Caratteristiche della bolla speculativa immobiliare e della crisi

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Caratteristiche della bolla speculativa immobiliare e della crisi
Ministero dell’Economia e delle Finanze
Dipartimento del Tesoro
Note Tematiche
N°12 - Novembre 2009
CARATTERISTICHE DELLA BOLLA
SPECULATIVA IMMOBILIARE E DELLA
CRISI FINANZIARIA E POSSIBILI IMPATTI
SULL’ECONOMIA ITALIANA.
di Gabriele Velpi*
ISSN 1972-4128
JEL:
G15,G21,E32,R31
Keywords:
Financial crises, banks, business
cycles, housing markets
“Dipinte in queste rive
Son dell’umana gente
Le magnifiche sorti e progressive”
(Giacomo Leopardi, La Ginestra)
ABSTRACT
Questa nota si propone di fornire una panoramica il più possibile ampia
e completa, per quanto non esaustiva, delle cause, delle caratteristiche
e delle conseguenze della crisi, dapprima finanziaria e poi economica,
derivante dalla flessione nel mercato immobiliare e dei mutui negli Stati
Uniti d’America.
Lo studio verrà condotto prima di tutto prendendo in considerazione gli
sviluppi recenti nel mercato immobiliare e degli strumenti finanziari, sia
in sede internazionale, sia in Italia, allo scopo di valutare la possibilità
di correzioni nel medio periodo (cioè, al di là degli effetti meramente
recessivi) in un contesto globale. Se, infatti, fino al primo trimestre
2009, in conseguenza del congelamento del commercio mondiale,
sono state le economie più aperte agli scambi internazionali a soffrire
di più, vi sono motivi per ritenere che gli aggiustamenti di medio
periodo riguarderanno specialmente i Paesi più esposti ai fattori
specifici della crisi. L’analisi degli impatti sarà condotta sul piano
squisitamente qualitativo, in quanto non interessa tanto quantificare i
possibili danni all’economia italiana, quanto cercare di capire le radici e
le possibili conseguenze della crisi in atto, anche allo scopo di evitare
che si incorra in futuro in un rischio analogo.
* Ministero dell'Economia e delle Finanze. Corresponding author: Via XX Settembre 97, 00197
Rome - ITALY. Tel: +39-06-47618337. E-mail: [email protected]
Desidero ringraziare Lorenzo Codogno, Cristina Quaglierini e Livio Donis per gli utili consigli e
commenti che hanno contribuito a migliorare sensibilmente la qualità del lavoro.
1
note tematiche
INTRODUZIONE
Nell’analizzare la natura della crisi finanziaria che sta provocando un
deciso rallentamento della crescita mondiale, varie osservazioni
preliminari si rendono necessarie. Innanzitutto, occorre precisare che
le radici di tale crisi possono essere rinvenute in squilibri che
riguardano non solo l’economia statunitense, ma l’economia globale.
Le cause della crisi risiedono sia in eccessi realizzati per lungo tempo
all’interno delle diverse aree economiche, sia in squilibri tra queste
stesse aree. Inoltre, la crisi non è il risultato di problemi accumulati nel
solo settore bancario e finanziario, ma coinvolge vari settori e mercati.
White (2008) ne individua almeno quattro principali.
Innanzi tutto, i prezzi degli asset, soprattutto nel mercato immobiliare,
sono cresciuti nel periodo 2000-2007 a ritmi molto più alti della media
storica e più di quanto fosse spiegabile in base ai fondamentali
sottostanti. Poi, le imprese e gli istituti finanziari hanno mostrato una
esposizione al rischio molto maggiore che nella media storica. Inoltre,
è importante notare che a livello mondiale si è assistito ad una
graduale divergenza tra il saggio di risparmio nelle diverse economie:
da un lato, infatti, alcuni tra i più importanti Paesi occidentali (specie
quelli anglosassoni) hanno sperimentato un saggio di risparmio nullo o
talvolta negativo, mentre molti Paesi emergenti (in primis la Cina)
hanno realizzato saggi di risparmio e di conseguenza di accumulazione
del capitale molto elevati. Come risultato, negli ultimi anni sono stati
accumulati dei profondi squilibri nel commercio mondiale, in quanto i
Paesi più economicamente avanzati in molti casi finanziavano il
consumo con deficit della bilancia commerciale, mentre i Paesi con dei
surplus di bilancio —soprattutto emergenti— di fatto finanziavano i
Paesi più industrializzati accumulando riserve (specie in dollari) per
evitare l’apprezzamento della loro valuta e poter così continuare ad
accumulare surplus.
Certamente, nell’esporre le caratteristiche di tale crisi il caso degli Stati
Uniti è probabilmente il più emblematico. A partire dall’inizio degli anni
2000, nel Paese in esame si è verificato un aumento molto sostenuto
dei prezzi delle case che andava ben al di là dell’andamento dei
fondamentali e poteva per questo far pensare all’esistenza di una bolla
speculativa. Essendo la popolazione americana molto propensa
all’indebitamento ed il mercato del credito nella sua fase espansiva
(giacché la percezione del rischio era a livelli contenuti),
l’indebitamento delle famiglie per l’acquisto di abitazioni è aumentato
vertiginosamente, fino a superare il reddito disponibile. La percezione
del rischio è rimasta contenuta soprattutto grazie alla cartolarizzazione
dei mutui per la casa secondo il modello originate-to-distribute, nel
quale, pur se il rischio veniva diversificato, una quota di rischio
rilevante poteva restare de facto in capo all’intermediario e il il rischio
per l’intero sistema risultava nel contempo aumentato. La possibilità di
scaricare su terzi parte dei rischi ha indotto le banche a tenere
comportamenti non molto prudenti1.
Note Tematiche
La presente collana intende
promuovere la circolazione di Note
Tematiche prodotte nell’ambito del
Ministero dell’Economia e delle
Finanze, Dipartimento del Tesoro.
Il contenuto delle Note Tematiche
riflette esclusivamente le opinioni degli
autori e non impegna in alcun modo
l’Amministrazione.
1 A tale proposito, il presidente della Consob Lamberto Cardia scrive che in concomitanza con lo
scoppio della crisi “sono emersi segnali di fragilità del sistema finanziario, la cui crescita
tumultuosa era dovuta a incentivi non sempre compatibili con principi di corretta gestione e
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note tematiche
Le prime avvisaglie dell’esaurimento del ciclo espansivo nel settore
immobiliare e delle costruzioni statunitense si sono avute all’inizio del
2006, quando i prezzi delle case hanno cominciato a scendere per
effetto del rallentamento della domanda, inducendo una contrazione
negli investimenti residenziali e nella produzione nel settore delle
costruzioni. Da quel momento in poi, gli indicatori del mercato
immobiliare (indici di prezzo, permessi di costruzione, investimenti nel
settore) hanno mostrato una contrazione senza precedenti per rapidità
e intensità.
Durante l’estate del 2007 si è palesata con tutta evidenza la debolezza
del sistema, che aveva raggiunto (e superato) il limite di rottura.
L’elevato livello di indebitamento, la diffusione dei mutui a tasso
variabile e il rialzo da parte della Federal Reserve dei tassi di interesse,
che a detta di alcuni analisti erano stati fissati negli anni precedenti su
livelli troppo bassi, hanno provocato una serie di inadempienze nei
pagamenti delle rate, innescando una crisi di liquidità. Ciò si è tradotto
in una intensa crisi finanziaria a livello internazionale, che ha
comportato perdite ingenti non solo per le banche di investimento
americane. Infatti, i titoli legati ai mutui subprime erano entrati nei
portafogli delle banche e degli operatori di tutto il mondo.
La crisi si è trascinata sino all’estate del 2008. Tra la fine del 2007 e il
primo semestre del 2008 si collocano alcuni eventi di nazionalizzazione
de iure o de facto, come nel caso di Northern Rock in Inghilterra o
Freddie Mac e Fannie Mae negli Stati Uniti, eventi però meno eclatanti
di quelli successivi. Gli eventi più critici si collocano invece nelle prime
settimane del settembre 2008, quando Lehman Brothers ha dichiarato
fallimento, innescando una catena di salvataggi, acquisizioni2,
nazionalizzazioni3 e passaggi da pura banca d’investimento a banca
mista4 che hanno ridimensionato il ruolo della finanza nell’economia
globale. Da quel momento la fiducia dei mercati nella possibilità di
risolvere la crisi in tempi brevi e con pochi danni svanisce: la settimana
a partire dal 6 ottobre 2008 è rimasta nell’immaginario collettivo come
la settimana più nera delle borse dopo la crisi del ‘29. Diversi istituti
bancari hanno chiuso il 2008 in perdita5.
Di fronte a tali eventi, le reazioni dei policy makers sono state
inizialmente idiosincratiche. Se, da una parte, la Federal Reserve ha
effettuato una serie di manovre espansive per contrastare il calo della
domanda, per molto tempo la Banca Centrale Europea ha, al contrario,
allocazione del rischio”. Di fronte ad eventi del genere, non si può che ribadire l’importanza della
vigilanza sul comportamento bancario e dell’esistenza di regole trasparenti. Infatti, sicuramente
“non va disconosciuto né ostacolato il ruolo dinamico e propulsivo dell’innovazione finanziaria,
che ha contribuito significativamente alle più recenti fasi di crescita. I prodotti divengono tuttavia
sempre più complessi e richiedono un corrispondente adeguamento degli standard di
trasparenza e di correttezza da parte di coloro che li creano e li distribuiscono” (Cfr. Consob,
Incontro Annuale con il Mercato Finanziario, cit., pag. 2 e 28). Tali conclusioni risultano vere non
solo per l’Italia, ma anche (e, come vedremo, a maggior ragione) per le altre economie
avanzate.
2 È il caso di Bear Stearns, acquisita da J P Morgan e di Fortis, la cui maggioranza è stata
acquistata da BNP Paribas dopo un intervento di sostegno da parte dei governi di Belgio e
Lussemburgo.
3 Si pensi alla Royal Bank of Scotland (RBS) e alle principali banche islandesi.
4 È il caso di Morgan Stanley e Goldman Sachs, che grazie al cambiamento citato ora possono
avere accesso ai finanziamenti della Federal Reserve.
5 Tra gli altri, nel 2008 hanno registrato un risultato netto di gestione negativo UBS e RBS.
3
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insistito nel tutelare la stabilità dei prezzi, alzando i tassi al 4,25% a
luglio 2008, per poi invece cambiare rapidamente rotta da ottobre in
poi, quando si è materializzato il pericolo di recessione ed è sfumato, di
converso, quello dell’alta inflazione. A ottobre 2009, i tassi (nominali) di
policy degli Stati Uniti e del Giappone erano prossimi allo zero, quello
del Regno Unito pari allo 0,5 per cento e quello dell’area euro pari all’1
per cento, tutti valori sensibilmente inferiori a quelli registrati un anno
prima.
Anche la politica fiscale è intervenuta. I primi passi sono stati mossi a
luglio 2008 dal piano Paulson, il primo tentativo di razionalizzare le
linee di intervento di aiuti a sostegno dei settori in crisi. I Paesi
dell’Unione Europea hanno dapprima agito in maniera indipendente,
ma poi hanno stabilito delle regole comuni per assicurare un maggior
grado di coordinamento tra le politiche nazionali6. I piani predisposti
prevedono per lo più interventi da parte dei Tesori nazionali allo scopo
di sostenere gli istituti di credito sottocapitalizzati con una iniezione di
capitale pubblico e di porre una garanzia pubblica sui depositi bancari.
Nonostante gli effetti diretti e indiretti della crisi si siano già in parte
esplicati e i primi segnali di ripresa congiunturale si siano manifestati
più o meno in tutte le aree economiche, notevoli incertezze
permangono in merito all’entità degli aggiustamenti nel medio termine,
che potrebbero riguardare soprattutto il ciclo del credito e, con esso, il
sentiero futuro di consumi ed investimenti.
Da una parte, infatti, vi è una forte incertezza in merito alla correzione
nei mercati immobiliari nelle principali economie, specie in
considerazione del fatto che è molto difficile misurare l’entità di una
bolla speculativa e quindi prevederne l’intensità della correzione.
Dall’altra, vi è il rischio che non sia ancora del tutto emersa la
debolezza degli istituti bancari, sia per quanto riguarda la presenza di
titoli legati ai mutui subprime, sia per quanto riguarda la ripercussioni
del peggioramento della congiuntura economica sul sistema bancario
attraverso il deterioramento della qualità del credito, per cui è ancora
difficile stimare l’entità dei danni della crisi sul sistema bancario
globale. Ciò getta incertezza sul sentiero di espansione futura del
credito.
Di seguito verrà effettuata un’analisi circa gli elementi strutturali che
determinano l’esposizione alla crisi, con particolare attenzione al
mercato immobiliare, alla struttura bancaria e all’indebitamento del
settore privato.
Si pensi allo European Economic Recovery Plan (EERP), definito da una comunicazione della
Commissione Europea al Consiglio Europeo, nel quale, oltre a fissare regole comuni di
intervento, viene attuata una manovra di 200 miliardi di euro, di cui 30 provenienti dai fondi
comunitari e il resto dagli Stati Nazionali, con finalità anti-crisi. La manovra si poggia su due
pilastri: se, da una parte, essa ha lo scopo di contrastare la carenza di domanda e quindi si
configura come una manovra di breve periodo, dall’altra pone un’attenzione particolare alla
corretta allocazione delle spese verso quelle in grado di favorire maggiormente innovazione e
qualità dei processi produttivi, in vista di un aumento della produttività e della competitività dei
Paesi nel lungo periodo in linea con le priorità di Lisbona.
6
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note tematiche
UNO
SGUARDO SUL MERCATO DELLE CASE E DEI MUTUI IN CONTESTO
INTERNAZIONALE
Prima degli anni ‘80 i mercati dei mutui erano nella generalità delle
economie molto regolamentati e dominati da istituzioni che, operando
in posizione quasi monopolistica, fissavano dei limiti quantitativi al
credito concesso e richiedevano onerose garanzie così da generare in
misura cronica razionamenti del credito. Negli ultimi 20-30 anni essi
hanno seguito un processo di deregolamentazione che li ha resi più
flessibili e concorrenziali, sebbene in misura differenziata nei diversi
Paesi7.
Per misurare il grado di liberalizzazione nelle varie economie, lo staff
del Fondo Monetario Internazionale ha costruito un indice di sviluppo
del mercato dei mutui; esso dipende dal rapporto tra importo del
prestito e valore dell’abitazione (Loan-to-value ratio, LTV), dalla durata
del prestito, dalla possibilità di scambiare attività legate ai mutui sui
mercato secondari, dalla possibilità di ricontrattare le condizioni dei
mutui nel tempo e dall’importanza dei mercati finanziari come fonte di
finanziamento. I mercati dei mutui che risultano essere più sviluppati
sono quello degli Stati Uniti con 0,98 e della Danimarca con 0,82;
l’Italia, al contrario, con un valore pari a 0,26, occupa tra i Paesi
considerati una delle posizioni più basse in graduatoria8.
Negli ultimi anni si sono registrate anche interessanti differenze per
quanto riguarda la relazione tra settore immobiliare e ciclo economico.
Ad esempio, la tenuta del mercato immobiliare dopo il 2000, in
concomitanza con un ciclo economico debole, contrasta con la
correlazione alta e positiva che si è quasi sempre registrata tra le due
variabili in una prospettiva storica. Nelle economie - come quella
statunitense - in cui il mercato del lavoro è molto flessibile e l’intensità
di lavoro nel settore immobiliare è alta, il supporto dato dalla domanda
nel mercato immobiliare ha sostenuto gli investimenti nel settore e
l’occupazione. In altri Paesi, in cui sono presenti maggiori rigidità dal
lato dell’offerta, la domanda ha esercitato i suoi effetti soprattutto sui
prezzi, accrescendoli e generando una bolla speculativa (fig. 1).
L’importanza del mercato immobiliare
nella congiuntura economica e le
caratteristiche del mercato dei mutui a
partire dagli anni ottanta hanno subito
notevoli
cambiamenti
in
molte
economie
7 La riforma è stata infatti molto più rapida nei Paesi anglosassoni e in Nord Europa; al contrario,
nell’Europa continentale (Germania, Francia e Italia) il mercato dei mutui ha continuato per molto
tempo ad essere dominato da istituzioni pubbliche.
8 Cfr. International Monetary Fund, (aprile 2008), World Economic Outlook, cit., pag. 105.
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Fig. 1 Prezzi delle case in confronti internazionali
300.0
Numero indice (2000:1=100)
250.0
200.0
150.0
100.0
50.0
0.0
2000:1
Stati Uniti
Germania
Francia
Gran Bretagna
Spagna
Area dell'euro
2001:1
2002:1
2003:1
2004:1
2005:1
2006:1
Italia
2007:1
2008:1
2009:1
Fonte: OCSE
La figura di sopra mostra che la crescita dei prezzi delle case è
tutt’altro che un fenomeno eminentemente statunitense; diversi Paesi
europei hanno mostrato una crescita dei prezzi delle case superiore a
quella registrata negli Stati Uniti.
Effettuando un’analisi comparativa, Hilbers et al. (2008) riscontrano
che i prezzi delle case nel periodo dal 1970 al 2007 hanno subito trend
divergenti. Ciò appare strano soprattutto considerando i Paesi dell’area
dell’euro, per i quali il tasso di interesse nominale è lo stesso9. Gli
autori suddividono il campione di paesi in tre categorie in base alla
velocità di crescita dei prezzi delle case (fast line, average performers
e slow movers); l’Italia risulta collocarsi nella fascia intermedia
(average performers)10.
I fattori che spiegano i movimenti nei prezzi delle case sono diversi a
seconda dei gruppi di appartenenza. Per le prime due categorie,
sembra che la crescita dei prezzi sia stata sostenuta dalla crescita nel
reddito disponibile pro capite e dal calo del costo d’uso11. Il calo di
quest’ultimo può essere spiegato dall’allentamento della politica
monetaria, a cui ha corrisposto un calo nelle rate pagate per i mutui, e
dall’aumento nella proporzione di ricchezza investita in attività
9 In realtà, gli stessi autori sono consapevoli del fatto che il mercato immobiliare è molto lontano
dall’essere un mercato concorrenziale ed efficiente per una serie di motivi (tra cui, la non
fungibilità degli immobili, gli alti costi di transazione, il basso turnover, la rigidità dell’offerta, le
differenti condizioni nel sistema di finanziamento e i differenti regimi di imposte e sussidi).
10 Fanno parte della fast line Paesi come Irlanda, Spagna e Regno Unito; fanno invece parte
degli slow movers Germania e Austria.
11 Il costo d’uso determina il rapporto tra il prezzo degli immobile e il costo di affitto; in equilibrio,
il valore attuale del flusso futuro dei costi d’uso (moltiplicati per il valore dell’immobile) e prezzo
di affitto devono essere uguali. Tale variabile dipende, tra gli altri, direttamente dal costo
opportunità dell’investimento in attività prive di rischio, dalla differenza nel trattamento tributario
delle due modalità di fruizione dell’abitazione e dal costo di mantenimento e inversamente dal
guadagno atteso nel valore dell’immobile. L’evidenza empirica mostra che il rapporto tra prezzo
delle case e costo d’affitto è inversamente correlato al costo d’uso.
6
note tematiche
immobiliari a partire dal 200012, effettuata a spese della quota detenuta
in ricchezza finanziaria. Questo fenomeno non dovrebbe apparire
strano alla luce della scarsa performance dei mercati finanziari nel
periodo 2000-2003. La diffusa tendenza a vedere, a partire dal 2000, il
mercato immobiliare come il principale sbocco di detenzione della
ricchezza e di investimento può essere considerata uno degli elementi
principali che hanno scatenato il formarsi della bolla speculativa nel
settore in questione.
Per quanto riguarda invece gli slow movers, sembrerebbe che il trend
dei prezzi delle case possa essere spiegato dall’ampia offerta, dal
basso tasso di proprietà delle case e dal basso grado di sviluppo del
mercato dei mutui, fattore che ha contenuto la crescita nella domanda
di case.
Ė molto probabile che variazioni dei prezzi delle case, attraverso effetti
ricchezza sul patrimonio dei consumatori, abbiano un impatto sulla
spesa per consumi. Tuttavia, il segno della relazione non è chiaro in
quanto le abitazioni possono costituire sia un asset, sia una spesa
necessaria, e quindi variazioni nel loro prezzo sostanzialmente
ridistribuiscono la ricchezza tra diverse categorie di consumatori.
Empiricamente, sembra che a prevalere sia il ruolo delle abitazioni
come garanzia collaterale e quindi l’effetto reddito dell’aumento dei
prezzi delle case sarebbe positivo e tanto più alto quanto più elevato è
l’indice di sviluppo del mercato dei mutui. Tuttavia, emergono notevoli
divergenze tra le diverse economie considerate.
Dunque, forti oscillazioni nel valore della case potrebbero essere una
fonte di instabilità macroeconomica, in quanto un aumento nella
domanda che determina un aumento nei prezzi delle case genera un
ulteriore aumento nella domanda. Questo è vero soprattutto nei
mercati con un elevato tasso di liquidità delle attività legate ai mutui,
perché in esse il valore dell’acceleratore finanziario, che segna la
relazione tra variazioni nel valore degli asset e spesa per consumi, è
più elevato. L’effetto destabilizzante di variazioni nel valore dei beni
collaterali può prevalere13 su quello, opposto, di una maggiore
possibilità di consumption smoothing nel caso di temporanei shock nel
reddito percepito. Inoltre, nelle economie con mercati dei mutui più
moderni è più alto il rischio di comportamenti irrazionali e di moral
hazard; il superamento della soglia di tolleranza nel rapporto
debito/reddito potrebbe infatti elevare la volatilità nei consumi, anziché
contenerla.
Al fine di studiare più a fondo le relazioni reciproche tra il settore
immobiliare e il ciclo economico nel World Economic Outlook (WEO) di
aprile 2008 è stato stimato un VAR per ogni Paese considerato14. Tra i
risultati, è emerso che la domanda di case spiega gran parte della
variazione negli investimenti residenziali e nei prezzi delle case; ciò
dimostrerebbe che il settore immobiliare presenta dinamiche sue
proprie. Allo sesso tempo, però, queste dinamiche si sono accentuate
nell’ultimo periodo, costituendo perciò una possibile ulteriore causa di
volatilità per l’attività economica generale. La fonte di volatilità sembra
Questa tendenza ha provocato un aumento repentino nel tasso di proprietà di abitazioni in
molti Paesi europei.
13 Cfr. Kiyotaki e Moore (1997), cit.
14 Cfr, International Monetary Fund, (aprile 2008), World Economic Outlook, cit., pag. 112-117.
12
7
note tematiche
pervenire più dalle variazioni di prezzo che da fluttuazioni negli
investimenti residenziali. Infatti, il livello di esposizione del settore
immobiliare (misurato dal rapporto investimenti nel settore
residenziale/PIL) è, salvo rare eccezioni tra cui Irlanda e Spagna, in
media abbastanza basso (all’incirca il 6,5%). Tuttavia, esso è
aumentato negli ultimi anni, sostenuto dalla crescita nei prezzi delle
case (per la generalità dei Paesi si è registrata una correlazione
positiva tra le due variabili). La misura in cui le dinamiche del settore
immobiliare si riflettono sull’attività economica non è però omogenea
tra le diverse economie: mentre in Usa arrivano a spiegare anche il 2025% della varianza dell’output, in Europa spiegano mediamente il 5%.
Da ciò deriva che le oscillazioni di reddito derivanti da correzioni nel
mercato immobiliare tendono ad essere più contenute in Europa che
negli Stati Uniti.
IL RUOLO DELL’INNOVAZIONE FINANZIARIA
Come già accennato, l’attuale crisi è stata il risultato
dell’accumulazione di squilibri che hanno investito più mercati, non
ultimo quello del credito e dei prodotti finanziari ad esso associati.
Infatti, la straordinaria crescita nei prezzi delle case e l’incredibile
aumento nell’indebitamento delle famiglie è stato possibile grazie
all’innovazione finanziaria, che ha generato nuovi strumenti in grado
(almeno apparentemente) di contenere i rischi e quindi di estendere il
credito anche a quei clienti (come quelli subprime) la cui solvibilità era
tutt’altro che sicura.
Dunque, elemento determinante nell’innescare la crisi in atto sarebbe
stata un’espansione eccessiva del credito in momenti di incauto
ottimismo. Per quanto gli eventi di recente avvenuti possano sembrare
del tutto eccezionali e il frutto di shock particolarmente negativi, in
realtà la storia economica ricorda parecchi episodi, simili a quello da
noi analizzato, di espansione del credito, seguiti poi da una correzione
più o meno severa dell’avversione al rischio degli operatori e quindi da
un rallentamento dell’attività economica15. L’attuale crisi presenta
quindi molti aspetti in comune con crisi avvenute in passato, sebbene
alcune modalità con le quali si è presentata siano ad essa specifiche.
Quello che in particolare colpisce è la straordinaria intensità e globalità
con la quale si è manifestata, a causa dell’innovazione finanziaria e
della sempre crescente interdipendenza tra le economie.
Un ruolo preminente nell’innovazione finanziaria e nell’eccessiva
espansione del credito è stato ricoperto dallo straordinario sviluppo
delle posizioni over-the-counter (OTC), quali i collateralised debt
obbligations (CDO), che permettono di cartolarizzare i mutui, e i credit
default swaps (CDS), nati dalla necessità di fornire un’assicurazione
sul rischio di credito e di diversificare il rischio su un numero elevato di
investitori. L’introduzione di tali strumenti ha comportato l’insorgere di
15
I sistemi finanziari liberalizzati sono
intrinsecamente prociclici e per questo
potenzialmente destabilizzanti
Cfr. Reinhart e Rogoff (2008), cit.
8
note tematiche
una serie di elementi critici, che dipendono soprattutto dalla lacunosità
della legislazione attualmente vigente. Ad esempio, nel caso di CDO al
soggetto che compra il rischio di credito della controparte (cosiddetto
protection seller), a differenza che alle istituzioni assicurative vere e
proprie, non è imposto alcun limite minimo alla quantità di riserve da
detenere. In questo modo, per i protection sellers sorge un incentivo
alla sottocapitalizzazione. Inoltre, il fatto che le garanzie tra le
controparti si compensano in parte vicendevolmente, in quanto spesso
gli stessi soggetti sono protection sellers su alcune attività e protection
buyers su altre, può indurre una sottostima dell’esposizione di tali
soggetti. Infatti, un aumento generalizzato nelle insolvenze avrebbe
potuto causare il fallimento dei vari protection sellers a prescindere
dalla presenza di garanzie incrociate, anzi forse proprio a causa di
esse per l’operare di un effetto a catena.
Inoltre, per tali strumenti manca un meccanismo di mercato che
permetta la formazione dei prezzi ai quali queste attività possano
essere scambiate sul mercato secondario in base alla normale legge
della domanda e dell’offerta16. Il prezzo di vendita di questi strumenti è
infatti deciso sulla base delle valutazioni effettuate dalle agenzie di
rating e da esse dipende il giudizio in merito al rischio dei soggetti che
sono sottostanti all’obbligazione. La mancanza di un meccanismo
tradizionale di formazione del prezzo e la distanza tra i soggetti debitori
iniziali e gli ultimi giratari cui si perviene dopo un numero più o meno
ampio di scambi aumenta la possibilità che il prezzo praticato, che
resta lo stesso dal primo all’ultimo scambio, si discosti da quello che
rispecchierebbe il rischio effettivo della controparte. In particolare, la
mancanza di un mercato secondario non rende possibile adeguare
progressivamente il prezzo di tali attività ai mutamenti nel tempo del
grado di rischio della controparte.
È anche possibile che i giudizi sull’affidabilità stabiliti dalle agenzie di
rating non riflettessero il reale grado di rischio neppure nel momento
stesso della loro formulazione, a causa della presenza di un vero e
proprio problema di agenzia. Infatti, le stesse società che effettuavano
le valutazioni circa il grado di rischiosità dei clienti lucravano sul
collocamento dei titoli sul mercato ed erano per questo incentivate ad
attribuire ai clienti la valutazione più alta, così da vendere i titoli
connessi al prezzo più elevato possibile.
Un peggioramento nel grado di solvibilità di alcuni soggetti, non
trasmesso dai segnali di mercato, è ciò che è effettivamente avvenuto:
al culmine della fase espansiva del credito e dell’erogazione di mutui, il
pericolo di inflazione ha indotto la Federal Reserve a praticare una
serie di rialzi del tasso di interesse di policy, provocando di
conseguenza un aumento nei tassi sui mutui e del grado di rischio di
soggetti altamente indebitati. A questo aumento del rischio non è però
seguito un aumento nel prezzo dei titoli che avevano come garanzia
dei rapporti di credito originari. L’adeguamento, che non è potuto
avvenire attraverso il prezzo, è avvenuto però (e in ritardo) attraverso
le quantità, quando i soggetti che, temendo di vedere decurtate le loro
attività, hanno cercato di vendere tali attività non hanno più trovato altri
disposti a comprarle e per questo motivo hanno subito delle ingenti
perdite.
16
Cfr. Trevisan, Quei titoli senza regole, cit.
9
note tematiche
E’ ormai opinione diffusa che i sistemi finanziari liberalizzati siano
intrinsecamente prociclici17. Per questo motivo, nonostante
costituiscano indubbiamente uno strumento di crescita nel lungo
periodo, essi possono essere destabilizzanti, in quanto possono
accentuare l’ampiezza del ciclo economico. Nell’opinione di White
(2008), sono tre gli elementi che, grazie all’avanzare del progresso
tecnologico, hanno reso maggiormente prociclici i sistemi finanziari: la
sempre maggiore possibilità di cartolarizzare i titoli, la globalizzazione
dei mercati e le operazioni di concentrazione, che hanno messo la
maggior parte dei titoli in mano a poche, grandissime società.
Il meccanismo in base al quale sistemi finanziari liberalizzati possono
acuire l’ampiezza del ciclo economico può essere così spiegato: in
sistemi in cui le attività di credito sono cartolarizzate e il valore dei beni
sottostanti (nel caso specifico, le case acquistate attraverso la
contrazione del mutuo) è utilizzato come garanzia, un allentamento
nella percezione del rischio, a prescindere dalla condizione per la
quale si verifica, genera un’espansione del credito e, attraverso
l’aumento conseguente della domanda, una crescita nel valore delle
garanzie prestate. Dato che esse possono essere utilizzate come
collaterale nel caso di insolvenza, ciò tende a far diminuire ancor di più
la percezione del rischio e quindi a far espandere ulteriormente il
credito. Inoltre, le stesse banche, poiché tendono a percepire come più
sicura la loro posizione grazie all’aumento nel valore delle garanzie,
sono incentivate ad indebitarsi e quindi a divenire gradualmente
sempre più sottocapitalizzate, incrementando il livello di leverage. Un
alleggerimento nel rischio percepito e una conseguente espansione del
credito tendono quindi ad alimentare sé stessi, fintantoché si verifichino
aumenti nella domanda e per questa via aumenti nei prezzi degli asset
usati come collaterali. Se ad un certo punto l’indebitamento dei soggetti
che fanno capo al titolo originario (tipicamente, famiglie e imprese)
risulta aver superato il punto di rottura e non essere per questo più
sostenibile, allora si innesca un meccanismo opposto, con un
irrigidimento nella percezione del rischio e una contrazione del credito
e del valore degli asset, che alimenta sé stesso attraverso una
diminuzione nel valore degli asset usati come collaterali, contribuendo
a produrre condizioni recessive per l’intera economia.
Poiché questo meccanismo destabilizzante è immanente all’operare di
sistemi finanziari liberalizzati, sarebbe incauto ritenere che ciò che è di
recente successo sia di carattere del tutto straordinario e non possa
quindi accadere di nuovo in futuro. Anzi, come giustamente osserva
White (2008), è plausibile ritenere che con l’avanzare del progresso
tecnico e dell’innovazione finanziaria l’entità dell’acceleratore
finanziario cresca. Questo fenomeno richiede una sempre maggiore
responsabilità delle autorità preposte alla vigilanza e dei policy makers.
Allo scopo di analizzare la relazione tra innovazione finanziaria, livello
di indebitamento ed intensità della crisi economica derivante da uno
shock finanziario, possiamo fare riferimento ad un’analisi effettuata dal
Fondo Monetario Internazionale18. Innanzi tutto, l’evidenza empirica
suffragherebbe l’idea che, tra tutti gli shock di natura finanziaria (crisi
Cfr., ad esempio, Borio e White (2004), cit., White (2008), cit., International Monetary Fund
(ottobre 2008), cit.
18 Cfr. International Monetary Fund, (ottobre 2008), World Economic Outlook, cit.
17
10
note tematiche
bancarie, dei mercati finanziari e valutarie), quelli di natura bancaria
producono gli effetti più intensi e duraturi e si traducono con più facilità
in recessione. Inoltre, la stima di un modello su dati panel mostra che
il grado di prociclicità del leverage19 di un sistema economico dipende
positivamente dal grado di arm’s length20, ossia da quanto il sistema di
finanziamento faccia maggiore affidamento a strumenti di mercato
piuttosto che alla tradizionale relazione tra l’istituto bancario e il cliente.
Ciò significa che le banche in economie con un maggiore grado di
sviluppo finanziario sono più propense all’indebitamento quando il
valore dei loro asset aumenta. La motivazione, abbastanza intuitiva, è
che in sistemi maggiormente market-oriented il meccanismo sopra
citato di espansioni e contrazioni del credito che si autoalimentano
agisce in presenza di minori attriti rispetto al caso di sistemi più
tradizionali. Infine, nella citata analisi condotta dal Fondo Monetario
Internazionale emerge che in sistemi più intensamente prociclici le
recessioni derivanti da shock finanziari sono più profonde e durature.
Per questo motivo, è probabile che sotto il profilo dell’operare di tale
canale nelle economie molto sofisticate la ripresa sia più lenta che in
quelle più tradizionali.
LA SPECIFICITÀ DEL MERCATO IMMOBILIARE ITALIANO
Nel cercare di valutare la possibilità che in Italia si verifichino
aggiustamenti
di
medio
periodo
nelle
principali
variabili
macroeconomiche, è indubbiamente necessario prendere in
considerazione l’intensità dello sviluppo nel mercato dei mutui e
dell’innovazione finanziaria nel Paese. Se, infatti, risulta vero che
anche in Italia si è assistito recentemente al fenomeno, manifestatosi a
livello internazionale, di sviluppo del mercato dei mutui e
dell’innovazione finanziaria, sembrerebbe però che l’intensità di tale
sviluppo sia molto meno marcata per l’Italia che per le altre principali
economie.
Una comparazione su base internazionale dell’indice di sviluppo del
mercato dei mutui rivela per il mercato italiano un basso grado di
complessità (Cfr. tab. 1). Nel periodo 2001-2006, il valor medio del
rapporto tra valore del prestito e valore dell’immobile (LTV) è stato pari
al 50 per cento in Italia e il periodo medio di restituzione del prestito 15
anni; negli Stati Uniti tali grandezze sono rispettivamente l’80 per cento
e 30 anni. Secondo la Banca d’Italia, il rapporto tra prestito e valore
dell’immobile è cresciuto nel tempo, attestandosi al 70 per cento nel
2006, un valore comunque non elevato.
La correzione nel mercato delle
costruzioni, immobiliare e del credito
in Italia, che pure è attesa in una certa
misura, sarà probabilmente non molto
accentuata
Il grado di pro ciclicità del leverage bancario è dato dal coefficiente di correlazione tra valore
del leverage delle banche (totale del valore degli assets sul valore del capitale proprio) e il valore
degli asset bancari. Quest’ultima grandezza può aumentare sia per un aumento del volume degli
asset delle banche sia per un aumento del loro valore unitario. Se esso è positivo (come sembra
generalmente essere), le banche tendono ad indebitarsi di più in momenti in cui il valore dei loro
asset aumenta.
20 Esso è calcolato come una media di diversi fattori: liquidità del credito privato (crediti
privati/PIL), competizione (spread tra tassi sui debiti e sui prestiti) e grado di sviluppo dei mercati
finanziari (quota dei ricavi delle banche non provenienti da interessi sul totale dei ricavi).
19
11
note tematiche
Tab. 1 Indice di sviluppo del mercato dei mutui
Propensione marginale al consumo della ricchezza immobiliare
Italia
‐0,01 (0,02)*
Stati Uniti
0.14
Regno Unito
0.07
Germania
0.06
0.26
0.98
0.58
0.28
Indice del mercato dei mutui
* Muzzicato, Sabbatini, Zollini, (Banca d'Italia), "Prices of residential properties in Italy: constructing a new indicator"
Fonte: Fondo Monetario Internazionale, Weo (aprile 2008)
Anche per quanto riguarda il grado di innovazione finanziaria sembra
che l’Italia non mostri un grado di complessità elevato. Il livello di arm’s
length è infatti basso in un confronto internazionale, e così pure il
grado di prociclicità del leverage (Tab. 2). Considerando che queste
variabili risultano molto significative nello spiegare la durata e l’intensità
delle crisi economiche conseguenti a shock di natura finanziaria, questi
dati dovrebbero confortare circa il minore impatto della crisi sulla
crescita italiana nel medio termine.
Tab. 2 Grado di innovazione finanziaria
Italia
0.44
0.02
Arm's length
Prociclicità del leverage
Stati Uniti Regno Unito Germania
0.74
0.56
0.38
0.27
0.38
0.14
Fonte: Fondo Monetario Internazionale, Weo (Ottobre 2008)
Fig. 2 il mercato dei mutui in Italia
12,0
3,2
Prestiti alle famiglie
Sofferenze sul totale del credito alle famiglie (scala dx)
10,0
3,0
6,0
2,6
Quota %
2,8
4,0
2,4
2,0
2,2
0,0
-2,0
2,0
gen-07
feb-07
mar-07
apr-07
mag-07
giu-07
lug-07
ago-07
set-07
ott-07
nov-07
dic-07
gen-08
feb-08
mar-08
apr-08
mag-08
giu-08
lug-08
ago-08
set-08
ott-08
nov-08
dic-08
gen-09
feb-09
mar-09
apr-09
mag-09
giu-09
lug-09
ago-09
var. % a/a
8,0
Fonte: Banca d’Italia
12
note tematiche
Il basso grado di sviluppo del mercato dei mutui in Italia indicherebbe
una minore intensità del ciclo immobiliare italiano rispetto alle altre
economie. Per stimarne l’entità, il Fondo monetario internazionale ha
calcolato la variabile price gap, che misura la parte del prezzo delle
case che non può essere spiegata dai fondamentali. Il price gap risulta
essere più contenuto per l’Italia rispetto alla maggioranza dei Paesi
esaminati (rispettivamente 10 per cento contro 30 per cento circa in
Irlanda, Olanda e Regno Unito).
Con riferimento all’andamento atteso dei prezzi delle case, è
importante tenere in considerazione le variabili che indicano in quale
punto del ciclo versa oggi il settore italiano delle costruzioni (fig. 3). Da
diversi semestri l’Agenzia del Territorio21 rileva una domanda di
abitazioni in forte calo. In base agli ultimi dati disponibili, nel primo
semestre 2009 le compravendite sono diminuite del 15,3 per cento
rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente (−15,6 per
cento nel settore residenziale). Anche gli investimenti in costruzioni
(destinati non solo alla costruzione di nuove case ma anche al
recupero di quelle esistenti) sembrerebbero aver esaurito quella vitalità
che caratterizzava il ciclo immobiliare fino all’anno scorso. Dal 1998 al
2007 gli investimenti in costruzioni sono aumentati cumulativamente
del 29,4 per cento e in media del 2,9 per cento all’anno; tuttavia, la loro
crescita è diminuita dal 2005 in poi, quando si è registrato un aumento
medio annuo degli investimenti dell’1,0 per cento22.
Fig. 3 Investimenti e fiducia nel settore delle costruzioni in Italia
10,0
10
8,0
0
6,0
-10
2,0
-20
0,0
-30
-2,0
-4,0
Indice
variazione % annuale
4,0
-40
-6,0
-50
investimenti in costruzioni
-8,0
fiducia nelle costruzioni CE (scala dx)
-60
-10,0
1985
1987
1989
1991
1993
1995
1997
1999
2001
2003
2005
2007
Fonte: Istat e Commissione Europea
Cfr. Agenzia del Territorio, Osservatorio Mercato Immobiliare, Il mercato immobiliare nel
secondo trimestre 2009.
22 Cfr. Nomisma, Osservatorio sul mercato immobiliare, 2-08, cit., pag. 31.
21
13
note tematiche
Dal lato dell’offerta, il settore delle costruzioni, nonostante sia
maggiormente soggetto ad aggiustamenti di medio periodo, mostra
una contrazione molto più contenuta di quella dell’industria in senso
stretto. Gli ultimi dati Istat segnalano per il secondo trimestre 2009 un
calo dell’11,4 per cento rispetto al trimestre corrispondente per la
produzione e dell’8,1 per cento per gli investimenti nel settore delle
costruzioni. Nell’industria in senso stretto le corrispondenti variazioni
sono pari al -22,1 per cento e al -21,8 per cento.
In aggiunta alle considerazioni intorno alla maggiore tenuta del settore
delle costruzioni rispetto all’industria in senso stretto, occorre notare
che le ripercussioni che un calo delle costruzioni può avere sull’attività
economica totale è minore di quanto non si pensi comunemente. I dati
sotto riportati (tab. 3) confortano circa il basso peso del settore delle
costruzioni (residenziali e di altro tipo) sull’attività economica generale
in Italia. Infatti, su base storica emerge che la quota di investimenti in
costruzioni sul PIL non è stata particolarmente alta nel periodo 20032007; al contrario, essa è stata più alta nei periodi 1983-1987 e 19881992. Analogamente, il contributo del settore delle costruzioni alla
crescita del PIL nel periodo 2003-2007 è stato sensibilmente più basso
che nei periodi 1988-1992 e 1998-2002. In base a tali dati si può
sostenere che con tutta probabilità una flessione nel settore delle
costruzioni avrebbe un impatto diretto non considerevole sul prodotto
interno lordo.
Tab. 3 Importanza del settore delle costruzioni in Italia
Investimenti in costruzioni/PIL (%)
Contributi delle costruzioni alla crescita (pp)
1983-1987 1988-1992 1993-1997 1998-2002 2003-2007
11,47
11,03
9,61
9,51
10,47
0,00
0,06
-0,02
0,08
0,02
Fonte: Datastream
Nonostante la forte contrazione registrata da diversi semestri dal lato
della domanda, i prezzi delle case hanno mostrato una certa
vischiosità. In base ai dati dell’Agenzia del Territorio, fino al secondo
semestre 2008 (1,6 per cento rispetto al secondo semestre 2007) i
prezzi hanno continuato a crescere, seppure in rallentamento, e solo
nel primo semestre 2009 hanno mostrato una (lievissima) flessione,
pari allo 0,3 per cento rispetto al primo semestre 2008. Inoltre, in base
ai dati storici una variazione negativa anno su anno dei prezzi delle
abitazioni è un evento infrequente.
Un’indagine della Banca d’Italia conforta circa la validità di tali
conclusioni. Per il terzo trimestre 2009, circa la metà degli operatori
prevede una stabilità nei prezzi delle case, mentre l’altra metà prevede
una riduzione. Per di più, la situazione generale del settore nel medio
periodo (a due anni) sarebbe favorevole, anche se i giudizi dell’ultima
rilevazione sono più cauti che nella rilevazione precedente.
Anche nel caso in cui i prezzi delle case dovessero scendere in misura
piuttosto consistente, l’impatto negativo per l’economia italiana si
dovrebbe limitare alla contrazione dell’attività nel settore delle
costruzioni e ai settori ad esso collegati. La stima del Fondo Monetario
14
note tematiche
Internazionale dell’effetto ricchezza sui consumi delle famiglie (ovvero
la propensione marginale al consumo delle famiglie del valore degli
asset immobiliari detenuti) ha dato un risultato sostanzialmente nullo23.
Altre stime di istituti di ricerca forniscono risultati analoghi24. Per la
Banca d’Italia, invece, il valore dell’effetto ricchezza immobiliare per
l’Italia è minore rispetto ai Paesi anglosassoni ma non è nullo
(rispettivamente pari a circa il 2 per cento contro 5-10 per cento)25. In
conclusione, sebbene il segno della relazione tra consumi e ricchezza
immobiliare non sia certo, quello che è certo è che essa non è di molto
superiore allo zero ed è quindi distante dai valori elevati e
statisticamente significativi trovati per alcune altre economie, quali
quelle anglosassoni (si veda, a tale proposito, la Tab. 1).
Tali conclusioni sono confermate anche dai risultati della stima di un
modello VAR che il Fondo Monetario internazionale ha effettuato per
vari Paesi. Il coefficiente che misura quanto le dinamiche del mercato
immobiliare spiegano della variabilità dell’attività economica generale è
molto più basso per l’Italia rispetto a Danimarca, Giappone e
soprattutto Stati Uniti, anche se superiore a Regno Unito e Germania.
Inoltre in Italia esso risulta essere diminuito sensibilmente nel tempo,
dal 15 per cento al 5 per cento, mostrando un’evoluzione di segno
opposto rispetto alla generalità dei Paesi considerati.
Tab.4 Mercato immobiliare e ciclo economico
1970-1982
1983-2007
Italia
12,5
5,0
Stati Uniti Regno Unito Germania
6,0
2,4
2,5
22,5
2,3
2,0
Fonte: Fondo Monetario Internazionale, Weo (aprile 2008)
In sintesi, non vi sono dubbi che in questo periodo si sia giunti ad una
svolta nel settore delle costruzioni, però si tratta pur sempre di “una
svolta cui si è giunti […] in maniera meno violenta rispetto a quanto
non si registri oggi sui mercati anglosassoni26”. Infatti, si può
plausibilmente ritenere che la correzione nei prezzi delle abitazioni
perl’anno in corso (2009) e per gli anni immediatamente successivi
non sarà significativa. Inoltre, anche qualora la contrazione dei prezzi
dovesse essere superiore a quanto è lecito attendersi in base alle
informazioni sinora disponibili, essa avrebbe un impatto
sostanzialmente nullo o molto contenuto sui consumi delle famiglie.
Cfr. International Monetary Fund, (aprile 2008), World Economic Outlook, cit.
Prometeia, 2008, Mimeo. La causa principale potrebbe essere la scarsa diffusione in Italia di
strumenti finanziari sofisticati in grado di rendere maggiormente liquida la ricchezza immobiliare.
25 Muzzicato, Sabbatini e Zollino (2008), cit.
26 Cfr. Nomisma, Osservatorio sul mercato immobiliare, 2-08, cit., pag. 24.
23
24
15
note tematiche
LA SPECIFICITÀ DEL SETTORE BANCARIO ITALIANO
Riguardo al mercato dei prodotti finanziari, sembra essersi formato un
consenso generalizzato circa la minore esposizione alla crisi finanziaria
del sistema bancario italiano rispetto ad altri paesi industrializzati27. In
Italia, non sono finora accaduti episodi simili a quelli avvenuti in molti
altri Paesi, con corse agli sportelli e fallimenti di società di
intermediazione finanziaria. Non si sono resi necessari neppure
interventi statali correttivi o d’emergenza28, come è successo nel caso
dell’apertura di linee di credito straordinarie per Fannie Mae e Freddie
Mac da parte del Tesoro americano o della nazionalizzazione delle
perdite della banca d’investimento inglese Northern Rock. Anche il
Financial Times, prendendo in considerazione i due maggiori gruppi
bancari italiani, Unicredito Banca e Intesa San Paolo, ha definito
solide le banche italiane29.
La ragione di questa maggiore impermeabilità del sistema bancario
italiano risiederebbe proprio nel fatto che esso presenta una minore
esposizione alle variabili finanziarie toccate dalla crisi e un minor grado
di sofisticazione rispetto a quelli dei Paesi anglosassoni o di Paesi
dell’Europa continentale quali Germania e Svizzera, il che ha reso le
banche italiane generalmente meno profittevoli, ma anche meno
esposte a rischi. Il modello italiano, infatti, decisamente più
tradizionale, sembrerebbe basarsi in minima parte sul modello
originate-to-distribute, preferendo invece ricorrere ai depositi quale
fonte principale di raccolta30. La conoscenza diretta del cliente
permetterebbe un maggiore controllo dei rischi e una maggiore
attenzione alle prospettive di profittabilità nel medio-lungo termine.
Per questi motivi, le operazioni in prodotti strutturati acquistati sul
mercato secondario sono in Italia tradizionalmente piuttosto limitate.
Inoltre, nel 2008 (23 miliardi di euro) esse risultavano inferiori di 9
miliardi di euro rispetto al 2007. Sempre nel 2008, più della metà
dell’esposizione era costituita da titoli legati ai mutui di alta qualità
erogati a cittadini dell’Area dell’euro, mentre la quota di titoli legati ai
cittadini statunitensi, più rischiosi, era trascurabile. Anche l’esposizione
nei confronti degli hedge funds era limitata (circa 3,6 miliardi di euro).
L’esposizione delle banche italiane alle economie dell’Europa centroorientale (148 miliardi di euro), molte delle quali sono classificate come
economie emergenti, risultava invece comparativamente abbastanza
elevata; tuttavia, circa il 40 per cento delle operazioni riguardava Paesi
Il sistema bancario italiano è stato
meno coinvolto di altri nel processo di
innovazione finanziaria
27 Cfr., per esempio, AIAF- ASSIOM- ATIC FOREX, 21 febbraio 2009, Speech by the Governor
of the Bank of Italy Mario Draghi, cit.
28 Occorre comunque ricordare che il governo ha varato due decreti legge (n. 155/08 e n.
157/08, poi convertiti nella L. 190 del 4 dicembre 2008), in cui si garantiva il sostegno alle
banche sottocapitalizzate, si sostenevano operazioni volte al sostegno della liquidità
interbancaria e si emetteva una garanzia sui depositi. Inoltre, il decreto n. 185/08 (poi convertito
nella L. 2 del 28 gennaio 2009) ha statuito la possibilità della sottoscrizione da parte del Tesoro
delle obbligazioni di banche sottocapitalizzate.
29 Cfr. Financial Times, “Sturdy Italian banks”, 14 maggio 2008.
30 Basti pensare che delle 799 banche italiane censite dalla Banca d’Italia ben 432 sono banche
di credito cooperativo e solo 247 sono società per azioni. I gruppi bancari sono 81 (Cfr. Banca
d’Italia, Relazione Annuale sul 2008, cit.).
16
note tematiche
a basso rischio (Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia)31.
La Consob conferma l’idea di un’economia italiana meno esposta alla
crisi, in cui non solo “l’esposizione delle famiglie italiane a rischi legati a
mutui subprime non era particolarmente critica32”, ma anche
“l’esposizione delle società quotate operanti nei settori bancario e
assicurativo verso strumenti finanziari riconducibili ai mutui subprime
era limitata33”.
Le perdite dirette bancarie legate alla crisi subrime si attestano
secondo una stima della Banca d’Italia34 attorno ai 4,5 miliardi di euro,
una somma certamente non trascurabile, ma comunque contenuta se
confrontata con le perdite delle principali banche internazionali. Anche
il ROE dei maggiori gruppi bancari italiani, nonostante abbia subito una
flessione di circa otto punti percentuali rispetto al 2007, è stato nel
2008 abbastanza soddisfacente (5,9 per cento, 7,1 per cento se si
escludono le componenti di reddito non ricorrenti)35, confermando
l’idea della solidità del sistema bancario italiano. Il calo della
profittabilità si è verificato in conseguenza del fatto che il margine di
interesse, aumentato del 10,3 per cento rispetto al 2007, non è stato in
grado di compensare la caduta in altre componenti dei ricavi. In
particolare, la quota del risultato di gestione assorbita dalle svalutazioni
sui crediti nel 2008 (pari al 46,7 per cento) è raddoppiata rispetto al
2007 (quando era pari al 21,4 per cento).
Se si confronta tale peggioramento con l’andamento presentato da
banche di altra nazionalità, si nota che l’impatto sui bilanci bancari
italiani è stato comparativamente limitato. In base ad un’indagine
condotta da Mediobanca contenente un confronto tra i principali gruppi
bancari36 il ROE delle banche italiane è calato nel primo semestre
2008 in misura sensibilmente minore che nella media dei gruppi
bancari presi in considerazione. Inoltre, tale risultato è stato ottenuto
senza compensare le perdite su crediti, abbastanza contenute, con
aumenti consistenti nel margine di intereresse (come è stato invece il
caso di S.té Générale). I risultati sono riportati nella tabella seguente
(Tab. 5):
Cfr. Banca d’Italia, Relazione Annuale sul 2008, cit., pag. 212.
Cfr. Consob, Discorso del presidente Lamberto Cardia all’Incontro Annuale con il Mercato
Finanziario, 14 luglio 2008, cit., pag. 3.
33 Cfr. Consob, Discorso del presidente Lamberto Cardia all’Incontro Annuale con il Mercato
Finanziario, 14 luglio 2008, cit., pag. 3.
34 Cfr, Banca d’Italia, Bollettino Economico, gennaio 2009, cit., pag. 38.
35 Cfr, Banca d’Italia, aprile Relazione Annuale sul 2008, cit.
36 Cfr. Mediobanca, 2008, Ricerche e studi, le maggiori banche europee nel 2008, cit.
31
32
17
note tematiche
Tab.5 Risultati di esercizio in alcuni gruppi bancari nel 1S08 – Variazioni percentuali a/a
UBS
Lloyds TSB
RBS
BNP Paribas
S.té Générale
Dexia Fortis
Deutsche Bank
Intesa Sanpaolo
Unicredit
Tutti i gruppi bancari
Paese
CH
UK
UK
FR
FR
BE
BE
DE
IT
IT
Margine d'interesse
36.4
28.1
48.2
25.9
213.2
29.3
‐9.0
39.8
24.1
13.1
24.0
Perdite su crediti
‐
24.0
73.4
133.2
160.6
1364.2
728.6
39.9
5.4
14.8
72.8
Risultato netto (*)
‐238.6
‐62.6
‐115.4
‐27.2
‐1.0
‐45.5
‐41.1
‐86.7
‐41.3
‐30.4
‐59.2
(*) In rosso le banche che hanno registrato una perdita nel 2S08
Fonte: Mediobanca, Le maggiori banche europee nel 2008, cit.
In base ad un precedente studio dello stesso istituto, la scarsa
detenzione di titoli legati ai mutui subprime non sembra essere l’unica
motivazione del soddisfacente livello della redditività delle banche
italiane; hanno avuto effetti benefici anche le operazioni di fusione che
hanno permesso di abbattere i costi di gestione37.
Per quanto riguarda la situazione patrimoniale delle banche, i risultati
non sono univoci. Le banche italiane mostrerebbero infatti dei valori dei
parametri di Basilea inferiori alla media, però il rapporto tra il totale
dell’attivo tangibile e il patrimonio netto tangibile, secondo alcuni un
indicatore più affidabile della situazione patrimoniale, dà un segnale
positivo (tabella 6). Inoltre, occorre notare che i coefficienti di
patrimonializzazione risultano più bassi per le banche italiane anche a
causa dei criteri più rigidi che altrove applicati dalla Banca d’Italia38.
Tab.6 Situazione patrimoniale di alcuni gruppi bancari a giugno 2008
UBS
Lloyds TSB
RBS
BNP Paribas
S.té Générale
Dexia Fortis
Deutsche Bank
Intesa Sanpaolo
Unicredit
Media
Paese
CH
UK
UK
FR
FR
BE
BE
DE
IT
IT
Coefficiente di solvibilità (*)
15.7
11.3
13.1
11.0
10.9
12.3
10.8
12.1
9.5
10.1
11.7
Tier 1/APR (†)
11.6
8.6
8.6
7.6
8.2
11.4
9.1
9.3
6.6
na
9.0
Totale attivo tangibile/PN tangibile(‡)
1.9
2.3
3.2
2.4
3.1
1.3
2.5
1.3
3.7
3.2
2.5
(*) Il coefficiente di solvibilità è dato dal rapporto patrimonio di vigilanza/attivo ponderato per il rischio (APR) secondo gli accordi di Basilea
(†) Tier 1 è la somma del capitale proprio e delle riserve visibili (‡) Il totale attivo tangibile è composto da beni con una forma fisica, come macchinari, stabilimenti e terra. Il patrimonio netto tangibile è pari al totale attivo tngibile meno il capitale di terzi.
Fonte: Mediobanca, Le maggiori banche europee nel 2008, cit.
Cfr. Mediobanca, 2008, Ricerche e studi, Dati cumulativi delle principali banche internazionali
(1997-2007), pag. 60. Nell’indagine citata viene preso in considerazione il cost/income ratio,
ottenuto dividendo i costi operativi (personale, ammortamenti e spese generali) sui ricavi
operativi.
38 Cfr. Banca d’Italia, Relazione Annuale sul 2008, cit. In generale, la normativa prudenziale
appare essere, in Italia, più severa. Ad esempio, gli hedge funds sono soggetti a
regolamentazione, al contrario di quanto non avvenga comunemente. Tale maggiore rigore ha
indotto la Banca d’Italia a proporre innovazioni al sistema di incentivi dei manager bancari,
agganciandolo a variabili di profittabilità nel medio-lungo termine.
37
18
note tematiche
A giudizio della Banca d’Italia, il patrimonio di vigilanza, pari a 204,6
milioni di euro nel 2008 e cresciuto dell’1,4 per cento rispetto al 2007, è
sempre rimasto ben al di sopra dei minimi regolatori e presenta una
elevata qualità. Inoltre, anche in uno scenario più pessimistico con una
crescita nel 2009 e nel 2010 inferiore di 3 punti percentuali rispetto alle
previsioni delle principali istituzioni internazionali, uno stress test
dimostra che le perdite bancarie nette sarebbero pari ad un quinto del
capitale in eccesso e dunque il capitale bancario assumerebbe
comunque un valore superiore al minimo regolamentare39.
CONSIDERAZIONI IN MERITO AL GRADO DI INDEBITAMENTO ITALIANO
Dall’analisi condotta finora emerge che lo sviluppo, da una parte, del
mercato immobiliare e, dall’altra, di prodotti finanziari complessi ha
favorito l’indebitamento di soggetti fisici e giuridici, introducendo degli
squilibri nel sistema economico globale. Pertanto, un ruolo chiave
nell’attuale crisi è costituito dalle variabili di debito di famiglie, istituti
finanziari e imprese non finanziarie, che occorre prendere in esame al
fine di valutare, al di là degli effetti meramente recessivi, la sostenibilità
del modello di sviluppo delle diverse economie. Il grado di
indebitamento risulta dunque la variabile che, più di tutte, fornisce una
visione sintetica dell’esposizione strutturale ai fattori della crisi e della
possibilità di aggiustamenti – nel sentiero di consumo per le famiglie,
nel sentiero di investimenti per le imprese, nel sentiero del credito
concesso per gli istituti finanziari - nel medio periodo.
La tabella 7 contiene i dati relativi al grado di indebitamento (in
percentuale del PIL) che è stato registrato nel 2007 nel settore privato
(famiglie e imprese, finanziarie e non) nella maggior parte dei Paesi
europei. Come si può notare, l’indebitamento del settore privato italiano
è basso rispetto alla maggior parte dei Paesi considerati, specie se si
escludono i Paesi dell’Est europeo: l’indebitamento nei settori delle
famiglie, delle imprese finanziarie e delle imprese non finanziarie è per
l’Italia rispettivamente pari al 34,2 per cento, all’86,1 per cento e al 73,8
per cento, contro una media per gli altri Paesi considerati del 58,7 per
cento, del 103,3 per cento e del 94,1 per cento.
Per quanto riguarda l’indebitamento delle famiglie, le economie più
esposte risultano essere la Danimarca, i Paesi Bassi e il Regno Unito.
Il settore finanziario più esposto risulta invece essere quello irlandese,
seguito da quello olandese. Le società non finanziarie più indebitate
sono quelle belghe, portoghesi, svedesi e spagnole.
39
Il basso grado di indebitamento
delle famiglie italiane conforta
circa la bassa probabilità di
correzioni consistenti nel medio
periodo
Cfr. Banca d’Italia, Relazione Annuale sul 2008, cit.
19
note tematiche
Tab.7 Indebitamento del settore privato nel 2007 (in percentuale del PIL)
Belgio
Bulgaria
Danimarca
Germania
Estonia
Irlanda
Grecia
Spagna
Francia
Italia
Lettonia
Lituania
Ungheria
Paesi Bassi
Austria
Polonia
Portgallo
Romania
Slovenia
Slovacchia
Finlandia
Svezia
Regno Unito
Norvegia
Famiglie Società finanziarie Società non finanziarie Totale settore privato
46,9
44,7
158,0
249,6
24,5
22,8
109,1
156,4
129,4
205,2
95,2
429,7
63,4
75,2
67,0
205,6
48,4
61,7
115,6
225,8
97,5
479,2
111,2
687,8
47,0
7,8
57,2
112,1
83,6
96,3
130,9
310,8
48,6
105,2
97,8
251,5
34,2
86,1
73,8
194,1
47,7
59,1
79,3
186,1
27,1
16,6
55,2
99,0
29,4
42,7
96,0
168,1
118,5
378,2
92,0
588,7
53,4
102,2
82,0
237,6
23,9
12,8
35,4
72,1
94,1
66,5
142,6
303,3
19,2
13,0
70,0
102,2
25,0
52,8
81,1
158,9
24,6
59,0
32,8
116,4
49,4
70,1
101,3
220,8
70,8
101,9
135,5
308,1
100,2
220,5
108,9
429,6
78,5
83,4
110,4
272,3
Fonte: Eurostat
La sostenibilità del sistema italiano è testimoniata dagli indicatori della
qualità del credito, che, nonostante il graduale peggioramento negli
ultimi mesi dovuto alla congiuntura fortemente negativa, sembra
ancora attestarsi su livelli storicamente soddisfacenti: ad agosto il
rapporto sofferenze/crediti era pari al 4,0 per cento per le imprese e al
2,9 per cento per le famiglie consumatrici40.
POLITICA MONETARIA E BOLLE SPECULATIVE
I cambiamenti avvenuti nel mercato immobiliare e nei suoi effetti sul
ciclo economico hanno importanti ripercussioni sulla politica monetaria.
Movimenti nei tassi di interesse di policy esercitano effetti sulla spesa
non più solo attraverso gli usuali canali diretti, come ad esempio lo
stimolo dato agli investimenti e ai consumi dai cambiamenti nella
40
La politica monetaria deve tener conto
dei prezzi degli asset oppure no?
Fonte: Banca d’Italia.
20
note tematiche
disponibilità e nelle condizioni di credito, ma anche attraverso
variazioni nei prezzi delle case41. Le motivazioni possono essere varie;
tra queste, la possibilità che le istituzioni finanziarie reagiscano, in un
clima maggiormente concorrenziale, più velocemente a variazioni dei
tassi di policy, e che un accesso più facilitato al mercato del credito
ampli l’effetto di variazioni dei tassi di interesse sui prezzi delle case.
Anzi, la stima da parte dello staff del Fondo Monetario internazionale di
un VAR per gli USA suggerisce che dopo lo sviluppo della liquidità nel
mercato dei mutui shock di politica monetaria42 hanno effetto più sui
prezzi delle case, che sugli investimenti nel settore residenziale,
contrariamente al periodo precedente (in generale, questo sembra
essere vero per le economie con mercati dei mutui sviluppati). Inoltre, il
paragone della situazione effettivamente realizzata negli Stati Uniti con
uno scenario alternativo in presenza di una politica monetaria più
restrittiva mostra che la presenza di tassi di interesse particolarmente
bassi tra il 2001 e il 2003 ha contribuito all’elevato tasso di espansione
degli investimenti residenziali e dei prezzi delle case, e quindi alla bolla
speculativa nel mercato immobiliare.
Sulla base di ciò, è possibile considerare un eventuale inserimento dei
prezzi delle case nella funzione obiettivo della Banca centrale, così che
le autorità possano reagire al formarsi di bolle speculative. Tuttavia
nella letteratura vi è maggiore accordo sull’intervento delle banche
centrali nel caso di scoppio di una bolla speculativa, che nel caso di
una sua formazione. Secondo la visione tradizionale, la banca centrale
non dovrebbe assolutamente intervenire in presenza di aumenti nei
prezzi delle case che vanno oltre quanto spiegato dal tasso di
inflazione e dall’espansione economica, data la difficoltà di riconoscere
una bolla speculativa e misurarne l’entità e data l’incertezza degli effetti
della politica monetaria su di essa43.
A questa visione, si è però recentemente affiancato un secondo filone
di pensiero, secondo il quale il comportamento asimmetrico sarebbe in
qualche misura incoerente sotto il profilo intertemporale, mentre
attuare una stretta monetaria in presenza di bolle speculative potrebbe
aiutare a contenere gli effetti destabilizzanti di tali squilibri, nonché a
responsabilizzare maggiormente speculatori e istituzioni finanziarie44.
Secondo tali autori, solo in questo modo sarebbe possibile minimizzare
l’ampiezza del ciclo economico nel lungo periodo.
Un esempio concreto di questo secondo filone di pensiero è fornito
dall’esperienza della Banca Centrale Svedese, che, proprio al fine di
contenere la crescita del debito e dei prezzi delle case, nel 2006 ha
attuato una stretta monetaria pur in presenza di aspettative
inflazionistiche in diminuzione.
Controllare i prezzi degli assets non significherebbe per forza
modificare il mandato delle banche centrali. Tale obiettivo potrebbe
essere infatti raggiunto semplicemente prendendo a riferimento nella
Cfr., tra i lavori che avvalorano l’impatto del tasso di policy sui prezzi degli immobili
residenziali, Iossiflov et al. (2008), cit. e Hilbers et al. (2008), cit. in particolare, in quest’ultimo
lavoro si sottolinea la diversa reattività del prezzo delle case nei vari Paesi europei a
cambiamenti nel tasso di interesse monetario (che è unico).
42 Le impulse response function sono state normalizzate al fine di depurare l’analisi dagli effetti
di politiche monetarie profondamente diverse nei due sottoperiodi.
43 Cfr. A. S. Posen, Why central banks should not burst bubbles, cit
44 Cfr. N. Rubini, Why central banks should burst bubbles, cit.
41
21
note tematiche
funzione di perdita delle banche centrali un arco di tempo più ampio
per l’inflazione e il reddito. Ragionevolmente, la reazione della banca
centrale dovrà essere differenziata a seconda del grado di sviluppo del
mercato dei mutui; tanto più alto è l’indice, tanto più la variabile relativa
al valore degli asset dovrebbe assumere un peso elevato all’interno
della funzione obiettivo, e tanto più aggressiva dovrebbe essere la
risposta a shock della domanda nel mercato immobiliare. Questa
visione giustifica appieno il comportamento asimmetrico (almeno in un
primo momento) delle banche centrali statunitense ed europea:
essendo il mercato statunitense dei mutui molto più sviluppato di quello
europeo, per stabilizzare le economie è opportuno che la Federal
Reserve assuma un comportamento più aggressivo della Banca
Centrale Europea.
La necessità che i policy makers adottino regole e misure di politica
economica che siano compatibili con obiettivi di lungo periodo ha
importanti conseguenze anche in termini di politica fiscale. Infatti, da
una parte può essere efficace e desiderabile cercare di contrastare un
ciclo economico negativo sostenendo la situazione patrimoniale delle
banche sottocapitalizzate; d’altra parte, però, occorre fare attenzione a
non fornire incentivi all’assunzione di comportamenti rischiosi
garantendo l’intervento pubblico nei patrimoni delle banche in
situazioni di difficoltà. Al fine di evitare ciò, potrebbe essere utile, se
non necessario, punire i soggetti che hanno praticato il moral hazard e
rafforzare il ruolo delle autorità di vigilanza. Inoltre, è necessario
ridisegnare il sistema di incentivi in modo tale che non siano discorsivi,
cioè che non inducano a comportamenti tesi a massimizzare i profitti di
breve periodo.
CONCLUSIONI
In conclusione, l’evidenza delle crisi avvenute in passato che possono
essere a quest’ultima paragonate ci porta ad affermare che saranno
soprattutto gli squilibri strutturali (in particolare, l’indebitamento del
settore privato) a determinare la possibilità di aggiustamenti nel medio
periodo.
Per l’Italia, l’analisi di una serie di indicatori ci porta ad escludere per
quest’ultima la possibilità di una correzione profonda nel tempo del
settore immobiliare e delle costruzioni, unitamente ad un pesante
deleveraging di famiglie, imprese e istituti bancari. Nel complesso,
l’esposizione dell’Italia ai fattori specifici della crisi economica
internazionale sembra modesta e comparativamente inferiore a quella
dell’Area dell’euro (o ad altri paesi paragonabili).
Certamente, il grado di incertezza resta elevato. Ad esempio, vi sono
molti dubbi sulla possibilità di correggere in breve tempo gli squilibri
mondiali e sul modo in cui il riequilibrio avrà luogo. Una correzione
disordinata di questi potrebbe impedire una ripresa economica vivace
anche nelle economie meno esposte.
Il minor deleveraging atteso di
famiglie, istituti finanziari e imprese
italiane rispetto a quelle di altra
nazionalità suggerisce ceteris paribus
un’uscita più vivace dell’Italia dalla
recessione
22
note tematiche
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