Regnum Italiae
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Regnum Italiae
Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VIII Lezione: crisi carolingia Economia Il mondo di allora era fortemente spopolato (stime parlano di circa 20 milioni di abitanti nell'area europea di un milione e mezzo di chilometri quadrati), con le città maggiori quali Parigi, Orléans o Pavia, che non superavano i 5.000 abitanti. Solo Bisanzio era una metropoli che nel X secolo si pensa arrivasse al milione di abitanti. In questo contesto la circolazione di merci e di persone era scarsa, la moneta rara e di bassa qualità. Mentre l'impero romano d'Occidente aveva basato la propria economia sugli scambi commerciali, soprattutto marittimi e sulla vita urbana, gravitando verso il Mediterraneo, l'Impero carolingio aveva come base economica l'agricoltura latifondista, caratterizzata prevalentemente da una produzione di sussistenza. Le curtes erano articolate in base ad una distinzione tra la terra direttamente gestita dal proprietario fondiario attraverso manodopera servile direttamente alle sue dipendenze, la pars dominica (terra del dominus), e la terra data in concessione ai coloni, la pars massaricia. Le curtes non rappresentano territori compatti, ma risultano frammisti spesso a possessi di altri signori fondiari, indominicati o in concessione: i "villaggi" erano spesso collocati dove maggiore era la concentrazione di terre frammiste, e riunivano le abitazioni di coloni che rispondevano a diversi signori. Gli scambi erano quasi del tutto inesistenti, tuttavia viene valutato in modo piuttosto positivo il ruolo delle eccedenze della produzione fondiaria: nei villaggi o in centri più consistenti e di nuova formazione, erano frequenti piccoli mercati locali, dove lo scambio avveniva prevalentemente tramite il baratto, data la scarsità di monetazione. Perciò è indubbia la presenza di scambi spontanei, regionali: d'altra parte le rotte continentali nord-sud, vedevano commercianti musulmani che dalle sponde occupate dell'Africa proponevano beni di lusso e merci pregiate, così come i Frisoni, attivi nella regione moso-renana, e gli ebrei. È in questo periodo grosso modo (per tutto il sec. IX) che nacquero di insediamenti più consistenti: questi erano prevalentemente collocati alla foce di corsi fluviali, presso sedi di zecche (come nella zona moso-renana), oppure presso sedi vescovili, e in generale in prossimità di nuclei più antichi di urbanizzazione romana (in particolare nelle regioni mediterranee). Soltanto oltre il secolo IX, nel X e XI l'incastellamento favorì una concentrazione territoriale che vedeva la fine della dispersione in insediamenti sparsi propri del regime curtense, e la nascita, a partire dai castelli di città vere e proprie. Inoltre, è a partire dalla tarda età carolingia che vennero applicate nuove tecniche agricole fondamentali per il futuro incremento produttivo del suolo: l'utilizzo del mulino ad acqua, il collare per buoi e cavalli posto in posizione più comoda (giogo), l'abbandono dell'aratro in legno in favore di quello in ferro, la rotazione triennale. In sintesi, in un'ottica più ampia, è tra l’VIII e il IX secolo, nonostante le invasioni, che inizia quel movimento che comportò un aumento della resa agricola e conseguentemente demografico, fondamentale per la rinascita dell'occidente medievale. Certamente, nel periodo carolingio, l'elemento più rilevante, rispetto al quadro desolante dei due secoli precedenti, sembra limitarsi ad una riorganizzazione della produzione agricola nella nascita della villa classica carolingia: le vie di comunicazione sono sempre prive di manutenzione, e le vie fluviali e marittime sono privilegiate. La precarietà economica feudale e la mancanza di un forte potere centrale, fece assumere alla reggenza franca un modello di governo peripatetico. Lo stesso Carlo Magno, installava la sua corte nei vari villaggi dove alloggiava durante i suoi spostamenti nel vasto impero. Tutti gli uomini, vivendo in un'economia prevalentemente di sussistenza basata sullo scambio in natura (baratto), vivevano nella necessità di dover far affidamento sulle scorte naturali che deperivano o si esaurivano in un certo lasso di tempo il che impediva la nascita di qualsiasi forma di risparmio 1 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VIII Lezione: crisi carolingia (tesaurizzazione). Da qui il nomadismo anche dei poteri centrali i quali; una volta esaurite le risorse dovevano spostarsi in altre zone. Regno d'Italia (781-1014) Il Regno d'Italia (Regnum Italiae o Regnum Italicum) fu un'entità politica dell'alto medioevo. Fondato da Carlo Magno dopo la sconfitta definitiva dei Longobardi nel 774, rimase nelle mani dei franchi a seguito dell'incoronazione di suo figlio Pipino. Dopo il 945, successivamente al colpo di Stato che estromise Ugo di Arles, il governo reale si ritrovò in gran parte impotente e spesso diviso. Tuttavia in quel periodo nella penisola italiana non esistette mai una vera e propria compagine statale che sapesse imporre la sua autorità: il titolo di Re d'Italia, nonostante fosse fortemente agognato da vari soggetti in lotta tra loro, era infatti un titolo quasi esclusivamente formale, che non dava alcun reale potere. Il Regno nell'Impero carolingio La denominazione Regnum Italiae inizia a conformarsi per la prima volta dopo il 781 per indicare i territori del cessato regno longobardo conquistati da Carlo Magno e attribuiti al suo terzo figlio Pipino, avuto dalla moglie Ildegarda. Alla morte di Pipino l'8 luglio 810 gli succedette il figlio Bernardo. Quando anche Carlo Magno venne a mancare nell'814, la carica imperiale venne trasmessa al figlio Ludovico il Pio. Ludovico il Pio 778-840 Era figlio illegittimo di Carlo Magno. Re d'Aquitania (781), la morte dei fratelli Carlo e Pipino lo fece unico erede dell'Impero. Associato dal padre nella dignità imperiale (813), l'anno seguente si trovò solo a reggere l'Impero. Ne difese i confini dalle incursioni di Normanni e Saraceni; mantenne una linea di stretta collaborazione con la Chiesa e promosse il riordinamento della vita ecclesiastica. Con l'Ordinatio Imperii (817), associò all'Impero il primogenito Lotario, mentre gli altri due figli, Pipino e Ludovico (detto il Germanico), avrebbero avuto degli appannaggi con titolo regio. Questa decisione determinò prima una ribellione del nipote Bernardo re d'Italia (Bernardo era figlio di Pipino, cioè di un fratello di Ludovico), che Ludovico fece accecare e morire, poi una serie interminabile di conflitti con i fratelli di questi. Avendo poi avuto (823), dalle seconde nozze con Giuditta figlia del conte Guelfo, svevo, un altro figlio, Carlo detto il Calvo, Ludovico gli concesse (Dieta di Worms, 829) parte delle terre già concesse a Lotario: ne derivò una seconda rivolta, che Ludovico riuscì però a domare isolando Lotario dagli altri fratelli. Nuove guerre, con alterne vicende, si susseguirono dopo l'831; a un certo punto Ludovico fu addirittura deposto (Lügenfeld, "il campo della menzogna", presso Colmar; 833); poi si riconciliò con Lotario, per procedere contro Ludovico, che fu spogliato dei suoi territori. Alla fine, Ludovico divise l'Impero tra Lotario e Carlo il Calvo, affidando a quest'ultimo i territori occidentali e ignorando Ludovico e il figlio di Pipino d'Aquitania. Le proteste dei danneggiati decisero l'imperatore a un'azione militare prima in Aquitania, poi in Germania dove ricacciò il figlio Ludovico dalla Turingia. Prima di morire l'imperatore perdonò Ludovico e proclamò imperatore Lotario, raccomandandogli l'imperatrice e Carlo il Calvo. Le lotte per la successione ebbero termine nell'843 con il trattato di Verdun che vide la nascita di tre regni con connotazioni territoriali definite: Regnum Italicum e Lotaringia sotto Lotario, dotato del titolo imperiale; Regnum Teutonicorum (Germania) sotto Ludovico detto per questo il Germanico; 2 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VIII Lezione: crisi carolingia Regnum Francorum sotto Carlo il Calvo. Il primo, che aveva come capitale Pavia, comprendeva gli ex territori longobardi chiamati al nord Langobardia Maior ovvero i territori corrispondenti pressappoco alle odierne regioni Piemonte, Liguria, Lombardia, Toscana, Trentino, Friuli e Veneto (con l'esclusione della zona di Venezia), e l'Emilia (mentre l'Esarcato di Ravenna rimaneva alla Chiesa) e la Langobardia Minor ovvero il Ducato di Spoleto (parte del Patrimonium Sancti Petri) e il Ducato di Benevento al centro sud. Lotario I (795-855) Era il figlio primogenito di Ludovico il Pio. Designato nell'ordinatio imperii (817) erede del padre e incoronato imperatore ad Aquisgrana, ebbe poi (818) il governo d'Italia dove si recò nell'822 e dove l'anno dopo, a Roma, fu consacrato solennemente imperatore da Pasquale I. Tornato in Italia nell'824, vi emanò la famosa constitutio romana, con cui riconfermava l'obbligo di obbedienza all'imperatore da parte del clero e del popolo romano e stabiliva che i papi neoeletti dovessero giurare fedeltà a un messo imperiale. Con un capitolare emanato a Corteolona (825) riordinò l'insegnamento pubblico in Italia. Avendo Ludovico il Pio proceduto a una nuova divisione dell'impero (atto di Worms, 829) per attribuire un regno anche a Carlo il Calvo, figlio di secondo letto, Lotario, accordatosi con Pipino e Ludovico, tentò di fare annullare (830) quell'atto ma, abbandonato dai fratelli, fu privato di ogni prerogativa (Nimega, 831) e gli fu lasciata soltanto l'Italia. Nell'833 Lotario passò le Alpi, ritrovando l'intesa con i fratelli, e riuscì a deporre il padre, ma al ritorno di questo sul trono dopo pochi mesi, fu costretto a ritirarsi nuovamente in Italia. Con 3 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VIII Lezione: crisi carolingia la morte del fratello Pipino (838) e la nuova divisione (Worms, 839) ebbe però ampliati i suoi possessi. Morto Ludovico il Pio (840), Lotario, che voleva ridurre suoi vassalli i fratelli, fu da questi vinto (841) e costretto alla pace (patto di Verdun, 843): conservò l'Italia, la dignità imperiale, un'ampia zona (Lotaringia) che dal mare del Nord giungeva alle Alpi. Mandò (844) in Italia il figlio Ludovico II, poi (855) divise il regno tra i figli (Ludovico, Lotario e Carlo) e si ritirò nel chiostro di Prüm Ludovico II (825 - 875) Figlio di Lotario I e nipote di Ludovico il Pio. Venuto in Italia (844) come rappresentante del padre, sostenne il diritto imperiale a confermare l'elezione del pontefice e (847) si impegnò nella lotta antisaracena, nella quale ottenne successi non decisivi. Associato all'impero (850), e dopo la morte del padre (855) unico imperatore, dedicò le energie ad affermare la sua autorità sui suoi territori italiani e sulla Chiesa, favorendo l'elezione di Niccolò I (858) che, peraltro, si dimostrò poi energico sostenitore dei diritti papali. In seguito (865) bandì nuovamente la guerra contro i Saraceni, cui riuscì a strappare Bari (871). Ma gli si formò alle spalle una coalizione dei principi longobardi, preoccupati del suo successo. Catturato a Benevento dal duca Adelchi, dovette giurare di non ritornare più a vendicarsi. Libero, si fece sciogliere dal papa dal giuramento e riprese le armi, ma invano; ritornò allora in Italia settentrionale, dove morì. Carlo il Calvo detto anche Carlo II (823-877) Figlio di Ludovico il Pio, partecipò alla lotta fra i suoi fratelli per la spartizione dei territori paterni al fianco di Ludovico il Germanico contro Lotario. Con il Trattato di Verdun (843) ottenne la Francia Occidentalis, ossia i territori a Ovest della linea Schelda-Mosa-Saona-Rodano. All'interno dei suoi domini combatté lungamente con scarso successo i Bretoni, che volevano affermare la loro completa autonomia e che la conseguirono appunto nell'846 sotto la guida del duca Salomone; miglior successo ebbe contro Pipino II, a cui tolse il regno d'Aquitania assegnandolo al figlio Carlo (855). Alla morte di Lotario II (869), re della Lotaringia, Carlo II e Ludovico il Germanico si divisero questo regno e con il Trattato di Meerssen (870) stabilirono nuovi confini fra i rispettivi domini. Nell'876, morto Ludovico II (quello appena sopra), imperatore e re d'Italia, Carlo II s'impossessò anche della Provenza e dell'Italia, dove discese, sostenuto dal papato che aveva bisogno di un aiuto militare contro i Saraceni, e ricevette da Giovanni VIII la dignità imperiale (875) e reale (876); tentò poi la conquista della Germania, ma fu sconfitto ad Andernach (876) da Ludovico il Giovane (figlio di Ludovico il Germanico, ma che morì prima del padre nell’875). I grandi feudatari allora lo costrinsero a emanare il Capitolare di Kiersy (877), con il quale venivano sanciti molti privilegi, relativi soprattutto all'ereditarietà dei feudi acquisiti dai grandi signori del regno. Ridisceso in Italia nell'877, gli mosse contro Carlomanno, figlio di Ludovico il Germanico (che nel frattempo era moro pure lui nel 876). Egli però, a conoscenza di nuove turbolenze della nobiltà del regno, decise di tornare in Francia, ma morì sulla via del ritorno. 4 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VIII Lezione: crisi carolingia Divisione dei territori dopo il Trattato di Mersen (870) Carlo il Grosso Carlo III, detto il Grosso (839- 888), fu re di Alemannia (876-887), poi Re d'Italia (879-887), Sacro romano imperatore (881-887), Re dei Franchi orientali (882-887) e infine Re dei Franchi occidentali, re d'Aquitania e re nominale di Provenza (884-887). Fu l'ultimo imperatore, nella linea di discendenza legittima, della dinastia carolingia ed anche l'ultimo imperatore a governare su tutti i regni dell'impero Dopo la morte del fratello Ludovico III (882), Carlo il Grosso, ereditò il titolo regale dei Franchi orientali o di Germania, assumendo anche il controllo sui territori su cui Ludovico III regnava (Franconia, Sassonia, Turingia e Baviera, che aveva ereditato alla morte del fratello Carlomanno, nell'880), lasciando ad Arnolfo, figlio illegittimo di suo fratello Carlomanno di Baviera, il ducato di Carinzia. Dopo che, nell'884 suo cugino re d'Aquitania e pretendente al trono di Provenza, Carlomanno II, divenuto, nell'882, anche re dei Franchi occidentali, succedendo al fratello Luigi III, morto per una caduta da cavallo, era anche lui morto per una caduta da cavallo, in seguito ad un incidente di caccia, Carlo il Grosso fu scelto dai maggiorenti del regno a succedergli come re dei Franchi Occidentali, re d'Aquitania e pretendente al trono di Provenza, perché il legittimo erede. Formalmente l'impero di Carlo Magno era unificato sotto un unico sovrano (885-887). Carlo il Grosso fu però incapace di contrastare le invasioni dei Vichinghi. Nel 885 Carlo il Grosso venne sconfitto, a Lovanio, dai Vichinghi là radunatisi, poiché dopo la morte di Carlomanno II, si erano sentiti sciolti dall'impegno di dover lasciare il regno dei Franchi occidentali ed erano ritornati. 5 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VIII Lezione: crisi carolingia A seguito della ribellione di suo nipote, Arnolfo di Carinzia, figlio naturale di Carlomanno (Carlomanno di Baviera 830-880), che era stato tra i maggiori avversari di Carlo III a Magonza, Carlo venne deposto da una dieta di Grandi dell'Impero, svoltasi a Trebur, nei pressi di Darmstadt nel novembre dell'887, approfittando del fatto che l'imperatore era fisicamente impedito a causa di una grave malattia. A quel punto l'impero di Carlo Magno era definitivamente disgregato, le diverse fazioni cercarono di porre il proprio controllo sulla corona. Arnolfo di Carinzia venne proclamato re dei Franchi orientali. Oddone – la cui ascendenza come casata è incerta- fu proclamato re di Francia (888-898) da una dieta svoltasi a Compiègne. In Italia, Berengario del Friuli e Guido II di Spoleto finirono per contendersi la corona di re d'Italia. Carlo, dopo la deposizione, fu condotto in Alemannia, a Neidingen, una località sul Danubio, vicino a Costanza, dove morì nel 888. L'anarchia feudale Dopo lo smembramento dell'impero carolingio (887) i territori del Regno d'Italia finirono in una sorta di anarchia feudale dominata dai signori locali e da interventi di re franchi, nonostante alcuni deboli monarchi si avvicendassero sul trono, arrivando anche talora a venire incoronati dal papa. Arnòlfo di Carinzia (metà sec. IX - 899) Figlio naturale di Carlomanno re dei Franchi Orientali, divenne duca di Carinzia (880) e nell'887 fu dai grandi eletto re di Germania, dopo la deposizione di Carlo il Grosso suo zio, da lui provocata. Vinse i Normanni a Lovanio (891), respingendoli dalla Germania, ma non poté frenare le scorrerie degli Ungari, già suoi alleati (892) contro la Moravia. La sua autorità si estese, oltre ai possessi ereditari, alla Baviera, alla Svevia e alla Franconia. L'impero carolingio nell'898. In verde chiaro il regno di Arnolfo, alla sua morte 6 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VIII Lezione: crisi carolingia Spedizioni in Italia Invocato da Berengario (Berengario del Friuli 850-924) e da papa Formoso, nell'894 Arnolfo entrò in Italia e conquistò Bergamo, Milano e la capitale Pavia, dove si fece riconoscere re d'Italia, mentre Guido di Spoleto fuggiva nei suoi possedimenti. Se la conquista era stata facile, il suo mantenimento lo fu molto meno: Guido aspettava solo il ritiro di Arnolfo, la fedeltà dei vassalli italiani era mutevole, e persino Berengario, cui era stata negata la corona, appariva ostile e sbarrava la via del Brennero percorsa all'andata. Arnolfo cercò di lasciare l'Italia per il passo di Bard (Savoia), ma si trovò la strada sbarrata dalle forze di Anscario I, marchese d'Ivrea, aiutato dal suo nemico Rodolfo di Borgogna, e solo a grande fatica riuscì ad abbandonare il Paese senza grosse perdite. Allora cercò di aggredire Rodolfo di Borgogna, che evitò di combattere ritirandosi sui monti. L'anno successivo Arnolfo organizzò una seconda spedizione in Italia: conquistata facilmente la parte settentrionale del Paese, proseguì verso Roma, dove il 21 febbraio 896, fu incoronato imperatore da papa Formoso, nella basilica di San Pietro. I suoi avversari continuavano tuttavia a sfuggirgli: Guido era morto ma gli era succeduto il giovane figlio Lamberto, sotto la guida della madre, Ageltrude, che organizzò la resistenza ad Arnolfo, mentre il deposto Berengario rimaneva nascosto in attesa di sollevarsi con i suoi fedeli. Cominciò quindi una difficile ritirata dei tedeschi, mentre Roma cadeva in mano alla fazione spoletina e la stessa Pavia insorgeva contro Arnolfo, che cercava di tenere a bada i signori del regno concedendo loro grandi benefici. Il suo potere in Italia crollò nel giro di poche settimane, mentre Berengario e Lamberto si spartivano il regno. Arnolfo passò gli anni seguenti in Germania senza intraprendere altre spedizioni di nota, a causa della salute precaria, e fu assorbito dal tenere a bada vassalli ribelli e difendere i confini orientali del regno. Arnolfo morì nel 899 a Ratisbona, a 49. Dopo la morte di Arnolfo, il figlio legittimo, Ludovico il Fanciullo, divenne Re dei Franchi orientali, mentre il figlio illegittimo, Sventibaldo ricevette la Lotaringia, ed ad un certo Liutpoldo concesse il ducato di Baviera, mentre il Regno d'Italia ed il titolo di imperatore sarebbero toccati l'anno dopo al re di Provenza, Ludovico il cieco che però conservò questi titoli solo per 4 anni. Ugo di Provenza re d'Italia. (morto nel 947) Figlio del conte di Arles, Lotario, cui succedette (898), divenendo poi duca e quindi re di Provenza (924). Chiamato in Italia dai grandi nobili e da papa Giovanni X per essere opposto a Rodolfo di Borgogna, fu incoronato re a Pavia (926). Allargando la sua giurisdizione all'Italia centrale, prepose a Camerino e a Spoleto un suo parente, Teobaldo, nella Marca di Toscana il fratello Bosone e poi il figlio Uberto. Sposò (928) la nobile romana Marozia (vedi sotto la “pornocrazia”), ma non riuscì a imporsi a Roma perché fu cacciato dal figlio della stessa Marozia, Alberico II, né gli riuscì più di rientrarvi, nonostante i suoi ripetuti tentativi. Per raccogliere le sue forze cedette a Rodolfo i suoi possedimenti al di là delle Alpi, purché non ingerisse più negli affari d'Italia. Fin dal 931 si era associato nel regno il figlio Lotario; sposò poi (937) la vedova del re di Borgogna, Berta, mentre Lotario ne sposava la figlia Adelaide. Il suo regno durò fino al 946: Cercò di risolvere le diatribe ereditarie sul titolo associandolo subito a suo figlio Lotario II. Questi però scomparve già nel 950, per cui gli successe il marchese d'Ivrea Berengario II, che a sua volta elesse come successore il figlio Adalberto. Berengario II (900966), temendo lotte e trame per il potere, fece perseguire la vedova di Lotario II, Adelaide, che si rivolse all'Imperatore tedesco Ottone I, chiedendogli aiuto a fronte di quella che riteneva l'usurpazione della corona da parte di Berengario. Berengario del Friuli (850-924) Nell’887, dal momento della deposizione di Carlo il Grosso, inizia fra i più importanti feudatari della penisola, fra i quali Berengario, il potente marchese del Friuli, la lotta per l’appropriazione del titolo di Re d’Italia. Berengario era figlio di Eberardo del Friuli e della figlia di Ludovico il Pio, Gisla. Poteva, quindi, vantare un diritto dinastico sul titolo, essendo un diretto discendente 7 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VIII Lezione: crisi carolingia dell’imperatore Carlo Magno. Un altro elemento molto importante era la sua potenza militare, fondamentale per difendere una zona strategicamente importante come il Friuli, porta e confine del Regno d’Italia. Per queste ragioni nell’888, a Pavia, fu eletto successore di Carlo il Grosso come re d’Italia. Un altro pretendente, però, Guido II di Spoleto (vedi sotto), mosse guerra contro il nuovo re d’Italia. Gli eserciti dei due contendenti si scontrarono in una sanguinosa battaglia vicino al fiume Trebbia, in provincia di Piacenza. Lì Berengario subì una rovinosa disfatta, ma non rinunciò al titolo di Re d’Italia. Seguì un complesso periodo di avvicendamenti sul trono, sino a quando Berengario restò l’unico Re d’Italia, anche se il suo potere si estendeva soltanto nelle regioni del Nord. L’ambizioso sovrano, però, cercava una possibilità per ottenere il titolo di Imperatore. L’occasione si realizzò quando papa Giovanni X chiese aiuto a Berengario per contrastare un manipolo di musulmani che minacciava Roma. Dopo la vittoria nella battaglia sul fiume Garigliano, Berengario ottenne l’ambito titolo di Imperatore. Seguì, finalmente, un breve periodo di tranquillità, che terminò nel 922, anno in cui, da parte dei grandi feudatari, fu ordita una nuova congiura per portare alla deposizione di Berengario dal trono di Re d’Italia. Berengario fu sconfitto a Firenzuola d’Arda dall’esercito di Rodolfo di Borgogna, che assunse il titolo di Re. Qualche tempo dopo, Berengario lanciò una nuova offensiva, dopo aver allestito un esercito mercenario composto da 5.000 Ungari. Durante l’assedio della città di Pavia, divampò un incendio, che distrusse la capitale del Regno. Nel 924 Berengario fu colpito alle spalle durante una cerimonia religiosa, da Flamberto, un funzionario del Regno, e dai suoi compagni, che intendevano vendicare il rogo di Pavia. Guido duca di Spoleto (855-894) Figlio di Guido I e di Adelaide, figlia di Pipino re d'Italia. Valoroso e abile come il padre, dopo aver riunito (883) i ducati di Spoleto e Camerino, assunse un atteggiamento di decisa indipendenza di fronte a Carlo il Grosso, come di fronte al pontefice Stefano V, che però difese con successo dai Saraceni del Garigliano. Dopo un breve dominio a Capua e a Benevento, spinto anche dall'ambiziosa moglie Ageltrude, profittando della deposizione di Carlo il Grosso (888), passò in Francia e si fece incoronare re di Francia a Reims, ma costretto a cedere al più potente Oddone, conte di Parigi, tornò in Italia e, sconfitto Berengario duca del Friuli, fu incoronato re d'Italia (889) e due anni dopo imperatore (891), rafforzando notevolmente la propria potenza con il conferimento del regno d'Italia al figlio Lamberto poi associato all'impero. Contro di lui invano papa Formoso fece venire in Italia Arnolfo di Carinzia e organizzò una rivolta di feudatari (894). La dinastia imperiale sassone Alla morte di Ludovico IV, i duchi di Alemannia, Baviera, Franconia e Sassonia elessero Corrado I Sacro Romano Imperatore dei Franchi, della casata di Franconia, come loro capo nel 911. Il suo successore Enrico I (919 - 936) detto l’Uccellatore, della casata di Sassonia, accettò un Impero orientale separato da quello occidentale franco (ancora retto dai Carolingi) nel 921 chiamando sé stesso rex Francorum orientalium (Re dei Franchi Orientali). La situazione all'inizio del X secolo si presentava particolarmente grave, per la polverizzazione del potere a fronte delle pericolose minacce esterne causate dalle frequenti invasioni degli ungari. Quando venne eletto al trono Enrico seppe dare una risposta forte a questi problemi iniziando una riforma amministrativa e militare del regno, facendo edificare una serie di fortezze che facessero da centri difensivi, amministrativi, politici ed economici (un po' come erano state le abbazie al tempo di Carlo Magno). Nel 935 egli ottenne una significativa vittoria contro gli ungari, assoggettando anche le popolazioni slave tra Elba e Oder. 8 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VIII Lezione: crisi carolingia Enrico designò come suo successore il figlio Ottone, che fu eletto Re ad Aquisgrana nel 936. Questi più tardi, incoronato Imperatore col nome di Ottone I (poi chiamato "il Grande") nel 962, avrebbe marcato un passo importante, verso l'Impero e avrebbe avuto la benedizione del Papa. Ottone aveva guadagnato prima molto del suo potere, quando nel 955 aveva sbaragliato i Magiari nella battaglia di Lechfeld. Nella letteratura contemporanea e successiva, ci si riferisce all'incoronazione come a una “translatio imperii”, trasferimento dell'Impero. Il mitico sottinteso era che c'era e ci sarebbe stato sempre un solo impero. Si considerava che fosse iniziato con Alessandro Magno, fosse passato ai Romani, poi ai Franchi, e finalmente al Sacro Romano Impero (e questo spiega il Romano nel nome dell'Impero). Gli imperatori tedeschi si consideravano quindi i diretti successori di quelli dell'Impero Romano; e per questo motivo inizialmente si davano il titolo di Augusto. Inizialmente essi non si chiamarono ancora Imperatori "Romani", probabilmente per non entrare in conflitto con l'Imperatore Romano che ancora esisteva a Costantinopoli. Il termine Imperator Romanorum divenne comune solo successivamente all'epoca di Corrado II. A quel tempo, il regno più orientale fu una alleanza delle vecchie tribù germaniche dei Bavari, Svevo-Alemanni, Franconi e Sassoni. L'Impero come unione politica probabilmente sopravvisse solo per la forte personalità e influenza di Enrico il Sassone e di suo figlio Ottone. Tuttavia, anche se formalmente eletti dai capi delle tribù germaniche, nella realtà essi riuscirono a designare i loro successori. Contemporaneamente però andavano formandosi i primi Stati slavi autonomi: la Grande Moravia del principe Svatopluk, lo Stato boemo dei Premyslidi e quello polacco, nonché la Rus' di Kiev, nel sec. X, il primo Stato russo Ruolo del papa dopo Carlo Magno Con l'incoronazione di Carlo Magno nella notte di Natale dell'800 da parte di Leone III, il papa assunse una funzione estremamente importante nei giochi politici, in quanto solamente il successore di San Pietro era legittimato a consacrare gli imperatori, leader supremi dell'Occidente: Con l'incoronazione di Carlo dell'800, quindi, si venne a creare la concezione dei poteri universali che avrà tanta influenza nei secoli a venire, specialmente nell'XI secolo con la lotta delle investiture. Secondo l'ottica medievale, i due poteri universali reggevano il mondo e si "autolegittimavano" a vicenda: il Papa era colui che governava la cristianità per condurla alla salvezza eterna e, in quanto Vicario di Cristo, consacrava l'imperatore, laico deputato a governare il mondo assicurandogli stabilità politica. È in tale clima ideologico che si venne a creare la Constitutum Constantini (già ricordata). Questa duplice diarchia, così ben costruita a livello teorico, era però suscettibile a vari fattori, tra i quali spiccava la sicurezza militare offerta dall'imperatore nei confronti del Papa. Finché il trono era in mano all'energico Carlo Magno e la struttura dell'Impero stesso era ancora salda, il papato poté godere di una certa autonomia politica e protezione dalla rissosa nobiltà romana. Quando però l'Impero entrò in crisi in seguito alle più sopra ricordate lotte tra Ludovico il Pio e i figli per poi dissolversi nell'888, il trono di Pietro divenne preda delle fazioni locali, screditando così la sua missione spirituale: Quello che emerge complessivamente dalle vicende del papato è una palese e stridente contraddizione tra la natura "universale" dell'istituzione, e la "municipalità" cui si ridusse l'episcopato romano, contraddizione dovuta a due motivi principali: 9 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VIII Lezione: crisi carolingia 1. Il dominio delle famiglie patrizie romane (duchi di Spoleto; Teofilatto; Crescenzi; Conti di Tuscolo), che intesero il papato come instrumentum regni, riducendo il raggio d'azione politico e pastorale di quest'ultimo al solo Lazio[4]. 2. L'elezione del papa, nell'Alto Medioevo, seguiva le stesse modalità d'elezione dei vescovi del Cristianesimo delle origini. Non esistendo un collegio cardinalizio vero e proprio, il papa veniva eletto dal populus romanus nelle sue varie classi sociali (aristocrazia, clero, milizia). Come poteva l'istituzione papale, che si proclamava universale, essere espressione degli interessi soltanto del popolo romano? Già papa Giovanni VIII (872-882) aveva cercato l'appoggio di Carlo il Calvo per la protezione del Patrimonium Sancti Petri dai saraceni e dai feudatari italici che, approfittando della decadenza dell'Impero, si erano resi praticamente indipendenti e spadroneggiavano su un'Italia in stato d'anarchia. Destituito dalla carica imperiale poi l'ultimo e patetico rampollo dei carolingi, Carlo il Grosso, il papato si ritrovò completamente senza alcun sostegno politico e militare. Saeculum obscurum L'espressione saeculum obscurum fu coniata da Cesare Baronio negli Annales Ecclesiastici per caratterizzare come cupo e disastroso il periodo della storia del papato che va dall'888 (quando l'autorità imperiale venne meno, gettando l'Europa nel caos politico) al 1046 (cioè l'inizio della riforma gregoriana). Tra Formoso e Stefano VI: Il sinodo del cadavere Inutilmente Papa Formoso (891-896) e Giovanni IX (898-900) cercarono di barcamenarsi tra ombre di pretendenti alla corona imperiali (Arnolfo di Carinzia) ed invadenti feudatari italici (Guido II di Spoleto e suo figlio Lamberto II di Spoleto da una parte; dall'altra Berengario del Friuli). Formoso, (come ricordato più sopra) attuando una politica estera imprevedibile, chiamò in suo soccorso Arnolfo dalla Germania, perché fosse incoronato imperatore contro Guido e Lamberto da Spoleto, incoronati dal papa pochi anni prima. Questa politica ambivalente fu la causa dell'odio che il partito filo-spoletino all'interno della città di Roma nutrì nei confronti di un papa che, contravvenendo alle norme canoniche stabilite dal Concilio di Nicea I (325), era già stato precedentemente vescovo di un'altra sede. Quando Formoso morì, nell'aprile dell'896, la fazione filo-italica prese il sopravvento in Roma, eleggendo un nemico giurato di Formoso, Stefano VI (896-897), il cui nome è legato al macabro e degradante "sinodo del cadavere". Lamberto e la madre Ageltrude intendevano vendicarsi di Formoso per il tradimento "tedesco" e, approfittando dell'irregolarità con cui Formoso era stato eletto papa, costrinsero papa Stefano a riesumare il cadavere mummificato di Formoso e, dopo un processo-farsa tenutosi nel Laterano nel gennaio dell'897, fu dichiarato dannato in eterno e furono dichiarate nulle le sue ordinazioni. Il cadavere di Formoso fu infine mutilato e gettato nel Tevere, per poi venire ripescato (secondo la leggenda) da un pio monaco. Stefano non sopravvisse a lungo a tale oscenità: nell'agosto dell'897 veniva deposto e strangolato. Nei tre anni successivi la fazione filo-formosiana riuscì a riprendere il controllo della città, e i papi Teodoro II (897) e Giovanni IX (898-900) riabilitarono la figura di Formoso e Giovanni, dotato di notevoli qualità diplomatiche, riuscì a ristabilire buoni rapporti con Lamberto di Spoleto. La morte di Lamberto II (ottobre 898) e l'arrivo degli Ungari da nord (i quali batterono, nell'899, l'esercito di Berengario) frantumarono le speranze di Giovanni IX, oltre che a gettare tutta l'Italia nel caos politico più completo. Il successore, Benedetto IV (900-903) tentò di perseguire la politica del 10 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VIII Lezione: crisi carolingia predecessore, riconoscendo Ludovico di Provenza nuovo imperatore; commise però l'errore di elevare due nobili romani, Teofilatto e Crescenzio, ad importanti posizioni politiche nell'Urbe. Fu proprio Teofilatto, infatti, a dare l'avvio al degradante periodo della "pornocrazia". Tra Teofilatto e Marozia: la pornocrazia (904-935) Con la morte di Benedetto IV, la situazione precipita nella più completa anarchia: Leone V viene deposto e, probabilmente, fatto strangolare da Cristoforo. Con Roma in tale stato d'anarchia, Sergio III (904-911), il vescovo di Cere acerrimo nemico di Formoso e che fu scomunicato da Giovanni IX a Ravenna, prese con un vero e proprio Colpo di Stato il potere in Roma (gennaio 904), aiutato in questo da Teofilatto, che nel frattempo si era creato una vasta rete clientelare in Roma. Il papato di Sergio, che riabilitò tutte le decisioni del sinodo del cadavere e gettando così tutto il clero nell'incertezza riguardo alla validità della propria ordinazione, segnò l'inizio dell'influenza politica di Teofilatto e delle donne della sua casata: la moglie Teodora e, ancor di più, la figlia Marozia. Furono infatti queste due donne che, con i loro costumi lascivi, segnarono la storia del papato nei decenni a venire: Marozia divenne l'amante di Sergio, dal quale ebbe, secondo Liutprando di Cremona, il futuro Papa Giovanni XI. Morto Sergio nel 911, gli succedettero Anastasio III (911913) e Lando (913-914), vere e proprie marionette nelle mani del regime di Teofilatto. La "parentesi" di Giovanni X (914-928) Giovanni X fu l'unico pontefice, nel corso del X secolo, a resistere per ben quattordici anni alla politica di potenza di Teofilatto e di sua figlia Marozia (892-937). Benché fosse stato eletto papa in quanto amante di Teodora, moglie di Teofilatto, Giovanni riuscì ad imporre una politica temporale autonoma: nel 915 cercò aiuto in Berengario del Friuli, incoronandolo imperatore nonostante fosse ancora vivo Ludovico di Provenza; sempre nel 915, il papa si mise a capo di una lega degli Stati italiani riuscendo ove Papa Giovanni VIII aveva miseramente fallito: l'annientamento dei saraceni nella battaglia del Garigliano, evento che celebrò in Giovanni un salvatore del mondo cristiano dalle incursioni degli infedeli. Tale posizione di prestigio oscurò la potenza di Teofilatto, che morì nel 924. La riscossa della famiglia fu dovuta alla figlia di Teofilatto e Teodora, quella Marozia amante di Sergio III sposata poi ad Alberico I di Spoleto. Rimasta vedova, Marozia si sposò nel 928 con il potente feudatario Guido di Toscana, dal quale ottenne le truppe necessarie per neutralizzare l'energico pontefice. Questi, privo delle forze necessarie, fu catturato nel Laterano e, dopo essere stato deposto, fu strangolato in Castel Sant'Angelo. Marozia, eliminato l'ingombrante Giovanni X, divenne l'assoluta dominatrice di Roma, tanto da autoproclamarsi "patricia et senatrix populi romani". Dopo alcuni vari papi "cortigiani", nel 931 elevò sulla cattedra di Pietro il figlio avuto, con tutta probabilità, da Sergio III: Papa Giovanni XI (931-936). Con il figlio come papa, Marozia poté ottenere di sposarsi (Guido era morto, nel frattempo) con il fratello del defunto sposo, Ugo di Provenza. Il matrimonio della madre, però, fu fortemente inviso dal figlio avuto da Alberico I, il giovane Alberico II, in quanto ostile alla presenza di uno straniero in Roma. Pertanto il giovane, approfittando di una lite avuta con il patrigno, scatenò una rivolta da parte del popolo romano: Marozia fu imprigionata, Ugo scappò a malapena da Roma e Giovanni XI fu arrestato "ai domiciliari" nel Laterano, ove morì nel 936. Alberico II Dall'anno 932 al 954 governò Roma e sul papato il figlio di Marozia, Alberico II, che assunse il titolo altisonante di princeps et senator omnium Romanorum. Con lui, il periodo della pornocrazia 11 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VIII Lezione: crisi carolingia ebbe termine, in quanto non ci furono più donne a controllare la vita religiosa e politica dell'Urbe. Alberico seguì la politica di famiglia, nominando papi uomini di sua fiducia e, sotto il profilo ecclesiastico, integerrimi e pii. Insieme a questi papi, Alberico fu promotore della riforma cluniacense e promosse la ricostruzione di conventi e di abbazie, anche con il tentativo di detenere la maggiore influenza possibile sull'Italia meridionale. La politica di Alberico fu, però, più accorta e intelligente di quella della madre: benché detenesse l'assoluto controllo della città, non agì scandalosamente come fece Marozia. Piuttosto, Alberico si servì del papato contro Ugo di Provenza e orientando i rapporti con gli altri Stati secondo i suoi calcoli politici. Nel 954 Alberico, sentendosi prossimo alla morte, si fece trasportare in Laterano ove costrinse i prelati e il popolo ad eleggere pontefice il figlio diciassettenne Ottaviano, non appena fosse morto il pontefice allora in carica Agapito II (946-955). Era il tentativo, da parte di Alberico, di riunificare il potere temporale con quello spirituale nella persona del figlio. Quando poi l'anno successivo Agapito morì, Ottaviano, che nel frattempo aveva ricevuto una sommaria educazione ecclesiastica, assurse al soglio pontificio col nome di Giovanni XII, considerando il suo nome principesco poco consono all'alta dignità di cui si rivestiva. Giovanni XII (932-965): l’incoronazione di Ottone I (962) Ottaviano, un giovane pieno di fuoco e di passioni, tanto dissoluto da essere paragonato persino a Nerone, salì al trono papale e non tardò a dare scandalo al popolo romano ed all'intera cristianità per il suo comportamento lascivo e privo di dignità religiosa. Il 2 febbraio 962 l'imperatore Ottone I si fece incoronare imperatore da Giovanni XII. In questa sede, ci fu uno scambio di promesse: Ottone promise al papa la sicurezza e la difesa dei territori e dei diritti della Chiesa romana; il papa e i romani giurarono, dopo l'incoronazione, di restare fedeli all'imperatore e di non favorire mai nessun altro se non colui che portava l'autorità imperiale. Tale alleanza tra Impero e Papato si concretizzò nell'approvazione del celebre Privilegium Ottonianum (o Privilegium Othonis) del 13 febbraio 962: Ottone riconfermò alla Chiesa di Roma le donazioni di Pipino e di Carlo Magno e ripristinò la supremazia imperiale conformemente alla costituzione di Ludovico il Pio dell'824 (giuramento di fedeltà da parte del papa canonicamente eletto, prima della consacrazione, giurisdizione suprema e controllo dell'imperatore sopra i funzionari del papa). Il Privilegium Othonis fu sicuramente deleterio per la libertà pontificia: l'elezione di un candidato al trono pontificio doveva essere di gradimento all'imperatore (quasi una sorta di funzionario imperiale), mentre sotto i carolingi si doveva attendere il documento che attestava la canonicità dell'elezione. Le premesse al grande scisma d’oriente: la cristianizzazione della Bulgaria Quando Boris I di Bulgaria si fece battezzare, l'aristocrazia boiara si rivoltò e cercò di ucciderlo per ripristinare il paganesimo. Boris reagì prontamente e spietatamente; in seguito se ne rammaricò, attribuendo la sua conversione alle pressioni del clero bizantino. Ricevuta l'epistola del patriarca Fozio, che rimarcava il forte imperialismo bizantino, inviò nell'866 un'ambasceria a Ludovico II il Germanico, re dei Franchi, per richiedergli missionari; contemporaneamente richiese sacerdoti ed un patriarca al papa Niccolò I. Questi aveva tenuto un contro-sinodo a Roma nell'863 nel quale aveva scomunicato Fozio e i suoi seguaci; decise di inviare a Boris i due vescovi Formoso di Porto e Paolo di Populonia. 12 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VIII Lezione: crisi carolingia Fòzio - Patriarca di Costantinopoli ed erudito (827 - 886), figura assai discussa. Di famiglia nobile (suo fratello Sergio sposò Irene, sorella dell'imperatrice Teodora), fece rapida carriera a corte, divenendo primo segretario della cancelleria imperiale. Quando il patriarca Ignazio fu deposto da Michele III e Barda, Fozio fu chiamato, benché laico, a succedergli; ma non è chiaro se la sostituzione fosse, o no, legittima, cioè se Ignazio avesse realmente abdicato (come sostengono vari storici recenti in base a nuove ricerche) o no, o solo sotto condizioni, non osservate poi da Fozio. Comunque, egli si fece ordinare e consacrare da Gregorio Asbesta, metropolita di Siracusa, destituito da Ignazio e sospeso da Benedetto III. Fozio nondimeno volle ottenere il riconoscimento del papa Niccolò I e gli mandò (860) la sua professione di fede. Il papa inviò allora a Costantinopoli come legati, in missione semplicemente informativa, Radoaldo di Porto e Zaccaria di Anagni, i quali invece aderirono al concilio che nell'861 depose il patriarca Ignazio. Intanto a Roma, inviati e amici di Ignazio ottennero che il papa nel sinodo dell'863 condannasse Fozio, anche come violatore dei diritti della Santa Sede. La tensione dei rapporti (Fozio era tuttora sostenuto dalla corte bizantina) si aggravò per la questione della conversione dei Bulgari; avendo Boris I preferito i missionari latini e scacciato i bizantini, Fozio, irritato, scomunicò il papa, trovando anche un pretesto teologico per accusarlo di eresia: l'inserzione della clausola Filioque nel Credo. Contro il papa stesso, inoltre, si rivolse anche all'imperatore Lodovico II. Così si ebbe lo scisma d’oriente, tradizionalmente designato come "primo". Basilio il Macedone il nuovo imperatore fondatore della dinastia macedone che aveva fatto assassinare Michele il precedente imperatore, fautore d'una politica d'intesa con Roma contro i musulmani, ripose sulla sede patriarcale Ignazio; Fozio fu chiuso in convento (867) e condannato nell'8º concilio ecumenico (869-70), presenti Donato di Ostia, Stefano di Nepi e il diacono Marino, legati del papa Adriano III. Tuttavia Fozio, rientrato in grazia dell'imperatore che gli affidò l'educazione dei figli, ridivenne patriarca (878) dopo la morte di Ignazio, e chiese il consenso del nuovo papa Giovanni VIII; sembra che il papa si dichiarasse disposto a riconoscerlo a varie condizioni, tra cui la rinuncia all'evangelizzazione della Bulgaria e la richiesta di perdono in un concilio; e che, malgrado Fozio non adempisse a tali condizioni, si contentasse di rimproverarlo. Fozio fu relegato più tardi nuovamente (886) in un monastero dove morì, non si sa quando. Fozio appare come un dissidente, costretto a lottare contro il papato più per forza di eventi che per volontà propria; pare altresì che poi si riconciliasse o per lo meno facesse di tutto per riconciliarsi, benché resti in dubbio se egli nutrisse sentimenti cattolici; è certa la sua opposizione al Filioque. Ma Fozio ha un grande posto anche nella storia della cultura: nella sua casa si riunivano dotti, si leggevano i classici e si trascrivevano codici. Frutto di tale attività, oltre ad opere teologiche (Amphilochia, dialoghi con Anfilochio, metropolita di Cizico; De Spiritus Sancti Mystagogia, ecc.), al Lexicon e a un epistolario, è l'opera sua più celebre, Myriobiblion (più comunemente Bibliotheca), rassegna, dedicata al fratello Tarasio, di 279 opere in prevalenza storiche e teologiche, molte delle quali perdute, di cui riporta anche sommarî ed estratti (fra essi il riassunto dei primi due libri della Crestomazia di Proclo). È invece falsamente attribuita a Fozio una rielaborazione del Nomocanone dell'883. Secondo fondate ipotesi, il tipo di illustrazione del salterio bizantino, detto monastico, con figure marginali che commentano i varî passi del testo, sarebbe dovuto a Fozio. Se ne conservano alcuni esemplari, dal 9º (salterio Chludov, Mosca, Museo storico, forse il prototipo) al 12º secolo. La cosa provocò l'indignazione di Fozio, che tentò di rimediare al voltafaccia di Boris convocando un concilio 867 nel quale: condannò l'apostasia bulgara scomunicò il papa Niccolò I 13 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VIII Lezione: crisi carolingia condannò l'aggiunta del filioque al credo, estendendo la dottrina trinitaria greca secondo cui lo Spirito Santo procede dal Padre anche al Figlio Il celibato per i preti, cosa non prevista nella chiesa ortodossa. L'esclusiva dei vescovi di celebrare la Cresima. Il digiuno per tutto il clero al sabato. La fissazione dell'inizio della quaresima al mercoledì delle ceneri In seguito fu Basilio I (imperatore macedone) a deporre Fozio; tuttavia papa Niccolò I, che nel frattempo era morto, non poté venire a saperlo. Il suo successore, Adriano II inviò due legati (Marino - in seguito papa col nome di Marino I - e Leone) a Costantinopoli dove Ignazio, ritornato patriarca per ordine di Basilio, indisse un concilio (869-870). Nell'ultima sessione del concilio prese parte anche un'ambasceria bulgara che cercava di avere da Bisanzio ciò che non otteneva da Roma: i legati pontifici accampavano diritti sull'Illirico, che consideravano un proprio territorio canonico, mentre i bizantini lo rivendicarono fra i loro antichi possedimenti. La maggioranza orientale dei partecipanti ebbe la meglio; fu Ignazio dunque (cioè Costantinopoli) e non Adriano II (cioè Roma) ad inviare nuovi preti e consacrare un nuovo vescovo in Bulgaria. Le premesse della riforma gregoriana: la riforma cluniacense La riforma cluniacense fu un movimento di riforma ecclesiale dell'alto medioevo che ebbe la sua origine nell'abbazia benedettina di Cluny in Borgogna; questo movimento di riforma dapprima rinnovò l'ordine benedettino e poi si estese a tutta la Chiesa cattolica. I fondamenti della riforma erano: applicazione stretta della regola benedettina stretta osservanza della celebrazione quotidiana della messa attenzione alla devozione di ogni singolo monaco Accanto a questo vi era una riforma dell'organizzazione dei monasteri e la sottrazione dei medesimi all'autorità vescovile. I monasteri e gli ordini vennero resi dipendenti dal pontefice romano. Nella lotta per le investiture Cluny evitò di prendere esplicitamente partito, ma fu a fianco dei papi riformatori per quanto riguardava la simonia ed il celibato sacerdotale. Già con il primo abate Bernone (850-927) ebbe inizio un recupero degli antichi ideali monastici, che venne poi proseguito con l'abate Oddone (già ricordato più sopra parlando della situazione romana). Le consuetudines cluniacenses si diffusero rapidamente nella Francia meridionale e trovarono terreno fertile anche nell'Italia settentrionale, in particolare nei monasteri di S. Maria Aventinese e, in Italia centrale, di Montecassino. Accanto al ritorno ai princìpi di san Benedetto e ad un forte afflato spirituale (che comprendeva anche il servizio liturgico e la credènza nei miracoli), ben presto si cercò di raggiungere la massima indipendenza dalle cose mondane, la qual cosa comprendeva, dal punto di vista pratico, l'indipendenza dalle diocesi e la richiesta di poter esercitare la giurisdizione nei territori dipendenti dal monastero. In questo senso il movimento cluniacense si poneva nel solco della tradizione che si era espressa nello Pseudo-Isidoro (prima metà dell'VIII secolo), una raccolta di decreti, decisioni sinodali, lettere papali, che si riproponeva di rafforzare la posizione dei vescovi soprattutto rispetto al potere secolare, insistendo sull'idea di un papato forte, nel quale si vedeva la migliore garanzia, in particolare per le diocesi più piccole. 14 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VIII Lezione: crisi carolingia Con il secolo XI, ed in particolare sotto l'abate Odilo, verificò nella riforma cluniacense una svolta riguardo alla politica ecclesiastica. Essa ebbe origine dalla frequente presenza di monaci cluniacensi a Roma, dove il problema non era tanto l'ingerenza da parte delle autorità secolari, quanto un papa che, pur capo spirituale della Chiesa, non era per nulla libero dai condizionamenti del potere laico: in particolare l'elezione del papa era, di fatto, in mano all'aristocrazia romana, oltre che soggetta ad altre influenze extraecclesiastiche di vario genere. La lotta contro queste interferenze, contro la simonia e il nicolaismo (indica preti sposati o concubinari) mutò la natura della riforma: l'opera di Umberto di Silvacandida, di Anselmo da Lucca e di Gregorio VII fecero sì che il pensiero cluniacense esercitasse una profonda influenza sulla Riforma gregoriana. Venezia nei secoli IX, X e XI In due secoli, il sec. IX e il X, durante i quali i rapporti esterni furono regolati secondo le norme franco-bizantine definitivamente coordinate nell'840 nel cosiddetto pactum Lotarii, la vita veneziana riuscì gradualmente a creare una città, Venezia; a ordinare intorno a essa l'unità politica e territoriale del ducato; a imprimere a questo una fisionomia ben definita e differenziata, ad assicurare la continuità di funzioni e nell'ordine civile e in quello religioso con il graduale sviluppo di organi; a garantire la stabilità dello stato pur fra i numerosi sobbalzi di congiure e rivolte interne. Cambiavano, per moti violenti, persone e famiglie, non l'istituto ducale, il quale anzi si consolidò nella sua struttura, accettando il principio elettivo in confronto della normale procedura di cooptazione. I commerci si sviluppavano: esse solcavano i mari da occidente a oriente, dall'Africa a Costantinopoli, risalivano dal Mediterraneo su per l'Adriatico. Gli ostacoli militari, Slavi e Saraceni, che incontravano lungo la loro strada, erano rimossi anche con la forza, come nelle spedizioni dell'865, dell'876, dell'880, dell'887. Era sempre aperto il conflitto con il patriarcato di Aquileia a cui veniva opposto quello di Grado. Grado tuttavia mantenne la figura di sede patriarcale del ducato, e Aquileia conservò il suo diritto metropolitano. Tra il X e l’XI secolo Venezia divenne estremamente ricca, grazie al controllo dei commerci con il Levante, e iniziò ad espandersi nel Mar Adriatico e oltre. Questa fase d'espansione ebbe inizio a partire dall'anno 1000, quando la flotta guidata dal doge Pietro II Orseolo per combattere i pirati Narentani che disturbavano con le loro incursioni le coste veneziane ricevette la sottomissione delle città costiere istriane e dalmate e il successivo riconoscimento da parte dell'imperatore bizantino del titolo di duca della Venezia e della Dalmazia (Dux Venetiae et Dalmatiae). Nel 1071 la lotta per le investiture tra Gregorio VII ed Enrico IV era già in atto, ma Venezia, rimanendo fedele alla sua politica di equilibrio tra le grandi potenze, non parteggiò né per il pontefice, né per l'imperatore. Nel sud dell'Italia i Normanni erano diventati i veri protagonisti. Dapprima i Veneziani avevano allacciato buoni rapporti con gli Altavilla; ma allorché essi cominciarono ad intervenire nell'Adriatico avvenne la rottura. L'occupazione normanna di Durazzo e di Corfù indusse i Veneziani all'azione armata. La guerra durò più di due anni e le operazioni navali e terrestri non furono favorevoli agli alleati venetobizantini. Quando Roberto il Guiscardo morì, il suo esercito abbandonò le posizioni raggiunte per ritornare in Puglia. Con la scomparsa del normanno, Venezia riuscì ad ottenere da Costantinopoli quanto aveva desiderato. La Crisobolla (o "Bolla Aurea") del maggio 1082, con cui l'Imperatore d'Oriente concedeva ai suoi mercanti ampi privilegi ed esenzioni in tutta l'Impero bizantino: questa iniziale 15 Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in parte da Wikipedia, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. VIII Lezione: crisi carolingia concessione venne poi successivamente più volte ampliata ed affiancata da altri atti con cui gli imperatori via via premiarono e poi pagarono il sostegno navale dei loro ex-sudditi. L’espansione dei traffici misero Venezia a contatto della concorrente attività delle due maggiori repubbliche marinare, Pisa e Genova, e cominciò ad essere coinvolta dall’espansione crociata. 16