Caratteristiche della bolla speculativa immobiliare e della crisi
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Caratteristiche della bolla speculativa immobiliare e della crisi
Ministero dell’Economia e delle Finanze Dipartimento del Tesoro Note Tematiche N°12 - Novembre 2009 CARATTERISTICHE DELLA BOLLA SPECULATIVA IMMOBILIARE E DELLA CRISI FINANZIARIA E POSSIBILI IMPATTI SULL’ECONOMIA ITALIANA. di Gabriele Velpi* ISSN 1972-4128 JEL: G15,G21,E32,R31 Keywords: Financial crises, banks, business cycles, housing markets “Dipinte in queste rive Son dell’umana gente Le magnifiche sorti e progressive” (Giacomo Leopardi, La Ginestra) ABSTRACT Questa nota si propone di fornire una panoramica il più possibile ampia e completa, per quanto non esaustiva, delle cause, delle caratteristiche e delle conseguenze della crisi, dapprima finanziaria e poi economica, derivante dalla flessione nel mercato immobiliare e dei mutui negli Stati Uniti d’America. Lo studio verrà condotto prima di tutto prendendo in considerazione gli sviluppi recenti nel mercato immobiliare e degli strumenti finanziari, sia in sede internazionale, sia in Italia, allo scopo di valutare la possibilità di correzioni nel medio periodo (cioè, al di là degli effetti meramente recessivi) in un contesto globale. Se, infatti, fino al primo trimestre 2009, in conseguenza del congelamento del commercio mondiale, sono state le economie più aperte agli scambi internazionali a soffrire di più, vi sono motivi per ritenere che gli aggiustamenti di medio periodo riguarderanno specialmente i Paesi più esposti ai fattori specifici della crisi. L’analisi degli impatti sarà condotta sul piano squisitamente qualitativo, in quanto non interessa tanto quantificare i possibili danni all’economia italiana, quanto cercare di capire le radici e le possibili conseguenze della crisi in atto, anche allo scopo di evitare che si incorra in futuro in un rischio analogo. * Ministero dell'Economia e delle Finanze. Corresponding author: Via XX Settembre 97, 00197 Rome - ITALY. Tel: +39-06-47618337. E-mail: [email protected] Desidero ringraziare Lorenzo Codogno, Cristina Quaglierini e Livio Donis per gli utili consigli e commenti che hanno contribuito a migliorare sensibilmente la qualità del lavoro. 1 note tematiche INTRODUZIONE Nell’analizzare la natura della crisi finanziaria che sta provocando un deciso rallentamento della crescita mondiale, varie osservazioni preliminari si rendono necessarie. Innanzitutto, occorre precisare che le radici di tale crisi possono essere rinvenute in squilibri che riguardano non solo l’economia statunitense, ma l’economia globale. Le cause della crisi risiedono sia in eccessi realizzati per lungo tempo all’interno delle diverse aree economiche, sia in squilibri tra queste stesse aree. Inoltre, la crisi non è il risultato di problemi accumulati nel solo settore bancario e finanziario, ma coinvolge vari settori e mercati. White (2008) ne individua almeno quattro principali. Innanzi tutto, i prezzi degli asset, soprattutto nel mercato immobiliare, sono cresciuti nel periodo 2000-2007 a ritmi molto più alti della media storica e più di quanto fosse spiegabile in base ai fondamentali sottostanti. Poi, le imprese e gli istituti finanziari hanno mostrato una esposizione al rischio molto maggiore che nella media storica. Inoltre, è importante notare che a livello mondiale si è assistito ad una graduale divergenza tra il saggio di risparmio nelle diverse economie: da un lato, infatti, alcuni tra i più importanti Paesi occidentali (specie quelli anglosassoni) hanno sperimentato un saggio di risparmio nullo o talvolta negativo, mentre molti Paesi emergenti (in primis la Cina) hanno realizzato saggi di risparmio e di conseguenza di accumulazione del capitale molto elevati. Come risultato, negli ultimi anni sono stati accumulati dei profondi squilibri nel commercio mondiale, in quanto i Paesi più economicamente avanzati in molti casi finanziavano il consumo con deficit della bilancia commerciale, mentre i Paesi con dei surplus di bilancio —soprattutto emergenti— di fatto finanziavano i Paesi più industrializzati accumulando riserve (specie in dollari) per evitare l’apprezzamento della loro valuta e poter così continuare ad accumulare surplus. Certamente, nell’esporre le caratteristiche di tale crisi il caso degli Stati Uniti è probabilmente il più emblematico. A partire dall’inizio degli anni 2000, nel Paese in esame si è verificato un aumento molto sostenuto dei prezzi delle case che andava ben al di là dell’andamento dei fondamentali e poteva per questo far pensare all’esistenza di una bolla speculativa. Essendo la popolazione americana molto propensa all’indebitamento ed il mercato del credito nella sua fase espansiva (giacché la percezione del rischio era a livelli contenuti), l’indebitamento delle famiglie per l’acquisto di abitazioni è aumentato vertiginosamente, fino a superare il reddito disponibile. La percezione del rischio è rimasta contenuta soprattutto grazie alla cartolarizzazione dei mutui per la casa secondo il modello originate-to-distribute, nel quale, pur se il rischio veniva diversificato, una quota di rischio rilevante poteva restare de facto in capo all’intermediario e il il rischio per l’intero sistema risultava nel contempo aumentato. La possibilità di scaricare su terzi parte dei rischi ha indotto le banche a tenere comportamenti non molto prudenti1. Note Tematiche La presente collana intende promuovere la circolazione di Note Tematiche prodotte nell’ambito del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento del Tesoro. Il contenuto delle Note Tematiche riflette esclusivamente le opinioni degli autori e non impegna in alcun modo l’Amministrazione. 1 A tale proposito, il presidente della Consob Lamberto Cardia scrive che in concomitanza con lo scoppio della crisi “sono emersi segnali di fragilità del sistema finanziario, la cui crescita tumultuosa era dovuta a incentivi non sempre compatibili con principi di corretta gestione e 2 note tematiche Le prime avvisaglie dell’esaurimento del ciclo espansivo nel settore immobiliare e delle costruzioni statunitense si sono avute all’inizio del 2006, quando i prezzi delle case hanno cominciato a scendere per effetto del rallentamento della domanda, inducendo una contrazione negli investimenti residenziali e nella produzione nel settore delle costruzioni. Da quel momento in poi, gli indicatori del mercato immobiliare (indici di prezzo, permessi di costruzione, investimenti nel settore) hanno mostrato una contrazione senza precedenti per rapidità e intensità. Durante l’estate del 2007 si è palesata con tutta evidenza la debolezza del sistema, che aveva raggiunto (e superato) il limite di rottura. L’elevato livello di indebitamento, la diffusione dei mutui a tasso variabile e il rialzo da parte della Federal Reserve dei tassi di interesse, che a detta di alcuni analisti erano stati fissati negli anni precedenti su livelli troppo bassi, hanno provocato una serie di inadempienze nei pagamenti delle rate, innescando una crisi di liquidità. Ciò si è tradotto in una intensa crisi finanziaria a livello internazionale, che ha comportato perdite ingenti non solo per le banche di investimento americane. Infatti, i titoli legati ai mutui subprime erano entrati nei portafogli delle banche e degli operatori di tutto il mondo. La crisi si è trascinata sino all’estate del 2008. Tra la fine del 2007 e il primo semestre del 2008 si collocano alcuni eventi di nazionalizzazione de iure o de facto, come nel caso di Northern Rock in Inghilterra o Freddie Mac e Fannie Mae negli Stati Uniti, eventi però meno eclatanti di quelli successivi. Gli eventi più critici si collocano invece nelle prime settimane del settembre 2008, quando Lehman Brothers ha dichiarato fallimento, innescando una catena di salvataggi, acquisizioni2, nazionalizzazioni3 e passaggi da pura banca d’investimento a banca mista4 che hanno ridimensionato il ruolo della finanza nell’economia globale. Da quel momento la fiducia dei mercati nella possibilità di risolvere la crisi in tempi brevi e con pochi danni svanisce: la settimana a partire dal 6 ottobre 2008 è rimasta nell’immaginario collettivo come la settimana più nera delle borse dopo la crisi del ‘29. Diversi istituti bancari hanno chiuso il 2008 in perdita5. Di fronte a tali eventi, le reazioni dei policy makers sono state inizialmente idiosincratiche. Se, da una parte, la Federal Reserve ha effettuato una serie di manovre espansive per contrastare il calo della domanda, per molto tempo la Banca Centrale Europea ha, al contrario, allocazione del rischio”. Di fronte ad eventi del genere, non si può che ribadire l’importanza della vigilanza sul comportamento bancario e dell’esistenza di regole trasparenti. Infatti, sicuramente “non va disconosciuto né ostacolato il ruolo dinamico e propulsivo dell’innovazione finanziaria, che ha contribuito significativamente alle più recenti fasi di crescita. I prodotti divengono tuttavia sempre più complessi e richiedono un corrispondente adeguamento degli standard di trasparenza e di correttezza da parte di coloro che li creano e li distribuiscono” (Cfr. Consob, Incontro Annuale con il Mercato Finanziario, cit., pag. 2 e 28). Tali conclusioni risultano vere non solo per l’Italia, ma anche (e, come vedremo, a maggior ragione) per le altre economie avanzate. 2 È il caso di Bear Stearns, acquisita da J P Morgan e di Fortis, la cui maggioranza è stata acquistata da BNP Paribas dopo un intervento di sostegno da parte dei governi di Belgio e Lussemburgo. 3 Si pensi alla Royal Bank of Scotland (RBS) e alle principali banche islandesi. 4 È il caso di Morgan Stanley e Goldman Sachs, che grazie al cambiamento citato ora possono avere accesso ai finanziamenti della Federal Reserve. 5 Tra gli altri, nel 2008 hanno registrato un risultato netto di gestione negativo UBS e RBS. 3 note tematiche insistito nel tutelare la stabilità dei prezzi, alzando i tassi al 4,25% a luglio 2008, per poi invece cambiare rapidamente rotta da ottobre in poi, quando si è materializzato il pericolo di recessione ed è sfumato, di converso, quello dell’alta inflazione. A ottobre 2009, i tassi (nominali) di policy degli Stati Uniti e del Giappone erano prossimi allo zero, quello del Regno Unito pari allo 0,5 per cento e quello dell’area euro pari all’1 per cento, tutti valori sensibilmente inferiori a quelli registrati un anno prima. Anche la politica fiscale è intervenuta. I primi passi sono stati mossi a luglio 2008 dal piano Paulson, il primo tentativo di razionalizzare le linee di intervento di aiuti a sostegno dei settori in crisi. I Paesi dell’Unione Europea hanno dapprima agito in maniera indipendente, ma poi hanno stabilito delle regole comuni per assicurare un maggior grado di coordinamento tra le politiche nazionali6. I piani predisposti prevedono per lo più interventi da parte dei Tesori nazionali allo scopo di sostenere gli istituti di credito sottocapitalizzati con una iniezione di capitale pubblico e di porre una garanzia pubblica sui depositi bancari. Nonostante gli effetti diretti e indiretti della crisi si siano già in parte esplicati e i primi segnali di ripresa congiunturale si siano manifestati più o meno in tutte le aree economiche, notevoli incertezze permangono in merito all’entità degli aggiustamenti nel medio termine, che potrebbero riguardare soprattutto il ciclo del credito e, con esso, il sentiero futuro di consumi ed investimenti. Da una parte, infatti, vi è una forte incertezza in merito alla correzione nei mercati immobiliari nelle principali economie, specie in considerazione del fatto che è molto difficile misurare l’entità di una bolla speculativa e quindi prevederne l’intensità della correzione. Dall’altra, vi è il rischio che non sia ancora del tutto emersa la debolezza degli istituti bancari, sia per quanto riguarda la presenza di titoli legati ai mutui subprime, sia per quanto riguarda la ripercussioni del peggioramento della congiuntura economica sul sistema bancario attraverso il deterioramento della qualità del credito, per cui è ancora difficile stimare l’entità dei danni della crisi sul sistema bancario globale. Ciò getta incertezza sul sentiero di espansione futura del credito. Di seguito verrà effettuata un’analisi circa gli elementi strutturali che determinano l’esposizione alla crisi, con particolare attenzione al mercato immobiliare, alla struttura bancaria e all’indebitamento del settore privato. Si pensi allo European Economic Recovery Plan (EERP), definito da una comunicazione della Commissione Europea al Consiglio Europeo, nel quale, oltre a fissare regole comuni di intervento, viene attuata una manovra di 200 miliardi di euro, di cui 30 provenienti dai fondi comunitari e il resto dagli Stati Nazionali, con finalità anti-crisi. La manovra si poggia su due pilastri: se, da una parte, essa ha lo scopo di contrastare la carenza di domanda e quindi si configura come una manovra di breve periodo, dall’altra pone un’attenzione particolare alla corretta allocazione delle spese verso quelle in grado di favorire maggiormente innovazione e qualità dei processi produttivi, in vista di un aumento della produttività e della competitività dei Paesi nel lungo periodo in linea con le priorità di Lisbona. 6 4 note tematiche UNO SGUARDO SUL MERCATO DELLE CASE E DEI MUTUI IN CONTESTO INTERNAZIONALE Prima degli anni ‘80 i mercati dei mutui erano nella generalità delle economie molto regolamentati e dominati da istituzioni che, operando in posizione quasi monopolistica, fissavano dei limiti quantitativi al credito concesso e richiedevano onerose garanzie così da generare in misura cronica razionamenti del credito. Negli ultimi 20-30 anni essi hanno seguito un processo di deregolamentazione che li ha resi più flessibili e concorrenziali, sebbene in misura differenziata nei diversi Paesi7. Per misurare il grado di liberalizzazione nelle varie economie, lo staff del Fondo Monetario Internazionale ha costruito un indice di sviluppo del mercato dei mutui; esso dipende dal rapporto tra importo del prestito e valore dell’abitazione (Loan-to-value ratio, LTV), dalla durata del prestito, dalla possibilità di scambiare attività legate ai mutui sui mercato secondari, dalla possibilità di ricontrattare le condizioni dei mutui nel tempo e dall’importanza dei mercati finanziari come fonte di finanziamento. I mercati dei mutui che risultano essere più sviluppati sono quello degli Stati Uniti con 0,98 e della Danimarca con 0,82; l’Italia, al contrario, con un valore pari a 0,26, occupa tra i Paesi considerati una delle posizioni più basse in graduatoria8. Negli ultimi anni si sono registrate anche interessanti differenze per quanto riguarda la relazione tra settore immobiliare e ciclo economico. Ad esempio, la tenuta del mercato immobiliare dopo il 2000, in concomitanza con un ciclo economico debole, contrasta con la correlazione alta e positiva che si è quasi sempre registrata tra le due variabili in una prospettiva storica. Nelle economie - come quella statunitense - in cui il mercato del lavoro è molto flessibile e l’intensità di lavoro nel settore immobiliare è alta, il supporto dato dalla domanda nel mercato immobiliare ha sostenuto gli investimenti nel settore e l’occupazione. In altri Paesi, in cui sono presenti maggiori rigidità dal lato dell’offerta, la domanda ha esercitato i suoi effetti soprattutto sui prezzi, accrescendoli e generando una bolla speculativa (fig. 1). L’importanza del mercato immobiliare nella congiuntura economica e le caratteristiche del mercato dei mutui a partire dagli anni ottanta hanno subito notevoli cambiamenti in molte economie 7 La riforma è stata infatti molto più rapida nei Paesi anglosassoni e in Nord Europa; al contrario, nell’Europa continentale (Germania, Francia e Italia) il mercato dei mutui ha continuato per molto tempo ad essere dominato da istituzioni pubbliche. 8 Cfr. International Monetary Fund, (aprile 2008), World Economic Outlook, cit., pag. 105. 5 note tematiche Fig. 1 Prezzi delle case in confronti internazionali 300.0 Numero indice (2000:1=100) 250.0 200.0 150.0 100.0 50.0 0.0 2000:1 Stati Uniti Germania Francia Gran Bretagna Spagna Area dell'euro 2001:1 2002:1 2003:1 2004:1 2005:1 2006:1 Italia 2007:1 2008:1 2009:1 Fonte: OCSE La figura di sopra mostra che la crescita dei prezzi delle case è tutt’altro che un fenomeno eminentemente statunitense; diversi Paesi europei hanno mostrato una crescita dei prezzi delle case superiore a quella registrata negli Stati Uniti. Effettuando un’analisi comparativa, Hilbers et al. (2008) riscontrano che i prezzi delle case nel periodo dal 1970 al 2007 hanno subito trend divergenti. Ciò appare strano soprattutto considerando i Paesi dell’area dell’euro, per i quali il tasso di interesse nominale è lo stesso9. Gli autori suddividono il campione di paesi in tre categorie in base alla velocità di crescita dei prezzi delle case (fast line, average performers e slow movers); l’Italia risulta collocarsi nella fascia intermedia (average performers)10. I fattori che spiegano i movimenti nei prezzi delle case sono diversi a seconda dei gruppi di appartenenza. Per le prime due categorie, sembra che la crescita dei prezzi sia stata sostenuta dalla crescita nel reddito disponibile pro capite e dal calo del costo d’uso11. Il calo di quest’ultimo può essere spiegato dall’allentamento della politica monetaria, a cui ha corrisposto un calo nelle rate pagate per i mutui, e dall’aumento nella proporzione di ricchezza investita in attività 9 In realtà, gli stessi autori sono consapevoli del fatto che il mercato immobiliare è molto lontano dall’essere un mercato concorrenziale ed efficiente per una serie di motivi (tra cui, la non fungibilità degli immobili, gli alti costi di transazione, il basso turnover, la rigidità dell’offerta, le differenti condizioni nel sistema di finanziamento e i differenti regimi di imposte e sussidi). 10 Fanno parte della fast line Paesi come Irlanda, Spagna e Regno Unito; fanno invece parte degli slow movers Germania e Austria. 11 Il costo d’uso determina il rapporto tra il prezzo degli immobile e il costo di affitto; in equilibrio, il valore attuale del flusso futuro dei costi d’uso (moltiplicati per il valore dell’immobile) e prezzo di affitto devono essere uguali. Tale variabile dipende, tra gli altri, direttamente dal costo opportunità dell’investimento in attività prive di rischio, dalla differenza nel trattamento tributario delle due modalità di fruizione dell’abitazione e dal costo di mantenimento e inversamente dal guadagno atteso nel valore dell’immobile. L’evidenza empirica mostra che il rapporto tra prezzo delle case e costo d’affitto è inversamente correlato al costo d’uso. 6 note tematiche immobiliari a partire dal 200012, effettuata a spese della quota detenuta in ricchezza finanziaria. Questo fenomeno non dovrebbe apparire strano alla luce della scarsa performance dei mercati finanziari nel periodo 2000-2003. La diffusa tendenza a vedere, a partire dal 2000, il mercato immobiliare come il principale sbocco di detenzione della ricchezza e di investimento può essere considerata uno degli elementi principali che hanno scatenato il formarsi della bolla speculativa nel settore in questione. Per quanto riguarda invece gli slow movers, sembrerebbe che il trend dei prezzi delle case possa essere spiegato dall’ampia offerta, dal basso tasso di proprietà delle case e dal basso grado di sviluppo del mercato dei mutui, fattore che ha contenuto la crescita nella domanda di case. Ė molto probabile che variazioni dei prezzi delle case, attraverso effetti ricchezza sul patrimonio dei consumatori, abbiano un impatto sulla spesa per consumi. Tuttavia, il segno della relazione non è chiaro in quanto le abitazioni possono costituire sia un asset, sia una spesa necessaria, e quindi variazioni nel loro prezzo sostanzialmente ridistribuiscono la ricchezza tra diverse categorie di consumatori. Empiricamente, sembra che a prevalere sia il ruolo delle abitazioni come garanzia collaterale e quindi l’effetto reddito dell’aumento dei prezzi delle case sarebbe positivo e tanto più alto quanto più elevato è l’indice di sviluppo del mercato dei mutui. Tuttavia, emergono notevoli divergenze tra le diverse economie considerate. Dunque, forti oscillazioni nel valore della case potrebbero essere una fonte di instabilità macroeconomica, in quanto un aumento nella domanda che determina un aumento nei prezzi delle case genera un ulteriore aumento nella domanda. Questo è vero soprattutto nei mercati con un elevato tasso di liquidità delle attività legate ai mutui, perché in esse il valore dell’acceleratore finanziario, che segna la relazione tra variazioni nel valore degli asset e spesa per consumi, è più elevato. L’effetto destabilizzante di variazioni nel valore dei beni collaterali può prevalere13 su quello, opposto, di una maggiore possibilità di consumption smoothing nel caso di temporanei shock nel reddito percepito. Inoltre, nelle economie con mercati dei mutui più moderni è più alto il rischio di comportamenti irrazionali e di moral hazard; il superamento della soglia di tolleranza nel rapporto debito/reddito potrebbe infatti elevare la volatilità nei consumi, anziché contenerla. Al fine di studiare più a fondo le relazioni reciproche tra il settore immobiliare e il ciclo economico nel World Economic Outlook (WEO) di aprile 2008 è stato stimato un VAR per ogni Paese considerato14. Tra i risultati, è emerso che la domanda di case spiega gran parte della variazione negli investimenti residenziali e nei prezzi delle case; ciò dimostrerebbe che il settore immobiliare presenta dinamiche sue proprie. Allo sesso tempo, però, queste dinamiche si sono accentuate nell’ultimo periodo, costituendo perciò una possibile ulteriore causa di volatilità per l’attività economica generale. La fonte di volatilità sembra Questa tendenza ha provocato un aumento repentino nel tasso di proprietà di abitazioni in molti Paesi europei. 13 Cfr. Kiyotaki e Moore (1997), cit. 14 Cfr, International Monetary Fund, (aprile 2008), World Economic Outlook, cit., pag. 112-117. 12 7 note tematiche pervenire più dalle variazioni di prezzo che da fluttuazioni negli investimenti residenziali. Infatti, il livello di esposizione del settore immobiliare (misurato dal rapporto investimenti nel settore residenziale/PIL) è, salvo rare eccezioni tra cui Irlanda e Spagna, in media abbastanza basso (all’incirca il 6,5%). Tuttavia, esso è aumentato negli ultimi anni, sostenuto dalla crescita nei prezzi delle case (per la generalità dei Paesi si è registrata una correlazione positiva tra le due variabili). La misura in cui le dinamiche del settore immobiliare si riflettono sull’attività economica non è però omogenea tra le diverse economie: mentre in Usa arrivano a spiegare anche il 2025% della varianza dell’output, in Europa spiegano mediamente il 5%. Da ciò deriva che le oscillazioni di reddito derivanti da correzioni nel mercato immobiliare tendono ad essere più contenute in Europa che negli Stati Uniti. IL RUOLO DELL’INNOVAZIONE FINANZIARIA Come già accennato, l’attuale crisi è stata il risultato dell’accumulazione di squilibri che hanno investito più mercati, non ultimo quello del credito e dei prodotti finanziari ad esso associati. Infatti, la straordinaria crescita nei prezzi delle case e l’incredibile aumento nell’indebitamento delle famiglie è stato possibile grazie all’innovazione finanziaria, che ha generato nuovi strumenti in grado (almeno apparentemente) di contenere i rischi e quindi di estendere il credito anche a quei clienti (come quelli subprime) la cui solvibilità era tutt’altro che sicura. Dunque, elemento determinante nell’innescare la crisi in atto sarebbe stata un’espansione eccessiva del credito in momenti di incauto ottimismo. Per quanto gli eventi di recente avvenuti possano sembrare del tutto eccezionali e il frutto di shock particolarmente negativi, in realtà la storia economica ricorda parecchi episodi, simili a quello da noi analizzato, di espansione del credito, seguiti poi da una correzione più o meno severa dell’avversione al rischio degli operatori e quindi da un rallentamento dell’attività economica15. L’attuale crisi presenta quindi molti aspetti in comune con crisi avvenute in passato, sebbene alcune modalità con le quali si è presentata siano ad essa specifiche. Quello che in particolare colpisce è la straordinaria intensità e globalità con la quale si è manifestata, a causa dell’innovazione finanziaria e della sempre crescente interdipendenza tra le economie. Un ruolo preminente nell’innovazione finanziaria e nell’eccessiva espansione del credito è stato ricoperto dallo straordinario sviluppo delle posizioni over-the-counter (OTC), quali i collateralised debt obbligations (CDO), che permettono di cartolarizzare i mutui, e i credit default swaps (CDS), nati dalla necessità di fornire un’assicurazione sul rischio di credito e di diversificare il rischio su un numero elevato di investitori. L’introduzione di tali strumenti ha comportato l’insorgere di 15 I sistemi finanziari liberalizzati sono intrinsecamente prociclici e per questo potenzialmente destabilizzanti Cfr. Reinhart e Rogoff (2008), cit. 8 note tematiche una serie di elementi critici, che dipendono soprattutto dalla lacunosità della legislazione attualmente vigente. Ad esempio, nel caso di CDO al soggetto che compra il rischio di credito della controparte (cosiddetto protection seller), a differenza che alle istituzioni assicurative vere e proprie, non è imposto alcun limite minimo alla quantità di riserve da detenere. In questo modo, per i protection sellers sorge un incentivo alla sottocapitalizzazione. Inoltre, il fatto che le garanzie tra le controparti si compensano in parte vicendevolmente, in quanto spesso gli stessi soggetti sono protection sellers su alcune attività e protection buyers su altre, può indurre una sottostima dell’esposizione di tali soggetti. Infatti, un aumento generalizzato nelle insolvenze avrebbe potuto causare il fallimento dei vari protection sellers a prescindere dalla presenza di garanzie incrociate, anzi forse proprio a causa di esse per l’operare di un effetto a catena. Inoltre, per tali strumenti manca un meccanismo di mercato che permetta la formazione dei prezzi ai quali queste attività possano essere scambiate sul mercato secondario in base alla normale legge della domanda e dell’offerta16. Il prezzo di vendita di questi strumenti è infatti deciso sulla base delle valutazioni effettuate dalle agenzie di rating e da esse dipende il giudizio in merito al rischio dei soggetti che sono sottostanti all’obbligazione. La mancanza di un meccanismo tradizionale di formazione del prezzo e la distanza tra i soggetti debitori iniziali e gli ultimi giratari cui si perviene dopo un numero più o meno ampio di scambi aumenta la possibilità che il prezzo praticato, che resta lo stesso dal primo all’ultimo scambio, si discosti da quello che rispecchierebbe il rischio effettivo della controparte. In particolare, la mancanza di un mercato secondario non rende possibile adeguare progressivamente il prezzo di tali attività ai mutamenti nel tempo del grado di rischio della controparte. È anche possibile che i giudizi sull’affidabilità stabiliti dalle agenzie di rating non riflettessero il reale grado di rischio neppure nel momento stesso della loro formulazione, a causa della presenza di un vero e proprio problema di agenzia. Infatti, le stesse società che effettuavano le valutazioni circa il grado di rischiosità dei clienti lucravano sul collocamento dei titoli sul mercato ed erano per questo incentivate ad attribuire ai clienti la valutazione più alta, così da vendere i titoli connessi al prezzo più elevato possibile. Un peggioramento nel grado di solvibilità di alcuni soggetti, non trasmesso dai segnali di mercato, è ciò che è effettivamente avvenuto: al culmine della fase espansiva del credito e dell’erogazione di mutui, il pericolo di inflazione ha indotto la Federal Reserve a praticare una serie di rialzi del tasso di interesse di policy, provocando di conseguenza un aumento nei tassi sui mutui e del grado di rischio di soggetti altamente indebitati. A questo aumento del rischio non è però seguito un aumento nel prezzo dei titoli che avevano come garanzia dei rapporti di credito originari. L’adeguamento, che non è potuto avvenire attraverso il prezzo, è avvenuto però (e in ritardo) attraverso le quantità, quando i soggetti che, temendo di vedere decurtate le loro attività, hanno cercato di vendere tali attività non hanno più trovato altri disposti a comprarle e per questo motivo hanno subito delle ingenti perdite. 16 Cfr. Trevisan, Quei titoli senza regole, cit. 9 note tematiche E’ ormai opinione diffusa che i sistemi finanziari liberalizzati siano intrinsecamente prociclici17. Per questo motivo, nonostante costituiscano indubbiamente uno strumento di crescita nel lungo periodo, essi possono essere destabilizzanti, in quanto possono accentuare l’ampiezza del ciclo economico. Nell’opinione di White (2008), sono tre gli elementi che, grazie all’avanzare del progresso tecnologico, hanno reso maggiormente prociclici i sistemi finanziari: la sempre maggiore possibilità di cartolarizzare i titoli, la globalizzazione dei mercati e le operazioni di concentrazione, che hanno messo la maggior parte dei titoli in mano a poche, grandissime società. Il meccanismo in base al quale sistemi finanziari liberalizzati possono acuire l’ampiezza del ciclo economico può essere così spiegato: in sistemi in cui le attività di credito sono cartolarizzate e il valore dei beni sottostanti (nel caso specifico, le case acquistate attraverso la contrazione del mutuo) è utilizzato come garanzia, un allentamento nella percezione del rischio, a prescindere dalla condizione per la quale si verifica, genera un’espansione del credito e, attraverso l’aumento conseguente della domanda, una crescita nel valore delle garanzie prestate. Dato che esse possono essere utilizzate come collaterale nel caso di insolvenza, ciò tende a far diminuire ancor di più la percezione del rischio e quindi a far espandere ulteriormente il credito. Inoltre, le stesse banche, poiché tendono a percepire come più sicura la loro posizione grazie all’aumento nel valore delle garanzie, sono incentivate ad indebitarsi e quindi a divenire gradualmente sempre più sottocapitalizzate, incrementando il livello di leverage. Un alleggerimento nel rischio percepito e una conseguente espansione del credito tendono quindi ad alimentare sé stessi, fintantoché si verifichino aumenti nella domanda e per questa via aumenti nei prezzi degli asset usati come collaterali. Se ad un certo punto l’indebitamento dei soggetti che fanno capo al titolo originario (tipicamente, famiglie e imprese) risulta aver superato il punto di rottura e non essere per questo più sostenibile, allora si innesca un meccanismo opposto, con un irrigidimento nella percezione del rischio e una contrazione del credito e del valore degli asset, che alimenta sé stesso attraverso una diminuzione nel valore degli asset usati come collaterali, contribuendo a produrre condizioni recessive per l’intera economia. Poiché questo meccanismo destabilizzante è immanente all’operare di sistemi finanziari liberalizzati, sarebbe incauto ritenere che ciò che è di recente successo sia di carattere del tutto straordinario e non possa quindi accadere di nuovo in futuro. Anzi, come giustamente osserva White (2008), è plausibile ritenere che con l’avanzare del progresso tecnico e dell’innovazione finanziaria l’entità dell’acceleratore finanziario cresca. Questo fenomeno richiede una sempre maggiore responsabilità delle autorità preposte alla vigilanza e dei policy makers. Allo scopo di analizzare la relazione tra innovazione finanziaria, livello di indebitamento ed intensità della crisi economica derivante da uno shock finanziario, possiamo fare riferimento ad un’analisi effettuata dal Fondo Monetario Internazionale18. Innanzi tutto, l’evidenza empirica suffragherebbe l’idea che, tra tutti gli shock di natura finanziaria (crisi Cfr., ad esempio, Borio e White (2004), cit., White (2008), cit., International Monetary Fund (ottobre 2008), cit. 18 Cfr. International Monetary Fund, (ottobre 2008), World Economic Outlook, cit. 17 10 note tematiche bancarie, dei mercati finanziari e valutarie), quelli di natura bancaria producono gli effetti più intensi e duraturi e si traducono con più facilità in recessione. Inoltre, la stima di un modello su dati panel mostra che il grado di prociclicità del leverage19 di un sistema economico dipende positivamente dal grado di arm’s length20, ossia da quanto il sistema di finanziamento faccia maggiore affidamento a strumenti di mercato piuttosto che alla tradizionale relazione tra l’istituto bancario e il cliente. Ciò significa che le banche in economie con un maggiore grado di sviluppo finanziario sono più propense all’indebitamento quando il valore dei loro asset aumenta. La motivazione, abbastanza intuitiva, è che in sistemi maggiormente market-oriented il meccanismo sopra citato di espansioni e contrazioni del credito che si autoalimentano agisce in presenza di minori attriti rispetto al caso di sistemi più tradizionali. Infine, nella citata analisi condotta dal Fondo Monetario Internazionale emerge che in sistemi più intensamente prociclici le recessioni derivanti da shock finanziari sono più profonde e durature. Per questo motivo, è probabile che sotto il profilo dell’operare di tale canale nelle economie molto sofisticate la ripresa sia più lenta che in quelle più tradizionali. LA SPECIFICITÀ DEL MERCATO IMMOBILIARE ITALIANO Nel cercare di valutare la possibilità che in Italia si verifichino aggiustamenti di medio periodo nelle principali variabili macroeconomiche, è indubbiamente necessario prendere in considerazione l’intensità dello sviluppo nel mercato dei mutui e dell’innovazione finanziaria nel Paese. Se, infatti, risulta vero che anche in Italia si è assistito recentemente al fenomeno, manifestatosi a livello internazionale, di sviluppo del mercato dei mutui e dell’innovazione finanziaria, sembrerebbe però che l’intensità di tale sviluppo sia molto meno marcata per l’Italia che per le altre principali economie. Una comparazione su base internazionale dell’indice di sviluppo del mercato dei mutui rivela per il mercato italiano un basso grado di complessità (Cfr. tab. 1). Nel periodo 2001-2006, il valor medio del rapporto tra valore del prestito e valore dell’immobile (LTV) è stato pari al 50 per cento in Italia e il periodo medio di restituzione del prestito 15 anni; negli Stati Uniti tali grandezze sono rispettivamente l’80 per cento e 30 anni. Secondo la Banca d’Italia, il rapporto tra prestito e valore dell’immobile è cresciuto nel tempo, attestandosi al 70 per cento nel 2006, un valore comunque non elevato. La correzione nel mercato delle costruzioni, immobiliare e del credito in Italia, che pure è attesa in una certa misura, sarà probabilmente non molto accentuata Il grado di pro ciclicità del leverage bancario è dato dal coefficiente di correlazione tra valore del leverage delle banche (totale del valore degli assets sul valore del capitale proprio) e il valore degli asset bancari. Quest’ultima grandezza può aumentare sia per un aumento del volume degli asset delle banche sia per un aumento del loro valore unitario. Se esso è positivo (come sembra generalmente essere), le banche tendono ad indebitarsi di più in momenti in cui il valore dei loro asset aumenta. 20 Esso è calcolato come una media di diversi fattori: liquidità del credito privato (crediti privati/PIL), competizione (spread tra tassi sui debiti e sui prestiti) e grado di sviluppo dei mercati finanziari (quota dei ricavi delle banche non provenienti da interessi sul totale dei ricavi). 19 11 note tematiche Tab. 1 Indice di sviluppo del mercato dei mutui Propensione marginale al consumo della ricchezza immobiliare Italia ‐0,01 (0,02)* Stati Uniti 0.14 Regno Unito 0.07 Germania 0.06 0.26 0.98 0.58 0.28 Indice del mercato dei mutui * Muzzicato, Sabbatini, Zollini, (Banca d'Italia), "Prices of residential properties in Italy: constructing a new indicator" Fonte: Fondo Monetario Internazionale, Weo (aprile 2008) Anche per quanto riguarda il grado di innovazione finanziaria sembra che l’Italia non mostri un grado di complessità elevato. Il livello di arm’s length è infatti basso in un confronto internazionale, e così pure il grado di prociclicità del leverage (Tab. 2). Considerando che queste variabili risultano molto significative nello spiegare la durata e l’intensità delle crisi economiche conseguenti a shock di natura finanziaria, questi dati dovrebbero confortare circa il minore impatto della crisi sulla crescita italiana nel medio termine. Tab. 2 Grado di innovazione finanziaria Italia 0.44 0.02 Arm's length Prociclicità del leverage Stati Uniti Regno Unito Germania 0.74 0.56 0.38 0.27 0.38 0.14 Fonte: Fondo Monetario Internazionale, Weo (Ottobre 2008) Fig. 2 il mercato dei mutui in Italia 12,0 3,2 Prestiti alle famiglie Sofferenze sul totale del credito alle famiglie (scala dx) 10,0 3,0 6,0 2,6 Quota % 2,8 4,0 2,4 2,0 2,2 0,0 -2,0 2,0 gen-07 feb-07 mar-07 apr-07 mag-07 giu-07 lug-07 ago-07 set-07 ott-07 nov-07 dic-07 gen-08 feb-08 mar-08 apr-08 mag-08 giu-08 lug-08 ago-08 set-08 ott-08 nov-08 dic-08 gen-09 feb-09 mar-09 apr-09 mag-09 giu-09 lug-09 ago-09 var. % a/a 8,0 Fonte: Banca d’Italia 12 note tematiche Il basso grado di sviluppo del mercato dei mutui in Italia indicherebbe una minore intensità del ciclo immobiliare italiano rispetto alle altre economie. Per stimarne l’entità, il Fondo monetario internazionale ha calcolato la variabile price gap, che misura la parte del prezzo delle case che non può essere spiegata dai fondamentali. Il price gap risulta essere più contenuto per l’Italia rispetto alla maggioranza dei Paesi esaminati (rispettivamente 10 per cento contro 30 per cento circa in Irlanda, Olanda e Regno Unito). Con riferimento all’andamento atteso dei prezzi delle case, è importante tenere in considerazione le variabili che indicano in quale punto del ciclo versa oggi il settore italiano delle costruzioni (fig. 3). Da diversi semestri l’Agenzia del Territorio21 rileva una domanda di abitazioni in forte calo. In base agli ultimi dati disponibili, nel primo semestre 2009 le compravendite sono diminuite del 15,3 per cento rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente (−15,6 per cento nel settore residenziale). Anche gli investimenti in costruzioni (destinati non solo alla costruzione di nuove case ma anche al recupero di quelle esistenti) sembrerebbero aver esaurito quella vitalità che caratterizzava il ciclo immobiliare fino all’anno scorso. Dal 1998 al 2007 gli investimenti in costruzioni sono aumentati cumulativamente del 29,4 per cento e in media del 2,9 per cento all’anno; tuttavia, la loro crescita è diminuita dal 2005 in poi, quando si è registrato un aumento medio annuo degli investimenti dell’1,0 per cento22. Fig. 3 Investimenti e fiducia nel settore delle costruzioni in Italia 10,0 10 8,0 0 6,0 -10 2,0 -20 0,0 -30 -2,0 -4,0 Indice variazione % annuale 4,0 -40 -6,0 -50 investimenti in costruzioni -8,0 fiducia nelle costruzioni CE (scala dx) -60 -10,0 1985 1987 1989 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 Fonte: Istat e Commissione Europea Cfr. Agenzia del Territorio, Osservatorio Mercato Immobiliare, Il mercato immobiliare nel secondo trimestre 2009. 22 Cfr. Nomisma, Osservatorio sul mercato immobiliare, 2-08, cit., pag. 31. 21 13 note tematiche Dal lato dell’offerta, il settore delle costruzioni, nonostante sia maggiormente soggetto ad aggiustamenti di medio periodo, mostra una contrazione molto più contenuta di quella dell’industria in senso stretto. Gli ultimi dati Istat segnalano per il secondo trimestre 2009 un calo dell’11,4 per cento rispetto al trimestre corrispondente per la produzione e dell’8,1 per cento per gli investimenti nel settore delle costruzioni. Nell’industria in senso stretto le corrispondenti variazioni sono pari al -22,1 per cento e al -21,8 per cento. In aggiunta alle considerazioni intorno alla maggiore tenuta del settore delle costruzioni rispetto all’industria in senso stretto, occorre notare che le ripercussioni che un calo delle costruzioni può avere sull’attività economica totale è minore di quanto non si pensi comunemente. I dati sotto riportati (tab. 3) confortano circa il basso peso del settore delle costruzioni (residenziali e di altro tipo) sull’attività economica generale in Italia. Infatti, su base storica emerge che la quota di investimenti in costruzioni sul PIL non è stata particolarmente alta nel periodo 20032007; al contrario, essa è stata più alta nei periodi 1983-1987 e 19881992. Analogamente, il contributo del settore delle costruzioni alla crescita del PIL nel periodo 2003-2007 è stato sensibilmente più basso che nei periodi 1988-1992 e 1998-2002. In base a tali dati si può sostenere che con tutta probabilità una flessione nel settore delle costruzioni avrebbe un impatto diretto non considerevole sul prodotto interno lordo. Tab. 3 Importanza del settore delle costruzioni in Italia Investimenti in costruzioni/PIL (%) Contributi delle costruzioni alla crescita (pp) 1983-1987 1988-1992 1993-1997 1998-2002 2003-2007 11,47 11,03 9,61 9,51 10,47 0,00 0,06 -0,02 0,08 0,02 Fonte: Datastream Nonostante la forte contrazione registrata da diversi semestri dal lato della domanda, i prezzi delle case hanno mostrato una certa vischiosità. In base ai dati dell’Agenzia del Territorio, fino al secondo semestre 2008 (1,6 per cento rispetto al secondo semestre 2007) i prezzi hanno continuato a crescere, seppure in rallentamento, e solo nel primo semestre 2009 hanno mostrato una (lievissima) flessione, pari allo 0,3 per cento rispetto al primo semestre 2008. Inoltre, in base ai dati storici una variazione negativa anno su anno dei prezzi delle abitazioni è un evento infrequente. Un’indagine della Banca d’Italia conforta circa la validità di tali conclusioni. Per il terzo trimestre 2009, circa la metà degli operatori prevede una stabilità nei prezzi delle case, mentre l’altra metà prevede una riduzione. Per di più, la situazione generale del settore nel medio periodo (a due anni) sarebbe favorevole, anche se i giudizi dell’ultima rilevazione sono più cauti che nella rilevazione precedente. Anche nel caso in cui i prezzi delle case dovessero scendere in misura piuttosto consistente, l’impatto negativo per l’economia italiana si dovrebbe limitare alla contrazione dell’attività nel settore delle costruzioni e ai settori ad esso collegati. La stima del Fondo Monetario 14 note tematiche Internazionale dell’effetto ricchezza sui consumi delle famiglie (ovvero la propensione marginale al consumo delle famiglie del valore degli asset immobiliari detenuti) ha dato un risultato sostanzialmente nullo23. Altre stime di istituti di ricerca forniscono risultati analoghi24. Per la Banca d’Italia, invece, il valore dell’effetto ricchezza immobiliare per l’Italia è minore rispetto ai Paesi anglosassoni ma non è nullo (rispettivamente pari a circa il 2 per cento contro 5-10 per cento)25. In conclusione, sebbene il segno della relazione tra consumi e ricchezza immobiliare non sia certo, quello che è certo è che essa non è di molto superiore allo zero ed è quindi distante dai valori elevati e statisticamente significativi trovati per alcune altre economie, quali quelle anglosassoni (si veda, a tale proposito, la Tab. 1). Tali conclusioni sono confermate anche dai risultati della stima di un modello VAR che il Fondo Monetario internazionale ha effettuato per vari Paesi. Il coefficiente che misura quanto le dinamiche del mercato immobiliare spiegano della variabilità dell’attività economica generale è molto più basso per l’Italia rispetto a Danimarca, Giappone e soprattutto Stati Uniti, anche se superiore a Regno Unito e Germania. Inoltre in Italia esso risulta essere diminuito sensibilmente nel tempo, dal 15 per cento al 5 per cento, mostrando un’evoluzione di segno opposto rispetto alla generalità dei Paesi considerati. Tab.4 Mercato immobiliare e ciclo economico 1970-1982 1983-2007 Italia 12,5 5,0 Stati Uniti Regno Unito Germania 6,0 2,4 2,5 22,5 2,3 2,0 Fonte: Fondo Monetario Internazionale, Weo (aprile 2008) In sintesi, non vi sono dubbi che in questo periodo si sia giunti ad una svolta nel settore delle costruzioni, però si tratta pur sempre di “una svolta cui si è giunti […] in maniera meno violenta rispetto a quanto non si registri oggi sui mercati anglosassoni26”. Infatti, si può plausibilmente ritenere che la correzione nei prezzi delle abitazioni perl’anno in corso (2009) e per gli anni immediatamente successivi non sarà significativa. Inoltre, anche qualora la contrazione dei prezzi dovesse essere superiore a quanto è lecito attendersi in base alle informazioni sinora disponibili, essa avrebbe un impatto sostanzialmente nullo o molto contenuto sui consumi delle famiglie. Cfr. International Monetary Fund, (aprile 2008), World Economic Outlook, cit. Prometeia, 2008, Mimeo. La causa principale potrebbe essere la scarsa diffusione in Italia di strumenti finanziari sofisticati in grado di rendere maggiormente liquida la ricchezza immobiliare. 25 Muzzicato, Sabbatini e Zollino (2008), cit. 26 Cfr. Nomisma, Osservatorio sul mercato immobiliare, 2-08, cit., pag. 24. 23 24 15 note tematiche LA SPECIFICITÀ DEL SETTORE BANCARIO ITALIANO Riguardo al mercato dei prodotti finanziari, sembra essersi formato un consenso generalizzato circa la minore esposizione alla crisi finanziaria del sistema bancario italiano rispetto ad altri paesi industrializzati27. In Italia, non sono finora accaduti episodi simili a quelli avvenuti in molti altri Paesi, con corse agli sportelli e fallimenti di società di intermediazione finanziaria. Non si sono resi necessari neppure interventi statali correttivi o d’emergenza28, come è successo nel caso dell’apertura di linee di credito straordinarie per Fannie Mae e Freddie Mac da parte del Tesoro americano o della nazionalizzazione delle perdite della banca d’investimento inglese Northern Rock. Anche il Financial Times, prendendo in considerazione i due maggiori gruppi bancari italiani, Unicredito Banca e Intesa San Paolo, ha definito solide le banche italiane29. La ragione di questa maggiore impermeabilità del sistema bancario italiano risiederebbe proprio nel fatto che esso presenta una minore esposizione alle variabili finanziarie toccate dalla crisi e un minor grado di sofisticazione rispetto a quelli dei Paesi anglosassoni o di Paesi dell’Europa continentale quali Germania e Svizzera, il che ha reso le banche italiane generalmente meno profittevoli, ma anche meno esposte a rischi. Il modello italiano, infatti, decisamente più tradizionale, sembrerebbe basarsi in minima parte sul modello originate-to-distribute, preferendo invece ricorrere ai depositi quale fonte principale di raccolta30. La conoscenza diretta del cliente permetterebbe un maggiore controllo dei rischi e una maggiore attenzione alle prospettive di profittabilità nel medio-lungo termine. Per questi motivi, le operazioni in prodotti strutturati acquistati sul mercato secondario sono in Italia tradizionalmente piuttosto limitate. Inoltre, nel 2008 (23 miliardi di euro) esse risultavano inferiori di 9 miliardi di euro rispetto al 2007. Sempre nel 2008, più della metà dell’esposizione era costituita da titoli legati ai mutui di alta qualità erogati a cittadini dell’Area dell’euro, mentre la quota di titoli legati ai cittadini statunitensi, più rischiosi, era trascurabile. Anche l’esposizione nei confronti degli hedge funds era limitata (circa 3,6 miliardi di euro). L’esposizione delle banche italiane alle economie dell’Europa centroorientale (148 miliardi di euro), molte delle quali sono classificate come economie emergenti, risultava invece comparativamente abbastanza elevata; tuttavia, circa il 40 per cento delle operazioni riguardava Paesi Il sistema bancario italiano è stato meno coinvolto di altri nel processo di innovazione finanziaria 27 Cfr., per esempio, AIAF- ASSIOM- ATIC FOREX, 21 febbraio 2009, Speech by the Governor of the Bank of Italy Mario Draghi, cit. 28 Occorre comunque ricordare che il governo ha varato due decreti legge (n. 155/08 e n. 157/08, poi convertiti nella L. 190 del 4 dicembre 2008), in cui si garantiva il sostegno alle banche sottocapitalizzate, si sostenevano operazioni volte al sostegno della liquidità interbancaria e si emetteva una garanzia sui depositi. Inoltre, il decreto n. 185/08 (poi convertito nella L. 2 del 28 gennaio 2009) ha statuito la possibilità della sottoscrizione da parte del Tesoro delle obbligazioni di banche sottocapitalizzate. 29 Cfr. Financial Times, “Sturdy Italian banks”, 14 maggio 2008. 30 Basti pensare che delle 799 banche italiane censite dalla Banca d’Italia ben 432 sono banche di credito cooperativo e solo 247 sono società per azioni. I gruppi bancari sono 81 (Cfr. Banca d’Italia, Relazione Annuale sul 2008, cit.). 16 note tematiche a basso rischio (Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia)31. La Consob conferma l’idea di un’economia italiana meno esposta alla crisi, in cui non solo “l’esposizione delle famiglie italiane a rischi legati a mutui subprime non era particolarmente critica32”, ma anche “l’esposizione delle società quotate operanti nei settori bancario e assicurativo verso strumenti finanziari riconducibili ai mutui subprime era limitata33”. Le perdite dirette bancarie legate alla crisi subrime si attestano secondo una stima della Banca d’Italia34 attorno ai 4,5 miliardi di euro, una somma certamente non trascurabile, ma comunque contenuta se confrontata con le perdite delle principali banche internazionali. Anche il ROE dei maggiori gruppi bancari italiani, nonostante abbia subito una flessione di circa otto punti percentuali rispetto al 2007, è stato nel 2008 abbastanza soddisfacente (5,9 per cento, 7,1 per cento se si escludono le componenti di reddito non ricorrenti)35, confermando l’idea della solidità del sistema bancario italiano. Il calo della profittabilità si è verificato in conseguenza del fatto che il margine di interesse, aumentato del 10,3 per cento rispetto al 2007, non è stato in grado di compensare la caduta in altre componenti dei ricavi. In particolare, la quota del risultato di gestione assorbita dalle svalutazioni sui crediti nel 2008 (pari al 46,7 per cento) è raddoppiata rispetto al 2007 (quando era pari al 21,4 per cento). Se si confronta tale peggioramento con l’andamento presentato da banche di altra nazionalità, si nota che l’impatto sui bilanci bancari italiani è stato comparativamente limitato. In base ad un’indagine condotta da Mediobanca contenente un confronto tra i principali gruppi bancari36 il ROE delle banche italiane è calato nel primo semestre 2008 in misura sensibilmente minore che nella media dei gruppi bancari presi in considerazione. Inoltre, tale risultato è stato ottenuto senza compensare le perdite su crediti, abbastanza contenute, con aumenti consistenti nel margine di intereresse (come è stato invece il caso di S.té Générale). I risultati sono riportati nella tabella seguente (Tab. 5): Cfr. Banca d’Italia, Relazione Annuale sul 2008, cit., pag. 212. Cfr. Consob, Discorso del presidente Lamberto Cardia all’Incontro Annuale con il Mercato Finanziario, 14 luglio 2008, cit., pag. 3. 33 Cfr. Consob, Discorso del presidente Lamberto Cardia all’Incontro Annuale con il Mercato Finanziario, 14 luglio 2008, cit., pag. 3. 34 Cfr, Banca d’Italia, Bollettino Economico, gennaio 2009, cit., pag. 38. 35 Cfr, Banca d’Italia, aprile Relazione Annuale sul 2008, cit. 36 Cfr. Mediobanca, 2008, Ricerche e studi, le maggiori banche europee nel 2008, cit. 31 32 17 note tematiche Tab.5 Risultati di esercizio in alcuni gruppi bancari nel 1S08 – Variazioni percentuali a/a UBS Lloyds TSB RBS BNP Paribas S.té Générale Dexia Fortis Deutsche Bank Intesa Sanpaolo Unicredit Tutti i gruppi bancari Paese CH UK UK FR FR BE BE DE IT IT Margine d'interesse 36.4 28.1 48.2 25.9 213.2 29.3 ‐9.0 39.8 24.1 13.1 24.0 Perdite su crediti ‐ 24.0 73.4 133.2 160.6 1364.2 728.6 39.9 5.4 14.8 72.8 Risultato netto (*) ‐238.6 ‐62.6 ‐115.4 ‐27.2 ‐1.0 ‐45.5 ‐41.1 ‐86.7 ‐41.3 ‐30.4 ‐59.2 (*) In rosso le banche che hanno registrato una perdita nel 2S08 Fonte: Mediobanca, Le maggiori banche europee nel 2008, cit. In base ad un precedente studio dello stesso istituto, la scarsa detenzione di titoli legati ai mutui subprime non sembra essere l’unica motivazione del soddisfacente livello della redditività delle banche italiane; hanno avuto effetti benefici anche le operazioni di fusione che hanno permesso di abbattere i costi di gestione37. Per quanto riguarda la situazione patrimoniale delle banche, i risultati non sono univoci. Le banche italiane mostrerebbero infatti dei valori dei parametri di Basilea inferiori alla media, però il rapporto tra il totale dell’attivo tangibile e il patrimonio netto tangibile, secondo alcuni un indicatore più affidabile della situazione patrimoniale, dà un segnale positivo (tabella 6). Inoltre, occorre notare che i coefficienti di patrimonializzazione risultano più bassi per le banche italiane anche a causa dei criteri più rigidi che altrove applicati dalla Banca d’Italia38. Tab.6 Situazione patrimoniale di alcuni gruppi bancari a giugno 2008 UBS Lloyds TSB RBS BNP Paribas S.té Générale Dexia Fortis Deutsche Bank Intesa Sanpaolo Unicredit Media Paese CH UK UK FR FR BE BE DE IT IT Coefficiente di solvibilità (*) 15.7 11.3 13.1 11.0 10.9 12.3 10.8 12.1 9.5 10.1 11.7 Tier 1/APR (†) 11.6 8.6 8.6 7.6 8.2 11.4 9.1 9.3 6.6 na 9.0 Totale attivo tangibile/PN tangibile(‡) 1.9 2.3 3.2 2.4 3.1 1.3 2.5 1.3 3.7 3.2 2.5 (*) Il coefficiente di solvibilità è dato dal rapporto patrimonio di vigilanza/attivo ponderato per il rischio (APR) secondo gli accordi di Basilea (†) Tier 1 è la somma del capitale proprio e delle riserve visibili (‡) Il totale attivo tangibile è composto da beni con una forma fisica, come macchinari, stabilimenti e terra. Il patrimonio netto tangibile è pari al totale attivo tngibile meno il capitale di terzi. Fonte: Mediobanca, Le maggiori banche europee nel 2008, cit. Cfr. Mediobanca, 2008, Ricerche e studi, Dati cumulativi delle principali banche internazionali (1997-2007), pag. 60. Nell’indagine citata viene preso in considerazione il cost/income ratio, ottenuto dividendo i costi operativi (personale, ammortamenti e spese generali) sui ricavi operativi. 38 Cfr. Banca d’Italia, Relazione Annuale sul 2008, cit. In generale, la normativa prudenziale appare essere, in Italia, più severa. Ad esempio, gli hedge funds sono soggetti a regolamentazione, al contrario di quanto non avvenga comunemente. Tale maggiore rigore ha indotto la Banca d’Italia a proporre innovazioni al sistema di incentivi dei manager bancari, agganciandolo a variabili di profittabilità nel medio-lungo termine. 37 18 note tematiche A giudizio della Banca d’Italia, il patrimonio di vigilanza, pari a 204,6 milioni di euro nel 2008 e cresciuto dell’1,4 per cento rispetto al 2007, è sempre rimasto ben al di sopra dei minimi regolatori e presenta una elevata qualità. Inoltre, anche in uno scenario più pessimistico con una crescita nel 2009 e nel 2010 inferiore di 3 punti percentuali rispetto alle previsioni delle principali istituzioni internazionali, uno stress test dimostra che le perdite bancarie nette sarebbero pari ad un quinto del capitale in eccesso e dunque il capitale bancario assumerebbe comunque un valore superiore al minimo regolamentare39. CONSIDERAZIONI IN MERITO AL GRADO DI INDEBITAMENTO ITALIANO Dall’analisi condotta finora emerge che lo sviluppo, da una parte, del mercato immobiliare e, dall’altra, di prodotti finanziari complessi ha favorito l’indebitamento di soggetti fisici e giuridici, introducendo degli squilibri nel sistema economico globale. Pertanto, un ruolo chiave nell’attuale crisi è costituito dalle variabili di debito di famiglie, istituti finanziari e imprese non finanziarie, che occorre prendere in esame al fine di valutare, al di là degli effetti meramente recessivi, la sostenibilità del modello di sviluppo delle diverse economie. Il grado di indebitamento risulta dunque la variabile che, più di tutte, fornisce una visione sintetica dell’esposizione strutturale ai fattori della crisi e della possibilità di aggiustamenti – nel sentiero di consumo per le famiglie, nel sentiero di investimenti per le imprese, nel sentiero del credito concesso per gli istituti finanziari - nel medio periodo. La tabella 7 contiene i dati relativi al grado di indebitamento (in percentuale del PIL) che è stato registrato nel 2007 nel settore privato (famiglie e imprese, finanziarie e non) nella maggior parte dei Paesi europei. Come si può notare, l’indebitamento del settore privato italiano è basso rispetto alla maggior parte dei Paesi considerati, specie se si escludono i Paesi dell’Est europeo: l’indebitamento nei settori delle famiglie, delle imprese finanziarie e delle imprese non finanziarie è per l’Italia rispettivamente pari al 34,2 per cento, all’86,1 per cento e al 73,8 per cento, contro una media per gli altri Paesi considerati del 58,7 per cento, del 103,3 per cento e del 94,1 per cento. Per quanto riguarda l’indebitamento delle famiglie, le economie più esposte risultano essere la Danimarca, i Paesi Bassi e il Regno Unito. Il settore finanziario più esposto risulta invece essere quello irlandese, seguito da quello olandese. Le società non finanziarie più indebitate sono quelle belghe, portoghesi, svedesi e spagnole. 39 Il basso grado di indebitamento delle famiglie italiane conforta circa la bassa probabilità di correzioni consistenti nel medio periodo Cfr. Banca d’Italia, Relazione Annuale sul 2008, cit. 19 note tematiche Tab.7 Indebitamento del settore privato nel 2007 (in percentuale del PIL) Belgio Bulgaria Danimarca Germania Estonia Irlanda Grecia Spagna Francia Italia Lettonia Lituania Ungheria Paesi Bassi Austria Polonia Portgallo Romania Slovenia Slovacchia Finlandia Svezia Regno Unito Norvegia Famiglie Società finanziarie Società non finanziarie Totale settore privato 46,9 44,7 158,0 249,6 24,5 22,8 109,1 156,4 129,4 205,2 95,2 429,7 63,4 75,2 67,0 205,6 48,4 61,7 115,6 225,8 97,5 479,2 111,2 687,8 47,0 7,8 57,2 112,1 83,6 96,3 130,9 310,8 48,6 105,2 97,8 251,5 34,2 86,1 73,8 194,1 47,7 59,1 79,3 186,1 27,1 16,6 55,2 99,0 29,4 42,7 96,0 168,1 118,5 378,2 92,0 588,7 53,4 102,2 82,0 237,6 23,9 12,8 35,4 72,1 94,1 66,5 142,6 303,3 19,2 13,0 70,0 102,2 25,0 52,8 81,1 158,9 24,6 59,0 32,8 116,4 49,4 70,1 101,3 220,8 70,8 101,9 135,5 308,1 100,2 220,5 108,9 429,6 78,5 83,4 110,4 272,3 Fonte: Eurostat La sostenibilità del sistema italiano è testimoniata dagli indicatori della qualità del credito, che, nonostante il graduale peggioramento negli ultimi mesi dovuto alla congiuntura fortemente negativa, sembra ancora attestarsi su livelli storicamente soddisfacenti: ad agosto il rapporto sofferenze/crediti era pari al 4,0 per cento per le imprese e al 2,9 per cento per le famiglie consumatrici40. POLITICA MONETARIA E BOLLE SPECULATIVE I cambiamenti avvenuti nel mercato immobiliare e nei suoi effetti sul ciclo economico hanno importanti ripercussioni sulla politica monetaria. Movimenti nei tassi di interesse di policy esercitano effetti sulla spesa non più solo attraverso gli usuali canali diretti, come ad esempio lo stimolo dato agli investimenti e ai consumi dai cambiamenti nella 40 La politica monetaria deve tener conto dei prezzi degli asset oppure no? Fonte: Banca d’Italia. 20 note tematiche disponibilità e nelle condizioni di credito, ma anche attraverso variazioni nei prezzi delle case41. Le motivazioni possono essere varie; tra queste, la possibilità che le istituzioni finanziarie reagiscano, in un clima maggiormente concorrenziale, più velocemente a variazioni dei tassi di policy, e che un accesso più facilitato al mercato del credito ampli l’effetto di variazioni dei tassi di interesse sui prezzi delle case. Anzi, la stima da parte dello staff del Fondo Monetario internazionale di un VAR per gli USA suggerisce che dopo lo sviluppo della liquidità nel mercato dei mutui shock di politica monetaria42 hanno effetto più sui prezzi delle case, che sugli investimenti nel settore residenziale, contrariamente al periodo precedente (in generale, questo sembra essere vero per le economie con mercati dei mutui sviluppati). Inoltre, il paragone della situazione effettivamente realizzata negli Stati Uniti con uno scenario alternativo in presenza di una politica monetaria più restrittiva mostra che la presenza di tassi di interesse particolarmente bassi tra il 2001 e il 2003 ha contribuito all’elevato tasso di espansione degli investimenti residenziali e dei prezzi delle case, e quindi alla bolla speculativa nel mercato immobiliare. Sulla base di ciò, è possibile considerare un eventuale inserimento dei prezzi delle case nella funzione obiettivo della Banca centrale, così che le autorità possano reagire al formarsi di bolle speculative. Tuttavia nella letteratura vi è maggiore accordo sull’intervento delle banche centrali nel caso di scoppio di una bolla speculativa, che nel caso di una sua formazione. Secondo la visione tradizionale, la banca centrale non dovrebbe assolutamente intervenire in presenza di aumenti nei prezzi delle case che vanno oltre quanto spiegato dal tasso di inflazione e dall’espansione economica, data la difficoltà di riconoscere una bolla speculativa e misurarne l’entità e data l’incertezza degli effetti della politica monetaria su di essa43. A questa visione, si è però recentemente affiancato un secondo filone di pensiero, secondo il quale il comportamento asimmetrico sarebbe in qualche misura incoerente sotto il profilo intertemporale, mentre attuare una stretta monetaria in presenza di bolle speculative potrebbe aiutare a contenere gli effetti destabilizzanti di tali squilibri, nonché a responsabilizzare maggiormente speculatori e istituzioni finanziarie44. Secondo tali autori, solo in questo modo sarebbe possibile minimizzare l’ampiezza del ciclo economico nel lungo periodo. Un esempio concreto di questo secondo filone di pensiero è fornito dall’esperienza della Banca Centrale Svedese, che, proprio al fine di contenere la crescita del debito e dei prezzi delle case, nel 2006 ha attuato una stretta monetaria pur in presenza di aspettative inflazionistiche in diminuzione. Controllare i prezzi degli assets non significherebbe per forza modificare il mandato delle banche centrali. Tale obiettivo potrebbe essere infatti raggiunto semplicemente prendendo a riferimento nella Cfr., tra i lavori che avvalorano l’impatto del tasso di policy sui prezzi degli immobili residenziali, Iossiflov et al. (2008), cit. e Hilbers et al. (2008), cit. in particolare, in quest’ultimo lavoro si sottolinea la diversa reattività del prezzo delle case nei vari Paesi europei a cambiamenti nel tasso di interesse monetario (che è unico). 42 Le impulse response function sono state normalizzate al fine di depurare l’analisi dagli effetti di politiche monetarie profondamente diverse nei due sottoperiodi. 43 Cfr. A. S. Posen, Why central banks should not burst bubbles, cit 44 Cfr. N. Rubini, Why central banks should burst bubbles, cit. 41 21 note tematiche funzione di perdita delle banche centrali un arco di tempo più ampio per l’inflazione e il reddito. Ragionevolmente, la reazione della banca centrale dovrà essere differenziata a seconda del grado di sviluppo del mercato dei mutui; tanto più alto è l’indice, tanto più la variabile relativa al valore degli asset dovrebbe assumere un peso elevato all’interno della funzione obiettivo, e tanto più aggressiva dovrebbe essere la risposta a shock della domanda nel mercato immobiliare. Questa visione giustifica appieno il comportamento asimmetrico (almeno in un primo momento) delle banche centrali statunitense ed europea: essendo il mercato statunitense dei mutui molto più sviluppato di quello europeo, per stabilizzare le economie è opportuno che la Federal Reserve assuma un comportamento più aggressivo della Banca Centrale Europea. La necessità che i policy makers adottino regole e misure di politica economica che siano compatibili con obiettivi di lungo periodo ha importanti conseguenze anche in termini di politica fiscale. Infatti, da una parte può essere efficace e desiderabile cercare di contrastare un ciclo economico negativo sostenendo la situazione patrimoniale delle banche sottocapitalizzate; d’altra parte, però, occorre fare attenzione a non fornire incentivi all’assunzione di comportamenti rischiosi garantendo l’intervento pubblico nei patrimoni delle banche in situazioni di difficoltà. Al fine di evitare ciò, potrebbe essere utile, se non necessario, punire i soggetti che hanno praticato il moral hazard e rafforzare il ruolo delle autorità di vigilanza. Inoltre, è necessario ridisegnare il sistema di incentivi in modo tale che non siano discorsivi, cioè che non inducano a comportamenti tesi a massimizzare i profitti di breve periodo. CONCLUSIONI In conclusione, l’evidenza delle crisi avvenute in passato che possono essere a quest’ultima paragonate ci porta ad affermare che saranno soprattutto gli squilibri strutturali (in particolare, l’indebitamento del settore privato) a determinare la possibilità di aggiustamenti nel medio periodo. Per l’Italia, l’analisi di una serie di indicatori ci porta ad escludere per quest’ultima la possibilità di una correzione profonda nel tempo del settore immobiliare e delle costruzioni, unitamente ad un pesante deleveraging di famiglie, imprese e istituti bancari. Nel complesso, l’esposizione dell’Italia ai fattori specifici della crisi economica internazionale sembra modesta e comparativamente inferiore a quella dell’Area dell’euro (o ad altri paesi paragonabili). Certamente, il grado di incertezza resta elevato. Ad esempio, vi sono molti dubbi sulla possibilità di correggere in breve tempo gli squilibri mondiali e sul modo in cui il riequilibrio avrà luogo. Una correzione disordinata di questi potrebbe impedire una ripresa economica vivace anche nelle economie meno esposte. Il minor deleveraging atteso di famiglie, istituti finanziari e imprese italiane rispetto a quelle di altra nazionalità suggerisce ceteris paribus un’uscita più vivace dell’Italia dalla recessione 22 note tematiche RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Agenzia del Territorio, 2008, Osservatorio Mercato Immobiliare, Il mercato immobiliare nel secondo trimestre 2009 AIAF- ASSIOM- ATIC FOREX, 21 febbraio 2009, Speech by the Governor of the Bank of Italy Mario Draghi Associazione Bancaria Italiana, 9 luglio Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi 2008, Intervento del Banca d’Italia, gennaio 2009, Bollettino Economico Banca d’Italia, aprilee 2009, Bollettino Economico Banca d’Italia, maggio 2009, Relazione Annuale sul 2008 Banca d’Italia, 26 ottobre 2007, Consumo e crescita in Italia, lezione di Mario Draghi Borio, C., 2008, The financial turmoil of 2007-?: A preliminary assessment and some policy considerations, Bank for international Settlements working papers, n.251 Borio, C., White, W. 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