INTRODUZIONE - Liceo Classico V. Gioberti

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INTRODUZIONE - Liceo Classico V. Gioberti
INTRODUZIONE
“Panem et circenses”, detto latino che significa “mangiare e
divertirsi”, stava ad indicare le distribuzioni gratuite di grano e
l’allestimento di frequenti giochi circensi, che avevano il potere di
distogliere il popolo romano dai suoi problemi. Essi infatti erano nati
per scopi religiosi, ma con il passare del tempo persero la loro
funzione originale diventando uno strumento politico: organizzare
giochi fastosi e spettacolari era un modo per accattivarsi le simpatie
del popolo e per frenare le rivolte, inoltre costituivano un’ottima
forma di propaganda elettorale.
I Romani amavano soprattutto i ludi più cruenti, come gli spettacoli
dei gladiatori, che con la loro violenza eccitavano il pubblico:
”Ammazzalo, colpiscilo, brucialo! Perché va incontro al ferro con
tanta titubanza? Perché muore così poco volentieri?”, queste sono le
parole di uno spettatore che ci riferisce Seneca, uno dei pochi autori
che scrisse con disapprovazione nei confronti di questi divertimenti
bestiali. Essi consistevano infatti in cacce di animali esotici
(venationes), esecuzioni di criminali, ma anche di martiri cristiani,
battaglie navali (naumachiae) e lotte all’ultimo sangue fra gladiatori,
che finivano quasi sempre con la morte di uno dei due contendenti
(ludi gladiatorii). Divertimenti meno sanguinari erano invece le corse
dei carri, che nonostante ciò erano ugualmente, anzi più amate dal
popolo. In seguito all’influenza greca nacquero anche a Roma i ludi
theatrales: nei teatri romani si svolgevano diverse rappresentazioni:
commedie, tragedie, mimi e pantomimi. Il teatro, però, era molto
meno amato dei ludi circensi.
Le strutture che ospitavano gli spettacoli, anfiteatri e circhi, facevano
parte del palazzo imperiale o erano collocati all’esterno della città,
per non intralciare il traffico urbano a causa della grande affluenza di
Bambola con arti snodabili
gente (addirittura in una città vicino a Roma crollò un anfiteatro per
la troppa affluenza di spettatori provocando la morte di moltissime persone). Tutte le
rappresentazioni generalmente erano diurne; la durata poteva variare: potevano continuare anche
per parecchie ore e gli spettatori portavano con sé cibi e bevande. In età repubblicana la cura dei
giochi era affidata al pretore e agli edili; in epoca imperiale l’imperatore decideva se organizzare
dei giochi e ne affidava l’organizzazione ad apposite persone: i curatores ludorum. Il popolo di
solito pretendeva la presenza dell’imperatore durante gli spettacoli, ed era in queste situazioni che
avveniva un contatto diretto tra popolo e sovrano.
Il popolo trascorreva il proprio tempo libero anche con altri divertimenti; infatti sono state ritrovate
un'infinità di testimonianze che hanno contribuito a ricostruire i vari tipi di svaghi da loro praticati,
dai giochi per i bambini, per lo più caratterizzati da giocattoli di vario materiale e dall’imitazione
delle azioni e comportamenti degli adulti, a quelli dei grandi con giochi di abilità, d'azzardo e
sportivi: evidentemente ai Romani la voglia di divertirsi non è mai venuta meno, anche perché da
sempre rappresenta un mezzo per non pensare ai dispiaceri e per rilassarsi dalle dure giornate
lavorative.
Pedine e dadi per giochi
da tavolo
Concorso a quiz
Aulo Gellio, Noctes atticae, XVIII, 2
In questo brano l’autore racconta di come trascorreva ad Atene le feste dei Saturnali, ed in
particolare descrive lo svolgimento di un gioco di gruppo sotto forma di quiz.
Probabilmente Aulo Gallio nacque
a Roma, fra il 123 e il 130 d.C., in
una famiglia benestante che gli
permise di frequentare a Roma i
corsi del grammatico Sulpicio
Apollinare e di completare poi la
sua formazione culturale in Grecia,
ospite del retore Erode Attico. Lì
iniziò la sua unica opera, a
carattere enciclopedico, intitolata
Noctes Atticae.
Visse il resto della sua vita a Roma
e morì probabilmente nel 175. La
sua opera, in 20 libri, tratta senza
una organizzazione sistematica
degli argomenti più disparati
(diritto, geometria, antiquaria,
religione…) ed in particolare della
storia della lingua latina, con la
critica degli autori e il confronto
fra Greci e Latini.
Saturnalia Athenis agitabamus hilare prorsum ac
modeste, non, ut dicitur, remittentes animum, nam
“remittere – inquit Musonius – animum quasi amittere
est”, sed demulcentes eum paulum atque laxantes
iucundis
honestisque
sermonum
inlectationibus.
Conveniebamus autem ad eandem cenam complusculi
qui Romani in Graeciam veneramus quique easdem
auditiones eosdemque doctores colebamus. Tum qui et
cenulam ordine suo curabat, praemium solvendae
quaestionis ponebat librum veteris scriptoris vel Graecum
vel Latinum et coronam e lauro plexam, totidemque res
quaerebat quot homines istic eramus. Quaestio igitur
soluta corona et praemio donabatur ; non soluta autem
transmittebatur ad eum qui sortito successerat, idque in
orbem vice pari servabatur. Si nemo dissolvebat, corona
quaestionis eius deo cuius id festum erat dicabatur.
“Celebravamo ad Atene i Saturnali1 in modo davvero
piacevole e semplice, non, come si dice, svagandoci, infatti
ha detto Musonio2 ‘svagarsi è un po’ come perdersi’,3 ma
dilettandoci e rilassandoci con conversazioni gradevoli e
dignitose. Ci riunivamo alla stessa tavola in parecchi fra i
Romani venuti in Grecia e che frequentavano le stesse
lezioni e seguivano gli stessi maestri. Colui che dava a
turno la cena offriva in premio, a chi risolveva un quesito,
l’opera di un antico scrittore Greco o Latino e una corona
intrecciata di lauro, e poneva altrettanti quesiti quanti erano
i convitati. Chi aveva risolto il quesito riceveva la corona e
il premio; se esso invece non era stato risolto, veniva
sottoposto ad un altro che subentrava a sorte, e questo
procedimento veniva ripetuto successivamente a turno. Se
nessuno lo risolveva, la corona de quesito veniva offerta al
dio di cui era la festa.”
----------------1. Si tratta in realtà della festa dei Kronia, che si celebravano ad
Atene in onore di Crono e che corrispondevano alla festività dei
Saturnali romani.
2. Filosofo stoico del I secolo d. C.
3. La frase remittere animum quasi amittere est contiene in latino un
gioco di parole che non è possibile rendere adeguatamente nella
traduzione.
Il gioco del rimbalzello
Minucio Felice, Octavius, III, 3, 6
Il brano è tratto da un dialogo in stile ciceroniano di Minucio Felice,
l’Octavius, in cui l’autore stesso arbitra una disputa tra Ottavio, un
cristiano, e Cecilio, un pagano: mentre essi discutono passeggiando
lungo l’incantevole lido di Ostia in un sereno pomeriggio, vedono un
gruppo di fanciulli giocare sulla riva lanciando dei cocci sull’acqua.
Minucio Felice, nativo della Numidia,
esercitò l’avvocatura a Roma. Di
famiglia pagana, trasferitosi a Roma si
convertì al cristianesimo e scrisse un
dialogo apologetico, l’Octavius (fine
II secolo d. C.), esponendo la
discussione, a cui Minucio partecipa
come moderatore, tra il pagano
Cecilio ed il cristiano Ottavio.
Sensim itaque tranquilleque progressi oram curvi
molliter litoris iter fabulis fallentibus legebamus. Haec
fabulae erant Octavi dissserentis de navigatione
narratio. Sed ubi eundi spatium satis iustum cum
sermone consumpsimus, eandem emensi viam rursus
versis vestigiis terebams. Et cum ad id loci ventum est,
ubi subductae naviculae substratis roboribus a terrena
labe suspensae quiescebant, pueros videmus certatim
gestientes testarum in mare iaculationibus ludere.
Cecilio propone le ragioni del
paganesimo: l’uomo che è finito non
può conoscere il dio infinito, bisogna
tuttavia mantenere la religione degli
avi, per conservare la tradizione e
l’unità politica dell’Impero, fondata
sul politeismo. Egli accusa i cristiani
di uccidere bambini, mangiare carne
umana (fraintendendo l’eucarestia: il
rito del “mangiare il corpo di Cristo”)
e di incesto (per via del loro uso di
chiamarsi “fratelli” e “sorelle” anche
tra coniugi). Ottavio controbatte
esponendo il contenuto della sua
religione: la provvidenza di Dio è
testimoniata dalla bellezza e armonia
del cosmo; la religione pagana è
sanguinaria, basata com’è su sacrifici
di bestie innocenti e spesso anche di
esseri umani, mentre il Cristianesimo
si fonda su carità, fede e semplicità.
Cecilio alla fine si dichiara convinto.
Is lusus est testam teretem, iactatione fluctuum
levigatam, legere de litore: eam testam plano situ digitis
comprehensam, inclinem ipsum atque humilem,
quantum potest, super undas inrotare, ut illud iaculum
vel dorsum maris raderet, vel enataret, dum leni impetu
labitur, vel, summis fluctibus tonsis, emicaret,
emergeret, dum adsiduo saltu sublevatur. Is se in
pueris victorem ferebat, cuius testa et procurreret
longius et frequentius exsiliret.
L’Octavius è scritto in un latino
elegante e si ispira ai dialoghi di
Cicerone, di cui riprende la cura
per l’ambientazione e la tecnica
espositiva, nel tentativo di instaurare
un dialogo con il paganesimo.
Minucio tende a conciliare concezione
classica e messaggio cristiano, pur
non nascondendo la sua condanna del
materialismo religioso dei Romani.
”E così procedendo a poco a poco tranquillamente,
costeggiavamo la dolce curva del lido e alleviavamo il
cammino discorrendo. Questi discorsi erano il racconto
di Ottavio che parlava della navigazione. Ma quando
terminammo un tratto di cammino proporzionale al
nostro discorrere, ripercorrendo di nuovo la stessa via la
facevamo in senso inverso. E quando giungemmo a quel
luogo, dove alcune piccole imbarcazioni tirate a riva
giacevano sollevate al di sopra del terriccio da travi di
quercia infilate sotto, vediamo dei fanciulli che facevano
a gara impegnandosi in lanci di cocci nel mare.
Questo gioco consiste nel raccogliere dalla spiaggia un
coccio levigato dallo sbattere delle onde e, dopo averlo
afferrato di piatto con le dita, lanciarlo facendolo
ruotare, disteso e radente il più possibile sulle onde, in
modo che l’oggetto lanciato o sfiori la superficie del
mare o nuoti via, mentre scivola con dolce slancio;
oppure balzi via, sbuchi, spuntando la cresta dei flutti,
mentre si innalza con salti ripetuti. Si riteneva vincitore
tra i fanciulli, quello il cui coccio arrivava più lontano e
saltava via più volte.”
Giocatori di palla alle terme
Petronio, Satyricon, XXVI-XXVII
Nel romanzo di Petronio il protagonista Encolpio, perseguitato dal dio Priapo che gli ha tolto la
virilità, vaga con l’efebo Gitone e l’amico Ascilto per le città dell’Italia meridionale, incorrendo in
varie avventure e situazioni d’ogni tipo, spesso scabrose o comicissime. In questo caso, mentre
gironzolano nelle terme in attesa di farsi il bagno, i tre assistono ad una scena curiosa.
Non ci sono certezze sull’identità
di Petronio: alcuni studiosi
identificano questo autore in Gaio
Petronio, vissuto alla corte di
Nerone e ritenuto uomo di grande
raffinatezza, un arbiter elegantiae
secondo la definizione che ne dà
Tacito negli Annales.
L’opera attribuita a questo autore,
il Satyricon, composta con ogni
probabilità alla fine dell’epoca
giulio-claudia, ci è giunta
incompleta. Si tratta di un
romanzo che unisce prosa e versi,
ed è ritenuto una fonte preziosa
per la conoscenza del sermo
plebeius; nell’opera infatti si
concede molto spazio ai discorsi
di alcuni liberti e di Trimalchione,
un liberto arricchito, rozzo e
vanitoso, che rispecchiano la
lingua parlata delle classi inferiori
dello impero: l’autore consapevolmente la immette nella lingua
letteraria, spesso con intenzioni
ironiche o parodiche.
Amicimur ergo diligenter obliti omnium malorum, et
Gitona libentissime servile officium tuentem iubemus in
balneo1 sequi. Nos interim vestiti errare coepimus…immo
iocari magis et circulis accedere, cum subito videmus
senem calvum, tunica vestitum russea, inter pueros
capillatos ludentem pila. Nec tam pueri nos, quamquam
erat operae pretium, ad spectaculum duxerant, quam ipse
pater familiae, qui soleatus pila prasina exercebatur. Nec
amplius eam repetebat quae terram contigerat, sed follem
plenum habebat servus sufficiebatque ludentibus.
Notavimus etiam res novas: nam duo spadones in diversa
parte circuli stabant, quorum alter matellam tenebat
argenteam, alter numerabat pilas, non quidam eas quae
inter manus lusu espellente vibrabant, sed eas quae in
terram decidebant.
“Ci vestiamo dunque con cura dimenticando tutte le nostre
disgrazie e ordiniamo a Gitone, volenterosissimo di
assumere il ruolo di servo, di seguirci alle terme. Noi
intanto ancora vestiti, cominciamo a gironzolare, anzi
piuttosto a svagarci e ad unirci ai gruppi quando ad un tratto
vediamo un vecchio calvo, vestito con una tunica rossa, che
giocava a palla in mezzo ad alcuni ragazzi dai lunghi
capelli. E non erano i ragazzi, benché ne valesse la
pena, a indurci a guardare, quanto quel padre di famiglia
che, calzato di sandali, si allenava con una palla verde. E
non la raccoglieva più se gli cadeva a terra, ma c’era un
servo che ne aveva una borsa piena e riforniva i giocatori. Notammo anche altre cose strane: infatti
due eunuchi stavano in parti diverse del circolo, dei quali uno teneva un vaso da notte d’argento,
l’altro contava le palle, non però quelle che rimbalzavano tra le mani dei giocatori nei rinvii, ma
quelle che cadevano per terra.”
----------------1. Il balneum si differenziava dalle thermae, per essere uno stabilimento di dimensioni più ridotte
e costruito per iniziativa di privati, aveva in genere anche una clientela più selezionata.
Acrobati alla cena di Trimalchione
Petronio, Satyricon, LIII
Questo brano si colloca all’interno di una delle avventure più note dei tre amici: la cena in casa di
Trimalchione. Costui è un liberto arricchito che, essendo riuscito ad accumulare una vera fortuna, vive in
mezzo allo spreco, sperimentando ogni sorta di novità e stravaganze per vincere la noia e sbalordire i suoi
ospiti, ma non riesce in nessun modo a mascherare la rozzezza delle proprie origini e la sua mancanza di
buon gusto. Per intrattenere gli ospiti durante la cena si esibiscono tra gli altri anche dei giocolieri.
Petauristarii autem tandem venerunt. Baro insulsissimus cum scalis constitit puerumque iussit
per gradus et in summa parte odaria saltare, circulos deinde ardentes transigere et dentibus
amphoram sustinere. Mirabatur haec solus Trimalchio dicebatque ingratum artificium esse:
ceterum duo esse in rebus humanis, quae libentissime spectaret, petauristarios et cornicines;
reliquia, animalia, acroamata, tricas meras esse. "Nam et comoedos, inquit, emeram sed malui
illos Atellanam facere, et choraulen meum iussi Latine cantare ».
Cum maxime haec dicente Gaio puer ... Trimalchionis delapsus est. Conclamavit familia, nec
minus convivae, non propter hominem tam putidum, cuius etiam cervices fractas libenter
vidissent, sed propter malum exitum cenae, ne necesse haberent alienum mortuum plorare.
“Infine vennero gli acrobati. Un insulsissimo balordo si piazzò con una scala e ordinò ad un
fanciullo di salire ballando al suono di canzonette gradino per gradino fin sulla parte più alta, poi di
attraversare dei cerchi infuocati e di reggere un’anfora fra i denti. Solo Trimalchione ammirava
queste esibizioni e diceva che si trattava di un’arte ingrata e che del resto c’erano solo due spettacoli
al mondo che guardava davvero volentieri: gli acrobati e i suonatori di corno; tutto il resto, animali,
concerti, erano vere sciocchezze: ‘Infatti’ – disse – ‘avevo scritturato anche degli attori di
commedia, ma ho preferito che essi rappresentassero Atellane1 e ho ordinato al mio flautista di
suonare roba latina.’
Mentre Caio diceva queste cose, il fanciullo … [sul triclinio] di Trimalchione cadde. I servi
gridarono ed anche gli invitati, non per quel disgustoso ballerino (del quale avrebbero visto
volentieri anche la testa rotta) ma per la cattiva riuscita della cena, temendo di dover piangere la
morte di un estraneo.”
----------------1.
Le Atellane erano farse popolari di origine italica, così chiamate dalla città di Atella, caratterizzate dalla presenza
di maschere fisse (Macus, il ghiottone, Bucco, lo scroccone, Pappus, il vecchio spilorcio, ecc.) e originariamente
improvvisate.
Donna con la palla
Terme di Caracalla
Un poeta innamorato al circo
Ovidio, Amores, III, 2, 1 - 68
Un giovane innamorato si reca al circo durante il corteo d’apertura dei giochi circensi e la corsa dei cavalli,
ma in realtà non è interessato ad assistere a questi spettacoli, bensì a vedere la donna da lui amata: egli prega
la dea Venere affinché faccia in modo che la donna ricambi il suo amore.
Publio Ovidio Nasone
nacque a
Sulmona nel 43 a.C. da famiglia di
rango equestre e, giovanissimo, si
recò a Roma dove frequentò le
migliori scuole di eloquenza e di
retorica. Abbandonò tuttavia presto
gli studi per dedicarsi alla poesia e
divenne il cantore di una società che ,
dopo essere uscita dall’incubo dalle
guerre civili, assaporava i frutti della
pace abbandonandosi al lusso e al
consumismo, in contraddizione con i
programmi politici di Augusto. Ben
presto riscosse un successo immediato
e strepitoso.
Nell’8
d.C.,
con
procedura
eccezionale, forse per uno scandalo
alla corte di Augusto, Ovidio venne
relegato dall’imperatore a Tomi, sul
Mar Nero, e vi rimase fino alla morte
avvenuta nel 18 a.C.
La produzione di Ovidio è vastissima
e comprende varie opere di carattere
amoroso come gli
Amores, le
Heroides, l’Ars Amatoria, i Remedia
Amores, di argomento mitologico
come le Metamorfosi e i Fasti, di
carattere personale come i Tristia e le
Epistulae ex Ponto, scritte dall’esilio
per impietosire Augusto e cercare
invano di ottenere la revoca del grave
provvedimento.
Non ego nobilium sedeo studiosus equorum;
cui tamen ipsa faves, vincat ut ille, precor.
Ut loquerer tecum veni, tecumque sederem,
ne tibi non notus, quem facis, esset amor.
Tu cursus spectas, ego te; spectemus uterque
quod iuvat, atque oculos pascat uterque suos.
O, cuicumque faves, felix agitator equorum!
Ergo illi curae contigit esse tuae?
Hoc mihi contingat, sacro de carcere missis
insistam forti mente vehendus equis,
et modo lora dabo, modo verbere terga notabo,
nunc stringam meta interiore rota.
Si mihi currenti fueris conspecta, morabor,
deque meis manibus lora remissa fluent. […]
1
5
10
Quid frustra refugis? Cogit nos linea iungi.
20
Haec in lege loci commoda circus habet.
Tu tamen a dextra, quicumque es, parce puellae;
contactu lateris laeditur illa tui.
Tu quoque, qui spectas post nos, tua contrahe crura,
si pudor est, rigido nec preme terga genu!
Sed nimium demissa iacent tibi1 pallia terra.
25
Collige, vel digitis en ego tollo meis!
Invida vestis eras, quae tam bona crura tegebas;
quoque magis spectes -- invida vestis eras! […]
Sed iam pompa venit linguis animisque favete!
Tempus adest plausus: aurea pompa venit.
Prima loco fertur passis Victoria pinnis:
huc ades et meus hic fac, dea, vincat amor!
Plaudite Neptuno, nimium qui creditis undis!
Nil mihi cum pelago 2; me mea terra capit.
Plaude tuo Marti, miles! Nos odimus arma;
pax iuvat et media pace repertus amor.
45
50
Auguribus Phoebus, Phoebe venantibus adsit!
Artifices in te verte, Minerva, manus!
Ruricolae, Cereri teneroque adsurgite
BacchoPollucem pugiles, Castora placet 3 eques!
Nos tibi, blanda Venus, puerisque potentibus arcu 55
plaudimus; inceptis adnue, diva, meis
daque4 novae mentem dominae! Patiatur amari!
Adnuit et motu signa secunda dedit.
Quod dea promisit, promittas ipsa, rogamus;
pace loquar Veneris, tu dea maior eris.
60
Per tibi tot iuro testes pompamque deorum,
te dominam nobis tempus in omne peti.
Sed pendent tibi crura; potes, si forte iuvabit,
cancellis primos inseruisse pedes.
Maxima iam vacuo praetor spectacula circo
quadriiugos aequo carcere misit equos.
Cui studeas, video. Vincet, cuicumque favebis.
Quid cupias, ipsi scire videntur equi.
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65
1) Tibi è un dativo di etico-affettivo.
2) Il verbo è sottinteso.
3) Placet è congiuntivo esortativo da placo, as.
4)
Da è imperativo di do (+ que enclitico); patiatur può
essere considerato un congiuntivo desiderativo oppure il verbo di
una completiva (ut sottinteso) retta appunto dall’imperativo da .
Particolare di una quadriga in corsa, dal
mosaico della villa di Piazza Armerina
“Io non siedo qui appassionato dei cavalli di razza; tuttavia prego che vinca quello per cui tu fai il
tifo. Io sono venuto per parlare con te e per sedermi con te, affinché non ti fosse sconosciuto
l’amore che susciti in me. Tu guardi le corse, io te: entrambi guardiamo ciò che ci piace e ognuno di
noi due possa soddisfare i propri occhi. Oh fortunato l'auriga, chiunque sia, per cui fai il tifo! Egli
dunque ha avuto la fortuna di suscitare il tuo interesse? Magari capitasse anche a me! Trasportato
dai cavalli usciti dai sacri cancelli con forte coraggio incalzerò, ora allenterò le briglie, ora colpirò i
loro dorsi con la frusta, ora con la ruota interna rasenterò le mete1; ma se io ti vedrò durante la
corsa, rallenterò e dalle mie mani scivoleranno via le briglie allentate. Perché invano ti tiri indietro?
Una linea di divisione ci costringe a stare uniti. Il Circo ha questi vantaggi in base alla legge del
luogo2. Ma tu, chiunque tu sia che stai alla sua destra, lascia stare questa fanciulla: ella è infastidita
dal contatto del tuo fianco; e anche tu, che siedi dietro di noi, tira indietro le tue gambe, se hai un
po' di pudore, e non premere la sua schiena con le tue ginocchia dure. Ma il tuo mantello troppo
abbassato tocca a terra: sollevalo, oppure ecco io lo alzo con le mie mani. Eri una veste gelosa, tu
che coprivi gambe così belle; e per guardarle di più... eri proprio una veste gelosa3. […]
Ma ormai arriva il corteo4: tacete e fate attenzione; è il momento di applaudire: arriva il corteo
splendido. Al primo posto avanza la Vittoria con le ali spiegate: vieni, o dea, e fa’ in modo che
questo mio amore trionfi. Applaudite a Nettuno, voi che vi fidate troppo delle onde: col mare io non
ho nulla da spartire; mi trattiene la mia terra. Applaudite al vostro Marte, soldati: io odio le armi;
amo la pace e l’amore che ho trovato in essa. Apollo assista agli auguri, Diana i cacciatori, attira a
te, Minerva, le mani degli artisti. Contadini, alzatevi davanti a Cerere e al giovane Bacco; i pugili si
rendano benevolo Pollùce, i cavalieri Castore. Io applaudo alla dolce Venere, e agli amorini esperti
nell’arco: concedi il tuo assenso alle mie imprese, o dea, e infondi nella mia nuova signora un
sentimento, che si lasci amare; lei annuì e con questo gesto mi diede un segno di benevolenza. Ti
prego di promettere anche tu ciò che la dea promise; senza offesa per Venere, tu sarai per me una
dea ancor più grande di lei. E ti giuro davanti a tanti testimoni e al corteo degli dei che ti desidero
come mia signora per sempre. Ma le tue gambe non poggiano a terra: se ti fa' piacere, puoi
appoggiarti con la punta dei piedi alle sbarre. Ma ora il pretore ha fatto uscire le quadrighe5 dei
cavalli, il più grande spettacolo, dallo stesso punto di partenza. Vedo per chi fai il tifo; vincerà,
chiunque abbia la tua preferenza: sembra che perfino i cavalli sappiano che cosa desideri.”
----------------1.
2.
3.
Colonnetta di forma conica Veduta del Circo Massimo Naumachia intorno a cui giravano i corridori del circo.
Al circo, a differenza che nel teatro, ognuno poteva occupare il posto che desiderava, senza alcun vincolo
riguardo al ceto o al sesso.
Il poeta si rivolge direttamente alla veste che, gelosa della bellezza della donna, la copre al suo sguardo.
4.
5.
Il poeta si rivolge direttamente alla veste che, gelosa della bellezza della donna, la copre al suo sguardo. Il corteo
circense era la sfilata dei corridori che passavano sotto l’arco del trionfo per dirigersi verso la propria
postazione di partenza.
Le quadrighe erano carri trainati da quattro cavalli.
Veduta del Circo Massimo
Naumachia
Magnificenza degli spettacoli di Cesare
Svetonio, “Vita dei dodici Cesari”, I, 39
Svetonio riferisce che Cesare, quando faceva ritorno vittorioso dalle campagne militari, era solito
allestire giochi e spettacoli per celebrava il suo trionfo; spesso ad essi partecipavano anche cittadini illustri.
Di Gaio Svetonio Tranquillo sono incerti il
luogo e il tempo di nascita. E’ probabile
che sia nato a Roma intorno al 70 d.C., da
una ricca famiglia dell’ordine equestre, e
che sia morto nel 140 d.C.
Egli rifiutò la carriera d’amministratore o di
soldato, riservata in genere a quelli del suo
rango, e consacrò tutta la sua vita a ricerche
erudite. Intorno al 120 d.C. riuscì a diventare
segretario ad epistulas (incaricato cioè della
corrispondenza) al servizio dello imperatore
Adriano. Nel 122 Adriano lo allontanò con
un pretesto, Svetonio così trascorse gli ultimi
anni della sua vita immerso negli studi ed
attendendo alla pubblicazione delle sue vaste
e numerose opere.
A noi Svetonio è noto soprattutto come
autore del De viris illustribus, opera sugli
uomini illustri della latinità, e del De vita
Caesarum, biografia dei primi dodici
imperatori (includendo fra essi anche
Cesare), ma abbiamo notizie di molti altri
scritti. Tra le sue opere “minori” figura una
Historia ludica sui giochi romani.
Edidit spectacula varii generis: munus
gladiatorium, ludos etiam regionatim urbe tota
et quidem per omnium linguarum histriones,
item circenses, athletas, naumachiam. Munere
in foro depugnavti Furius Leptinus stirpe
praetoria et Q. Calpenus, senator quondam
auctor causarum. Pyrricham saltaverunt Asiae
Bithyniaeque principum liberi. Ludis Decimus
Laberius eques Romanus mimum suum egit,
donatusque quingentis sestertiis et anulo
aureo, ut sederet in quattuordecim, e scaena
per orchestram transiti. Circensibus, spatio
circi ab utraque parte produco et in gyrum
euripo addito, quadrigas bigasque et equos
desultorios agitaverunt nobilissimi iuvenes.
Troiam lusit turma duplex, maiorum
minorumque puerorum.
Venationes editae sunt per dies quinque, ac
novissime pugna divisa in duas acies,
quingenis peditibus, elephantis vicenis, tricenis
equitibus, hinc et inde commissis. Nam quo
laxius dimicaretur, detractae metae et in locum
earum bina castra exadversum constitua erant.
Athletae, stadio ad tempus extructo regione
Martii campi, certaverunt per triduum.
Navali proelio, in minore Codeta defosso lacu, biremes ac triremes quadriremesque Tyriae et
Aegyptiae classis magno pugnatorum numero conflixerunt. Ad omnia spectacula tantum undique
confluxit hominum, ut plerique advenae aut inter vicos aut inter vias tabernaculis positis
manerent ; ac paene prae turba elisi exanimatique sunt plurimi et in his duo senatores.
“Cesare allestì spettacoli di vario tipo: un combattimento fra gladiatori, rappresentazioni teatrali
anche per quartieri in tutta la città e persino con attori di tutte le lingue, e inoltre giochi circensi,
gare atletiche e una naumachia1. Furio Leptino di stirpe pretoria e Quinto Calpeno, un tempo
senatore e avvocato, sono scesi in campo durante il combattimento nel foro.
Figli di principi dell’Asia Minore e della Britannia ballarono la pirrica2. Durante i giochi il cavaliere
Romano Decimo Laberio3 recitò un suo mimo, gli vennero dati in premio cinquecento sesterzi e un
anello d’oro, dalla scena andò a sedersi nelle quattordici file4, passando attraverso l’orchestra5.
Durante i giochi del circo nell’arena allungata da entrambi le parti e dotata tutto intorno di un
fossato pieno d’acqua, giovani della migliore nobiltà guidarono quadrighe, bighe, cavalli per
cavallerizzi6. Un gruppo diviso in due, uno di fanciulli e uno di ragazzi, eseguì il ludo di Troia7.”
Le cacce si svolsero per cinque giorni e alla fine ci fu un combattimento tra due schieramenti,
opponendo fra loro cinquecento fanti, venti elefanti, trenta cavalieri per volta da entrambe le parti.
Infatti per lasciare maggior spazio al combattimento erano state tolte le mete e al loro posto erano
stati messi due accampamenti posti l’uno di fronte all’altro. Gli atleti gareggiarono per tre giorni, in
uno stadio costruito per l’occasione nel Campo di Marte8. Per la battaglia navale fu scavato un
bacino nella Codeta9 più piccola: si scontrarono tra loro biremi, triremi e quadriremi della flotta di
Tiro e dell’Egitto con un gran numero di combattenti. E a tutti questi spettacoli accorse da ogni
parte così tanta gente che molti stranieri alloggiarono, piantando delle tende per i vicoli e per le
strade; a causa della ressa molti quasi rimasero schiacciati e morirono e tra questi anche due
senatori.”
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Battaglia navale.
Danza guerresca degli Spartani
Poeta di mimi nell’età di Cesare.
Le prime quattordici file delle gradinate, riservate ai cittadini dell’ordine dei cavalieri.
Il luogo più ragguardevole del teatro, corrispondente all’odierna platea, riservato ai senatori .
Cavalli addestrati su cui i cavallerizzi (desultores) saltavano dall’uno all’altro in corsa.
Antichissima gara di velocità tra due squadre di giovani cavalieri, la cui istituzione era collegata ai ludi tenuti da
Enea in onore di Anchise.
8. Luogo di comizi, esercitazioni militari, esercizi ginnici e gare.
9. Le Codete erano terreni posti al di là del Tevere, così chiamati perché vi crescevano erbe somiglianti a code di
cavallo (caudae).
Raffigurazione di una caccia
Naumachia su moneta
Importanza dei ludi gladiatorii
Plinio il Giovane, Epistulae, VI, 34
In questa lettera, indirizzata ad un suo caro amico, Plinio spiega il suo punto di vista sull’allestimento di
combattimenti tra gladiatori.
Plinio il giovane (Gaio Cecilio
Secondo) nacque a Como nel 61 da
una facoltosa famiglia di rango
equestre. Alla morte del padre fu
adottato dallo zio Plinio il Vecchio
che gli diede il proprio nome.
Studiò a Roma sotto la guida del
famoso oratore Quintiliano. Fu
avvocato e uomo politico sotto i
Flavi, console nel 100 e poi
governatore della Bitinia sotto
Traiano,
che
celebrò
nel
magniloquente “Panegirico”. Morì
probabilmente nel 112.
Nell’ “Epistolario”, in 10 libri,
annotò fatti di interesse pubblico e
privato, che ci offrono uno spaccato
della società del tempo. Notevole
storicamente
il
X
libro,
comprendente il carteggio di Plinio
con Traiano sulla situazione
giuridica dei cristiani; tra le lettere
di maggiore interesse va inoltre
ricordata l’epistola all'amico Publio
Cornelio
Tacito,
che
narra
l’eruzione del Vesuvio in cui perse
la vita lo zio Plinio il Vecchio.
Plinio appare nelle lettere come un
generoso filantropo, interessato alle
attività culturali, alle arti e
all'architettura.
C. PLINIUS MAXIMO SUO S.
Recte fecisti quod gladiatorium munus Veronensibus
nostris promisisti, a quibus olim amaris, suspiceris,
ornaris. Inde etiam uxorem carissimam tibi et
probatissimam habuisti, cuius memoriae aut opus
aliquod aut spectaculum atque hoc potissimum, quod
maxime funeri, debebatur. Praeterea tanto consensu
rogabari, ut negare non constans, sed durum videretur.
Illud quoque egregie, quod tam facilis tam liberalis in
edendo fuisti; nam per haec etiam magnus animus
ostenditur. Vellem Africanae, quas coemeras plurimas,
ad praefinitum diem occurrissent: sed licet cessaverint
illae tempestate detentae, tu tamen meruisti ut
acceptum tibi fieret, quod quo minus exhiberes, non
per te stetit. Vale.
“Caio Plinio invia i suoi saluti al caro Massimo.
Hai fatto bene a promettere un allestimento di
combattimenti tra gladiatori ai nostri Veronesi, che già
da molto tempo ti vogliono bene, ti ammirano, ti
rendono omaggio. Di là hai ricevuto anche una moglie a
te carissima e irreprensibile: al suo ricordo si doveva
dedicare una qualche costruzione o uno spettacolo e
questo più di ogni altro, perché adatto ad una
celebrazione funebre. Inoltre la richiesta ti era rivolta in
modo così concorde che dire di no sembrava non segno
di carattere, ma di insensibilità. Infatti la grandezza
d’animo si mostra anche attraverso queste cose. Avrei
voluto che fossero arrivate per il giorno fissato le bestie
africane che avevi comprato in gran numero. Ma, anche
se sono mancate perché bloccate dalla tempesta, tu hai
comunque il diritto che ti sia riconosciuta a merito
quell’attrazione che non dipese da te non poter
presentare. Sta’ bene.”
Diversi spettacoli offerti nei ludi: gladiatori, cacce ed esecuzioni di condannati
Scontri durante uno spettacolo di gladiatori
Tacito, Annales, XIV, 17
Il brano ci offre un resoconto dei gravi disordini verificatisi tra il pubblico che assisteva ad uno spettacolo di
gladiatori a Pompei nel 59 d.C.: tali episodi erano purtroppo frequenti e ciò spiega la durezza con cui
vengono puniti dall’imperatore.
Publio Cornelio Tacito (55 - 120 d.
C) probabilmente nacque nella
Gallia Narbonese (ma forse a Terni
o a Roma), da una ricca famiglia del
rango equestre. Studiò a Roma e
divenne presto famoso come
oratore. Divenne anche amico di
Plinio il Giovane. Iniziò la carriera
politica sotto Vespasiano e poi sotto
Tito e Domiziano. Poté però
dedicarsi alla carriera letteraria solo
dopo la morte dell’ultimo dei Flavi.
Fu questore nell’81-82, pretore
nell’88 e nel 97 divenne console
sotto Nerva. Abbandonata in seguito
l’oratoria, si dedicò solamente alla
ricerca storica.
Il primo degli scritti di Tacito in
ordine cronologico fu il “Dialogo
degli oratori” (81 d.C.); seguirono
poi a breve intervallo nel 98 la “Vita
di Agricola”
e la monografia
geografico-etnografica
sulla
Germania; da ultimo, nella piena
maturità, vennero composte le
Hitoriae e gli Annales (14 o 12 le
“Storie”, 16 o 18 gli “Annali”), che
narrano gli avvenimenti del primo
secolo dell'età imperiale, dalla morte
di Augusto a quella di Domiziano
(14-96 d.C.).
Sub idem tempus levi inizio atrox caedes orta inter
colonos
Nucerinos
Pompeianosque
gladiatorio
spectaculo, quod Livineius Regulus edebat. Quippe
oppidana lascivia invicem incessantes probra, dein saxa,
postremo ferrum sumpsere, validiore Pompeianorum
plebe, apud quos spectaculum edebatur. Ergo deportati
sunt in urbem multi e Nucerinis trunco per vulnera
corpore, ac plerique liberorum aut parentum mortes
deflebant. Cuius rei iudicium princeps senatui, senatus
consulibus permisit. Prohibiti publice in decem annos
eius modi coectus, collegiaque, quae contra leges
instituerant, dissoluta. Livineius et qui seditionem
conciverant exilio multati sunt.
“Pressappoco nello stesso periodo ci fu un violento
massacro per un futile motivo tra gli abitanti di Nocera e
quelli di Pompei durante uno spettacolo di gladiatori che
organizzava Livineio Regolo. Infatti con la rudezza tipica
dei provinciali si lanciavano insulti, poi sassi e infine
usarono le armi; ebbero la meglio quelli di Pompei presso
i quali era organizzato lo spettacolo. Così molti di quelli
di Nocera furono riportati nella loro città con il corpo
mutilato per le ferite, e parecchi piangevano la morte dei
figli e dei genitori. Il principe1 affidò il compito di
accertare le responsabilità di questo incidente al senato e
il senato ai consoli. Furono pubblicamente vietate per
dieci anni simili manifestazioni a Pompei e vennero
sciolte le associazioni che si erano costituite illegalmente.
Livineio e coloro che avevano provocato il disordine
furono condannati all’esilio.”
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Si tratta di Nerone, che regnò dal 54 al 68 d.C.