Cina e Tibet - TOAssociati
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Cina e Tibet - TOAssociati
Ricordi di monaci tibetani di Marco Berti Nel pomeriggio mi reco con Jangbu a Bodhnat per ricevere la benedizione da un importante Rimpoche (abate) di un monastero della setta Gelugpa. Superati i quartieri di Dawpatan, Siphal e Cabahil ci troviamo ai piedi del grande stupa di Bodhnat cuore della tradizione buddista tibetana in Nepal. Come al solito molte persone affollano la piazza. Turisti, per lo più impegnati a scattare foto, vengono attirati dai mille particolari e dalle moltitudini di colori che caratterizzano questo luogo, dal continuo sussurrare dei tibetani che pregano circoambulando lo stupa e dagli oggetti che si vendono nei negozietti che fanno da corona alla piazza. Incontro Rinji Sherpa, mio compagno di scalate; anche lui sta circo ambulando attorno alla stupa per la morte di un importante monaco del suo villaggio. “Lavoro? Programmi? Scalate?” - visto che è una guida d’alta quota. “Poco, molto poco” con aria insoddisfatta - “Ho un gruppo di koreani, pagano bene, ma vogliono salire l’Island Peak. L’ho già fatto dieci volte. Poi alcuni gruppi di trekking al campo base dell’Everest. Poca roba.” Jangbu mi ricorda l’appuntamento che abbiamo così riprendiamo la strada per il monastero dove il Rimpoche ci sta aspettando. Entriamo nel tempio. Come mille anni fa il fumo dell’incenso domina la stanza dove i monaci stanno iniziando i loro rituali. I thanka, dipinti sacri, esposti sui muri, rappresentano mandala e i buddha nei loro vari atteggiamenti simbolici permeati da un intenso misticismo. Alcuni monaci tengono in mano la mala - il rosario- composta da centootto dischetti di osso di yak. Il borbottio e l’attesa del Rimpoche, il maestro, dà all’atmosfera una superficiale tensione che avvolge in un magico mondo tutti i presenti. Tutto è sensazioni e gli occhi vengono trasportati nei particolari delle vesti e degli oggetti dei monaci. All’arrivo del maestro, dopo un momento di imbarazzante silenzio, inizia la cerimonia con la recitazione dei mantra, considerate, nella tradizione orientale, sacre parole di potenza. All’apparenza sembrano lamenti ma poi, quelle parole emesse con tanta precisione nel canto dei monaci e l’espressione estatica degli stessi, porta la mente dei curiosi, me compreso, verso un viaggio lontano dal tempo. Shenpen, il mio amico monaco, addetto a suonare il tamburo, sorride nell’osservarmi. Ricambio con un saluto, poi mi dirigo nella zona addobbata con statue di bronzo e drappi multicolore. Una enorme decorazione, sulla parete esterna del monastero mi distoglie definitivamente dal rito dei monaci poichè rappresenta la ruota del divenire dipinto che espone il doloroso ciclo delle reincarnazioni. Mara, il demone gigante della morte, tiene fra gli artigli la ruota del divenire. Fuori della ruota, esenti dall’obbligo della reincarnazione, i vari buddha e bodhisatva. Al centro del dipinto, un maiale, un serpente e un gallo che simboleggiano l’avidità, l’odio e l’accecamento. Il tutto chiuso da disegni che parlano di vita terrena. Il gioco dei colori, i piccolissimi particolari delle vesti dei buddha e l’espressione terrificante del demone sono la rappresentazione ideale di quello che sto vivendo. E’ un messaggio di gente silenziosa e pacifica. Terminata la cerimonia il Rimpoche ci attende nella sua stanza. Una piccola statua del Bhudda della compassione fa bella mostra su un mobiletto dipinto a mano. Il Rimpoche sorride e mi invita a sedere. Jangbu sembra intimorito alla presenza di quest’uomo che ha il grande privilegio di essere la reincarnazione di un importante maestro tibetano. Rotto il ghiaccio, anche Jangbu interviene nella conversazione che spazia tra mille argomenti. “Da dove vieni ?” - invitandomi a iniziare la conversazione. “Conosce Venezia ? Acqua dappertutto. I taxi sono barche.” Ho sempre difficoltà nel descrivere la grande originalità della mia città. “Ho letto un piccolo libro. Una specie di guida turistica” - mi risponde con l’aria di chi non vuole farsi trovare impreparato. “Pensi che recentemente è stata visitata da Sua Santità il Dalai Lama che con il suo noto umorismo l’ha definita più adatta alle anatre che agli uomini.” Poi gli argomenti spaziano dal Papa all’Europa, dalla politica degli Stati Uniti alla magia del Tibet. Così il tempo passa in maniera piacevolissima quando un giovane monaco ricorda al Rimpoche che deve ricevere una famiglia sherpa. Prima di congedarmi gli porgo la Kata, una sciarpa bianca di seta, che lui mi ripone sul collo, recitando alcune preghiere perchè il Bhudda mi protegga durante il mio tentativo di scalata al Kangchenjunga Ovest (8.505 m). Lascio la stanza con la promessa di venirlo a trovare al mio ritorno. Nel cortile del monastero incontro un giovane monaco che in una precedente visita mi ha aiutato nel sedare una piccola rissa tra commercianti tibetani. Il suo soprannome è Jimmy, ma non ne conosco il nome. Mi invita nella sua stanza. Saliamo nell’ala del monastero dove vivono tutti i giovani monaci. Dopo essere entrati mi fa accomodare sul suo letto. Vengo subito attratto da quanto è appeso ai muri che con il misticismo dell’oriente non ha niente a che fare. In evidenza un poster di Paolo Rossi goleador dei mondiali di calcio del 1982 e di Klismann, giocatore della nazionale tedesca, e una gigantografia di Michel Jackson. Mi offre una tazza di tè bollente e accende un piccolo impianto stereo che a tutto volume ci delizia con una canzone dei Rolling Stones. Sicuramente, dopo l’incontro con il Rimpoche, Jimmy mi ha violentemente ricordato da dove provengo. Mi confida d’essere un patito del calcio e in particolare dei giocatori italiani. Conosce tutte le squadre di italiane di serie A e i più famosi cannonieri. Da sotto il letto sfila un bel libro fotografico della Juventus. Sconcertato inizio a sorridere poi scoppio in una sonora risata. Sono qui, in Nepal, tutto preso dal silenzio che può trasmettermi questo paese, alla ricerca di emozioni antiche che in parte sono perse dalla memoria dell’uomo e mi ritrovo a discutere del campionato di calcio con un monaco buddhista. Rido della mia stupidità, del mio vivere in un sogno costruito dalle mie illusioni e dalle letture di vecchi libri. Sono comunque convinto che durante l’avvicinamento e la scalata al Kangchenjunga potrò vivere di quello che cerco. Lasciato l’amico Jimmy e il grande stupa di Bodhnat ritorno al centro di Kathmandu mentre Jangbu ritorna a casa e più precisamente nel quartiere del Thamel, cuore del turismo in Nepal. Ovunque, ai lati della strada principale, negozi con attrezzatura da montagna. Vado a trovare Phuntsok e Dolma, marito e moglie di origine tibetana. Anche loro hanno un piccolo negozio che frequento più per amicizia che per convenienza. Lui mangia continuamente banane perchè gli è stato detto che aiuta lo sviluppo del fisico. E’ un appassionato di culturismo. Lei è una donna dinamica sempre sorridente e ottima commerciante. L’amicizia che ci lega è data anche dal fratello di Dolma che è un importante Rimpoche. Thomtok, è il suo nome, è un reincarnato di un grande maestro tibetano. Ci racconta - “Nel 1959, all’epoca della rivoluzione culturale in Cina, ero già stato riconosciuto come reincarnazione. Mio padre era un principe di un piccolo feudo del Tibet meridionale e, saputo che l’esercito cinese avanzava velocemente, fece fuggire mia sorella e me in India in cerca di rifugio come aveva già fatto il Dalai Lama. Qualche anno più tardi venni a sapere che, dopo la mia fuga, mio padre era partito con il suo piccolo esercito contro l’invasore cinese. Naturalmente ne uscì sconfitto e gli fu tagliata la testa così come ai suoi subordinati. Quegli stessi soldati portarono le teste mozzate nel villaggio della mia famiglia e ne fecero bella mostra ai miei fratelli più piccoli e a mia madre.” Ci racconta tutto questo senza il minimo accenno all’odio o alla vendetta. E’ vero, è un monaco, un Rimpoche, un reincarnato, quasi un santo, ma per me è sempre un uomo. “Ma cosa prova nei confronti dei cinesi e in particolare di quegli uomini che si sono dimostrati particolarmente crudeli con la sua famiglia” - non riesco a trattenermi dal chiedere. “Vedi Marco” - rispondendomi con un dolcissimo sorriso -“ nella dottrina buddhista si crede nella reincarnazione e quindi uno di quegli uomini potrebbe essersi reincarnato in uno dei miei migliori amici. Il Kharma di quei soldati potrebbe essere stato negativo ma in una nuova vita potrebbe essere migliore di tutti i santi del mondo. Preferisco pensare che un uomo può aver sbagliato in una vita precedente ma che in quella successiva potrebbe regalare pace e amore.” Faccio fatica ad accettare quanto mi dice anche se mi affascina pensare che l’esperienza della vita di un singolo uomo può non aver fine. Lo incontrai per la prima volta a Venezia a casa di un amico che un tempo era stato monaco in un monastero di Dharamsala in India. All’epoca era tutto preso dallo studio del dharma e quell’incontro mi avvicinò ulteriormente al buddismo anche se non sono mai definito e mai mi definirò buddista. Acquisto nel negozio di Dolma quel che mi manca per l’impegno che vado ad affrontare. Prima di salutarci mi infila in un sacchetto di plastica dell’incenso perchè io lo bruci ad ogni passo che valicherò così gli dei che dimorano sulle grandi montagne dell’Himalaya mi saranno benevoli e mi proteggeranno.