Alta tensione tra Cina e Vietnam

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Alta tensione tra Cina e Vietnam
Alta tensione tra Cina e Vietnam
Martedì 13 Maggio 2014 23:00
di Mario Lombardo
Da oltre una settimana, la Cina e il Vietnam sono nel pieno di un’accesa disputa attorno al
posizionamento di una piattaforma petrolifera nel Mar Cinese Meridionale da parte di Pechino. Il
nuovo scontro non solo retorico in Asia orientale rientra nel quadro delle contese territoriali
riaccese dal riposizionamento degli Stati Uniti in questa parte del globo e che stanno
pericolosamente mettendo di fronte Pechino a svariati paesi vicini, la cui crescente aggressività
continua ad essere incoraggiata proprio dalle necessità strategiche di Washington.
A inizio mese le autorità cinesi avevano installato la piattaforma in un’area vicina alle isole
Paracel (Xisha in cinese), controllate da Pechino ma rivendicate dal Vietnam. L’azione aveva
subito provocato la replica di Hanoi, il cui governo nei giorni scorsi ha inviato nella zona alcune
imbarcazioni della propria Guardia Costiera, accolte però da navi cinesi con cannoni ad acqua.
Nella giornata di lunedì, il governo vietnamita ha nuovamente accusato la Cina di avere respinto
con gli stessi metodi una motovedetta che, a sua volta, secondo i media locali avrebbe risposto
anch’essa con l’uso di cannoni ad acqua.
Secondo Hanoi, le attività di trivellazione avviate dalla Cina sono illegali, poiché la piattaforma
in questione si troverebbe nella cosiddetta “zona economica esclusiva” del Vietnam, fissata
dalle norme internazionali a 200 miglia al largo delle coste di un determinato paese.
Pechino, al contrario, respinge categoricamente una simile interpretazione e sostiene che la
Cina ha l’assoluta sovranità sulla zona in cui si trova la piattaforma, essendo ad appena una
trentina di chilometri al largo delle isole Paracel che essa controlla fin dal 1974.
Pechino ha poi denunciato la marina vietnamita per avere inviato nell’area di crisi 35
imbarcazioni che hanno speronato navi cinesi in almeno 171 occasioni tra il 3 e il 7 di maggio.
Nel corso degli ultimi dieci anni, inoltre, la Cina ha già condotto attività esplorative nei pressi
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delle isole contese e il recente posizionamento della piattaforma petrolifera sarebbe
un’operazione non differente dalle precedenti.
Il Vietnam, in ogni caso, non ha lesinato iniziative che hanno fatto aumentare le tensioni. Per
cominciare, nel fine settimana il regime ha autorizzato alcune dimostrazioni di fronte alle sedi
diplomatiche cinesi per denunciare la presunta aggressione di Pechino. Già nel 2011, Hanoi
permise proteste simili in occasione di un altro scontro tra i due paesi vicini, per poi disperderle
senza troppi complimenti quando stavano per trasformarsi in una rara occasione per esprimere
il malcontento popolare nei confronti del governo.
Il primo ministro vietnamita, Nguyen Tan Dung, ha poi avuto parole molto dure per la Cina,
accusata di essersi macchiata di “serie e pericolose violazioni” nell’ambito delle dispute,
mettendo a rischio “la pace, la stabilità e la sicurezza” nella regione.
Il messaggio di Dung è stato indirizzato in particolare ai dieci membri dell’Associazione delle
Nazioni del Sud-Est Asiatico riuniti nella giornata di domenica in Myanmar. Qui, il premier del
Vietnam ha cercato di raccogliere il supporto di qualche governo - alcuni dei quali coinvolti
anch’essi in contese territoriali con Pechino - ma senza troppo successo.
I leader del gruppo non hanno infatti menzionato esplicitamente la Cina nel loro comunicato
ufficiale al termine del vertice, limitandosi ad esprimere “gravi preoccupazioni in merito agli
sviluppi in corso nel Mar Cinese Meridionale”.
L’ASEAN, d’altra parte, continua a trattare con estrema cautela le dispute riesplose in questi
anni, principalmente perché la Cina è il principale partner commerciale di praticamente tutti i
paesi membri, nonché stretto alleato di alcuni di essi (Cambogia e Laos). Altri invece, come le
Filippine, auspicherebbero una risposta più forte alle “provocazioni” cinesi, in linea con i tentativi
favoriti da Washington di aprire un negoziato multilaterale per la risoluzione delle contese
territoriali.
Nonostante la posizione neutrale ufficialmente sostenuta dall’amministrazione Obama, gli USA
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hanno più volte segnalato la loro intenzione di appoggiare tutti i rivali di Pechino nelle varie
dispute. Ciò è stato confermato anche in questa occasione, visto che in una telefonata avvenuta
lunedì, il segretario di Stato John Kerry ha comunicato alla sua controparte cinese che il
posizionamento della piattaforma petrolifera in acque contese con il Vietnam è stata una mossa
“provocatoria”, ribadendo poi che lo scontro dovrebbe essere risolto “con mezzi pacifici e in
accordo con il diritto internazionale”.
Il ministero degli Esteri di Pechino ha replicato che nel Mar Cinese Meridionale ci sono state
indubbiamente delle operazioni provocatorie ma non da parte cinese, per poi puntare il dito
contro gli Stati Uniti per avere nuovamente incitato comportamenti di questo genere.
Dal momento che il governo cinese non poteva non aspettarsi una qualche reazione da parte
del Vietnam e degli stessi USA, è probabile che la decisione di collocare una piattaforma
petrolifera in uno dei punti caldi nel Mar Cinese Meridionale sia stata una risposta studiata alla
recente trasferta asiatica del presidente Obama.
L’inquilino della Casa Bianca, pur cercando di smorzare i toni della rivalità con Pechino, aveva
di fatto appoggiato tutte le rivendicazioni territoriali dei paesi visitati (Giappone, Filippine),
promettendo a Tokyo di intervenire anche militarmente in caso di “aggressione” cinese nelle
isole Senkaku nel Mar Cinese Orientale e siglando a Manila un trattato che garantisce la
presenza nell’arcipelago di un contingente militare americano per almeno dieci anni.
Quest’ultimo accordo e altre iniziative statunitensi in Asia Orientale in concerto con i propri
alleati possono avere anche spinto la Cina a mettere in atto una manovra - come quella in corso
al largo delle isole Paracel - volta a spezzare l’accerchiamento e a ribadire agli occhi della
comunità internazionale la volontà di non rendere conto a nessuno in merito alle decisioni su
territori considerati sotto la propria sovranità, sia pure rivendicati da altri paesi.
La fermezza della risposta di Hanoi potrebbe però avere relativamente sorpreso le autorità
cinesi, visto che i due paesi negli ultimi anni avevano fatto passi importanti sulla via della
risoluzione delle dispute territoriali. Nel 2011 e ancora nel 2013, ad esempio, Cina e Vietnam
avevano sottoscritto bozze di accordo per avviare colloqui distensivi ed evitare pericolosi
scontri.
Più in generale, i due vicini avevano visto migliorare i rapporti bilaterali, come aveva confermato
un’intesa sulla fissazione dei confini e dei diritti marittimi nel Golfo del Tonchino, ma anche la
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decisione di studiare modalità per sfruttare congiuntamente le risorse energetiche della regione
in seguito alla visita in Vietnam a fine 2013 del premier cinese, Li Keqiang.
Il confronto in corso con Hanoi assume comunque contorni ancora più allarmanti non solo
perché è stato sfruttato nuovamente dagli Stati Uniti per esercitare pressioni su Pechino, ma
anche perché si aggiunge ad un nuovo motivo di scontro con le Filippine. Sempre settimana
scorsa, infatti, le autorità del paese-arcipelago avevano fermato un peschereccio cinese e
arrestato il suo equipaggio nelle isole Spratly, rivendicate dalla Cina e dalle Filippine oltre che
da Brunei, Malaysia, Taiwan e Vietnam.
L’imbarcazione cinese è stata sequestrata con la scusa che l’equipaggio aveva a bordo un
certo numero di tartarughe protette, anche se a molti l’operazione del governo del presidente
filippino Benigno Aquino è apparsa come l’ennesima provocazione di Manila nei confronti di
Pechino, possibilmente orchestrata durante la recente visita di Obama.
Il differente approccio alle dispute territoriali in Estremo Oriente dei media occidentali, degli Stati
Uniti e dei paesi alleati di questi ultimi risulta in ogni caso evidente dal fatto che azioni simili a
quella intrapresa settimana scorsa dalla Cina nelle isole Paracel da parte di Giappone, Filippine
o Vietnam passano puntualmente sotto silenzio e, come è ovvio, non vengono condannate se
non da Pechino.
Così, infatti, nel 2012 il governo di Tokyo aveva “nazionalizzato” le isole Senkaku, rivendicate
dalla Cina, dopo averle acquistate dai privati che ne detenevano la proprietà. Solo nel fine
settimana scorso, poi, le Filippine hanno annunciato un’asta per la concessione di diritti per la
trivellazione di una decina di pozzi petroliferi, tra cui uno situato in un’area del Mar Cinese
Meridionale rivendicata da Pechino.
Ugualmente contese da Pechino sono infine le acque nelle quali proprio il Vietnam ai primi di
maggio ha offerto alla compagnia petrolifera indiana ONGC Videsh (OVL) altre due aree da
trivellare, in aggiunta alle cinque già proposte lo scorso mese di novembre.
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