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E M I L I A N O
D E
M U T I I S
M e t a m o r f o s i e n e g a z i o n e d e l c o n c e t t o d i « m e l o d i a » t r a n e o a v a n g u a r d i a e d e x p e r i m e n t a l m u s i c È un fatto che il concetto di «melodia» nel secondo dopoguerra scompare quasi completamente
dall’orizzonte compositivo e teorico. Tale “rimozione consapevole” è di per sé un dato rilevante dal punto di
vista musicologico, che può spiegarsi anche al di fuori delle sfera prettamente estetica.
La relazione si propone di inquadrare questa negazione in un contesto teorico più ampio, ridefinendo le
variabili storiografiche in base alle quali analizzarla.
Nello studio dei concetti in prospettiva storica, la Begriffsgeschichte koselleckiana ci invita ad esaminarne la
«struttura temporale interna», per cui «ogni concetto fondamentale contiene elementi di significati passati
[…], come pure di aspettative rivolte al futuro». Tale struttura va intesa come «fattore ontologicamente
produttivo», in grado di agire sui dati di fatto linguistici ed extralinguistici; sul significato, cioè, delle altre
parole nonché sulla realtà stessa [Koselleck (1984; 2006) 2009, 38-9].
Contributi dedicati a periodi più recenti – come quelli di Stephen Kern, Karl Schlögel o della cosiddetta
Scuola di Toronto – hanno evidenziato come la concezione temporale e spaziale nel suo insieme 1) influisca
sul sistema generale di pensiero, in funzione del quale le parole acquisiscono, mutano e perdono significato
2) venga a sua volta influenzata dalle tecnologie proprie di un dato periodo, in grado di alterare
profondamente le coordinate antropologiche di base. Alterazione tanto più marcata nella seconda parte del
XX
secolo, testimone di un incremento senza precedenti delle tecnologie della memoria, del trasporto fisico e
della connettività.
Partendo da tali premesse, studiare il concetto di «melodia» nel secondo Novecento significa quindi
studiarne la “struttura spaziale e temporale interna” e il suo relazionarsi con la concezione spazio-temporale
propria di quel periodo e con il fattore tecnologico.
Attraverso le parole stesse dei compositori, la relazione intende mostrare come, tra gli anni ’50 e gli anni ‘70,
la neoavanguardia europea e l’experimental music statunitense si siano rapportate in modo opposto alla
complessa “struttura semantica” del concetto di «melodia» proprio in virtù di un antitetico modo di pensare il
tempo, lo spazio e la tecnologia. Il rifiuto programmatico della prima si inserisce nel quadro di una spinta
«ontologicamente produttiva» sull’asse temporale – e, nello specifico, sul futuro – e di una delimitazione
dell’attenzione spaziale alla sola dimensione acustica: il «nuovo spazio sonoro» di P. Boulez, la «space
melody» di K. Stockhausen nonché tutta una serie di innovazioni lessicali – quali la «dimensione diagonale»,
le «strutture distribuite», la «figura e l’oggetto sonoro», ecc. – testimoniano questa spinta in «avanti», questo
desiderio di «abolire» il «vecchio» e di «evolvere» in virtù di un «nuovo». Al contrario, lo sbilanciamento
sull’asse spaziale dell’experimetal music conduce ad un’apertura verso culture non occidentali (India, Africa,
ecc.) e ad uno schiacciamento del fattore tempo al solo presente dell’ascolto (la «musica come processo»,
l’attenzione versa la dimensione «psicoacustica» del suono, le «pseudomelodie» di S. Reich).
Due diversi modi di pensare il tempo e lo spazio, nonché due diversi modi di pensare la tecnologia applicata
alla musica. Prendendo come esempio il nastro magnetico, esso rappresenta per la neoavanguardia uno
strumento per analizzare il suono, per generarlo e per manipolarlo, sezionandolo e ricomponendolo in base
alla visione costruttiva del compositore, padrona unica del progetto e affrancatasi dalla parziale cessione di
controllo concessa fino a quel momento all’esecutore; al contrario rappresenta, per l’experimental music, un
mezzo per riperpetuare l’attimo presente attraverso la ripetizione del loop, lasciando sprofondare la
percezione nella contemplazione a-progettuale e a-strutturale del dettaglio, che da contingente si fa
essenziale.
BIBLIOGRAFIA
ESSENZIALE
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