive diverse che, sommate all’eventuale impreparazione cognitiva del soggetto, possono avere conseguenze negative sull’intero processo. In questa fase il livello di attenzione e l’adrenalina sono alti, e la prestazione dovrebbe, teoricamente, diventare più affidabile. Se da una parte questo è vero, Weick ed altri autori fanno notare che oltre una certa soglia, l’eccessiva emozione diventa stress e può deteriorare la qualità della prestazione. Questa soglia si raggiunge quando le persone lavorano in condizioni di sovraccarico lavorativo. Un sistema organizzativo nuovo, che in più presenta frequenti e imprevedibili rotture nella continuità del suo processo produttivo, rallenta lo sviluppo dell’apprendimento e induce più facilmente in errore (Weick, 1990). Queste tematiche di particolare interesse sono state affrontate anche nel filone di ricerca relativo al Controllo del Traffico Aereo (ATC) (Bellorini, Decortis, 1994; Bellorini, 1994; Cacciari, Corradini 2001); è stato più volte documentato in che modo la crescente astrattezza del sistema presente nelle nuove tecnologie, renda più difficile anche la professione di coloro che dovrebbero essere abituati a gestire situazioni di per sé imprevedibili e spesso inaspettate. Stress, livello d’attenzione ed errore sono concetti inevitabilmente legati tra loro. Gestire in modo affidabile un cambiamento vuol dire ridurre il più possibile la probabilità che questi fattori si presentino all’interno del sistema. Abbiamo cercato di fornire le regole da seguire per chi progetta e per chi ne è coinvolto in prima persona; ma non tutte le variabili possono essere controllate contemporaneamente quando un’organizzazione sta cambiando. Come vedremo qui di seguito, la possibilità di sbagliare è sempre presente, anche se si è guidati dai migliori propositi. 1.3 Gli errori nell’innovazione: quando il cambiamento si fa pericoloso. 26 Capitolo 1 Le moderne e complesse tecnologie sono dotate di sistemi estremamente sofisticati che hanno permesso di rendere più affidabili anche le barriere protettive. Grazie al costante e grandioso processo di ricerca e sviluppo tecnologico, oggi le organizzazioni hanno difese molto più sicure rispetto al passato; questa evoluzione ha prodotto una drastica e positiva diminuzione degli incidenti agli individui che lavorano nelle organizzazioni. È però emerso un nuovo fenomeno, non meno preoccupante: gli incidenti organizzativi. È vero che più aumenta il livello di complessità tecnologica, più diminuisce la frequenza degli incidenti, ma quei pochi che si verificano assumono dimensioni a dir poco drammatiche. James Reason, uno dei maggiori ricercatori nel campo dell’errore (1990, 1997), sostiene che “gli incidenti organizzativi sono eventi rari, ma spesso catastrofici, che si realizzano all’interno delle moderne e complesse tecnologie” (1997; p. 1). 1.3.1 La dinamica degli incidenti organizzativi Gli incidenti organizzativi sono stati a lungo indagati e analizzati, e inizialmente si è attribuita la loro responsabilità agli uomini e ai loro errori: l’uomo, a causa delle sue naturali e ineliminabili debolezze, si rende colpevole di disastri sempre più catastrofici. La tradizione di ricerca che vede Reason in primo piano, propone una spiegazione diversa di questi fenomeni, ovvero sostiene che le cause scatenanti gli incidenti devono essere recuperate in tutti i livelli dell’organizzazione coinvolta e tutti gli attori in essa presenti vi contribuiscono in qualche modo. Se è vero che questi incidenti possono essere casuali nel modo in cui i fattori si combinano tra loro per provocare il disastro, è altrettanto vero che non c’è nulla di fortuito nell’esistenza degli stessi fattori. Gli assunti di base di questa posizione teorica prevedono che in ogni sistema tecnologicamente avanzato, esistano più livelli di barriere protettive all’interno dell’organizzazione. Nel momento in cui, grazie a particolari condizioni locali, si crea la giusta concatenazione di componenti, e gli errori latenti, presenti nel sistema, si sommano agli errori attivi commessi dagli operatori in azione, si sviluppano le condizioni per cui la forza di tali errori riesce a 27 Capitolo 1 bucare tutti gli strati protettivi posti a difesa del sistema, intercettando quella specifica “finestra di opportunità” che porta alla catastrofe (Reason, 1997). FIGURA 2: Interazione tra errori attivi e latenti Non esiste un solo responsabile, né è rintracciabile un’unica condizione sfavorevole; le responsabilità devono essere rintracciate a tutti i livelli dell’organizzazione e soprattutto è necessario individuare quelle condizioni latenti che per molto tempo rimangono “addormentate”, a riposo, tra i molteplici strati organizzativi, fino a quando le specifiche particolarità del contesto creano per loro la giusta intersezione con gli errori attivi. L’incidente diventa inevitabile. 28 Capitolo 1 FIGURA 3: Le dinamiche cha causano un incidente La presenza di pericolose condizioni latenti è determinata dal predominio che i fattori produttivi hanno su quelli protettivi; solitamente, è solo dopo un brutto incidente o dopo un disastro mancato, che il concetto di protezione diventa predominante nelle menti di coloro che gestiscono l’organizzazione. Questo atteggiamento, improntato prima di tutto alla difesa del sistema e dei suoi attori, ha sempre una durata piuttosto breve: poiché è la produzione che crea le risorse per la protezione, i bisogni produttivi finiscono per avere la priorità. Secondo Reason ogni giorno, i managers e i supervisori devono scegliere se tagliare angoli di sicurezza per favorire i bisogni operativi. Il più delle volte, queste scorciatoie, adottate anche dagli operatori, non portano conseguenze catastrofiche e così diventano una parte abituale della routine lavorativa. La riduzione nei margini di sicurezza, che si rafforza nel tempo all’interno delle stesse pratiche di lavoro, rende il sistema più debole e più vulnerabile a particolari combinazioni di fattori pericolosi. Se per un periodo di tempo piuttosto lungo non si verificano incidenti e contemporaneamente aumenta la domanda di produzione, si può assistere ad una stabile erosione della protezione, che sbilancia in modo preoccupante la relazione tra le due dimensioni. Accade sempre più spesso di assistere a violazioni routinarie di procedure troppo rigide, soprattutto in 29 Capitolo 1 quelle occasioni in cui le necessità operative lo richiedono. Nelle organizzazioni possono esistere dei compiti precisi che per essere portati a termine in tempi brevi senza rallentare il processo produttivo, obbligano gli addetti a violare le norme previste, a esporsi in prima persona senza però una reale consapevolezza del rischio che si sta correndo. Questa sottovalutazione del rischio deriva dal fatto che tali violazioni sono diventate col tempo delle norme informali d’azione, procedure assodate e accettate da tutti. A questo proposito Reason sottolinea come nelle organizzazioni ad alto rischio ci sia una differenza sostanziale tra le procedure per la produzione e quelle per la protezione. Queste ultime vengono continuamente riformulate, rinnovate, per proibire le azioni che sono coinvolte in qualche incidente o nelle criticità del sistema. Come è facilmente immaginabile tale aggiornamento delle regole è un processo frequente, soprattutto nelle organizzazioni tecnologicamente avanzate e a maggior ragione nelle prime fasi di introduzione di una nuova tecnologia. In queste ultime condizioni, infatti, la casualità e la imprevedibilità degli eventi problematici impone una continua revisione delle regole e delle procedure fino al raggiungimento di un parziale equilibrio operativo. Secondo Reason queste aggiunte di regole comportamentali diventano ben presto troppo restrittive per l’azione, riducendo la sfera delle procedure lecite e previste dai regolamenti, in modo troppo drastico. La quantità di azioni permesse diventa minore rispetto a quelle necessarie per portare a termine il lavoro. Se dopo ogni evento le procedure sono modificate al fine di tenere sotto controllo tutte quelle coinvolte e identificate come fattori che hanno contribuito all’incidente, come conseguenza l’unico modo per compiere il proprio lavoro diventa quello di violare le procedure e continuare ad agire anche secondo le regole che sono state proibite. Queste rimangono l’unico modo per agire in specifiche condizioni di lavoro. Per perseguire compiti specifici esistono delle precise azioni indispensabili, che costituiscono l’unica procedura possibile per lavorare. Le regole, i limiti, i controlli possono anche essere finalizzati a garantire la massima sicurezza, ma possono anche rivelarsi più pericolosi perché restringono il campo dell’azione lecita e creano condizioni di pericolo in altri punti dell’organizzazione a cui non si era pensato. Ecco un’altra 30 Capitolo 1 conseguenza della struttura a più livelli delle organizzazioni tecnologicamente avanzate e della loro opacità organizzativa. FIGURA 4: Come si restringe la sfera delle azioni lecite all’introduzione di regole finalizzate ad evitare che un incidente possa ripresentarsi In sintesi gli operatori finiscono per violare le regole in modo ripetitivo e condiviso sia perché tale violazione sembra non portare a disastri, sia perché essa si rivela il modo migliore, più efficace e più veloce per svolgere tale mansione. Reason mette in guardia da questa prassi, sostenendo che tale atteggiamento si protrae nel tempo fino a quando non si verifica un incidente: le violazioni aumentano il rischio aumentando la probabilità di realizzarsi di una specifica sequenza di errori. Questo comportamento è una costante rintracciabile nei vecchi sistemi come in quelli tecnologicamente avanzati; in questi ultimi, però, la maggiore complessità, sommata alla opacità delle barriere multi livellari presenti internamente, può far sì che gli attori non siano sempre e totalmente consapevoli di tutte le conseguenze che una violazione potrebbe innescare nel sistema. 1.3.2 Nuovi fattori nel sistema: come reagiscono le barriere protettive? 31 Capitolo 1 I nuovi e sofisticati sistemi tecnologici, come le centrali nucleari o i centri di controllo del traffico aereo, si sono dotati di difese “dure”, quali mezzi di sicurezza automatizzati, barriere fisiche, allarmi, e difese “morbide”, ossia sorveglianza, regole e procedure, addestramento, controlli amministrativi, esercitazioni, permessi, certificazioni. Queste molteplici difese a livelli profondi hanno però un grosso limite da non sottovalutare: possono rendere il sistema ancora più complesso e più opaco (Reason, 1997). Per molto tempo le “difese – in – profondità” possono rendere i sistemi tecnologici immuni da errori isolati, in quanto la complessa sovrapposizione delle barriere difensive riesce a bloccare la strada all’errore senza fargli raggiungere il livello più in superficie del sistema. Ma nessuna difesa è mai completamente inattaccabile; in ognuna ci sono dei punti deboli che possono essere intaccati dalla somma degli errori attivi e dalle condizioni latenti, fino a bucare la parete difensiva. Con il dominio dei sistemi computerizzati è cambiata la natura del coinvolgimento della natura umana nelle nuove tecnologie. Da una parte, invece di essere fisicamente e direttamente coinvolti nella produzione gli operatori agiscono come managers, come organizzatori, supervisionando dall’alto il sistema automatizzato. D’altra parte molti dei soggetti impiegati nell’organizzazione produttiva operano in front – line, a diretto contatto con la nuova tecnologia. Secondo quanto sostiene Reason, questi attori hanno una probabilità piuttosto elevata di commettere errori che hanno un’immediata conseguenza sul sistema, e che possono portare a termine il processo consequenziale che si è innescato in qualche profondo livello della struttura organizzativa a causa di una condizione latente. Le condizioni latenti possono rimanere addormentate per lungo tempo non arrecando particolari danni fino a quando non interagiscono con le circostanze locali sconfiggendo le difese del sistema (Reason, 1997). Queste condizioni nascono da decisioni strategiche ad alto livello organizzativo, in un momento della progettazione anche molto lontano nel tempo rispetto al momento dell’incidente; il loro l’organizzazione a tutti i suoi livelli. 32 impatto si diffonde attraverso Capitolo 1 In questo contesto, la fase di programmazione e di introduzione di una nuova tecnologia nel sistema può diventare un momento di alto rischio, anche se spesso sottovalutato. La novità, le difficoltà di adattamento, la resistenza che potrebbe nascere negli operatori e altri molti fattori possono abbassare il livello di attenzione dei progettisti e dei supervisori del processo. Questo momento di confusione può facilitare l’intrusione di condizioni patogene latenti, nascoste, che possono depositarsi tra le crepe del nuovo sistema aspettando il momento giusto per risalire in superficie. Nelle sue ricerche, Reason sostiene che la delicatezza e la precarietà dell’introduzione di una nuova tecnologia sono fattori che non devono essere sottovalutati, perché altrimenti le nuove difese appositamente progettate per proteggere da un preciso tipo di pericolo, possono rendere i loro utilizzatori prede di altre minacce, solitamente non previste da chi le ha create. Le difese possono rivelarsi pericolose. Nei primi stadi di un processo tecnologico il lavoro è progettato a partire da tentativi ed errori, oppure da controlli condotti seguendo i feedback del sistema. In questo periodo iniziale i managers e i supervisori, si comportano in modo knowledge based, inquadrano la situazione, stabiliscono i piani d’azione che sembrano più adeguati, e cercano le condizioni in cui c’è coincidenza tra gli obiettivi e le strategie adottate per l’azione. Col tempo e con l’accumularsi delle conferme raccolte, le pratiche lavorative si fanno sempre più standardizzate e inevitabilmente cala il livello di attenzione relativo alle misure di sicurezza introdotte nel nuovo sistema. Reason sostiene che nei nuovi sistemi altamente tecnologici, il compito dell’operatore è di monitorare il sistema assicurando che ciò che è automatizzato funzioni come previsto. Il limite è che anche le persone più motivate hanno dei problemi nel mantenere un buon livello di attenzione e vigilanza per un lungo periodo di tempo. Se sottoposte a stimoli nuovi troppo frequenti, anche le barriere dell’attenzione finiscono per cedere lasciando spazio all’introduzione di condizioni critiche per il sistema. Gli operatori diventano in breve tempo poco appropriati per cogliere quelle rare condizioni di anormalità che possono essere pericolose. 33 Capitolo 1 L’innovazione e lo sviluppo tecnologici rendono le strutture organizzative sempre più ricche di barriere tecniche e ridondanti di informazioni. C’è però un rischio: seppure la maggiore complessità tecnica del sistema è finalizzata ad aumentare il livello protettivo, l’opacità che ne deriva può aumentare il livello di incertezza degli uomini che si sentono sempre più distanti dai loro strumenti di lavoro. Per gli operatori diventa più difficile capire quando, come e dove focalizzare la propria attenzione, condividere in squadra la stessa consapevolezza e interpretazione della situazione. Gli operatori risultano indeboliti nella capacità di sviluppare strategie efficaci per affrontare i compiti specifici; in essi aumentano stress e ansia di fronte a un sistema di cui non riescono ad appropriarsi come vorrebbero. Una buona progettazione dello sviluppo tecnologico, e dell’introduzione di una nuova tecnologia, dovrebbe porsi come scopo da una parte quello di rafforzare tutti i livelli di protezione presenti nel sistema, dall’altra di fare emergere le condizioni latenti presenti al fine di eliminarle con la nuova strumentazione. L’innovazione dovrebbe prevedere una “pulizia generale” finalizzata a cambiare e rendere più sicure le condizioni nelle quali lavorano le persone. Nei suoi studi sui sistemi ad alta complessità tecnologica, Perrow (1984) sostiene che gli incidenti sono inevitabili (normal accidents) nei sistemi complessi. Anche se molto può essere fatto, previsto, programmato, ci saranno sempre situazioni non coperte da norme precise o in cui le regole non sono localmente applicabili, perché non adeguate al compito. Le procedure per la sicurezza, secondo Perrow, non saranno mai così numerose e varie nel contenuto da anticipare tutti i modi in cui i pericoli possono presentarsi alle persone nel corso del loro lavoro. Come già sottolineato in precedenza, le misure progettate per eliminare le cause di un precedente incidente possono contribuire a creare il prossimo. Esistono tanti modi in cui le persone possono deviare dal modello desiderabile d’azione, soprattutto quando si trovano di fronte ad un sistema che ancora non si conosce e non si sa interpretare fino in fondo. Si può comprendere erroneamente la situazione, riconoscerla come un’eccezione innocua quando in realtà non lo è, applicare una regola o una procedura che 34 Capitolo 1 è adeguata per situazioni simili, ma non per quella. A questo proposito torna molto utile la differenza che Reason fa tra i diversi tipi di errori, slips, lapses e mistakes, e il modo in cui questi si legano ai tipi di prestazione umana elaborati da Rasmussen e precedentemente esposti. 1.3.3 La relazione tra azioni, errori e cambiamento Anche le migliori misure protettive possono causare dei danni per l’organizzazione, soprattutto nel momento in cui la loro introduzione nel sistema non è gestita correttamente. In questi casi, infatti, è facile lasciare aperta la porta a condizioni indesiderate che, infiltrandosi e depositandosi tra le difese stratificate del sistema, diventano facilmente le cause di breakdowns inaspettati. Con il passare del tempo, questi errori latenti fanno vivere il sistema in un continuo stato patologico. In un contesto a rischio, come si comportano i soggetti? In che modo gli operatori possono e devono modificare i loro schemi d’azione per non cadere nell’errore? Abbiamo già parlato di regole e norme ad hoc, aggiunte ogni volta che l’incidente si verifica: restrizioni, standardizzazione dell’azione, adattamenti continui sono le strategie più frequenti che l’organizzazione attiva per evitare nuovi problemi, ma che, contemporaneamente, riducono la libertà d’azione dei soggetti obbligandoli a violazioni routinarie. La nostra attenzione si concentra sul momento del cambiamento, fase d’innovazione per tutta la struttura interessata che deve capire quale sia il modo migliore e meno pericoloso per affrontare la novità continuando, contemporaneamente, a lavorare. La nostra ipotesi è che quando i soggetti affrontano un cambiamento, inizialmente attivano prestazioni knowledge based fino a quando trovano le strategie adatte agli scopi, strategie che pian piano vengono standardizzate fino a diventare pratiche routine. Se è vero che anche nel compiere azioni quotidiane e abitudinarie è facile che i soggetti possano sbagliare, si ritiene che la probabilità d’errore aumenti quando le coordinate dell’ambiente in cui viviamo cambiano radicalmente. Per cercare di capire che tipo di legame esiste tra errore e comportamento, facciamo riferimento ai tipi d’errore di Reason (1990, 1997) in relazione ai 35 Capitolo 1 livelli di prestazione di Rasmussen. Reason individua tre tipi d’errore suddivisibili in due categorie: Slips e lapses: il piano è adeguato, ma le azioni non vanno come programmato. Questi sono errori non intenzionali; la differenza è che gli slips sono osservabili, e si manifestano solo al momento dell’esecuzione, mentre i lapses sono più nascosti e comprendono manchevolezze della memoria, nell’immagazzinamento delle informazioni. In sintesi si possono definire come deviazioni non desiderate delle azioni dalle intenzioni di partenza. Sono fallimenti dell’esecuzione, o azioni che non coincidono con quelle stabilite dalle intenzioni. Mistakes: le azioni rispettano il piano, che, però, è inadeguato per raggiungere l’obiettivo. Sono errori di pianificazione e si manifestano quando un individuo, trovandosi in una situazione nuova e non avendo una routine appropriata da applicare, è costretto ad elaborare un piano d’azione basandosi sulle conoscenze di cui è in possesso in quel momento. Se il suo progetto d’azione risulta sbagliato, si ha un mistake. Al contrario degli slips e dei lapses, qui le azioni seguono le intenzioni e la panificazione iniziali, ma non raggiungono le conseguenze desiderate proprio perché si sbaglia in partenza. L’intenzione non è appropriata. Di fronte ad un nuovo sistema tecnologico l’operatore può cadere in errore con più facilità. Alcuni esempi: le nuove strategie operative fornite dei progettisti possono essere idonee ma i soggetti non sono stati addestrati adeguatamente, non hanno avuto il tempo necessario per immagazzinare a sufficienza le nuove informazioni, oppure i progettisti non hanno compreso del tutto l’innovazione elaborando, così, piani d’azione non funzionali né appropriati. Bisogna poi tenere presente che è impossibile stabilire tutte le norme necessarie a coprire qualunque tipo di reazione o criticità del sistema. È quindi inevitabile che nel nuovo ambiente di lavoro il soggetto si troverà presto a dover fronteggiare segnali sconosciuti da parte della macchina, reazioni per lui mai sperimentate che lo obbligano a elaborare, nel minor tempo possibile, il piano d’azione che gli sembra il più adeguato. Tempi ristretti e insicurezza, collocano l’errore dietro l’angolo. 36 Capitolo 1 Gli studiosi di errori umani utilizzano spesso la relazione tra i modelli di Rasmussen e quelli di Reason, in quanto essa rende possibile una comprensione e una schematizzazione maggiore dell’azione umana e dei suoi errori: gli errori vengono identificati come malfunzionamenti ai tre livelli, skill, rule e knowledge. La responsabilità degli errori risiede nell’attività di attribuzione di significato, cioè in una tendenza ad assimilare il nuovo a ciò che è noto, a cercare conferme e resistere alle smentite (Roncato 2000). Livello di prestazione Tipi d’errore Livello skill-based Livello rule-based Livello knowledge-based slips e lapses RB mistakes KB mistakes FIGURA 5: I tipi d’errore in relazione con i livelli di prestazione di Rasmussen • Livello skill based L’azione è determinata da una reazione a catena che si innesca nel momento in cui si coglie uno stimolo nell’ambiente. A questo livello l’attenzione non è uno strumento di controllo efficace. Nella quotidianità si utilizza un archivio collocato nella memoria, dal quale si attingono schemi d’azione immediatamente operativi. Per bloccare l’effetto di questi attivatori è necessario un livello di attenzione particolarmente alto. Qui hanno origine gli slips e i lapses, che possono essere causati da fattori diversi: un controllo attenzionale non appropriato, l’associazione erronea di uno stimolo con un’azione familiare. In sintesi si attiva un’abitudine all’interno di un contesto sconosciuto o poco approfondito. L’errore è quasi inevitabile. Roncato (2000) sottolinea come a livelli skill based possono nascere errori anche per eccesso dia attenzione: ci si sforza di fare con cura qualche cosa che ormai facevamo meccanicamente, finendo per commettere errori molto banali. • Livello rule based È la prestazione dominata dal “conservatorismo cognitivo” e dalla regola “se X, allora Y”. Se una regola ci ha permesso di ottenere buoni risultati in passato, essa acquista maggiore forza e s’impone sulle altre. Gli errori si 37 Capitolo 1 manifestano quando, davanti ad una situazione nuova, si usa una strategia che abbiamo sempre seguito con successo in passato. Anche se ci si accorge che non si ottiene il risultato desiderato, insistiamo ugualmente nel ripetere l’operazione sottovalutando, o non cogliendo affatto, i segnali che ci indicano una nuova strada da seguire. La forza delle regole prestabilite, e dell’abitudine prendono il sopravvento. Il mistake RB deriva da un uso inadeguato delle conoscenze esperte (Reason 1990). • Livello knowledge based È il livello più diffuso nel momento in cui si affronta una situazione nuova o inattesa. Gli errori nascono perché mancano le conoscenze esperte: davanti a un problema o ad una novità bisogna saper formulare un’ipotesi per risolvere la criticità e, nel minor tempo possibile, selezionare i dati realmente utili di cui si è in possesso. L’errore si manifesta perché le osservazioni e i piani tendono a privilegiare ciò che è in accordo con le ipotesi formulate, scartando tutto ciò che le contraddice. La fiducia eccessiva si traduce in una propensione alla conferma che lascia la strada libera all’errore. La forza dei piani d’azione nel ridurre l’ansia, ha come conseguenza la resistenza ad adattarsi ai cambiamenti. I mistakes KB hanno, quindi, due origini: la razionalità limitata e la scarsa conoscenza necessaria alla soluzione del problema (Roncato 2000). Nel momento in cui si vive un cambiamento importante all’interno di un sistema altamente tecnologico, è necessario uno sforzo di coordinamento non indifferente e distribuito a tutti i livelli della struttura organizzativa. Tale coordinamento è essenziale per permettere al sistema di continuare a funzionare e, parallelamente, ad adattarsi al nuovo. In queste occasioni è necessario trovare un giusto equilibrio tra i comportamenti SB, RB e KB in base alle situazioni che si presentano momento dopo momento. La distribuzione delle nostre risorse mentali nei differenti compiti di controllo è uno dei problemi più importanti che dobbiamo continuamente affrontare. Calcolare male l’importanza e l’urgenza di un obiettivo può costare un errore grave (Roncato 2000). Reason sostiene che il cambiamento è una delle caratteristiche ricorrenti delle situazioni che producono l’errore, che, a sua volta, si differenzia per quel che riguarda la relazione con la 38 Capitolo 1 trasformazione. Negli slips e nei lapses di tipo SB, i cambiamenti che scatenano l’errore comportano un allontanamento da qualche routine ben stabilizzata. A livello KB i mistakes sono il risultato dei cambiamenti per i quali non c’è stata né preparazione, né anticipazione: i cambiamenti devono essere affrontati per mezzo di un ragionamento che si attua sul momento e che ha, inevitabilmente, una certa disposizione all’errore. Cautela, prevenzione, ricerca, addestramento sono principi operativi che dovrebbero stare alla base della fase di progettazione del cambiamento. Gestire l’innovazione in modo appropriato è l’unica e migliore prevenzione alle catastrofi. Se, prima di introdurre un nuovo sistema all’interno di un ambiente organizzativo che appare stabile e consolidato, si andasse alla ricerca delle condizioni latenti, delle reali dinamiche relazionali, della forza delle barriere protettive presenti in profondità, allora si potrebbero cogliere in anticipo gli eventuali segnali di pericolo ed eliminarli. In questo modo, l’innovazione sarebbe più sicura e non rischierebbe di aggiungere nuovi pericoli in un ambiente instabile. Di fronte al cambiamento delle routine è necessario un aumento del livello delle modalità di controllo attenzionale, che, se sottovalutato, è la causa più comune che porta a commettere slips dell’azione. Il problema è che spesso un sistema di difese multi livellare ha il difetto di essere troppo opaco e di non permettere che né gli individui né l’organizzazione possano facilmente comprendere i pericoli e trarre vantaggi dagli errori. È essenziale, invece, che coloro che operano e gestiscono le tecnologie complesse apprezzino sia i vantaggi sia i pericoli delle difese multi – stratificate (Reason 1997), altrimenti la tendenza diventa quella di attribuire gli errori catastrofici alla fallibilità umana piuttosto che alla debolezza intrinseca del sistema. Nel tentativo di compensare l’inaffidabilità delle prestazioni umane, i progettisti dei sistemi di controllo automatici hanno inconsapevolmente creato opportunità per nuovi tipi d’errore, che possono essere ancora più seri di quelli che stavano cercando di evitare (Reason 1990). Uno degli ambienti tecnologici più studiati, sia per quanto riguarda gli errori, sia rispetto ai processi di cambiamento, è il mondo del traffico aereo; in questi 39 Capitolo 1 ambienti accade sempre più spesso che i sistemi progettati appositamente per facilitare il carico di lavoro del pilota o del controllore, si rivelano nella pratica troppo enigmatici e a richiedere, così, maggiore attenzione. Reason definisce questi risultati come “ironie dell’innovazione” (1990, p. 297) identificando con questa espressione tutti quei sistemi che, progettati per migliorare il sistema, finiscono per appesantirlo rendendolo meno comprensibile. Alcuni esempi: i sistemi automatici possono aumentare la domanda di utilizzo della memoria; rendere gli operatori incerti sul quando e come focalizzare la propria attenzione; rendere più difficile per gli operatori in team condividere la stessa consapevolezza della situazione; indebolire i modelli mentali del sistema; aumentare il carico di lavoro nei periodi già sovraccarichi; limitare la capacità degli individui di sviluppare strategie efficaci per affrontare le domande degli specifici compiti; aumentare stress e ansia. In conclusione si deve però ricordare l’impossibilità di prevedere controllare tutte le conseguenze di un sistema nuovo così come le risposte dei soggetti che ad esso si relazionano. Ci saranno sempre situazioni non coperte da regole o in cui le regole non sono localmente applicabili. Nonostante la cura con cui può essere portata avanti una fase di addestramento o con cui sono perfezionate le procedure, possono comunque nascere situazioni completamente nuove in cui le persone devono improvvisare un corretto corso d’azioni sulla base di un processo knowledge based. In questi casi, tutto sta al singolo individuo, alla sua esperienza e alle sue competenze; più si è abituati ad affrontare criticità inaspettate, più è alta la probabilità di pianificare la strategia corretta del momento. L’uomo è ancora l’unico che possa usare delle capacità di ragionamento knowledge based per far fronte alle emergenze del sistema (Reason 1997): nonostante i limiti propri della condizione umana e i diversi fattori che possano indurre i singoli operatori in errore, l’uomo rimane una componente essenziale dei sistemi rischiosi grazie alla peculiare abilità knowledge based di svolgere sul momento attività volte alla soluzione del problema. 40 Capitolo 2 2. Il modello di riferimento: SHELL L’analisi empirica portata avanti in questa Tesi di Laurea si inserisce nel filone di ricerca relativo al Controllo del Traffico Aereo (ATC) e ha per oggetto lo studio del cambiamento avvenuto nella sala controllo (ACC) di Milano Linate. Tale cambiamento è dovuto al processo di innovazione tecnologica che ha permesso di aprire una nuova sala controllo in cui tutta la squadra operativa si è trasferita nel mese di aprile 2003. La ricerca è stata compiuta sulla base di una particolare prospettiva d’analisi e relativa metodologia operativa. Tenendo come panorama di riferimento gli insegnamenti dell’approccio sistemico (Sheridan 1988), si è tentato di svolgere un’etnografia situazionale, secondo i principi fondamentali dell’ergonomia (Gherardi, Nicolini 2001; Fele 2002; Decortis, Noirfalise, Saudelli 1999), e utilizzando il modello SHELL per interpretare i dati raccolti sul posto. 2.1 La prospettiva d’analisi 2.1.1 Un approccio sistemico alle organizzazioni L’enorme diffusione delle organizzazioni altamente tecnologiche (centrali nucleari, aviazione, controllo del traffico aereo…) ha portato la ricerca scientifica a sviluppare e approfondire un particolare filone di analisi. In queste organizzazioni così complesse, tutte le componenti giocano un ruolo sempre più importante, e determinante per la produzione. Per questo motivo si è sentita l’esigenza di osservarle e analizzarle ciascuna come un grosso sistema, capace di funzionare solo se le parti che lo compongono riescono a coordinarsi in modo affidabile e costante tra loro. La crescente complessità organizzativa porta con sé dei vantaggi e altrettanti svantaggi: da una parte aumenta l’efficienza e la qualità del prodotto, dall’altra la struttura produttiva tende a diventare sempre più opaca, creando al suo interno crepe dove possono facilmente annidarsi pericoli più o meno gravi 41 Capitolo 2 per l’organizzazione stessa. Come il passato ci insegna (vedi anche capitolo 1), non è raro che le organizzazioni tecnologicamente avanzate creino degli incidenti catastrofici ed estremamente pericolosi, per chi vi lavora come per i comuni cittadini (Chernobyl, Linate…). Lo studio di queste organizzazioni, quindi, non può prescindere dallo studio degli incidenti che in esse avvengono, anche perché i risultati possono migliorare le condizioni lavorative e il livello di sicurezza interno. A questo proposito la tradizione di ricerca è particolarmente corposa. Le teorie sulle cause degli incidenti hanno fatto molti passi avanti: in passato si è abbandonato il modello ingegneristico (1960, 1970) incentrato sulla tecnologia, per approdare ad un’analisi che faceva uso di modelli basati sulla persona (1980); negli ultimi vent’anni si è compreso che non ha senso andare alla ricerca di un fattore scatenante di errori e incidenti, ma è necessario utilizzare modelli organizzativi e socio-tecnici più adatti per cogliere la complessità del sistema considerato (Catino 2002). Poiché non è questa la sede per analizzare le cause e i fattori che hanno determinato le evoluzioni teoriche organizzazioni nel partendo tempo, da un è nostra approccio intenzione organizzativo guardare e le sistemico, utilizzando i modelli analitici in esso presenti. L’approccio sistemico allo studio delle organizzazioni (Sheridan 1988, Cacciabue 2000) sostiene che tutti i sistemi tecnologici complessi operano in ambienti a rischio, e condividono caratteristiche che influenzano e sono legate all’interazione tra gli uomini e i sistemi di controllo. Queste organizzazioni possono essere definite come sistemi uomo-macchina, in cui ogni interazione si colloca in un contesto reale caratterizzato dall’impianto, con i suoi sistemi di interfaccia e controllo con cui interagiscono gli operatori, e dall’ambiente di lavoro in cui avviene l’interazione. L’ambiente è, a sua volta, caratterizzato da molteplici elementi che hanno un’influenza diretta sulle prestazioni lavorative dell’organizzazione: il contesto reale, l’ambiente (rumore, spazio, luminosità, temperatura…), le interazioni tra i colleghi (dirette o a distanza), il contesto sociale (management, direttive dell’organizzazione, società, cultura organizzativa) la relazione con le apparecchiature specifiche. Ciascuno 42 di questi tre fattori merita Capitolo 2 un’attenzione particolare nel momento in cui ci si appresta ad analizzare una particolare struttura organizzativa, poiché in esso sono compresi elementi ben definiti, e determinanti per comprendere il sistema in oggetto: - Condizioni ambientali di lavoro: fattori fisici e sociali che influenzano il comportamento umano oppure influenzano l’efficienza e l’affidabilità delle prestazioni lavorative. immediato sui Queste processi condizioni lavorativi hanno (automazione un effetto imprecisa, locale e strumenti inadeguati ai compiti, procedure inadeguate, mancanza di supervisione, addestramento insufficiente, carenza di pratiche chiaramente definite…). - Interazioni tra i colleghi: fattori psicologici, comportamentali, relazionali che determinano la qualità delle relazioni interpersonali. Fattori personali, condizioni individuali, fisiche o mentali, che influiscono sul comportamento e sono specifiche di ogni persona. Stanchezza, stress, agitazione, preoccupazione, stati d’ansia del singolo possono, ad esempio, ridurre l’attenzione del soggetto, influenzando la buona qualità delle relazioni con i colleghi. Gli effetti possono essere negativi sulla prestazione lavorativa specifica. Un ruolo molto importante, in quest’ambito, è rivestito dai modelli comunicativi e dalle procedure seguite per scambiare informazioni; per una buona comunicazione non devono essere presenti fattori di disturbo, personali o di gruppo, che possano intromettersi nel flusso comunicativo. - Aspetti sociali e culturali dell’organizzazione: decisioni strategiche che danno origine alla cultura dell’organizzazione, ossia l’insieme delle norme, valori, comportamenti, ideologie, inconsci e raramente articolati, che un’organizzazione sviluppa su se stessa e sull’ambiente in cui opera. La cultura organizzativa è l’insieme delle “regole non scritte” che governano i comportamenti accettabili all’interno e all’esterno dell’organizzazione stessa. Secondo Reason (1990) è qui che nascono i fattori latenti che influenzano profondamente la sicurezza di un sistema. - Strumenti, difese, barriere: strutture fisiche progettate, programmate e inserite nel sistema per supportare e rendere più efficaci e sicuri il lavoro. Sono il risultato dei processi decisionali ad alto livello nell’organizzazione L’approccio sistemico considera e cerca di integrare in un unico quadro concettuale tutte le componenti che 43 giocano un ruolo all’interno Capitolo 2 dell’organizzazione: il processo lavorativo diventa così un sistema costituito da più componenti (uomo, artefatti, procedure, ambiente). Questo approccio vieta di analizzare un qualsiasi aspetto del sistema considerato, senza tener presente tutti i legami e le relazioni che in esso hanno luogo: nei contesti produttivi il livello di influenza delle singole componenti è talmente elevato che il fulcro di analisi deve focalizzarsi sulle interazioni tra gli elementi. Personale, procedure, materiali, strumenti, infrastrutture vengono utilizzati nell’ambiente operazionale per raggiungere gli obiettivi prefissati ad un una missione specifica. Se queste sono le premesse fondamentali alla base dell’approccio analitico considerato, è altrettanto importante capire quali siano le sue direttive dal punto di vista metodologico e quali direttive di ricerca siano previste. La prospettiva sistemica è finalizzata ad analizzare, progettare, valutare e gestire i sistemi altamente complessi, come ad esempio il trasporto aereo. Questo approccio prevede delle regole di base: - porre dei confini al problema e suddividerlo in specifiche sezioni, ciascuna osservabile, misurabile e catalogabile in variabili indipendente (input) e dipendente (output) in relazione tra loro; - analizzare le interazioni tra gli elementi individuati (Sheridan 1988). In sintesi si potrebbe affermare che, questa prospettiva punta a rompere una realtà in piccoli e precisi pezzi per poi osservare come questi interagiscono tra loro. L’obiettivo simbolico è quello di prevedere nel modo più preciso possibile le prestazioni del sistema; in realtà, la disciplina porta ad una migliore comprensione della natura dei problemi, attraverso lo studio e l’interpretazione delle interconnessioni tra gli elementi, per poi ipotizzare il probabile comportamento futuro de sistema. Il risultato dell’analisi diventa una prospettiva interpretativa con cui cogliere le variabili o le relazioni da considerare nella progettazione, nell’addestramento o in qualunque intervento sul sistema. Il modello sistemico è un modo per decodificare le informazioni riguardo alla progettazione e alle operazioni così da renderle accessibili e comprensibili a chiunque. 44 Capitolo 2 In conclusione si può affermare che la prospettiva sistemica è un modo di pensare in relazione a un problema. L’analisi sistemica delle organizzazioni prevede l’utilizzo di uno schema interpretativo chiaro e ben definito dell’oggetto, una sua scomposizione in variabili e del tempo per osservare come queste variabili interagiscono tra loro. L’osservazione richiede tempo per cogliere, aspettare, riconoscere tutti i segnali utili, gli input del sistema; in seguito si ha la fase d’analisi in cui si cercano i giusti legami e le corrette dipendenze tra i fattori. 2.1.2 Gli strumenti dell’ergonomia Rispettando i principi posti dalla prospettiva sistemica, la nostra ricerca si propone di osservare l’ambiente organizzativo della sala di Controllo del Traffico Aereo (ACC) di Milano Linate, scomponendola nelle sue parti costitutive e analizzando le relazioni che, instaurandosi tra di esse, fanno sì che il sistema funzioni. La metodologia operativa è quella proposta dal modello SHELL e verrà affrontata nelle pagine seguenti. Prima, però, ci sembra opportuno soffermare l’attenzione su alcuni aspetti metodologici che riteniamo di estremo interesse e di grande utilità per integrare il modello scelto all’interno di un filone di ricerca estremamente vasto, soprattutto in riferimento al mondo del Controllo del Traffico Aereo (ATC). Il nostro obiettivo è quello di porre l’uomo al centro del sistema osservato, e analizzare come egli reagisca, sia come singolo sia nel lavoro di squadra, agli stimoli presenti nel suo ambiente di lavoro, in particolare quando questo ambiente subisce dei cambiamenti sostanziali. È a questo proposito che entra in gioco l’Ergonomia, ossia la disciplina che si occupa di Human Factors. La relazione che si instaura tra l'attività umana e le condizioni ambientali, strumentali e organizzative in cui si svolge, è da sempre l’oggetto dell’ergonomia. Nata per studiare e far rispettare, soprattutto nella fase di progettazione, una serie di norme che tutelano la vita del lavoratore e accrescono l'efficienza e l'affidabilità dei sistemi, l'obiettivo attuale è 45 Capitolo 2 quello di contribuire alla progettazione di oggetti, servizi, ambienti, nel rispetto dei limiti dell'uomo e nel potenziamento delle sue capacità operative. In sintesi, l'ergonomia si propone di comprendere l’interazione tra l’elemento umano e gli altri elementi del sistema organizzativo al fine di migliorare la qualità delle condizioni di vita nelle attività lavorative quotidiane e ottimizzare le prestazioni sia dei singoli, sia del sistema aumentando il livello di sicurezza dell’organizzazione. La decisione di utilizzare i principi ergonomici per affrontare la nostra analisi trova spiegazione in quanto afferma Mantovani (2000 p. 15): “L’ergonomia studia il lavoro umano che cambia, sviluppando competenze adatte ai tempi, agli ambienti e alle diverse circostanze in cui il lavoro si esplica. Ogni sapere socialmente rilevante è tanto dipendente dal contesto che, quando questo cambia, cambia anche il problema”. Potremmo affermare che esistono due tipi di cambiamento, uno di tipo macro, lento e costante nel tempo, tale da permettere l’identificazione di precise fasi storiche caratterizzate da particolarità tecnologiche e da specifiche innovazioni; l’altro micro, l’innovazione nel singolo contesto, il cambiamento radicale ma localizzato che, sommato negli anni a tutte le altre trasformazioni ad esso simili aprono la strada per una nuova rivoluzione tecnologica. L’ergonomia è evoluta negli anni adattandosi ai macro cambiamenti; sono riconosciuti tre passaggi storici che hanno modificato questa disciplina: a) 1900/1950: si mira ad adattare l’uomo alla macchina per migliorare la salute dei lavoratori, la sicurezza del lavoro e la produttività delle aziende. La macchina ha la precedenza sull’uomo; b) 1950/1970: l’ergonomia si propone di adattare la macchina all’uomo, la tecnologia incomincia ad essere più negoziabile e flessibile. L’ergonomia, pur rimanendo ancorata alla fabbrica, inizia a colonizzare gli uffici, e le nuove attività quali quelle dei controllori di volo, dei piloti di aerei, degli addetti ai terminali video; c) Prima metà anni ’70: l’ergonomia passa dall’essere centrata sull’analisi del compito separato dal contesto, all’occuparsi della relazione tra le persone e tra queste e l’ambiente in cui lavorano. Il concetto di interazione soppianta quello di adattamento nel rapporto uomo/macchina, si parla di attrezzature flessibili. I problemi 46 Capitolo 2 dell’ergonomia diventano quelli della validità delle interfacce e della possibilità di buona cooperazione tra l’uomo e i suoi dispositivi. D’altra parte con le tecnologie elettroniche portano continuamente nuove minacce per l’autonomia del lavoro umano. L’aspetto problematico non è tanto la relazione e l’utilizzo delle nuove interfaccia sempre più sofisticate, quanto la fase di progettazione e adattamento al nuovo. Progettare le tecnologie in vista del contesto è un compito arduo, perché il contesto di uso non è definibile una volta per tutte, anzi è soggetto a continui fattori di disturbo e di cambiamento. “Le circostanze dell’azione mutano continuamente: per questo gli attori, nelle situazioni, devono essere flessibili e per questo i progettisti hanno sempre nuovi problemi nella fase di progettazione; … comunicazione, manutenzione e organizzazione del lavoro sono temi centrali dell’ergonomia dei sistemi” (Mantovani 2000 p. 36). Nel momento in cui si progetta un nuovo sistema tecnologico è necessario saper osservare il sistema, scomporlo nelle sue variabili fondamentali, rintracciare le relazioni causa – effetto che le legano, capire cosa uomini e macchine sanno fare meglio per poter poi distribuire tra loro i compiti in modo ottimale e permettendo loro di comunicare senza troppe difficoltà. A livello pratico e concreto, l’ergonomia si presenta come un approccio pragmatico al sistema, dove l’unione di osservazione e partecipazione porta a rappresentare i concetti teorici attraverso le azioni. All’interno delle azioni, particolare importanza ai fini della comprensione del sistema, viene attribuita agli episodi di breakdowns, dovuti ad un sovraccarico lavorativo eccessivo, a situazioni stressanti o a problemi organizzativi, tali da indurre una forte variabilità nelle attività e un cambiamento nelle strategie cognitive. Molteplici sono le cause che portano al verificarsi di queste rotture pericolose, e l’ATC è da sempre un ambito d’analisi privilegiato per approfondire tali condizioni: qui la sicurezza, la produzione, l’affidabilità e la velocità sono obiettivi tra loro molto diversi ed è facile che nascano problemi se devono essere realizzati contemporaneamente, se sono definiti in modo impreciso, o se si fraintendono le troppe informazioni presenti. La forza della disciplina ergonomica sta proprio nell’addentrarsi il più possibile all’interno della struttura organizzativa, per coglierne gli aspetti di 47 Capitolo 2 fondo e costitutivi che la caratterizzano. Ciò avviene attraverso una pratica di ricerca precisa finalizzata a descrivere le situazioni correnti, analizzare come il sistema è evoluto nel tempo, e infine rappresentare l’organizzazione in riferimento agli attori, i ruoli, i compiti e gli obiettivi, le interazioni, la collocazione delle postazioni nello spazio. Il sistema è scomposto pezzo per pezzo. La raccolta dei dati avviene secondo diverse modalità, quali ad esempio osservazione, interviste, registrazioni audio e video, confronto soggettivo degli attori stessi con i dati. L’ambiente è osservato sulla base dell’uso che in esso viene fatto degli strumenti, dei media, dell’apparecchiatura (telefono, radar, carta, fax) al fine di cogliere le principali e comuni difficoltà nel loro uso (opacità, mancanza di conoscenza). Gli obiettivi dell’analisi si focalizzano sui ruoli e le operazioni prescritti per gli attori, le strutture comunicative dell’organizzazione, i compiti individuali e il grado di cooperazione, gli strumenti e le risorse del sistema… La metodologia ergonomica prevede tre livelli d’analisi: contesto, compiti e attività. Si può affermare che l’obiettivo che guida una ricerca ergonomica, è quello di esaminare le differenze tra ciò che è previsto e ciò che è realmente realizzato, per poi progettare il sistema in modo da supportare efficacemente le attività di cooperazione. L’analisi ergonomica fornisce una cornice d’analisi delle situazioni lavorative che si focalizza sui bisogni degli utilizzatori nei diversi contesti (Decortis, Noirfalise, Saudelli 1999). Particolare importanza è attribuita alla ricerca dei fattori che fanno diminuire il livello di sicurezza del sistema, che intaccano le barriere difensive presenti; Gherardi e Nicolini (2001) ci ricordano come il sapere della sicurezza costituisce un ambito privilegiato per osservare i fenomeni di apprendimento di una pratica in tutta la loro complessità. Inoltre, il persistere di incidenti tragici sollecitano una comprensione delle radici del fenomeno in chiave culturale. La sicurezza è un tratto culturale dell’azione sia individuale che collettiva; la sicurezza personale (security), è la capacità individuale di evitare eventi nocivi, quella collettiva (safety), consiste nella riduzione delle 48 Capitolo 2 probabilità che gli eventi o le situazioni pericolose si verifichino. È in questo secondo caso che assume importanza la dimensione di progettazione organizzativa, perché gli infortuni e gli incidenti sono indicatori dello stato di affidabilità del sistema. Questo aspetto ribadisce l’importanza di saper cogliere con precisione le componenti del sistema e capire quali possano essere le azioni sistematiche e collettive capaci di evitare, o almeno limitare, incidenti e infortuni. È fondamentale partire dalla fase di formazione degli operatori al sistema, fase che dovrebbe essere suddivisa in due parti: promuovere l’uso di mezzi di protezione individuali (security), e attirare l’attenzione dei lavoratori sui rischi derivanti dall’inosservanza di norme di sicurezza nell’ambiente di lavoro (safety). Fin qui le premesse teoriche di contorno; passeremo ora a descrivere nel dettaglio in cosa consiste il modello analitico SHELL da noi scelto per la ricerca. 2.2 Il modello SHELL Questo modello “nasce” con la sigla SHEL nel 1972 dagli studi condotti da Elwin Edwards, professore dell’Università di Birmingham e primo grande esperto di Human Factors. Nel 1987 il capitano Frank Hawkins, a seguito di indagini in campo aeronautico, ha suggerito alcune importanti modifiche al modello, al fine di sottolineare con maggiore forza il ruolo della componente umana, ritenuta da lui punto di inizio e centro nevralgico di ogni ricerca. FIGURA 6: Il modello SHELL di F. Hawkins (1987) 49 Capitolo 2 Il modello SHELL ha preso vita all’interno del grande ambito di ricerca relativo agli errori organizzativi, in particolare nel mondo del Controllo del Traffico Aereo (ATC), allo scopo di promuovere piani di gestione dei fattori umani inerenti la sicurezza. Sulla base del modello SHELL sono state sviluppate diverse classificazioni d’errori umani - tuttora applicate per la raccolta dati su incidenti aerei dall’ICAO (1993; 1997). 2.2.1 I principi fondamentali del modello La sigla SHELL è l’acronimo che sta a indicare le componenti fondamentali di un sistema organizzativo. Nel dettaglio (Edwards 1988; Cacciabue, 2000; Catino 2002): Hardware: è il sistema di controllo con tutti gli equipaggiamenti, le strutture e i materiali connessi. Comprende la componente materiale, fisica, non umana del sistema, ossia gli strumenti, i veicoli, le attrezzature, la segnaletica. Qui si collocano tutti i vincoli determinati dagli elementi fisici e materiali con cui l’uomo interagisce durante il suo lavoro. Software: è la componente non tangibile che contribuisce al processo di interazione; norme, direttive, regolamenti, leggi, procedure, abitudini. In sintesi le regole formali ed informali (la cultura dell’organizzazione) che determinano le modalità d’interazione tra tutte le componenti del sistema. È un elemento immateriale, ma fondamentale perché vincola e coordina l’azione e le relazioni. Liveware: l’essere vivente. Prima dell’aggiunta di Hawkins, ci si riferiva solo alla componente umana vista in relazione alle altre parti del sistema; in seguito si guarda alla dimensione umana vista sia come singolo o come gruppo che si relaziona al sistema, sia come singoli o gruppi in relazione tra loro. Guarda a tutte le interazioni e comunicazioni che si instaurano all’interno dell’organizzazione tra tutti coloro che ne fanno parte (lavoratori, teams di lavoro, management, dirigenza). 50 Capitolo 2 Environment: sono qui compresi i fattori economici, politici e ambientali che caratterizzano il sistema organizzativo. Tali aspetti costituiscono le condizioni sociotecniche in cui si opera nella realtà, ma sono quelli meno accessibili al ricercatore e quindi vengono lasciati piuttosto come sfondo d’analisi. Il modello è stato sviluppato con l’intento di rappresentare le relazioni tra gli operatori e le loro attività in una prospettiva di ergonomia e fattori umani (Cacciabue 2000). Il fine è quello di supportare la visione sistemica definendo e classificando le componenti del sistema che, interagendo tra loro in modo continuo, dinamico e flessibile, danno vita a qualunque processo produttivo. Il senso è che un sistema organizzativo è determinato dalle modalità e dall’efficienza con cui le cinque componenti fondamentali interagiscono tra loro. Il successo della produzione non dipende solo dalle buone regole stabilite, dalla perfezione tecnologica degli strumenti utilizzati oppure dall’elevato grado di competenza dei lavoratori; la buona riuscita del processo dipende dalla buona interazione tra tutte le parti. Per SHELL il processo lavorativo è un sistema che si determina e caratterizza dal modo in cui le diverse componenti interagiscono all’interno di un dato E. Secondo quando previsto dal modello, per considerare le caratteristiche individuali e i loro effetti sul comportamento è necessario porre l’uomo (L) come elemento centrale del sistema composto da altri esseri umani (L), dall’ambiente (E), dall’Hardware (H) e dal Software (S). Al centro è posto l’uomo che lavora in front-line con le altre componenti in base alle proprie competenze, capacità ed esperienze. La centralità attribuita alla componente umana si spiega in riferimento alla tradizione legata ai fattori umani e alla consapevolezza, sempre maggiore, del ruolo fondamentale che il singolo assume parallelamente allo sviluppo tecnologico e normativo, a loro volta finalizzati a migliorare prestazioni e sicurezza dei sistemi. L’uomo non può essere considerato isolatamente dalle altre componenti; il suo comportamento, le sue condizioni 51 psicofisiche, sono influenzate Capitolo 2 dall’interazione con tutte le altre componenti del sistema e quindi devono essere considerate in relazione all’intero processo lavorativo. Se la buona riuscita del processo produttivo dipende dall’armonia con cui i fattori interagiscono tra loro, il modello SHELL sottolinea dove si possono individuare i punti fragili dello stesso sistema: nel momento in cui una delle relazioni dovesse incrinarsi o addirittura scomparire dal sistema, allora tutto il processo produttivo subirebbe dei profondi cambiamenti. In questo caso le altre interazioni dovrebbero, per così dire, potenziarsi per andare a coprire le carenze che si sono presentate. E’ come se non fosse più presente una corretta ed equa distribuzione dei compiti, e le componenti rimaste si trovano ad affrontare un sovraccarico lavorativo che aumenta il livello di stress, diminuisce la forza delle barriere difensive interne e soprattutto aumenta la probabilità che possa presentarsi qualche condizione critica non prevista. Secondo l’approccio SHELL, le criticità sono imputabili non a fallimenti a livello di L, H, S ed E considerati isolatamente, ma vanno ricercate nelle interazioni tra di essi. Vediamo come. 2.2.2 Interazioni e criticità: come scoprire gli errori dl sistema Per criticità si intende una frattura nella continuità delle interazione tra le componenti del processo. In riferimento a SHELL possiamo considerare criticità le fratture che si presentano nell’interazione tra l’uomo e le altre componenti. Quando queste condizioni di possibile pericolo si realizzano, può verificarsi una caduta della prestazione lavorativa, caduta che può creare le condizioni per un incidente. Il modello SHELL, isolando le componenti e le relative relazioni, permette di evidenziare le condizioni critiche che possono minare le condizioni di sicurezza in un processo di lavoro. Ma in cosa consistono queste interazioni così determinanti per la sopravvivenza dell’organizzazione? Raccogliendo alcuni dei contributi di ricerca (Edwards 1988; Cacciabue 2000; Catino 2002), proveremo a sintetizzare le diverse interazioni evidenziando i possibili punti di rottura. 52 Capitolo 2 L-H: è la relazione uomo/macchina, più volte oggetto di ricerche a sfondo sistemico e ergonomico. Sono previste qui le interazioni tra gli operatori e le macchine, la strumentazione, i manuali, i segnali disponibili per eseguire le attività, con tutti i problemi che ne seguono, soprattutto nella fase di progettazione. Oggi si è consapevoli che la tecnologia deve essere disegnata secondo le caratteristiche dell’utente umano e dei suoi limiti, e che bisogna tenere conto delle capacità reali d’uso dell’utente. Ciononostante la maggior parte dei mismatch tra uomo e interfaccia continua a presentarsi in condizioni di piena operatività, come spesso accade nel mondo dell’aviazione. Il problema è che sull’uomo l’intervento è limitato a fasi di addestramento e formazione, mentre la risorsa tecnologica può essere progettata per uno scopo preciso. Le criticità tra L e H vanno ricercate indagando se i problemi sono relativi alle interfacce, se il loro uso presenta difficoltà o richiede troppo tempo o conoscenze non disponibili, se tali strumenti non sono adeguati, se sono pericolose da usare o mantenute male. E’ poi importante assicurasi che gli strumenti di sussidio (manuali, prontuari, segnali…) supportino adeguatamente le attività e tengano conto delle reali condizioni di lavoro, se sono esaustivi nelle informazioni, se hanno un’interfaccia e un formato che permetta una fruibilità chiara e veloce. L-S: si indagano qui le interazioni tra l’uomo e le procedure, le regole che ne orientano e definiscono le prestazioni previste per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi. Agli operatori è richiesto di agire rispettando una serie di regole, regolamenti, convenzioni, procedure che non devono mai entrare in conflitto con le caratteristiche umane. Per assicurare realmente la sicurezza e l’efficacia delle azioni è necessaria un’attenta progettazione; in particolare bisogna fare attenzione a non stabilire regole che, proprio al fine di evitare incidenti, risultino, nella pratica, troppo restrittive, tanto da impedire le prestazioni lavorative. In questo caso, infatti, gli operatori sarebbero indotti a ricercare scorciatoie operative non previste per raggiungere l’obiettivo prefissato, scorciatoie che costituiscono un atteggiamento altamente rischioso. Infine è da sottolineare che le conoscenze da utilizzare per realizzare una certa prestazione devono essere 53 Capitolo 2 sempre coperte da regolamenti, ordini di servizio, istruzioni da parte dell’organizzazione. Al fine di scoprire quali siano le possibili criticità L-S è necessario indagare le interazioni tra gli operatori e tutte le conoscenze necessarie per svolgere le attività lavorative. Si può così scoprire se le normative, i regolamenti, le istruzioni inerenti una specifica mansione, in realtà non la sostengono del tutto, non la spiegano in maniera esaustiva, sono troppo complesse, non coprono le modifiche apportate durante il tempo e finalizzate ad aumentare le barriere di sicurezza interne, se vi sono contraddizioni tra i regolamenti, se non forniscono alternative. È poi necessario considerare se le competenze specifiche del lavoratore sono sufficienti o adeguate per svolgere l’attività in maniera corretta, ricercando le eventuali carenze nell’addestramento o nella formazione. L-E: si fa riferimento alle interazioni tra l’uomo e l’ambiente esterno. In questo caso, però, entrano in gioco fattori economici, politici e ambientali sui quali non è possibile avere un controllo totale. Il sistema deve essere costruito in modo da sopravvivere e svilupparsi nell’ambiente specifico, con una sufficiente flessibilità un’abilità tale da permettergli di adattarsi alle circostanze in continuo cambiamento. L-L: ossia le relazioni tra le persone. Come precedentemente affermato, Hawkins ha proposto di aggiungere una quarta componente nel sistema, una L in più, al fine di tener conto delle interazioni che permettono di scambiare le informazioni tra gli operatori sia vicini sia lontani nello spazio, ma in continua cooperazione e collaborazione. Si analizza il modo in cui le informazioni e la conoscenza sono scambiate tra i soggetti, al fine di realizzare tutte le attività lavorative e decisionali. In questa dimensione assume particolare importanza lo studio dei flussi e dei diversi modelli comunicativi, determinati dalle condizioni personali di ciascuno e dagli schemi di progettazione interni all’organizzazione. Studiare i flussi di comunicazione reali che avvengono nelle pratiche di lavoro da parte degli operatori, consente di ottenere importanti informazioni per poterne poi gestire e sostenere la realizzazione. In questo contesto, gli aspetti critici non mancano. Un esempio calzante viene proprio dall’ATC: quando nei 54 Capitolo 2 singoli settori di spazio aereo il traffico è molto denso, il sovraccarico di lavoro richiesto nelle comunicazioni radio è alto ed è facile che possano presentarsi degli errori come confusione nelle chiamate, incomprensione delle informazioni e delle istruzioni fornite dai controllori ai piloti. Le criticità emergono sia nell’interazione tra il lavoratore e il suo team operativo, sia tra il lavoratore e le altre persone coinvolte nel processo lavorativo. Diversi sono i fattori scatenanti che bisogna tenere in considerazione quando si osservano le tipologie di interazioni tra gli operatori del sistema; le informazioni necessarie possono non essere presenti sul posto o non essere sufficientemente tempestive, oppure la distribuzione del lavoro tra tutti i soggetti non è funzionale all’attività da svolgere, tanto da portare ad una sovrapposizione dei compiti e rendere difficile l’esecuzione dell’attività. Un processo lavorativo è determinato dalla specifica combinazioni delle risorse presenti al suo interno; al cambiare della combinazione si ha un nuovo processo, così come quando viene introdotta un’innovazione nell’ambiente, gli accostamenti tra le componenti devono adattarsi ed evolvere di conseguenza. Analizzare il processo significa considerare tutte le componenti in interazione fra loro e in continua evoluzione. Catino (2002 p. 46) ci ricorda che: “Un sistema ben disegnato esiste soltanto in uno stato di equilibrio dipendente da connessioni altamente interattive tra le parti componenti. Ogni cambiamento di una componente all’interno del sistema SHELL potrebbe avere ripercussioni sull’affidabilità complessiva e richiede un riallineamento coerente delle altre componenti”. È d’obbligo soffermare la nostra attenzione sul concetto di equilibrio del sistema. Il sistem funziona quando le relazioni interne sono in connessione tra loro. Nel momento in cui si verifica un cambiamento, l’improvviso disequilibrio è inevitabilmente compensato dalla flessibilità della dimensione L: il sistema continuare a funzionare, perché le capacità adattive umane riescono a colmare le eventuali carenze. Il problema è che se tale compensazione delle carenze del sistema da parte dei soggetti dura troppo a lungo, l’organizzazione diventa sempre più esposta a possibili breakdowns; un sistema di sicurezza che si affida alle capacità psicofisiche dell’uomo e quindi a tutti i suoi limiti, appare 55 Capitolo 2 inadeguato a garantire l’incolumità dei lavoratori nello svolgimento delle loro mansioni. La continua esposizione al rischio attribuisce agli operatori un livello di responsabilità che si aggiunge a quello quotidiano, aumentando in questo modo la stanchezza e soprattutto il loro livello di stress. La sicurezza non è più garantita a causa del disequilibrio interno; più a lungo si protrae nel tempo questa instabilità, più è facile che all’interno dell’organizzazione si accumulino quegli errori latenti (vedi cap. 1) che minano l’affidabilità del sistema. Quando poi all’instabilità delle interconnessioni si combinano fattori di innesco locali (problemi tecnici non previsti o condizioni atipiche del sistema), ecco che può facilmente verificarsi l’incidente. In situazioni estreme si possono verificare mutamenti che possono compromettere il senso condiviso innescando circoli di confusione fino alla disintegrazione dell’organizzazione (Catino 2002). Per evitare che le criticità possano portare a vere e proprie catastrofi, è necessario un processo continuo di revisione e controllo delle dinamiche del sistema. Guardare la struttura organizzativa attraverso SHELL permette di avere una visione globale del processo lavorativo e di tener conto di come tutte le differenti componenti interagiscono tra loro in modo dinamico e flessibile. Descrivere le interazioni S-H-L significa monitorare le condizioni del sistema e saper cogliere in modo opportuno le modifiche nelle relazioni tra le risorse interne, che si realizzano in risposta ai cambiamenti. Le situazioni critiche sono gli effetti più visibili di una non corretta distribuzione di risorse L – L – H – S - E. Edwards (1988) ci ricorda il perché è così pericoloso per l’organizzazione affidare la sua sicurezza alle competenze dei soggetti in essa presenti. È vero che la flessibilità e la capacità di adattamento dei soggetti sono risorse di estrema importanza e uniche tra tutte le componenti del sistema, ma è altrettanto vero che “errare è umano” e la tendenza a sbagliare è una caratteristica tipica degli uomini, soprattutto se in condizioni di sovraccarico lavorativo, di stanchezza o di stress. Gli errori umani sono sempre collegati alle condizioni ambientali e organizzativi che circondano gli operatori. La prospettiva globale di SHELL ci fa capire come sia controproducente per il 56 Capitolo 2 sistema stesso analizzare gli incidenti attribuendo la responsabilità esclusivamente agli uomini e alle loro carenze. 2.2.3 I campi d’applicazione Il modello SHELL si propone di analizzare i processi produttivi in modo da identificare le possibili fratture del sistema, e intervenire per risolverle garantendo il miglioramento del sistema stesso. Nelle pagine precedenti abbiamo cercato di capire cosa vuol dire individuare i punti in cui è possibile cogliere le fratture organizzative. Il modello SHELL, la prospettiva sistemica e l’area di ricerca dei fattori umani, però, non si limitano ad analizzare; il secondo e fondamentale obiettivo è di intervenire nel concreto per aumentare i livelli di efficienza e sicurezza. Agire sulle fratture significa riorganizzare la distribuzione delle risorse tra gli elementi, riprogettare l’attività lavorativa nella sua globalità modificando le interazioni precedenti, al fine di rendere il nuovo processo produttivo più affidabile, efficace e sicuro. L’intervento nell’organizzazione attraverso SHELL può avvenire in due tempi, prima e dopo il verificarsi di un breakdown. Il verificarsi di un incidente rivela a tutti quali sono i problemi non risolti e crea uno spazio e un’occasione unica per poter apprendere come migliorare le condizioni lavorative. In questo caso l’organizzazione deve essere capace di ricostruire la struttura delle proprie relazioni, identificare il peso delle sue componenti e la loro capacità di relazionarsi. Il problema è che riconoscere le proprie lacune e identificare i fattori latenti a cui non si è data importanza, sono azioni che costano fatica in particolare ai vertici dell’organizzazione; per questo motivo solitamente si cerca di limitare il fatto intervenendo sugli errori attivi e sulle condizioni locali che hanno determinato l’incidente. Edwards (1988) ci ricorda, però, che l’errore deve sempre essere scoperto e la sua correzione deve essere finalizzata ad una diminuzione dei suoi effetti negativi per un buon funzionamento del sistema. Per il bene dell’organizzazione, è necessario chiedersi perché l’errore è stato fatto e perché esso non è stato notato e corretto in anticipo. 57 Capitolo 2 Scoprire gli errori e capirne le cause permette di riflettere sui criteri che dirigono la vita del sistema organizzativo, al fine di impedire che lo stesso errore possa essere commesso in futuro. Altro momento importante consiste nell’osservare e comprendere le modalità con cui i soggetti reagiscono all’incidente; dai loro comportamenti, dalle strategie messe in atto per contrastare i pericoli e le carenze del sistema, si possono comprendere quali siano i modelli di fondo proposti dalla specifica cultura organizzativa. Il comportamento quotidiano dei lavoratori nell’affrontare e risolvere i crolli rappresenta una fonte importante d’informazione per il processo di apprendimento. Il modello SHELL si presta però meglio alle analisi prospettiche, analisi che riescono ad identificare le debolezze del processo permettendo un’adeguata attività di prevenzione. In poche parole si punta a mettere in luce le criticità e individuare le soluzioni, usando la conoscenza cooperativa dei soggetti coinvolti. Osservare il processo, ricostruirne i legami, scoprirne i punti meno affidabili, offre la possibilità di fare predizioni e valutazioni delle conseguenze e dei rischi che potrebbero derivare da sequenze critiche delle interazioni tra le componenti. Secondo quanto sostiene Cacciabue (2000), nella maggior parte dei casi gli incidenti si manifestano come la combinazione di eventi di per sé irrilevanti, i quali si combinano in una configurazione catastrofica, impensata a livello di progetto e imprevista né dall’uomo né dai sistemi di emergenza e protezione; ne consegue che analizzare il sistema produttivo attraverso SHELL può contribuire allo sviluppo di sistemi di controllo, protezione ed emergenza, che aumentino il livello di affidabilità e sicurezza. In base alla tradizione di ricerca, esiste una procedura generale per le indagini prospettiche. Il primo passaggio consiste nello studio dell’ambiente di lavoro visto come importante sorgente di dati. Poiché tutto dipenderà dall’accuratezza con cui si è svolta tale analisi preliminare, è necessario che le indagini sul campo siano molto scrupolose. La tecnica fondamentale è quella dell’osservazione diretta dell’ambiente da parte del ricercatore. La seconda fase prevede lo sviluppo e l’applicazione di un modello teorico di riferimento di comportamento umano, come può essere SHELL, e, in base 58 Capitolo 2 ad esso, analizzare le attività che vengono realizzate nel concreto all’interno del sistema. In sintesi bisogna guardare alle azioni quotidiane dei lavoratori sia in condizioni normali sia in presenza di alcune difficoltà o relative criticità del sistema. Il fine è di rappresentare il processo lavorativo attraverso il diretto coinvolgimento comunicativo, utilizzato. alle del regole, personale, alle dando procedure e attenzione all’apparato al flusso tecnologico Rappresentando in modo preciso tutti questi fattori e i legami esistenti tra le varie componenti del processo, sarà possibile identificare le situazioni critiche. La presenza sul campo e l’osservazione diretta permettono di investigare i reali breakdowns vissuti dai lavoratori, le cause e le strategie che i soggetti hanno messo in atto per mantenere l’equilibrio del sistema: i lavoratori diventano i protagonisti di tutto il processo. In questa fase di ricerca, l’identificazione delle attività critiche, e la seguente proposta di possibili soluzioni, avvengono attraverso l’utilizzo di un ulteriore sviluppo applicativo del modello SHELL, la tassonomia gerarchica ADREP (Accident/Incident Data Reporting) (Cacciabue 2000; Catino 2002) che mette in relazione le situazioni identificate con le componenti di SHELL. “Una tassonomia mira a classificare le informazioni su un possibile incidente o evento indesiderato in modo sistematico, seguendo uno schema prestabilito, ed è un’ottima guida nella condotta dell’analisi dell’evento stesso” (Cacciabue 2000 p. 97). FIGURA 7: Il modello SHELL usato nella tassonomia ADREP La tassonomia ADREP è stata più volte utilizzata per indagare gli incidenti realizzatisi in campo aeronautico, in particolare quelli in cui il 59 Capitolo 2 contributo dell’uomo è risultato di particolare rilevanza. Poiché si basa su SHELL, essa permette di interpretare il comportamento umano come un risultato delle relazioni e delle dipendenze tra l’individuo e il contesto sociotecnico (H, S, E) che lo circonda. I dati osservati e raccolti vanno poi catalogati sulla base della tassonomia così che si possano rappresentare i legami esistenti all’interno del sistema. In questo modo si potrà verificare la possibilità che uno stesso evento sia il risultato dell’interazione tra le categorie presenti. Lo scopo della tassonomia è quello di identificare un’adeguata organizzazione dell’attività di lavoro. Il passaggio finale della ricerca consiste nel formulare un insieme di procedure applicative del metodo, in pratica un modello di intervento concreto per agire sulle criticità individuate nel sistema. La gestione del sistema, caratterizzato dalla complessità che deriva dal dualismo tra la rigidità delle procedure e la necessità di flessibilità da parte dei soggetti, è finalizzata al mantenimento o al miglioramento delle prestazioni del sistema di fronte ai cambiamenti sia interni sia esterni. Analizzare un processo produttivo attraverso SHELL dovrebbe aiutare ad organizzare il lavoro in modo da garantire il rispetto di procedure chiare, definite e standardizzate e allo stesso tempo la possibilità di intervenire in modo tempestivo basandosi sulle proprie esperienze e capacità professionali, garantendo rapidità e dinamicità. In conclusione si può affermare che il modello SHELL è un metodo proattivo di gestione della sicurezza. Attraverso i diversi esempi di applicazione del modello alla realtà operativa, si capisce come tale metodologia un’importanza di ricerca di attribuisca, prim’ordine alle nella teoria condizioni come nella psicofisiche pratica, umane, riconoscendo la loro complessità e l’impossibilità di comprendere il processo produttivo senza integrarle con le altre componenti organizzative. I soggetti coinvolti nel processo analizzato sono i principali attori della ricerca; attraverso l’osservazione delle loro azioni quotidiane e le interviste in profondità proposte dal ricercatore, si identificano le maggiori criticità del sistema, i possibili breakdowns e gli intervenire per correggerli attraverso 60 Capitolo 2 una redistribuzione delle risorse tra le diverse componenti. Analizzare a fondo le correlazioni tra S, H, E e L, e cogliere i relativi punti deboli, costituisce un’opportunità per la progettazione di un sistema più sicuro: descrivendo i processi produttivi si portano alla luce le criticità. Stabilito il principio secondo cui un sistema è affidabile solo se le sue parti sono in continua interazione e in equilibrio tra loro, SHELL ci insegna che per correggere le criticità occorre intervenire su tutto il processo garantendo così prevenzione e sicurezza. Attraverso la tassonomia ADREP si è dimostrato come sia possibile classificare le interazioni rilevate e dare vita a banche dati di errori umani (ICAO 1993, 1997). Gli errori classificati secondo tali tassonomie, arrivano a disegnare le correlazioni che esistono tra errori attivi (manifestazioni di comportamenti inadeguati) e le loro cause latenti o elementi patogeni, stabilendo eventualmente una relazione tra la classificazione degli errori secondo SHELL e i modelli di eziologia di incidenti, e ricerca delle cause di errore umano, secondo le teorie di Reason esposte nel primo capitolo. Edwards, nelle sue ricerche sul mondo del traffico aereo (1988), sottolinea che nonostante i progressi e gli sforzi fatti, le violazioni delle norme stabilite sono ancora comuni, in particolare nelle procedure di radiocomunicazione. Se è vero che un programma di addestramento adeguato, potrebbe ridurre gli errori della componente umana ad uno standard accettabile, è altrettanto vero che ciò che realmente risulta vantaggioso per l’organizzazione è la determinazione dei punti di rottura nella sequenza di informazioni umane che si sono rese necessarie per il compimento del processo. Andare a fondo alla ricerca delle profonde interazioni che si stabiliscono tra le parti del sistema permette di indicare spesso la precisa natura dell’errore e quindi identificare la migliore soluzione: una nuova tecnologia, nuovi programmi di addestramento, cambiamenti nelle procedure operative… I suggerimenti e gli interventi proposti seguendo la metodologia SHELL sono finalizzati ad aumentare la capacità operativa del sistema. Anche in 61 Capitolo 2 questo caso, però, possono presentarsi dei nuovi problemi: più elaborati appaiono gli aiuti, più si rischia di rendere opaco tanto da allentare la correlazione tra le variabili. Per migliorare e mantenere le prestazioni di un sistema, è necessario comprendere la natura delle quattro componenti e non permettere che la loro mutua interazione porti a conseguenze indesiderate e dannose per l’organizzazione (Edwards 1988). 62 Capitolo 3 3. Il contesto della ricerca L’innovazione tecnologica pervade qualunque aspetto della vita quotidiana. Il suo ruolo si fa ancor più forte e determinante nell’evoluzione e nel potenziamento dei sistemi organizzativi nati e articolati intorno alla tecnologia. Questa ricerca prende ad esame il Controllo del Traffico Aereo (ATC), un mondo che si fa sempre più complesso, e che per questo diventa gestibile e organizzabile solo grazie ad un processo costante di miglioramento e sviluppo dei propri supporti tecnologici. L’aeronautica e le sue articolazioni interne sono, ai più, un mondo sconosciuto. In media l’unico riferimento noto è la torre di controllo, spesso ritenuta il solo ente addetto alla supervisione e alla gestione delle migliaia di aerei che occupano i nostri cieli. Questa visione comune è rafforzata anche, e soprattutto, dal modo in cui i mezzi di comunicazione trattano i casi relativi al traffico aereo: quando si parla di controllo o di controllori c’è sempre e solo un riferimento alla torre, attribuendole delle responsabilità che non sempre le competono. La nostra ricerca vuole essere un tentativo di allargare lo sguardo su questo universo la cui complessità è sorprendente e spesso sottovalutata. Il Controllo del Traffico Aereo è tecnologia, è innovazione continua, è potenziamento di tutte quelle strategie che assicurano il suo principale obiettivo: la sicurezza. In questo capitolo cercheremo di chiarire quali siano le caratteristiche, i fondamenti, e le particolarità di questo mondo così affascinante. In un primo tempo saranno esposte e chiarite le sigle che definiscono i molteplici ambiti di riferimento, per poi capirne un po’ l’articolazione, gli obiettivi e gli intenti alla base del servizio e della gestione del controllo. In un secondo momento si dedicherà maggiore attenzione all’ambito specifico della ricerca, l’ATC e in particolare a come siano qui gestite le comunicazioni. È da sottolineare, infatti, che se è vero che questo sistema è dominato da supporti tecnologici innovativi, è altrettanto vero che i principali attori sono i soggetti umani, controllori e piloti. Il continuo e costante scambio comunicativo tra controllori da una parte, e controllori e piloti dall’altra, pone le basi per l’incessante coordinamento e il costante flusso di informazioni che permettono al traffico aereo di funzionare. Le 63 Capitolo 3 comunicazioni, in tutte le loro forme, costituiscono lo strumento di lavoro principale di questo sistema. Il caso esaminato in questa sede focalizza il proprio obiettivo su di un aspetto particolare e significativo dell’ATC, il processo d’innovazione tecnologica vissuto nella nuova Area Control Center (ACC) di Milano (capitolo 4). Per comprendere cosa sia, a cosa serva e che tipo di struttura organizzativa abbia un ACC, è necessario prima inquadrare nei suoi aspetti fondamentali le coordinate di riferimento, cioè il Controllo del Traffico Aereo. 3.1 L’ambito di riferimento 3.1.1 Il Controllo del Traffico Aereo (ATC) Foto: Marco Asprea Il traffico aereo, nel mondo, fa capo ad un’unica filosofia operativa conforme alle normative internazionali dettate dall’ICAO (International Civil Aviation Organization). La sua gestione, definita a livello internazionale Air 64 Capitolo 3 Traffic Management, ATM, comprende due tipologie distinte di servizi d’assistenza: • ATS, Air Traffic Service: gestisce la trasmissione e la diffusione di tutte le informazioni sul trasporto aereo (ricezione dei piani di volo, trasmissione dei dati e delle informazioni). • ATC: Air Traffic Control: comprende le autorizzazioni e gli ordini forniti dal controllore al pilota il quale ha l’obbligo di eseguirle. ATC e ATS sono gestiti da soggetti diversi: in ogni sala controllo ci sono teams di operatori addetti all’ATS e teams addetti all’ATC. Il Servizio di ATC in Italia è fornito dall’ENAV S.p.A. (Ente Nazionale di Assistenza al Volo), attraverso le proprie strutture operative distribuite su tutto il territorio nazionale, e dalla aeronautica militare nelle aree di propria competenza. Il Controllo del Traffico Aereo ha tre finalità precise: a) prevenire le collisioni tra gli aerei in volo, b) prevenire le collisioni sulle aree di manovra tra gli aerei e gli ostacoli, c) facilitare il flusso di traffico aereo mantenendolo ordinato. Questo servizio è fornito dai Controllori del Traffico Aereo che applicano le procedure previste e finalizzate alla massima sicurezza. Ma cosa significa controllare il traffico aereo? Tecnicamente, fornire un Servizio di Controllo del Traffico Aereo vuol dire assegnare le istruzioni e/o autorizzazioni utili ed essenziali a prevenire collisioni fra aeromobili in volo e fra aeromobili, mezzi e ostacoli sull’area di manovra attraverso il contatto bilaterale T/B/T (terra/bordo/terra) fra controllore e pilota utilizzando le appropriate frequenze radio. La sequenza operativa di un qualsiasi volo prevede diverse fasi: si parte dalle autorizzazioni (ordini esecutivi) per il decollo, emesse dalla Torre di Controllo, in coordinamento prima con il settore arrivi/partenze (APP) e con l’ACC per ritornare, poi, in fase d’atterraggio sotto la competenza prima del settore arrivi/partenze e in seguito della Torre di Controllo dell’aeroporto di destinazione. Il tutto senza soluzione di continuità. Alla base della gestione del lavoro in ATC ci sono tre parole d’ordine fondamentali e in rapporto gerarchico e inscindibile tra loro: SICUREZZA, ORDINE, SPEDITEZZA. 65 Capitolo 3 La sicurezza è il principale obiettivo che l’ATC si prefigge. Storicamente qualunque forma di sviluppo del supporto tecnologico è finalizzata ad aumentare, o quantomeno favorire, la fiducia nella strumentazione e nelle regole da seguire migliorando il supporto di riferimento. Il raggiungimento di una maggiore sicurezza facilita anche l’ordine e la speditezza. In ATC ogni “azione” ha una filosofia d’intervento tesa a prevenire le collisioni, garantendo azioni ed operazioni di volo sicure per tutti coloro che utilizzano questo servizio. Non bisogna però dimenticare che l’influenza negativa, quanto inevitabile, delle abitudini, delle condizioni meteo, della fretta, dell’eccessiva dimestichezza nelle azioni ripetitive (fraseologia impropria, istruzioni sommarie, comunicazioni frammentate, veloci e di prassi…) può modificare, in qualche modo e sotto qualche forma, tale azione di controllo fino a manifestarsi anche attraverso un evento inaspettato, imprevisto e critico. A questo proposito è però bene ricordare che gli attori principali, pilota e controllore, sono dei soggetti facilmente intaccabili dalle abitudini e/o consuetudini che non sono sempre portatrici di azioni fluide e formalmente impeccabili. Non a caso, è stato precedentemente ricordato come il mondo dell’ATC sia stato più volte oggetto di ricerche relative agli errori umani e in generale organizzativi. L’evoluzione del controllo del traffico aereo, le innovazioni tecnologiche che in esso si sviluppano, devono essere finalizzate a ridurre ai minimi termini ogni effetto negativo. Il sostegno tecnologico dovrebbe supportare il più possibile le capacità umane, le inevitabili carenze, gli sbalzi dovuti a contingenze. Nell’ATC la tecnologia deve diventare un tutto unico con il controllore, un sistema di riferimenti spontaneo, che permetta al soggetto di concentrare la propria attenzione esclusivamente sullo schermo radar e sugli aerei presenti nel proprio settore. È però necessaria la consapevolezza del fatto che è pura utopia sperare di eliminare totalmente le negatività proprie della natura umana. Il mondo del controllo del traffico aereo è un sistema di simboli. È una piccola nicchia di significati, riferimenti specifici, strutture specializzate e un proprio linguaggio in codice. Controllori e piloti creano una subcultura ben delimitata e definita nei suoi confini. 66 Capitolo 3 Nel nostro lavoro ci limiteremo ad esporre e chiarire le principali caratteristiche degli organi finalizzati a controllare il traffico aereo, poiché è in questi ambiti che si sviluppano i costanti coordinamenti necessari ad un’affidabile gestione dei voli. Come accennato precedentemente, l’ATC si divide tra TWR, o torre di controllo, l’APP, o settore arrivi/partenze, e infine l’ACC, o centro di controllo d’area. Analizziamone le fondamentali funzioni. • TWR: torre di controllo. Gestisce il traffico in arrivo e in decollo dall’aeroporto di giurisdizione, in stretto e continuo coordinamento con l’APP, e l’ACC, di competenza. Gestisce tutto il traffico sulle piste e vie di rullaggio. Controlla a vista al 99%. • APP: settore arrivi/partenze. Controlla le immediate vicinanze dell’aeroporto e in altezza arriva a circa 2000/3000 piedi. Questo settore è raffigurabile come la strettoia di un imbuto, nella quale tutti gli aerei che provengono dai settori superiori devono incanalarsi in modo ordinato per poi “uscire dall’imbuto” e atterrare sulla pista. L’APP accoglie gli aerei, assegna loro un ordine d’entrata e solo quando quest’ordine è stabilito, li affida al TWR che a vista li istruisce per l’atterraggio. Viceversa nella fase di decollo, l’APP riceve gli aerei che la torre di controllo non può più gestire a vista, e li dispone nel modo più adatto per poi farli passare ai settori di sorvolo. • ACC: Area Control Center. Controlla il traffico aereo superiore ai 3000, 3500 piedi. Poiché quest’ultimo ambito costituisce il campo d’indagine della nostra ricerca, nel prossimo capitolo tenteremo di analizzarlo in maggiore profondità per capirne i requisiti e per comprenderne il ruolo all’interno dell’ATC. In seguito l’analisi si focalizzerà con maggiore attenzione su Milano ACC per capire il processo in atto attualmente. Prima, però, è necessario soffermarci sulla figura dei controllori e sul loro strumento di lavoro fondamentale: la comunicazione. Solo dopo aver affrontato questi ambiti, potremo avere un po’ più chiari i confini di un sistema così vasto e complesso. 3.1.2 Il lavoro dei controllori del traffico aereo 67 Capitolo 3 La tradizione di ricerca ha studiato il Controllo del Traffico Aereo più volte e da diversi punti di vista. Ciò che noi vogliamo sottolineare è il ruolo assunto dalla componente umana all’interno di questo contesto. Senza nulla togliere a sistemi tecnologici, norme e regolamenti, e ambienti di lavoro, riteniamo che tutto ciò assume un senso e diventa funzionale solo se mantiene come punto focale l’individuo. Come affermato in precedenza, la ragion d’essere degli uomini in sistemi altamente complessi, risiede proprio in quelle peculiarità umane che possono risultare contemporaneamente tanto risorse, quanto criticità. La flessibilità dell’uomo, la sua capacità di adattamento, la possibilità di elaborare nuovi piani d’azione (knowledge based) nel minor tempo possibile di fronte ad eventi inaspettati, lo rende indispensabile per il sistema, nonostante i continui progressi tecnologici. Il mondo dell’ATC ha vissuto, negli anni, cambiamenti di ogni sorta rispetto alla tecnologia e l’aumento esponenziale del traffico aereo ha imposto nuove regole, sempre più rigide e uniformi a livello mondiale. Il controllore del traffico aereo, nonostante tutto, ha sempre mantenuto il suo posto e non corre il rischio di essere sostituito dalle macchine. Il lavoro del controllore è complesso e richiede adattamento, rapidità, flessibilità, prontezza e soprattutto coraggio. In passato egli lavorava con una radio, un foglio di carta, una penna e un orologio; ora ha a sua disposizione un radar, e tutta la migliore strumentazione computerizzata prodotta dallo sviluppo tecnologico. Il suo ruolo operativo è lo stesso di sempre: nel gestire il traffico, egli ha sotto controllo un preciso spazio aereo, e comunica via radio con i piloti dei voli presenti in esso. Il compito fondamentale è quello di separare gli aerei tra loro in modo da non farli scontrare, comunicando via radio con i piloti attraverso la specifica frequenza, e collaborando con il suo team operativo e con i colleghi dei settori adiacenti, per far sì che il traffico sia ordinato e spedito nel rispetto della sicurezza. In sintesi il controllore comunica; comunica con i piloti, con i suoi colleghi e con il sistema tecnologico che utilizza, a cui fornisce e da cui riceve informazioni. Le parole hanno in questo mondo un ruolo fondamentale, tanto che esiste un alfabeto universale, una pronuncia precisa, una corrispondenza biunivoca tra domanda e risposta, così come 68 Capitolo 3 tra parole e significato. La precisione e l’attenzione sono alla base di tutto, l’ambiguità non è consentita. Cushing, nei suoi studi sul linguaggio in ATC e sui problemi più rilevanti ad esso connessi (1994), fa notare come la complessità e la flessibilità del lessico sono aspetti problematici anche nella vita quotidiana. Incomprensioni e confusioni possono nascere facilmente a causa di riferimenti ambigui, del tono di voce, delle inferenze implicite. Tutto ciò nel mondo dell’aviazione può diventare un pericolo per la sicurezza della vita delle persone: le incomprensioni legate al linguaggio sono state un contributo cruciale negli incidenti aerei. Il controllore deve saper gestire le informazioni a sua disposizione. La modernità e il maggiore volume di traffico aereo nel mondo, hanno aumentato la quantità di dati necessari per la coordinazione dei voli e scambiati tra controllori e piloti. Ciò ha richiesto ai singoli operatori di acquisire competenze e capacità sempre più complesse e astratte. Con l’aumentare del carico di lavoro, in termini di numero di aerei da seguire, i controllori devono cambiare la loro strategia operativa, riorganizzando il proprio sistema di trattamento delle informazioni e il proprio stile di risposta. Ciò è valido sia da una prospettiva storica, poiché col tempo sono aumentati gli aerei ed è cambiato il modo di gestire le informazioni ad essi relative, sia da una prospettiva attuale, poiché il lavoro del controllore è sottoposto a continui cambiamenti anche nel quotidiano. Ad esempio, se gli aerei da seguire sono pochi (da uno a tre) il controllore li guida individualmente in modo da fissare per ciascuno di essi traiettorie ottimali; se aumentano (da quattro fino a sei) si cambia strategia rinunciando a ottimizzare le traiettorie individuali dei voli e imponendo velocità e traiettorie standard. In presenza di un carico elevato (da sette a nove) la strategia cambia ancora, e ogni aereo viene gestito come un anello di una catena a scorrimento costante. Ogni passaggio prevede che il controllore sappia modificare la sua strategia e ridurre gli obiettivi secondo necessità. Il buon controllore deve saper coordinare la propria attività con quella dei colleghi e mantenere continuamente uno stato di disposizione a collaborare. Egli si trova all’interno di una comunità di pratiche, un ambiente che, per funzionare, richiede un impegno reciproco e costante da 69 Capitolo 3 parte di tutti. Appartenere ad una comunità di questo genere significa negoziare i significati delle azioni, condividere uno stesso impegno, organizzare in modo complementare le interazioni pratiche e comunicative attorno allo specifico impegno. I controllori collaborano quotidianamente per il raggiungimento degli stessi obiettivi, perché sanno di far parte di un’unica impresa, e sono consapevoli di avere una comune visione del mondo in cui lavorano. Attraverso il continuo scambio comunicativo, la realtà è continuamente preservata e, allo stesso tempo, modificata continuamente per adattarla alle esigenze del momento. “Ogni comunità di pratiche sviluppa dei propri modi di fare le cose, dei propri criteri per definire che cosa sia accettabile, che tipi di errori possano essere tollerati, come e a chi le informazioni possano essere trasmesse. Questa conoscenza prodotta localmente non è separabile dal suo contesto, ma resta appiccicata agli ambienti in cui nasce. La comunicazione è coordinamento e costruzione di un significato condiviso per le situazioni” (Mantovani 2000 p. 243). 3.1.3 Principi comunicativi nel Controllo del Traffico Aereo. La comunicazione è il mezzo principale usato nella gestione del traffico aereo. Attraverso la comunicazione, i controllori comprendono la situazione e le reciproche intenzioni: realizzano obiettivi in comune, condividono strategie, anticipano i problemi, risolvono i conflitti, spiegano le intenzioni, prendono le decisioni (Bellorini, Vanderhaegen, 1995a). Nell’ATC è d’obbligo l’utilizzo, a livello internazionale, di una comune fraseologia standard per le comunicazioni T/B/T (terra/bordo/terra). La corretta gestione delle comunicazioni a distanza rappresenta il settore più importante e più critico del rispetto della normativa da parte sia dei controllori, sia dei piloti. L’uso di procedure e fraseologie non standard può causare fraintendimenti e creare breakdowns nelle fasi di gestione del traffico; molti incidenti ed eventi pericolosi accaduti hanno avuto come concausa un messaggio frainteso per l’uso di una fraseologia non corretta. L’osservanza rigida delle tecniche e dei metodi stabiliti per la comunicazione permette di eliminare qualsiasi equivoco sul significato dei 70 Capitolo 3 messaggi e aiuta a prevenire eventuali incidenti. È d’obbligo per tutti usare la corretta fraseologia standard secondo cui ad ogni parola è associato un unico significato (affirm = si; approved = permesso concesso per l’azione richiesta; roger = ho ricevuto la vostra ultima trasmissione al completo; negative = no, permesso non concesso…). L’unica lingua accettata e consentita per le comunicazioni è l’inglese. Il risultato di un uso sistematico della fraseologia standard è quello di avere comunicazioni concise e non ambigue: “L’uso al momento giusto di una fraseologia concisa e non ambigua è d’importanza vitale per lo svolgimento scorrevole, rapido e sicuro delle operazioni” (Gigli 2001 p. 70). Tutto ciò vale sia per le comunicazioni tra controllori e piloti, sia tra controllori e controllori. Controllori al lavoro. Foto: Marco Asprea Nella pratica, però, numerosi fattori esterni rendono difficile per il controllore rispettare costantemente le procedure. Dalle ricerche precedentemente svolte sul mondo dell’ATC, emerge che il fattore che più 71 Capitolo 3 incide sulla qualità delle azioni dei controllori è lo stress, la cui causa principale è l’aumento – improvviso - del traffico aereo. É durante i periodi di intenso traffico che il sovraccarico di lavoro dei controllori limita l’efficacia reale delle comunicazioni in uscita (Grayson, Billings, 1981). È stato spesso studiato l’effetto che questo aumento può avere sull’attuazione e la cognizione dei compiti (Bellorini, Decortis, 1994b) ed è emerso che nelle situazioni di stress, emergono più facilmente gli aspetti critici e viene meno il carattere cooperativo (dall’organizzazione dei richiesto compiti dalle individuali specifiche all’interno mansioni della squadra, all’assemblaggio delle attività nella più ampia divisione del lavoro). In questo contesto le modalità comunicative fungono da mezzo e indicatore del modo in cui gli operatori lavorano come squadra e della gestione collettiva delle risorse cognitive. Se la comunicazione è organizzata nel modo corretto, allora i controllori raggiungono una situazione di credenze e stati mentali condivisi, strumenti per un’efficiente coordinazione e collaborazione nel lavoro. Con l’aumento del traffico tutte le azioni non pianificate che si presentano devono essere gestite nel minor tempo possibile. Un traffico maggiore e un tempo minore creano condizioni stressanti in cui si passa da una strategia di lavoro cooperativa ad una individuale, e diventa impossibile il processo, qui fondamentale, di decisione distribuita. In situazioni critiche il canale per la comunicazione è chiuso per via della concentrazione di ciascuno sul proprio compito che porta ad un’individualizzazione delle attività (Bellorini, Vanderhaegen, 1995b). Sotto stress, l’azione si focalizza sul problema. La memoria è sovraccaricata e le comunicazioni, uniche fonti d’informazione, ne subiscono le conseguenze: ripetizioni, parziali o incorrette, mancato rispetto delle regole sintattiche, aumento sregolato della mutua e tacita conoscenza, uso inappropriato di soprannomi e abbreviazioni (Bellorini, Decortis, 1994b) sono gli effetti più comuni. Se ben gestito, il flusso d’informazioni ha l’effetto di ridurre lo stress perché fa diminuire l’incertezza. Nonostante i supporti tecnologici siano sempre più sofisticati, il controllore prende sempre le sue decisioni in uno stato di parziale ignoranza e ambiguità a cui sopperisce con la propria esperienza e con la collaborazione dei colleghi. 72 Capitolo 3 L’aumento del carico di lavoro, obbliga però ad una continua interruzione dei flussi comunicativi, e ad aggiungere o modificare le informazioni di cui si a conoscenza (Bellorini, Vanderhaegen, 1995b). In questi casi le condizioni per l’azione si complicano e il lavoro diventa più difficile. Un linguaggio ambiguo può anche causare incidenti (Bellorini, Cacciabue, Nanetti, 1998). In aggiunta al ruolo giocato dalle condizioni critiche contingenti, la complessità e la flessibilità del linguaggio diventano facilmente fonti d’incomprensione; è questa consapevolezza che porta ad attribuire sempre più importanza al rispetto della fraseologia standard. Il rischio di confusione e incomprensione tra i soggetti coinvolti, aumenta se le comunicazioni verbali non sono controllate e formalizzate in accordo con le regole prestabilite; assunti ambigui, riferimenti poco chiari, inferenze implicite possono anche generare incidenti. Uno degli scopi fondamentali del sistema ATC è quello legato al miglioramento della “qualità” della comunicazione. L’uso della fraseologia standard, soprattutto durante situazioni altamente stressanti, è fortemente raccomandata al fine di ridurre l’ambiguità dell’interpretazione negli scambi comunicativi (Bellorini, 1996). Bisogna tener presente, inoltre, che altre condizioni, solitamente marginali e irrilevanti, contribuiscono facilmente allo sviluppo di criticità legandosi tra loro in una sfortunata sequenza generatrice di disastri (Bellorini, Cacciabue, Nanetti, 1998). Piloti e controllori sono consapevoli dei danni che l’ambiguità del linguaggio può avere sul fattore “sicurezza”; la poca chiarezza comunicativa può nascere da problemi di ricezione sulle frequenze radio, dal sovraccarico di lavoro, dalla poca esperienza tipica dei giovani operatori, e infine dalla facilità con cui, soprattutto sotto stress, ci si distacca dalla fraseologia standard per adottare un linguaggio informale e espressioni che non fanno altro che aumentare l’ambiguità. Nonostante tutte le innovazioni tecnologiche adottate e quelle in via di sperimentazione (“data-link” o “free flight”) con cui l’ATC sta tentando di aumentare la sicurezza e l’affidabilità del sistema, l’uso della comunicazione verbale modellata su di un linguaggio standard continuerà ad essere il modo più comune di interagire tra controllori e piloti (Bellorini, Cacciabue, Nanetti, 1998). 73 Capitolo 3 3.2 Oggetto della ricerca 3.2.1 Oggetto dello studio Dopo avere delineato i confini dell’ambito di riferimento (ATC), tenteremo ora di addentrarci nello specifico per comprendere cosa sia e come sia costituito un centro ACC (Area Control Center). È necessaria una restrizione del campo di indagine perché il mondo dell’ATC è troppo ampio e complesso per essere affrontato in un solo lavoro di ricerca. Il nostro scopo è di rispondere a domande fondamentali che ci permettano di capire realmente cosa sia un ACC, quali siano le sue funzioni, che caratteristiche devono avere i soggetti che in esso operano. Grazie alle risposte a queste domande, saremo in grado di capire meglio i risvolti dell’innovazione tecnologica introdotta in questa sala operative e dai noi analizzata. Questa seconda parte, in sintesi, è finalizzata a fornire i punti di orientamento e le coordinate fondamentali per creare la base concettuale necessaria ad affrontare il significato e il peso che il processo d’innovazione tecnologica ha assunto a Milano ACC. 3.2.2 L’ACC – cos’è. Il Centro di Controllo d’Area, ACC, è il centro responsabile della fornitura del Servizio di Controllo del Traffico Aereo (ATC), del Servizio di Informazioni Volo e di Allarme (ATS). Tutte le mansioni svolte in ACC devono rispettare i principi e le normative imposte a livello mondiale da ICAO, fonte legislativa primaria di ogni aspetto relativo al mondo dell’aviazione. L’ACC controlla il traffico da 3500 piedi in su. Può delegare agli enti sottostanti il controllo di un aereo che si trova nel suo spazio aereo, nel caso in cui questo voli in condizioni tranquille e non crei problemi agli altri aerei presenti. Al di sotto di 3500 piedi, e fuori del controllo dell’APP (settore arrivi/partenze), l’aereo segue specifiche direttive internazionali: i riferimenti per il pilota sono la carta geografica e le regole a vista. Passando 74 Capitolo 3 sotto la giurisdizione ACC, il pilota dovrà invece tornare a seguire le regole strumentali, in coordinamento con il controllore addetto allo specifico settore aereo. L’ACC, di norma, si trova a gestire una considerevole quantità di traffico, anche di centinaia d’aeroplani ogni ora, suddiviso nei vari settori delimitato) operativi e nella (postazioni propria e che definita controllano area di uno spazio competenza aereo (spazio tridimensionale con precisi confini laterali e d’altitudine). Ogni settore è gestito da una squadra di controllori che hanno specifici ruoli di competenza (controllore radar, controllore procedurale, controllore assistente) e una frequenza di riferimento. I controllori provvedono alla separazione degli aerei in rotta, al sequenziamento degli aeroplani in arrivo agli aeroporti di giurisdizione e dei relativi decolli. Per fare un esempio concreto, Milano ACC gestisce, nell’arco delle 24 ore, circa 2000 movimenti concentrati prevalentemente dalle 7.00 alle 21.00 (tra le 23.00 e le 6.00 ci sono circa 40 movimenti) e ha giurisdizione sugli aeroporti di Milano Malpensa, Milano Linate, Bergamo, Torino, Genova, su aeroporti minori come Lugano Agno, Parma, Cuneo, Albenga e, in condivisione con gli ACC di Roma e Padova, sugli aeroporti di Brescia, Firenze e Pisa. A Milano i settori operativi, nella loro massima espansione diurna, dalle 07.00 alle 21.00, sono 15 su cui operano circa 50 Controllori contemporaneamente per turni di 6/8 ore. I livelli di professionalità e d’abilitazioni operative possedute da tutti i controllori sono diversi in base all’esperienza e alla competenza acquisita. Le azioni operative dell’equipaggio in turno sono coordinate da due Supervisori (uno per settore: supervisore area arrivi/partenze, supervisore area scorrimento). Il tutto ricade sotto la funzione e responsabilità gestionale del Capo Sala. Il Servizio di ATC ha una precisa giurisdizione territoriale. In Italia, come in altri stati, ci sono però delle eccezioni finalizzate a semplificare e rendere più fluida la gestione del traffico: ad esempio, pur trovandosi nel Canton Ticino - Svizzera, il controllo aereo su Lugano è gestito da Milano ACC a seguito di una convenzione internazionale. Ciò al fine di semplificare l’amministrazione del servizio, poiché Lugano, Malpensa e Linate sono tra loro molto vicine ed è più comodo gestirle da un unico punto. Allo stesso 75 Capitolo 3 modo l’ACC di Ginevra arriva a controllare anche il traffico su Torino/Montebianco invadendo il territorio italiano. Il confine dello spazio aereo viene ridisegnato al fine di rendere più fluida la gestione del traffico e più adeguata alle necessità e alle caratteristiche del settore aereo. 3.2.3 L’ACC come centro di coordinamento Il funzionamento di un ACC, così come di un altro settore addetto alla gestione del traffico aereo (APP, TWR…), soddisfa le regole di un centro di coordinamento. I centri di coordinamento (Suchman 1993, Fele 2002) sono organizzazioni in cui: • Si gestisce in modo cooperativo e distribuito un servizio; • Si affrontano contingenze ed eventi inattesi; • Si risponde ad emergenze e situazioni critiche in tempi rapidi. In tutte le organizzazioni che rispondono a queste caratteristiche (torri di controllo, centralini dei numeri d’emergenza, centri di pronto soccorso, sale di controllo delle metropolitane…) il lavoro consiste nel dispiegare forze, persone, azioni e comunicazioni anche in luoghi lontani tra loro. Per comprendere meglio le specificità di queste organizzazioni particolari si può considerare singolarmente ciascuno dei due termini. Questo esercizio permetterà di avere un’idea più chiara del tipo di ambiente che è possibile trovare in ACC e, soprattutto, di cogliere con maggiore attenzione le peculiarità del caso analizzato. “CENTRO”: la postazione lavorativa deve permettere di far incontrare simultaneamente richieste e necessità diverse provenienti da luoghi anche lontani tra loro. E’ necessario che ogni azione sia indirizzata verso un unico punto focale, il centro, che diventa luogo di riferimento. Tutti coloro che sono coinvolti nella gestione delle attività (e a maggior ragione se si tratta di un’emergenza), pur essendo dispersi nello spazio, devono poter orientare e focalizzare la propria attenzione verso un obiettivo preciso e identificarsi a vicenda in qualunque momento. In ACC il centro è la postazione radar. 76 Capitolo 3 “COORDINAMENTO”: è la parola chiave, la regola prima per lavorare correttamente. Il personale coinvolto nelle operazioni coordina le proprie attività in modo che ciascuno possa avere accesso alle azioni altrui. Il flusso reciproco d’informazioni e di cooperazione deve essere libero e continuo. In ACC i coordinamenti sono continui; avvengono tra postazioni, collocate sul territorio nazionale o internazionale, che gestiscono spazi aerei confinanti. I centri di coordinamento sono luoghi di lavoro in cui i soggetti quotidianamente orientano il proprio comportamento, collaborativo e cooperativo, verso la risoluzione di problemi diversi tra loro a livello spazio temporale. A questo fine, è necessario che tale struttura offra i mezzi e le regole per dare risposte rapide ed efficienti a situazioni critiche in un tempo limitato. Strumenti e norme devono facilitare la dinamicità nelle risposte e la chiarezza negli scambi informativi in qualunque situazione. Le competenze specifiche di un centro di coordinamento hanno alla base una salda struttura organizzativa di riferimento, sia a livello sociale sia tecnico – pratico. Per chiarire il quadro dei compiti in cui i singoli operatori sono chiamati ad intervenire, possiamo far riferimento agli ambiti di prestazione descritti da Lucy Suchman (1997), ambiti facilmente osservabili nel sistema del Controllo del Traffico Aereo. > Ambito Tecnologico: ciascuno deve saper localizzare nel minor tempo possibile la funzionalità dello specifico mezzo nell’eterogeneo sistema informatico a disposizione. > Ambito Interpretativo: ciascun membro è chiamato a sviluppare la sensibilità necessaria per leggere e interpretare una qualsiasi scena. Ciò implica saper interpretare i segnali che emergono nelle diverse sequenze lavorative, soprattutto in una situazione improvvisa e inattesa. Bisogna saper dotare di senso in modo corretto i dialoghi, le immagini, i testi, gli spostamenti dei corpi, gli sguardi… > Ambito di (Ri) Produzione dell’ordine normale: ogni membro della squadra deve saper gestire le contingenze quotidiane mantenendo l’ordine necessario allo svolgimento delle attività comuni. 77 Capitolo 3 > Ambito della Partecipazione: grazie alla disposizione delle postazioni, i lavoratori devono saper focalizzare la propria attenzione sulla necessità dominante del momento orientandosi in uno spazio di riferimento conosciuto e interiorizzato. > Ambito Costitutivo: la configurazione della distribuzione delle postazioni interne alla sala operativa (assenza di barriere e di limiti concreti), permette un’interazione continua, coordinata e cooperativa. > Ambito della Competenza: attraverso il supporto dei collaboratori e la successiva interiorizzazione delle esperienze, i soggetti acquisiscono la competenza indispensabile per rispondere al maggior carico di lavoro. La comunità vive in un processo costante di socializzazione caratterizzato da uno scambio continuo di informazioni e conoscenze. Nell’Air Traffic Controll (ATC) la coordinazione delle attività e dei processi decisionali è l’aspetto più pervasivo e complesso e per questo anche più vulnerabile agli errori umani. Tali centri sono, infatti, un luogo in cui: • Si gestisce in modo cooperativo e distribuito il lavoro tra i controllori del traffico aereo stessi e tra i controllori e i piloti; • Dato l’enorme aumento del traffico aereo, i soggetti coinvolti devono affrontare contingenze, eventi inattesi e improvvisi; • La prontezza e la rapidità con cui si risponde e si risolvono situazioni critiche e di emergenza sono requisiti fondamentali. Nell’ambito dell’ATC le attività di routine consistono nell’evitare un accadimento altrimenti possibile (un incidente). Negli ultimi anni, però, si è visto come anche queste operazioni stiano sempre più assumendo le caratteristiche tipiche delle emergenze a causa dello smisurato aumento del traffico: ogni operazione deve essere fatta rispettando un flusso d’eventi in costante svolgimento e in tempi sempre più ristretti. La coordinazione nell’ATC consiste nel trasferimento d’informazioni tra i controllori che così gestiscono segmenti separati di spazio aereo e prevede una comunicazione non necessariamente verbale (Grayson, 1981b) necessaria a coordinare gli aerei che passano da una giurisdizione (spazio aereo) ad un’altra. In questo caso la coordinazione assume la forma di un 78 Capitolo 3 consenso contrattuale, raggiunto attraverso la negoziazione dei comportamenti e dei riferimenti comuni. E’ da considerare, infatti, che la gestione della situazione avviene tra soggetti diversi e distanti nello spazio: i controllori comunicano tra loro, o all’interno della stessa sala controllo, o tra centri geograficamente distanti, e allo stesso tempo mantengono il contatto T/B/T con i piloti presenti nello spazio aereo da loro gestito. Tutto ciò necessita di una profonda negoziazione di significati e di strategie comuni che prevedono un trasferimento graduale delle informazioni: richiesta di negoziazione, messaggi di risposta, esecuzione del piano d’azione stabilito. La complessa rete comunicativa che viene così creandosi trova un forte sostegno nei diversi strumenti usati per il trasferimento delle informazioni: il telefono, la radio, la voce, l’uso di messaggi informali o abbreviati, segnali e gesti fatti a mano e infine l’uso delle apposite strip cartacee (oggi sempre più spesso sostituite dal sistema informatico), che permettono una conoscenza anticipata degli eventi e facilitano la coordinazione. Nel caso in cui cambi all’improvviso il piano di volo, i controllori devono attivare un tipo specifico di comunicazione specializzata (Grayson, 1981b). Seguendo le conclusioni dei lavori della Suchman (1996, 1997), per comprendere il funzionamento di un centro di coordinamento è necessario cogliere la relazione di reciprocità che esiste tra la struttura dell’ambiente le attività lavorative. Uno dei punti iniziali di questa ricerca è stato il concetto secondo cui un centro per il Controllo del Traffico Aereo è un contesto formativo e come tale conferisce senso agli oggetti che lo popolano e alle mansioni svolte. In qualità di centro di coordinamento, la sala operativa è un punto di riferimento simbolico e materiale per tutti coloro che sono coinvolti nelle attività che caratterizzano l’ambiente da cui sono, a loro volta, caratterizzati. La strumentazione tecnologica di un ACC permette la coordinazione delle mansioni, poiché ricrea e riconfigura sullo schermo radar le situazioni rilevanti sulle quali bisogna intervenire. La Suchman (1996) mette in luce come la sala operativa, nel tempo, diventi un contesto topico: la connessione tra luogo e attività è sempre più 79 Capitolo 3 contraddistinta dagli aspetti culturali, storici, locali dell’ambiente. Le attività umane attribuiscono senso alla sala e nel contempo acquistano senso in essa. Ciò emerge soprattutto nella gestione di situazioni critiche: si sviluppa, in conformità ad un modello consolidatosi nel tempo, una comune e condivisa visione della situazione che permette a ciascuno di cogliere e gestire in modo simile gli stessi segnali. Ma come si crea tale comune visione del mondo? Come nasce una comunità di questo tipo? A tal fine esistono due prerequisiti fondamentali. Il primo consiste nella comune lettura della situazione da parte dei soggetti. Ciascun controllore mette insieme le conoscenze passate e presenti sugli eventi, vi accosta e relaziona le tecnologie e le azioni che possono rivelarsi strategiche, e nel contempo cerca di interpretare senza errori e in tempo reale i dialoghi, le immagini, i testi. Imparare a leggere correttamente una scena (una particolare configurazione dello spazio aereo fornita dallo schermo radar) e interpretarla secondo le necessità, aumenta il livello di competenza di cui si è in possesso. Il secondo prerequisito è la capacità di mantenere l’ordine normale della situazione seguendo una sequenza tipizzata d’azioni. I soggetti nella sala operativa si abituano ad organizzare la routine, attribuendo ad ogni evento un senso predeterminato da uno schema interpretativo di base. E’ all’interno di questa cornice che i controllori cercano di collocare anche gli eventi inaspettati, così che siano assorbiti e gestiti dalle note pratiche routinarie. Il modo migliore per risolvere un’inaspettata criticità consiste nell’unire le risorse e creare di volta in volta un sistema ad hoc. È in questi momenti che emergono le interazioni fondamentali e funzionali costituitesi storicamente e culturalmente tra le persone, la strumentazione tecnologica, le attività e l’ambiente. Si radicalizza col tempo un contesto eterogeneo capace di unire persone e mezzi distribuiti nello spazio, in un sistema lavorativo comune e condiviso finalizzato a ripristinare l’ordine degli eventi. La condivisione sia fisica che simbolica di uno spazio è uno degli aspetti più caratterizzanti della sala controllo: l’assenza di mura interne o di altre barriere fisiche all’interno della sala, massimizza il mutuo accesso alle attività (Suchman, 1997). Le sole limitazioni sono definite dalla collocazione 80 Capitolo 3 e disposizione dei mezzi, delle postazioni lavorative e dall’organizzazione dinamica delle attività. Nella sala operativa la posizione occupata determina sia lo specifico ruolo ricoperto, sia l’organizzazione dello spazio condiviso. In un centro di coordinamento la disposizione dello spazio coincide con l’organizzazione del lavoro. Dall’analisi della Suchman emerge inoltre che esiste un altro aspetto caratterizzante di quest’ambito lavorativo: la dinamicità delle azioni permette un’interazione continua. Grazie anche all’assenza di barriere, è possibile che in qualunque momento un soggetto abbandoni l’attività in cui è impegnato e prenda il controllo su di un’altra il cui operatore è in difficoltà. I controllori del traffico aereo sono sempre in grado di congiungere dinamicamente mansioni diverse in relazione alle contingenze, sapendo cogliere tutti i segnali che emergono. I controllori del traffico aereo vivono in un ambiente creato su misura, costituiscono una vera subcultura, sono una comunità sotto ogni aspetto. Tra i soggetti esiste un processo continuo di apprendimento che prende forma durante le fasi lavorative: ci si interroga e si danno spiegazioni sul proprio operato in una costante condivisione delle conoscenze. I controllori sono una comunità di pratica: i membri si relazionano tra loro e condividono uno stesso linguaggio, discorsi, modi di parlare, attribuiscono lo stesso senso ad un problema e alla soluzione relativa. Un centro ACC opera in modo efficiente ed affidabile se si configura come un’organizzazione in cui vive una comunità di pratica. 3.3 Strumenti e metodi per l’analisi L’analisi del processo d’innovazione tecnologica vissuto nell’ACC di Milano, ha richiesto l’applicazione di alcune regole previste dall’etnografia situazionale. Nel periodo trascorso tra settembre 2002 e luglio 2003 si è mantenuta una presenza sul campo, con una frequenza media di un giorno a settimana in tutto il periodo considerato. Una prima fase del lavoro ha previsto una serie di incontri con i responsabili dell’amministrazione, della sala e del reparto addestramento. Nel corso di queste lunghe chiacchierate 81 Capitolo 3 sono state trattate e approfondite le tematiche necessarie ad illustrare, inizialmente in linea generale e per poi entrare sempre più nello specifico, il sistema del traffico aereo e la struttura e il funzionamento dell’ACC. Questa fase ha fatto emergere dubbi, questioni, curiosità che tutti i responsabili hanno chiarito dimostrando grande competenza e allo stesso tempo chiarezza espositiva. La seconda e decisiva fase ha previsto la presenza costante in sala controllo e l’affiancamento ai controllori nelle postazioni. L’ampia disponibilità al dialogo e la sincerità dimostrata da tutti i controllori, i supervisori e i capi sala, ha permesso un veloce adattamento all’ambiente e un’integrazione nel gruppo. La raccolta delle informazioni è avvenuta secondo diverse modalità. • Osservazione partecipante. L’approccio situazionale implica concentrarsi su una situazione limitata nel tempo e nello spazio che diviene il “fenomeno” focale dell’osservazione. L’osservazione partecipante prevede che si partecipi, per un determinato periodo, alla vita e alle attività che hanno luogo nell’organizzazione (Gherardi, Nicolini 2001). Nell’ambito della nostra ricerca è stato possibile accedere alla postazione radar, indossare le cuffie e ascoltare direttamente tutte le comunicazioni T/B/T tra radarista e piloti, e quelle tra enti di competenza - in particolare tra controllore procedurale e centri limitrofi. La possibilità di ascoltare in prima persona ha facilitato la comprensione delle azioni messe in atto dai controllori, capire che tipo di coordinamenti stessero attivando, interpretare i processi e le modalità di collaborazione richieste dalle necessità. Un ruolo importante hanno avuto le spiegazioni che i controllori mi fornivano rispetto al loro operato. Questa fase di osservazione ha anche permesso di cogliere le grosse differenze di atteggiamento, di livello di attenzione, di prontezza e di dinamicità che vengono messe in atto a seconda delle richieste del traffico presente nel settore. Questo metodo di analisi ha inoltre fornito la possibilità di esplorare da un punto di vista esterno i modelli d’interazione che prendono forma tra tutti i soggetti in sala, così come tra i distinti gruppi di controllori. • Interviste in profondità. 82 Capitolo 3 Nelle fasi di basso traffico, supportati dai propri colleghi, i controllori si sono prestati a lunghe chiacchierate in cui è stata riproposta di volta in volta una sequenza simile di domande, interrogativi e quesiti relativi alle previsioni e alle opinioni - vantaggi e svantaggi - sul cambiamento in atto. Non essendo vincolati da una struttura fissa, questi colloqui hanno permesso di allargare il campo di indagine, affrontando tematiche molto diverse tra loro (il rapporto con i colleghi, il livello di soddisfazione nel proprio lavoro, le problematiche per le diverse origini territoriali, il traffico aereo di Milano…). Le interviste poste in modo informale hanno permesso la creazione di un rapporto di fiducia con i controllori, molti hanno esposto punti di vista molto personali, proteste, critiche. Tutti i soggetti hanno dimostrato curiosità e interesse per le domande rivolte loro e per le curiosità nate durante la conversazione. Il clima è stato da subito informale, così com’è tra colleghi. Nello stesso tempo i controllori hanno mostrato grande competenza e serietà nel loro lavoro, disponibili nel fornire spiegazioni sugli aspetti tecnici di più difficile comprensione. • Analisi documenti. I responsabili dell’amministrazione che hanno seguito il progetto hanno fornito diverse tipologie di materiale secondo le disponibilità e le mie necessità personali. Si è passati dalla consultazione dei documenti ICAO, alla visione delle normative nazionali, e infine a una serie di articoli e di elaborati interni. Anche in questo caso tutto ciò che è stato fornito è stato spiegato e approfondito sulla base delle specificità della ricerca al fine di trarne le informazioni necessarie. 83 Capitolo 4 4. Il caso: Milano ACC Dopo due anni di preparazioni e accorgimenti, nel maggio 2003 è avvenuta l’apertura della nuova sala controllo, e la relativa chiusura di quella in funzione precedentemente, presso l’ACC di Milano Linate. Il progetto di questa ricerca prevede l’analisi del passaggio da un ambiente all’altro, sui binari del modello SHELL, la cui applicazione comporta un periodo di osservazione e di integrazione nel contesto, di conoscenza dei soggetti coinvolti e di adattamento all’ambiente. Nel corso dei dieci mesi di approfondimento (settembre 2002 / luglio 2003) la presenza sul campo è stata indicativamente di uno, due giorni ogni settimana. La fase iniziale ha previsto una stretta collaborazione con i membri dello staff amministrativo e organizzativo che mi hanno semplificato il mondo dell’ATC rendendolo, così, accessibile. Dal mese di dicembre l’analisi si è spostata direttamente in sala operativa, dove è stato possibile osservare i controllori interagire tra loro, guardarli svolgere le proprie mansioni lavorative, ascoltare via radio le comunicazioni e le telefonate con i centri limitrofi e con i piloti. Il controllo del traffico aereo si fonda sulle tecnologie, e vive nell’innovazione. A Milano il radar è arrivato intorno al 1940; da quel momento l’evoluzione tecnologica è stata continua e graduale nel tempo, in risposta al costante aumento del traffico aereo. La sala operativa chiusa nel maggio 2003 era operativa dal 1994. In questi dieci anni il sistema interno d’elaborazione dati ha subito quattro diversi processi di cambiamento, attraverso mirate innovazioni a pochi supporti fondamentali. La nuova sala comporta, invece, un’innovazione totale che coinvolge sia l’ambiente che la strumentazione, e implica nuove strategie di azione e di interazione. Tuttavia, per quanto innovativa, questa sala è la rappresentazione di un progetto tecnologico che ha già cinque anni, e che è da qualche tempo funzionante negli altri tre ACC italiani. Da questi dati si potrebbe pensare che un processo innovativo invecchi nello stesso momento in cui è reso operativo. È come se esistesse un continuo processo 84 Capitolo 4 di elaborazione che fa sì che quando un’innovazione diventa realtà, ha già alle sue spalle un’idea nuova pronta a sostituirla. Nel mondo dell’aeronautica, se la tendenza attuale fosse seguita assiduamente, si dovrebbe vivere un rinnovamento tecnologico ogni anno. Per evidenti motivi economici e organizzativi, il cambiamento è previsto ogni dieci anni circa. 4.1 Milano ACC attraverso il modello SHELL: la vecchia sala controllo. Milano ACC è un centro di coordinamento, una sala controllo divisa al suo interno solo dalla disposizione delle postazioni di lavoro, i cui spazi aperti permettono quel continuo processo di scambio comunicativo e interattivo proprio di questi ambienti (cfr. cap. 3.2.3). Quella che in questo lavoro definiamo “vecchia” è una sala controllo operativa dal 1994. FIGURA 8: Milano ACC; schema della vecchia sala operativa (ARR/DEP = arrivi/partenze - APP; FIC = centro informazioni volo; MILITARY = zona militare; AEROVIA = zona sorvolo - ACC) Guardando Milano ACC attraverso SHELL si vede come le componenti del sistema analizzato interagiscano tra loro in modo continuativo e dinamico 85 Capitolo 4 dando vita al processo produttivo, in questo caso al controllo del traffico aereo. Le parti contemplate dal modello - Liveware (interazioni e comunicazioni), Software (norme, procedure, cultura dell’organizzazione), Hardware (struttura materiale) e Environment (ambiente fisico, sociale, politico, economico) - hanno lo stesso peso nel determinare il risultato finale dell’operazione e tutte devono giocare lo stesso ruolo. Per descrivere l’attività dell’ACC, è necessario compiere tre passaggi fondamentali: innanzitutto porre al centro della argomentazione il soggetto umano, il controllore; in seguito comprendere come il singolo si relaziona alle componenti del sistema; infine analizzare il ciclo produttivo che si instaura tra tutte le parti coinvolte in interazione tra loro. Affinché la produzione sia efficiente e affidabile, e quindi il controllo del traffico aereo sia sicuro, è necessario che ciascuna delle relazioni coinvolte nel sistema sia funzionale. La prossima fase d’analisi presenta un tentativo di descrivere le caratteristiche dell’ACC di Milano attraverso SHELL al fine di delimitare gli ambiti di osservazione e facilitare la successiva comparazione con la nuova sala. 4.2 Liveware/Hardware Nella vecchia sala controllo la strumentazione a disposizione del controllore è così articolata: • Schermo radar: di forma rotonda e tracce dei voli e del settore verdi. Riceve il segnale confluito da più sensori radar ed elaborati dal sistema. • Strip cartacee: inviate dal sistema FDP (Flight Data Processor), tante quanti sono i voli che entrano nello specifico settore di controllo di un operatore. Ciascuna striscia raccoglie le informazioni relative a un singolo volo: nominativo, rotta, aeroporto di partenza e d’arrivo, stimato dei punti di sorvolo, livello di volo… sono informazioni relative a tutto il piano di volo di un aereo con le relative modifiche. Le strip hanno diversi colori: bianco per gli aerei che arrivano da nord a livello d’altitudine pari, giallo per quelli che arrivano da sud a livello 86 Capitolo 4 d’altitudine dispari. In questo modo gli aerei che arrivano da nord s’incrociano con quelli da sud in modo da formare una griglia perfettamente incrociata. Le strips cartacee in uso a Milano ACC nella vecchia sala operativa. Foto: Marco Asprea • Bollettini meteo: relativi ai diversi aeroporti. • Elenco dei piani di volo approvati. • Tastiere: due, una per la specifica gestione e l’utilizzo dello schermo radar, l’altra addetta all’attivazione delle comunicazioni telefoniche tramite cuffia. • Telefono • Radio e frequenza di riferimento dello specifico settore. A Milano ACC l’operatore si relaziona con un sistema tecnologico particolarmente complesso composta da più strumenti uno affiancato all’altro, mediatori di informazioni diverse, che usano protocolli distinti, e che devono essere integrate dall’operatore. 87 Capitolo 4 4.2.1 Il nucleo: lo schermo radar Simbolo di tutto l’apparato hardware è lo schermo radar su cui ogni radarista vede la porzione di spazio aereo di propria competenza e parte dello spazio limitrofo. All’interno del settore sono segnalati tutti i voli presenti con le coordinate di riferimento (nominativo, quota, destinazione, provenienza…). Sul radar il controllore riceve informazioni, ma, per gestirle, non può interagire direttamente col mezzo; l’unico modo per coordinare i dati è quello di trasferirli su di un altro supporto e renderli operativi. Questo spostamento di informazioni avviene o tramite telefono, per cui il controllore comunica con i colleghi di altri centri operativi, o attraverso la comunicazione diretta, all’interno della sala, tra i controllori. La postazione radar della vecchia sala ACC di Milano Linate. Foto: Marco Asprea L’interazione uomo-radar avviene attraverso il mouse e la tastiera, che permettono di identificare le distanze e i tempi necessari a percorrerle, di attuare il passaggio allo spazio aereo adiacente dopo averlo coordinato con il controllore di riferimento e molte altre funzioni ancora. La conoscenza 88 Capitolo 4 degli strumenti e la dimestichezza con i mezzi sono i requisiti fondamentali per gestire nel modo migliore il traffico. Un esempio di tale importanza si coglie nel momento in cui il controllore inizia il suo turno di lavoro: il suo compito è di “farsi un’idea” di quello che sta succedendo nello specifico momento. Il controllore osserva la situazione rappresentata dagli strumenti tecnologici (radar, monitor..), legge le informazioni sul piano di volo originario, stampate e lavorate dai colleghi nelle strips, osserva il loro posizionamento, presta orecchio alle conversazioni che si svolgono tra i colleghi e tra i colleghi e i piloti. In questo modo il controllore si fa, in pochi minuti, una sorta di rappresentazione grafica interna di quello che sta succedendo (Fele 2002). Il possesso di queste competenze permette di acquisire un forte senso di sicurezza nelle manualità che, diventando automatiche, facilitano la focalizzazione dell’attenzione solo sul controllo della situazione e sulla gestione del traffico. La profonda conoscenza del sistema tecnologico, permette di agire in esso seguendo degli automatismi, delle pratiche lavorative meccaniche; questa dimestichezza elimina qualunque fonte di distrazione nella pratica, e fa sì che il controllore si concentri solo sullo schermo radar e sulla formulazione della migliore strategia di controllo. Le routine consolidate e la dimestichezza con i mezzi, permettono all’operatore di avere prestazioni del tipo skill based o rule based (cfr. cap. 1) per la maggior parte del tempo. Se il centro del lavoro del team di controllori è lo schermo radar, non bisogna però dimenticare tutti gli altri strumenti di fondamentale importanza: strip, informazioni meteo, piani di volo. E’ come se ci fossero diversi “cestini” da cui si estraggono le informazioni che l’operatore provvede poi a immettere nel posto a loro destinato. Questa transazione delle informazioni deve avvenire manualmente. Le indicazioni riguardanti i piani di volo o le informazioni meteorologiche appaiono su due schermi che affiancano il radar. Le comunicazioni T/B/T (terra/bordo/terra) avvengono attraverso la radio: ogni settore, e quindi ogni controllore, ha in dotazione un’unica frequenza fissa che gli permette di entrare in contatto con tutti gli aerei in 89 Capitolo 4 quel momento sotto il suo controllo. Per attivare le comunicazioni si può usare o il pulsante della cuffia, oppure l’apposito pedale posto sulla pedana della postazione. I coordinamenti tra settori, sia adiacenti, sia lontani tra loro nello spazio, si avviano attraverso il telefono: questo sistema prevede o l’utilizzo della comune cornetta telefonica, oppure l’uso di un microtelefono che collega cuffie e tastiera. In sintesi: il controllore interagisce direttamente con lo schermo radar e con i monitor che raccolgono le informazioni dal sistema centrale (FDP, Flight Data Processor) e le usa, da una parte, per comunicare via radio direttamente con il pilota di riferimento, dall’altra per interagire via telefono o con gli enti confinanti (altri ACC italiani o esteri), o con gli operatori responsabili del settore limitrofo. 4.2.2 Il rapporto controllore – macchina Il rapporto che il controllore instaura con la tecnologia è fondamentale, tanto quanto quello con i colleghi. La relazione è la stessa: alla base deve esserci competenza, esperienza, conoscenza dei giusti riferimenti, dimestichezza nella selezione delle informazioni fondamentali, e il tutto deve rientrare in una forma mentale ben definita e in cui il sistema è ben radicato. Il rapporto umano tra uomo e tecnologia è però in qualche modo problematico; esistono criticità inevitabili che gran parte delle volte dipendono dalla soggettività del singolo operatore. Chi vive con maggiore tensione i problemi pratici, legati alle manualità, rischia di attribuire un’attenzione non adeguata alla situazione e alla decodifica delle informazioni relative. Nel controllo del traffico aereo il livello di attenzione è un aspetto centrale per assicurare affidabilità e sicurezza. Questo problema si presenta spesso tra i nuovi arrivati (newcomers), ma col passare del tempo e con l’abitudine alle nuove mansioni la preoccupazione e il senso d’inadeguatezza diminuiscono perché si acquisisce dimestichezza, si accumula esperienza e il livello di competenza aumenta. In questa seconda fase nasce però un altro tipo di preoccupazione, opposta alla prima: 90 Capitolo 4 l’abitudine alle situazioni da gestire e l’eccessiva disinvoltura hanno la capacità di generare una diminuzione del livello d’attenzione soprattutto in condizioni di scarso traffico. A questo proposito, Reason (1990) fa notare come l’abitudine ha lo svantaggio di far diminuire l’attenzione cosciente necessaria all’esecuzione delle azioni. I processi che richiedono l’intervento dell’attenzione sono molto difficili da condurre per lunghi periodi di tempo, perché la tensione cognitiva richiesta da un’attenzione alta deve essere indirizzata contro le spinte prevalenti dell’abitudine o delle routine. Dai colloqui intrattenuti con i controllori e dalle osservazioni svolte sul luogo, emerge con chiarezza una grande confidenza con i mezzi a disposizione. Le azioni del controllore sono comandate da uno schema mentale ben radicato, grazie al quale egli ha sempre ben presenti tutti i riferimenti necessari per svolgere i suoi compiti. Egli conosce la sua strumentazione e la utilizza senza difficoltà, con un forte automatismo nelle azioni. I suoi gesti sono meccanici, spontanei, e questo perché la profonda conoscenza del sistema lo ha portato a selezionare direttamente i riferimenti necessari alle peculiarità della situazione. Un esempio di tale meccanicità nelle azioni è la dimestichezza con cui il controllore procedurale gestisce le strip relative ai piani di volo, e come costantemente elabora e aggiorna le informazioni in esse contenute. Tutto è coordinato: il sistema emette le strisce, il procedurale le colloca secondo il giusto ordine e informa il radarista delle informazioni ricevute. Gli scambi comunicativi tra controllore e settori limitrofi spesso apportano modifiche al contenuto delle strisce elettroniche (cambia la quota, cambia lo stimato…); queste nuove informazioni sono annotate manualmente in specifici punti della striscia e comunicate al radarista. Il sistema deve essere in aggiornamento costante e puntuale perché il controllore sa di avere la piena responsabilità. La scelta di come disporre le informazioni è in funzione della complessità del traffico e del numero dei voli da controllare in un dato momento (Decortis, Noirfalise, Saudelli 1999). Le strips costituiscono un sistema di back – up rispetto al supporto tecnologico. Se il rapporto con la tecnologia rivela una profonda conoscenza e dimestichezza da parte del controllore, l’unico aspetto che può rivelarsi problematico è relativo alle comunicazioni T/B/T tra pilota e 91 Capitolo 4 controllore. Può capitare che la frequenza sia poco chiara o che le informazioni debbano essere ripetute più volte per accertarsi che siano state comprese adeguatamente. Durante il periodo di osservazione si è riscontrata una grande dimestichezza e conoscenza dei controllori con il sistema. La strumentazione è data per scontata, i riferimenti sono meccanici e in questo modo l’operatore dirige la sua attenzione esclusivamente verso la gestione del traffico. La consapevolezza del cambiamento sempre più vicino, ha reso gli operatori più coscienti dell’importanza del rapporto che si deve avere con i propri strumenti. Molti hanno affermato che la postazione di lavoro rappresenta uno schema mentale, un punto di orientamento fondamentale per svolgere con serenità le proprie mansioni. Può tornare utile il paragone con l’automobile: dopo un periodo più o meno lungo, quando ci si siede al proprio posto di guida si dà tutto per scontato. Sterzo, frecce, “gioco di frizione” diventano abitudini meccaniche e pian piano si conoscono sempre meglio anche gli aspetti più tecnici del veicolo. Non essendo più distratti dal cambio o dai pedali, come avviene appena si prende la patente, la guida diventa più sicura. Allo stesso modo il controllore: avendo accumulato esperienza e pratica a sufficienza, riesce a lavorare in un ambiente che sa di poter dominare, e la sua attenzione si concentra solo sull’ambiente che lo circonda. 4.3 Liveware/Software Le regole per il Controllo del Traffico Aereo sono stabilite da una sola organizzazione, l’ICAO (Organizzazione Aviazione Civile Internazionale), il cui scopo è fare in modo che un aeroplano possa volare in qualunque zona del mondo seguendo sempre le stesse procedure di riferimento. ICAO detta normative, regole e procedure da seguire che fanno parte di un unico bagaglio di conoscenze valido per i piloti come per i controllori. La formazione di tutti i controllori è modellata su questa base e integrata con la normativa nazionale (AIP). I regolamenti in possesso dei controllori forniscono gli strumenti concettuali del lavoro; in essi sono contenuti i 92 Capitolo 4 parametri, le disposizioni, le regole che l’operatore deve conoscere e usare per gestire il traffico aereo. In Italia, dopo aver superato le due fasi di formazione (corso ENAV a Roma e addestramento in sede), il controllore entra in sala controllo. Da questo momento in poi i passaggi di ruolo e l’acquisizione di competenze avvengono on job training: il controllore prende le abilitazioni di grado superiore attraverso periodi di addestramento (180 ore circa) in sala in cui è affiancato da un collega “anziano” o da un supervisore che dovrà approvare o meno la promozione del collega. A Milano ACC la documentazione ICAO e gli ordini di servizio interni, riferiti a disposizioni temporanee, sono conservati in sala controllo, e quindi direttamente consultabili dal controllore. Il servizio di ATC deve essere fornito 24 ore su 24; per questo motivo i controllori lavorano in turni di 8/10 ore distribuiti su tutto l’arco della giornata - mattina, pomeriggio, notte - concordati tra uffici dell’amministrazione e sindacati. La gestione del personale, la verifica della presenza sul posto di lavoro e del rispetto della normativa in vigore sono affidate al capo sala. Se è vero che il controllore è tenuto ad un ferreo rispetto delle procedure stabilite, è altrettanto vero che esiste la tendenza a “personalizzare la norma” da parte degli operatori. Ciò è dovuto al fatto che, come dichiarato dai soggetti più volte, in molte situazioni risulta più “conveniente” sviare dalle procedure per poter risolvere e gestire con maggiore velocità una situazione. Per chiarire questo concetto si potrebbe paragonare il comportamento del controllore a quelle dell’automobilista: pur sapendo di dover guidare secondo le norme stabilite dal codice della strada, esistono delle situazioni in cui ci si comporta diversamente (ad esempio passare con il semaforo giallo) per non perdere tempo, per rendere il viaggio più veloce, oppure per risolvere situazioni di fronte alle quali altri automobilisti restano bloccati. L’allontanamento dalla norma rappresenta un adeguamento delle regole al contesto, adattamento che è modellato dal controllore – o dall’automobilista - sulla base delle esigenze poste dalla specifica condizione del traffico. È bene però puntualizzare che in questo contesto è la normativa 93 Capitolo 4 a prevedere che in alcune situazioni sia il singolo controllore a stabilire quale sia la strategia più adeguata da seguire. Il controllo del traffico aereo si affida ancora oggi in gran parte alle capacità dei suoi operatori, ai loro comportamenti knowledge based, anche perché di fronte alla variabilità del traffico aereo sarebbe impossibile prevedere norme capaci di coprire ogni situazione. Questi comportamenti nella maggior parte dei casi sono degli allontanamenti, ossia comportamenti che non rispettano al cento per cento la regola, ma nemmeno la violano totalmente (vedi semaforo giallo). È pur vero, tuttavia, che questo processo di personalizzazione può anche portare a vere e proprie violazioni routinarie. Questo può avvenire sia per una cattiva condotta del controllore, sia perché le regole, seppur adeguate, risultano a volte troppo rigide, tanto da impedire o rallentare eccessivamente le azioni. Agire seguendo vie più rapide, richiama alla mente la teoria di Reason (cfr. cap. 1.3.1) secondo cui i regolamenti via via introdotti per difendere il sistema dai pericoli, rischiano di ridurre in modo eccessivo il campo d’azione degli operatori, che si vedono poi costretti ad elaborare scorciatoie pericolose per portare a termine il loro compito. Questi atteggiamenti possono costituire gli errori attivi capaci di innescare la giusta traiettoria di opportunità che unisce tutti gli errori latenti del sistema fino al verificarsi di un incidente. Tra i controllori, frequente è la deviazione dalla fraseologia standard, limitata all’uso di innocue forme di cortesia quali “buongiorno” o “ciao”, non previste dalla normativa. Il singolo operatore valuta di volta in volta la situazione prevedendo, attraverso i dati fornitigli dalla strumentazione, le probabili conseguenze della sua azione e delle sue decisioni. In questo atteggiamento conta molto il livello di esperienza di cui si è in possesso: più si conosce il terreno e più si è consapevoli di quanto sia lecito personalizzare una regola. In una condizione di alto volume di traffico il carico di lavoro aumenta considerevolmente e si restringono i tempi a disposizione per avere un quadro chiaro e completo della situazione, per prendere le decisioni, comunicarle al pilota e quindi agire di conseguenza. In un contesto simile, un controllore che ha una buon’esperienza alle spalle e gestisce dinamicamente le proprie mansioni, pianifica a propria strategia 94 Capitolo 4 adattando la normativa alle proprie esigenze, perché sicuro delle proprie competenze. In molte occasioni adeguare le prescrizioni alle necessità del momento si rivela il modo più veloce per risolvere situazioni critiche e impreviste. Questo accade perché le regole non sempre riescono a sostenere adeguatamente l’attività del controllore quando il contesto diventa troppo complesso. Il controllore si vede costretto a selezionare le azioni realmente utili e funzionali per risolvere la criticità presentatasi. Se rispettasse la norma, il controllore rischierebbe di perdere tempo e quindi di non risolvere il problema. Agli eventuali rischi che queste “personalizzazioni” possono comportare, devono sopperire esperienza e dinamicità. È comunque da tenere in considerazione l’inevitabile debolezza umana: le reazioni dei soggetti dipendono fortemente dalle contingenze, dallo stress accumulato, dell’emotività del momento. Le capacità di reagire cambiano di volta in volta, così come possono mutare le conseguenze che tali reazioni comportano. A livello teorico un aumento del traffico dovrebbe condurre ad un’attenzione maggiore; in realtà tutto dipende dall’ordine del traffico, dalle tipologie dell’aereo, dalle condizioni meteo. Nella pratica davanti ad una situazione di traffico tranquilla i livelli di tensione e di attenzione diminuiscono perché si pensa di avere più facilmente il controllo della situazione: una scarsa attenzione può generare noncuranze fatali. Questo aspetto è riconosciuto in modo esplicito dai controllori stessi. Le modalità risolutive delle criticità cambiano continuamente in base alle situazioni che si presentano: una soluzione può andare bene oggi, ma non essere più adeguata domani. Si deve sempre lavorare in proiezione immaginando l’ipotetico scenario che si presenterà nell’immediato futuro. Controllare il traffico aereo vuol dire gestire gli eventi in tempo reale piuttosto che seguire un piano prestabilito. Ci sono sempre fattori inevitabili e contingenti, compresi problemi tecnici di vario tipo, che devono essere affrontati. La cultura dei controllori di volo è consapevole del fatto che un uso raffinato e competente delle regole e delle procedure, l’anticipazione di “problemi probabili”, l’organizzazione del piano complessivo di traffico possono essere realmente affidabili solo attraverso una divisione del lavoro non definitiva né 95 Capitolo 4 statica (Fele 2002). Il sevizio di ATC non può fare a meno di una continua e stretta collaborazione e cooperazione tra i soggetti coinvolti. Le norme per la gestione del traffico prevedono della procedure di base per tutti, ad esempio stabilendo i tipi di separazioni tra aerei in uno specifico settore, o i livelli minimi che si possono attribuire ad un volo quando lo si fa passare da un settore ad un altro. Le stesse procedure, allo stesso tempo, prevedono che sia il controllore a trovare di volta in volta la risoluzione migliore per la situazione: esiste uno spazio legittimato di libertà di azione e di autonomia per l’operatore. Questo aspetto da una parte legittima gran parte delle strategie personalizzate, ma dall’altra definisce i confini che è obbligatorio rispettare. Il sistema tecnologico della vecchia sala è piuttosto rudimentale, molto semplice e ciò attribuisce all’operatore la responsabilità di supportare con le sue competenze le carenze del sistema. Consapevole dei limiti del sistema, il controllore qui sa che la sua attenzione e il suo rispetto delle regole sono di fondamentale importanza. 4.3 Liveware/Liveware La relazione che lega le componenti umane di un sistema è la più complessa. In un contesto lavorativo entrano in azione i fattori delle comuni interazioni interpersonali (affetto, antipatia, incomprensione, malumori e molti altri ancora), a cui si aggiungono elementi contingenti quali sovraccarico di lavoro, stress, tensioni interne, che possono irrigidire i rapporti umani intaccando la qualità delle prestazioni. Gli studi delle relazioni tra i soggetti che appartengono ad un unico sistema, prevedono che si considerino sia i singoli in relazione tra loro o con gruppi di riferimento (il proprio o quello con cui deve agire), sia i gruppi che cooperano insieme per il raggiungimento dell’obiettivo comune. Nella sala controllo di Milano ACC si possono osservare questi diversi ambiti: si passa dall’interazione tra i controllori all’interno di un solo gruppo – i tre controllori di uno spazio aereo, ai rapporti tra teams di controllori che si coordinano direttamente all’interno della sala. Per comprendere meglio che tipo di relazioni possono instaurarsi, e che regole devono essere seguite 96 Capitolo 4 e rispettate, è necessario illustrare brevemente ruoli e compiti della gerarchia operativa interna. 4.3.1 I ruoli L’ambiente lavorativo di Milano ACC è particolarmente informale e molto socievole; questo fa sì che, pur essendoci una rigida divisione dei compiti, i rapporti interpersonali siano molto liberi e ci sia una buona confidenza e spontaneità anche tra coloro che occupano posizioni distanti sulla scala gerarchica. Capo sala (CSO) Supervisore (SPV) Controllore radar (CR) Controllore procedurale (CP) Controllore assistente (CA) Capo sala: È responsabile dello svolgimento di tutte le attività della sala operativa e del rispetto delle disposizioni interne. Oltre alle attività di tipo organizzativo e gestionale del lavoro, il Capo sala gestisce il personale. Poiché Milano ACC gestisce in un’unica sala sia i settori di arrivi e partenze (ARR/DEP - APP), sia quelli di aerovia (ACC), in essa sono presenti entrambi i Supervisori responsabili. Queste due figure hanno le stesse responsabilità e le medesime competenze, cambia solo l’ambito in cui operano. Supervisore (SPVarr): è alle dirette dipendenze del Capo sala. La sua responsabilità è circoscritta all’operatività dell’isola arrivi/partenze (Arr/Dep). Coopera con il Capo Sala; effettua i coordinamenti con le torri di controllo; decide il tipo di soluzioni da adottare con il Supervisore dei settori di aerovia e infine provvede al coordinamento tra i vari settori in caso di necessità. Ha un ruolo fortemente organizzativo e logistico nella gestione delle operazioni. Supervisore (SPVsett): ha le stesse funzioni del SPVarr, ma è responsabile dei settori di aerovia - scorrimento. Entrambi i Supervisori 97 Capitolo 4 valutano le capacità operative dei controllori, in particolare durante le fasi di addestramento e abilitazione ai nuovi ruoli. Controllore radar (CR): fornisce il servizio di controllo radar nello spazio aereo di propria giurisdizione, applicando la normativa in vigore. I suoi strumenti di lavoro sono molteplici: i dati radar, le liste di volo, le strips e i monitor. Il suo lavoro prevede una stretta e forte collaborazione con il controllore procedurale (CP). Controllore procedurale (CP): affianca il radarista ed è responsabile della gestione dei messaggi di coordinamento con i settori limitrofi. Svolge tutti i compiti che gli sono delegati dal CR. Nella vecchia sala controllo il CP lavora con le strip: le organizza in base al traffico, aggiorna i piani di volo scrivendo a penna i cambiamenti, riconfigura il traffico su questo supporto cartaceo così da confrontarlo con quello visibile sullo schermo radar. Controllore assistente (CA): il suo ruolo è piuttosto marginale e, infatti, questa figura scompare nella nuova sala operativa. In sintesi svolge i compiti che gli vengono delegati dal CP. Verifica la compatibilità del traffico, riceve i messaggi di coordinamento via telefono e li sottopone al CP. Come in ogni sistema organizzativo, la gerarchia operativa rispecchia un’inevitabile distribuzione di prestigio e potere. Nelle fasi di passaggio di ruolo il controllore è affiancato da un istruttore che ha il compito di stabilire se, alla fine del corso, sarà pronto per la promozione. Questi passaggi possono facilmente creare tensione e agitazione: la consapevolezza di lavorare sotto costante osservazione e giudizio da parte di un collega esperto, può portare ad uno stato in cui il soggetto sotto esame limita le proprie azioni pur di non sbagliare. Il controllore rischia di apparire inefficiente o non abbastanza sicuro delle proprie capacità. Il gruppo base in sala operativa è costituito da CA, CP e CR, un solo team operativo che controlla uno specifico settore. I tre soggetti lavorano in stretta collaborazione e in forte coordinamento tra loro e con gli addetti ai settori limitrofi, che possono essere o all’interno della stessa sala (nella postazione accanto o in un altro punto), oppure nei rispettivi ACC. Nel corso dell’osservazione svolta in sala, uno degli aspetti più interessanti rilevati è stato il peso che assume la buona sintonia tra CP e CR la cui assistenza 98 Capitolo 4 reciproca è fondamentale per una corretta gestione del traffico. Nel concreto il CP usa le strip cartacee emesse dal sistema per comprendere la situazione del traffico; queste strip sono disposte in modo tale da delineare la stessa condizione di traffico visibile sullo schermo radar. Il CP gestisce i coordinamenti telefonici con i vicini settori, informando tempestivamente il CR di ogni cambiamento (i due devono essere contemporaneamente a conoscenza delle stesse informazioni), e fornendo, quindi, un costante supporto materiale e collaborativo. A questo proposito, infatti, molti CR hanno ammesso che un buon rapporto con il procedurale è fondamentale: una relazione serena e una buona conoscenza del suo modo di lavorare semplifica la gestione delle mansioni, perché si sa in anticipo che reazioni aspettarsi e si è consapevoli del tipo di sostegno reciproco. Questo aspetto assume maggiore importanza nel momento in cui si devono affrontare delle situazioni critiche: la fiducia dà certezza e fornisce maggiore sicurezza nelle proprie capacità per gestire il problema. A tal fine a Milano ACC i tre controllori di una postazione lavorano in team fissi così da creare piccoli sottogruppi all’interno della comunità. La stabilità del gruppo permette di rafforzare la conoscenza e la fiducia reciproca e di aumentare il grado di consapevolezza delle competenze realmente presenti e utilizzabili. Questi aspetti sono di fondamentale importanza, poiché il lavoro del controllore porta ad affrontare situazioni inaspettate o di pericolo in cui aumenta a livello esponenziale il grado di tensione e di stress del soggetto. Molti CR affermano che sentire il proprio compagno teso o agitato, perché incapace di gestire con fermezza la situazione del momento, trasmette uno stato d’ansia che si somma a quello già presente per il traffico difficile. Nel periodo considerato in questa ricerca (settembre 2002 – luglio 2003) le squadre dei controllori non erano fisse, ma cambiavano continuamente a causa di alcuni aggiustamenti in previsione della sala nuova e di problemi legati alla scarsità del personale (uno dei grossi limiti di Milano ACC). Il ritorno ai team fissi era in previsione con il definitivo passaggio alla nuova sala operativa (maggio 2003). 99 Capitolo 4 4.3.2 Le comunicazioni La struttura comunicativa che caratterizza la comunità di pratica dei controllori è dominata dalla condivisione di un vocabolario tecnico specifico e codificato. L’uso costante di questo linguaggio rende immediatamente estraneo qualunque individuo che non appartenga all’ambiente. Il flusso comunicativo è continuo sia all’interno della sala, sia tra la sala e i centri limitrofi, sia tra i radaristi e i piloti per mezzo delle frequenze radio – una per ogni settore controllato. Quando i settori limitrofi sono all’interno della stessa sala, la comunicazione è diretta, faccia a faccia: le informazioni sono scambiate a voce, “spalla a spalla”, tra i controllori che si aggiornano sulla situazione, sui cambiamenti dei piani di volo, e si avvisano direttamente nel momento in cui un aereo sta passando da un settore ad un altro. Questo tipo di comunicazione è espressamente prevista dalla normativa che impone un flusso informativo costante tra gli operatori. Tra centri di controllo distanti nello spazio (ad esempio tra gli ACC di Milano e Padova, o Brindisi, o Ginevra…), le comunicazioni sono mediate attraverso il telefono. In entrambi i casi, così come nelle comunicazioni T/B/T tra controllori e piloti, è fondamentale che alla base di ogni azione ci sia un comportamento cooperativo e collaborativo. I dati sono sempre gestiti con grande dinamicità e velocità, le comunicazioni attendono sempre le conferme dal soggetto a cui sono rivolte, un cambiamento improvviso è sempre coordinato e reso noto ai soggetti interessati. Nelle relazioni tra controllori, e tra controllori e piloti, le maggiori criticità nascono a causa di fattori umani quali stress da sovraccarico di lavoro, incomprensioni, tensioni interne. Un ruolo importante, come sottolineato in precedenza, è ricoperto dai problemi di comunicazione; a questo proposito è bene ricordare, tra gli altri, gli studi di Cushing (1994), e Grayson e Billings (1981), che affrontano in profondità quali sono le aree più a rischio: ci sono problemi di linguaggio (ambiguità, omofonia o intonazione scorretta), problemi di referenti (non risulta chiaro a chi ci si rivolge), di inferenza (implicita, lessicale, l’uso di una terminologia non familiare), o ancora dubbi 100 Capitolo 4 inerenti alle ripetizioni dei messaggi. Altri problemi possono nascere dalle comunicazioni via radio, la cui qualità e affidabilità, fortunatamente, sono aumentate con gli sviluppi tecnologici. Possono comunque verificarsi incomprensioni per le similitudini fonetiche, errori di traduzioni, o inesattezze nel contenuto del messaggio. In sala ha un peso rilevante anche la gestualità degli operatori che è spesso affiancata alla comunicazione verbale; un fraintendimento o una scorretta interpretazione di un gesto, può portare ad una criticità non prevista. Viceversa un gesto del capo può confermare la comprensione di una comunicazione avvenuta a distanza. I controllori sono una comunità di pratiche: le relazioni tra loro si creano attorno alle attività e le attività prendono forma attraverso le relazioni, e particolari conoscenze ed esperienze diventano parte dell’identità individuale e prendono posto nella comunità (Gherardi, Nicolini 2001). I controllori hanno una comune visione del mondo modellata sulle caratteristiche della loro professione - la maggior parte vive lontano da casa (Roma), è abituata a lavorare a qualsiasi orario e giorno della settimana in turni di lavoro piuttosto pesanti… - sono uniti da uno stesso linguaggio, diverso da quello quotidiano e comune, sono e devono essere legati da un forte senso di collaborazione e coordinamento perché consapevoli che il loro lavoro dipende in ogni momento da quello degli altri, così come ogni personale decisione ha dei risvolti sul lavoro altrui. La fitta rete di interazioni tra i soggetti costituisce l’ambito organizzativo nel quale hanno luogo i processi di sensemaking, di apprendimento e di trasmissione del sapere pratico, ed è al loro interno che i nuovi arrivati vengono socializzati alla comunità. 4.3.3 La socializzazione Il gruppo dei controllori può essere suddiviso in “giovani” e “anziani”: i rapporti interpersonali che si instaurano tra le due categorie sono fondamentali per aumentare il senso di appartenenza e di unione ad un unico mondo di riferimento. Gli “anziani” sono portatori di esperienza e di grosse competenze, fattori che compensano la diminuzione di dinamicità e 101 Capitolo 4 speditezza. I “giovani” conservano ancora fresche caratteristiche quali dinamicità, prontezza dei riflessi, velocità di azione e di pensiero, che sopperiscono alla scarsa esperienza. L’unione delle qualità dei due gruppi crea il perfetto controllore. Un proficuo scambio di conoscenze, di opinioni e di esperienze tra le due generazioni serve a mantenere in circolazione tutte le qualità necessarie ad esercitare questa professione. A Milano ACC l’età media è piuttosto bassa: a un folto gruppo di controllori giovani, si contrappone una netta minoranza di anziani. Tra le due classi la socializzazione risulta spesso difficoltosa. Gli anziani arrivano dal mondo dell’aviazione militare, hanno una formazione diversa, ma soprattutto hanno accumulato un’enorme esperienza; i giovani sono tutti civili, hanno dalla loro parte la prontezza di riflessi, la dinamicità nell’agire e nel pensare. L’unione di tutti questi aspetti risulterebbe vantaggiosa per entrambe le categorie, ma a detta dei controllori i momenti dedicati allo scambio sono pochi. Alcuni controllori raccontano che i turni di notte, periodo in cui il traffico è praticamente assente, sono particolarmente funzionali alla creazione di amicizie e scambi di esperienze e d’idee che rafforzano i legami tra soggetti e che rendono più saldo il legame comunitario. Questo scambio formativo avviene con più facilità se CP e CR appartengono ciascuno ad uno dei due gruppi. In questo modo il lavoro diventa un processo d’apprendimento, un confronto di competenze che col tempo risulta proficuo per entrambi i soggetti. I controllori vivono un processo di “formazione continua”: le richieste di spiegazioni e informazioni tra colleghi che occupano posizioni diverse, crea un costante processo di apprendimento. Le dinamiche del traffico non si ripetono mai allo stesso modo e ciò costituisce, per i controllori, nuove fonti di conoscenza e di prova per le loro capacità. Tale evoluzione professionale si realizza al meglio proprio attraverso l’interazione con i membri più esperti e competenti delle pratiche sociali ambientali. Questi processi naturali sopperiscono una carenza strutturale: nell’ACC di Milano la conoscenza è data per scontata una volta ottenuta l’abilitazione e non sono previsti momenti di verifica o di aggiornamento. Il resto della carriera lavorativa porta il controllore a vivere situazioni uniche e diverse tra loro, che richiedono ogni volta l’attivazione di particolari abilità e 102 Capitolo 4 strategie specifiche. Ciò porta alla consapevolezza che in realtà un controllore è sempre messo alla prova, e deve essere pronto ad imparare continuamente nuove strategie e pratiche d’azione, necessarie alla risoluzione dei problemi: l’apprendimento diventa una pratica costante. La condivisione delle soluzioni adottate e delle pratiche utilizzate porta allo sviluppo della comunità. Anche per partecipazione periferica legittimata: i controllori Gherardi si e può parlare Nicolini di (2001), riprendendo gli studi di Lave e Wegner del 1991, usano tale definizione per descrivere un coinvolgimento progressivo in pratiche sociali dei nuovi membri basato sull’apprendimento. Ai novizi viene assegnato un ruolo nel tessuto sociale e su tale base viene loro permesso di prendere parte alle attività in corso e quindi di apprendere. Questo tipo di partecipazione genera una dimensione di ordine e regolarità, che permette di percepire gli altri come appartenenti alla medesima comunità di pratiche. Apprendere una pratica richiede una disposizione attiva e un impegno da parte del novizio, e il suo esito è condizionato dalle caratteristiche sociali dell’ambiente in cui si svolge. Il processo che porta un soggetto a diventare controllore del traffico aereo mette in evidenza come partendo da una zona esterna, l’operatore si avvicini via via al centro della comunità (corso ENAV, addestramento, CA, CP, CR, SPV, CSO). Solo questa progressiva partecipazione a tappe nella vita della comunità permette di entrare a fondo nella vita del gruppo. La presenza del soggetto nello stesso contesto per un lungo periodo permette che egli apprenda le pratiche di lavoro, i ruoli sociali, la distribuzione del potere, la presenza della leadership e i comportamenti comunicativi tipici di quel contesto. Si impara solo se si partecipa. Nel corso dei dialoghi con i controllori, è emerso di continuo un fattore particolare, che intacca in parte questo senso di comunità. Milano ACC soffre di carenza di personale; per risolvere il problema molti controllori sono trasferiti da Roma a Milano. Questo aspetto ha un peso fondamentale nel determinare il clima lavorativo perché chi è stato trasferito a Milano vuole tornare a Roma; più volte i controllori hanno dichiarato che “a Milano non si sta male, ma a Roma si sta meglio” e soprattutto il lavoro di Roma 103 Capitolo 4 ACC è diverso. Per comprendere quest’ultimo aspetto basta pensare al fatto che l’ampiezza di un settore aereo dell’area romana, è paragonabile a quella dell’intera area milanese, ma la densità di traffico delle due aree nel complesso è la stessa. Ne segue che il traffico controllato da Milano ACC è denso, compresso e accerchiato dalle montagne al contrario di quello romano. Appena iniziano la loro attività a Milano i controllori di Roma chiedono il trasferimento, ma la richiesta non ottiene mai una risposta precisa: si entra in graduatoria e si aspetta. Questa condizione fa sì che si creino delle sottocomunità (che vivono anche al di fuori dell’ambiente di lavoro) di controllori romani, che assumono forza dal condividere la stessa condizione di “espatriati”. Nasce così un fondo di malessere e insoddisfazione tra i controllori che ammettono di subirne le conseguenze nelle prestazioni lavorative. Nasce così una tensione tra il controllore e il nuovo ambiente in cui deve integrarsi. 4.4 Liveware/Environment In ogni indagine lavorativa svolta attraverso il modello SHELL, la componente relativa all’ambiente è lasciata sullo sfondo perché, per essere realmente utile, richiede la comprensione dei limiti del sistema. Tale conoscenza è però di difficile acquisizione perché richiede un addentramento nel sistema che non sempre è concesso agli occhi dell’osservatore. La relazione uomo/ambiente è particolarmente complessa perché il concetto di ambiente non si adegua ad un’unica definizione. Per cercare di comprenderlo, si è deciso di suddividere questa componente in più sottoparti aventi ciascuna un peso fondamentale. - Dimensione politico – economica. E’ la dimensione relativa agli aspetti propri della gestione aziendale. Se di per sé non è una questione di facile approccio, a maggior ragione non lo è nello specifico periodo in cui si è svolta l’analisi (strascichi del disastro di linate, inchieste della magistratura…). Ciò che comunque non può passare inosservata è la tensione costante determinata dai contrasti sindacali che dominano i rapporti tra operatori e settore amministrativo. A Milano ACC 104 Capitolo 4 non si fatica a cogliere una forte insoddisfazione da parte dei controllori rispetto al trattamento loro riservato dall’azienda. - Disposizione dell’ambiente: La vecchia sala controllo si presenta come un luogo buio, di piccole dimensioni, in cui le postazioni sono ad una distanza minima l’una dall’altra. La vecchia sala ACC di Milano. Foto: Marco Asprea È un ambiente del tutto diverso dai tipici ambiti lavorativi, e questa diversità fa sì che, entrando, si abbia l’impressione di essere immersi in una nuova realtà. L’oscuramento costante di ogni fonte di luce naturale o artificiale è dovuto al fatto che gli schermi radar per essere visibili non devono essere sottoposti ad alcuna fonte di luce. L’unica forma d’illuminazione concessa, è costituita da piccoli faretti il cui raggio di illuminazione è limitato. È inevitabile la sensazione di chiusura e di isolamento che i controllori in qualche modo vivono e a cui si devono abituare. Certo è che questa assuefazione non sopperisce allo scarso adeguamento dell’ambiente alle 105 Capitolo 4 peculiarità umane. Lavorare in un ambiente buio, indipendentemente dalle stagioni e dall’ora del giorno, implica vivere in un luogo isolato dallo spazio e dal tempo, sia meteorologico sia relativo allo scorrere delle ore. L’impatto con il ritorno all’esterno non raramente risulta traumatico. Questo aspetto è stato sottolineato con molta forza dai controllori, soprattutto da coloro che lavorano in sala da molto tempo. Altro punto rilevante è la distribuzione delle postazioni di lavoro: appena entrati nella sala si ha sulla sinistra l’isola arrivi-partenze seguita dall’isola del sorvolo o scorrimento. La prima è composta di poche consolle, la seconda è divisa in quattro settori, ciascuno con più consolle, disposti tra loro a formare una X. Questa specifica disposizione risulta essere di particolare interesse, poiché isola e al contempo unisce il settore fondamentale dal resto della sala. 4.5 Riepilogo Dal periodo d’osservazione trascorso nella vecchia sala controllo, si è rilevato un buon livello di confidenza con ogni parte della struttura organizzativa. Per la specifica configurazione dell’ambiente, piuttosto piccolo, buio, e dominato dalla tecnologia, si può pensare ad esso come ad una nicchia ambientale i cui abitanti hanno imparato come muoversi e gestirsi internamente. Capo sala, supervisori e controllori vivono le loro giornate in un luogo che per sua natura rimane isolato dal mondo esterno, e ciò rende ancor più particolare la loro professione. La responsabilità di dover assistere migliaia di voli ogni giorno, e quindi migliaia se non milioni di vite umane, rende i controllori molto orgogliosi del proprio lavoro, ma allo stesso tempo sempre sottoposti a livelli di tensione e di stress molto elevati. È anche per questo che l’ambiente in sala è molto allegro e informale, i rapporti tra colleghi sono diretti, sempre disposti allo scherzo anche con i propri superiori. I controllori ripetono spesso che il generale clima di allegria è necessario per scaricare la tensione che si accumula davanti allo schermo. Se reagissero diversamente, forse non riuscirebbero a gestire in modo sereno le loro mansioni. 106 Capitolo 4 Fornire un buon servizio di ATC implica far interagire tra loro gli elementi del sistema che, vicendevolmente, si relazionano al fine di sopperire le eventuali e momentanee carenze di una delle componenti. Al centro è il controllore, che, attraverso le norme gestisce il sistema tecnologico. Gli anni di esperienza trascorsi nella vecchia sala hanno reso questi operatori profondamente esperti del loro lavoro, sicuri delle loro azioni e consapevoli delle responsabilità. I soggetti si distaccano da quanto è previsto dalle regole perché sanno di poter sopperire ad esse con la loro esperienza, risolvendo la situazione in modo più veloce e spedito. Essi, inoltre, sanno di poter fare affidamento sulla propria dimestichezza nel gestire gli strumenti a disposizione, concentrando l’attenzione solo sulla situazione. Alla base c’è sempre un atteggiamento di forte collaborazione e di preciso coordinamento tra tutti coloro che sono impegnati nelle attività. 107 Capitolo 5 5. Il processo d’innovazione 5.1 Genesi del cambiamento Con l’innovazione tecnologica che ha dato a Milano ACC una nuova sala controllo, si è concluso il processo con cui ENAV ha portato i quattro ACC italiani (Roma, Brindisi, Padova, Milano) ad avere una comune strumentazione. Milano è l’ultimo centro a vivere quest’evoluzione; qui la progettazione della nuova sala è iniziata a cavallo tra il 2000 e il 2001. Il nuovo apparato tecnologico e la relativa strumentazione hanno più di cinque anni e sono già ampiamente operativi in Italia come in Europa. Milano occupa una delle ultime posizioni nella graduatoria cronologica dei centri che hanno vissuto questa trasformazione. Bisogna poi considerare che i processi innovativi, e le necessità tecniche dei centri di controllo del traffico aereo, prevedono un cambiamento tecnologico ogni dieci anni. Il ritardo si fa ancora più pesante. Ma come è stata gestita concretamente questa fase di cambiamento? Il nuovo sistema è arrivato a Milano, da Roma, nel 2001; ognuno dei quattro ACC italiani ha adeguato l’apparato di base, comune a tutti, alle proprie esigenze di traffico attraverso specifici adattamenti. A Milano è stato istituito un team di dieci istruttori (ex controllori) che in due anni si sono dedicati allo studio e al perfezionamento del sistema, secondo le peculiarità del traffico qui gestito. L’adeguamento del sistema è avvenuto sulla base di precise modalità: prima i dieci istruttori hanno trascorso in sala buona parte della giornata, ciascuno focalizzando l’attenzione su obiettivi specifici, e, in un secondo tempo, si sono riuniti per scambiare considerazioni, opinioni, conclusioni e per proporre i relativi cambiamenti da apportare. Ogni idea è stata poi presentata ai vertici aziendali e passata ai tecnici che si sono occupati, dove possibile, di modificare concretamente il sistema in base alle richieste. In questa fase ricoprono un peso non indifferente motivazioni economiche e politiche aziendali, ma non è questa la sede per analizzarle. Ciò però ha portato ad accettare alcune modifiche e a rifiutarne delle altre, anche se a svantaggio della qualità e del sistema. 108 Capitolo 5 Nei due anni di perfezionamento i soli soggetti coinvolti sono stati i dieci membri del team appositamente istituito, considerati sufficientemente competenti visto il ruolo ricoperto all’interno della gerarchia operativa. Non sono invece stati previsti degli incontri comuni con tutti i controllori operativi in cui far presente le innovazioni, raccogliere le proposte, spiegare i passaggi compiuti e quelli ancora da attivare prima dell’ok finale. Allo stesso modo non è stata prevista una fase di esercitazioni al simulatore che potesse mettere il controllore in condizione di conoscere la nuova strumentazione senza preoccuparsi del traffico. Questa fase avrebbe permesso, anche a detta della maggior parte dei controllori intervistati, di prendere confidenza col sistema, di capire quali fossero i nuovi punti di riferimento, annullando i fattori “attenzione” e “concentrazione” per gestire il traffico reale. L’azienda ha ritenuto che l’esperienza dei dieci istruttori esperti delle condizioni di Milano fosse sufficiente ad affinare il sistema nel modo migliore. Alla fine del 2002 la nuova sala è stata considerata pronta per entrare in funzione e da gennaio 2003 i controllori hanno cominciato a conoscerla durante i turni notturni, quando il traffico è molto basso. Proprio per la scarsità di traffico aereo, però, il numero di controllori necessari di notte è ridotto rispetto al giorno, e quindi gli operatori hanno avuto poche occasioni, con frequenze diverse a seconda dei turni, per conoscere la nuova strumentazione prima della prima svolta decisiva. L’apertura della nuova sala è avvenuta il 26 marzo; da questa data fino al 3 maggio è stato istituito il passaggio quotidiano da sala vecchia a nuova intorno alle quattro del pomeriggio e per tutta la notte, per poi tornare nella vecchia sala dalle sette di mattina. Questa “doppia vita” è motivata dall’impossibilità per i controllori, alle prime armi con la nuova tecnologia, di gestire il normale volume di traffico aereo milanese senza un adeguato apprendimento delle nuove procedure, nonostante la restrizione del traffico aereo appositamente prevista nei mesi di aprile e maggio. La normale circolazione dei voli è ripresa agli inizi di giugno. Forse, un periodo al simulatore, avrebbe aiutato a far prendere confidenza con le nuove manualità, rendendo più semplice questa fase di passaggio. 109 Capitolo 5 Innovazione e cambiamento sono due condizioni “routinarie” in un mondo come quello dell’aviazione: l’evoluzione qui è continua e veloce, il traffico aereo aumenta a livelli esponenziali e i soggetti coinvolti devono possedere flessibilità e senso di adattamento. Quella che in questo lavoro è stata definita come “vecchia” sala controllo esiste dal 1994, e a sua volta ha vissuto molte fasi innovative: nei suoi nove anni di vita il sistema di elaborazione dati relativi alla gestione dei voli è stato cambiato per quattro volte. Questo passaggio di sala ha però un peso maggiore rispetto a quelli che lo hanno preceduto, perché prevede un cambiamento totale dell’ambiente, dei punti di riferimento, della strumentazione tecnologica, delle procedure pratiche per svolgere i propri compiti. Perché si è reso necessario un cambiamento così radicale? Non era possibile apportare qualche altra modifica al vecchio sistema, che comunque era adeguato a gestire il traffico e, soprattutto, che i controllori conoscevano bene? Quale necessità ha imposto una rivoluzione di questo peso? Fondamentalmente la creazione di una nuova sala risponde all’esigenza, per il sistema, di adeguarsi e di sfruttare le risorse nate con lo sviluppo tecnologico al fine di migliorare il servizio sotto ogni punto di vista. In realtà, se la tendenza attuale fosse seguita assiduamente, si dovrebbe vivere un rinnovamento tecnologico ogni anno. Come già ricordato, per questioni economiche e amministrative, attualmente il cambiamento è previsto ogni dieci anni circa. A Milano si è passati da una procedura d’azione manuale, ad una che attribuisce alla tecnologia un ruolo dominante. L’obiettivo ultimo è di poter gestire, in futuro, un traffico maggiore di quello attuale, aumentando le settorizzazioni e rendendo più specializzato il servizio di ATC. Tutto questo era impensabile con la strumentazione della vecchia sala, che non aveva concretamente il supporto idoneo per ospitare la nuova strumentazione tecnologica necessaria all’innovazione. La sala nuova non risponde ad un adeguamento obbligato, né è legata all’imposizione di nuovi standard. Il lavoro di ATC poteva essere proseguito anche con il supporto della vecchia tecnologia, il cui limite maggiore non era 110 Capitolo 5 tanto tecnologico, quanto economico: dopo dieci anni di attività gli strumenti sono invecchiati e la loro manutenzione è diventata eccessivamente costosa, se non impossibile. Spesso i pezzi di ricambio non potevano più essere recuperati perché appartenenti a un sistema tecnologico appositamente studiato per il controllo radar, ormai in disuso e sorpassato. La nuova sala non è un’imposizione, ma una necessità. Poiché gli altri ACC, italiani ed europei, si sono già rinnovati, e poiché il traffico è gestito secondo criteri di coordinamento e collaborazione, è necessario che tutti i soggetti coinvolti possiedano gli stessi mezzi, parlino lo stesso linguaggio, al fine di poter comunicare alla pari ed essere compresi. Come tutte le innovazioni, anche questa provoca un mutamento nell’insieme di possibilità organizzative, e rappresenta un processo di apprendimento di nuove capacità per tutti i soggetti coinvolti. Nei processi di cambiamento, individui, organizzazioni e istituzioni devono essere capaci di costruire e consolidare repertori cognitivi e abilità pratiche prima sconosciuti. I nuovi sistemi informativi sono introdotti allo scopo di aumentare l’efficienza e per correggere situazioni percepite come disfunzionali: difficoltà negli scambi e nelle comunicazioni, nella programmazione e nella pianificazione, nel coordinamento e nel controllo (Ciborra, Lanzara 1999). Questa possibilità di miglioramento non si sarebbe potuta realizzare nella vecchia sala operativa, proprio perché non c’era il supporto adeguato per ospitare la nuova strumentazione tecnologica necessaria all’innovazione. Nei processi di innovazione, è bene tenere presente che la tecnologia e gli artefatti tecnologici sono la risultante di un processo di progettazione e costruzione sociale, un processo che può avvenire o con una forte discontinuità, oppure senza alcun tipo di attrito. Confrontando tra loro le due sale operative attraverso SHELL, cercheremo di capire che tipo di reazione i soggetti hanno avuto di fronte al cambiamento. Le recenti tecnologie non sono solo portatrici di nuove routine di lavoro, ma attivano anche nuovi patterns di comportamento e schemi di pensiero. 111 Capitolo 5 5.2 La nuova sala controllo Le due sale appaiono diverse tra loro al primo impatto. FIGURA 9: Milano ACC; schema della nuova sala operativa (CSO = capo sala; AEROVIA = settori di scorrimento – ACC; ARR/DEP = settori arrivi/partenze – APP; FIC = centro informazioni volo; SPV = postazione supervisori; FMP = ; MILITARY = zona militare ) La vecchia sala era di dimensioni minori; l’ambiente interno era buio a causa dell’impossibilità di cogliere le informazioni sugli schermi radar se illuminati dalla luce solare. Le postazioni erano collocate una accanto all’altra: all’ingresso il settore arrivi/partenze; poco distaccate le postazioni adibite al sorvolo, poste come a formare una X. I controllori lavoravano a stretto contatto tra loro: la vicinanza permetteva una diretta e veloce comunicazione faccia a faccia tra i soggetti. La forma a X dell’area sorvolo caratterizzava un luogo compatto, il cui centro diventava un punto di raccordo per tutti; si può immaginare un movimento rotatorio del flusso comunicativo tra gli addetti ai lavori. Ciò permetteva di avere sempre sotto controllo l’andamento generale della situazione e facilitava gli scambi comunicativi, soprattutto in condizioni critiche, quando ogni azione deve 112 Capitolo 5 avvenire con la massima velocità e incontrando il minor numero di ostacoli possibili. Nella nuova sala operativa i controllori si relazionano con un’imponente innovazione tecnologica. La trasformazione ha conseguenze su tutto il sistema lavorativo, sulle procedure, sulle modalità comunicative, sull’atmosfera interna all’ambiente. Di fronte ad un fenomeno simile, l’interesse si concentra sulle turbolenze locali, le discontinuità, i vantaggi e gli svantaggi, che si manifestano quando il nuovo sistema è introdotto nell’insieme di attività consolidate del processo. Gli sviluppi di un’innovazione tecnologica e organizzativa, costituiscono un’occasione privilegiata per studiare i sistemi d’azione e di significato operanti nelle organizzazioni e negli ambienti di lavoro. I nuovi artefatti interagiscono in modo ambiguo, e spesso imprevedibile, sia con gli assetti strutturali e istituzionali propri di una data organizzazione del lavoro, sia con i presupposti cognitivi, i significati e gli schemi mentali che gli attori organizzativi attivano nelle loro pratiche professionali e nelle loro routine amministrative (Ciborra, Lanzara 1999). Nel caso considerato, l’hardware comunica in modo nuovo, ed è molto più ricco di informazioni rispetto al precedente. Alcuni confronti possono dare l’idea: nella vecchia sala, sullo schermo radar rotondo tutti i voli e i confini dei settori erano di colore verde, indipendentemente dal fatto che un aereo fosse sotto il controllo dello specifico settore. Il nuovo schermo, molto più grande e rettangolare, presenta tutti i voli identificandoli con colori diversi in base al tipo di contatto che il controllore ha con lo specifico aereo. Le strips colorate, che portavano le informazioni relative ai passaggi di settore degli aerei, e costituivano lo strumento di lavoro dei controllori procedurali (CP), scompaiono per apparire direttamente sullo schermo radar. L’ambiente è più grande e potrebbe essere totalmente illuminato perché i nuovi schermi, identici a quelli di un comune computer, sono perfettamente visibili anche se illuminati dalla luce del sole. A causa di errori di disposizione dell’ambiente, però, i riflessi del sole sono troppo fastidiosi e quindi l’illuminazione generale rimane scarsa. La sistemazione delle postazioni è totalmente diversa, poiché esse sono poste lungo tre file tra loro parallele e 113 Capitolo 5 molto distanziate l’una dall’altra. Ciò comporta una modifica nei flussi comunicativi tra i controllori, che, non trovandosi più a stretto contatto, si vedono costretti ad elaborare nuove strategie di mediazione. Se prima due radaristi potevano coordinare il passaggio di un volo, o comunicarsi dei cambiamenti improvvisi, faccia a faccia, ora le distanze li portano a telefonarsi o a scrivere le informazioni direttamente sullo schermo. La nostra attenzione sarà focalizzata su quella zona grigia, quella fase in cui un’innovazione è introdotta e deve essere assimilata dai soggetti interessati. È questo il momento il cui il contesto formativo (cfr. cap. 1) reagisce ai nuovi stimoli producendo nuovi significati, sperimentando nuove routine e nuove strategie. L’apparizione di un nuovo artefatto, anche quando è programmata e attesa, può far violenza alle pratiche e ai significati culturalmente condivisi e dati per scontati, e può costringere gli attori ad abbandonare e a modificare le routine abituali, togliendo loro quell’aura di ovvietà e di necessità naturale che l’uso prolungato ed efficace tende a conferire. In riferimento al modello SHELL precedentemente usato per la descrizione della vecchia sala, riproporremo ora la stessa metodologia al fine di chiarire le novità apportate dal cambiamento. 5.3 Liveware/Hardware La strumentazione ha subito grosse modifiche: prima di tutto ci sono due schermi radar, uno per il radarista (CR) e uno per il procedurale (CP). Le strips cartacee sono diventate elettroniche: emesse secondo l’ordine dato dal sistema, non sono più gestibili dall’operatore secondo le sue esigenze. Sono rimasti uguali tastiere, telefono, informazioni meteo e piani di volo. L’innovazione non è solo quantitativa, ma è cambiato il più profondo sistema di elaborazione dati. Nella sala nuova il segnale radar arriva dalle stesse antenne, ma cambia il tipo di rappresentazione dell’informazione: tutto è scritto nello stesso codice e secondo lo stesso protocollo. Le informazioni non devono più essere modificate e adattate ai diversi supporti, lette sullo schermo o ricevute telefonicamente, e poi annotate a 114 Capitolo 5 penna sulla strips di interesse; ora è sufficiente una trasposizione delle informazioni da una finestra ad un’altra direttamente sullo schermo. Nella sala vecchia si creava manualmente la compatibilità tra fonti diverse d’informazioni; nella nuova le fonti sono state rese tecnologicamente compatibili perché si appoggiano sullo stesso registro e comunicano con il medesimo linguaggio. Ciò permette, ad esempio, l’elaborazione automatica dei dati del piano di volo e dei trasferimenti/coordinamenti dei voli tra centri limitrofi e tra settori delle stesso centro, integrazioni dei dati dei piani di volo con la traccia radar, sviluppo elettronico delle traiettorie. 5.2.1 Il nuovo schermo radar Si può affermare senza dubbio che lo schermo radar della nuova sala operativa è la componente innovativa che più attrae l’attenzione dell’osservatore. Lo schermo radar della nuova sala ACC. Sulla destra dello schermo sono collocate le nuove strips elettroniche. Foto: Marco Asprea 115 Capitolo 5 In sintesi esso si presenta più grande, di forma rettangolare e ricco di colori. Ma andiamo per gradi. In sala vecchia gli schermi radar funzionavano grazie a tubi catodici appositamente costruiti. Oggi, però, questi tubi catodici speciali hanno un prezzo elevatissimo, perché rotondi e non quadrati come quelli comunemente usati per i televisori o i computer, e un’eventuale sostituzione diventava sempre più costosa. Nella sala nuova lo schermo radar è un normale televisore, un terminale video con un tubo catodico quadrato e quindi comune ed economico. Il sistema operativo è quello di un computer: i dati che arrivano dalla banca dati appaiono sullo schermo radar è possono essere qui elaborati direttamente dall’operatore. In alcuni casi, la ricezione delle informazioni è paragonabile al sistema di posta elettronica: un controllore scrive accanto al volo la modifica apportata, contemporaneamente il destinatario la riceve sul suo schermo e decide se accettarla o meno. In questo contesto innovativo si trova facilitato chi ha già dimestichezza con la tecnologia del computer (utilizzo del mouse, gestione delle informazioni sullo schermo…), mentre tutti coloro che appartengono ad una classe d’età più elevata dimostrano difficoltà di adattamento. Un aspetto importante è costituito dalla ricchezza di informazioni fornite dagli ampi schermi multifunzionali dove si utilizzano colori diversi per discriminare situazioni diverse. Il criterio generale è quello di attribuire il colore in base alla posizione occupata nel settore: in verde brillante si identifica il traffico sotto diretto controllo, in verdone il traffico in arrivo; in bianco il traffico non di competenza; in rosso i voli che stanno per entrare in conflitto tra loro e che, quindi, richiedono maggiore attenzione da parte dell’operatore; in giallo glia aerei di cui non si conoscono le coordinate; infine, in magenta i voli ai quali il controllore del settore precedente ha assegnato un livello di volo e che il controllore del settore di arrivo deve decidere se accettare (facendolo diventare verde brillante cliccandoci sopra) oppure no, richiedendo un cambiamento telefonicamente. Lo sfondo dello schermo è grigio e i settori sono delimitati da linee bianche; nella vecchia sala i voli e la definizione dei settori erano in verde brillante su sfondo nero. 116 Capitolo 5 Altra innovazione degna di nota: passando col mouse accanto ad ogni volo si mette in evidenza una piccola finestra contenente tutte le informazioni ad esso relative. Su questi dati il controllore può agire direttamente: selezionando il settore di appartenenza si apre una nuova finestra dalla quale egli deve scegliere il nuovo settore di destinazione. Allo stesso modo quando deve attribuire al volo un nuovo livello lo seleziona dalla finestra relativa ai livelli. L’interazione tra il controllore e il computer è diventata totale. A livello teorico, i vantaggi sono immediati: accesso più ampio e più rapido alle informazioni, presentazioni radar più omogenee a beneficio dei controllori di uno stesso settore. Questa ridefinizione del contesto ha creato non poco disorientamento per i controllori, molti dei quali hanno dichiarato di essere tentati a dare a tutti i voli il colore bianco ricreando la stessa situazione di prima. I nuovi riferimenti, che oggettivamente costituiscono un forte supporto agli operatori, in realtà, nella fase di passaggio, si sono rivelati problematici in quanto creatori di confusione e di imprecisione. È molto probabile, però, che non appena il periodo di adattamento si sarà stabilizzato, queste piccole criticità si attenueranno. 5.2.2 Vantaggi e svantaggi Il nuovo sistema tecnologico fornisce ai soggetti una quantità molto più abbondante di informazioni. I colori, i dati e i valori sempre presenti, il piano di volo in automatico, sono a continua disposizione del controllore, mentre prima gran parte delle informazioni dovevano essere tenute a mente o appuntate sulle strips. Se è vero che la notevole massa di dati forniti dal sistema accresce la conoscenza dell’ambiente operativo da parte del controllore, è altrettanto vero che si assiste ad una drastica caduta delle comunicazioni verbali, ma questo lo vedremo più avanti. I controllori non hanno faticato a riconoscere che più informazioni forniscono un maggiore supporto; i problemi possono nascere, però, dal livello di preparazione, ossia da quanto si è stati addestrati a gestire una 117 Capitolo 5 mole superiore di dati e a prendere dimestichezza con strumenti sconosciuti, mentre si continua a compiere il proprio lavoro. Il rischio è di ritrovarsi di fronte a nuove distrazioni che limitano l’attenzione e la concentrazione verso il traffico aereo. Dover operare con un sistema più ricco comporta prima di tutto prendere dimestichezza con i nuovi codici, capire come orientare lo sguardo su di un radar - le cui dimensioni hanno lasciato disorientato più di un operatore. Il parere più diffuso da parte dei controllori è che il nuovo sistema operativo richieda molta più manualità; tecnologicamente esso è molto sofisticato e quindi in grado di supportare eventuali carenze dei soggetti (ad esempio la segnalazione in rosso di due voli in possibile collisine tra loro, che, un controllore distratto può non vedere), ma allo stesso tempo al soggetto è richiesto un costante intervento sul sistema a livello di procedure, e quindi un livello di attenzione maggiore di prima. Paradossalmente si potrebbe affermare che per essere funzionante la macchina ha sempre più bisogno dell’uomo. Il team di dieci tecnici che ha lavorato sul sistema per renderlo adeguato alle necessità di Milano, ha anche apportato delle modifiche tecniche per facilitare la gestione del traffico, o per rendere l’interfaccia più soddisfacente per gli operatori. Uno degli apporti maggiormente caratteristici è costituito dalle finestre SFL (Sector Flight List): queste sono delle piccole finestre sullo schermo, una per ogni punto centrale di traffico, in cui sono riportati tutti i voli che entreranno e usciranno da quello specifico punto. Le finestre SFL richiamano il vecchio sistema di strip cartacee in cui i voli venivano suddivisi in sottoinsiemi in base a questi punti focali, e al cui interno si collocavano tutti gli aerei che avrebbero transitato, in un senso o nell’altro, per quel punto specifico. La presenza sullo schermo radar di queste finestre permette, così come le strip, di prevedere e organizzare il traffico, avendo a disposizione tutte le informazioni necessarie per progettare la risoluzione migliore. Altra introduzione di grossa portata è la nuova procedura per il ReRouting: dopo aver comunicato al pilota le nuove coordinate, il radarista può direttamente selezionare il volo interessato, aprire la specifica finestra e digitare in questa le nuove coordinate. Nella vecchia sala il CR doveva 118 Capitolo 5 comunicare il cambiamento al procedurale, che a sua volta chiedeva all’assistente di aggiornare il piano di volo e renderlo operativo. Questa novità introdotta ad hoc dai tecnici è finalizzata a sveltire le procedure, soprattutto nei periodi di nebbia o di brutto tempo, quando molti aerei non hanno l'autorizzazione ad atterrare e sono costretti a cambiare rotta. La possibilità di intervenire direttamente dovrebbe velocizzare i passaggi; bisogna considerare, però, che se si ha molto traffico da gestire, un aumento delle manualità può diventare un’ulteriore fonte di distrazione. Sarà il tempo a confermare la validità o meno delle modifiche apportate. 5.3 Liveware/Software Il nuovo apparato tecnologico ha imposto un modo diverso di svolgere specifiche procedure operative. Il “come” si fanno le cose, i passaggi da compiere per raggiungere un obiettivo identico al passato, sono stati rimodellati da nuove regole procedurali specifiche del sistema. Il lavoro di base del controllore è rimasto, inevitabilmente, lo stesso: le direttive da dare ai piloti, i parametri da rispettare, i criteri operativi non possono cambiare poiché dettate da ICAO, unico ente mondiale con il potere di regolare il sistema del traffico aereo. Nella nuova sala operativa il soggetto umano ha dovuto imparare ad operare in modo diverso, a rapportarsi con il sistema secondo regole diverse dal passato. 5.3.1 Nuovi schemi d’azione Per capire meglio questo passaggio, proviamo a fare qualche esempio: a) Coordinamenti nel passaggio di un aereo da un settore all’altro. Di norma nel passaggio di un aereo da un settore ad un altro, sono previsti dei livelli e delle quote standard che il controllore deve attribuire al volo. Se questi parametri sono rispettati, allora i responsabili possono anche non comunicare tra loro, perché ciascuno sa cosa aspettarsi. Se invece le condizioni di traffico impongono dei livelli diversi, allora il controllore deve 119 Capitolo 5 comunicare al collega i cambiamenti che ha stabilito, e chiedergli se i nuovi parametri sono accettabili in base al traffico che sta gestendo. Nella vecchia sala, i coordinamenti si facevano o direttamente a voce oppure telefonicamente, e, come si può immaginare, erano procedure che non sottraevano molto tempo e attenzione all’operatore. Il trasferimento tra due settori avveniva selezionando il volo, e digitando sulla tastiera il pulsante relativo allo specifico spazio aereo di destinazione. I cambiamenti apportati erano tenuti in mente dal radarista e appuntati sulle strips dal procedurale. Nella nuova sala operativa, invece, il sistema prevede che per tutti i coordinamenti il controllore deve selezionare l’aereo interessato, aprire la finestra relativa al suo livello di volo e cliccare sulla quota stabilita. In seguito egli deve aprire la finestra dei settori e selezionare la sigla del settore di destinazione (facendo attenzione a far scorrere la pagina delle sigle dello specifico spazio aereo e non la pagina degli spazi aerei). A questo punto su tutti gli schermi radar, il colore del volo interessato diventa magenta e riporta indicati quota e settore nuovi. Il controllore che identifica il suo settore deve decidere cosa fare: se accetta le condizioni poste, clicca sul volo che diventerà verde brillante, se le rifiuta deve telefonare al collega per concordare i nuovi parametri. Il rischio è di abbassare il livello di coordinamento; se la comunicazione diventa unidirezionale, può risultare particolarmente difficile gestirla in condizioni di alto volume di traffico. b) Aggiornamenti dei piani di volo. Quando un aereo inizia il suo viaggio è tenuto a seguire un preciso piano di volo precedentemente stabilito e approvato. È però molto probabile che tale piano cambi dopo che il volo è partito a causa o di condizioni metereologiche, oppure di problemi di traffico. In questi casi il controllore deve assolutamente rendere note le variazioni apportate affinché tutti sappiano che quel volo non seguirà le procedure prestabilite. Questo è un compito che spetta sempre al controllore procedurale (CP). Nella vecchia sala il CP scriveva a penna sulle strips i cambiamenti apportati o dal suo radarista o comunicati dai settori limitrofi. In questo modo ogni modifica era chiara e direttamente a disposizione dei colleghi, nelle fasi di cambio turno o 120 Capitolo 5 di sostituzione momentanea. Tutti erano sempre al corrente della situazione momentanea. Nella nuova sala il computer identifica i voli sulla base del piano di volo di riferimento. Nel momento in cui il piano di volo subisce alcune modifiche, è compito del CP trasmettere i cambiamenti al sistema digitando le informazioni nelle apposite finestre, così che non vengano perse le tracce del volo. Se però il CP non comunica l’aggiornamento al computer, allora a un certo punto il sistema perde i riferimenti del volo, non lo identifica più e la scritta sul radar assume il colore giallo, ovvero volo non identificato, di cui non si conoscono i parametri. Contemporaneamente sullo schermo la strip del volo è barrata da una diagonale rossa in segno di allarme e il radarista può ritrovarsi nell’impossibilità di controllare il volo di cui nessuno conosce più il piano. Per riprenderne il controllo, bisogna andare a ricercarlo tra le informazioni tenute in memoria nelle diverse finestre a disposizione presenti sullo schermo. Questa è, evidentemente, una situazione ad alto rischio, potremmo definirlo un “errore attivo” capace di innescare la precisa coincidenza di errori latenti in grado di bucare le difese in profondità del sistema, e creare la finestra di opportunità che conduce all’incidente (Reason 1990). Un aereo che segue una traiettoria diversa da quella prevista e non aggiornata può diventare un pericolo perché non è più gestibile dagli operatori. A causa della ridondanza di informazioni fornite dal nuovo sistema – coordinate del piano di volo, nominativi, livelli, settori, appaiono direttamente sullo schermo, la tendenza è quella di attribuire ad esso eccessiva fiducia 5.3.2 Un sistema più rigido a garanzia del rispetto delle regole Nella vecchia sala, la consapevolezza della limitatezza del sistema portava l’uomo ad essere più previdente, a segnare ogni informazione, conscio dell’importanza del proprio intervento: i controllori sapevano di dover comunicare e aggiornare ogni passaggio, per colmare i limiti tecnologici. 121 Capitolo 5 Oggi il nuovo sistema è ricco di informazioni, fornisce tutti i dati relativi ai voli, e questo dà un senso di sicurezza agli operatori che tendono ad attribuire meno importanza al proprio intervento e troppa fiducia alla tecnologia. Il vecchio sistema portava il controllore ad essere più prudente, quello innovativo è più ricco, ma più opaco, tanto da richiedere passaggi aggiuntivi e un maggior numero di procedure da seguire per raggiungere gli stessi scopi. Molti controllori definiscono il nuovo sistema più rigido, nel senso che per portare a termine un’azione bisogna spezzettare le procedure, incastrate tra loro a catena: saltare un passaggio diventa problematico, perché comporta bloccare l’intera procedura, creando effetti a cascata sul sistema. Questi esempi fanno capire come la nuova strumentazione abbia aumentato le manualità del controllore nel gestire il traffico. Il sistema funziona se ciascuno rispetta tassativamente tutti i passaggi previsti: è più rigido e più impegnativo per il soggetto che, soprattutto in una fase iniziale di apprendimento, si trova impegnato nello svolgimento di pratiche operative che lo possono facilmente distrarre dal traffico reale. Semplici dimenticanze, sovraccarico di lavoro e stanchezza possono far sì che non si riesca a seguire la giusta sequenza operativa e che si sviluppi a cascata una scorretta progressione della situazione. Il nuovo sistema dà molto, ma al contempo richiede dal controllore più attenzione, precisione, memoria. Il problema fondamentale è che il soggetto deve usare questi stessi strumenti anche nella gestione del traffico, e quindi deve trovare il giusto equilibrio nella distribuzione delle risorse. Il nuovo apparato tecnologico, in sé, è oggettivamente più affidabile, ma richiede al soggetto un maggior rispetto delle regole, dei passaggi pratici necessari al compimento del lavoro. In sala molti controllori hanno apprezzato i vantaggi e il supporto dell’innovazione; il problema è che, paradossalmente, molti affermano che per gestire il traffico di Milano sarebbe più adeguata una tecnologia meno complessa, più arretrata e che permetta di utilizzare regole operative più immediate e più flessibili per non sottrarre tempo e attenzione al lavoro. 122 Capitolo 5 L’eccessiva ricchezza del sistema porta i controllori a dargli troppa fiducia rischiando di dimenticarne la rigidità. Tale rigidezza potrebbe essere interpretata come un modo per assicurare che il controllore si attenga alle procedure previste dalla normativa; una difesa del sistema introdotta in profondità nelle barriere organizzative per contrastare gli errori umani. In realtà, come ha sostenuto Reason (1990, 1997), le specificità delle situazioni spesso comportano degli strappi alle regole, degli adattamenti, che permettono di facilitare la risoluzione del problema. La flessibilità della sala vecchia rendeva questo atteggiamento più semplice, e i controllori avevano imparato a farvi affidamento. La maggiore rigidità del sistema nuovo comporta una standardizzazione delle procedure e quindi un maggiore adeguamento alle regole previste dal codice. Il prezzo da pagare potrebbe essere, però, una maggiore lentezza delle azioni e una meno efficace risoluzione delle criticità, che spesso necessitano di scorciatoie e strategie ad hoc. La maggiore manualità rallenta le mansioni. 5.4 Liveware/Liveware L’adozione di una nuova tecnologia ha effetti ad ampio raggio: comporta una modifica sostanziale nelle procedure e nelle regole di lavoro, introduce in un ambiente totalmente diverso, cambia le interazioni tra i soggetti coinvolti. Quest’ultima sfera tocca molteplici ambiti: si pensi alle relazioni tra i singoli, tra i gruppi, tra soggetti a distanza, tra i membri che ricoprono gradini diversi di una gerarchia operativa. Con il passaggio nella nuova sala controllo molti aspetti tipici della comunità di pratiche dei controllori non sono cambiati, anche perché non possono cambiare: il rispetto della stratificazione dei ruoli, i rapporti con i centri limitrofi con i quali si interagisce per gestire il traffico, le interazioni e gli scambi comunicativi tra controllori e piloti, devono essere portati avanti rispettando gli stessi criteri di sempre. Queste sfere mantengono il giusto livello di collaborazione, la costanza e il rispetto procedurale imposto dalle normative e dalle regole di base. 123 Capitolo 5 Osservando il processo di cambiamento è stato possibile cogliere elementi di trasformazione proprio in quei contesti dove non esistono regolamenti rigidi da rispettare, in particolare nelle relazioni tra i singoli soggetti. 5.4.1 L’innovazione fa nascere una nuova figura professionale Il primo e più importante mutamento è stato imposto dalla nuova tecnologia operativa: la sostituzione delle strip cartacee con strip informatiche e l’adozione di un secondo schermo radar in ciascuna postazione, ha rivoluzionato la figura non tanto del radarista (che continua a svolgere fondamentalmente le stesse mansioni in modo simile), quanto quella del controllore procedurale. CR e CP al lavoro nella nuova sala controllo. Foto: Marco Asprea Prima (cfr. cap. 4.3.1) il CP lavorava con le strisce di carta attraverso cui riconfigurava la situazione del traffico momentanea, disponendo le strips di ogni volo nel sottogruppo appartenente allo specifico punto nodale del 124 Capitolo 5 settore di entrata e di uscita. Il suo compito era di aggiornare a penna i piani di volo, annotare eventuali modifiche, supportare il radarista nelle decisioni da prendere; il tutto senza intervenire mai sul radar, anche perché l’abilitazione per questa figura professionale non ne prevede la conoscenza. Nella pratica, però, è vero che il CP impara a conoscere lo schermo radar, ne sa codificare e interpretare le informazioni, nel corso di quel processo di formazione on job training che caratterizza questo lavoro. Uno degli aspetti che la tecnologia della nuova sala operativa ha rivoluzionato è proprio la sfera di competenze del CP; non è eccessivo affermare che questa figura operativa ha cambiato totalmente il proprio lavoro. Prima di tutto ha un nuovo strumento: le strip non sono più in carta ma informatiche, appaiono direttamente sullo schermo - secondo un ordine fornito dal sistema e non modificabile, non sono più aggiornabili - perché l’aggiornamento dei voli va fatto direttamente a computer sulla casella di informazioni relativa al volo. Inoltre, il CP ora ha un suo schermo radar, che prima non aveva. Questi due grossi cambiamenti hanno lasciato piuttosto disorientati i procedurali, che hanno avuto poco più di un mese di tempo per imparare una nuova professione. Si ritiene che non sia un’esagerazione parlare di nuova professione, proprio perché il soggetto ha dovuto adattarsi ad un nuovo sistema di riferimento, a nuove procedure, ad una tecnologia che nessun corso di abilitazione o di addestramento gli ha mai presentato prima (torna qui l’idea che forse l’utilizzo di un simulatore sarebbe stato utile almeno per i CP che, in assenza di traffico reale, avrebbero potuto prendere dimestichezza con la nuova manualità). Tutto ciò che il procedurale conosce per poter interpretare il radar è frutto della sua personale esperienza passata. È vero che il progetto prevede che nella nuova sala operativa tutti gli operatori debbano essere abilitati radaristi, ma è pur vero che al momento del cambiamento, essi non lo sono. Nell’introdurre la nuova strumentazione tecnologica è stato richiesto un grande sforzo ai controllori, nella consapevolezza di poter contare sulla flessibilità tipica di questa figura professionale, alla sua capacità di adeguarsi, di apprendere velocemente, di saper reagire rapidamente agli stimoli, caratteristiche indispensabili per gestire il traffico aereo. Ma non 125 Capitolo 5 bisogna dimenticare che compito fondamentale di questi operatori è usare le loro qualità per controllare e gestire il traffico perseguendo sicurezza, ordine e speditezza, e non per sopperire a carenze progettuali. Se contemporaneamente allo stress, alla concentrazione, all’elevato livello di attenzione richiesto si aggiunge anche lo sforzo adeguarsi ad una nuova tecnologia che inevitabilmente sottrae attenzione, si rischia di mettere a rischio la sicurezza di tutti. Dare a tutti l’abilitazione a radarista prima di cambiare sala, ad esempio, avrebbe reso più semplice l’apprendimento del nuovo sistema da parte del procedurale. 5.4.2 L’impatto del cambiamento sulle relazioni tra controllori Nella fase di adattamento, a causa delle importanti novità nelle mansioni del procedurale, la relazione tra CP e CR è diventata più fragile. Come esposto in precedenza (cfr. cap. 4.3.1) i due lavorano a strettissimo contatto, si affidano l’uno all’altro, devono sapere di poter sempre contare reciprocamente sulla prontezza e sulla capacità di dominio della situazione. Nel periodo di passaggio, purtroppo, quest’affiatamento è stato messo più volte in crisi dal senso di disorientamento comune generato dalla novità, ma soprattutto dall’inevitabile mancato senso di controllo del sistema da parte del procedurale. Non è poi da sottovalutare la difficoltà che i soggetti più anziani hanno fatto nell’imparare le nuove procedure, nel prendere dimestichezza con il sistema informatico. Alle difficoltà di apprendimento, si aggiunge in questo caso, la naturale lentezza di riflessi, la poca dinamicità con gli strumenti computerizzati e la difficoltà di apprendimento davanti a novità così numerose. Se il radarista è di per sé in tensione per dover gestire correttamente il traffico e per doversi confrontare con un nuovo sistema tecnologico, è facile capire come percepire l’agitazione del proprio assistente non può fare altro che aumentare questo senso di precarietà. In tutte queste valutazioni bisogna tener presente che il traffico aereo non si può fermare perché controllore e procedurale sono in tensione per la consapevolezza di essere 126 Capitolo 5 distratti dal sistema: il lavoro va fatto con continuità e nel perseguimento costante della sicurezza di tutti. Si ritiene che questa sia stata la fase in cui l’interazione nel team operativo sia stata più messa alla prova e condizionata dal processo innovativo. Ci sono poi altri cambiamenti da non sottovalutare: le maggiori dimensioni della sala operativa, le distanze più ampie tra le postazioni, hanno modificato le tipologie di interazione tra i soggetti. La struttura della vecchia sala, caratterizzata da postazioni adiacenti l’una all’altra, uno spazio ristretto, una disposizione delle consolle che creava movimento e facilitava la circolarità delle informazioni, portava spontaneamente ad un processo interattivo e comunicativo diretto e costante tra i soggetti. Tutti i passaggi, i coordinamenti, gli scambi di informazione avvenivano secondo procedure immediate, comunicazioni faccia a faccia, e un uso estremamente relativo del telefono perché non necessario. Ora, le distanze tra le postazioni delimitano con maggiore chiarezza quali sono i team di operativi e quali i confini del proprio posto di lavoro. Se prima tutti erano affiancati, ora la divisione in squadre appare molto più chiara anche fisicamente. Ne segue che le maggiori distanze possono ostacolare, almeno inizialmente, un flusso comunicativo diretto e continuo: i controllori di settori tra loro adiacenti sono costretti a telefonarsi e contemporaneamente a guardarsi in faccia, per arricchire la comunicazione con la gestualità e la mimica. Questa è una scelta obbligata: se così non fosse il volume della voce dovrebbe essere molto più alto creando un ambiente lavorativo confusionario e in vivibile. Altro aspetto importante che deriva dal nuovo sistema tecnico è l’introduzione della comunicazione mediata tra gli operatori. Come precedentemente illustrato, nella vecchia sala per far passare un volo da un settore ad un altro bastavano pochi gesti accompagnati dalla comunicazione diretta tra i due controllori coinvolti. Ora il passaggio va comunicato al sistema: l’aereo diventa color magenta e il controllore ricevente può o accettare il volo selezionandolo e facendolo diventare verde brillante, oppure, se non può gestirlo, deve obbligatoriamente telefonare al collega e concordare la soluzione. Ciò fa sì che tutti siano al corrente della situazione, proprio perché tutti vedono sul proprio schermo il volo nei rispettivi colori. 127 Capitolo 5 La comunicazione è costantemente estesa e mediata, e la strumentazione diventa canale obbligato di passaggio delle informazioni. Le abitudini assodate nella vecchia sala, i codici usati, la gestualità e gli sguardi associati a significati precisi e diffusi, sono state in gran parte abbandonate. Tra i controllori assume un peso più consistente la tecnologia che in più occasioni diventa il solo canale comunicativo possibile. La rigida automazione obbliga il controllore ad una interazione costante con la macchina, lo vincola a compiere tutti i passaggi richiesti e previsti per avere una corretta gestione del traffico aereo. È come se al soggetto fosse lasciata una libertà di iniziativa minore rispetto al vecchio sistema, e gli venisse richiesto un rispetto maggiore delle procedure previste. L’imposizione delle regole procedurali ha portato ad una drastica diminuzione delle comunicazioni tra i soggetti. 5.5 Liveware/Environment Il controllore nella nuova sala operativa si è dovuto abituare ad un ambiente del tutto diverso rispetto a prima. La portata del cambiamento sarebbe apparsa evidente agli occhi di un qualunque osservatore. Proviamo ad affrontare questa parte facendo riferimento alle linee usate per analizzare la vecchia sala e consapevoli dei limiti posti da questa componente del sistema. - Dimensione politico/economica. Se l’ambiente di Milano ACC ha in sé delle carenze croniche di personale e degli attriti sindacali e organizzativi, non è difficile comprendere che questo cambiamento ha accentuato alcuni malcontenti generali. Dalle risposte degli operatori è sembrato di capire che questi avrebbero voluto essere maggiormente coinvolti e partecipi della progettazione del sistema, così come avrebbero desiderato che più richieste, di quelle fatte presente a cambiamento avvenuto, fossero accolte dalla direzione. Riteniamo però che sia preferibile non addentarsi troppo in queste problematiche poiché, in quanto esterni al sistema, non sarebbe possibile indagarle in modo esaustivo. 128 Capitolo 5 - Disposizione dell’ambiente. La nuova sala ACC di Milano. Foto: Marco Asprea Una delle innovazioni di maggiore portata previste era l’illuminazione totale dell’ambiente, poiché i nuovi schermi radar sono comuni computer ben visibili alla luce del sole. Questo aspetto sarebbe stato di grande importanza perché avrebbe annullato quel senso di isolamento spazio-temporale presente nella vecchia sala operativa. Purtroppo però, una evidentemente inadeguata progettazione ha fatto sì che la disposizione delle postazioni non permetta un’illuminazione normale perché i raggi del sole riflettono direttamente sugli schermi: le postazioni, infatti, sono da entrambi i lati parallele alle finestre e quindi sia da una parte che dall’altra gli schermi vengono colpiti dalla luce del sole. In sostanza, la sala è rimasta al buio, anche se in misura minore di prima. La nuova sala operativa occupa uno spazio molto più ampio rispetto a quella vecchia. In questo spazio c’è una maggiore distanza sia tra le consolle operative, sia le singole postazioni di una stessa consolle. Ogni settore è ben distinto da quelli ad esso adiacenti, ha più spazio a 129 Capitolo 5 disposizione, il suo campo d’azione è maggiormente circoscritto e più facilmente individuabile. Se nella vecchia sala gli schermi radar delle postazioni erano attaccati l’uno all’altro, ora ogni team operativo ha un suo spazio e quindi simbolicamente è come se avesse un ruolo più definito, più delimitato. Come precedentemente affermato, questa maggiore distanza operativa, allontana fisicamente i soggetti tra loro obbligandoli o a maggiori spostamenti per comunicare, oppure a interagire in modo più mediato per poter comunicare efficacemente. 5.6 Riepilogo L’apertura della nuova sala operativa di Milano ACC ha completato un processo innovativo tecnologico: ora i quattro ACC italiani hanno un unico mezzo di comunicazione e uno stesso linguaggio di scambio. Quello di Milano è stato un processo lungo, di adozione, studio, sperimentazione, adattamento e cambiamento del sistema all’ambiente. La grandezza del mutamento e le peculiarità del traffico controllato da questo ente hanno influito sull’adozione del nuovo sistema, creando qualche problema. I tecnici che per due anni hanno lavorato per adattare il sistema alle esigenze milanesi sono riusciti ad apportare notevoli e importanti modifiche, ma molto è ancora da fare. Per ciò che non sarà possibile realizzare, sarà richiesto ai controllori di adeguarsi e di essere flessibili. Nella nuova sala è cambiato tutto a livello tecnologico, per la prima volta dopo circa dieci anni, e tale innovazione ha portato con sé nuove procedure operative, nuovi modi di interagire, ha imposto diversi criteri comunicativi e di scambio di informazioni. Una strumentazione sconosciuta richiede che i soggetti impieghino del tempo per comprenderla e per imparare quali sono i suoi punti di riferimento. I controllori hanno più volte ammesso di avere una natura conservatrice, di essere restii al cambiamento: tutto deve essere finalizzato a gestire il traffico, il resto deve diventare un insieme di azioni naturali e spontanee, un insieme di punti di riferimento immediati e tali da non richiedere sforzo al soggetto. È certo che un atteggiamento di attrito verso il cambiamento non 130 Capitolo 5 crea le condizioni favorevoli alla sua introduzione, anzi aumenta il livello di tensione naturale nelle rivoluzioni di questa portata. Si ritiene che tutta la progettazione avrebbe dovuto dare un peso maggiore ai fattori umani. Per conseguire un risultato ottimale sarebbe necessario comprendere i bisogni, le carenze, i limiti umani e su queste basi decidere come introdurre l’innovazione. Ciò a maggior ragione se si tiene conto dell’ambito di riferimento: il Controllo del Traffico Aereo è una professione molto delicata e impegnativa a livello soggettivo, e non si dovrebbe lasciare al singolo anche il compito di impegnare altre energie e risorse per apprendere una nuova tecnologia. D’altra parte, è necessario tenere in considerazione i limiti organizzativi; spesso è complicato cercare di coinvolgere tutti, ascoltarne le esigenze e proporle ai vertici decisionali; perché ogni soggetto esporrà quei bisogni che gli sembrano i migliori, ma che, non si sa come, non coincidono mai con quelli degli altri. 131 Capitolo 6 6. La risposta dei soggetti coinvolti nel cambiamento In questo capitolo ci proponiamo di comprendere e approfondire le diverse reazioni manifestate dai controllori di Milano ACC in risposta al processo di innovazione. I soggetti saranno considerati sia in quanto singoli, sia come teams operativi. La nostra attenzione, quindi, si concentra sul nucleo del modello SHELL, la componente Liveware. Per meglio inquadrare le diverse risposte osservate, si è scelto di suddividere l’analisi sulla base delle tre fondamentali fasi di passaggio: • Da ottobre 2002 alla fine di marzo 2003: è il periodo dell’osservazione in vecchia sala controllo, in cui si è cercato di cogliere le dinamiche di interazione tra i soggetti, le routine quotidiane, e soprattutto le attese e le sensazioni riguardanti l’innovazione in arrivo. • Aprile 2003: è il mese di passaggio continuo tra sala vecchia e nuova. Il nostro obiettivo qui è stato di concentrare l’attenzione proprio sullo spostamento, sulle reazioni dei controllori di fronte ad una strumentazione ancora poco conosciuta e sull’adattamento ad un ambiente più grande e più luminoso. • Da maggio a luglio del 2003: il passaggio è definitivo. Da questa data la vecchia sala controllo non è più operativa (tranne un supporto di tecnico di fondo, per un breve periodo) e il cambiamento è una realtà. Nella fase di progettazione di un nuovo sistema operativo, è di fondamentale importanza da una parte porre in primo piano la componente umana; dall’altra permettere che i soggetti interessati dall’innovazione partecipino attivamente alla introduzione della nuova tecnologia, così che se ne approprino in modo graduale e non traumatico. 132 Capitolo 6 6.1 Ottobre 2002 / marzo 2003: aspettando l’innovazione I colloqui intrattenuti con i controllori nei mesi tra ottobre 2002 e marzo 2003 sono stati tesi a comprendere che tipo di rapporto i soggetti avessero con l’ambiente di lavoro, e che idea si fossero fatti del cambiamento in previsione. L’idea generale, poi confermata nel tempo, è che tutti, anche i controllori più giovani, hanno molta confidenza con il sistema. Nella vecchia sala i tre operatori di ciascun team operativo (CA, CP, CR) dimostrano una grande dimestichezza nel gestire e nell’applicare le procedure, svolgono le specifiche mansioni con naturalezza. Tutti possiedono uno schema mentale preciso modellato sulle base delle caratteristiche tecnologiche. Questi aspetti emergono soprattutto nel momento in cui i controllori vengono interpellati sulle aspettative per la nuova sala. A questo proposito la maggior parte dei soggetti intervistati, tranne qualche rara eccezione, si dimostra scettica, poco convinta dei vantaggi offerti dall’innovazione, intimorita dal cambiamento al quale non si sente preparata. Effettivamente prima del passaggio parziale (avvenuto nel mese di aprile), solo alcuni controllori hanno potuto operare nella nuova sala operativa, e solo nei turni notturni, quando il traffico aereo tocca i suoi livelli più bassi. Il timore, la preoccupazione e il senso d’incertezza sono alti. Come precedentemente esposto, non è stata prevista una fase strettamente dedicata all’addestramento, ragion per cui i soggetti hanno un’idea approssimata di ciò che li aspetta. In questo scenario gioca un ruolo molto forte la “natura” stessa dei controllori, i quali sanno e affermano in prima persona di essere conservatori: poiché il loro lavoro richiede che tutta la concentrazione e l’attenzione di cui dispongono sia diretta sul controllo del traffico, vogliono che tutto il resto sia quanto più naturale possibile. Il sistema operativo con cui interagiscono plasma la loro visione del mondo: la sala operativa e il sistema tecnologico diventano elementi di un habitat completo, in cui il controllore agisce e pensa attivando comportamenti per la maggior parte skill o rule based (Reason 1990; cfr. cap. 1). Solo per fronteggiare pericoli esterni o eventi critici inaspettati è necessario mettere 133 Capitolo 6 in atto strategie per una nuova pianificazione e una prestazione diversa dalla norma. Nella vecchia sala la nostra osservazione ci ha permesso di rilevare come il singolo operatore si muove e interagisce con la tecnologia a disposizione in modo naturale, spontaneo, meccanico. In sala controllo gioca un ruolo fondamentale l’abitudine: i controllori sono “assuefatti” dalle proprie mansioni, conoscono l’ambiente che li circonda in ogni particolare, hanno punti di riferimento condivisi e consolidati. La forte e assodata conoscenza del sistema, e il senso di sicurezza che ne deriva, fanno capire come sia l’idea di dover modificare tutto l’apparato tecnologico, sia il doversi trasferire in un ambiente di lavoro nuovo, sono aspetti capaci di suscitare una certa preoccupazione. Molti controllori hanno dimostrato una certa inquietudine per il cambiamento, da una parte perché lo ritengono di portata troppo grande, e dall’altra perché considerano la fase di addestramento un po’ limitata. Il timore generale è che l’adattamento possa rivelarsi più lento del previsto sottraendo attenzione e tempo alle attività. Una delle opinioni più comuni riguarda la mancanza di un adeguato training all’innovazione. La consapevolezza di passare in una sala capace di offrire vantaggi oggettivi (maggiore illuminazione, tecnologia più avanzata) non dà sufficiente sollievo; permane un senso di resistenza generale motivato soprattutto dalle troppe fonti di distrazioni presenti nel nuovo supporto tecnologico, una su tutte la diversità dei colori con cui le informazioni appaiono sullo schermo al posto del monocolore (verde) dell’attuale schermo radar. Ciò su cui i controllori concordano, e da noi condiviso, è l’idea secondo cui la fase di cambiamento dovrebbe essere graduale, preceduta da un adeguato addestramento, affiancata da una consistente riduzione del traffico per ridurre il carico di lavoro, ammorbidire il passaggio e facilitare l’adattamento, per chiudere con la transizione definitiva solo nel momento in cui ci si è abituati al nuovo. Tra tutte queste necessità è stata prevista la riduzione del traffico, ma, purtroppo, il periodo di inizio attività nella sala nuova è coinciso con la Pasqua e le prime vacanze estive: l’aumento del volume di traffico è inevitabile. A questo proposito è necessario tener 134 Capitolo 6 presente che in una struttura organizzativa complessa come Enav, e in un mondo così articolato quale il traffico aereo, risulta davvero difficile poter soddisfare tutte le esigenze e rispondere a tutte le necessità del caso. Troppi sono i soggetti coinvolti, e troppe le priorità che si impongono. L’ostilità dimostrata da una parte dei controllori nei confronti del previsto cambiamento è spiegabile come la reazione che la maggioranza delle persone manifestano nel momento in cui ci si vede costretti ad adeguarsi e ad imparare qualcosa di nuovo. Ogni fase di passaggio, di transizione, comporta uno sforzo individuale non indifferente: il singolo è chiamato a rimettersi in gioco, a prendere coscienza di quali sono le abitudini su cui ha costruito la sua professione e cercare, nel minor tempo possibile, di metterle un po’ da parte per dare spazio a nuove conoscenze. In sintesi deve smuovere alle fondamenta il suo contesto formativo (Ciborra, Lanzara 1999; cfr. cap. 1) per arricchirlo con le novità apportate dal cambiamento. È vero che questi passaggi possono avvenire in condizioni diverse - come avviene per una scelta professionale o un avanzamento di carriera - ed è altrettanto vero che ci sono persone per cui ogni tipo di cambiamento è stimolante e lo affrontano con entusiasmo. Il problema che è nostra intenzione sottolineare è che lo sforzo si fa ancor più duro quando la scelta è negata: il soggetto chiamato a vivere un cambiamento senza averlo chiesto, o senza aver partecipato in profondità alle sue fasi preparatorie, può trovarsi facilmente in difficoltà. Bisogna poi tenere in considerazione la perdita di gran parte dei punti di riferimento fisici e ambientali di supporto alle attività quotidiane. È da tener presente, però, che a Milano ACC c’è stato un ristretto gruppo di controllori che si è dimostrato poco angosciato e ancor meno preoccupato dal cambiamento, meno teso all’idea di dover reimpostare tutti i propri parametri di riferimento. Secondo questi soggetti, le eventuali difficoltà relative il nuovo sistema operativo diminuiscono nel momento in cui si raggiunge la consapevolezza che la base del controllo del traffico non cambia. Anche se si usa una diversa tecnologia, l’obiettivo del controllore rimane quello di separare gli aerei in modo che siano distanti tra loro almeno di un raggio di cinque miglia, e che rispettino il livello d’altitudine 135 Capitolo 6 imposto nel settore che stanno attraversando. Quest’atteggiamento più positivo si accompagna ad una maggiore curiosità verso il nuovo, un interesse a rinnovare il proprio ambiente lavorativo, una più positiva tendenza a cambiare. Non a caso in questo stesso gruppo, è meno sentita la necessità di addestrarsi attraverso un simulatore: la tesi dominante è che si impara veramente solo se si gestisce il traffico reale, quando si è spinti da quella adrenalina, quell’attenzione che costituiscono i requisiti fondamentali per appropriarsi fino in fondo della nuova tecnologia. Dal nostro punto di vista, se è pur vero che questo atteggiamento facilita il processo di cambiamento rendendolo meno traumatico, è altrettanto vero che si rischia di fare affidamento solo sulle proprie capacità, sulla flessibilità e sul senso di adattamento personali, mettendo però a rischio la qualità e la sicurezza delle prestazioni. Una corretta progettazione e introduzione di un sistema operativo dovrebbe invece essere modellata sulla base delle caratteristiche dell’ambiente e dei soggetti coinvolti. In questo modo i controllori, anche solo una parte di essi, non avrebbero vissuto mesi di apprensione e preoccupazione motivate dalla non conoscenza di ciò che li aspettava, e sarebbero stati di misura decisamente minore i conflitti sindacali che, anche in questa vicenda, hanno contribuito ad aumentare i livelli di agitazione e di tensione interni all’ambiente di lavoro. 6.2 Aprile 2003: la fase di adattamento Il mese di aprile ha rappresentato probabilmente la fase più difficile per i controllori di Milano ACC: questo è lo stadio intermedio del cambiamento. Dalla fine di maggio agli inizi di giugno, ogni giorno alle 16:30 circa i controllori si sono spostati dalla sala vecchia a quella nuova, dove rimanevano fino alle 7:00 di mattina, per tornare poi nella vecchia sala. Lo scopo di questa alternanza è stato quello di abituare gli operatori al nuovo sistema in modo graduale, ritenendo che il ritorno nel vecchio ambiente avrebbe costituito una sorta di sollievo, una necessaria distensione dopo l’intenso momento di apprendimento. L’osservazione delle reazioni dei controllori e la partecipazione alle loro attività, ci fa credere, invece, che 136 Capitolo 6 questa fase sia stata più dannosa che vantaggiosa, soprattutto a livello umano. Entrano qui in gioco le caratteristiche specificatamente soggettive degli operatori, quali tensione, ansia, preoccupazione, e in particolare senso di precarietà accentuato dalla consapevolezza del conforto nel ritorno all’ambiente familiare. L’esperienza accumulata nei mesi precedenti ci ha permesso di cogliere come, all’avvicinarsi del momento di transazione, diminuisce la tranquillità dei soggetti e nell’atmosfera diventa sempre più palpabile la tensione e agitazione di fondo. Quando i controllori prendono posto nella nuova sala, si vive una fase di circa dieci minuti in cui la struttura operativa deve essere resa funzionante, in particolare nelle frequenze radio. Mentre nella nuova sala gli operatori prendono confidenza col sistema, nella vecchia rimangono degli operatori a gestire il traffico, assicurando così il controllo costante. Solo nel momento in cui tutto è stato adeguatamente attivato, la gestione del traffico passa esclusivamente al nuovo sistema. Se si tiene conto della conoscenza limitata della strumentazione da parte dei soggetti, si capisce come il livello di tensione in questa fase tende facilmente ad alzarsi. Il momento del passaggio presenta alcune criticità da segnalare: il cambio repentino di schema mentale, l’utilizzo di strumenti diversi, la relazione con un’interfaccia fortemente innovativa, la decodifica dei colori sullo schermo, una diversa interazione con l’ambiente e i colleghi. Il passaggio un po’ brusco, porta con sé un insieme di distrazioni a cui è difficile sottrarsi e a cui i soggetti rispondono in maniera molto diversa l’uno dall’altro. Doversi abituare all’uso di un diverso apparato tecnologico porta a dover affrontare e comprendere nuovi punti di riferimento, nuove direzioni dello sguardo, che possono sottrarre attenzione alle mansioni da compiere. Serve tempo per capire cosa e quanto il sistema può offrire e che tipo di risposte è in grado di dare, a sua volta, il controllore. È sempre doveroso ricordare che contemporaneamente gli operatori devono continuare a gestire il traffico reale assicurando la sicurezza nei cieli. Aspetto di particolare rilevanza è la relazione tra controllore radarista e procedurale: non sono stati pochi i momenti in cui la scarsa conoscenza del 137 Capitolo 6 sistema e delle nuove prassi ha intaccato la qualità della loro collaborazione creando anche attriti e nervosismo, e amplificando il senso di smarrimento. Tutto ciò si accentua se si pensa ai controllori “anziani” e con scarsa dimestichezza nel mondo dell’informatica. La maggiore lentezza nell’apprendimento, la minore dinamicità nelle azioni, sono aspetti che hanno pesato molto sulle prestazioni dei controllori con più esperienza. In generale, comunque, va tenuto presente che i controllori hanno “per natura” una spiccata dinamicità e una grande capacità di risolvere situazioni critiche in pochissimo tempo; queste peculiarità sono risultate particolarmente utili in un cambiamento così radicale. Bisogna poi tenere presente che nonostante le difficoltà e la massa di nuove informazioni da comprendere e gestire, fondamentalmente non si sono verificati problemi di particolare rilevanza con i voli interessati: i controllori hanno saputo distribuire le competenze di cui sono in possesso sia al traffico in gestione, sia all’apprendimento del sistema tecnologico. Anche in questo caso c’è stato un gruppo di controllori che ha fatto meno fatica; in particolare i soggetti più giovani, abituati ad affrontare cambiamenti di natura e portata diversa, con più dimestichezza e in possesso di maggiori competenze informatiche. I controllori hanno ammesso in prima persona che questa è stata la fase più difficile dell’innovazione: il cambiamento continuo nella tecnologia di riferimento non ha permesso di adeguarsi davvero al nuovo sistema, e di raggiungere il giusto livello di confidenza. Il limite del continuo spostamento è che proprio nel momento in cui si inizia a prendere confidenza col nuovo giunge l’ora di ritornare nella vecchia sala, dove si recuperano i precedenti schemi mentali per poi sostituirli di nuovo. Molti hanno affermato che avrebbero preferito un passaggio definitivo una volta per tutte: è vero che ciò avrebbe comportato una fase d’adattamento difficile, ma è altrettanto vero che non avrebbe riproposto quotidianamente le stesse difficoltà. Va poi tenuto in considerazione che i turni di lavoro non hanno permesso al singolo operatore di vivere l’esperienza con costanza; alcuni controllori hanno vissuto lo spostamento solo in poche occasioni, ogni volta impreparati ad affrontarlo con tranquillità. 138 Capitolo 6 Le difficoltà e i limiti della situazione hanno però permesso di cogliere i primi vantaggi e gli aspetti positivi dell’innovazione. La relazione uomo – macchina (L/H) è da subito più ricca, densa di informazioni e flessibile verso un’interazione maggiormente dinamica tra le due componenti coinvolte. Le difficoltà qui sottolineate, non hanno impedito ai controllori di cogliere gli aspetti positivi: il nuovo sistema permette allo schermo uno zoom estremamente preciso sul settore di specifico interesse, la ricchezza dei colori inizia ad essere sentita come un nuovo strumento di appoggio, un supporto alle possibili sviste del soggetto, anche se la questione dei colori sullo schermo radar continua ad essere uno dei temi di discussione tra i controllori: molti ritengono la scala cromatica inadeguata, altri fanno proposte per sfumature più adatte, alcuni fanno notare che la colorazione e la scarsa illuminazione della sala, portano ad un maggior affaticamento degli occhi. In questa fase dell’innovazione, però, una modifica è concretamente impossibile a causa delle rigidità del sistema. La ricchezza della nuova strumentazione comincia ad imporsi: le spiccate capacità dei controllori e la potenzialità tecnologica del sistema iniziano a dare i primi risultati positivi. Nonostante i primi progressi, l’obiettivo di aumentare il volume di traffico da gestire sembra ancora una possibilità molto lontana. 6.3 Maggio 2003: l’innovazione diventa prassi Con l’inizio del mese di maggio, il passaggio alla nuova sala operativa è definitivo. I controllori iniziano ad abituarsi, l’atmosfera è più tranquilla, si è dissolta quella tensione che ha caratterizzato l’attesa e, a maggior ragione, la fase di passaggio continuo tra i due sistemi. I controllori cominciano a prendere consapevolezza dei vantaggi tecnologici e dei nuovi riferimenti tecnici. Col passare del tempo aumenta anche il livello di apprendimento e di dimestichezza con le nuove procedure operative, con le norme e le regole alla base della gestione del sistema (Software), e i soggetti prendono una confidenza sempre maggiore con la nuova disposizione dell’ambiente 139 Capitolo 6 (Environment). A poco a poco la nuova sala controllo non sembra più un luogo asettico e freddo come nei primi giorni. Nelle conversazioni intrattenute con i controllori, finalmente qualcuno si spinge ad affermare che sembra quasi di non avere mai lavorato nella sala vecchia. Ci si sta abituando ai nuovi colori dello schermo radar, la cui utilità diventa sempre più chiara agli occhi degli operatori, e si prende maggiore dimestichezza con le manualità. Ora, anche ai controllori sembra ipotizzabile la possibilità futura di aumentare il traffico. I soggetti iniziano a riflettere con una consapevolezza diversa sul cambiamento che è stato introdotto e che è ancora in atto; non assumono più un atteggiamento fortemente conservatore, e si dimostrano maggiormente disponibili al rinnovamento, curiosi verso le potenzialità e i futuri risvolti della loro professione. Prendendo confidenza con la novità, la paura diminuisce. L’opinione comune è che la fase transitoria di aprile, con il continuo spostamento tra le sale, non sia stata positiva perché troppo carica di tensione e aspettative e perché sostitutiva di un addestramento assente. Solo ora che si affronta quotidianamente il nuovo sistema tecnologico si riesce davvero ad adattarsi, a comprenderlo, e soprattutto ad apprezzarne i vantaggi. Da sottolineare sono le reazioni positive anche da parte dei controllori procedurali, ossia coloro che hanno dovuto affrontare lo sforzo maggiore di adattamento, poiché con la sala nuova sono cambiati i loro strumenti di lavoro (cfr. cap. 5). Proprio i CP affermano che il sistema va bene e dà risposte positive anche quando si affrontano situazioni di alto volume di traffico. Ora essi godono di maggiore autonomia operativa e decisionale, e possono interagire direttamente con il sistema attraverso lo schermo radar. Nella vecchia sala operativa, quando c’era tanto traffico, le stampanti delle strips cartacee continuavano ad emettere nuove strisce per i continui aggiornamenti dei piani di volo. Raccogliere i dati, comunicare gli aggiornamenti ai soggetti competenti, e ricordarsi di annotarli a parte, erano tutte mansioni che richiedevano tempo e impegno all’operatore, tanto che controllore assistente (CA) e procedurale (CP) erano impegnati quasi esclusivamente nella gestione delle strips. Ora la nuova tecnologia permette 140 Capitolo 6 di intervenire direttamente sul sistema, semplificando e velocizzando le procedure. Potere gestire tutte le informazioni allo stesso modo snellisce le pratiche routinarie. Se è vero che il sistema si rivela utile e flessibile anche in condizioni di alto traffico, e che la maggior parte dei timori è stata annullata con l’abitudine a lavorare nel nuovo ambiente, non bisogna però pensare che le vecchie paure fossero infondate. Le rigidità tecniche rappresentano ancora un limite: se si sbaglia un passaggio, o lo si dimentica per qualunque motivo, si rischia di condizionare tutto il processo di controllo automatico. Le numerose manualità sono ancora un fattore di preoccupazione per i soggetti, la dimestichezza con tutte le procedure non è a tutt’oggi assodata. La tecnologia della nuova sala è molto ricca e fornisce una notevole quantità di informazioni di supporto, ma ai controllori è comunque, e a maggior ragione, richiesto di rispettare tutti i passaggi previsti, per evitare che il meccanismo si inceppi. In sintesi è necessario che i soggetti mantengano un livello di attenzione quasi maggiore rispetto a prima, e non devono compiere l’errore di fidarsi troppo della macchina, delle sue potenzialità. Anche a fronte di un’innovazione di questa portata, le capacità knowledge based dell’uomo rimangono una caratteristica irrinunciabile. È a questo punto che entra in gioco il fattore esperienza: in presenza di tanto traffico ci sarebbe bisogno di una dimestichezza e di una pratica consolidata, che in questa fase sono limitate. A tutto ciò deve sopperire, ancora una volta, la grande abilità dei controllori di essere flessibili, di adattarsi e di compensare le carenze che si presentano di volta in volta. Nonostante i passi avanti e i vantaggi, che proprio i controllori sono pronti a riconoscere, sono ancora molte le fasi da affrontare per entrare realmente in confidenza col sistema. Il rapporto con regole e procedure è rimasto indicativamente lo stesso; le deviazioni dalla norma sono ancor più rare di prima, proprio per la rigidità della tecnologia. Il cambiamento tecnico non può cambiare i criteri per una corretta gestione del traffico: gli aerei devono essere distanti tra loro di circa cinque miglia, e devono rispettare l’altitudine stabilita nel settore in cui transitano. Solo in condizioni di emergenza si attuano quelle strategie operative che possono anche portare 141 Capitolo 6 a non rispettare totalmente le regole, ma che sono le uniche a risolvere nel minor tempo possibile le criticità. Il rischio, a nostro parere, è che attivare strategie knowledge based in un sistema ancora poco conosciuto e che presenta una spiccata rigidità nelle procedure, può portare a conseguenze inaspettate. Come ha sottolineato Reason (cfr. cap. 1), proprio le stesse regole e direttive, che l’organizzazione man mano introduce per aumentare il livello di sicurezza del sistema, possono limitare in modo eccessivo le possibilità d’azione dei soggetti. In un simile contesto, per affrontare una situazione critica la sola soluzione diventa la violazione delle stesse regole. A qualche perplessità iniziale, inevitabile quando si introduce una qualsiasi novità e accentuata nelle differenze generazionali tra i controllori, è subentrata nei soggetti coinvolti una generale soddisfazione per l’uso delle nuove tecnologie, confortati dai risultati in termini di sicurezza, fluidità di gestione del traffico aereo. L’accesso alle informazioni è divenuto più ampio, razionale e veloce, le presentazioni radar omogenee avvantaggiano i controllori che operano nello stesso settore, con una crescita, anche se per ora ancora limitata, del teamwork e del tempo che il controllore può dedicare alle situazioni di traffico ed alla pianificazione. Tali vantaggi compensano la drastica caduta delle comunicazioni verbali, fattore che ha creato non poco squilibrio nelle abitudini dei controllori. Lo scambio diretto, faccia a faccia, di informazioni tra i controllori era una pratica fortemente assodata nelle attività lavorative, e in particolare rappresentava una forma di ridondanza nelle modalità di controllo delle prestazioni. Compiti ed attività prima effettuate in modo verbale o manuale sono ora drasticamente sostituite da sofisticate forme di automazione, finalizzate a rendere più rapido e sicuro lo svolgimento delle operazioni. Le vecchie modalità operative appaiono sempre più inadeguate ai livelli di crescita del traffico e alle sue caratteristiche. Questo processo di ammodernamento del sistema porta ad uno sviluppo del futuro modello di comunicazione, un modello che deve cambiare per rispondere al problema della congestione delle frequenze e al suo impatto sulla sicurezza delle prestazioni: la presenza di un numero eccessivo di aeromobili in frequenza costringe il controllore a parlare velocemente, con il rischio che venga a 142 Capitolo 6 mancare il tempo per il rispetto delle procedure standard. Il sostegno tecnologico si fa sempre più indispensabile. 6.4 Riepilogo I controllori milanesi hanno affrontato la rivoluzione tecnologica in modo coraggioso, con estrema competenza e consapevolezza delle proprie responsabilità. La forza di carattere e il coraggio hanno loro permesso di affrontare i timori, le aspettative e le preoccupazioni tipiche di un cambiamento di così grande portata, e gestire un livello aggiuntivo di stress generato da una duplice interazione: da una parte con la nuova strumentazione, dall’altra con i colleghi. Esperienza, fermezza e coscienza delle proprie responsabilità hanno dominato le paure e hanno guidato i soggetti alla scoperta dell’innovazione. Molto è stato fatto dai progettisti, ancor di più dagli stessi controllori. Le difficoltà, i limiti e i rischi sono stati presenti agli occhi di tutti fin da principio, a partire dai vertici dell’organizzazione. Oggi si può affermare che il risultato è buono, i vantaggi sono innegabili e l’atteggiamento generale verso il nuovo sistema è positivo. Ciononostante, è doveroso da parte nostra accennare a quelli che riteniamo siano stati i limiti e gli aspetti più carenti della progettazione e della gestione del cambiamento, partendo proprio dalla nostra esperienza a diretto contatto con i controllori. L’osservazione diretta ci ha permesso di cogliere dei grossi cambiamenti nelle risposte dei soggetti. Dalla preoccupazione iniziale si è passati all’ansia della transizione, per finire alla soddisfazione e all’adattamento dell’assestamento. Data la grandiosità del progetto e del sistema tecnologico introdotto, il processo di innovazione non avrebbe potuto avere un risultato diverso, modificando le basi del teamwork e della collaborazione. Il nuovo assetto strumentale ha rinnovato le pratiche sociali consolidate, gli schemi di interazione e le modalità comunicative tra i soggetti. Le maggiori distanze, gli spazi più grandi e soprattutto il vincolo di una più sistematica mediazione tecnologica nella trasmissione delle informazioni sono state delle grosse novità per tutti. In quest’ambito nessun 143 Capitolo 6 addestramento avrebbe potuto insegnare ai controllori come agire; i soggetti si sono attivati in prima persona per capire come poter gestire il gioco di squadra nel nuovo ambiente, sperimentando strategie prima sconosciute. Il limite che sottolineiamo in questa sede è riferito ad alcuni aspetti della progettazione e dell’addestramento precedenti all’entrata stabile nel nuovo ambiente. I controllori hanno più volte sottolineato l’esigenza di un simulatore per prepararsi alla strumentazione, o almeno per farsene un’idea; a ciò vanno aggiunti le scarse esperienze notturne nella nuova sala, i tempi di apertura piuttosto incerti, il limitato coinvolgimento dei controllori nella progettazione… Molti sono gli aspetti che si possono portare all’attenzione, e grande è la consapevolezza dei molteplici problemi organizzativi (tra cui la pesante carenza di personale) che devono essere affrontati e superati in vista di un evento di questa portata. D’altra parte, però, quando si fornisce un servizio di Controllo del Traffico Aereo esistono alcune priorità fondamentali tra cui la sicurezza dei passeggeri dei voli; la sicurezza è assicurata se i controllori possono lavorare nelle giuste condizioni ambientali. Stabilire quali siano queste condizioni non è facile, anche perché in ATC i fattori di stress e di sovraccarico sia mentale che lavorativo, sono cronici e difficilmente eliminabili. I controllori del traffico aereo sono i veri protagonisti di questo mondo e le esigenze organizzative e amministrative devono ruotare intorno ad essi. Il servizio è efficiente se le interazioni tra le componenti del sistema organizzativo sono affidabili. Il caso dell’innovazione vissuta da Milano ACC, è interessante proprio perché permette di osservare cosa succede al sistema quando tutte le interazioni sono costrette a cambiare e ricostituirsi in breve tempo. Anche se la tecnologia diventa sempre più sofisticata e affidabile, il ruolo del controllore non perde la sua importanza; la sua capacità di ideare e attivare comportamenti knowledge based rimane una priorità irrinunciabile. È per la delicatezza del contesto e la precarietà delle condizioni ambientali, che nel gestire un cambiamento così rilevante bisogna attribuire una grande attenzione alla sfera degli human factors. Pur nella consapevolezza che i controllori sono dotati di una forte 144 capacità di adattamento, di Capitolo 6 improvvisazione e di coraggio, non si può pensare di forzare troppo questi aspetti. Le risorse umane sono limitate, e i livelli di stress e di lavoro sopportabili non sono gli stessi per tutti. Per facilitare il momento del passaggio da vecchio a nuovo, riteniamo che a Milano ACC si sarebbe dovuta dedicare una attenzione e una cura maggiore alle esigenze e alle richieste dei controllori, in particolare all’organizzazione di una adeguata integrazione col cambiamento e una attenta preparazione, anche attraverso un simulatore. 145 Capitolo 7 7. Conclusioni: implicazioni per la teoria e la pratica Questo lavoro di ricerca ha voluto evidenziare come gli uomini sono sempre i principali protagonisti di una situazione. Il campo d’indagine è stato ristretto alle organizzazioni che vivono in condizioni di rischio costante, e in cui si sono verificati disastri in seguito ai quali l’errore umano è sempre additato come la causa prima. Abbiamo voluto fornire un contributo per screditare quest’atteggiamento, sostenendo che gli errori sono sempre socialmente organizzati, determinati dal concatenarsi di fattori diversi la cui interazione è decisiva per la vita dell’organizzazione. A sostegno di quest’argomentazione si è scelto il tema dell’innovazione tecnologica, delimitando il campo d’indagine alla fase di introduzione di tale innovazione nel sistema. L’obiettivo è stato capire come dovrebbe essere gestito un cambiamento, concentrandoci sui fattori che determinano l’affidabilità di un’organizzazione, ma che, se non curati adeguatamente, possono diventare veramente pericolosi. Su queste premesse di base, abbiamo analizzato come un sistema complesso si prepara ad accogliere un’innovazione. Come cambia il conteso formativo? Come reagiscono i soggetti coinvolti? Che reazioni hanno le difese del sistema? Non esistono risposte a queste domande che possano andar bene per qualunque organizzazione. Esistono, però, dei principi, delle strategie di gestione, che possono essere adatte a proteggere ogni sistema dai rischi di un’innovazione inadeguata alle peculiarità della struttura. Chi vive un processo di innovazione deve essere adeguatamente preparato ad affrontarlo; nulla può venir lasciato al caso o addossato alle responsabilità dei singoli. Deve essere predisposta una squadra di progettisti consapevoli delle necessità dell’organizzazione e della delicatezza dei fattori umani coinvolti nel processo. L’innovazione è gestione del cambiamento. Usare SHELL per analizzare una trasformazione significa adottare un preciso punto di vista nell’osservare il funzionamento organizzativo: l’uomo è il centro del sistema, e ogni processo lavorativo è determinato dalle 146 Capitolo 7 relazioni tra il singolo e le componenti tecnologiche, normative e umane immerse in un particolare ambiente, a loro volta relazionate tra loro. “La sicurezza del sistema dipende dall’affidabilità delle relazioni di questi elementi rispetto al compito da realizzare” (Catino, 2002 p. 43). Sicurezza e affidabilità sono parole chiave nel mondo dell’ATC, ed è per questo che le connessioni tra le parti coinvolte devono essere sempre in equilibrio e ben bilanciate. Osservare il cambiamento permette di cogliere il manifestarsi di eventuali disequilibri nelle interazioni tra le componenti in seguito all’inserimento di una variabile esogena nel sistema. Attraverso SHELL si osserva la stessa organizzazione al momento t e al momento t1, dopo che la nuova tecnologia è stata introdotta: l’ACC di Milano è stato analizzato prima nella sala vecchia e poi nella nuova sala operativa. In questo modo, possono emergere le condizioni latenti pericolose per la sicurezza del sistema. Particolare attenzione è stata dedicata ai fattori umani interessati dal cambiamento tecnologico: da una parte valutando il ruolo dei progettisti e dei managers in relazione alla sfera degli human factors nelle interazioni LH, L-S, L-E; dall’altra considerando come il cambiamento può condizionare le relazioni tra i controllori (L-L). Approfondendo la figura del controllore del traffico aereo, si capisce perché nessuna innovazione può togliere all’uomo il suo posto in prima linea nel gestire il traffico nei cieli. Anche il più eccezionale sviluppo tecnologico non si sostituisce alle qualità specificatamente umane di improvvisare ed elaborare strategie impensabili, risolvendo, così, criticità di fronte a cui la macchina smette di funzionare. Le condizioni in cui gli attori lavorano sono di estrema importanza, tanto più se il carico di lavoro mentale, il livello di stress, la cooperazione e la collaborazione, sono determinanti per la riuscita del compito. Per quanto supportati da macchinari di eccezionale innovazione tecnologica, non si può chiedere all’uomo di agire oltre i suoi limiti naturali. Una tecnologia migliore, da sola, un’organizzazione migliore. 147 non è sufficiente per generare Capitolo 7 7.1 La progettazione L’utilizzo del modello SHELL ci fa capire perché un cambiamento tecnologico comporta una ridefinizione di tutta l’organizzazione: l’introduzione di una variabile esogena va sempre ad intaccare l’equilibrio del sistema interessato. Il cambiamento tecnologico è finalizzato a migliorare le prestazioni dell’organizzazione, ma, per raggiungere questo scopo, è necessario che la nuova tecnologia contribuisca a rendere più affidabili le interazioni tra tutte le parti della struttura. Come ci ricorda Barley (1986), la tecnologia è solo uno dei diversi elementi del contesto socio-tecnico che influenza i modelli d’azione. Per questo motivo, prima di innovare sarebbe utile osservare lo scenario organizzativo, comprenderne le dinamiche, coglierne le specificità, per poi stabilire i gradi d’introduzione dell’innovazione. Nel caso da noi osservato, si è rilevato che Milano ACC ha delle necessità e delle prerogative tali che lo distinguono dagli altri tre ACC italiani; le differenze dipendono da fattori come la superficie del territorio, il volume di traffico ed altri ancora, e non possono essere sottovalutati in fase di progettazione. L’elaborazione tecnica degli strumenti deve essere centrata sui processi d’interazione sociale e di comunicazione all’interno della comunità di pratiche, dedicando attenzione all’uso delle tecnologie nel contesto lavorativo reale (Zucchermaglio, 2000). A causa della maggiore astrattezza legata alle nuove tecnologie, le interazioni tra i singoli diventano più complesse, lo scambio comunicativo uomo-macchina è più veloce, i tempi e gli spazi si riducono. I processi di comunicazione e di negoziazione dei significati assumono un ruolo primario: bisogna progettare considerando le pratiche degli operatori legati tra loro da un sistema di esperienze sociali e materiali radicate nel contesto specifico. Diventa fondamentale chiedersi chi deve progettare. A Milano si è introdotto un sistema operativo progettato per Roma ACC e poi imposto agli altri tre centri. A questo scopo è stata istituita una squadra di esperti locali che, per due anni ha lavorato sul sistema per adeguarlo al contesto. Da una parte ciò è molto positivo, perché solo chi appartiene ad una comunità di 148 Capitolo 7 pratiche può avere appreso le caratteristiche dell’ambiente, riuscendo a cogliere i possibili aspetti meno funzionali e di disturbo di una tecnologia sconosciuta. Dall’altra, però, può non bastare. La natura complessa di un sistema automatizzato e i processi di partecipazione tecnica e sociale alla preparazione necessitano di una “comunità di progettazione” (Butera 1988, p. 230). Non basta una squadra di tecnici capaci di inventare una strumentazione rivoluzionaria, ma deve essere prevista una collaborazione diretta tra figure diverse e complementari, legate fra loro da un network culturale. Attraverso l’unione di competenze differenti ma con dei principi comuni, si possono cogliere le peculiarità delle interazioni tra ambiente, uomo, macchina e regole. A Milano sarebbe stata positiva la presenza di un esperto di human factors all’interno del team di progettisti. Questa figura esperta, ma estranea allo specifico ambiente dell’ATC, avrebbe potuto inserire nella fase di cambiamento dei momenti specifici dedicati alla relazione uomo-macchina, al perfezionamento dell’interfaccia, proponendo modalità specifiche con cui introdurre il nuovo sistema in modo più graduale. Ciò di cui si ha bisogno è la competenza nella creazione dei contesti, consapevoli che un sistema operativo nuovo andrà ad intaccare il contesto formativo e la cultura organizzativa. Quando si progetta una nuova tecnologia è necessaria fin da principio una collaborazione tra i tecnici e gli operatori dell’organizzazione interessata. Ciò può creare i presupposti per un rinnovamento non traumatico del contesto e che non richiede ai soggetti interessati uno sforzo aggiuntivo rispetto alle loro mansioni. “Introdurre tecnologia dentro un’impresa senza cambiare contemporaneamente anche i processi e l’organizzazione crea spreco e caos” (Butera, 2003 p. 61). Tener conto di questi principi permette di creare armonia tra le componenti, così che la novità, finalizzata a migliorare la prestazione organizzativa, non sia percepita come una parte estranea al contesto. Questo è uno degli aspetti più difficoltosi di una progettazione, e diventa ancor più importante in un’organizzazione ad alto rischio, dove situazioni critiche, imprevisti, emergenze sono all’ordine del giorno. 149 Capitolo 7 7.2 L’innovazione è apprendimento Il processo di innovazione non deve essere calato dall’alto e imposto dai vertici aziendali, ma deve emergere come un’evoluzione i cui protagonisti sono prima di tutto gli operatori. È per questa ragione che una buona gestione del cambiamento implica, tra le altre cose, preparare i lavoratori alla novità che sarà introdotta. Un corretto apprendimento prevede anche una fase di addestramento pratico, in cui i soggetti possono abituarsi a interagire con la nuova attrezzatura, comprenderne i meccanismi e, soprattutto, condividere il senso della novità. È una fase delicata in cui la relazione dominante è quella tra uomo e macchina, tra Liveware e Hardware. A questo proposito, Barley (1986) parla di ‘processo di strutturazione’: il cambiamento è un processo continuo e costante in cui i ruoli e i modelli di interazione subiscono delle modifiche. Non cambia solo il mezzo di produzione, ma mutano anche le forme di produzione, e quindi le relazioni tra i soggetti coinvolti. Per questo motivo, è necessario che i singoli siano adeguatamente preparati. Come sostiene Weick (1990) il momento di introduzione della nuova tecnologia, è quello più suscettibile alle influenze del sistema. Un aumento eccessivo nella intensità delle emozioni (incertezza, tensione) deteriora la qualità delle prestazioni e la risposta non è più adeguata alla situazione. Il controllore del traffico aereo deve essere sempre pronto ad affrontare criticità impreviste, gestendo le situazioni con la sua esperienza, la competenza e la conoscenza del sistema. La capacità di interpretare i segnali e di interagire con la strumentazione in modo istintivo è fondamentale per una reazione veloce e immediata. Di fronte ad un sistema tecnologico totalmente nuovo, gran parte delle sicurezze vengono a mancare, anche perché cambia il tipo di condivisione del significato. La nuova tecnologia può determinare una differente struttura organizzativa alterando i ruoli istituzionalizzati e i relativi modelli di interazione (Barley, 1986). Se l’operatore non è stato adeguatamente preparato a muoversi nel nuovo ambiente tecnologico, egli tende ad utilizzare i vecchi modelli di 150 Capitolo 7 comportamento, cercando attorno a sé i punti di riferimento del passato. Il senso di complessità e incertezza non è un attributo della macchina, bensì nasce dalla relazione troppo opaca che lega l’uomo al nuovo sistema. A Milano i controllori hanno conosciuto la nuova strumentazione nei turni notturni, con un traffico basso e non regolare, e al momento dell’entrata definitiva nella nuova sala, alcuni erano più pronti di altri. Alle prese col traffico reale la tensione è stata alta e i momenti di confusione non sono mancati. I soggetti non sono riusciti ad apprendere a sufficienza i nuovi modelli, per cui hanno dovuto adeguamento e adattamento. compiere uno sforzo aggiuntivo di Quanto meno è condiviso il significato che gli utilizzatori danno allo strumento, tanto più aumentano il senso di insicurezza e la fatica nell’apprendere i vantaggi tecnologici. Una gestione del cambiamento efficace deve prevedere un’adeguata fase di preparazione, così che la comunità di pratiche non provi uno smarrimento eccessivo davanti al nuovo sistema. I tempi di reazione, le predisposizioni dei soggetti, i modelli di comunicazione devono essere analizzati in precedenza per poi stabilire un piano adeguato alle esigenze del gruppo. 7.3 Lo spazio della comunicazione Nel Controllo del Traffico Aereo la comunicazione è, insieme al radar, lo strumento di lavoro più importante per la buona riuscita delle prestazioni (cfr. cap. 3.1). La nostra esperienza a Milano ACC ha permesso di cogliere con chiarezza questo aspetto: lo scambio di informazioni è funzionale alla gestione del traffico aereo, allo scambio di opinioni sul proprio operato, ai momenti, non meno importanti, in cui i soggetti comunicano in modo informale per scaricare la tensione accumulata. In una comunità di pratiche, la comunicazione è un collante fondamentale per fare gruppo e per condividere esperienze; la sua efficacia dipende da un impegno condiviso e da un modello mentale comune. Sulla base di questi presupposti riteniamo che una corretta gestione del cambiamento dovrebbe stimolare e incentivare degli spazi di comunicazione e di scambio di opinioni, in particolare tra progettisti e operatori. I soggetti 151 Capitolo 7 coinvolti potrebbero, così, inquadrare in modo meno ambiguo l’innovazione che li aspetta, e iniziare da subito a condividere aspettative e significati. Nella comunità il gruppo agisce in un contesto sociale fatto di codici, simboli, concetti condivisi, che danno senso alle prestazioni. Il significato è costruito sulla base delle esperienze reali e per questo viene continuamente riprodotto e rinnovato dai soggetti stessi. La novità portata dall’innovazione fa sì che gli attori si trovano in ambienti in cui da un lato possono muoversi con una libertà sconosciuta, ma dall’altro rischiano di perdersi perché non hanno sviluppato un’esperienza che li aiuti a comprendere che cosa fare con i nuovi strumenti tecnologici (Mantovani 2000, p. 161). È per evitare questo senso di smarrimento che è necessaria una valutazione condivisa di quale sia il modo appropriato di usare socialmente il nuovo strumento. La comunicazione risponde a questa esigenza poiché permette di ridurre il grado di ambiguità attraverso una costruzione attiva e costante del senso dell’innovazione da parte dei soggetti. Attraverso il linguaggio i membri di una comunità da una parte sedimentano ciò che è tacito, aumentando il senso di appartenenza (Gherardi, Nicolini 2001), dall’altra creano una negoziazione continua di nuovi significati sulla base di una filosofia operativa comune e consolidata. Come sottolinea Weick (1990, p. 161) l’inizio, l’approccio col nuovo, è il momento più delicato perché i soggetti capiscono subito cosa sanno della nuova tecnologia e cosa è ancora molto lontano dalla loro conoscenza. È per questa ragione che riteniamo sarebbe utile prevedere degli incontri tra operatori e progettisti lungo tutta la fase di cambiamento, in cui possano emergere le aspettative, le impressioni, i bisogni, i timori dei soggetti. In pratica un momento scambio regolare in cui i progettisti, o comunque i responsabili, aggiornano gli operatori sulle novità, sui cambiamenti introdotti, su tutti i passi avanti che sono stati fatti nella gestione dell’innovazione. Allo stesso tempo i controllori, nel nostro caso, possono esporre i dubbi, le proposte, le ansie rispetto al nuovo sistema, così che i progettisti ne possano tenere conto ed elaborare strategie operative diverse. In sintesi si tratta di incentivare spazi di comunicazione per fare 152 Capitolo 7 emergere tutti gli aspetti socio-tecnici che hanno un ruolo nel determinare il grado di accettazione della novità. In questa sfera di progettazione, è inevitabile che molto potrà essere realizzato in base alle disponibilità economiche, organizzative e temporali dell’organizzazione scambio interessata. Prevedere degli comunicativo richiede tempo, incontri disponibilità, destinati soprattutto allo di personale, impegno e franchezza da parte di tutti coloro che ne sono coinvolti, nella consapevolezza di cosa può realmente essere realizzato e cosa no. 7.4 Progettare in vista degli errori Introdurre un fattore di novità in un sistema che vive in uno scarso equilibrio, significa renderlo ancora più precario. Innovare un’organizzazione implica da una parte migliorarne le prestazioni, dall’altra aumentarne il livello di stress e di tensione dovuti al cambiamento. Naturalmente i disagi aumentano in base alla portata del cambiamento. Milano ACC ha vissuto un’innovazione tecnologica che ha toccato ogni aspetto della sua organizzazione; le preoccupazioni, i motivi di nervosismo e inquietudine sono stati molti. Nella consapevolezza della precarietà del sistema, è necessario far attenzione a non creare crepe ulteriori nella sua struttura difensiva. Non è sufficiente introdurre una tecnologia migliore per rendere un’organizzazione migliore. Se, come è stato detto in precedenza, occorre fare attenzione e riprogettare tutti gli elementi del sistema, è anche necessario non introdurre fattori che possano indebolire l’impianto organizzativo alle radici. Riprendendo ciò che sostiene Reason (1990, cfr. cap. 1), ogni organizzazione ha delle barriere difensive che ostacolano gli eventuali fattori di rischio presenti. Tra le crepe di queste barriere si depositano gli errori latenti che possono rimanere “addormentati” anche per lunghi periodi. Ciò fino a quando un particolare errore attivo, commesso da un operatore in front line, innesca quella catena di fattori contingenti che permette agli 153 Capitolo 7 errori latenti di bucare tutte le difese del sistema, fino ad arrivare in superficie portando alla catastrofe. Il cambiamento, come abbiamo visto, apporta una serie di condizioni nuove nella struttura, condizioni a cui gli operatori non possono mai essere del tutto preparati. Il rischio è che una gestione del cambiamento poco attenta può portare con sé errori latenti che s’infiltrano tra le reti del sistema in attesa di risalire drammaticamente in superficie. L’innovazione tecnologica ha un duplice effetto: da un lato facilita e rende più veloci le operazioni pratiche, ma dall’altro aggiunge ridondanze che rendono il sistema più opaco per chi lo controlla e lo gestisce (Reason, 1990). Se la tecnologia innovativa si presenta affidabile e ricca di difese, può accadere che gli operatori e i managers si dimentichino di avere paura abbassando il livello di attenzione necessario e controllando le proprie attenzioni in misura sempre minore. Un operatore che lavora con i sistemi di difesa a livelli minimi, può più facilmente commettere gli errori attivi che portano a galla quelli latenti. Progettare in vista degli errori vuol dire introdurre il cambiamento in modo graduale, far sì che i soggetti possano comprenderlo nel tempo, così che rimettano in discussione i principi del loro contesto formativo, le regole della comunità cui appartengono, svelando le debolezze, le criticità, i fattori latenti. Il cambiamento è un’occasione in cui l’organizzazione può riflettere su se stessa, comprendere i limiti che ne caratterizzano l’operato e che col tempo sono diventati violazioni routinarie. Di fronte a situazioni nuove, i soggetti attivano comportamenti knowledge based: si formula un’ipotesi per risolvere la criticità, e si selezionano i dati utili a disposizione. Se, però, non si è adeguatamente preparati, la tendenza è quella di privilegiare ciò che è in accordo con le conoscenze consolidate che nulla hanno a che fare con l’innovazione tecnologica. “Gli errori sono prodotti di una catena di cause in cui i fattori psicologici, quali inattenzione, giudizi erronei, dimenticanze, preoccupazioni, sono spesso gli ultimi anelli gestibili della catena; numerose indagini su incidenti indicano che gli eventi negativi sono spesso il risultato di situazioni inclini all’errore e di attività inclini all’errore” (Reason, 1990 p.129). Se le 154 Capitolo 7 coordinate dell’ambiente in cui siamo immersi e con il quale abbiamo confidenza cambiano totalmente, diventa difficile stabilire la strategia di comportamento più adeguata; ciò si fa ancor più gravoso nei sistemi ad alto rischio, in cui l’operatore deve dedicare la propria attenzione alla situazione specifica da controllare. Nella sala operativa di Milano ACC la tensione dei controllori nei primi periodi a contatto con la nuova strumentazione è stata molto alta. Il cambiamento porta con sé variabili che minano in profondità le sicurezze di un sistema. In un equilibrio sempre precario come quello del traffico aereo, i fattori di distrazione e incomprensione devono essere ridotti al minimo. È per questo che i fattori umani devono essere collocati al primo posto: per quanto la strumentazione possa essere veramente affidabile e innovativa, è solo l’uomo che possiede la predisposizione all’improvvisazione, alla strategia, alla rielaborazione che può risolvere un’emergenza. Per introdurre adeguatamente un cambiamento in un’organizzazione ad alto rischio serve cautela, addestramento, conoscenza dell’ambiente, consapevolezza dei limiti e dei bisogni dei soggetti interessati. Andare alla ricerca delle condizioni latenti vuol dire prendere coscienza dei limiti del sistema così da eliminarli attraverso l’innovazione introdotta. Solo una conoscenza di questo genere può preparare adeguatamente i soggetti ad accogliere la novità nel modo migliore e plasmare l’innovazione sulla base delle reali necessità del contesto. Gestire questa trasformazione nel modo appropriato è l’unica e migliore prevenzione alle catastrofi. 155 Bibliografia Bibliografia ¾ Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Volo. Seconda relazione intermedia di inchiesta. Incidente occorso agli aeromobili BOEING MD-87 MARCHE SE-DMA e CESSNA 525A MARCHE D-IEVX. Aeroporto di Milano Linate, 8 Ottobre 2001. ¾ Abrami V. (2001). Studio descrittivo sui rapporti tra organizzazione del lavoro e infortuni in Toscana. Raccolta dei dati e messa a punto di una metodologia di analisi sistematica degli eventi critici. REPORT FINALE. ¾ Amundson, J. M. (1994). Line Oriented Flight Training (LOFT) to improve cokpit-cabin communications. In: Johnston, N., Fuller, R., McDonald, N. (Eds) (1995). Proceedings of the 21st Conference of the European Association for Aviation Psycology (EAAP) v. 2. Aldershot, England: Ashgate Publishing Limited. ¾ Barley, S.R. (1986). 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Un ringraziamento speciale va a tutti coloro che lavorano a Milano ACC e che mi hanno aiutata a capire l’ATC, ospitandomi in un mondo di grande interesse: Severino Vinante, Graziano D’Agostini, Marco Asprea, Pietro Paglia, i capisala, i supervisori e tutti i controllori, che hanno sempre dimostrato grande interesse, disponibilità e simpatia, comprendendo le mie difficoltà nel venire a contatto con un mondo così particolare. L’anno passato in loro compagnia è uno dei ricordi più belli legato a questa tesi. In particolare ringrazio Graziano, per le lunghe chiacchierate, le spiegazioni, le esemplificazioni, e l’attenzione che ha dedicato sempre a tutto il mio lavoro. Grazie ad Anna Bellorini e a Pietro Cacciabue per i consigli e le precisazioni via e-mail. Ringrazio Giancarlo Ferrara, che fin da principio ha visionato il mio lavoro facendomi rendere conto di quanto tecnico e specialistico sia il campo del Controllo del Traffico Aereo. Grazie al Comandante Aldo Pezzopane, per la disponibilità e il grande esempio di professionalità, tenacia e convinzione nel portare avanti ciò in cui si crede. Una gratitudine particolare va a Paola Corradini, per l’appoggio e il sostegno “a distanza”, e per il suo aiuto nella ricerca di tutto il materiale bibliografico per poter iniziare. Grazie a Federico Butera e Sara Albolino, per l’interesse e gli apprezzamenti mostrati rispetto a questo lavoro. Un ringraziamento speciale va a Maurizio Catino; la sua competenza, la costanza, l’attenzione con cui mi ha seguita, hanno reso quest’impresa molto più semplice accrescendo in me l’interesse per la ricerca. È stato una guida sicura a cui non potrò mai esprimere l’adeguata riconoscenza. 163 Ringraziamenti Infine, ringrazio chi mi ha sopportata con infinita pazienza in tutto quest’ultimo anno. Il ringraziamento più grande va ai miei genitori: per me sono e saranno sempre il dono più bello che potessi ricevere e l’esempio migliore a cui possa ispirarmi. Con loro ringrazio tutta la mia famiglia, che ha tollerato con pazienza le mie tensioni, gioito con me per le soddisfazioni, compreso tutte le mie scelte. Un grazie speciale a Antonio, che, in questi sei anni, con il suo amore, il sostegno e la capacità di capirmi, è sempre stato un rifugio prezioso e una fonte inesauribile di fiducia e ottimismo. Grazie ad Augusta e Gianni, per tutto l’affetto che mi danno. Ringrazio Roberta, amica e compagna di studi indimenticabile; le nostre lunghe chiacchierate hanno dato un contributo speciale a questo lavoro. Grazie ad Annalisa, e a tutte le compagne d’Università, per questi bellissimi quattro anni. Grazie a Fulvio e a Massi per il supporto tecnologico e la costante disponibilità. Un grazie particolare va a Francesca, per le esperienze e le emozioni condivise. Infine sono grata a tutti gli amici, Ifan, Riccardo, Valeria e tutti gli altri, nessuno escluso: la loro presenza è stata indispensabile per affrontare quest’ultimo periodo di intenso lavoro. 164 Ringraziamenti 164 Ringraziamenti 164