Condizioni generali di contratto

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Le condizioni generali di
contratto
Condizioni generali di contratto e clausole
vessatorie: in particolare, la ‘riserva di proprietà’
A cura dell’Avv. Simona Cardillo
CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO E CLAUSOLE VESSATORIE: IN PARTICOLARE, LA RISERVA DI PROPRIETÀ Le condizioni generali di contratto (art. 1341 c.c.) sono una serie di clausole contrattuali che un soggetto predispone per regolare uniformemente i suoi rapporti contrattuali. Nel campo dei rapporti commerciali tra imprenditori, la previsione delle condizioni generali nasce difatti dalla necessità di razionalizzare i rapporti dell’imprenditore che è solito stipulare numerosi contratti dello stesso genere con una serie indefinita di soggetti. Per evitare di estendere il dibattito contrattuale ad ogni singola clausola contrattuale, il legislatore ha consentito la possibilità di individuare clausole applicabili genericamente a tutti i futuri rapporti commerciali. Proprio in quest’ottica il Legislatore non chiede che dette clausole debbano essere singolarmente approvate dall'altro contraente e prevede, invece, che le condizioni generali di contratto per essere efficaci semplicemente debbano essere da quest’ultimo conoscibili. L’agevolazione del Legislatore trova fondamento nel principio per cui, con l'accettazione del contratto, il non predisponente si assoggetta volontariamente alla disciplina predisposta dall'altra parte. Non è, quindi, prevista la necessità di accertarsi che le condizioni generali siano effettivamente conosciute dai contraenti, se questi ultimi avrebbero potuto conoscerle usando l'ordinaria diligenza. Abbiamo detto quindi che l’imprenditore che intende avvalersene ha l’onere di rendere manifesta ai contraenti l'esistenza di condizioni generali e di renderle conoscibili, pena l’inefficacia delle stesse. Le condizioni generali inoltre devono essere chiaramente comprensibili: se le clausole sono ambigue, si interpretano a favore dell'aderente ex art. 1370 c.c.. Le condizioni generali di contratto sono generalmente espressione del fenomeno dei contratti commerciali nei quali un soggetto predispone l'intero regolamento contrattuale senza previa discussione del contenuto specifico, mentre l'altro non può far altro che accettare o rinunciare. Sono quindi previste una serie di cautele a favore della parte più debole, cautele che si realizzano in particolare nella previsione di una serie di clausole alle quali il soggetto aderente dovrebbe dedicare maggiore attenzione. Si tratta delle cc.dd. clausole vessatorie che sono nulle, se non approvate specificamente per iscritto. La legge determina in modo tassativo quali, fra le condizioni generali di contratto, siano da ritenere 'vessatorie' e stabilisce appunto che, per la loro validità, esse debbano essere specificamente approvate per iscritto (art. 1341 c.c.). Non basta cioè che sia firmato il documento contrattuale nel suo complesso: occorre anche che dette clausole siano appositamente approvate con una ulteriore specifica sottoscrizione. Le clausole vessatorie sono quelle che stabiliscono, a favore del predisponente, limitazioni di responsabilità (ammissibile comunque solo nel caso di colpa lieve) e facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione. Sono inoltre vessatorie le clausole che sanciscono, a carico dell'aderente: a) decadenze e limiti alla facoltà di proporre eccezioni; tuttavia, la clausola non è valida per le eccezioni di nullità, annullabilità, rescissione del contratto (art. 1462) e se la decadenza rende eccessivamente difficile l'esercizio del diritto (art. 2965); b) restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi (v. però gli artt. 1379 sul divieto di alienare, 1566 sul patto di preferenza nella somministrazione, 2569 sul patto di non concorrenza); c) tacite proroghe o rinnovazioni del contratto (v. però l'art. 1899); d) clausole 'compromissorie', che deferiscono cioè ad arbitri privati la decisione di una futura lite (clausole comunque non consentite per i diritti indisponibili). Per tali clausole dunque è necessaria la specifica approvazione per iscritto da parte del contraente aderente. Richiede particolari tutele ed è subordinata al requisito della forma scritta, seppur non sia una clausola vessatoria il ‘PATTO DI RISERVATO DOMINIO’ (dottrina e giurisprudenza appaiono concordi nel ritenere che il patto in esame, avendo l’obiettivo di caratterizzare la natura del negozio posto in essere, non rappresenti una clausola limitatrice della responsabilità del venditore o restrittiva della libertà contrattuale dell’acquirente – cit. Bianca). Per la legge italiana, salvo rare eccezioni, il passaggio della proprietà del bene dal venditore al compratore si realizza nel momento di perfezionamento del contratto, ovvero quando l’offerta e l’accettazione si incontrano. Nella vendita a rate (o comunque in caso di pagamento dilazionato del prezzo) è possibile, però, che le parti decidano di subordinare tale passaggio di proprietà all’integrale pagamento del prezzo delle merci vendute; il patto con cui si realizza tale obiettivo è, appunto, la riserva di proprietà o patto di riservato dominio. Nella vendita a rate con riserva della proprietà, in forza dell’art.1523 c.c., il compratore assume i rischi (di perdita o deterioramento) della cosa dal momento della consegna, ma ne acquista la proprietà solo col pagamento dell’ultima rata di prezzo (con conseguente divieto fino a tale momento di rivendere, modificare o trasformare la cosa). Per effetto della riserva di proprietà, per quanto i beni si trovino nella materiale disponibilità del compratore, il venditore ne resta quindi proprietario sino al loro pagamento integrale. L’effettiva utilità della riserva di proprietà dipende però in larga misura dalla sua opponibilità ai terzi. I “terzi” in questione sono, in particolare, i successivi acquirenti del compratore (nell’ipotesi in cui il compratore trasgredisca al divieto di cedere a terzi i beni prima di averli pagati al venditore ) ed i creditori del compratore. I primi sono coloro che hanno acquistato (a titolo di rivendita o altro) le merci sottoposte al vincolo della riserva di proprietà. Si presume, sino a prova contraria, che tale acquisto sia stato compiuto in buona fede (vedi art. 1147 c.c.). I creditori del compratore sono coloro che, vantando un diritto nei confronti di quest’ultimo, possono, per via giudiziaria, far pignorare e vendere coattivamente i beni del loro debitore in caso di mancato realizzo del loro diritto. Perché sia opponibile ai successivi acquirenti, questi ultimi devono aver agito in mala fede, acquistando la merce nella consapevolezza dell’assenza del titolo di proprietà in capo al loro venditore. Perché sia opponibile ai creditori del compratore, il patto di riservato dominio deve risultare da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento promosso da tali creditori (Per quanto riguarda il requisito della “data certa”, essa può risultare dalla certificazione di un notaio o di un pubblico ufficiale, ma anche, più semplicemente, dall’apposizione di un timbro datario presso un ufficio postale). Non solo, la legge disciplina alcune ipotesi nello specifico: a) se la clausola di riservato dominio “ha per oggetto macchine e il prezzo è superiore a euro 15,49” (art. 1524, comma 2°, c.c.): in questo caso occorre trascrivere il patto di riservato dominio nell’apposito registro tenuto presso la cancelleria del Tribunale del luogo ove si trovano le macchine; la somma di lire 30.000 non è mai stata aggiornata dal 1942. b) qualora riguardi “macchine utensili o di produzione, nuove, di prezzo unitario non inferiore a lire 500.000” e sia stato applicato “in una parte essenziale e ben visibile della macchina, un contrassegno recante l’indicazione del nome del venditore o locatore, del tipo di macchina, del numero di matricola della stessa, dell’anno di fabbricazione e del tribunale nella cui circoscrizione viene stipulato il contratto” (art. 1, Legge 28 novembre 1965, n. 1329); in questo caso la somma di L. 500.000 è quella “originale” espressa in lire. In questa ipotesi, il contratto di compravendita con clausola di riserva di proprietà deve essere stipulato “con atto pubblico o con scrittura privata autenticata” (art. 2, comma 1°, Legge 1329/1965) e trascritto presso la cancelleria del Tribunale con formalità analoghe a quelle di cui al punto precedente (art. 3, comma 1°, Legge 1329/1965). Infine, sempre al fine di rendere opponibile a tutti i terzi la riserva di proprietà cui sono sottoposte le macchine utensili di cui sopra, occorre predisporre e consegnare al compratore un “certificato di origine dal quale risultino i nomi dei contraenti, le condizioni di vendita e le clausole contrattuali” (art. 2, comma 2°, Legge 1329/1965). Il D.lgs. 9 ottobre 2002, n.231, in attuazione della direttiva 2000/35/CE, ha però reso maggiormente fruibile la tutela offerta dallo strumento codicistico della riserva di proprietà. In forza dell’art. 11, comma 3° del D. lgs. n. 231/2002, infatti, “la riserva della proprietà, di cui all’articolo 1523 del codice civile, preventivamente concordata per iscritto tra l'acquirente e il venditore è opponibile ai creditori del compratore se è confermata nelle singole fatture delle successive forniture aventi data certa anteriore al pignoramento e regolarmente registrate nelle scritture contabili”. Alle scritture contabili (e qui sta la novità) è quindi espressamente riconosciuto valore probatorio della data delle forniture. La nuova legge ha un ambito di applicazione relativamente limitato, ma comunque si applica alle forniture commerciali (di merci e servizi) tra imprese o tra imprese e pubbliche amministrazioni. Come si può notare, il richiamato art. 11 D. lgs. n. 231/2002, non fa invece riferimento ai successivi acquirenti ai quali il compratore stesso abbia ceduto le merci prima di pagarle. In questo caso restano pertanto validi i requisiti di opponibilità già previsti dal codice civile. La disciplina sulle clausole vessatorie fa sì che sia posta attenzione alle stesse, ma di fatto la sua efficacia risulta spesso limitata laddove l'aderente si trovi nell’impossibilità di rifiutarle se non astenendosi dalla sottoscrizione dell’intero contratto e rinunciando quindi all’intera operazione contrattuale. Proprio per affrontare tale circostanza, esistono norme comunque inderogabili dalle parti ed esistono cautele maggiori per i casi in cui il contratto intercorra tra un professionista ed un consumatore (parte inesperta e certamente debole rispetto al sinallagma contrattuale).